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Relazione su
                       Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo




Le ragioni di una scelta


La prima ragione è la profonda emozione che quest’opera mi ha sempre suscitato fin
dall’infanzia ma ciò che mi ha sempre stimolato, a livello razionale, è l’aver rilevato
l’estrema popolarità e, direi, la familiarità che quasi ogni italiano intrattiene con essa.
Possiamo affermare che è una delle poche opere d’arte che è penetrata a pieno titolo nel
nostro “immaginario collettivo”.
Sarebbe interessante analizzare il perché, un opera così importante storicamente, venga
tenuta ai margini dai manuali di storia dell’arte ma ho preferito strutturare altrimenti la mia
relazione.
Ho centrato la mia attenzione sul significato politico dell’opera e sulla sua efficacia nel
rappresentarlo.
Particolarmente stimolante mi è sembrata la problematica inerente alla sua diffusione nella
nostra società dominata delle immagini e al rapporto, quanto mai intenso, con il cinema.
La sua forza e il suo fascino hanno resistito anche al declinare dei presupposti ideologici
che la sottendevano. Questo l’ha portata ad essere usata in contesti differenti o a divenire il
luogo privilegiato della rappresentazione della crisi delle utopie egualitarie.




Strutturazione della relazione


       1. il ruolo dell’artista nella società secondo Pellizza
       2. tre esempi coevi di opere ispirate al medesimo tema
       3. analisi delle opere che hanno preceduto e “preparato” il Quarto Stato.
       4. novità iconografica dell’opera e rapporto con la concezione politica che l’ispira
       5. il successo dell’opera; persistenza nell’’immaginario collettivo nonostante la
             crisi dell’ideologia che la sottendeva. Rivisitazioni dell’opera.




                                                                                              1
Il ruolo dell’artista secondo Giuseppe Pellizza


Giuseppe Pellizza da Volpedo è nato a Volpedo in Piemonte il 28 luglio 1868 da una
famiglia di contadini agiati . Si suicida il 14 giugno 1907 dopo la morte di suo figlio e di
sua moglie.
Finiti gli studi d’arte, si ritira al paese natio perché convinto che per ritrarre la natura si
deve vivere nella natura e non in città. Vale la stessa cosa per chi vuol ritrarre il lavoratore
dei campi: deve faticare, sudare con lui. Pellizza parla infatti dell'identità della vita e
dell'arte. Si deve vivere i soggetti dell'arte per essere capaci di ritrarli adeguatamente.
Questo non vuol dire cedere a forme di spontaneismo. Come vedremo, Pel lizza è un artista
molto consapevole dei propri mezzi espressivi e con grande preparazione tecnica e
culturale.
Sente il bisogno di creare l'arte per l'umanità, per il popolo, per la vita quotidiana e
contadina: Pellizza si può definire come un tipico “artiste engagè”, che provava a superare
il lato puramente tecnico dell’arte in favore di una chiara posizione per i diritti dei suoi
contadini.


Il tema dell’opera nel contesto storico artistico


In un epoca di forti contrasti sociali (fine ‘800), il tema dello sciopero è una fonte
d’ispirazione abbastanza diffusa; a titolo di esempio riporto tre opere:
                                                                                         Sciope




ro, Plinio Nomellini, 1884                          Una sera di sciopero, E: Laermans, 1893




                                                                                              2
Lo sciopero dei minatori, A. P. Roll, 1884




Rispetto ai contemporanei il quadro di Pellizza rifiuta caratterizzazioni di eccitata protesta
o di passiva rassegnazione.
Lega il tema iconografico dello sciopero con quello della sfilata che caratterizzava le
celebrazioni della festa dei lavoratori.




Il Quarto Stato e il suo "cantiere"
(1891-1901)


Il Quarto Stato che fu nella mia mente Fiumana prima, quindi Il cammino dei lavoratori,
fu una delle mie primissime concezioni; fu il pensiero continuato di un decennio
(1891-1901) e non riescii a concretarlo che dopo aver evoluto la mia arte con molto,
moltissimo lavoro e con altrettanto pensiero
Minuta di lettera di Pellizza all'amico Matteo Olivero, 28 ottobre 1904


Del lungo percorso che ha portato alla realizzazione del Quarto stato individuo tre opere
principali (Ambasciatori della fame, Fiumana, Il cammino dei lavoratori), omettendo, per
ragioni di spazio, il gran numero di bozzetti, disegni, prime versioni che lo hanno
costellato.
                                               A differenza di quanto afferma l’artista nella
                                               lettera citata,la prima tappa va individuata in
                                               Ambasciatori       della   fame,   la   tela   qui




