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LA CITTA’ GRECA 
POLIS CLASSICA: ATENE 
POLIS ELLENISTICA: MILETO 
LA MAGNA GRECIA 
L’ABITAZIONE GRECA
1. POLIS CLASSICA 
La città greca ai suoi esordi (tra l’XI e la fine del VII secolo a.C.) ha un tracciato spontaneo e 
non risponde alla rigida geometrizzazione dell’architettura dei templi: non ha elementi 
precisi per una classificazione, l’urbanistica è casuale, mancano piani d’insieme. 
E’ un tracciato che accoglie suggerimenti dalle preesistenze e non esclude ma sollecita lo 
spettacolo della natura. 
In Grecia, la struttura originaria della città rifletteva simbolicamente l'organizzazione della società: 
la città-stato era sviluppata intorno a un centro religioso (acropoli), circondata da mura, torri e 
bastioni a difesa della sua particolare identità. 
Successivamente la città greca si evolve e risulta essere composta principalmente da tre parti 
fondamentali: 
1. l’acropoli: parte più alta della città e centro della vita religiosa (recinto sacro); 
2. l’agorà: centro della vita civile, politica e commerciale; 
piazza pubblica sulla quale si affacciavano solitamente un tempio, una sala delle assemblee 
(bouleutérion), un teatro e dei ginnasi; la piazza era delimitata da un colonnato (stoà). 
3. l’astu: la parte più bassa della città dove risiedono artigiani, commercianti e contadini. 
Lentamente, però, con un processo che si conclude verso la fine dell’VIII secolo a.C., all’interno 
della città la separazione fra le varie parti tende a sfumare, con il crescere di importanza della città 
bassa. 
Così, con il termine polis si finisce con l’indicare tutto il centro urbano con tutto il territorio 
circostante sottoposto ad un medesimo potere politico. 
Il centro della città classica è l'Acropoli, dove si trovano i templi e le costruzioni dedicate alle 
diverse divinità. 
Sotto la cinta muraria dell'Acropoli si estendeva disordinatamente la città vera e propria, 
lasciata a se stessa senza un disegno o una configurazione preordinata. 
Botteghe, abitazioni, stalle e baracche convivevano tutte ammassate in modo casuale. 
Le strade non erano lastricate, erano strette, buie e il passaggio era proibitivo per più di un uomo 
in sella a un asino. 
La conformazione geologica spesso implicava che le strade fossero tortuose e in salita. 
Non esistevano acquedotti e fognature inoltre erano poche le fontane da dove attingere acqua 
potabile. 
Infatti, esisteva solo una canalizzazione a cielo aperto e, dunque, gran parte delle case non era 
rifornita d'acqua da un sistema di tubazioni: per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico 
si faceva ricorso alle fontane, che erano affidate ad un funzionario eletto direttamente dai cittadini. 
La scarsità d'acqua e la difficoltà d'approvvigionamento favorivano l'insorgere di malattie. 
Quando la città è situata sui terreni di collina, si usa sovente un impianto a terrazzamenti 
degradanti, che costituiscono un complesso sistema di ripiani orizzontali disposti a diverso livello. 
La città (polis) del mondo classico è un organismo chiuso, alla cui vita partecipano i cittadini, 
che gestiscono e utilizzano le grandi strutture pubbliche quali l’agorà (centro civico commerciale), il 
gymnasium, gli stoà (portici di collegamento con funzione di ritrovo),
ATENE 
L’esempio più caratteristico delle città greche di questa prima fase è ATENE. 
La città di Atene è un esempio di città greca del continente che si è formata senza un Piano 
ordinato. 
Atene, alle origini, forse più che un centro unitario, era un insieme di quartieri posti a breve 
distanza l’uno dall’altro, che dovevano essere uniti da strade che seguivano le pendenze più 
accessibili, tra le alture che formavano la città. 
A questo agglomerato cittadino dovevano fare riscontro agglomerati urbani minori nel contado 
agricolo. 
Le fonti antiche parlano di Atene come di una città dalla vita estremamente caotica anche in epoca 
ellenistica, all’interno della quale non esisteva il concetto di spazio pubblico: solo progressivamente 
si impose la necessità di un’area per pubblica utilità arrivando alla sempre maggiore importanza 
dell’agorà. 
Quest’area, ai piedi dell’Acropoli (considerata santuario e fortezza), nel punto di passaggio e di 
incontro di vari quartieri socialmente eterogenei, era destinata per la sua stessa natura topografica 
a essere il centro ideale di Atene. 
L’acropoli andò assumendo sempre più il carattere di luogo di culto, mentre il resto della 
città era costituita da una serie di villaggi separati da necropoli, con una vita disordinata 
che confluiva nell’agorà. 
Atene non cambiò mai il suo aspetto caotico, e il notevole aumento della popolazione, le 
mura che la riunivano al mare, il Pireo, determinarono a partire dal V secolo la sua 
grandissima importanza, che si estendeva ai bordi dell’acropoli e verso il mare, su tutta la 
pianura.
ACROPOLI DI ATENE 
ATENE. ACROPOLI
ERETTEO
2. LA CITTÀ ELLENISTICA 
Lo spirito di razionalità dei Greci si applicherà, in periodo ellenistico, anche alla progettazione 
urbana. 
Infatti, in un periodo di tempo compreso tra la fine del V secolo a. C. e l’inizio del IV secolo a.C., la 
forma di molte città del mondo greco, anche continentale, subisce una trasformazione per opera di 
Ippodamo da Mileto, basata sull’applicazione della rigidità geometrica al tracciato urbano. 
La città ellenistica si presenta come un organismo aperto, sempre in divenire, dove si svolge oltre 
alla vita politica e culturale anche quella industriale e commerciale. 
In età ellenistica i legami tra città alta e città bassa si fanno più stretti; la vita urbana diventa più 
complessa e differenziata e la città si presenta come un organismo articolato. 
All’inizio del V secolo – vengono avanzate nuove proposte per la città, che prevedono l’impiego 
di schemi ortogonali e una precisa individuazione di aree destinate a funzioni specifiche di 
interesse collettivo. 
Questo schema era stato già attuato nel mondo orientale, mentre in Grecia la prima attuazione di 
uno schema basato su questi principi si riscontra ad opera di Ippodamo da Mileto, studioso di 
geometria, filosofo e autore di trattati urbanistici. 
L'architetto greco Ippodamo di Mileto, considerato il padre dell'urbanistica, progettò importanti 
insediamenti e strutture urbane, quali la città di Turi e il Pireo, sempre mirando a mettere in 
accordo l'estetica degli edifici con la loro destinazione; a lui si deve una prima teorizzazione 
della pianta urbana a maglia ortogonale, in cui le strade si intersecano ad angolo retto, 
indipendentemente dalla morfologia del territorio. 
Nel IV sec. a. C. visse, infatti, Ippodamo da Mileto che, per primo, teorizzò la necessità di 
costruire le città secondo schemi planimetrici regolari. 
La città viene suddivisa secondo uno schema scandito da assi ortogonali che definiscono 
lotti rettangolari o quadrati. 
