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Decisione n. 1 del 5 giugno 2017
ARBITRO PER LE CONTROVERSIE FINANZIARIE
Il Collegio
composto dai signori
Dott. G. E. Barbuzzi – Presidente
Prof.ssa M. Rispoli Farina – Membro
Dott.ssa D. Morgante – Membro
Prof. Avv. G. Guizzi – Membro
Avv. G. Afferni – Membro
Relatore: Prof. Avv. G. Guizzi
nella seduta del 5 maggio 2017, in relazione al ricorso n. 8, dopo aver esaminato
la documentazione in atti, ha pronunciato la seguente decisione.
FATTO
1. La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne la
configurabilità di un inadempimento dell’intermediario agli obblighi inerenti
l’esecuzione di servizi di investimento, in particolare sub specie di non corretta
trattazione di un ordine di vendita.
Questi, in sintesi, i fatti oggetto del procedimento.
2. Con reclamo presentato il 9 novembre 2015 e poi reiterato il 17 dicembre 2015
l’odierno ricorrente, in relazione ad un rapporto in essere per la prestazione di
servizi di investimento con l’intermediario odierno resistente, si è rivolto a
quest’ultimo lamentando la non corretta trattazione di un ordine di vendita di
strumenti finanziari detenuti nel proprio portafoglio titoli, disposto nel luglio
2
2014, e segnatamente della non corretta trattazione di un ordine di vendita
riguardante n. 1.182 azioni emesse dallo stesso intermediario.
Come più ampiamente rappresentato dinanzi all’ACF, in particolare
l’investitore si doleva del fatto che, come risultava da notizie di stampa e come
ammesso anche dai vertici aziendali nell’assemblea del 2016, l’intermediario
avrebbe gestito gli ordini di vendita impartiti dagli azionisti in maniera irregolare,
non rispettando un criterio di priorità cronologica, operando così trattamenti
discriminatori a danno di clienti, giacché l’intermediario mentre avrebbe
consentito ad alcuni di essi, e specialmente a quelli che erano detentori di
pacchetti cospicui (i c.d. grandi azionisti), di liquidare l’investimento
riacquistando le azioni, avrebbe negato tale possibilità ad altri.
Sulla base delle considerazioni sopra sintetizzate, il ricorrente chiedeva
pertanto di essere ristorato del danno derivatogli, che quantificava in € 73.756,80,
pari alla differenza tra il corrispettivo di € 62.50 per azione che avrebbe potuto
realizzare se l’intermediario, trattando correttamente gli ordini e senza operare
“scavalcamenti”, avesse proceduto, a tempo debito, al riacquisto dei titoli così
come si era impegnato a fare all’atto dell’emissione, e il valore unitario attuale (€
0,10 per azione).
3. Insoddisfatto dell’esito del reclamo, che l’intermediario ha riscontrato in data
1° marzo 2016, l’investitore si è rivolto con ricorso all’ACF, chiedendo al
Collegio il risarcimento del danno, identificato nei termini sopra indicati.
4. L’intermediario ha presentato controdeduzioni con cui resiste al ricorso
chiedendone il rigetto.
In limine, e richiamando a sostegno alcuni orientamenti espressi in
fattispecie analoghe dall’Ombundsman-Giuri Bancario, il resistente eccepisce
l’incompetenza dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie, affermando che con
la propria domanda il ricorrente lamenterebbe il danno derivante dal mancato
riacquisto delle azioni, e la violazione del principio di parità di trattamento tra
azionisti, e dunque per tal via l’inadempimento a un obbligo che, se anche fosse
configurabile, sarebbe da «inquadrare nell’ambito dei rapporti societari»
intercorrenti con l’intermediario appunto in veste di emittente delle azioni, e non
3
atterrebbe agli obblighi riguardanti la prestazione di servizi di investimento. La
dimostrazione di ciò sarebbe, ad avviso del resistente, nel fatto che «l’ordine di
vendita disatteso (..) è un invito al riacquisto delle azioni inoltrato alla Banca e
indirizzato direttamente al Consiglio di Amministrazione dell’Istituto», risultando
in tal modo evidente che il ricorrente avrebbe agito in qualità di socio e non in
qualità di cliente dell’intermediario.