                                                                                               3
riprodotta, che è del 1892 (51,55 x 73) ed è stata preceduta da un bozzetto l’anno
precedente.
Dal punto di vista tecnico, l’opera segna l’adozione della tecnica divisionista, che l’autore
considera, come molti suoi contemporanei, un mezzo scientifico per fare arte.
Nella cultura dell’artista, profondamente intrisa di positivismo coniugato a marxismo, la
scienza era fattore di progresso sociale ed umano e un’arte che si poneva quegli stessi
obiettivi non poteva non trovare che nella scienza gli strumenti adeguati.
In base ad un’analisi formale, in Ambasciatori della fame abbiamo la messa a punto di una
struttura costituita da tre figure in primo piano e la massa di gente sullo sfondo (struttura
definita dall’artista embrionale) che rimarrà pressoché invariata.
L’iconografia è quella degli scioperi e delle proteste popolari (molto diffusa all’epoca) ma
se ne scorgono differenze significative soprattutto se si analizza il disegno dell’anno
successivo (riportato in fondo a sinistra).
Su questo tema possono già valere le considerazioni accennate in precedenza e che
verranno riprese successivamente. Qui voglio aggiungere un altro elemento di differenza
con molte opere coeve e cioè l’assenza di bandiere e simboli.
Se già nel disegno preparatorio (Gruppo di contadini, 1891) le bandiere avevano lasciato il
posto agli attrezzi agricoli, visibili sullo sfondo, nel bozzetto (Ambasciatori della fame,
1891) anche questi erano scomparsi e solo alle figure era affidata la precisa
rappresentazione di un momento delle lotta di classe.
Si vedono solo uomini, donne, bambini, che fanno semplicemente parte del genere umano,
senza prendere qualsiasi posizione politica. Insomma, è una visione positiva basata sulla
ragione umana.




                                              Lo sciopero a Creusot, Jules Adler , 1899.




                                                                                           4
Fiumana




                                                                   Qui il messaggio è più accentuato
                                                                   sul significato universale del
                                                                   soggetto sociale, sull'universalità
                                                                   dei diritti umani1. Infatti, anche la
                                                                   scelta     letteraria     del       titolo
                                                                   Fiumana,        con      implicazione
                                                                   simbolista, è frutto di questa
ricerca di universalità: «[...] gli umili, gli oppressi, forti del loro buon diritto, entrano nella
storia con l'impeto travolgente di una fiumana»2 .La tela riportata è del 1896 ed è di
dimensioni notevoli: 255x438.
Le novità strutturali sono già definite nel bozzetto: il terzetto di due uomini e la donna con
bimbo guidano la marcia della folla.
La quantità di gente è aumentata, corrispondente al titolo è diventata una vera fiumana
umana. L'ombra nel primo piano è stata eliminata: le tre figure centrali vengono più in
avanti e sono meno viste dall'alto.
La figura giovanile è stato sostituita da una figura di donna. La sostituzione di una figura
maschile con una donna col bambino non autorizza suggestioni femministoidi.
Pellizza si esprime così sul ruolo della donna «Per me la donna più che render parte con
vera coscienza è compagna passiva dell'uomo nella sua corsa verso l'equilibrio ed è perciò
che le mie donne invece di rivelare un pensiero profondo si interessano o dell'uomo o del
bambino o tendono a vedere i fatti isolati senza assurgere allo scopo finale dell'uomo.»3
La figura della donna col bambino va intesa piuttosto come allegoria dell’umanità.




1
  Cfr. Scotti, Aurora, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, p. 14
2
  Pellizza citato in: Anzani, Giovanni e Carlo Pirovano, La pittura del primo Novecento in Lombardia
(1900-1945), in: Carlo Pirovano (a cura di), La pittura italiana. Il Novecento, Milano 1991, p. 74.
3
  Scotti 1986, op. cit., p. 15.



                                                                                                           5
Il cammino dei lavoratori


                                                               Nel 1898, Pellizza riprende, per
                                                               la terza volta, a lavorare sul
                                                               soggetto. (A fianco il bozzetto,
                                                               olio su tela)
                                                               Lo   spingono   motivi   artistici:
                                                               secondo Aurora Scotti, Pellizza
                                                               non era contento dei «rapporti
       luminosi fra le parti» e dell’impostazione dei gruppi. Voleva rendere più impetuosa la
       fiumana, «facendola avanzare a cuneo verso l’osservatore» e dare più «dinamismo» e
       più «notazioni realistiche»4all’opera.
       Ma a spingerlo sono soprattutto motivi politici: l'anno in cui riprende le fatiche di
       lavorare una terza volta sul soggetto, il 1898, è anche l'anno delle violente repressioni
       del Bava-Beccaris a Milano. L’artista sente crescere in lui l’urgenza di dare un
       contributo adeguato alla lotta contro le ingiustizie.




       Il quarto stato




4
    Ivi , p. 42)



                                                                                                6
la tela, di notevoli dimensioni (293x545), doveva intitolarsi come il bozzetto cioè “il
       cammino dei lavoratori”. Ma nel 1901 l’artista la intitola “Il quarto stato” ispirato dalla
       lettura della Storia socialista della rivoluzione francese di Jean Jaurès5.
       Rispetto a Fiumana, l’aumento delle dimensioni permette che le figure in primo piano
       siano quasi a grandezza naturale; mancano quei grandi contrasti espressivi del colore,
       la rappresentazione della massa non è più indistinta, ma più chiara e dai ritmi
       compositivi improntati a maggiore solidità ed oggettività .
       Le novità iconografiche, rispetto alle opere coeve di uguale ispirazione, si sono
       sviluppate nel lungo corso della sua genesi. L’ idea fondamentale dell’artista è stata
       quella di integrare la rappresentazione di uno sciopero con quella delle sfilate della
       festa dei lavoratori da poco istituita.
                                                                  L’opera   presenta   una    schiera   di
                                                                  braccianti che avanza frontalmente,
                                                                  guidata in primo piano da tre persone in
                                                                  grandezza naturale (date le dimensioni
                                                                  del quadro).
                                                                  Un uomo al centro affiancato, in
                                                                  posizione leggermente arretrata, da un
                                                                  secondo lavoratore più anziano e da una
       donna con un bimbo in braccio.
       Non si collocano su un'unica linea ma hanno un'impostazione leggermente a cuneo
       Anche i personaggi in secondo piano non sono disposti a schiera (come potrebbe
       sembrare), ma si distribuiscono secondo una linea ondulata.
       Ciò è evidenziato:
       dalle loro ombre,da un analogo comporsi del movimento delle mani nonché dal ritmo e
       dalla direzione delle loro teste.
       Questa soluzione contribuisce a evitare che il tutto appaia statico e greve, e a suggerire
       invece un movimento ritmico e continuo, che ben rappresenta ed evidenzia l'idea
       dell'avanzata.



