Le forme allotropiche del C-Palestini e Pancia.docx
3. ARCHITETTURA GRECA
1. LA CITTA’ GRECA
POLIS CLASSICA: ATENE
POLIS ELLENISTICA: MILETO
LA MAGNA GRECIA
L’ABITAZIONE GRECA
2. 1. POLIS CLASSICA
La città greca ai suoi esordi (tra l’XI e la fine del VII secolo a.C.) ha un tracciato spontaneo e
non risponde alla rigida geometrizzazione dell’architettura dei templi: non ha elementi
precisi per una classificazione, l’urbanistica è casuale, mancano piani d’insieme.
E’ un tracciato che accoglie suggerimenti dalle preesistenze e non esclude ma sollecita lo
spettacolo della natura.
In Grecia, la struttura originaria della città rifletteva simbolicamente l'organizzazione della società:
la città-stato era sviluppata intorno a un centro religioso (acropoli), circondata da mura, torri e
bastioni a difesa della sua particolare identità.
Successivamente la città greca si evolve e risulta essere composta principalmente da tre parti
fondamentali:
1. l’acropoli: parte più alta della città e centro della vita religiosa (recinto sacro);
2. l’agorà: centro della vita civile, politica e commerciale;
piazza pubblica sulla quale si affacciavano solitamente un tempio, una sala delle assemblee
(bouleutérion), un teatro e dei ginnasi; la piazza era delimitata da un colonnato (stoà).
3. l’astu: la parte più bassa della città dove risiedono artigiani, commercianti e contadini.
Lentamente, però, con un processo che si conclude verso la fine dell’VIII secolo a.C., all’interno
della città la separazione fra le varie parti tende a sfumare, con il crescere di importanza della città
bassa.
Così, con il termine polis si finisce con l’indicare tutto il centro urbano con tutto il territorio
circostante sottoposto ad un medesimo potere politico.
Il centro della città classica è l'Acropoli, dove si trovano i templi e le costruzioni dedicate alle
diverse divinità.
Sotto la cinta muraria dell'Acropoli si estendeva disordinatamente la città vera e propria,
lasciata a se stessa senza un disegno o una configurazione preordinata.
Botteghe, abitazioni, stalle e baracche convivevano tutte ammassate in modo casuale.
Le strade non erano lastricate, erano strette, buie e il passaggio era proibitivo per più di un uomo
in sella a un asino.
La conformazione geologica spesso implicava che le strade fossero tortuose e in salita.
Non esistevano acquedotti e fognature inoltre erano poche le fontane da dove attingere acqua
potabile.
Infatti, esisteva solo una canalizzazione a cielo aperto e, dunque, gran parte delle case non era
rifornita d'acqua da un sistema di tubazioni: per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico
si faceva ricorso alle fontane, che erano affidate ad un funzionario eletto direttamente dai cittadini.
La scarsità d'acqua e la difficoltà d'approvvigionamento favorivano l'insorgere di malattie.
Quando la città è situata sui terreni di collina, si usa sovente un impianto a terrazzamenti
degradanti, che costituiscono un complesso sistema di ripiani orizzontali disposti a diverso livello.
La città (polis) del mondo classico è un organismo chiuso, alla cui vita partecipano i cittadini,
che gestiscono e utilizzano le grandi strutture pubbliche quali l’agorà (centro civico commerciale), il
gymnasium, gli stoà (portici di collegamento con funzione di ritrovo),
3. ATENE
L’esempio più caratteristico delle città greche di questa prima fase è ATENE.
La città di Atene è un esempio di città greca del continente che si è formata senza un Piano
ordinato.
Atene, alle origini, forse più che un centro unitario, era un insieme di quartieri posti a breve
distanza l’uno dall’altro, che dovevano essere uniti da strade che seguivano le pendenze più
accessibili, tra le alture che formavano la città.
A questo agglomerato cittadino dovevano fare riscontro agglomerati urbani minori nel contado
agricolo.
Le fonti antiche parlano di Atene come di una città dalla vita estremamente caotica anche in epoca
ellenistica, all’interno della quale non esisteva il concetto di spazio pubblico: solo progressivamente
si impose la necessità di un’area per pubblica utilità arrivando alla sempre maggiore importanza
dell’agorà.