Quanto al merito della domanda, il resistente ne sostiene l’infondatezza
sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Per un verso l’intermediario
afferma che in nessun caso sarebbe configurabile a suo carico un obbligo di
riacquistare proprie azioni – quanto avvenuto in passato costituendo una mera
facilitazione riconosciuta ai propri azionisti senza però che si possa configurare
alcun diritto in tal senso in capo a costoro - e che, in ogni caso, al tempo in cui il
ricorrente ha presentato domanda, era ormai intervenuta l’approvazione del
Regolamento UE n. 575/2013, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, che non
consentiva più all’intermediario il riacquisto delle azioni di propria emissione,
sicché ove vi avesse provveduto sarebbe incorso in una violazione della normativa
di settore. Per altro verso il resistente sostiene che del tutto inconferenti sarebbero
le censure riguardanti l’inadeguatezza delle procedure interne finalizzate a trattare
le richieste di vendita, giacché «dalle procedure in parola - quand’anche le stesse
non fossero state perfettamente conformi alla normativa - non sarebbe in ogni
caso derivato alcun danno al [ricorrente] il quale non avrebbe comunque avuto
diritto a veder soddisfatta la propria domanda di cessione.»
5. Il ricorrente si è avvalso della facoltà di replica prevista dall’art. 11, comma
quinto, del Regolamento n. 19602 del 4 maggio 2016, disciplinante il
procedimento avanti l’ACF, depositando memoria in cui insiste nel sottolineare la
violazione da parte dell’intermediario degli obblighi di diligenza e correttezza
nella esecuzione dei servizi di investimento. In particolare il ricorrente si sofferma
sul fatto che l’intermediario «ha proceduto ad acquistare azioni dai propri soci
fino al 10.02.2015, quindi oltre 7 mesi dalla presentazione dell’ordine di vendita
del 03.07.2014, seguendo “sostanzialmente” […] un ordine cronologico e quindi
ammettendo che tale criterio non era sempre rispettato»
4
6. Il resistente ha, a sua volta, controdedotto insistendo sull’irrilevanza della
vicenda riguardante il c.d. “scavalcamento”, dal momento che il ricorrente non
aveva comunque alcun diritto al riacquisto delle azioni, che oltretutto alla luce del
nuovo quadro regolamentare avrebbe richiesto un’autorizzazione della Banca
d’Italia.
DIRITTO
1. Occorre esaminare, innanzitutto, l’eccezione di incompetenza dell’ACF
sollevata dal resistente, secondo il quale, come detto, le doglianze del ricorrente
non verterebbero sulle modalità di esecuzione di un servizio di investimento, ma
si appunterebbero su di un mancato assolvimento di un obbligo di riacquisto delle
azioni, così involgendo un tema di indagine che attiene al piano della
configurabilità di eventuali obblighi gravanti sull’intermediario non come tale,
bensì come emittente delle azioni.
Ad avviso del Collegio l’eccezione, pur suggestiva, non è fondata. Gli è,
infatti, che se si procede a un’analisi complessiva dei rilievi avanzati dal
ricorrente emerge con sufficiente chiarezza come la principale censura mossa
all’operato del resistente consista prima ancora che nel supposto inadempimento
all’obbligo di riacquisto – che, ove esistente, effettivamente graverebbe su di esso
come emittente delle azioni, con conseguente impossibilità per l’Arbitro per le
Controversie Finanziarie di conoscere della relativa domanda – nel suo
inadempimento dell’obbligo di trattare con correttezza l’ordine di procedere alla
vendita delle azioni. Sotto questo specifico e preliminare profilo non è, pertanto,
revocabile in dubbio che la domanda formulata dal ricorrente investa un tema che
è di sicura competenza dell’ACF, in quanto attiene alla verifica della correttezza e
della diligenza posta in essere dall’intermediario nella prestazione di un servizio
di investimento, quale è certamente quello della «esecuzione di ordini per conto
dei clienti» (art. 1, comma quinto, lett. b, TUF), restando solo da stabilire se, ed in
che misura, dall’accertamento dell’eventuale inadempimento agli obblighi in
parola possa essere derivato un danno al ricorrente. Un’analisi, questa, rispetto
alla quale si renderà poi sì necessario interrogarsi anche circa la configurabilità di
un astratto obbligo dell’intermediario di riacquistare le azioni, ma non certo in una
5
prospettiva di condanna di quest’ultimo, nella qualità di emittente, a risarcire il
danno per mancato adempimento dell’obbligo siffatto, quanto più semplicemente
nell’ambito di una verifica circa il grado di probabilità con cui l’interesse del
ricorrente a poter liquidare le azioni avrebbe potuto essere soddisfatto se
l’intermediario, in tale sua specifica qualità, avesse correttamente eseguito il
servizio di investimento richiesto dal cliente, ossia appunto avesse dato
esecuzione all’ordine di vendita.