5
    Scotti, Aurora (a cura di), Il quarto Stato, Milano 1976, p. 12.



                                                                                                        7
Anche le diverse condizioni di luce concorrono ad accentuare questa impressione di
    moto.
    Mentre lo sfondo del cielo rappresenta un tramonto, le figure sono viste in una luce
    quasi meridiana.
    In tal modo l’episodio passa da una collocazione in uno spazio e un tempo contingenti
    ad una dimensione simbolica: un avanzare calmo ma inarrestabile delle classi
    subalterne nella storia.
    La pennellata è composta di puntini e di lineette, ma la tecnica pittorica varia secondo
    il soggetto da rappresentare. I vari elementi vengono formati non solo col colore e col
    disegno, ma anche colla tecnica usata.
    L’opera non rappresenta una rivoluzione, la gente non corre, ma il loro avanzare è lento
    e pacato, non avversivo, ma persuadente e nella loro lentezza e fermezza suggeriscono
    un senso d’ invincibilità.
    Pellizza sembra essere persuaso, come un grande numero d'artisti del suo tempo,
    dell'avanzare delle classi subalterne verso un più luminoso avvenire di progresso e di
    benessere.
    Un breve accenno ai rimandi alla grande arte italiana, in particolare a Raffaello, dalla
    quale, un artista colto come il Pellizza, non poteva prescindere.
    Inoltre, questo suo rimando ad iconografie ormai ben radicate è senza dubbio una delle
    ragioni del suo successo.


       «[...] e non è un caso, in tempi di tentazioni preraffaellite, che polemicamente Pellizza intenda
       rifarsi al grande Raffaello della Stanza della Segnatura. La scena del corteo, che si propone
       come una sorta di conversazione, dove i personaggi discutono e narrano con i gesti simmetrici
       delle mani nude, è costruita per gruppi di tre, come quella dei filosofi sulla scalinata della
       Scuola d'Atene di Raffaello. Da questo stesso affresco Pellizza studia, nelle grandi fotografie
       Alinari di cui si è provveduto, la copertina centrale di Aristotele e di Platone ed il movimento
       della figura panneggiata che apre la composizione sul lato sinistro»6.




6
 Lamberti, Maria Mimita, Pellizza da Volpedo e il Quarto Stato, in Storia dell'arte italiana, II. parte vol. III
cap. 5, p. 91.



                                                                                                               8
Il successo dell’opera


L’opera non ebbe un immediato successo di critica. In questo ambito, dobbiamo
attendere gli anni ’50 perché si sviluppi un certo interesse.
Diverso è il discorso sul successo popolare. Da subito iniziarono le riproduzioni su
stampe e cartoline socialiste.
Nel 1920 il Comune di Milano acquistò il dipinto grazie ad una pubblica sottoscrizione
                                                    organizzata dai consiglieri socialisti.
                                                    Il fascismo mise “in quarantena “
                                                    l’opera anche se ci furono tentativi di
                                                    leggerla alla luce del populismo
                                                    fascista.
                                                    A partire dal secondo dopoguerra , le
                                                    organizzazioni dei lavoratori e le
                                                    formazioni di sinistra hanno fatto, e
fanno tuttora, largo uso di questa immagine, spesso utilizzandone solo alcune parti o
con manipolazioni in senso espressivo.
Questo uso massiccio di riproduzioni viene solitamente indicato come una delle ragioni
del suo successo; ma resta da definire perché proprio tale opera, e non le molte altre
coeve, venne scelta come “icona” delle lotte proletarie.
Evidentemente il lungo e accurato studio, la consapevolezza e la padronanza su tutti gli
elementi formali, hanno dato i loro frutti. In una parola possiamo definire la ragione del
suo successo nel talento dell’artista che l’ha portato ad ottenere ciò che si era
prefissato.


                                            Anche nel campo dell’arte l’opera verrà
                                          ripresa in vario modo.
                                          Qui, a titolo di esempio, voglio riportare
                                          Internazionale di Otto Griebel del 1928-30,
                                          (riprodotta qui a fianco).




                                                                                              9
Ma particolarmente interessante è stata la citazione nell’opera in Il quinto stato di
       Mario
       Ceroli.
       Quarto e Quinto Stato, sono state protagoniste di un incedibile “faccia a faccia”7 in una
       mostra che si è tenuta nella Sala della Regina alla Camera dei Deputati. La mostra si è
       chiusa il 3 febbraio di quest’anno ed è stata fortemente voluta dall’allora presidente
       della Camera, Fausto Bertinotti.




Qui sopra vediamo le due versioni di Quinto Stato, opere del 1984.
Quella a sinistra è un collage (si tratta dell’opera esposta alla Camera), quella a destra è
realizzata con la tecnica più amata dall’artista, cioè la lavorazione in legno.