Se fino ad allora nascevano prima le case, e lo spazio tra loro diveniva strada, con la 
pianificazione urbana teorizzata da Ippodamo da Mileto, venivano prima disegnate le strade, 
e poi, tra esse, trovavano posto gli edifici. 
Con ciò si potevano ottenere città con tracciati viari tra loro perpendicolari. 
La struttura ordinata degli assi viari consente di realizzare una distinzione tra le aree sacre, 
pubbliche e private; il dimensionamento viene fatto per 10.000 abitanti, considerato un limite 
invalicabile oltre il quale si doveva procedere alla fondazione di un’altra città. 
La scacchiera tipica ipotizzata da Ippodamo da Mileto si basava su tre assi longitudinali, detti 
decumani, e che procedevano in direzione est-ovest, intersecati da assi perpendicolari, detti 
cardi, secondo l’orientamento nord-sud.
L’intersezione di questi assi viari determinava isolati rettangolari dalla forma allungata, con una 
specifica individuazione delle destinazioni d’uso. 
Questo schema ippodameo fu applicato alla pianificazione di numerose città antiche, 
rappresentando il primo tentativo di razionalizzare lo sviluppo della città, anticipando così quello 
strumento urbanistico che oggi viene indicato come “Piano Regolatore”. 
Lo schema ippodameo, che si diffonde dal V secolo a.C. in poi, sarà utilizzato soprattutto nel 
periodo ellenistico. 
Caratterizza l’impianto urbano di questi centri una razionale sistemazione della struttura cittadina, 
diversificata nelle funzioni (ad ognuna delle quali corrisponde un’area ben definita). 
Le funzioni militari, civili, religiose, commerciali delle città dispongono ognuna di un’area autonoma; 
quella destinata alle funzioni civili occupa generalmente il centro della città. 
L’edilizia privata è livellata in funzione di quella pubblica. 
Questi elementi sono sottoposti a un piano unitario che prevede sia le unità di misura che regolano 
la ripartizione geometrica degli isolati, sia l’orientamento di essi, sia i piani di ampliamento urbano 
ottenuti suddividendo (già nel progetto) le aree (eventualmente lasciandole non costruite: la stessa 
Mileto ebbe una definizione, per quanto riguarda le aree pubbliche,solo in età romana). 
Per le nuove città sono previste le necessità relative ai singoli quartieri, non solo per il momento in 
cui essi vengono costruiti, ma anche quelle future, di sviluppo demografico (a volte trascorrono 
secoli prima di arrivare alla saturazione dei quartieri che, in qualche caso, non vengono mai 
occupati). 
In queste nuove città si moltiplicano i tipi degli edifici e i Greci si dedicano attentamente anche 
alla definizioni di altri tipi di edifici sempre collegati alla struttura organica della città e alle esigenze 
della vita comunitaria: 
la casa di civile abitazione, il teatro 
biblioteche l’agorà (centro politico-commerciale) 
lo stoà (porticati) il bouleuterion o Casa del consiglio 
le Sale dell’Assemblea Scuole Palestre 
e molte altre architetture per uso pubblico che partecipano alla definizione della polis greca. 
L’acropoli delle città ellenistiche decade dalla posizione privilegiata tipica delle città di età arcaica e 
classica. 
I mutamenti della tecnica di guerra impongono nuove soluzioni di difesa, le città sono circondate da 
mura massicce che le delimitano da ogni lato. 
Le acropoli nelle città di più antica fondazione assumono l’aspetto di cittadelle militari per una 
difesa contro sollevazioni interne più che per un attacco dal di fuori, e perdono le caratteristiche di 
centri religiosi e culturali. 
I santuari divengono solo luoghi di culto, distaccati dai centri culturali e commerciali, in aree ben 
definite, generalmente più piccole rispetto a quelle riservate ai centri commerciali ed amministrativi. 
A volte essi sorgono ai margini delle città, quasi ai limiti dell’abitato, in zone di notevole bellezza 
paesistica.
I santuari divengono solo luoghi di culto, distaccati dai centri culturali e commerciali, in aree ben 
definite, generalmente più piccole rispetto a quelle riservate ai centri commerciali ed amministrativi. 
A volte essi sorgono ai margini delle città, quasi ai limiti dell’abitato, in zone di notevole bellezza 
paesistica. 
Così come per le Acropoli e i Santuari, muta la struttura delle Agorà. 
Nella città ellenistica, soprattutto l’agorà assume un ruolo ancora più significativo di quello svolto 
nel mondo classico, acquisendo un carattere sempre più monumentale: in questo periodo si 
diffonde anche l’uso di strade fiancheggiate da portici (gallerie a colonne). 
Essa però non è più il luogo dove si convogliano tutti gli interessi cittadini, come nel caso di Atene 
in età classica. L’aumento del ritmo economico in alcune città impone una diversificazione della vita 
cittadina: l’agorà diventa in questo caso il centro commerciale delle nuove città, centro di traffico 
della sola vita economica (mentre nelle vecchie città l’agorà diventa una piazza monumentale), sui 
quattro lati è bordata di stoà, circondata da magazzini e dagli uffici delle singole corporazioni. 
La cultura si ritira dall’agorà. Così i Ginnasi, che nelle città classiche avevano la funzione di 
educazione fisica di massa, si trasferiscono nell’interno delle città, mutano la loro funzione, 
diventano, oltre che luoghi di esercitazione fisica (spazio per gli esercizi di corsa, lancio del disco, 
ecc.), centri di cultura di un ambiente selezionato. 
Architetture aperte possono considerarsi anche le palestre: è uno spazio chiuso per gli esercizi di 
lotta e di pugilato: spesso i due tipi, Ginnasio e Palestra, sono collegati, disponendosi gli ambienti 
chiusi intorno a uno spazio scoperto porticato. 
Collegata all’area del teatro è quella del bouleuterion (famoso quello di Mileto), per le assemblee 
popolari: risulta dall’innesto di una scala semicircolare, come quella dei teatri, su una corte 
quadrangolare porticata. 
Notevole, in età ellenistica, è lo sviluppo degli edifici per spettacoli: ne sorgono ovunque. 
L’anfiteatro, dedicato specialmente ai giochi ginnici, raddoppia la forma del teatro, che diventa un 
anello o un’ellisse intorno all’area delle gare. 
L’ordine urbanistico era legato all’ordine politico: quando la popolazione superava un 
numero stabilito dalle leggi, una parte di essa andava a fondare una nuova città. 
Il mondo ellenistico è un mondo di movimento, di relazioni, di scambi: la città che ne deriva 
è un organismo aperto e in continuo sviluppo: è luogo di produzione industriale, emporio 
commerciale, centro culturale. 
Gli edifici sono elementi di quella più grande architettura che è la città: perciò prendono 
valore le facciate, i portici, le scalee, i propilei, cioè tutti quei tipi che articolano gli spazi 
urbani. 
La società ellenistica, mutevole e in continuo fermento, dedita agli scambi commerciali e aperta a 
tutti gli apporti culturali, concepisce la città come un paesaggio architettonico. 