2. Procedendo al suo scrutinio nel merito, la domanda del ricorrente appare
meritevole di accoglimento.
Come detto, la doglianza principale del ricorrente si appunta verso il
ritardo nell’esecuzione dell’ordine di vendita, e più specificamente verso il fatto
che l’intermediario non avrebbe adottato procedure idonee ad assicurare una
corretta esecuzione di tali ordini, poi secondo un criterio rigorosamente
cronologico a misura della loro ricezione.
Ebbene, con riferimento a questo profilo non vi è dubbio che le carenze
organizzative dell’intermediario denunciate dal ricorrente - ove accertate - siano
tali da configurare un inadempimento agli obblighi contrattuali che
l’intermediario aveva nei confronti della clientela, e dunque anche del ricorrente,
nella prestazione del servizio, attesa la chiarissima previsione dettata dall’art. 21,
primo comma, lett. d), TUF, ai sensi della quale l’intermediario è obbligato a
dotarsi di «procedure (…) idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi
e delle attività».
Al riguardo non sembra, infatti, meritevole di condivisione il rilievo
opposto dal resistente, secondo il quale l’eventuale carenza di procedure idonee
ad assicurare la corretta esecuzione degli ordini di vendita ricevuti secondo una
giusta sequenza cronologica, ancorché costituisca una violazione di una norma di
legge, non potrebbe comunque assumere rilievo nei confronti della clientela,
costituendo piuttosto un deficit di organizzazione dell’impresa denunciabile
soltanto dall’Autorità di Vigilanza a fini eventualmente sanzionatori
dell’intermediario (o dei suoi esponenti aziendali).
6
Gli è, infatti, che nell’ambito della prestazione dei servizi e delle attività di
investimento non appare possibile operare una separazione rigida tra regole che
attengono al piano della corretta organizzazione dell’attività e regole che
attengono alla corretta esecuzione del contratto, vero invece essendo che anche in
questo campo – come del resto oramai in altri – lo stretto collegamento, di
«inerenza teleologica e strutturale tra atto e attività» (come si è detto con
felicissima formula), comporta indiscutibilmente il rifluire sul primo di regole pur
nate obiettivamente per disciplinare la seconda. Insomma, quel che si vuol dire è
che con riferimento alla prestazione dei servizi di investimento l’art. 21, comma
primo, lett. d), TUF sopra ricordato si atteggia indiscutibilmente, e fuori di ogni
dubbio, quale disposizione che attribuisce rilievo diretto «nella regolamentazione
dell’atto», e dunque anche ai fini della esecuzione della relativa prestazione da
esso nascente, «ai criteri di gestione (e organizzazione) dell’impresa», così allora
riconoscendo anche alla controparte contrattuale il diritto a pretendere che la
prestazione sia erogata nel contesto di un’attività correttamente organizzata.
3. Se ci si muove entro questa cornice, quel che risulta decisivo ai fini della
soluzione della controversia è la verifica sul se possa dirsi dimostrato, nel caso di
specie, il deficit di organizzazione dell’intermediario denunciato dal ricorrente.