         Mario Ceroli, uno dei più grandi Maestri della contemporaneità, ha voluto mostrare al pubblico
         il “nuovo proletariato”, protagonista di “un altro Novecento, quello della produzione di massa”.
         “Il Quinto Stato” è quello che stiamo vivendo, dice lo stesso Ceroli, oggi, dopo decenni di lotte
         per i diritti dei lavoratori, in una democrazia in cui, certo, le condizioni di disagio dei primi del
         Novecento sono state superate, ma restano grandi questioni irrisolte. Gli uomini di Ceroli,
         rispetto a quelli di Pellizza, sono “individui dall’identità molteplice, quella derivata da
         un’insicurezza del vivere e del presentarsi”, scrive Celant. La cultura umana de “Il Quinto
         Stato” non è definita chiaramente, così come nell’altro dipinto, che pure ne è l’icona. Ceroli “la
         rappresenta molteplice, così che le identità si fondono, producono un magma indifferenziato.
         Le sagome possono riguardare il colto e il rozzo, il ricco e il povero, l’uomo e la donna, il
         produttore e il lavoratore”, una “pluralità di esseri che sono indefinibili, ma coesistono in un
         unico territorio”, sempre in cammino.8




7
    Cfr il sito di “Musei Virtuali Internazionali”,http://h1.ath.cx/muvi/portale/wordpress/
8
    Ibidem



                                                                                                                 10
Tornerò su questi concetti nell’ultima parte della mia relazione, per ora vorrei tornare al
Quarto Stato, rifacendomi sempre allo stesso articolo sulla mostra alla Camera.
Vittorio Sgarbi è stato uno degli artefici della mostra, nel suo ruolo di assessore alla cultura
di Milano e quindi “tutore” dell’opera di Pellizza.
Ha voluto, riprendendo una disposizione dello stesso artista, che l’opera fosse poggiata per
terra e non sospesa in alcun modo.
Tale scelta, oltre a motivazioni “simboliche” che non tratto, accentua il valore
“scenografico” dell’opera, provocando un coinvolgimento totale dello spettatore, sia a
livello fisico che spirituale.
E’ proprio in questa capacità dell’opera, in questa sua forza di “realtà virtuale” che essa ha
potuto, a mio parere; entrare in rapporto dialettico con il mondo delle immagini odierno e,
                                 in particolare, con quello straordinario mezzo che è il cinema
                                 Oltre che a richiami espliciti, tra i più famosi Novecento di
                                 Bertolucci, molti registi hanno citato il dipinto in maniera più
                                 o meno diretta in alcune sequenze dei loro film( penso, ad es.,
                                 all’ingresso delle sigaraie in fabbrica in Carmen di Francesco
                                 Rosi oppure alla danza collettiva in Allonsanfan dei fratelli
Taviani).
Dato che il cinema riveste un ruolo particolarmente importante nella formazione delle
immagini e dei simboli del nostro “immaginario collettivo”, il quadro del Pellizza è
diventata una delle poche opere d’arte conosciute e citate a livello di massa.


Il Quarto Stato e il declino delle utopie egualitarie


In questi anni nel nostro Paese, come in tutto l’ “Occidente”, si è dovuto fare i conti con la
crisi del pensiero socialista o, più semplicemente, con la crisi di qualsiasi aspirazione ad un
progresso sociale improntato a quei principi che animavano il Pellizza.
Nonostante ciò l’immagine ha conservato la sua forza.
In ragione di questa discrepanza tra forza dell’immagine e la crisi dell’ideologia che la
sottendeva, Il quarto stato è divenuto il “luogo” privilegiato della rappresentazione di
quella stessa crisi.




                                                                                              11
Ho qui riportato tre esempi che mi sembrano emblematici.
Il primo, con l’operaio che fa il “gestaccio”, è una delle icone di quei settori di classe che
vivono sulla propria pelle la precarietà. In genere si tratta di giovani lavoratori poco inclini
a visioni ottimistiche sulla ricomposizione sociale e animati da atteggiamenti di rifiuto ed
antagonismo radicale.
La versione “leghista” risulta particolarmente oltraggiosa ma mostra, con efficacia, la
deriva di vasti strati popolari verso ideologie egoistiche e discriminatorie.
La locandina del film mi pare particolarmente interessante.
Innanzitutto perché si tratta di cinema cioè di quel mezzo che più ha ricevuto e dato al
quadro.
In secondo luogo, essa si appunta su uno dei capisaldi ideologici dell’opera del Pellizza,
ovvero la fiducia nel futuro.
Già nel titolo si avverte il richiamo ironico a questa visione della realtà.
In una intervista il regista ha detto: « dai, non preoccuparti, hai tutta la vita davanti è
un'espressione che spesso i genitori dicono ai figli; in questo caso però c'è un tono



                                                                                             12
sarcastico che vuol far riflettere sul fatto che i giovani hanno tanto tempo ma per esempio
non avranno mai una pensione»9
Il film si avvale di diversi personaggi piuttosto differenti tra loro: c’è l’intellettuale
“proletarizzata”, il giovane arrivista, la sottoproletaria marginale, tutti accomunati dalla
mancanza di prospettive.
Ma nella locandina, come nel film, trovano spazio rilevante anche altri personaggi: oltre a
un sindacalista privo di strumenti per affrontare la nuova realtà del lavoro, ci sono persino i
“nemici di classe”, quelli che su quel lavoro si arricchiscono.
Più che una citazione del Quarto stato ne sembrerebbe una del Quinto Stato di Ceroli che
faceva riferimento a soggetti sociali molto più confusi e indistinti.
Fatto sta che la condizione di lavoro precario diviene emblema di una condizione
esistenziale senza prospettive che accomuna tutti gli strati sociali nella società odierna.
Il ribaltamento dell’ideologia del Quarto Stato appare quindi completa: se nell’opera di
Pellizza l’unità dei braccianti simboleggiava l’unità di classe in una prospettiva di
progresso che riguardava tutta la società, nel film di Virzì la condizione di precarietà di un
soggetto sociale quanto mai disgregato, diviene emblema di una società senza prospettive.