Con la tendenza a teorizzare che Ippodamo manifesta (dare una pianta logica e funzionale alle 
città democratiche) il mondo greco esce, per quanto riguarda la vita urbana, da quelle norme di 
casualità che avevano caratterizzato gli impianti più antichi. 
L’adozione di una pianta ordinata per una città è espressione dell’applicazione democratica di una 
serie di norme.
CITTA’ IPPODAMEE 
A Ippodamo di Mileto viene attribuita la progettazione di diverse città greche, tra cui Mileto, 
Olinto, Rodi, Priene ecc. 
Mileto 
La città di Mileto, patria di Ippodamo, ha una struttura ad assi ortogonali, che delimitano zone 
destinate a diverse attività. 
Costituisce il primo caso di città realizzata sulla base di un Piano basato sui principi 
ippodamei: è, infatti, la più caratteristica tra le città a pianta ortogonale. 
La città di Mileto sorge su una penisola frastagliata, che presenta notevoli variazioni 
altimetriche: probabilmente fu ricostruita intorno al 479 a.C., dopo la distruzione subita da parte 
dei Persiani. 
Sin dalla nuova fondazione, la nuova città di Mileto prevede uno sviluppo urbano sufficiente allora e 
in futuro (le zone pubbliche, i quartieri di abitazione vengono occupati lentamente). 
La nuova città fu realizzata adottando uno schema ortogonale, che definiva una scacchiera di lotti 
tutti uguali, che avevano la dimensione di circa 30X52 m, separati da strade larghe mediamente 
4,50m, ma tra le quali vi erano tre arterie maggiori larghe 7,50m (una in senso longitudinale e due 
in senso trasversale) che servivano come vie principali. 
In questo modo la morfologia del territorio venne fortemente razionalizzata. 
Quasi al centro di Mileto è una collina, ai lati della quale sono i due Porti principali: quello più 
settentrionale detto “del Leone”, quello meridionale dello “del Teatro”. 
Le differenze di livelli che caratterizzano la penisola non furono prese in considerazione nella 
suddivisione urbanistica della città, caratterizzata da un’ampia zona centrale che collega i due 
porti, nella quale sorgono gli edifici commerciali, religiosi, amministrativi, che servono le zone 
residenziali (una a nord, l’altra sulla collina tra i porti, la terza – più ampia – a sud). 
Le mura che circondano tutta la città si aprono a tenaglia all’ingresso del porto “del Leone”. 
Al centro dello schema ortogonale si inseriscono gli edifici dell’agorà a forma di L, con funzione 
politica, religiosa ed economica, collocata a diretto contatto con il Porto dei Leoni. 
I porti sono collegati dai Mercati, e attigui vi sono due Santuari: il Santuario di Apollo Delphinios 
( nord sul porto “del Leone”) e il Santuario di Athena (a sud sul porto “del Teatro”). 
Il ruolo di cerniera e di legame fra i diversi quartieri della città è affidato all’agorà,: attorno all’agorà 
ruotano le 3 aree residenziali. 
In posizione eccentrica rispetto alla città, su un declivio naturale, è collocato il Teatro. 
L’insabbiamento progressivo del porto portò all’abbandono della zona da parte della 
popolazione: destino comune con Priene ed Efeso.
LE CITTA’ DELLA MAGNA GRECIA 
Diversa è l’origine della pianta ortogonale nell’Italia meridionale e 
nella Sicilia. La ripartizione regolare era in quel caso una 
necessità: significava definire le esigenze dei coloni i quali, a 
breve tempo dal loro sbarco, divenivano forze produttive, con 
autonomia propria. 
La divisione regolare delle città della Magna Grecia e della Sicilia 
non era intesa a distinguere le funzioni di città che non 
presentavano all’inizio una differenziazione evidente, ma a 
regolare, in forma comunitaria, i coloni. 
LA COLONIZZAZIONE GRECA DEL MEDITERRANEO TRA L’VIII E IL VI 
SECOLO
LOCRI EPIZEFIRI
Locri Epizephyri. Veduta area dell'area archeologica 
TEATRO
I TEMPLI GRECI 
E 
GLI ORDINI ARCHITETTONICI
IL TEMPIO GRECO 
Il tempio può essere considerato la più impegnativa realizzazione dell'architettura greca: è una 
struttura architettonica utilizzata come luogo di culto. 
L'edificio vero e proprio era per i Greci la casa del dio (oikos), ovvero la cella (naos). Questa 
ospitava la statua della divinità nella quale il sacerdote era l'unico ad averne accesso, mentre il 
culto si svolgeva su un altare antistante, all'esterno di essa ed all'interno del recinto sacro 
(temenos) in cui si situava il tempio ed altri edifici ad esso connessi. 
Il tempio greco è sempre orientato est-ovest, con l'ingresso aperto verso est. In questa peculiarità 
si differenzia nettamente dai templi romani che sono invece orientati nord-sud, posti su di un alto 
podio cui si accede mediante un'ampia scalinata da sud. 
Sulla superficie superiore (stilobate) di una piattaforma, sopraelevata rispetto al terreno 
circostanze, per mezzo di pochi gradini (crepidoma) generalmente in numero di tre, si elevava la 
struttura della cella del tempio, caratterizzata dalle colonne. 
La disposizione delle colonne determina la classificazione dei tipi di pianta del tempio greco, che ci 
è stata tramandata da Vitruvio (De architectura, 3,2): 
• tempio in antis: sulla facciata sono presenti due colonne tra due ali di muro (ànte) che 
prolungano in avanti le pareti laterali della cella; 
• tempio doppiamente in antis: è un tempio in antis con l'opistodomo (opisthodomos) nella 
parte diametralmente opposta rispetto al pronao (pronaos); 
• tempio prostilo: la fronte della cella presenta un colonnato antistante (prostòon); 
• tempio anfiprostilo: sia la fronte che il retro della cella presentano il colonnato; 
• tempio periptero: il colonnato (ptèron) circonda tutti e quattro i lati della cella (naos) creando un 
porticato quadrangolare (peristasi); 
• tempio diptero: il porticato quadrangolare (peristasi) presenta, anche sui lati lunghi, una doppia 
fila di colonne; 
• tempio pseudodiptero: la peristasi presenta una sola fila di colonne, ma posta ad una distanza 
doppia rispetto ai muri della cella, ossia quando il tempio è circondato da un colonnato 
dell'ampiezza di due intercolumni; 
• tempio pseudoperiptero che ha una notevole diffusione in età ellenistica e quindi romana, 
caratterizzato da colonne della peristasi addossate come semicolonne o lesene ai muri esterni 
della cella che poteva in tal modo essere realizzata con una maggiore ampiezza; 
• tempio monoptero: quando il tempietto ha una forma circolare ed è privo di cella; 
• tempio a tholos: quando il tempietto circolare è provvisto di cella. 
A seconda del numero delle colonne presenti in facciata, il tempio è inoltre definito come 
"distilo" ("con due colonne"), "tetrastilo", "esastilo", "ottastilo" o persino "dodecastilo" 
(rispettivamente con quattro, sei, otto o dodici colonne sulla facciata). 
