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RIMBORSO DEL FINANZIAMENTO AL SOCIO DI SRL MEDIANTE ASSEGNAZIONE DI UN
BENE
PREMESSA
I diversi apporti dei soci a titolo di finanziamento
I finanziamenti, definiti come apporti che il socio può effettuare a favore della società a titolo diverso da
quello di capitale, possono avere forme differenti che è bene tenere distinte in quanto comportano differenti
conseguenze per il socio e la società, soggiacendo a diverse discipline:
1. Versamenti in conto capitale;
2. Finanziamenti in senso stretto.
I primi costituiscono una forma di finanziamento priva di una specifica ed esplicita pattuizione da cui
scaturisca l'obbligo della restituzione al socio finanziatore. Questi versamenti, infatti, si configurano come
vere e proprie riserve di capitale da collocare in bilancio, all'interno del Patrimonio netto, alla voce VII
"Altre riserve”. Dal momento del versamento entrano a far parte definitivamente del patrimonio sociale,
cessando ogni collegamento con il socio finanziatore e potendo essere liberamente utilizzate sia per ripianare
le perdite che per aumentare gratuitamente il capitale sociale.
I finanziamenti in senso stretto, invece, sono negozi giuridici connotati dalla dazione di una somma di
denaro da parte dei soci con correlativo obbligo di restituzione in capo alla società. Tali finanziamenti, che
rappresentano dei veri e propri debiti per la società, possono essere fruttiferi o non fruttiferi e devono, di
regola, risultare da atto scritto indicante l'importo del prestito, la scadenza e, ove pattuito, il tasso d'interesse
applicato. Ne consegue che, per questa tipologia di versamenti, il loro eventuale passaggio a capitale
necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione.
La distinzione tra le due forme di apporti su esposte, sebbene chiara in teoria, non è sempre agevole nella
prassi. Molteplici sono, infatti, le voci di bilancio sotto le quali compaiono tali apporti talché non è sempre
immediato capire se si ricade sotto la prima o la seconda fattispecie. Proprio a causa di tale difficoltà, gli
orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sono concordi nel ritenere che la questione debba essere risolta
sulla base della effettiva volontà manifestata dalle parti nella concretezza di ogni singola fattispecie,
facendo ricadere sul socio l'onere probatorio relativo alla sussistenza di un titolo idoneo a fondare la
richiesta di restituzione.
Disciplina civilistica della restituzione dei finanziamenti nelle srl ex art. 2467 c.c.
2
Un’attenzione particolare merita l’art. 2467 c.c. che detta una disciplina specifica, connotata da norme più
severe, per precise operazioni di finanziamento che i soci di S.r.l. effettuano a favore della società stante
determinate condizioni, al fine di garantire gli interessi dei creditori sociali evitando rimborsi lesivi della par
condicio creditorum. Resta fermo che i finanziamenti che non sono qualificati come tali ex art. 2467 c.c. non
soggiacciono alla disciplina e ai vincoli che di seguito si espongono.
I finanziamenti in oggetto sono “(…) quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un
momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo
squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società
nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.”
È evidente come il Legislatore non individui elementi chiari e precisi in base ai quali identificare
l’operazione di finanziamento, tuttavia la relazione al D.lgs. n. 6/2003 afferma che “(…) l’interprete è
invitato ad adottare un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto della situazione della società e
la si confronti con i comportamenti che nel mercato sarebbe appunto ragionevole attendersi”.
Occorre, pertanto, fare una valutazione complessiva, anche se con inevitabili ampi margini di
discrezionalità, della situazione finanziaria della società nel momento in cui il finanziamento è stato
concesso. L'interprete deve infatti valutare se, nel momento storico in cui il socio ha concesso il
finanziamento e in considerazione dell'attività svolta dalla società, vi era un eccessivo squilibrio
dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole
un conferimento.
Con riguardo all’eccessivo indebitamento, secondo la prassi consolidata, una situazione di squilibrio
finanziario si manifesta quando il risultato del rapporto tra patrimonio netto (macroclasse A del passivo) e
indebitamento (macroclasse D del passivo) è inferiore a 0,30-0,35. Con riguardo, invece, alla
ragionevolezza del conferimento, generalmente tale requisito sussiste quando la società non presenta
attendibili garanzie di rimborso dei finanziamenti.