Ebbene, ad avviso del Collegio nel caso in esame la risposta appare
affermativa, dal momento che (i) non solo l’intermediario non ha assolto l’onere
di provare di aver adottato assetti organizzativi adeguati a permettere una
esecuzione diligente e corretta del servizio di investimento – onere della prova
che, nei giudizi risarcitori promossi dal cliente sulla base di tali allegazioni, grava
normativamente sull’intermediario ai sensi dell’art. 23, comma sesto, TUF, e
dell’art. 15, comma 2, del già sopra richiamato regolamento disciplinante l’ACF
(ma la regola può considerarsi espressione del più generale principio che governa
l’onere della prova sulla base del criterio della maggiore o minore “vicinanza”
alla stessa) – non adducendo, altresì, qualsivoglia elemento idoneo a ricostruire
l’ordine cronologico delle operazioni, avendo riguardo al caso dell’odierno
ricorrente, ma anche a ben vedere (ii) che le carenze in questione risultano
provate, almeno indiziariamente, alla luce delle dichiarazioni dei vertici aziendali
7
in occasione dell’assemblea dell’intermediario del 2016, nonché di procedimenti
ispettivi della CONSOB nei confronti dell’intermediario medesimo, nell’esercizio
delle proprie potestà di vigilanza, della cui esistenza lo stesso ricorrente dà conto,
e che non sono neppure sostanzialmente smentite dal resistente, che anzi in
qualche modo avvalora l’esistenza di quelle carenze, seppure obiettando che esse
non rileverebbero sul piano della corretta esecuzione del contratto.
4. Una volta accertato l’inadempimento dell’intermediario agli obblighi di corretta
esecuzione del servizio di investimento – nel caso, l’inadempimento all’obbligo di
gestire e trattare correttamente l’ordine di vendita – resta da verificare in che
misura questo inadempimento possa dirsi aver creato un danno al ricorrente.
Sotto questo profilo ritiene il Collegio che la mancata adozione di un
sistema di procedure tale da assicurare una tempestiva e corretta esecuzione
dell’ordine di vendita ha sicuramente pregiudicato il cliente in quanto se è pur
vero, come afferma il resistente, che egli non aveva alcun obbligo, come emittente
e dunque sul piano societario, di riacquistare le azioni emesse, e che anzi non era
più neppure normativamente autorizzato a farlo, è tuttavia indiscutibile che la
circostanza che l’ordine di vendita non sia stato comunque neppure processato e/o
auspicabilmente eseguito ha privato il cliente anche della possibilità, pur ridotta
considerata la tendenziale illiquidità del titolo, di vendere a terzi le azioni che
deteneva in portafoglio. Ne discende, pertanto, che nel caso di specie il Collegio
ritiene di poter pervenire a una liquidazione equitativa del danno, da individuarsi
in una perdita della chance per il ricorrente di poter eventualmente liquidare
l’investimento, che è derivata dalla circostanza che l’intermediario non risulta
aver posto in essere, non avendo fornito evidenze probatorie in tal senso,
iniziative funzionali ad una corretta e tempestiva trattazione dell’ordine di
vendita; una chance che si ritiene vada correlata al periodo in cui è stato inoltrato
il predetto ordine di vendita (luglio 2014) e che sia inversamente proporzionale al
quantitativo delle azioni possedute e messe in vendita, dovendo considerarsi tanto
più elevata quanto più ridotto era il quantitativo delle azioni che il cliente
intendeva liquidare.
8
Nel caso di specie, dunque, atteso che il quantitativo delle azioni di cui il
ricorrente aveva richiesto la vendita era pari a n. 1.182 azioni, per un controvalore
di € 73.875,00, sembra al Collegio che il danno possa essere quantificato in una
misura pari al 60% di tale importo, dovendosi assumere che detta percentuale,
rispetto a un quantitativo di azioni pari a oltre dieci volte il lotto minimo (100
azioni) offerto a quel tempo dall’intermediario, misuri il grado di probabilità,
appunto la chance, per il ricorrente di poter cedere le azioni detenute, al prezzo
unitario di € 62.50, vale a dire al prezzo a cui, alla data di riferimento, ciascuna
azione veniva negoziata.
P.Q.M.
Il Collegio, in accoglimento del ricorso, dichiara l’intermediario tenuto a
corrispondere al ricorrente, a titolo di risarcimento danni, la somma di €
44.206,80, calcolata prendendo a base il 60% del controvalore dell’investimento,
al netto dell’attuale valore unitario delle azioni di cui trattasi (€ 0,10) per il
numero di azioni (1.182) detenute dal ricorrente, e fissa il termine per
l’esecuzione in trenta giorni dalla ricezione della decisione.
Entro lo stesso termine l’intermediario comunica all’ACF gli atti realizzati
al fine di conformarsi alla decisione, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del
regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 19602 del 4 maggio 2016.
L’intermediario è tenuto a versare alla Consob la somma di € 400,00, ai
sensi dell’art. 18, comma 3, del citato regolamento adottato con delibera n. 19602
del 4 maggio 2016, secondo le modalità indicate nel sito istituzionale
www.acf.consob.it, sezione “Intermediari”.