Il numero delle colonne laterali è proporzionato a quello delle colonne in facciata, e di solito è 
pari al doppio (raramente), al doppio + 1, o al doppio + 2 di esse: per esempio un tempio 
esastilo avrebbe normalmente dodici, o più frequentemente tredici o quattordici colonne sui lati 
lunghi.
I primi templi 
greci furono 
costruiti in legno 
Particolare della 
struttura in legno 
del tetto
I colonnati erano edificati sulla base del 
sistema trilitico, cioè "a tre pietre": due 
sostegni verticali ed un elemento 
orizzontale, che copre lo spazio tra i due. 
Da questo vengono elaborati i diversi ordini 
architettonici, caratterizzati da precisi 
rapporti proporzionali tra i diversi elementi 
che lo compongono. 
La colonna, costituita da capitello, fusto ed 
eventualmente base, è sormontata da una 
trabeazione, composta a sua volta da 
architrave, fregio e cornice. 
Sui lati corti, facciata e retro, gli spioventi del 
tetto determinano la presenza di un frontone, 
sul quale a sua volta poggiano - agli angoli e 
al vertice - statue decorative generalmente in 
terracotta dipinta, gli acroteri.
I templi greci in generale sono dei particolari esempi di illusione ottica. 
Per vedere il tempio così come possiamo ammirarlo (figura 1) gli antichi greci erano 
costretti ad edificarlo con la colonne non parallele e con il timpano arcuato come 
nella fig.2. 
La prospettiva imponeva di edificare in questo modo. 
Infatti se avessero rispettato il parallelismo delle colonne e la perpendicolarità del 
timpano avremmo visto il tempio come disegnato nella figura n.3.
Deformazioni architettoniche su stereobate e trabeazione per ottenere le 
relative correzioni ottiche
Lo spazio fra il colonnato in facciata e l'ingresso alla cella prende il nome di pronao 
(pronao o prodromos), mentre il corrispondente spazio sul retro della cella prende il 
nome di opistodomo. 
Nella cella (naos) era situata la statua della divinità. Quando vi è un'altra cella 
all'interno della cella (caratteristica soprattutto dei templi dorici in Sicilia), allora si 
parla di adyton.
Tipologie di Templi
Ordini dorico, ionico e corinzio
Esempio di capitello 
dorico
Tempio dorico
Prospetto e pianta: ricostruzione
IL TEMPIO DORICO DI ERA A SELINUNTE
Ricostruzione del tempio E 
Trabeazione e cornice del tempio E: 
ricostruzione
Vedute del prospetto principale e dettaglio
Ordine ionico: l'Eretteo sull'Acropoli di Atene
Eretteo sull'Acropoli di Atene
Il Partenone
ATENE. INTERNO del PARTENONE, ricostruzione.
Ordine dorico: il Partenone sull'Acropoli di Atene
Schema di capitello ionico
Schema di capitello corinzio
Ordine corinzio: Tempio di Zeus Olimpio
Tempio di Zeus Olimpio
Il teatro nella Grecia antica 
Il teatro nella Grecia antica si evolve da semplice spiazzo per il pubblico, a spazio delimitato 
(circolare o a trapezio) con panche di legno, infine ad opera architettonica vera e propria ( V 
secolo – IV secolo a.C.). 
Il teatro greco rimane sempre una struttura a cielo aperto. Già nei più antichi teatri si ritrovano le 
tre parti essenziali: 
1.la cavea (koilon), a pianta di settore circolare o ellittico (spesso eccedente la metà) nella quale 
sono disposte le gradinate, suddivise in settori, con i sedili di legno; in genere la cavea è addossata 
ad una collina per sfruttarne il pendio naturale; 
2.la scena (skené), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all'asse della 
cavea, inizialmente semplice e in legno, quindi sempre più complessa e abbellita da colonne, 
nicchie e frontoni, situata ad un livello più alto dell'orchestra con la quale comunica mediante scale; 
3.l'orchestra (orkhestra), circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena, è lo 
spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro e agli attori. 
4.le pàrodoi (passaggi laterali) sui due lati, tra la scena e l’orchestra, servivano da ingresso ai 
personaggi del coro. Spesso lievemente inclinate, arricchite da statue e dediche votive, utili agli 
attori e agli spettatori, chiuse da porte solo in età più tarda. Da quella di destra, per convenzione, 
entravano i personaggi provenienti dalla città, dall’altra di sinistra quelli che giungevano dalla 
campagna. 
Tra i teatri greci di cui rimangono notevoli testimonianze vi sono il di Epidauro, di Dioniso ad 
Atene, di Segesta, di Siracusa, di Delfi, di Taormina. 
Teatro di Epidauro
Santuario di Delfi (Grecia): Tempio di Apollo
TEATRO DI EPIDAURO
ESTRAZIONE DALLA CAVA - I FASE 
Il procedimento di estrazione viene avviato mediante l’iniziale 
individuazione del sito più idoneo con la rimozione dello 
strato di terriccio presente sulla superficie della roccia 
calcarea, con conseguente pulizia e livellazione del banco 
prescelto. 
Successivamente interviene l'opera delle maestranze che 
provvedono a tracciare la sagoma della circonferenza del 
rocchio che si vuole estrarre secondo le esigenze di cantiere.
ESTRAZIONE 
DALLA CAVA 
II FASE 
Si incideva il contorno dei tamburi, dai diametri prestabiliti. 
Dopo questa preparazione, attorno all'intaglio del contorno del rocchio si scavava, 
via via più profondo, un canale circolare largo circa 40-65-80 cm. 
In pratica la calcarenite viene frantumata a forza di braccia con colpi di scalpello e 
pian piano dopo tanta fatica degli scalpellini, così detti latomòi, affiora dal banco di 
pietra il moncone di colonna da trasportare al cantiere per i templi in costruzione. 
Il cordolo di pietra rimasto "in situ" tra i due canali doveva poi essere eliminato. 
Questo procedimento veniva continuato fino a raggiungere l'altezza del pezzo voluta, 
dipendente in larga misura dalla poderosità dello spessore dello strato estrattivo. 
In questo solco dovevano esser fatti penetrare dei cunei di metallo il più 
profondo possibile, fino a staccare il pezzo dalla roccia. 
Per staccare dal fondo il rocchio posteriore, si rendeva necessario provvedere prima 
allo stacco di quello anteriore. 
Dopo all'estrazione, si dovevano rovesciare i rocchi e allontanarli.
ESTRAZIONE DALLA CAVA - II FASE
ESTRAZIONE DALLA CAVA - III FASE 
Venuto fuori per intero il troncone di colonna preventivato secondo le misure richieste 
(generalmente 3m di diametro x 4m di altezza) si davano inizio alle operazioni di 
scalzamento del tronco alla base. 
Gli scalpellini incidevano alla base della colonna una marcata scanalatura contro la quale 
inserivano appositi cunei di legno su cui si versava dell’acqua per farli gonfiare: in questo 
modo i cunei gonfiati dall'acqua comprimevano le opposte pareti rocciose. 