Nonostante l’applicazione della norma comporti nella pratica un ampio margine di discrezionalità, la
definizione fornita dal Legislatore civilistico è di fondamentale importanza in quanto, una volta che l’apporto
è stato qualificato come finanziamento ex art 2467 c.c. lo stesso soggiace alla più severa disciplina prevista
dal comma 1 del medesimo articolo, ovverosia:
• la postergazione del rimborso dei finanziamenti rispetto al soddisfacimento degli altri creditori
sociali;
• la restituzione alla società dell'eventuale somma rimborsata, se il rimborso è avvenuto nell'anno
precedente la dichiarazione di fallimento della società medesima.
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Profili contabili del finanziamento soci
Per quel che concerne i profili contabili, a norma dell’art. 2424 c.c., i finanziamenti dei soci sono
iscritti nella voce D.3 del passivo "Debiti verso soci per finanziamenti" del bilancio della S.r.l. come debito
esigibile oltre l’esercizio successivo salva diversa previsione sociale. Se la S.r.l. compila il bilancio in forma
abbreviata, ex art. 2435-bis c.c., i finanziamenti dei soci finiranno nella voce D) "Debiti" sempre tuttavia
mantenendo distinte le somme dovute a medio-lungo termine.
Inoltre, tutte le informazioni inerenti i finanziamenti dei soci effettuati a favore della società, così
come si legge all’art. 2427 comma 1 n. 19-bis c.c., devono essere espressamente menzionati nella Nota
Integrativa ripartendoli secondo le scadenze e indicando separatamente quelli che hanno la clausola di
postergazione rispetto agli altri creditori, suddividendoli a seconda che la fonte della stessa sia riconducibile
alla legge o alla volontà dei soci stessi.
LA RESTITUZIONE DEL FINANZIAMENTO SOCI NELLE SRL MENDIANTE
ASSEGNAZIONE DI BENI
L’assegnazione di beni ai soci solleva non pochi dubbi e perplessità circa la sua qualificazione ai fini
contabili e fiscali. La dottrina in materia si divide tra la tesi dell’assegnazione come atto a titolo oneroso e
della assegnazione come atto a titolo gratuito. In tal senso, autorevole dottrina si è espressa a favore della
prima ipotesi. Tra questi rientra anche il Consiglio Nazionale del Notariato che con lo studio n. 103-2012/T
ha approfondito la materia indagando le ragioni che portano a protendere per l’assegnazione dei beni come
atto a titolo oneroso.
Vale la pena anticipare, ma l’argomento verrà approfondito più avanti, che il legislatore tributario si
pone sulla stessa linea di pensiero sia per quel che concerne i profili dell’imposizione diretta, sia per quel che
riguarda l’inquadramento della fattispecie ai fini IVA, avendo il legislatore assimilato l’assegnazione dei
beni ai soci ad una ipotesi di autoconsumo esterno da effettuarsi in base al valore normale del bene.
Tralasciando per il momento i profili fiscali che verranno analizzati più avanti, vale la pena
approfondire prioralmente due aspetti fondamentali dell’operazione in esame:
1. La necessità di effettuare una perizia per la determinazione del valore normale;
2. La necessità di formalizzare con atto notarile il trasferimento della titolarità del bene.
La necessità di effettuare una perizia per la determinazione del valore normale
Per quel che concerne il primo aspetto, chiariamo fin da subito che la perizia non è obbligatoria,
tuttavia in taluni casi è consigliata.
4
Infatti, mentre per i beni non iscritti nei pubblici registri la determinazione del valore normale può
essere determinato, prescindendo dal parere dell’esperto, ex art. 9 tuir in base ai listini o tariffe, alle
mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, per i beni immobili e per i beni
mobili registrati si pone il problema se sia necessaria o meno una perizia redatta da un esperto.
Gli orientamenti dottrinali sono concordi nel ritenere la perizia, in caso questi beni fossero oggetto di
assegnazione ai soci, fortemente consigliata in quanto rappresenta un efficace strumento per la
determinazione del valore dell’immobile e del bene immobile registrato, nonché funzionale alla conoscenza
esatta dello stato dei documenti a corredo dello stesso. La stessa Commissione Studi di Impresa del
Consiglio Nazionale del Notariato suggerisce di far sempre riferimento ad una perizia contabile per
l’esatta determinazione del valore del bene da assegnare e ciò per assicurare l’integrale tutela dei diritti dei
creditori.
