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Tribunale di Bergamo, nullo il trust autodichiarato
Diamo conto di una recente sentenza del Tribunale di Bergamo che afferma la nullità di un trust
autodichiarato sulla base di un’argomentazione (a tratti già delineata dalle note ordinanze 2015
della Cassazione Tributaria), che continua a rimanere non condivisibile e non rispondente alla
normativa in vigore.
Il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, con la sentenza 2444/2015, pubblicata lo
scorso 4 novembre, ha stabilito la nullità di un trust autodichiarato, senza beneficiari individuati.
La tesi di fondo è coincidente con quella riportata nell’ordinanza della Cassazione (3735/2015), in
base alla quale, nel trust autodichiarato manca il tratto caratteristico dell’istituto, ovvero il
trasferimento a terzi da parte degli istituenti dei beni costituiti in trust, al fine di vincolarne la
destinazione alla soddisfazione dell’interesse programmato.
Trattasi di una tesi che non convince: né con riguardo alla previsione convenzionale, né con
riferimento alla ratio dell’istituto, né, tanto meno, se ci rapportiamo alle regole previste nella
legge regolatrice utilizzata (nei casi in discussione, quella di Jersey).
L’art. 2 della Convenzione de L’Aja (regolarmente ratificata da legge della Repubblica italiana)
recita:
Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona,
il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo
di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.
Il trust è caratterizzato dai seguenti elementi:
a) i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;
b) i beni in trust sono intestati al trustee o ad un’altra persona per conto del trustee;
c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare,
gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla
legge al trustee.
Il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità
di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust.
Da quanto precede, risulta evidente come non possa essere considerato in alcun modo carente di
un qualsivoglia “tratto caratteristico” e, conseguentemente, decretato nullo, il trust autodichiarato
(seppure, per evidenti ragioni di opportunità, personalmente non lo consigliamo).
La ratio dell’istituto consiste semplicemente nello spossessamento da parte del disponente di un
determinato patrimonio. L’esercizio dell’attività gestoria del medesimo patrimonio operata dal
trustee è questione che, in tal caso, nulla ha a che vedere con la reale proprietà degli stessi beni.
Tanto è vero che la citata Convenzione precisa come il patrimonio personale del trustee costituisce
una massa distinta rispetto a quello conferito nel trust.
Con riferimento, infine, alla legge di Jersey, è ammesso che il disponente possa assumere la qualità
di trustee dei beni in trust. Né, tale disposizione, può oggettivamente essere considerata contraria
a specifiche norme inderogabili dell’ordinamento italiano e, di conseguenza, essere affetta da
nullità sulla base dell’art. 15 della Convenzione.
Esposte tali prioritarie premesse, occorre altresì notare come la sentenza in esame appaia ancor
meno condivisibile in svariate altre parti.
Si rileva che l’atto di istituzione del Trust include in sé anche l’atto di trasferimento in proprietà dei
beni degli istituenti e che non possono pertanto scindersi i diversi atti negoziali, l’uno, di
trasferimento dei beni e, l’altro , di costituzione di vincolo di destinazione degli stessi.
Ne consegue che correttamente l’attrice ha domandato che venisse dichiarato inefficace l’atto
stipulato in data 28.1.2013 ‘ con il quale i disponenti ..hanno trasferito i seguenti beni immobili..’.
Correttamente infatti la domanda deve essere interpretata nel senso che l’inefficacia dell’atto di
costituzione del trust è diretta ad ottenere l’aggredibilità, da parte dei creditore istante, dei beni in
esso conferiti.
Tralasciamo il discorso relativo al fatto che il giudice vada sua sponte a interpretare la domanda
attrice…
Dobbiamo, dunque, presumere che, a parere di tale organo giudicante, non è possibile predisporre
un atto in cui siano delineati due differenti rapporti giuridici?
