2. informale, arte Corrente artistica sviluppatasi in Europa dopo la
Seconda guerra mondiale che considera l’opera d’arte, pittorica o
scultorea, come una realtà a sé, diversa («altra») da quella
dell’esperienza quotidiana e da ogni esperienza artistica anteriore
(le espressioni art autre e art informel sono state utilizzate, per la
prima volta, dal critico M. Tapié, nel 1952). In senso ampio, l’arte i.
può essere considerata una delle manifestazioni dell’astrattismo
non geometrico e, nell’esaltazione della materia e del gesto,
comprendere ricerche statunitensi contemporanee, quali l’action
painting
3. Con la parola ‛informale' si designarono subito tutti quei movimenti o
quelle personalità che, dopo il formalismo delle più importanti avanguardie
storiche, che aveva dominato l'arte fino al 1940-1945, riproposero nella
pittura e nella scultura un primato dell'espressione in senso
individuale, puntando sulla materia, sulla tensione gestuale e sul
recupero di un'immagine ingenua, incolta o degradata.
Il termine venne in uso in Europa, ma esso fu riferito anche, più o meno
correttamente, all'action-painting e all'espressionismo astratto americani,
nonché al tachisme, alla pittura materica, all'art brut, a quelle indicazioni
date da M. Tapié sotto il titolo Un art autre nel 1952, e perfino allo
spazialismo e al nuclearismo. A prescindere quindi da una morfologia
simile, ma anche da ogni dichiarazione di poetica, il termine coglie
genericamente un'area il cui comun denominatore è soltanto il fare
perno dell'artista su una situazione esistenziale, su una percezione
individuale dei problemi anche oggettivamente tragici del mondo
degli anni quaranta-cinquanta.
(voce “Informale” di Marisa Volpi Orlandini
in Enciclopedia del Novecento Treccani, 1978
consultabile online: http://www.treccani.it/enciclopedia/informale_
%28Enciclopedia-del-Novecento%29/
7. Nell’ambito delle poetiche esistenziali, o dell’informale, il problema viene
posto in tutt’altri termini: la materia ha bensì un’estensione e una durata,
ma non ha ancora o non ha più una struttura spaziale e temporale. La sua
disponibilità è illimitata; manipolandola, l’artista stabilisce con essa un
rapporto di continuità esistenziale, di immedesimazione. (…)
Fautrier ha evitato ogni rapporto con le ricerche strutturali cubiste e post-
cubiste (…) constata che la materia pittorica non è soltanto il mezzo con
cui si esplicitano le sensazioni, ma una sostanza sensibile e
impressionabile che delle sensazioni assorbe e fa proprie l’estensione e la
durata.
Tutto ciò che si vive diventa materia: dunque (come aveva detto Bergson)
la materia è memoria (…)
G.C. Argan, L’arte moderna 1770-1970,
Sansoni editore, Firenze 2002 (prima edizione 1970), p.268
8.
9.
10. con la serie degli Otages (ostaggi), il momento più alto dell’opera di
Fautrier: quello che fa di lui l’interprete di tutta una tragica situazione
europea determinata dall’oppressione nazista
13. While the style of "drip" painting has become synonymous with the name
Jackson Pollock, here the artist has autographed the work even more
directly, with several handprints found at the composition's upper right.
Around this time Pollock stopped giving his paintings evocative titles and
began instead to number them. His wife, artist Lee Krasner, later explained,
"Numbers are neutral. They make people look at a painting for what it is—
pure painting." Collectors did not immediately appreciate Pollock's radical
new style, and when first exhibited, in 1949 (then titled Number 1, 1948), this
painting remained unsold. Later that year the work was shown again in the
artist’s second solo exhibition (Pollock added "A" to the title to avoid
confusion with more recent work) and shortly thereafter was purchased by
MoMA.
fonte: https://www.moma.org/collection/works/78699?locale=it
14. Nel 1950, all’età di 38 anni, Jackson Pollock aveva il vento in poppa.
Aveva guadagnato 5.800 dollari durante la stagione 1949-50, somma
che corrispondeva alle vendite dell’esposizione presso Betty Parsons e
alla sua retribuzione per un’importante commessa privata. In un’epoca
in cui il salario di un impiegato medio era di 3.500 dollari all’anno,
rappresentava un’entrata considerevole. Ma il suo successo non era
solo finanziario. La rivista “Life” aveva chiesto ai suoi dodici milioni di
lettori a grandi caratteri: “è il più grande pittore americano vivente?”
R. Krauss, L’incoscio ottico,
Bruno Mondadori 2008 (prima edizione 1993), p. 263
16. Nel 1950 Alfred Barr acquistò Number 1 1948
per il Museo d’arte moderna di New York e,
malgrado le ultime reticenze nei confronti della
pittura di Pollock, gli accordò uno spazio dalle
dimensioni impressionanti nel Padiglione
americano della Biennale di Venezia