Atto notarile per il trasferimento del bene
Per quel che concerne il secondo aspetto, dobbiamo tenere separati due atti che corrispondono a due
momenti diversi:
1. Atto per il trasferimento della titolarità del bene
2. Atto per il cambio di destinazione del bene
Questa distinzione rileva soprattutto per la società che, ricordiamolo, come persona giuridica è un
soggetto autonomo rispetto ai soci e, pertanto, per essa è assente una sfera extra-imprenditoriale.
Dunque, mentre nel caso di ditta individuale il cambio di destinazione di qualsiasi bene, iscritto o
meno nei pubblici registri, che si realizza con la fuoriuscita del bene dalla sfera imprenditoriale a extra
imprenditoriale, è possibile che avvenga semplicemente con l’emissione di un’autofattura, non essendo
necessario nessun’altro atto in quanto non muta la titolarità giuridica del bene ma esclusivamente la
destinazione del bene stesso, la stessa procedura non si può configurare in capo alla società perché per essa
non può prospettarsi una variazione di destinazione del bene in assenza di un mutamento della titolarità
giuridica dello stesso e questo rileva soprattutto con riferimento ai beni iscritti nei pubblici registri.
Pertanto, per la società che voglia assegnare beni ai soci:
 Per i beni diversi da quelli iscritti nei pubblici registri sarà sufficiente l’emissione di fattura (se
l’assegnatario è titolare di partita iva) o ricevuta fiscale (se l’assegnatario è una persona fisica non
titolare di partita iva) per sottrarre sul piano contabile e fiscale il bene al patrimonio societario;
 Per i beni iscritti nei pubblici registri questo adempimento deve essere integrato da un atto
finalizzato al mutamento della titolarità del bene. Infatti, in assenza di tale atto, sebbene sottratti
contabilmente e fiscalmente al patrimonio societario, tali beni resterebbero comunque intestati alla
società. Sarà, dunque necessario, oltre l’emissione di regolare fattura o ricevuta fiscale, un atto
notarile per attuare il trasferimento della titolarità giuridica del bene dalla società in capo al socio.
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Profili fiscali della restituzione del finanziamento soci mediante assegnazione di beni
Per quel che concerne i profili fiscali distinguiamo le conseguenze fiscali relative al momento
dell’accensione, della eventuale corresponsione degli interessi e dell’estinzione del finanziamento. Ai fini del
presente lavoro, interessa approfondire quest’ultimo momento.
L’estinzione del finanziamento erogato dal socio a favore della società, in genere, non ha
conseguenze fiscali né per il socio finanziatore né per la società. Un caso interessante è però rappresentato
dall’estinzione del finanziamento mediante assegnazione di beni sociali al socio. In tal caso infatti
occorre approfondire sia la disciplina ai fini Iva che ai fini delle imposte dirette.
Trattamento ai fini delle imposte dirette
L’assegnazione ai soci di beni facenti parte del patrimonio aziendale costituisce una fattispecie
rilevante ai fini della determinazione del reddito imponibile.
Si considerino a tal fine:
 I beni di cui all’art. 85 tuir, cd beni merce, la cui assegnazione ai soci genera un ricavo pari al
valore normale del bene assegnato
 I beni relativi all’impresa diversi dai beni merce, i cd beni strumentali all’esercizio dell’impresa,
ammortizzabili e non, materiali e immateriali la cui assegnazione genera plusvalenza o
minusvalenza.
Per questi ultimi, prevedendo l’art. 86 comma 3 che la destinazione dei beni stessi a finalità estranee
all'esercizio dell'impresa sia assoggettata ad imposta in base alla valorizzazione del valore normale, la
determinazione della plusvalenza muove da un necessario confronto tra lo stesso e il costo fiscalmente
riconosciuto. Il Consiglio Nazionale del Notariato parla, in tal senso, di cessione virtuale del bene.
Il valore normale
Il valore normale del bene deve essere quantificato secondo le disposizioni dell'art. 9 tuir a norma
del quale deve intendersi “(…) il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della
stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione,
nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel
luogo più prossimi”.
Il costo fiscalmente riconosciuto
Il costo fiscalmente riconosciuto deve essere determinato in base al costo di acquisizione del bene,
aumentato degli eventuali oneri accessori, incrementato delle eventuali rivalutazioni fiscalmente rilevanti e
dedotte le quote di ammortamento e le svalutazioni fiscalmente rilevanti.