Seguendo tale ragionamento, se un rogito notarile dispone, nel medesimo atto, a esempio, una
donazione e una divisione, e una parte viene lesa nei suoi diritti dalla divisione, il giudice sarebbe
costretto a pronunciare anche l’annullamento della donazione, perché l’atto, formalmente, è
unico.
Questa tesi appare giuridicamente inaccettabile.
Analogamente, nell’ipotesi in parola (come, invero, nella stragrande maggioranza dei casi), l’atto è
unico, ma riporta in sé due differenti negozi: uno, attinente all’istituzione del rapporto giuridico
trust; l’altro, atto unilaterale concernente la dotazione del patrimonio. Tanto è vero che ben
potrebbero stipularsi due atti separati, con inevitabili implicazioni – come noto – anche
relativamente all’eventuale Imposta di Registro da versare.
Ciò che, poi, lascia davvero perplessi è che il giudice in questione non avrebbe avuto nemmeno
“bisogno” di annullare l’atto istitutivo del trust, in quanto sarebbe stato sufficiente, limitarsi
semplicemente a revocare l’atto di dotazione dei beni, non essendoci problemi di prescrizione con
riferimento alla potenziale concessione – appunto – dell’azione revocatoria.
Lo stesso Tribunale monocratico sembra, tra l’altro, quasi timoroso in merito al proprio operato,
laddove cerca di parare le più che prevedibili future obiezioni, scrivendo:
Attesa l’accertata nullità, può pervenirsi all’accoglimento della declaratoria di inefficacia dell’atto
stipulato in data 28.1.2013, declaratoria che non viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed
il pronunciato in quanto consente di assicurare gli effetti cui è tesa la domanda introdotta
(Cass.14828/2012). La riscontrata nullità infatti consente di affermare che l’atto in sé non è
opponibile all’attrice.
Quale atto? Quello di istituzione del trust o quello di conferimento del patrimonio?
Superfluo rimarcare come anche tale affermazione non possa trovare validi consensi, se si è consci
della ratio del principio procedurale “tra il chiesto e il pronunciato”, qui palesemente non
rispettato nella sua effettiva sostanza.
Ancora:
I beneficiari del trust non sono stati neppure individuati ad oltre un anno dalla stipula dell’atto e
restano quindi coincidenti con i disponenti.
Non ci risulta che la legge regolatrice (o altra norma) preveda di individuare i beneficiari entro un
anno dall’istituzione del trust. E quanto alla coincidenza tra disponenti e beneficiari, semmai
bisognerebbe innanzitutto andare a verificare quale sia la durata del trust prevista nell’atto.
La pronuncia fa, poi, l’immancabile riferimento all’assenza del requisito di meritevolezza del trust.
Sembra, pure a tal riguardo, superfluo ricordare che nessuna disposizione, in realtà, imponga
l’esistenza di detto requisito, il quale discende esclusivamente da una costruzione giuridica
artatamente effettuata dalla Giurisprudenza per via analogica tra il trust e il vincolo di
destinazione:
Detta fattispecie può ricondursi esclusivamente al novero degli atti di destinazione del patrimonio
di cui all’art. 2645 ter c.c. soggetti al vaglio di meritevolezza prescritto dalla predetta norma.
Ciò premesso, il giudice in proposito si limita a dire che:
La finalità indicata nell’atto presenta connotati di estrema genericità ( ‘soddisfacimento delle varie
esigenze di vita dei beneficiari.. assicurando loro il mantenimento dell’attuale tenore e qualità di
vita, cura, assistenza personale e medica’) tali da impedire un concreto vaglio di meritevolezza
dell’interesse che ha giustificato l’atto.
Possiamo concordare sul fatto che, con un minimo di buona volontà, si poteva meglio delineare
l’interesse meritevole di tutela. Peraltro, salvo alcuni casi particolari (esempio: la protezione dei
soggetti deboli) o il trust di scopo, è inevitabile che si tratti di previsioni di carattere generico.