Contemporaneamente dall'alto della colonna si operavano poderose spinte, mediante leve 
di grossi tronchi di legno, in sinergia con quelle alla base fino al completo distacco della 
colonna.
ESTRAZIONE DALLA CAVA - III FASE
ESTRAZIONE DALLA CAVA - IV FASE 
Allorquando il troncone di colonna era staccato dalla roccia alla 
base, questo veniva legato con robuste funi per adagiarlo, a 
forza di braccia e di leve, in posizione orizzontale su una slitta 
di legno capace non solo di reggere l'enorme peso (fino a 80 
tonnellate), ma anche di sopportare tutte le sollecitazioni 
relative al viaggio di trascinamento fino al cantiere dei templi.
ESTRAZIONE DALLA CAVA - IV FASE
TRASPORTO DALLA CAVA AL CANTIERE - V FASE 
In pianura il trasporto dei blocchi (o dei semilavorati) necessitava 
di sistemi di traino: nell’antico Egitto, essi erano effettuati tramite 
slitte trascinate dalla forza di centinaia di uomini, mentre 
nell’antichità classica e nelle epoche successive veniva 
generalmente impiegata energia animale. 
Un mulo non può trasportare più di kg.150 di materiale (vale a 
dire non più di due blocchi di cm 20x25x50 circa), mentre un paio 
di buoi è in grado di trainare un carro con un carico di circa 800 
kg; il trasporto di pesi maggiori era reso possibile 
moltiplicando gli animali aggiogati. 
Il traino di grandi blocchi, effettuato aggiogando molte coppie di 
buoi, era certamente in uso presso gli antichi Greci: lo studio 
della nota epigrafe che registra i conti per la costruzione del 
portico del telesterion di Eleusi, ad esempio, documenta l’impiego 
di 27-40 coppie di buoi per ogni viaggio.
TRASPORTO DALLA CAVA 
AL CANTIERE - V FASE 
In ogni epoca il costo del 
trasporto, in termini di 
fatica umana e di tempo, 
era tra i più alti di tutte le 
operazioni del cantiere. 
LIZZATURA 
Nei casi in cui la zona di 
estrazione si trovava in 
aree montane, la prima 
fase del trasporto era 
rappresentata dalla 
discesa dalla cava verso 
il piano, tramite percorsi 
che generalmente si 
effettuavano su forti 
pendenze, e lungo i quali 
i blocchi dovevano 
essere frenati. 
Un sistema frequente era 
l’approntamento di piste 
larghe qualche metro, 
costituite da piani inclinati 
(detti ‘lizze’), lungo le 
quali venivano fatti 
scendere i blocchi: i 
blocchi, pesanti anche 
oltre 25 tonnellate, 
venivano issati sopra 
slitte di legno di quercia 
di lunghezza variabile 
(anche sino a 12 metri). 
Le slitte venivano fatte scorrere su assi di legno ingrassato disposti trasversalmente, 
e venivano trattenute con grossi funi (dette canapi) agganciate ai bordi del percorso 
a corti pali di legno duro (piri) infissi nella roccia; il graduale allentamento delle funi 
consentiva un lento avanzamento dei carichi. 
Iniziata la discesa, con l’aiuto di leve, i ‘lizzatori’ che hanno preparato la carica con 
l’aiuto dei “manovali di lizza”, toglievano via via le traverse dietro e le disponevano 
davanti. 
Nelle cave greche del marmo pentelico si conservano straordinarie testimonianze 
di tale sistema, costituito da una via in forte pendenza, ai lati della quale si trovano 
ancora i fori usati per i pali dove venivano avvolte e fatte scorrere le funi destinate a 
frenare le slitte. 
Nelle cave di marmo di Carrara la ‘lizzatura’ è stata in uso fino a epoche recenti.
Cave di Cusa. Pianta ultimo settore
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3. ARCHITETTURA GRECA

  • 1. LA CITTA’ GRECA POLIS CLASSICA: ATENE POLIS ELLENISTICA: MILETO LA MAGNA GRECIA L’ABITAZIONE GRECA
  • 2. 1. POLIS CLASSICA La città greca ai suoi esordi (tra l’XI e la fine del VII secolo a.C.) ha un tracciato spontaneo e non risponde alla rigida geometrizzazione dell’architettura dei templi: non ha elementi precisi per una classificazione, l’urbanistica è casuale, mancano piani d’insieme. E’ un tracciato che accoglie suggerimenti dalle preesistenze e non esclude ma sollecita lo spettacolo della natura. In Grecia, la struttura originaria della città rifletteva simbolicamente l'organizzazione della società: la città-stato era sviluppata intorno a un centro religioso (acropoli), circondata da mura, torri e bastioni a difesa della sua particolare identità. Successivamente la città greca si evolve e risulta essere composta principalmente da tre parti fondamentali: 1. l’acropoli: parte più alta della città e centro della vita religiosa (recinto sacro); 2. l’agorà: centro della vita civile, politica e commerciale; piazza pubblica sulla quale si affacciavano solitamente un tempio, una sala delle assemblee (bouleutérion), un teatro e dei ginnasi; la piazza era delimitata da un colonnato (stoà). 3. l’astu: la parte più bassa della città dove risiedono artigiani, commercianti e contadini. Lentamente, però, con un processo che si conclude verso la fine dell’VIII secolo a.C., all’interno della città la separazione fra le varie parti tende a sfumare, con il crescere di importanza della città bassa. Così, con il termine polis si finisce con l’indicare tutto il centro urbano con tutto il territorio circostante sottoposto ad un medesimo potere politico. Il centro della città classica è l'Acropoli, dove si trovano i templi e le costruzioni dedicate alle diverse divinità. Sotto la cinta muraria dell'Acropoli si estendeva disordinatamente la città vera e propria, lasciata a se stessa senza un disegno o una configurazione preordinata. Botteghe, abitazioni, stalle e baracche convivevano tutte ammassate in modo casuale. Le strade non erano lastricate, erano strette, buie e il passaggio era proibitivo per più di un uomo in sella a un asino. La conformazione geologica spesso implicava che le strade fossero tortuose e in salita. Non esistevano acquedotti e fognature inoltre erano poche le fontane da dove attingere acqua potabile. Infatti, esisteva solo una canalizzazione a cielo aperto e, dunque, gran parte delle case non era rifornita d'acqua da un sistema di tubazioni: per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico si faceva ricorso alle fontane, che erano affidate ad un funzionario eletto direttamente dai cittadini. La scarsità d'acqua e la difficoltà d'approvvigionamento favorivano l'insorgere di malattie. Quando la città è situata sui terreni di collina, si usa sovente un impianto a terrazzamenti degradanti, che costituiscono un complesso sistema di ripiani orizzontali disposti a diverso livello. La città (polis) del mondo classico è un organismo chiuso, alla cui vita partecipano i cittadini, che gestiscono e utilizzano le grandi strutture pubbliche quali l’agorà (centro civico commerciale), il gymnasium, gli stoà (portici di collegamento con funzione di ritrovo),
  • 3. ATENE L’esempio più caratteristico delle città greche di questa prima fase è ATENE. La città di Atene è un esempio di città greca del continente che si è formata senza un Piano ordinato. Atene, alle origini, forse più che un centro unitario, era un insieme di quartieri posti a breve distanza l’uno dall’altro, che dovevano essere uniti da strade che seguivano le pendenze più accessibili, tra le alture che formavano la città. A questo agglomerato cittadino dovevano fare riscontro agglomerati urbani minori nel contado agricolo. Le fonti antiche parlano di Atene come di una città dalla vita estremamente caotica anche in epoca ellenistica, all’interno della quale non esisteva il concetto di spazio pubblico: solo progressivamente si impose la necessità di un’area per pubblica utilità arrivando alla sempre maggiore importanza dell’agorà. Quest’area, ai piedi dell’Acropoli (considerata santuario e fortezza), nel punto di passaggio e di incontro di vari quartieri socialmente eterogenei, era destinata per la sua stessa natura topografica a essere il centro ideale di Atene. L’acropoli andò assumendo sempre più il carattere di luogo di culto, mentre il resto della città era costituita da una serie di villaggi separati da necropoli, con una vita disordinata che confluiva nell’agorà. Atene non cambiò mai il suo aspetto caotico, e il notevole aumento della popolazione, le mura che la riunivano al mare, il Pireo, determinarono a partire dal V secolo la sua grandissima importanza, che si estendeva ai bordi dell’acropoli e verso il mare, su tutta la pianura.