Il Presidente
Firmato digitalmente da:
Gianpaolo Eduardo Barbuzzi

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Decisione ACF n. 1/2017

  • 1. Decisione n. 1 del 5 giugno 2017 ARBITRO PER LE CONTROVERSIE FINANZIARIE Il Collegio composto dai signori Dott. G. E. Barbuzzi – Presidente Prof.ssa M. Rispoli Farina – Membro Dott.ssa D. Morgante – Membro Prof. Avv. G. Guizzi – Membro Avv. G. Afferni – Membro Relatore: Prof. Avv. G. Guizzi nella seduta del 5 maggio 2017, in relazione al ricorso n. 8, dopo aver esaminato la documentazione in atti, ha pronunciato la seguente decisione. FATTO 1. La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne la configurabilità di un inadempimento dell’intermediario agli obblighi inerenti l’esecuzione di servizi di investimento, in particolare sub specie di non corretta trattazione di un ordine di vendita. Questi, in sintesi, i fatti oggetto del procedimento. 2. Con reclamo presentato il 9 novembre 2015 e poi reiterato il 17 dicembre 2015 l’odierno ricorrente, in relazione ad un rapporto in essere per la prestazione di servizi di investimento con l’intermediario odierno resistente, si è rivolto a quest’ultimo lamentando la non corretta trattazione di un ordine di vendita di strumenti finanziari detenuti nel proprio portafoglio titoli, disposto nel luglio
  • 2. 2 2014, e segnatamente della non corretta trattazione di un ordine di vendita riguardante n. 1.182 azioni emesse dallo stesso intermediario. Come più ampiamente rappresentato dinanzi all’ACF, in particolare l’investitore si doleva del fatto che, come risultava da notizie di stampa e come ammesso anche dai vertici aziendali nell’assemblea del 2016, l’intermediario avrebbe gestito gli ordini di vendita impartiti dagli azionisti in maniera irregolare, non rispettando un criterio di priorità cronologica, operando così trattamenti discriminatori a danno di clienti, giacché l’intermediario mentre avrebbe consentito ad alcuni di essi, e specialmente a quelli che erano detentori di pacchetti cospicui (i c.d. grandi azionisti), di liquidare l’investimento riacquistando le azioni, avrebbe negato tale possibilità ad altri. Sulla base delle considerazioni sopra sintetizzate, il ricorrente chiedeva pertanto di essere ristorato del danno derivatogli, che quantificava in € 73.756,80, pari alla differenza tra il corrispettivo di € 62.50 per azione che avrebbe potuto realizzare se l’intermediario, trattando correttamente gli ordini e senza operare “scavalcamenti”, avesse proceduto, a tempo debito, al riacquisto dei titoli così come si era impegnato a fare all’atto dell’emissione, e il valore unitario attuale (€ 0,10 per azione). 3. Insoddisfatto dell’esito del reclamo, che l’intermediario ha riscontrato in data 1° marzo 2016, l’investitore si è rivolto con ricorso all’ACF, chiedendo al Collegio il risarcimento del danno, identificato nei termini sopra indicati. 4. L’intermediario ha presentato controdeduzioni con cui resiste al ricorso chiedendone il rigetto. In limine, e richiamando a sostegno alcuni orientamenti espressi in fattispecie analoghe dall’Ombundsman-Giuri Bancario, il resistente eccepisce l’incompetenza dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie, affermando che con la propria domanda il ricorrente lamenterebbe il danno derivante dal mancato riacquisto delle azioni, e la violazione del principio di parità di trattamento tra azionisti, e dunque per tal via l’inadempimento a un obbligo che, se anche fosse configurabile, sarebbe da «inquadrare nell’ambito dei rapporti societari» intercorrenti con l’intermediario appunto in veste di emittente delle azioni, e non