Quest’area, ai piedi dell’Acropoli (considerata santuario e fortezza), nel punto di passaggio e di
incontro di vari quartieri socialmente eterogenei, era destinata per la sua stessa natura topografica
a essere il centro ideale di Atene.
L’acropoli andò assumendo sempre più il carattere di luogo di culto, mentre il resto della
città era costituita da una serie di villaggi separati da necropoli, con una vita disordinata
che confluiva nell’agorà.
Atene non cambiò mai il suo aspetto caotico, e il notevole aumento della popolazione, le
mura che la riunivano al mare, il Pireo, determinarono a partire dal V secolo la sua
grandissima importanza, che si estendeva ai bordi dell’acropoli e verso il mare, su tutta la
pianura.
11. 2. LA CITTÀ ELLENISTICA
Lo spirito di razionalità dei Greci si applicherà, in periodo ellenistico, anche alla progettazione
urbana.
Infatti, in un periodo di tempo compreso tra la fine del V secolo a. C. e l’inizio del IV secolo a.C., la
forma di molte città del mondo greco, anche continentale, subisce una trasformazione per opera di
Ippodamo da Mileto, basata sull’applicazione della rigidità geometrica al tracciato urbano.
La città ellenistica si presenta come un organismo aperto, sempre in divenire, dove si svolge oltre
alla vita politica e culturale anche quella industriale e commerciale.
In età ellenistica i legami tra città alta e città bassa si fanno più stretti; la vita urbana diventa più
complessa e differenziata e la città si presenta come un organismo articolato.
All’inizio del V secolo – vengono avanzate nuove proposte per la città, che prevedono l’impiego
di schemi ortogonali e una precisa individuazione di aree destinate a funzioni specifiche di
interesse collettivo.
Questo schema era stato già attuato nel mondo orientale, mentre in Grecia la prima attuazione di
uno schema basato su questi principi si riscontra ad opera di Ippodamo da Mileto, studioso di
geometria, filosofo e autore di trattati urbanistici.
L'architetto greco Ippodamo di Mileto, considerato il padre dell'urbanistica, progettò importanti
insediamenti e strutture urbane, quali la città di Turi e il Pireo, sempre mirando a mettere in
accordo l'estetica degli edifici con la loro destinazione; a lui si deve una prima teorizzazione
della pianta urbana a maglia ortogonale, in cui le strade si intersecano ad angolo retto,
indipendentemente dalla morfologia del territorio.
Nel IV sec. a. C. visse, infatti, Ippodamo da Mileto che, per primo, teorizzò la necessità di
costruire le città secondo schemi planimetrici regolari.
La città viene suddivisa secondo uno schema scandito da assi ortogonali che definiscono
lotti rettangolari o quadrati.
Se fino ad allora nascevano prima le case, e lo spazio tra loro diveniva strada, con la
pianificazione urbana teorizzata da Ippodamo da Mileto, venivano prima disegnate le strade,
e poi, tra esse, trovavano posto gli edifici.
Con ciò si potevano ottenere città con tracciati viari tra loro perpendicolari.
La struttura ordinata degli assi viari consente di realizzare una distinzione tra le aree sacre,
pubbliche e private; il dimensionamento viene fatto per 10.000 abitanti, considerato un limite
invalicabile oltre il quale si doveva procedere alla fondazione di un’altra città.
La scacchiera tipica ipotizzata da Ippodamo da Mileto si basava su tre assi longitudinali, detti
decumani, e che procedevano in direzione est-ovest, intersecati da assi perpendicolari, detti
cardi, secondo l’orientamento nord-sud.
12. L’intersezione di questi assi viari determinava isolati rettangolari dalla forma allungata, con una
specifica individuazione delle destinazioni d’uso.
Questo schema ippodameo fu applicato alla pianificazione di numerose città antiche,
rappresentando il primo tentativo di razionalizzare lo sviluppo della città, anticipando così quello
strumento urbanistico che oggi viene indicato come “Piano Regolatore”.
Lo schema ippodameo, che si diffonde dal V secolo a.C. in poi, sarà utilizzato soprattutto nel
periodo ellenistico.
Caratterizza l’impianto urbano di questi centri una razionale sistemazione della struttura cittadina,
diversificata nelle funzioni (ad ognuna delle quali corrisponde un’area ben definita).