  • 4.
  • 5.
  • 6. ACROPOLI DI ATENE ATENE. ACROPOLI
  • 7.
  • 8.
  • 9.
  • 11. 2. LA CITTÀ ELLENISTICA Lo spirito di razionalità dei Greci si applicherà, in periodo ellenistico, anche alla progettazione urbana. Infatti, in un periodo di tempo compreso tra la fine del V secolo a. C. e l’inizio del IV secolo a.C., la forma di molte città del mondo greco, anche continentale, subisce una trasformazione per opera di Ippodamo da Mileto, basata sull’applicazione della rigidità geometrica al tracciato urbano. La città ellenistica si presenta come un organismo aperto, sempre in divenire, dove si svolge oltre alla vita politica e culturale anche quella industriale e commerciale. In età ellenistica i legami tra città alta e città bassa si fanno più stretti; la vita urbana diventa più complessa e differenziata e la città si presenta come un organismo articolato. All’inizio del V secolo – vengono avanzate nuove proposte per la città, che prevedono l’impiego di schemi ortogonali e una precisa individuazione di aree destinate a funzioni specifiche di interesse collettivo. Questo schema era stato già attuato nel mondo orientale, mentre in Grecia la prima attuazione di uno schema basato su questi principi si riscontra ad opera di Ippodamo da Mileto, studioso di geometria, filosofo e autore di trattati urbanistici. L'architetto greco Ippodamo di Mileto, considerato il padre dell'urbanistica, progettò importanti insediamenti e strutture urbane, quali la città di Turi e il Pireo, sempre mirando a mettere in accordo l'estetica degli edifici con la loro destinazione; a lui si deve una prima teorizzazione della pianta urbana a maglia ortogonale, in cui le strade si intersecano ad angolo retto, indipendentemente dalla morfologia del territorio. Nel IV sec. a. C. visse, infatti, Ippodamo da Mileto che, per primo, teorizzò la necessità di costruire le città secondo schemi planimetrici regolari. La città viene suddivisa secondo uno schema scandito da assi ortogonali che definiscono lotti rettangolari o quadrati. Se fino ad allora nascevano prima le case, e lo spazio tra loro diveniva strada, con la pianificazione urbana teorizzata da Ippodamo da Mileto, venivano prima disegnate le strade, e poi, tra esse, trovavano posto gli edifici. Con ciò si potevano ottenere città con tracciati viari tra loro perpendicolari. La struttura ordinata degli assi viari consente di realizzare una distinzione tra le aree sacre, pubbliche e private; il dimensionamento viene fatto per 10.000 abitanti, considerato un limite invalicabile oltre il quale si doveva procedere alla fondazione di un’altra città. La scacchiera tipica ipotizzata da Ippodamo da Mileto si basava su tre assi longitudinali, detti decumani, e che procedevano in direzione est-ovest, intersecati da assi perpendicolari, detti cardi, secondo l’orientamento nord-sud.
  • 12. L’intersezione di questi assi viari determinava isolati rettangolari dalla forma allungata, con una specifica individuazione delle destinazioni d’uso. Questo schema ippodameo fu applicato alla pianificazione di numerose città antiche, rappresentando il primo tentativo di razionalizzare lo sviluppo della città, anticipando così quello strumento urbanistico che oggi viene indicato come “Piano Regolatore”. Lo schema ippodameo, che si diffonde dal V secolo a.C. in poi, sarà utilizzato soprattutto nel periodo ellenistico. Caratterizza l’impianto urbano di questi centri una razionale sistemazione della struttura cittadina, diversificata nelle funzioni (ad ognuna delle quali corrisponde un’area ben definita). Le funzioni militari, civili, religiose, commerciali delle città dispongono ognuna di un’area autonoma; quella destinata alle funzioni civili occupa generalmente il centro della città. L’edilizia privata è livellata in funzione di quella pubblica. Questi elementi sono sottoposti a un piano unitario che prevede sia le unità di misura che regolano la ripartizione geometrica degli isolati, sia l’orientamento di essi, sia i piani di ampliamento urbano ottenuti suddividendo (già nel progetto) le aree (eventualmente lasciandole non costruite: la stessa Mileto ebbe una definizione, per quanto riguarda le aree pubbliche,solo in età romana). Per le nuove città sono previste le necessità relative ai singoli quartieri, non solo per il momento in cui essi vengono costruiti, ma anche quelle future, di sviluppo demografico (a volte trascorrono secoli prima di arrivare alla saturazione dei quartieri che, in qualche caso, non vengono mai occupati). In queste nuove città si moltiplicano i tipi degli edifici e i Greci si dedicano attentamente anche alla definizioni di altri tipi di edifici sempre collegati alla struttura organica della città e alle esigenze della vita comunitaria: la casa di civile abitazione, il teatro biblioteche l’agorà (centro politico-commerciale) lo stoà (porticati) il bouleuterion o Casa del consiglio le Sale dell’Assemblea Scuole Palestre e molte altre architetture per uso pubblico che partecipano alla definizione della polis greca. L’acropoli delle città ellenistiche decade dalla posizione privilegiata tipica delle città di età arcaica e classica. I mutamenti della tecnica di guerra impongono nuove soluzioni di difesa, le città sono circondate da mura massicce che le delimitano da ogni lato. Le acropoli nelle città di più antica fondazione assumono l’aspetto di cittadelle militari per una difesa contro sollevazioni interne più che per un attacco dal di fuori, e perdono le caratteristiche di centri religiosi e culturali. I santuari divengono solo luoghi di culto, distaccati dai centri culturali e commerciali, in aree ben definite, generalmente più piccole rispetto a quelle riservate ai centri commerciali ed amministrativi. A volte essi sorgono ai margini delle città, quasi ai limiti dell’abitato, in zone di notevole bellezza paesistica.