6
La fuoriuscita del bene dal patrimonio sociale per un valore normale superiore al costo fiscalmente
riconosciuto determina una plusvalenza tassabile interamente nell’esercizio in cui è realizzata.
Parte della dottrina ritiene possibile l’esercizio dell’opzione per un regime di tassazione frazionata
ex art. 86, comma 4 tuir, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni. Tuttavia,
un altro orientamento dottrinale ritiene inapplicabile a tale plusvalenza il regime impositivo più vantaggioso
in quanto l’art. 86 comma 4 tuir che disciplina il frazionamento della plusvalenza non fa espresso richiamo al
comma 3 del medesimo articolo, relativo appunto alla plusvalenza realizzata mediante assegnazione del bene
a finalità estranee all’esercizio.
Se il bene fuoriesce dal patrimonio sociale per un valore normale inferiore al costo fiscalmente
riconosciuto viene a determinarsi una minusvalenza patrimoniale da assegnazione che non è deducibile.
Infatti, l’art. 101 tuir, così come modificato dal decreto Bersani, prevede la deducibilità delle minusvalenze
che siano realizzate a norma dell’art. 86 comma 1 lettera a) e b), restando pertanto esclusa la fattispecie di
cui alla lettera c), relativa appunto alla assegnazione del bene a finalità estranee all’esercizio.
Trattamento ai fini IVA
L’assegnazione di beni ai soci, secondo il disposto dell'articolo 2, secondo comma n. 6 del D.P.R. n.
633/1972 è una cessione di beni rilevante ai fini IVA. Detto articolo, infatti, qualifica come cessione di beni,
l'assegnazione ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo ed oggetto, operazione che, secondo
quanto chiarito dall'Agenzia delle Entrate (Cfr. Circolare n. 40/E/2002, Risoluzioni n. 194/E/2002 e n.
121/E/2009) realizza un'ipotesi di destinazione a finalità estranee all'esercizio d'impresa, da
ricomprendere tra le fattispecie di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della sesta Direttiva IVA. Trattandosi di
cessioni gratuite di beni, ai fini della determinazione della base imponibile occorre fare riferimento a quanto
dettato dall'articolo 13, secondo comma, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, il quale identifica la stessa con il
prezzo d'acquisto del bene oggetto di cessione, ovvero in mancanza, “(…) con il prezzo di costo di beni o
prodotti simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni.”
La società, pertanto dovrà emettere regolare fattura o ricevuta fiscale se il socio non è titolare di partita
iva, indicando se trattasi di operazione imponibile o esente. La disciplina Iva, infatti, varia a seconda che si
tratti di cessione di mobili o immobili e all’interno di quest’ultima fattispecie distinguiamo l’operazione
effettuata da società costruttrici o meno secondo il seguente schema:
 Assegnazioni di beni immobili imponibili: secondo il disposto dell'articolo 10, comma 8-bis e 8-
ter, del D.P.R. n. 633/1972 le cessioni di fabbricati strumentali e diversi da quelli strumentali
effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o da quelle che su di essi vi hanno realizzato
interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lett. c), d) ed e) della legge n. 457/1978 sono rilevanti
7
ai fini IVA se effettuate entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o
dell'intervento.
 Cessioni di beni immobili esenti: vi rientrano le cessioni di cui sopra effettuate dopo i cinque anni
dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento e le cessioni di immobili effettuate da
imprese diverse da quelle di cui al punto sopra.
 Cessioni di beni mobili: l’operazione è imponibile, salvo che abbia ad oggetto beni oggettivamente
esclusi da Iva o beni per i quali l’Iva “a monte” non sia stata detratta.
Applicazione dell’imposta di registro
In base all’art. 4 lettera a) della tariffa prima parte del DPR 131/1986, richiamato dalla lettera d) n. 2
del medesimo articolo, e in base al combinato disposto dell’art. 40 del DPR 131/1986 e art. 10 n. 8-bis e 8-
ter del DPR 633/1972, quando l’assegnazione dei beni ai soci non è soggetta ad Iva è soggetta all’imposta di
registro in misura ordinaria.