  • 3. 3 atterrebbe agli obblighi riguardanti la prestazione di servizi di investimento. La dimostrazione di ciò sarebbe, ad avviso del resistente, nel fatto che «l’ordine di vendita disatteso (..) è un invito al riacquisto delle azioni inoltrato alla Banca e indirizzato direttamente al Consiglio di Amministrazione dell’Istituto», risultando in tal modo evidente che il ricorrente avrebbe agito in qualità di socio e non in qualità di cliente dell’intermediario. Quanto al merito della domanda, il resistente ne sostiene l’infondatezza sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Per un verso l’intermediario afferma che in nessun caso sarebbe configurabile a suo carico un obbligo di riacquistare proprie azioni – quanto avvenuto in passato costituendo una mera facilitazione riconosciuta ai propri azionisti senza però che si possa configurare alcun diritto in tal senso in capo a costoro - e che, in ogni caso, al tempo in cui il ricorrente ha presentato domanda, era ormai intervenuta l’approvazione del Regolamento UE n. 575/2013, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, che non consentiva più all’intermediario il riacquisto delle azioni di propria emissione, sicché ove vi avesse provveduto sarebbe incorso in una violazione della normativa di settore. Per altro verso il resistente sostiene che del tutto inconferenti sarebbero le censure riguardanti l’inadeguatezza delle procedure interne finalizzate a trattare le richieste di vendita, giacché «dalle procedure in parola - quand’anche le stesse non fossero state perfettamente conformi alla normativa - non sarebbe in ogni caso derivato alcun danno al [ricorrente] il quale non avrebbe comunque avuto diritto a veder soddisfatta la propria domanda di cessione.» 5. Il ricorrente si è avvalso della facoltà di replica prevista dall’art. 11, comma quinto, del Regolamento n. 19602 del 4 maggio 2016, disciplinante il procedimento avanti l’ACF, depositando memoria in cui insiste nel sottolineare la violazione da parte dell’intermediario degli obblighi di diligenza e correttezza nella esecuzione dei servizi di investimento. In particolare il ricorrente si sofferma sul fatto che l’intermediario «ha proceduto ad acquistare azioni dai propri soci fino al 10.02.2015, quindi oltre 7 mesi dalla presentazione dell’ordine di vendita del 03.07.2014, seguendo “sostanzialmente” […] un ordine cronologico e quindi ammettendo che tale criterio non era sempre rispettato»
  • 4. 4 6. Il resistente ha, a sua volta, controdedotto insistendo sull’irrilevanza della vicenda riguardante il c.d. “scavalcamento”, dal momento che il ricorrente non aveva comunque alcun diritto al riacquisto delle azioni, che oltretutto alla luce del nuovo quadro regolamentare avrebbe richiesto un’autorizzazione della Banca d’Italia. DIRITTO 1. Occorre esaminare, innanzitutto, l’eccezione di incompetenza dell’ACF sollevata dal resistente, secondo il quale, come detto, le doglianze del ricorrente non verterebbero sulle modalità di esecuzione di un servizio di investimento, ma si appunterebbero su di un mancato assolvimento di un obbligo di riacquisto delle azioni, così involgendo un tema di indagine che attiene al piano della configurabilità di eventuali obblighi gravanti sull’intermediario non come tale, bensì come emittente delle azioni. Ad avviso del Collegio l’eccezione, pur suggestiva, non è fondata. Gli è, infatti, che se si procede a un’analisi complessiva dei rilievi avanzati dal ricorrente emerge con sufficiente chiarezza come la principale censura mossa all’operato del resistente consista prima ancora che nel supposto inadempimento all’obbligo di riacquisto – che, ove esistente, effettivamente graverebbe su di esso come emittente delle azioni, con conseguente impossibilità per l’Arbitro per le Controversie Finanziarie di conoscere della relativa domanda – nel suo inadempimento dell’obbligo di trattare con correttezza l’ordine di procedere alla vendita delle azioni. Sotto questo specifico e preliminare profilo non è, pertanto, revocabile in dubbio che la domanda formulata dal ricorrente investa un tema che è di sicura competenza dell’ACF, in quanto attiene alla verifica della correttezza e della diligenza posta in essere dall’intermediario nella prestazione di un servizio di investimento, quale è certamente quello della «esecuzione di ordini per conto dei clienti» (art. 1, comma quinto, lett. b, TUF), restando solo da stabilire se, ed in che misura, dall’accertamento dell’eventuale inadempimento agli obblighi in parola possa essere derivato un danno al ricorrente. Un’analisi, questa, rispetto alla quale si renderà poi sì necessario interrogarsi anche circa la configurabilità di un astratto obbligo dell’intermediario di riacquistare le azioni, ma non certo in una