Le funzioni militari, civili, religiose, commerciali delle città dispongono ognuna di un’area autonoma;
quella destinata alle funzioni civili occupa generalmente il centro della città.
L’edilizia privata è livellata in funzione di quella pubblica.
Questi elementi sono sottoposti a un piano unitario che prevede sia le unità di misura che regolano
la ripartizione geometrica degli isolati, sia l’orientamento di essi, sia i piani di ampliamento urbano
ottenuti suddividendo (già nel progetto) le aree (eventualmente lasciandole non costruite: la stessa
Mileto ebbe una definizione, per quanto riguarda le aree pubbliche,solo in età romana).
Per le nuove città sono previste le necessità relative ai singoli quartieri, non solo per il momento in
cui essi vengono costruiti, ma anche quelle future, di sviluppo demografico (a volte trascorrono
secoli prima di arrivare alla saturazione dei quartieri che, in qualche caso, non vengono mai
occupati).
In queste nuove città si moltiplicano i tipi degli edifici e i Greci si dedicano attentamente anche
alla definizioni di altri tipi di edifici sempre collegati alla struttura organica della città e alle esigenze
della vita comunitaria:
la casa di civile abitazione, il teatro
biblioteche l’agorà (centro politico-commerciale)
lo stoà (porticati) il bouleuterion o Casa del consiglio
le Sale dell’Assemblea Scuole Palestre
e molte altre architetture per uso pubblico che partecipano alla definizione della polis greca.
L’acropoli delle città ellenistiche decade dalla posizione privilegiata tipica delle città di età arcaica e
classica.
I mutamenti della tecnica di guerra impongono nuove soluzioni di difesa, le città sono circondate da
mura massicce che le delimitano da ogni lato.
Le acropoli nelle città di più antica fondazione assumono l’aspetto di cittadelle militari per una
difesa contro sollevazioni interne più che per un attacco dal di fuori, e perdono le caratteristiche di
centri religiosi e culturali.
I santuari divengono solo luoghi di culto, distaccati dai centri culturali e commerciali, in aree ben
definite, generalmente più piccole rispetto a quelle riservate ai centri commerciali ed amministrativi.
A volte essi sorgono ai margini delle città, quasi ai limiti dell’abitato, in zone di notevole bellezza
paesistica.
13. I santuari divengono solo luoghi di culto, distaccati dai centri culturali e commerciali, in aree ben
definite, generalmente più piccole rispetto a quelle riservate ai centri commerciali ed amministrativi.
A volte essi sorgono ai margini delle città, quasi ai limiti dell’abitato, in zone di notevole bellezza
paesistica.
Così come per le Acropoli e i Santuari, muta la struttura delle Agorà.
Nella città ellenistica, soprattutto l’agorà assume un ruolo ancora più significativo di quello svolto
nel mondo classico, acquisendo un carattere sempre più monumentale: in questo periodo si
diffonde anche l’uso di strade fiancheggiate da portici (gallerie a colonne).
Essa però non è più il luogo dove si convogliano tutti gli interessi cittadini, come nel caso di Atene
in età classica. L’aumento del ritmo economico in alcune città impone una diversificazione della vita
cittadina: l’agorà diventa in questo caso il centro commerciale delle nuove città, centro di traffico
della sola vita economica (mentre nelle vecchie città l’agorà diventa una piazza monumentale), sui
quattro lati è bordata di stoà, circondata da magazzini e dagli uffici delle singole corporazioni.
La cultura si ritira dall’agorà. Così i Ginnasi, che nelle città classiche avevano la funzione di
educazione fisica di massa, si trasferiscono nell’interno delle città, mutano la loro funzione,
diventano, oltre che luoghi di esercitazione fisica (spazio per gli esercizi di corsa, lancio del disco,
ecc.), centri di cultura di un ambiente selezionato.
Architetture aperte possono considerarsi anche le palestre: è uno spazio chiuso per gli esercizi di
lotta e di pugilato: spesso i due tipi, Ginnasio e Palestra, sono collegati, disponendosi gli ambienti
chiusi intorno a uno spazio scoperto porticato.
Collegata all’area del teatro è quella del bouleuterion (famoso quello di Mileto), per le assemblee
popolari: risulta dall’innesto di una scala semicircolare, come quella dei teatri, su una corte
quadrangolare porticata.