Ulteriore tipicità comune a questa, come a tantissime altre pronunce, è quella di affermare
inizialmente una motivazione tecnica in base alla quale il trust debba essere annullato; per poi
enunciare nel proseguo una serie di altre circostanze che dovrebbero corroborare la correttezza
della decisione. Francamente, non capiamo questo modus operandi: se esiste un profilo di nullità
dell’atto, ci si dovrebbe limitare a questo; che senso ha aggiungere altre valutazioni soggettive, se
non quello di tentare di rafforzare una tesi prioritaria della quale non si è affatto sicuri?
Nel caso di specie, il Tribunale si allinea all’ordinanza della Cassazione (nulla di più semplice) e
dichiara la nullità del trust autodichiarato, in quanto non ci sarebbe il trasferimento a terzi del
patrimonio: non siamo d’accordo, ma rispettiamo la sua opinione.
Poi, però, va a inanellare una serie di ulteriori motivazioni che, francamente, diventano
difficilmente comprensibili: dall’elucubrazione sull’atto unitario che obbliga a un totale suo
annullamento, alla circostanza che i beneficiari non sono stati ancora individuati a distanza di un
anno dall’istituzione del trust, alla genericità che non soddisferebbe il requisito della
meritevolezza.
Il risultato complessivo che si ottiene è quello di una sentenza per niente convincente.
A parere di chi scrive, il trust in esame è stato chiaramente istituito per ledere i creditori (è
indiscussa la semplice conoscenza del pregiudizio da parte del debitore). Ergo, nulla di più
immediato: violazione dell’art. 15 della Convenzione e revocatoria sui beni disposti in trust. Il resto
è superfluo e, soprattutto, inconferente.
Insomma, pure in questa vicenda (come nella quasi totalità dei casi oggetto di attenzione da parte
della Giurisprudenza), è lampante che ci troviamo di fronte a un atto tutt’altro che ben
predisposto. Ciò non toglie che la sentenza appaia quanto mai criticabile e per nulla condivisibile.

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Tribunale di bergamo nullo il trust autodichiarato

  • 1. Tribunale di Bergamo, nullo il trust autodichiarato Diamo conto di una recente sentenza del Tribunale di Bergamo che afferma la nullità di un trust autodichiarato sulla base di un’argomentazione (a tratti già delineata dalle note ordinanze 2015 della Cassazione Tributaria), che continua a rimanere non condivisibile e non rispondente alla normativa in vigore. Il Tribunale di Bergamo, in composizione monocratica, con la sentenza 2444/2015, pubblicata lo scorso 4 novembre, ha stabilito la nullità di un trust autodichiarato, senza beneficiari individuati. La tesi di fondo è coincidente con quella riportata nell’ordinanza della Cassazione (3735/2015), in base alla quale, nel trust autodichiarato manca il tratto caratteristico dell’istituto, ovvero il trasferimento a terzi da parte degli istituenti dei beni costituiti in trust, al fine di vincolarne la destinazione alla soddisfazione dell’interesse programmato. Trattasi di una tesi che non convince: né con riguardo alla previsione convenzionale, né con riferimento alla ratio dell’istituto, né, tanto meno, se ci rapportiamo alle regole previste nella legge regolatrice utilizzata (nei casi in discussione, quella di Jersey). L’art. 2 della Convenzione de L’Aja (regolarmente ratificata da legge della Repubblica italiana) recita: Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato. Il trust è caratterizzato dai seguenti elementi: a) i beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee; b) i beni in trust sono intestati al trustee o ad un’altra persona per conto del trustee; c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee. Il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust. Da quanto precede, risulta evidente come non possa essere considerato in alcun modo carente di un qualsivoglia “tratto caratteristico” e, conseguentemente, decretato nullo, il trust autodichiarato (seppure, per evidenti ragioni di opportunità, personalmente non lo consigliamo). La ratio dell’istituto consiste semplicemente nello spossessamento da parte del disponente di un determinato patrimonio. L’esercizio dell’attività gestoria del medesimo patrimonio operata dal trustee è questione che, in tal caso, nulla ha a che vedere con la reale proprietà degli stessi beni. Tanto è vero che la citata Convenzione precisa come il patrimonio personale del trustee costituisce una massa distinta rispetto a quello conferito nel trust.