9
    http://www.movieplayer.it/articoli/03741/tutta-la-vita-davanti-sul-set-di-virzi/



                                                                                              13

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  • 1. Relazione su Il quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo Le ragioni di una scelta La prima ragione è la profonda emozione che quest’opera mi ha sempre suscitato fin dall’infanzia ma ciò che mi ha sempre stimolato, a livello razionale, è l’aver rilevato l’estrema popolarità e, direi, la familiarità che quasi ogni italiano intrattiene con essa. Possiamo affermare che è una delle poche opere d’arte che è penetrata a pieno titolo nel nostro “immaginario collettivo”. Sarebbe interessante analizzare il perché, un opera così importante storicamente, venga tenuta ai margini dai manuali di storia dell’arte ma ho preferito strutturare altrimenti la mia relazione. Ho centrato la mia attenzione sul significato politico dell’opera e sulla sua efficacia nel rappresentarlo. Particolarmente stimolante mi è sembrata la problematica inerente alla sua diffusione nella nostra società dominata delle immagini e al rapporto, quanto mai intenso, con il cinema. La sua forza e il suo fascino hanno resistito anche al declinare dei presupposti ideologici che la sottendevano. Questo l’ha portata ad essere usata in contesti differenti o a divenire il luogo privilegiato della rappresentazione della crisi delle utopie egualitarie. Strutturazione della relazione 1. il ruolo dell’artista nella società secondo Pellizza 2. tre esempi coevi di opere ispirate al medesimo tema 3. analisi delle opere che hanno preceduto e “preparato” il Quarto Stato. 4. novità iconografica dell’opera e rapporto con la concezione politica che l’ispira 5. il successo dell’opera; persistenza nell’’immaginario collettivo nonostante la crisi dell’ideologia che la sottendeva. Rivisitazioni dell’opera. 1
  • 2. Il ruolo dell’artista secondo Giuseppe Pellizza Giuseppe Pellizza da Volpedo è nato a Volpedo in Piemonte il 28 luglio 1868 da una famiglia di contadini agiati . Si suicida il 14 giugno 1907 dopo la morte di suo figlio e di sua moglie. Finiti gli studi d’arte, si ritira al paese natio perché convinto che per ritrarre la natura si deve vivere nella natura e non in città. Vale la stessa cosa per chi vuol ritrarre il lavoratore dei campi: deve faticare, sudare con lui. Pellizza parla infatti dell'identità della vita e dell'arte. Si deve vivere i soggetti dell'arte per essere capaci di ritrarli adeguatamente. Questo non vuol dire cedere a forme di spontaneismo. Come vedremo, Pel lizza è un artista molto consapevole dei propri mezzi espressivi e con grande preparazione tecnica e culturale. Sente il bisogno di creare l'arte per l'umanità, per il popolo, per la vita quotidiana e contadina: Pellizza si può definire come un tipico “artiste engagè”, che provava a superare il lato puramente tecnico dell’arte in favore di una chiara posizione per i diritti dei suoi contadini. Il tema dell’opera nel contesto storico artistico In un epoca di forti contrasti sociali (fine ‘800), il tema dello sciopero è una fonte d’ispirazione abbastanza diffusa; a titolo di esempio riporto tre opere: Sciope ro, Plinio Nomellini, 1884 Una sera di sciopero, E: Laermans, 1893 2
  • 3. Lo sciopero dei minatori, A. P. Roll, 1884 Rispetto ai contemporanei il quadro di Pellizza rifiuta caratterizzazioni di eccitata protesta o di passiva rassegnazione. Lega il tema iconografico dello sciopero con quello della sfilata che caratterizzava le celebrazioni della festa dei lavoratori. Il Quarto Stato e il suo "cantiere" (1891-1901) Il Quarto Stato che fu nella mia mente Fiumana prima, quindi Il cammino dei lavoratori, fu una delle mie primissime concezioni; fu il pensiero continuato di un decennio (1891-1901) e non riescii a concretarlo che dopo aver evoluto la mia arte con molto, moltissimo lavoro e con altrettanto pensiero Minuta di lettera di Pellizza all'amico Matteo Olivero, 28 ottobre 1904 Del lungo percorso che ha portato alla realizzazione del Quarto stato individuo tre opere principali (Ambasciatori della fame, Fiumana, Il cammino dei lavoratori), omettendo, per ragioni di spazio, il gran numero di bozzetti, disegni, prime versioni che lo hanno costellato. A differenza di quanto afferma l’artista nella lettera citata,la prima tappa va individuata in Ambasciatori della fame, la tela qui 3