Dott.ssa Anna Russo
Riferimenti Normativi
Art. 2467 Codice Civile
Artt. 96, 44. 86, 101 DPR 917/1986 - Testo Unico delle Imposte sui Redditi
Artt. 2, 10, 13 DPR 633/1972 – Decreto IVA
Artt. 1, 22 DPR 131/1986 – Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro
Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 103-2013/T

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Restituzione finanziamento

  • 1. 1 RIMBORSO DEL FINANZIAMENTO AL SOCIO DI SRL MEDIANTE ASSEGNAZIONE DI UN BENE PREMESSA I diversi apporti dei soci a titolo di finanziamento I finanziamenti, definiti come apporti che il socio può effettuare a favore della società a titolo diverso da quello di capitale, possono avere forme differenti che è bene tenere distinte in quanto comportano differenti conseguenze per il socio e la società, soggiacendo a diverse discipline: 1. Versamenti in conto capitale; 2. Finanziamenti in senso stretto. I primi costituiscono una forma di finanziamento priva di una specifica ed esplicita pattuizione da cui scaturisca l'obbligo della restituzione al socio finanziatore. Questi versamenti, infatti, si configurano come vere e proprie riserve di capitale da collocare in bilancio, all'interno del Patrimonio netto, alla voce VII "Altre riserve”. Dal momento del versamento entrano a far parte definitivamente del patrimonio sociale, cessando ogni collegamento con il socio finanziatore e potendo essere liberamente utilizzate sia per ripianare le perdite che per aumentare gratuitamente il capitale sociale. I finanziamenti in senso stretto, invece, sono negozi giuridici connotati dalla dazione di una somma di denaro da parte dei soci con correlativo obbligo di restituzione in capo alla società. Tali finanziamenti, che rappresentano dei veri e propri debiti per la società, possono essere fruttiferi o non fruttiferi e devono, di regola, risultare da atto scritto indicante l'importo del prestito, la scadenza e, ove pattuito, il tasso d'interesse applicato. Ne consegue che, per questa tipologia di versamenti, il loro eventuale passaggio a capitale necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione. La distinzione tra le due forme di apporti su esposte, sebbene chiara in teoria, non è sempre agevole nella prassi. Molteplici sono, infatti, le voci di bilancio sotto le quali compaiono tali apporti talché non è sempre immediato capire se si ricade sotto la prima o la seconda fattispecie. Proprio a causa di tale difficoltà, gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sono concordi nel ritenere che la questione debba essere risolta sulla base della effettiva volontà manifestata dalle parti nella concretezza di ogni singola fattispecie, facendo ricadere sul socio l'onere probatorio relativo alla sussistenza di un titolo idoneo a fondare la richiesta di restituzione. Disciplina civilistica della restituzione dei finanziamenti nelle srl ex art. 2467 c.c.
  • 2. 2 Un’attenzione particolare merita l’art. 2467 c.c. che detta una disciplina specifica, connotata da norme più severe, per precise operazioni di finanziamento che i soci di S.r.l. effettuano a favore della società stante determinate condizioni, al fine di garantire gli interessi dei creditori sociali evitando rimborsi lesivi della par condicio creditorum. Resta fermo che i finanziamenti che non sono qualificati come tali ex art. 2467 c.c. non soggiacciono alla disciplina e ai vincoli che di seguito si espongono. I finanziamenti in oggetto sono “(…) quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.” È evidente come il Legislatore non individui elementi chiari e precisi in base ai quali identificare l’operazione di finanziamento, tuttavia la relazione al D.lgs. n. 6/2003 afferma che “(…) l’interprete è invitato ad adottare un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto della situazione della società e la si confronti con i comportamenti che nel mercato sarebbe appunto ragionevole attendersi”. Occorre, pertanto, fare una valutazione complessiva, anche se con inevitabili ampi margini di discrezionalità, della situazione finanziaria della società nel momento in cui il finanziamento è stato concesso. L'interprete deve infatti valutare se, nel momento storico in cui il socio ha concesso il finanziamento e in considerazione dell'attività svolta dalla società, vi era un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. Con riguardo all’eccessivo indebitamento, secondo la prassi consolidata, una situazione di squilibrio finanziario si manifesta quando il risultato del rapporto tra patrimonio netto (macroclasse A del passivo) e indebitamento (macroclasse D del passivo) è inferiore a 0,30-0,35. Con riguardo, invece, alla ragionevolezza del conferimento, generalmente tale requisito sussiste quando la società non presenta attendibili garanzie di rimborso dei finanziamenti. Nonostante l’applicazione della norma comporti nella pratica un ampio margine di discrezionalità, la definizione fornita dal Legislatore civilistico è di fondamentale importanza in quanto, una volta che l’apporto è stato qualificato come finanziamento ex art 2467 c.c. lo stesso soggiace alla più severa disciplina prevista dal comma 1 del medesimo articolo, ovverosia: • la postergazione del rimborso dei finanziamenti rispetto al soddisfacimento degli altri creditori sociali; • la restituzione alla società dell'eventuale somma rimborsata, se il rimborso è avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società medesima.