  • 5. 5 prospettiva di condanna di quest’ultimo, nella qualità di emittente, a risarcire il danno per mancato adempimento dell’obbligo siffatto, quanto più semplicemente nell’ambito di una verifica circa il grado di probabilità con cui l’interesse del ricorrente a poter liquidare le azioni avrebbe potuto essere soddisfatto se l’intermediario, in tale sua specifica qualità, avesse correttamente eseguito il servizio di investimento richiesto dal cliente, ossia appunto avesse dato esecuzione all’ordine di vendita. 2. Procedendo al suo scrutinio nel merito, la domanda del ricorrente appare meritevole di accoglimento. Come detto, la doglianza principale del ricorrente si appunta verso il ritardo nell’esecuzione dell’ordine di vendita, e più specificamente verso il fatto che l’intermediario non avrebbe adottato procedure idonee ad assicurare una corretta esecuzione di tali ordini, poi secondo un criterio rigorosamente cronologico a misura della loro ricezione. Ebbene, con riferimento a questo profilo non vi è dubbio che le carenze organizzative dell’intermediario denunciate dal ricorrente - ove accertate - siano tali da configurare un inadempimento agli obblighi contrattuali che l’intermediario aveva nei confronti della clientela, e dunque anche del ricorrente, nella prestazione del servizio, attesa la chiarissima previsione dettata dall’art. 21, primo comma, lett. d), TUF, ai sensi della quale l’intermediario è obbligato a dotarsi di «procedure (…) idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività». Al riguardo non sembra, infatti, meritevole di condivisione il rilievo opposto dal resistente, secondo il quale l’eventuale carenza di procedure idonee ad assicurare la corretta esecuzione degli ordini di vendita ricevuti secondo una giusta sequenza cronologica, ancorché costituisca una violazione di una norma di legge, non potrebbe comunque assumere rilievo nei confronti della clientela, costituendo piuttosto un deficit di organizzazione dell’impresa denunciabile soltanto dall’Autorità di Vigilanza a fini eventualmente sanzionatori dell’intermediario (o dei suoi esponenti aziendali).
  • 6. 6 Gli è, infatti, che nell’ambito della prestazione dei servizi e delle attività di investimento non appare possibile operare una separazione rigida tra regole che attengono al piano della corretta organizzazione dell’attività e regole che attengono alla corretta esecuzione del contratto, vero invece essendo che anche in questo campo – come del resto oramai in altri – lo stretto collegamento, di «inerenza teleologica e strutturale tra atto e attività» (come si è detto con felicissima formula), comporta indiscutibilmente il rifluire sul primo di regole pur nate obiettivamente per disciplinare la seconda. Insomma, quel che si vuol dire è che con riferimento alla prestazione dei servizi di investimento l’art. 21, comma primo, lett. d), TUF sopra ricordato si atteggia indiscutibilmente, e fuori di ogni dubbio, quale disposizione che attribuisce rilievo diretto «nella regolamentazione dell’atto», e dunque anche ai fini della esecuzione della relativa prestazione da esso nascente, «ai criteri di gestione (e organizzazione) dell’impresa», così allora riconoscendo anche alla controparte contrattuale il diritto a pretendere che la prestazione sia erogata nel contesto di un’attività correttamente organizzata. 3. Se ci si muove entro questa cornice, quel che risulta decisivo ai fini della soluzione della controversia è la verifica sul se possa dirsi dimostrato, nel caso di specie, il deficit di organizzazione dell’intermediario denunciato dal ricorrente. Ebbene, ad avviso del Collegio nel caso in esame la risposta appare affermativa, dal momento che (i) non solo l’intermediario non ha assolto l’onere di provare di aver adottato assetti organizzativi adeguati a permettere una esecuzione diligente e corretta del servizio di investimento – onere della prova che, nei giudizi risarcitori promossi dal cliente sulla base di tali allegazioni, grava normativamente sull’intermediario ai sensi dell’art. 23, comma sesto, TUF, e dell’art. 15, comma 2, del già sopra richiamato regolamento disciplinante l’ACF (ma la regola può considerarsi espressione del più generale principio che governa l’onere della prova sulla base del criterio della maggiore o minore “vicinanza” alla stessa) – non adducendo, altresì, qualsivoglia elemento idoneo a ricostruire l’ordine cronologico delle operazioni, avendo riguardo al caso dell’odierno ricorrente, ma anche a ben vedere (ii) che le carenze in questione risultano provate, almeno indiziariamente, alla luce delle dichiarazioni dei vertici aziendali