  • 4. riprodotta, che è del 1892 (51,55 x 73) ed è stata preceduta da un bozzetto l’anno precedente. Dal punto di vista tecnico, l’opera segna l’adozione della tecnica divisionista, che l’autore considera, come molti suoi contemporanei, un mezzo scientifico per fare arte. Nella cultura dell’artista, profondamente intrisa di positivismo coniugato a marxismo, la scienza era fattore di progresso sociale ed umano e un’arte che si poneva quegli stessi obiettivi non poteva non trovare che nella scienza gli strumenti adeguati. In base ad un’analisi formale, in Ambasciatori della fame abbiamo la messa a punto di una struttura costituita da tre figure in primo piano e la massa di gente sullo sfondo (struttura definita dall’artista embrionale) che rimarrà pressoché invariata. L’iconografia è quella degli scioperi e delle proteste popolari (molto diffusa all’epoca) ma se ne scorgono differenze significative soprattutto se si analizza il disegno dell’anno successivo (riportato in fondo a sinistra). Su questo tema possono già valere le considerazioni accennate in precedenza e che verranno riprese successivamente. Qui voglio aggiungere un altro elemento di differenza con molte opere coeve e cioè l’assenza di bandiere e simboli. Se già nel disegno preparatorio (Gruppo di contadini, 1891) le bandiere avevano lasciato il posto agli attrezzi agricoli, visibili sullo sfondo, nel bozzetto (Ambasciatori della fame, 1891) anche questi erano scomparsi e solo alle figure era affidata la precisa rappresentazione di un momento delle lotta di classe. Si vedono solo uomini, donne, bambini, che fanno semplicemente parte del genere umano, senza prendere qualsiasi posizione politica. Insomma, è una visione positiva basata sulla ragione umana. Lo sciopero a Creusot, Jules Adler , 1899. 4
  • 5. Fiumana Qui il messaggio è più accentuato sul significato universale del soggetto sociale, sull'universalità dei diritti umani1. Infatti, anche la scelta letteraria del titolo Fiumana, con implicazione simbolista, è frutto di questa ricerca di universalità: «[...] gli umili, gli oppressi, forti del loro buon diritto, entrano nella storia con l'impeto travolgente di una fiumana»2 .La tela riportata è del 1896 ed è di dimensioni notevoli: 255x438. Le novità strutturali sono già definite nel bozzetto: il terzetto di due uomini e la donna con bimbo guidano la marcia della folla. La quantità di gente è aumentata, corrispondente al titolo è diventata una vera fiumana umana. L'ombra nel primo piano è stata eliminata: le tre figure centrali vengono più in avanti e sono meno viste dall'alto. La figura giovanile è stato sostituita da una figura di donna. La sostituzione di una figura maschile con una donna col bambino non autorizza suggestioni femministoidi. Pellizza si esprime così sul ruolo della donna «Per me la donna più che render parte con vera coscienza è compagna passiva dell'uomo nella sua corsa verso l'equilibrio ed è perciò che le mie donne invece di rivelare un pensiero profondo si interessano o dell'uomo o del bambino o tendono a vedere i fatti isolati senza assurgere allo scopo finale dell'uomo.»3 La figura della donna col bambino va intesa piuttosto come allegoria dell’umanità. 1 Cfr. Scotti, Aurora, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, p. 14 2 Pellizza citato in: Anzani, Giovanni e Carlo Pirovano, La pittura del primo Novecento in Lombardia (1900-1945), in: Carlo Pirovano (a cura di), La pittura italiana. Il Novecento, Milano 1991, p. 74. 3 Scotti 1986, op. cit., p. 15. 5
  • 6. Il cammino dei lavoratori Nel 1898, Pellizza riprende, per la terza volta, a lavorare sul soggetto. (A fianco il bozzetto, olio su tela) Lo spingono motivi artistici: secondo Aurora Scotti, Pellizza non era contento dei «rapporti luminosi fra le parti» e dell’impostazione dei gruppi. Voleva rendere più impetuosa la fiumana, «facendola avanzare a cuneo verso l’osservatore» e dare più «dinamismo» e più «notazioni realistiche»4all’opera. Ma a spingerlo sono soprattutto motivi politici: l'anno in cui riprende le fatiche di lavorare una terza volta sul soggetto, il 1898, è anche l'anno delle violente repressioni del Bava-Beccaris a Milano. L’artista sente crescere in lui l’urgenza di dare un contributo adeguato alla lotta contro le ingiustizie. Il quarto stato 4 Ivi , p. 42) 6
  • 7. la tela, di notevoli dimensioni (293x545), doveva intitolarsi come il bozzetto cioè “il cammino dei lavoratori”. Ma nel 1901 l’artista la intitola “Il quarto stato” ispirato dalla lettura della Storia socialista della rivoluzione francese di Jean Jaurès5. Rispetto a Fiumana, l’aumento delle dimensioni permette che le figure in primo piano siano quasi a grandezza naturale; mancano quei grandi contrasti espressivi del colore, la rappresentazione della massa non è più indistinta, ma più chiara e dai ritmi compositivi improntati a maggiore solidità ed oggettività . Le novità iconografiche, rispetto alle opere coeve di uguale ispirazione, si sono sviluppate nel lungo corso della sua genesi. L’ idea fondamentale dell’artista è stata quella di integrare la rappresentazione di uno sciopero con quella delle sfilate della festa dei lavoratori da poco istituita. L’opera presenta una schiera di braccianti che avanza frontalmente, guidata in primo piano da tre persone in grandezza naturale (date le dimensioni del quadro). Un uomo al centro affiancato, in posizione leggermente arretrata, da un secondo lavoratore più anziano e da una donna con un bimbo in braccio. Non si collocano su un'unica linea ma hanno un'impostazione leggermente a cuneo Anche i personaggi in secondo piano non sono disposti a schiera (come potrebbe sembrare), ma si distribuiscono secondo una linea ondulata. Ciò è evidenziato: dalle loro ombre,da un analogo comporsi del movimento delle mani nonché dal ritmo e dalla direzione delle loro teste. Questa soluzione contribuisce a evitare che il tutto appaia statico e greve, e a suggerire invece un movimento ritmico e continuo, che ben rappresenta ed evidenzia l'idea dell'avanzata. 5 Scotti, Aurora (a cura di), Il quarto Stato, Milano 1976, p. 12. 7