  • 3. 3 Profili contabili del finanziamento soci Per quel che concerne i profili contabili, a norma dell’art. 2424 c.c., i finanziamenti dei soci sono iscritti nella voce D.3 del passivo "Debiti verso soci per finanziamenti" del bilancio della S.r.l. come debito esigibile oltre l’esercizio successivo salva diversa previsione sociale. Se la S.r.l. compila il bilancio in forma abbreviata, ex art. 2435-bis c.c., i finanziamenti dei soci finiranno nella voce D) "Debiti" sempre tuttavia mantenendo distinte le somme dovute a medio-lungo termine. Inoltre, tutte le informazioni inerenti i finanziamenti dei soci effettuati a favore della società, così come si legge all’art. 2427 comma 1 n. 19-bis c.c., devono essere espressamente menzionati nella Nota Integrativa ripartendoli secondo le scadenze e indicando separatamente quelli che hanno la clausola di postergazione rispetto agli altri creditori, suddividendoli a seconda che la fonte della stessa sia riconducibile alla legge o alla volontà dei soci stessi. LA RESTITUZIONE DEL FINANZIAMENTO SOCI NELLE SRL MENDIANTE ASSEGNAZIONE DI BENI L’assegnazione di beni ai soci solleva non pochi dubbi e perplessità circa la sua qualificazione ai fini contabili e fiscali. La dottrina in materia si divide tra la tesi dell’assegnazione come atto a titolo oneroso e della assegnazione come atto a titolo gratuito. In tal senso, autorevole dottrina si è espressa a favore della prima ipotesi. Tra questi rientra anche il Consiglio Nazionale del Notariato che con lo studio n. 103-2012/T ha approfondito la materia indagando le ragioni che portano a protendere per l’assegnazione dei beni come atto a titolo oneroso. Vale la pena anticipare, ma l’argomento verrà approfondito più avanti, che il legislatore tributario si pone sulla stessa linea di pensiero sia per quel che concerne i profili dell’imposizione diretta, sia per quel che riguarda l’inquadramento della fattispecie ai fini IVA, avendo il legislatore assimilato l’assegnazione dei beni ai soci ad una ipotesi di autoconsumo esterno da effettuarsi in base al valore normale del bene. Tralasciando per il momento i profili fiscali che verranno analizzati più avanti, vale la pena approfondire prioralmente due aspetti fondamentali dell’operazione in esame: 1. La necessità di effettuare una perizia per la determinazione del valore normale; 2. La necessità di formalizzare con atto notarile il trasferimento della titolarità del bene. La necessità di effettuare una perizia per la determinazione del valore normale Per quel che concerne il primo aspetto, chiariamo fin da subito che la perizia non è obbligatoria, tuttavia in taluni casi è consigliata.