  • 7. 7 in occasione dell’assemblea dell’intermediario del 2016, nonché di procedimenti ispettivi della CONSOB nei confronti dell’intermediario medesimo, nell’esercizio delle proprie potestà di vigilanza, della cui esistenza lo stesso ricorrente dà conto, e che non sono neppure sostanzialmente smentite dal resistente, che anzi in qualche modo avvalora l’esistenza di quelle carenze, seppure obiettando che esse non rileverebbero sul piano della corretta esecuzione del contratto. 4. Una volta accertato l’inadempimento dell’intermediario agli obblighi di corretta esecuzione del servizio di investimento – nel caso, l’inadempimento all’obbligo di gestire e trattare correttamente l’ordine di vendita – resta da verificare in che misura questo inadempimento possa dirsi aver creato un danno al ricorrente. Sotto questo profilo ritiene il Collegio che la mancata adozione di un sistema di procedure tale da assicurare una tempestiva e corretta esecuzione dell’ordine di vendita ha sicuramente pregiudicato il cliente in quanto se è pur vero, come afferma il resistente, che egli non aveva alcun obbligo, come emittente e dunque sul piano societario, di riacquistare le azioni emesse, e che anzi non era più neppure normativamente autorizzato a farlo, è tuttavia indiscutibile che la circostanza che l’ordine di vendita non sia stato comunque neppure processato e/o auspicabilmente eseguito ha privato il cliente anche della possibilità, pur ridotta considerata la tendenziale illiquidità del titolo, di vendere a terzi le azioni che deteneva in portafoglio. Ne discende, pertanto, che nel caso di specie il Collegio ritiene di poter pervenire a una liquidazione equitativa del danno, da individuarsi in una perdita della chance per il ricorrente di poter eventualmente liquidare l’investimento, che è derivata dalla circostanza che l’intermediario non risulta aver posto in essere, non avendo fornito evidenze probatorie in tal senso, iniziative funzionali ad una corretta e tempestiva trattazione dell’ordine di vendita; una chance che si ritiene vada correlata al periodo in cui è stato inoltrato il predetto ordine di vendita (luglio 2014) e che sia inversamente proporzionale al quantitativo delle azioni possedute e messe in vendita, dovendo considerarsi tanto più elevata quanto più ridotto era il quantitativo delle azioni che il cliente intendeva liquidare.
  • 8. 8 Nel caso di specie, dunque, atteso che il quantitativo delle azioni di cui il ricorrente aveva richiesto la vendita era pari a n. 1.182 azioni, per un controvalore di € 73.875,00, sembra al Collegio che il danno possa essere quantificato in una misura pari al 60% di tale importo, dovendosi assumere che detta percentuale, rispetto a un quantitativo di azioni pari a oltre dieci volte il lotto minimo (100 azioni) offerto a quel tempo dall’intermediario, misuri il grado di probabilità, appunto la chance, per il ricorrente di poter cedere le azioni detenute, al prezzo unitario di € 62.50, vale a dire al prezzo a cui, alla data di riferimento, ciascuna azione veniva negoziata. P.Q.M. Il Collegio, in accoglimento del ricorso, dichiara l’intermediario tenuto a corrispondere al ricorrente, a titolo di risarcimento danni, la somma di € 44.206,80, calcolata prendendo a base il 60% del controvalore dell’investimento, al netto dell’attuale valore unitario delle azioni di cui trattasi (€ 0,10) per il numero di azioni (1.182) detenute dal ricorrente, e fissa il termine per l’esecuzione in trenta giorni dalla ricezione della decisione. Entro lo stesso termine l’intermediario comunica all’ACF gli atti realizzati al fine di conformarsi alla decisione, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 19602 del 4 maggio 2016. L’intermediario è tenuto a versare alla Consob la somma di € 400,00, ai sensi dell’art. 18, comma 3, del citato regolamento adottato con delibera n. 19602 del 4 maggio 2016, secondo le modalità indicate nel sito istituzionale www.acf.consob.it, sezione “Intermediari”. Il Presidente Firmato digitalmente da: Gianpaolo Eduardo Barbuzzi