  • 2. Con riferimento, infine, alla legge di Jersey, è ammesso che il disponente possa assumere la qualità di trustee dei beni in trust. Né, tale disposizione, può oggettivamente essere considerata contraria a specifiche norme inderogabili dell’ordinamento italiano e, di conseguenza, essere affetta da nullità sulla base dell’art. 15 della Convenzione. Esposte tali prioritarie premesse, occorre altresì notare come la sentenza in esame appaia ancor meno condivisibile in svariate altre parti. Si rileva che l’atto di istituzione del Trust include in sé anche l’atto di trasferimento in proprietà dei beni degli istituenti e che non possono pertanto scindersi i diversi atti negoziali, l’uno, di trasferimento dei beni e, l’altro , di costituzione di vincolo di destinazione degli stessi. Ne consegue che correttamente l’attrice ha domandato che venisse dichiarato inefficace l’atto stipulato in data 28.1.2013 ‘ con il quale i disponenti ..hanno trasferito i seguenti beni immobili..’. Correttamente infatti la domanda deve essere interpretata nel senso che l’inefficacia dell’atto di costituzione del trust è diretta ad ottenere l’aggredibilità, da parte dei creditore istante, dei beni in esso conferiti. Tralasciamo il discorso relativo al fatto che il giudice vada sua sponte a interpretare la domanda attrice… Dobbiamo, dunque, presumere che, a parere di tale organo giudicante, non è possibile predisporre un atto in cui siano delineati due differenti rapporti giuridici? Seguendo tale ragionamento, se un rogito notarile dispone, nel medesimo atto, a esempio, una donazione e una divisione, e una parte viene lesa nei suoi diritti dalla divisione, il giudice sarebbe costretto a pronunciare anche l’annullamento della donazione, perché l’atto, formalmente, è unico. Questa tesi appare giuridicamente inaccettabile. Analogamente, nell’ipotesi in parola (come, invero, nella stragrande maggioranza dei casi), l’atto è unico, ma riporta in sé due differenti negozi: uno, attinente all’istituzione del rapporto giuridico trust; l’altro, atto unilaterale concernente la dotazione del patrimonio. Tanto è vero che ben potrebbero stipularsi due atti separati, con inevitabili implicazioni – come noto – anche relativamente all’eventuale Imposta di Registro da versare. Ciò che, poi, lascia davvero perplessi è che il giudice in questione non avrebbe avuto nemmeno “bisogno” di annullare l’atto istitutivo del trust, in quanto sarebbe stato sufficiente, limitarsi semplicemente a revocare l’atto di dotazione dei beni, non essendoci problemi di prescrizione con riferimento alla potenziale concessione – appunto – dell’azione revocatoria. Lo stesso Tribunale monocratico sembra, tra l’altro, quasi timoroso in merito al proprio operato, laddove cerca di parare le più che prevedibili future obiezioni, scrivendo: Attesa l’accertata nullità, può pervenirsi all’accoglimento della declaratoria di inefficacia dell’atto stipulato in data 28.1.2013, declaratoria che non viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed
  • 3. il pronunciato in quanto consente di assicurare gli effetti cui è tesa la domanda introdotta (Cass.14828/2012). La riscontrata nullità infatti consente di affermare che l’atto in sé non è opponibile all’attrice. Quale atto? Quello di istituzione del trust o quello di conferimento del patrimonio? Superfluo rimarcare come anche tale affermazione non possa trovare validi consensi, se si è consci della ratio del principio procedurale “tra il chiesto e il pronunciato”, qui palesemente non rispettato nella sua effettiva sostanza. Ancora: I beneficiari del trust non sono stati neppure individuati