  • 4. 4 Infatti, mentre per i beni non iscritti nei pubblici registri la determinazione del valore normale può essere determinato, prescindendo dal parere dell’esperto, ex art. 9 tuir in base ai listini o tariffe, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, per i beni immobili e per i beni mobili registrati si pone il problema se sia necessaria o meno una perizia redatta da un esperto. Gli orientamenti dottrinali sono concordi nel ritenere la perizia, in caso questi beni fossero oggetto di assegnazione ai soci, fortemente consigliata in quanto rappresenta un efficace strumento per la determinazione del valore dell’immobile e del bene immobile registrato, nonché funzionale alla conoscenza esatta dello stato dei documenti a corredo dello stesso. La stessa Commissione Studi di Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato suggerisce di far sempre riferimento ad una perizia contabile per l’esatta determinazione del valore del bene da assegnare e ciò per assicurare l’integrale tutela dei diritti dei creditori. Atto notarile per il trasferimento del bene Per quel che concerne il secondo aspetto, dobbiamo tenere separati due atti che corrispondono a due momenti diversi: 1. Atto per il trasferimento della titolarità del bene 2. Atto per il cambio di destinazione del bene Questa distinzione rileva soprattutto per la società che, ricordiamolo, come persona giuridica è un soggetto autonomo rispetto ai soci e, pertanto, per essa è assente una sfera extra-imprenditoriale. Dunque, mentre nel caso di ditta individuale il cambio di destinazione di qualsiasi bene, iscritto o meno nei pubblici registri, che si realizza con la fuoriuscita del bene dalla sfera imprenditoriale a extra imprenditoriale, è possibile che avvenga semplicemente con l’emissione di un’autofattura, non essendo necessario nessun’altro atto in quanto non muta la titolarità giuridica del bene ma esclusivamente la destinazione del bene stesso, la stessa procedura non si può configurare in capo alla società perché per essa non può prospettarsi una variazione di destinazione del bene in assenza di un mutamento della titolarità giuridica dello stesso e questo rileva soprattutto con riferimento ai beni iscritti nei pubblici registri. Pertanto, per la società che voglia assegnare beni ai soci:  Per i beni diversi da quelli iscritti nei pubblici registri sarà sufficiente l’emissione di fattura (se l’assegnatario è titolare di partita iva) o ricevuta fiscale (se l’assegnatario è una persona fisica non titolare di partita iva) per sottrarre sul piano contabile e fiscale il bene al patrimonio societario;  Per i beni iscritti nei pubblici registri questo adempimento deve essere integrato da un atto finalizzato al mutamento della titolarità del bene. Infatti, in assenza di tale atto, sebbene sottratti contabilmente e fiscalmente al patrimonio societario, tali beni resterebbero comunque intestati alla società. Sarà, dunque necessario, oltre l’emissione di regolare fattura o ricevuta fiscale, un atto notarile per attuare il trasferimento della titolarità giuridica del bene dalla società in capo al socio.
  • 5. 5 Profili fiscali della restituzione del finanziamento soci mediante assegnazione di beni Per quel che concerne i profili fiscali distinguiamo le conseguenze fiscali relative al momento dell’accensione, della eventuale corresponsione degli interessi e dell’estinzione del finanziamento. Ai fini del presente lavoro, interessa approfondire quest’ultimo momento. L’estinzione del finanziamento erogato dal socio a favore della società, in genere, non ha conseguenze fiscali né per il socio finanziatore né per la società. Un caso interessante è però rappresentato dall’estinzione del finanziamento mediante assegnazione di beni sociali al socio. In tal caso infatti occorre approfondire sia la disciplina ai fini Iva che ai fini delle imposte dirette. Trattamento ai fini delle imposte dirette L’assegnazione ai soci di beni facenti parte del patrimonio aziendale costituisce una fattispecie rilevante ai fini della determinazione del reddito imponibile. Si considerino a tal fine:  I beni di cui all’art. 85 tuir, cd beni merce, la cui assegnazione ai soci genera un ricavo pari al valore normale del bene assegnato  I beni relativi all’impresa diversi dai beni merce, i cd beni strumentali all’esercizio dell’impresa, ammortizzabili e non, materiali e immateriali la cui assegnazione genera plusvalenza o minusvalenza. Per questi ultimi, prevedendo l’art. 86 comma 3 che la destinazione dei beni stessi a finalità estranee all'esercizio dell'impresa sia assoggettata ad imposta in base alla valorizzazione del valore normale, la determinazione della plusvalenza muove da un necessario confronto tra lo stesso e il costo fiscalmente riconosciuto. Il Consiglio Nazionale del Notariato parla, in tal senso, di cessione virtuale del bene. Il valore normale Il valore normale del bene deve essere quantificato secondo le disposizioni dell'art. 9 tuir a norma del quale deve intendersi “(…) il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi”. Il costo fiscalmente riconosciuto Il costo fiscalmente riconosciuto deve essere determinato in base al costo di acquisizione del bene, aumentato degli eventuali oneri accessori, incrementato delle eventuali rivalutazioni fiscalmente rilevanti e dedotte le quote di ammortamento e le svalutazioni fiscalmente rilevanti.
