1. Imponibili i movimenti bancari non giustificati sui conti delle persone “collegate”
Come già accaduto in tema di prelevamenti di contanti non documentati (Video: Dr. Paolo Soro CPA
Firm - Prelevamenti di contanti), la Corte di Cassazione – 10043/2014 – ha esteso, dalle imprese ai
professionisti, anche la presunzione in base alla quale tutti i movimenti non adeguatamente giustificati,
avvenuti nei conti correnti bancari dei soggetti “collegati” al libero professionista, costituiscono
materia imponibile non dichiarata.
Nell’ordinanza in questione del corrente mese di maggio, la Suprema Corte ha affermato che, ai sensi
dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973: “Una volta dimostrata la pertinenza all'impresa dei rapporti
bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l'Amministrazione Finanziaria non è tenuta a
provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali,
ma è onere dell'impresa contribuente di dimostrare l'estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla
propria attività di impresa”.
Tale presunzione, finora applicata solo nei confronti dei titolari di reddito d’impresa, è adesso estesa,
dunque, pure ai lavoratori autonomi, su cui incombe l’onus probandi di giustificare tutti i movimenti
di denaro che il Fisco giudichi “sospetti”, avvenuti nei conti correnti bancari – a esempio – della
moglie e/o dei figli. In caso contrario, le somme riconducibili a dette movimentazioni potranno essere
considerate – per presunzione de relato – quale reddito in “nero” del contribuente; e ciò
indipendentemente dal fatto che lo stesso contribuente sia o meno dotato di delega e/o potere di
firma sui conti correnti in questione.
L’effetto pesantissimo a carico del contribuente risulta proprio essere quest’inversione dell’onere
della prova, posto che, trattandosi di una presunzione a favore dell’Amministrazione Finanziaria,
spetterà sempre al contribuente – libero professionista – l’arduo compito di giustificare l’estraneità
dal proprio reddito delle somme oggetto di detta presunzione. Orbene, a modestissimo parere di chi
scrive, tale fatto, oltre che, per certi versi, suscitare non poche perplessità afferenti un eventuale
profilo di legittimità costituzionale, nella pratica, può risultare concretamente impossibile in tutti quei
casi in cui, la persona, “collegata” secondo il giudizio dell’Erario, magari nella realtà non è “collegata”
affatto, trovandosi in rapporti tutt’altro che idilliaci con il parente oggetto di verifica.
Conseguentemente, si guarderà bene dal concedere al medesimo qualunque permesso di visibilità del
proprio conto corrente bancario, né, tanto meno, gli fornirà pezze giustificative o motivazioni attinenti
ai movimenti “sospetti” in esame, rendendogli di fatto impercorribile qualunque via e/o strategia
difensiva.
Occorre, a onor del vero, precisare come la Cassazione affermi che, in sua difesa, il contribuente: “Può
fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta
verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre
quelli non conosciuti, correlando ogni indizio (purché rilevante, grave, preciso e concordante) ai
movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e
2. nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni, generiche, sommarie o cumulative”.
Francamente, però, il tutto pare assai nebuloso e davvero di poco aiuto nella pratica concreta.
Quali potrebbero essere queste “presunzioni semplici” in grado di sovvertire, a sua volta, l’iniziale
presunzione a favore del Fisco?
Come dovrebbe svolgersi al riguardo il sindacato del Giudice di merito? E, soprattutto, in che maniera
potrebbe motivare detto pronunciamento?
A conti fatti, sembrerebbe che l’ordinanza in argomento contribuisca soltanto ad aumentare
l’incertezza del diritto: non solo evita di chiarire talune ben note “spigolosità attuative” della norma di
cui si discute, ma addirittura se ne ampliano gli effetti, estendendoli anche ai lavoratori autonomi,
così incrementandone maggiormente tutti i risvolti negativi.
È appena il caso di osservare come, per l’ennesima volta, nel campo tributario, i fondamentali principi
procedurali del diritto, in base ai quali è sempre onere di chi vuol far valere una pretesa in giudizio
quello di doverne provare i presupposti, vengono stravolti e ribaltati a danno del contribuente e a
favore dell’Amministrazione Finanziaria.