Notevole, in età ellenistica, è lo sviluppo degli edifici per spettacoli: ne sorgono ovunque.
L’anfiteatro, dedicato specialmente ai giochi ginnici, raddoppia la forma del teatro, che diventa un
anello o un’ellisse intorno all’area delle gare.
L’ordine urbanistico era legato all’ordine politico: quando la popolazione superava un
numero stabilito dalle leggi, una parte di essa andava a fondare una nuova città.
Il mondo ellenistico è un mondo di movimento, di relazioni, di scambi: la città che ne deriva
è un organismo aperto e in continuo sviluppo: è luogo di produzione industriale, emporio
commerciale, centro culturale.
Gli edifici sono elementi di quella più grande architettura che è la città: perciò prendono
valore le facciate, i portici, le scalee, i propilei, cioè tutti quei tipi che articolano gli spazi
urbani.
La società ellenistica, mutevole e in continuo fermento, dedita agli scambi commerciali e aperta a
tutti gli apporti culturali, concepisce la città come un paesaggio architettonico.
Con la tendenza a teorizzare che Ippodamo manifesta (dare una pianta logica e funzionale alle
città democratiche) il mondo greco esce, per quanto riguarda la vita urbana, da quelle norme di
casualità che avevano caratterizzato gli impianti più antichi.
L’adozione di una pianta ordinata per una città è espressione dell’applicazione democratica di una
serie di norme.
14. CITTA’ IPPODAMEE
A Ippodamo di Mileto viene attribuita la progettazione di diverse città greche, tra cui Mileto,
Olinto, Rodi, Priene ecc.
Mileto
La città di Mileto, patria di Ippodamo, ha una struttura ad assi ortogonali, che delimitano zone
destinate a diverse attività.
Costituisce il primo caso di città realizzata sulla base di un Piano basato sui principi
ippodamei: è, infatti, la più caratteristica tra le città a pianta ortogonale.
La città di Mileto sorge su una penisola frastagliata, che presenta notevoli variazioni
altimetriche: probabilmente fu ricostruita intorno al 479 a.C., dopo la distruzione subita da parte
dei Persiani.
Sin dalla nuova fondazione, la nuova città di Mileto prevede uno sviluppo urbano sufficiente allora e
in futuro (le zone pubbliche, i quartieri di abitazione vengono occupati lentamente).
La nuova città fu realizzata adottando uno schema ortogonale, che definiva una scacchiera di lotti
tutti uguali, che avevano la dimensione di circa 30X52 m, separati da strade larghe mediamente
4,50m, ma tra le quali vi erano tre arterie maggiori larghe 7,50m (una in senso longitudinale e due
in senso trasversale) che servivano come vie principali.
In questo modo la morfologia del territorio venne fortemente razionalizzata.
Quasi al centro di Mileto è una collina, ai lati della quale sono i due Porti principali: quello più
settentrionale detto “del Leone”, quello meridionale dello “del Teatro”.
Le differenze di livelli che caratterizzano la penisola non furono prese in considerazione nella
suddivisione urbanistica della città, caratterizzata da un’ampia zona centrale che collega i due
porti, nella quale sorgono gli edifici commerciali, religiosi, amministrativi, che servono le zone
residenziali (una a nord, l’altra sulla collina tra i porti, la terza – più ampia – a sud).
Le mura che circondano tutta la città si aprono a tenaglia all’ingresso del porto “del Leone”.
Al centro dello schema ortogonale si inseriscono gli edifici dell’agorà a forma di L, con funzione
politica, religiosa ed economica, collocata a diretto contatto con il Porto dei Leoni.
I porti sono collegati dai Mercati, e attigui vi sono due Santuari: il Santuario di Apollo Delphinios
( nord sul porto “del Leone”) e il Santuario di Athena (a sud sul porto “del Teatro”).
Il ruolo di cerniera e di legame fra i diversi quartieri della città è affidato all’agorà,: attorno all’agorà
ruotano le 3 aree residenziali.
In posizione eccentrica rispetto alla città, su un declivio naturale, è collocato il Teatro.
L’insabbiamento progressivo del porto portò all’abbandono della zona da parte della
popolazione: destino comune con Priene ed Efeso.
15.