  • 8. Anche le diverse condizioni di luce concorrono ad accentuare questa impressione di moto. Mentre lo sfondo del cielo rappresenta un tramonto, le figure sono viste in una luce quasi meridiana. In tal modo l’episodio passa da una collocazione in uno spazio e un tempo contingenti ad una dimensione simbolica: un avanzare calmo ma inarrestabile delle classi subalterne nella storia. La pennellata è composta di puntini e di lineette, ma la tecnica pittorica varia secondo il soggetto da rappresentare. I vari elementi vengono formati non solo col colore e col disegno, ma anche colla tecnica usata. L’opera non rappresenta una rivoluzione, la gente non corre, ma il loro avanzare è lento e pacato, non avversivo, ma persuadente e nella loro lentezza e fermezza suggeriscono un senso d’ invincibilità. Pellizza sembra essere persuaso, come un grande numero d'artisti del suo tempo, dell'avanzare delle classi subalterne verso un più luminoso avvenire di progresso e di benessere. Un breve accenno ai rimandi alla grande arte italiana, in particolare a Raffaello, dalla quale, un artista colto come il Pellizza, non poteva prescindere. Inoltre, questo suo rimando ad iconografie ormai ben radicate è senza dubbio una delle ragioni del suo successo. «[...] e non è un caso, in tempi di tentazioni preraffaellite, che polemicamente Pellizza intenda rifarsi al grande Raffaello della Stanza della Segnatura. La scena del corteo, che si propone come una sorta di conversazione, dove i personaggi discutono e narrano con i gesti simmetrici delle mani nude, è costruita per gruppi di tre, come quella dei filosofi sulla scalinata della Scuola d'Atene di Raffaello. Da questo stesso affresco Pellizza studia, nelle grandi fotografie Alinari di cui si è provveduto, la copertina centrale di Aristotele e di Platone ed il movimento della figura panneggiata che apre la composizione sul lato sinistro»6. 6 Lamberti, Maria Mimita, Pellizza da Volpedo e il Quarto Stato, in Storia dell'arte italiana, II. parte vol. III cap. 5, p. 91. 8
  • 9. Il successo dell’opera L’opera non ebbe un immediato successo di critica. In questo ambito, dobbiamo attendere gli anni ’50 perché si sviluppi un certo interesse. Diverso è il discorso sul successo popolare. Da subito iniziarono le riproduzioni su stampe e cartoline socialiste. Nel 1920 il Comune di Milano acquistò il dipinto grazie ad una pubblica sottoscrizione organizzata dai consiglieri socialisti. Il fascismo mise “in quarantena “ l’opera anche se ci furono tentativi di leggerla alla luce del populismo fascista. A partire dal secondo dopoguerra , le organizzazioni dei lavoratori e le formazioni di sinistra hanno fatto, e fanno tuttora, largo uso di questa immagine, spesso utilizzandone solo alcune parti o con manipolazioni in senso espressivo. Questo uso massiccio di riproduzioni viene solitamente indicato come una delle ragioni del suo successo; ma resta da definire perché proprio tale opera, e non le molte altre coeve, venne scelta come “icona” delle lotte proletarie. Evidentemente il lungo e accurato studio, la consapevolezza e la padronanza su tutti gli elementi formali, hanno dato i loro frutti. In una parola possiamo definire la ragione del suo successo nel talento dell’artista che l’ha portato ad ottenere ciò che si era prefissato. Anche nel campo dell’arte l’opera verrà ripresa in vario modo. Qui, a titolo di esempio, voglio riportare Internazionale di Otto Griebel del 1928-30, (riprodotta qui a fianco). 9
  • 10. Ma particolarmente interessante è stata la citazione nell’opera in Il quinto stato di Mario Ceroli. Quarto e Quinto Stato, sono state protagoniste di un incedibile “faccia a faccia”7 in una mostra che si è tenuta nella Sala della Regina alla Camera dei Deputati. La mostra si è chiusa il 3 febbraio di quest’anno ed è stata fortemente voluta dall’allora presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Qui sopra vediamo le due versioni di Quinto Stato, opere del 1984. Quella a sinistra è un collage (si tratta dell’opera esposta alla Camera), quella a destra è realizzata con la tecnica più amata dall’artista, cioè la lavorazione in legno. Mario Ceroli, uno dei più grandi Maestri della contemporaneità, ha voluto mostrare al pubblico il “nuovo proletariato”, protagonista di “un altro Novecento, quello della produzione di massa”. “Il Quinto Stato” è quello che stiamo vivendo, dice lo stesso Ceroli, oggi, dopo decenni di lotte per i diritti dei lavoratori, in una democrazia in cui, certo, le condizioni di disagio dei primi del Novecento sono state superate, ma restano grandi questioni irrisolte. Gli uomini di Ceroli, rispetto a quelli di Pellizza, sono “individui dall’identità molteplice, quella derivata da un’insicurezza del vivere e del presentarsi”, scrive Celant. La cultura umana de “Il Quinto Stato” non è definita chiaramente, così come nell’altro dipinto, che pure ne è l’icona. Ceroli “la rappresenta molteplice, così che le identità si fondono, producono un magma indifferenziato. Le sagome possono riguardare il colto e il rozzo, il ricco e il povero, l’uomo e la donna, il produttore e il lavoratore”, una “pluralità di esseri che sono indefinibili, ma coesistono in un unico territorio”, sempre in cammino.8 7 Cfr il sito di “Musei Virtuali Internazionali”,http://h1.ath.cx/muvi/portale/wordpress/ 8 Ibidem 10