  • 13. I santuari divengono solo luoghi di culto, distaccati dai centri culturali e commerciali, in aree ben definite, generalmente più piccole rispetto a quelle riservate ai centri commerciali ed amministrativi. A volte essi sorgono ai margini delle città, quasi ai limiti dell’abitato, in zone di notevole bellezza paesistica. Così come per le Acropoli e i Santuari, muta la struttura delle Agorà. Nella città ellenistica, soprattutto l’agorà assume un ruolo ancora più significativo di quello svolto nel mondo classico, acquisendo un carattere sempre più monumentale: in questo periodo si diffonde anche l’uso di strade fiancheggiate da portici (gallerie a colonne). Essa però non è più il luogo dove si convogliano tutti gli interessi cittadini, come nel caso di Atene in età classica. L’aumento del ritmo economico in alcune città impone una diversificazione della vita cittadina: l’agorà diventa in questo caso il centro commerciale delle nuove città, centro di traffico della sola vita economica (mentre nelle vecchie città l’agorà diventa una piazza monumentale), sui quattro lati è bordata di stoà, circondata da magazzini e dagli uffici delle singole corporazioni. La cultura si ritira dall’agorà. Così i Ginnasi, che nelle città classiche avevano la funzione di educazione fisica di massa, si trasferiscono nell’interno delle città, mutano la loro funzione, diventano, oltre che luoghi di esercitazione fisica (spazio per gli esercizi di corsa, lancio del disco, ecc.), centri di cultura di un ambiente selezionato. Architetture aperte possono considerarsi anche le palestre: è uno spazio chiuso per gli esercizi di lotta e di pugilato: spesso i due tipi, Ginnasio e Palestra, sono collegati, disponendosi gli ambienti chiusi intorno a uno spazio scoperto porticato. Collegata all’area del teatro è quella del bouleuterion (famoso quello di Mileto), per le assemblee popolari: risulta dall’innesto di una scala semicircolare, come quella dei teatri, su una corte quadrangolare porticata. Notevole, in età ellenistica, è lo sviluppo degli edifici per spettacoli: ne sorgono ovunque. L’anfiteatro, dedicato specialmente ai giochi ginnici, raddoppia la forma del teatro, che diventa un anello o un’ellisse intorno all’area delle gare. L’ordine urbanistico era legato all’ordine politico: quando la popolazione superava un numero stabilito dalle leggi, una parte di essa andava a fondare una nuova città. Il mondo ellenistico è un mondo di movimento, di relazioni, di scambi: la città che ne deriva è un organismo aperto e in continuo sviluppo: è luogo di produzione industriale, emporio commerciale, centro culturale. Gli edifici sono elementi di quella più grande architettura che è la città: perciò prendono valore le facciate, i portici, le scalee, i propilei, cioè tutti quei tipi che articolano gli spazi urbani. La società ellenistica, mutevole e in continuo fermento, dedita agli scambi commerciali e aperta a tutti gli apporti culturali, concepisce la città come un paesaggio architettonico. Con la tendenza a teorizzare che Ippodamo manifesta (dare una pianta logica e funzionale alle città democratiche) il mondo greco esce, per quanto riguarda la vita urbana, da quelle norme di casualità che avevano caratterizzato gli impianti più antichi. L’adozione di una pianta ordinata per una città è espressione dell’applicazione democratica di una serie di norme.
  • 14. CITTA’ IPPODAMEE A Ippodamo di Mileto viene attribuita la progettazione di diverse città greche, tra cui Mileto, Olinto, Rodi, Priene ecc. Mileto La città di Mileto, patria di Ippodamo, ha una struttura ad assi ortogonali, che delimitano zone destinate a diverse attività. Costituisce il primo caso di città realizzata sulla base di un Piano basato sui principi ippodamei: è, infatti, la più caratteristica tra le città a pianta ortogonale. La città di Mileto sorge su una penisola frastagliata, che presenta notevoli variazioni altimetriche: probabilmente fu ricostruita intorno al 479 a.C., dopo la distruzione subita da parte dei Persiani. Sin dalla nuova fondazione, la nuova città di Mileto prevede uno sviluppo urbano sufficiente allora e in futuro (le zone pubbliche, i quartieri di abitazione vengono occupati lentamente). La nuova città fu realizzata adottando uno schema ortogonale, che definiva una scacchiera di lotti tutti uguali, che avevano la dimensione di circa 30X52 m, separati da strade larghe mediamente 4,50m, ma tra le quali vi erano tre arterie maggiori larghe 7,50m (una in senso longitudinale e due in senso trasversale) che servivano come vie principali. In questo modo la morfologia del territorio venne fortemente razionalizzata. Quasi al centro di Mileto è una collina, ai lati della quale sono i due Porti principali: quello più settentrionale detto “del Leone”, quello meridionale dello “del Teatro”. Le differenze di livelli che caratterizzano la penisola non furono prese in considerazione nella suddivisione urbanistica della città, caratterizzata da un’ampia zona centrale che collega i due porti, nella quale sorgono gli edifici commerciali, religiosi, amministrativi, che servono le zone residenziali (una a nord, l’altra sulla collina tra i porti, la terza – più ampia – a sud). Le mura che circondano tutta la città si aprono a tenaglia all’ingresso del porto “del Leone”. Al centro dello schema ortogonale si inseriscono gli edifici dell’agorà a forma di L, con funzione politica, religiosa ed economica, collocata a diretto contatto con il Porto dei Leoni. I porti sono collegati dai Mercati, e attigui vi sono due Santuari: il Santuario di Apollo Delphinios ( nord sul porto “del Leone”) e il Santuario di Athena (a sud sul porto “del Teatro”). Il ruolo di cerniera e di legame fra i diversi quartieri della città è affidato all’agorà,: attorno all’agorà ruotano le 3 aree residenziali. In posizione eccentrica rispetto alla città, su un declivio naturale, è collocato il Teatro. L’insabbiamento progressivo del porto portò all’abbandono della zona da parte della popolazione: destino comune con Priene ed Efeso.