16. LE CITTA’ DELLA MAGNA GRECIA
Diversa è l’origine della pianta ortogonale nell’Italia meridionale e
nella Sicilia. La ripartizione regolare era in quel caso una
necessità: significava definire le esigenze dei coloni i quali, a
breve tempo dal loro sbarco, divenivano forze produttive, con
autonomia propria.
La divisione regolare delle città della Magna Grecia e della Sicilia
non era intesa a distinguere le funzioni di città che non
presentavano all’inizio una differenziazione evidente, ma a
regolare, in forma comunitaria, i coloni.
LA COLONIZZAZIONE GRECA DEL MEDITERRANEO TRA L’VIII E IL VI
SECOLO
23. IL TEMPIO GRECO
Il tempio può essere considerato la più impegnativa realizzazione dell'architettura greca: è una
struttura architettonica utilizzata come luogo di culto.
L'edificio vero e proprio era per i Greci la casa del dio (oikos), ovvero la cella (naos). Questa
ospitava la statua della divinità nella quale il sacerdote era l'unico ad averne accesso, mentre il
culto si svolgeva su un altare antistante, all'esterno di essa ed all'interno del recinto sacro
(temenos) in cui si situava il tempio ed altri edifici ad esso connessi.
Il tempio greco è sempre orientato est-ovest, con l'ingresso aperto verso est. In questa peculiarità
si differenzia nettamente dai templi romani che sono invece orientati nord-sud, posti su di un alto
podio cui si accede mediante un'ampia scalinata da sud.
Sulla superficie superiore (stilobate) di una piattaforma, sopraelevata rispetto al terreno
circostanze, per mezzo di pochi gradini (crepidoma) generalmente in numero di tre, si elevava la
struttura della cella del tempio, caratterizzata dalle colonne.
La disposizione delle colonne determina la classificazione dei tipi di pianta del tempio greco, che ci
è stata tramandata da Vitruvio (De architectura, 3,2):
• tempio in antis: sulla facciata sono presenti due colonne tra due ali di muro (ànte) che
prolungano in avanti le pareti laterali della cella;
• tempio doppiamente in antis: è un tempio in antis con l'opistodomo (opisthodomos) nella
parte diametralmente opposta rispetto al pronao (pronaos);
• tempio prostilo: la fronte della cella presenta un colonnato antistante (prostòon);
• tempio anfiprostilo: sia la fronte che il retro della cella presentano il colonnato;
• tempio periptero: il colonnato (ptèron) circonda tutti e quattro i lati della cella (naos) creando un
porticato quadrangolare (peristasi);
• tempio diptero: il porticato quadrangolare (peristasi) presenta, anche sui lati lunghi, una doppia
fila di colonne;
• tempio pseudodiptero: la peristasi presenta una sola fila di colonne, ma posta ad una distanza
doppia rispetto ai muri della cella, ossia quando il tempio è circondato da un colonnato
dell'ampiezza di due intercolumni;
• tempio pseudoperiptero che ha una notevole diffusione in età ellenistica e quindi romana,
caratterizzato da colonne della peristasi addossate come semicolonne o lesene ai muri esterni
della cella che poteva in tal modo essere realizzata con una maggiore ampiezza;
• tempio monoptero: quando il tempietto ha una forma circolare ed è privo di cella;
• tempio a tholos: quando il tempietto circolare è provvisto di cella.
A seconda del numero delle colonne presenti in facciata, il tempio è inoltre definito come
"distilo" ("con due colonne"), "tetrastilo", "esastilo", "ottastilo" o persino "dodecastilo"
(rispettivamente con quattro, sei, otto o dodici colonne sulla facciata).
Il numero delle colonne laterali è proporzionato a quello delle colonne in facciata, e di solito è
pari al doppio (raramente), al doppio + 1, o al doppio + 2 di esse: per esempio un tempio
esastilo avrebbe normalmente dodici, o più frequentemente tredici o quattordici colonne sui lati
lunghi.
24. I primi templi
greci furono
costruiti in legno
Particolare della
struttura in legno
del tetto
25. I colonnati erano edificati sulla base del
sistema trilitico, cioè "a tre pietre": due
sostegni verticali ed un elemento
orizzontale, che copre lo spazio tra i due.
Da questo vengono elaborati i diversi ordini
architettonici, caratterizzati da precisi
rapporti proporzionali tra i diversi elementi
che lo compongono.