  • 11. Tornerò su questi concetti nell’ultima parte della mia relazione, per ora vorrei tornare al Quarto Stato, rifacendomi sempre allo stesso articolo sulla mostra alla Camera. Vittorio Sgarbi è stato uno degli artefici della mostra, nel suo ruolo di assessore alla cultura di Milano e quindi “tutore” dell’opera di Pellizza. Ha voluto, riprendendo una disposizione dello stesso artista, che l’opera fosse poggiata per terra e non sospesa in alcun modo. Tale scelta, oltre a motivazioni “simboliche” che non tratto, accentua il valore “scenografico” dell’opera, provocando un coinvolgimento totale dello spettatore, sia a livello fisico che spirituale. E’ proprio in questa capacità dell’opera, in questa sua forza di “realtà virtuale” che essa ha potuto, a mio parere; entrare in rapporto dialettico con il mondo delle immagini odierno e, in particolare, con quello straordinario mezzo che è il cinema Oltre che a richiami espliciti, tra i più famosi Novecento di Bertolucci, molti registi hanno citato il dipinto in maniera più o meno diretta in alcune sequenze dei loro film( penso, ad es., all’ingresso delle sigaraie in fabbrica in Carmen di Francesco Rosi oppure alla danza collettiva in Allonsanfan dei fratelli Taviani). Dato che il cinema riveste un ruolo particolarmente importante nella formazione delle immagini e dei simboli del nostro “immaginario collettivo”, il quadro del Pellizza è diventata una delle poche opere d’arte conosciute e citate a livello di massa. Il Quarto Stato e il declino delle utopie egualitarie In questi anni nel nostro Paese, come in tutto l’ “Occidente”, si è dovuto fare i conti con la crisi del pensiero socialista o, più semplicemente, con la crisi di qualsiasi aspirazione ad un progresso sociale improntato a quei principi che animavano il Pellizza. Nonostante ciò l’immagine ha conservato la sua forza. In ragione di questa discrepanza tra forza dell’immagine e la crisi dell’ideologia che la sottendeva, Il quarto stato è divenuto il “luogo” privilegiato della rappresentazione di quella stessa crisi. 11
  • 12. Ho qui riportato tre esempi che mi sembrano emblematici. Il primo, con l’operaio che fa il “gestaccio”, è una delle icone di quei settori di classe che vivono sulla propria pelle la precarietà. In genere si tratta di giovani lavoratori poco inclini a visioni ottimistiche sulla ricomposizione sociale e animati da atteggiamenti di rifiuto ed antagonismo radicale. La versione “leghista” risulta particolarmente oltraggiosa ma mostra, con efficacia, la deriva di vasti strati popolari verso ideologie egoistiche e discriminatorie. La locandina del film mi pare particolarmente interessante. Innanzitutto perché si tratta di cinema cioè di quel mezzo che più ha ricevuto e dato al quadro. In secondo luogo, essa si appunta su uno dei capisaldi ideologici dell’opera del Pellizza, ovvero la fiducia nel futuro. Già nel titolo si avverte il richiamo ironico a questa visione della realtà. In una intervista il regista ha detto: « dai, non preoccuparti, hai tutta la vita davanti è un'espressione che spesso i genitori dicono ai figli; in questo caso però c'è un tono 12
  • 13. sarcastico che vuol far riflettere sul fatto che i giovani hanno tanto tempo ma per esempio non avranno mai una pensione»9 Il film si avvale di diversi personaggi piuttosto differenti tra loro: c’è l’intellettuale “proletarizzata”, il giovane arrivista, la sottoproletaria marginale, tutti accomunati dalla mancanza di prospettive. Ma nella locandina, come nel film, trovano spazio rilevante anche altri personaggi: oltre a un sindacalista privo di strumenti per affrontare la nuova realtà del lavoro, ci sono persino i “nemici di classe”, quelli che su quel lavoro si arricchiscono. Più che una citazione del Quarto stato ne sembrerebbe una del Quinto Stato di Ceroli che faceva riferimento a soggetti sociali molto più confusi e indistinti. Fatto sta che la condizione di lavoro precario diviene emblema di una condizione esistenziale senza prospettive che accomuna tutti gli strati sociali nella società odierna. Il ribaltamento dell’ideologia del Quarto Stato appare quindi completa: se nell’opera di Pellizza l’unità dei braccianti simboleggiava l’unità di classe in una prospettiva di progresso che riguardava tutta la società, nel film di Virzì la condizione di precarietà di un soggetto sociale quanto mai disgregato, diviene emblema di una società senza prospettive. 9 http://www.movieplayer.it/articoli/03741/tutta-la-vita-davanti-sul-set-di-virzi/ 13