ad oltre un anno dalla stipula dell’atto e restano quindi coincidenti con i disponenti. Non ci risulta che la legge regolatrice (o altra norma) preveda di individuare i beneficiari entro un anno dall’istituzione del trust. E quanto alla coincidenza tra disponenti e beneficiari, semmai bisognerebbe innanzitutto andare a verificare quale sia la durata del trust prevista nell’atto. La pronuncia fa, poi, l’immancabile riferimento all’assenza del requisito di meritevolezza del trust. Sembra, pure a tal riguardo, superfluo ricordare che nessuna disposizione, in realtà, imponga l’esistenza di detto requisito, il quale discende esclusivamente da una costruzione giuridica artatamente effettuata dalla Giurisprudenza per via analogica tra il trust e il vincolo di destinazione: Detta fattispecie può ricondursi esclusivamente al novero degli atti di destinazione del patrimonio di cui all’art. 2645 ter c.c. soggetti al vaglio di meritevolezza prescritto dalla predetta norma. Ciò premesso, il giudice in proposito si limita a dire che: La finalità indicata nell’atto presenta connotati di estrema genericità ( ‘soddisfacimento delle varie esigenze di vita dei beneficiari.. assicurando loro il mantenimento dell’attuale tenore e qualità di vita, cura, assistenza personale e medica’) tali da impedire un concreto vaglio di meritevolezza dell’interesse che ha giustificato l’atto. Possiamo concordare sul fatto che, con un minimo di buona volontà, si poteva meglio delineare l’interesse meritevole di tutela. Peraltro, salvo alcuni casi particolari (esempio: la protezione dei soggetti deboli) o il trust di scopo, è inevitabile che si tratti di previsioni di carattere generico. Ulteriore tipicità comune a questa, come a tantissime altre pronunce, è quella di affermare inizialmente una motivazione tecnica in base alla quale il trust debba essere annullato; per poi enunciare nel proseguo una serie di altre circostanze che dovrebbero corroborare la correttezza della decisione. Francamente, non capiamo questo modus operandi: se esiste un profilo di nullità dell’atto, ci si dovrebbe limitare a questo; che senso ha aggiungere altre valutazioni soggettive, se non quello di tentare di rafforzare una tesi prioritaria della quale non si è affatto sicuri?
  • 4. Nel caso di specie, il Tribunale si allinea all’ordinanza della Cassazione (nulla di più semplice) e dichiara la nullità del trust autodichiarato, in quanto non ci sarebbe il trasferimento a terzi del patrimonio: non siamo d’accordo, ma rispettiamo la sua opinione. Poi, però, va a inanellare una serie di ulteriori motivazioni che, francamente, diventano difficilmente comprensibili: dall’elucubrazione sull’atto unitario che obbliga a un totale suo annullamento, alla circostanza che i beneficiari non sono stati ancora individuati a distanza di un anno dall’istituzione del trust, alla genericità che non soddisferebbe il requisito della meritevolezza. Il risultato complessivo che si ottiene è quello di una sentenza per niente convincente. A parere di chi scrive, il trust in esame è stato chiaramente istituito per ledere i creditori (è indiscussa la semplice conoscenza del pregiudizio da parte del debitore). Ergo, nulla di più immediato: violazione dell’art. 15 della Convenzione e revocatoria sui beni disposti in trust. Il resto è superfluo e, soprattutto, inconferente. Insomma, pure in questa vicenda (come nella quasi totalità dei casi oggetto di attenzione da parte della Giurisprudenza), è lampante che ci troviamo di fronte a un atto tutt’altro che ben predisposto. Ciò non toglie che la sentenza appaia quanto mai criticabile e per nulla condivisibile.