  • 6. 6 La fuoriuscita del bene dal patrimonio sociale per un valore normale superiore al costo fiscalmente riconosciuto determina una plusvalenza tassabile interamente nell’esercizio in cui è realizzata. Parte della dottrina ritiene possibile l’esercizio dell’opzione per un regime di tassazione frazionata ex art. 86, comma 4 tuir, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni. Tuttavia, un altro orientamento dottrinale ritiene inapplicabile a tale plusvalenza il regime impositivo più vantaggioso in quanto l’art. 86 comma 4 tuir che disciplina il frazionamento della plusvalenza non fa espresso richiamo al comma 3 del medesimo articolo, relativo appunto alla plusvalenza realizzata mediante assegnazione del bene a finalità estranee all’esercizio. Se il bene fuoriesce dal patrimonio sociale per un valore normale inferiore al costo fiscalmente riconosciuto viene a determinarsi una minusvalenza patrimoniale da assegnazione che non è deducibile. Infatti, l’art. 101 tuir, così come modificato dal decreto Bersani, prevede la deducibilità delle minusvalenze che siano realizzate a norma dell’art. 86 comma 1 lettera a) e b), restando pertanto esclusa la fattispecie di cui alla lettera c), relativa appunto alla assegnazione del bene a finalità estranee all’esercizio. Trattamento ai fini IVA L’assegnazione di beni ai soci, secondo il disposto dell'articolo 2, secondo comma n. 6 del D.P.R. n. 633/1972 è una cessione di beni rilevante ai fini IVA. Detto articolo, infatti, qualifica come cessione di beni, l'assegnazione ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo ed oggetto, operazione che, secondo quanto chiarito dall'Agenzia delle Entrate (Cfr. Circolare n. 40/E/2002, Risoluzioni n. 194/E/2002 e n. 121/E/2009) realizza un'ipotesi di destinazione a finalità estranee all'esercizio d'impresa, da ricomprendere tra le fattispecie di cui all'articolo 5, paragrafo 6, della sesta Direttiva IVA. Trattandosi di cessioni gratuite di beni, ai fini della determinazione della base imponibile occorre fare riferimento a quanto dettato dall'articolo 13, secondo comma, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, il quale identifica la stessa con il prezzo d'acquisto del bene oggetto di cessione, ovvero in mancanza, “(…) con il prezzo di costo di beni o prodotti simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni.” La società, pertanto dovrà emettere regolare fattura o ricevuta fiscale se il socio non è titolare di partita iva, indicando se trattasi di operazione imponibile o esente. La disciplina Iva, infatti, varia a seconda che si tratti di cessione di mobili o immobili e all’interno di quest’ultima fattispecie distinguiamo l’operazione effettuata da società costruttrici o meno secondo il seguente schema:  Assegnazioni di beni immobili imponibili: secondo il disposto dell'articolo 10, comma 8-bis e 8- ter, del D.P.R. n. 633/1972 le cessioni di fabbricati strumentali e diversi da quelli strumentali effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o da quelle che su di essi vi hanno realizzato interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lett. c), d) ed e) della legge n. 457/1978 sono rilevanti
  • 7. 7 ai fini IVA se effettuate entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento.  Cessioni di beni immobili esenti: vi rientrano le cessioni di cui sopra effettuate dopo i cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento e le cessioni di immobili effettuate da imprese diverse da quelle di cui al punto sopra.  Cessioni di beni mobili: l’operazione è imponibile, salvo che abbia ad oggetto beni oggettivamente esclusi da Iva o beni per i quali l’Iva “a monte” non sia stata detratta. Applicazione dell’imposta di registro In base all’art. 4 lettera a) della tariffa prima parte del DPR 131/1986, richiamato dalla lettera d) n. 2 del medesimo articolo, e in base al combinato disposto dell’art. 40 del DPR 131/1986 e art. 10 n. 8-bis e 8- ter del DPR 633/1972, quando l’assegnazione dei beni ai soci non è soggetta ad Iva è soggetta all’imposta di registro in misura ordinaria. Dott.ssa Anna Russo Riferimenti Normativi Art. 2467 Codice Civile Artt. 96, 44. 86, 101 DPR 917/1986 - Testo Unico delle Imposte sui Redditi Artt. 2, 10, 13 DPR 633/1972 – Decreto IVA Artt. 1, 22 DPR 131/1986 – Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 103-2013/T