La colonna, costituita da capitello, fusto ed
eventualmente base, è sormontata da una
trabeazione, composta a sua volta da
architrave, fregio e cornice.
Sui lati corti, facciata e retro, gli spioventi del
tetto determinano la presenza di un frontone,
sul quale a sua volta poggiano - agli angoli e
al vertice - statue decorative generalmente in
terracotta dipinta, gli acroteri.
26. I templi greci in generale sono dei particolari esempi di illusione ottica.
Per vedere il tempio così come possiamo ammirarlo (figura 1) gli antichi greci erano
costretti ad edificarlo con la colonne non parallele e con il timpano arcuato come
nella fig.2.
La prospettiva imponeva di edificare in questo modo.
Infatti se avessero rispettato il parallelismo delle colonne e la perpendicolarità del
timpano avremmo visto il tempio come disegnato nella figura n.3.
28. Lo spazio fra il colonnato in facciata e l'ingresso alla cella prende il nome di pronao
(pronao o prodromos), mentre il corrispondente spazio sul retro della cella prende il
nome di opistodomo.
Nella cella (naos) era situata la statua della divinità. Quando vi è un'altra cella
all'interno della cella (caratteristica soprattutto dei templi dorici in Sicilia), allora si
parla di adyton.
57. Il teatro nella Grecia antica
Il teatro nella Grecia antica si evolve da semplice spiazzo per il pubblico, a spazio delimitato
(circolare o a trapezio) con panche di legno, infine ad opera architettonica vera e propria ( V
secolo – IV secolo a.C.).
Il teatro greco rimane sempre una struttura a cielo aperto. Già nei più antichi teatri si ritrovano le
tre parti essenziali:
1.la cavea (koilon), a pianta di settore circolare o ellittico (spesso eccedente la metà) nella quale
sono disposte le gradinate, suddivise in settori, con i sedili di legno; in genere la cavea è addossata
ad una collina per sfruttarne il pendio naturale;
2.la scena (skené), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all'asse della
cavea, inizialmente semplice e in legno, quindi sempre più complessa e abbellita da colonne,
nicchie e frontoni, situata ad un livello più alto dell'orchestra con la quale comunica mediante scale;
3.l'orchestra (orkhestra), circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena, è lo
spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro e agli attori.
4.le pàrodoi (passaggi laterali) sui due lati, tra la scena e l’orchestra, servivano da ingresso ai
personaggi del coro. Spesso lievemente inclinate, arricchite da statue e dediche votive, utili agli
attori e agli spettatori, chiuse da porte solo in età più tarda. Da quella di destra, per convenzione,
entravano i personaggi provenienti dalla città, dall’altra di sinistra quelli che giungevano dalla
campagna.
Tra i teatri greci di cui rimangono notevoli testimonianze vi sono il di Epidauro, di Dioniso ad
Atene, di Segesta, di Siracusa, di Delfi, di Taormina.
Teatro di Epidauro
60. ESTRAZIONE DALLA CAVA - I FASE
Il procedimento di estrazione viene avviato mediante l’iniziale
individuazione del sito più idoneo con la rimozione dello
strato di terriccio presente sulla superficie della roccia
calcarea, con conseguente pulizia e livellazione del banco
prescelto.
Successivamente interviene l'opera delle maestranze che
provvedono a tracciare la sagoma della circonferenza del
rocchio che si vuole estrarre secondo le esigenze di cantiere.
61. ESTRAZIONE
DALLA CAVA
II FASE
Si incideva il contorno dei tamburi, dai diametri prestabiliti.
Dopo questa preparazione, attorno all'intaglio del contorno del rocchio si scavava,
via via più profondo, un canale circolare largo circa 40-65-80 cm.
In pratica la calcarenite viene frantumata a forza di braccia con colpi di scalpello e
pian piano dopo tanta fatica degli scalpellini, così detti latomòi, affiora dal banco di
pietra il moncone di colonna da trasportare al cantiere per i templi in costruzione.
Il cordolo di pietra rimasto "in situ" tra i due canali doveva poi essere eliminato.
Questo procedimento veniva continuato fino a raggiungere l'altezza del pezzo voluta,
dipendente in larga misura dalla poderosità dello spessore dello strato estrattivo.
In questo solco dovevano esser fatti penetrare dei cunei di metallo il più
profondo possibile, fino a staccare il pezzo dalla roccia.
Per staccare dal fondo il rocchio posteriore, si rendeva necessario provvedere prima
allo stacco di quello anteriore.
Dopo all'estrazione, si dovevano rovesciare i rocchi e allontanarli.
64. ESTRAZIONE DALLA CAVA - III FASE
Venuto fuori per intero il troncone di colonna preventivato secondo le misure richieste
(generalmente 3m di diametro x 4m di altezza) si davano inizio alle operazioni di
scalzamento del tronco alla base.
Gli scalpellini incidevano alla base della colonna una marcata scanalatura contro la quale
inserivano appositi cunei di legno su cui si versava dell’acqua per farli gonfiare: in questo
modo i cunei gonfiati dall'acqua comprimevano le opposte pareti rocciose.
Contemporaneamente dall'alto della colonna si operavano poderose spinte, mediante leve
di grossi tronchi di legno, in sinergia con quelle alla base fino al completo distacco della
colonna.
66. ESTRAZIONE DALLA CAVA - IV FASE
Allorquando il troncone di colonna era staccato dalla roccia alla
base, questo veniva legato con robuste funi per adagiarlo, a
forza di braccia e di leve, in posizione orizzontale su una slitta
di legno capace non solo di reggere l'enorme peso (fino a 80
tonnellate), ma anche di sopportare tutte le sollecitazioni
relative al viaggio di trascinamento fino al cantiere dei templi.
68. TRASPORTO DALLA CAVA AL CANTIERE - V FASE
In pianura il trasporto dei blocchi (o dei semilavorati) necessitava
di sistemi di traino: nell’antico Egitto, essi erano effettuati tramite
slitte trascinate dalla forza di centinaia di uomini, mentre
nell’antichità classica e nelle epoche successive veniva
generalmente impiegata energia animale.
Un mulo non può trasportare più di kg.150 di materiale (vale a
dire non più di due blocchi di cm 20x25x50 circa), mentre un paio
di buoi è in grado di trainare un carro con un carico di circa 800
kg; il trasporto di pesi maggiori era reso possibile
moltiplicando gli animali aggiogati.
Il traino di grandi blocchi, effettuato aggiogando molte coppie di
buoi, era certamente in uso presso gli antichi Greci: lo studio
della nota epigrafe che registra i conti per la costruzione del
portico del telesterion di Eleusi, ad esempio, documenta l’impiego
di 27-40 coppie di buoi per ogni viaggio.
69. TRASPORTO DALLA CAVA
AL CANTIERE - V FASE
In ogni epoca il costo del
trasporto, in termini di
fatica umana e di tempo,
era tra i più alti di tutte le
operazioni del cantiere.
LIZZATURA
Nei casi in cui la zona di
estrazione si trovava in
aree montane, la prima
fase del trasporto era
rappresentata dalla
discesa dalla cava verso
il piano, tramite percorsi
che generalmente si
effettuavano su forti
pendenze, e lungo i quali
i blocchi dovevano
essere frenati.
Un sistema frequente era
l’approntamento di piste
larghe qualche metro,
costituite da piani inclinati
(detti ‘lizze’), lungo le
quali venivano fatti
scendere i blocchi: i
blocchi, pesanti anche
oltre 25 tonnellate,
venivano issati sopra
slitte di legno di quercia
di lunghezza variabile
(anche sino a 12 metri).
Le slitte venivano fatte scorrere su assi di legno ingrassato disposti trasversalmente,
e venivano trattenute con grossi funi (dette canapi) agganciate ai bordi del percorso
a corti pali di legno duro (piri) infissi nella roccia; il graduale allentamento delle funi
consentiva un lento avanzamento dei carichi.
Iniziata la discesa, con l’aiuto di leve, i ‘lizzatori’ che hanno preparato la carica con
l’aiuto dei “manovali di lizza”, toglievano via via le traverse dietro e le disponevano
davanti.
Nelle cave greche del marmo pentelico si conservano straordinarie testimonianze
di tale sistema, costituito da una via in forte pendenza, ai lati della quale si trovano
ancora i fori usati per i pali dove venivano avvolte e fatte scorrere le funi destinate a
frenare le slitte.
Nelle cave di marmo di Carrara la ‘lizzatura’ è stata in uso fino a epoche recenti.