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  • 16. LE CITTA’ DELLA MAGNA GRECIA Diversa è l’origine della pianta ortogonale nell’Italia meridionale e nella Sicilia. La ripartizione regolare era in quel caso una necessità: significava definire le esigenze dei coloni i quali, a breve tempo dal loro sbarco, divenivano forze produttive, con autonomia propria. La divisione regolare delle città della Magna Grecia e della Sicilia non era intesa a distinguere le funzioni di città che non presentavano all’inizio una differenziazione evidente, ma a regolare, in forma comunitaria, i coloni. LA COLONIZZAZIONE GRECA DEL MEDITERRANEO TRA L’VIII E IL VI SECOLO
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  • 20. Locri Epizephyri. Veduta area dell'area archeologica TEATRO
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  • 22. I TEMPLI GRECI E GLI ORDINI ARCHITETTONICI
  • 23. IL TEMPIO GRECO Il tempio può essere considerato la più impegnativa realizzazione dell'architettura greca: è una struttura architettonica utilizzata come luogo di culto. L'edificio vero e proprio era per i Greci la casa del dio (oikos), ovvero la cella (naos). Questa ospitava la statua della divinità nella quale il sacerdote era l'unico ad averne accesso, mentre il culto si svolgeva su un altare antistante, all'esterno di essa ed all'interno del recinto sacro (temenos) in cui si situava il tempio ed altri edifici ad esso connessi. Il tempio greco è sempre orientato est-ovest, con l'ingresso aperto verso est. In questa peculiarità si differenzia nettamente dai templi romani che sono invece orientati nord-sud, posti su di un alto podio cui si accede mediante un'ampia scalinata da sud. Sulla superficie superiore (stilobate) di una piattaforma, sopraelevata rispetto al terreno circostanze, per mezzo di pochi gradini (crepidoma) generalmente in numero di tre, si elevava la struttura della cella del tempio, caratterizzata dalle colonne. La disposizione delle colonne determina la classificazione dei tipi di pianta del tempio greco, che ci è stata tramandata da Vitruvio (De architectura, 3,2): • tempio in antis: sulla facciata sono presenti due colonne tra due ali di muro (ànte) che prolungano in avanti le pareti laterali della cella; • tempio doppiamente in antis: è un tempio in antis con l'opistodomo (opisthodomos) nella parte diametralmente opposta rispetto al pronao (pronaos); • tempio prostilo: la fronte della cella presenta un colonnato antistante (prostòon); • tempio anfiprostilo: sia la fronte che il retro della cella presentano il colonnato; • tempio periptero: il colonnato (ptèron) circonda tutti e quattro i lati della cella (naos) creando un porticato quadrangolare (peristasi); • tempio diptero: il porticato quadrangolare (peristasi) presenta, anche sui lati lunghi, una doppia fila di colonne; • tempio pseudodiptero: la peristasi presenta una sola fila di colonne, ma posta ad una distanza doppia rispetto ai muri della cella, ossia quando il tempio è circondato da un colonnato dell'ampiezza di due intercolumni; • tempio pseudoperiptero che ha una notevole diffusione in età ellenistica e quindi romana, caratterizzato da colonne della peristasi addossate come semicolonne o lesene ai muri esterni della cella che poteva in tal modo essere realizzata con una maggiore ampiezza; • tempio monoptero: quando il tempietto ha una forma circolare ed è privo di cella; • tempio a tholos: quando il tempietto circolare è provvisto di cella. A seconda del numero delle colonne presenti in facciata, il tempio è inoltre definito come "distilo" ("con due colonne"), "tetrastilo", "esastilo", "ottastilo" o persino "dodecastilo" (rispettivamente con quattro, sei, otto o dodici colonne sulla facciata). Il numero delle colonne laterali è proporzionato a quello delle colonne in facciata, e di solito è pari al doppio (raramente), al doppio + 1, o al doppio + 2 di esse: per esempio un tempio esastilo avrebbe normalmente dodici, o più frequentemente tredici o quattordici colonne sui lati lunghi.
  • 24. I primi templi greci furono costruiti in legno Particolare della struttura in legno del tetto
  • 25. I colonnati erano edificati sulla base del sistema trilitico, cioè "a tre pietre": due sostegni verticali ed un elemento orizzontale, che copre lo spazio tra i due. Da questo vengono elaborati i diversi ordini architettonici, caratterizzati da precisi rapporti proporzionali tra i diversi elementi che lo compongono. La colonna, costituita da capitello, fusto ed eventualmente base, è sormontata da una trabeazione, composta a sua volta da architrave, fregio e cornice. Sui lati corti, facciata e retro, gli spioventi del tetto determinano la presenza di un frontone, sul quale a sua volta poggiano - agli angoli e al vertice - statue decorative generalmente in terracotta dipinta, gli acroteri.
  • 26. I templi greci in generale sono dei particolari esempi di illusione ottica. Per vedere il tempio così come possiamo ammirarlo (figura 1) gli antichi greci erano costretti ad edificarlo con la colonne non parallele e con il timpano arcuato come nella fig.2. La prospettiva imponeva di edificare in questo modo. Infatti se avessero rispettato il parallelismo delle colonne e la perpendicolarità del timpano avremmo visto il tempio come disegnato nella figura n.3.
  • 27. Deformazioni architettoniche su stereobate e trabeazione per ottenere le relative correzioni ottiche
  • 28. Lo spazio fra il colonnato in facciata e l'ingresso alla cella prende il nome di pronao (pronao o prodromos), mentre il corrispondente spazio sul retro della cella prende il nome di opistodomo. Nella cella (naos) era situata la statua della divinità. Quando vi è un'altra cella all'interno della cella (caratteristica soprattutto dei templi dorici in Sicilia), allora si parla di adyton.
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  • 34. Ordini dorico, ionico e corinzio
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  • 40. Prospetto e pianta: ricostruzione
  • 41. IL TEMPIO DORICO DI ERA A SELINUNTE
  • 42. Ricostruzione del tempio E Trabeazione e cornice del tempio E: ricostruzione
  • 43. Vedute del prospetto principale e dettaglio
  • 44. Ordine ionico: l'Eretteo sull'Acropoli di Atene
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  • 49. ATENE. INTERNO del PARTENONE, ricostruzione.
  • 50. Ordine dorico: il Partenone sull'Acropoli di Atene
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  • 55. Ordine corinzio: Tempio di Zeus Olimpio
  • 56. Tempio di Zeus Olimpio
  • 57. Il teatro nella Grecia antica Il teatro nella Grecia antica si evolve da semplice spiazzo per il pubblico, a spazio delimitato (circolare o a trapezio) con panche di legno, infine ad opera architettonica vera e propria ( V secolo – IV secolo a.C.). Il teatro greco rimane sempre una struttura a cielo aperto. Già nei più antichi teatri si ritrovano le tre parti essenziali: 1.la cavea (koilon), a pianta di settore circolare o ellittico (spesso eccedente la metà) nella quale sono disposte le gradinate, suddivise in settori, con i sedili di legno; in genere la cavea è addossata ad una collina per sfruttarne il pendio naturale; 2.la scena (skené), costruzione a pianta allungata, disposta perpendicolarmente all'asse della cavea, inizialmente semplice e in legno, quindi sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni, situata ad un livello più alto dell'orchestra con la quale comunica mediante scale; 3.l'orchestra (orkhestra), circolare, collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena, è lo spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro e agli attori. 4.le pàrodoi (passaggi laterali) sui due lati, tra la scena e l’orchestra, servivano da ingresso ai personaggi del coro. Spesso lievemente inclinate, arricchite da statue e dediche votive, utili agli attori e agli spettatori, chiuse da porte solo in età più tarda. Da quella di destra, per convenzione, entravano i personaggi provenienti dalla città, dall’altra di sinistra quelli che giungevano dalla campagna. Tra i teatri greci di cui rimangono notevoli testimonianze vi sono il di Epidauro, di Dioniso ad Atene, di Segesta, di Siracusa, di Delfi, di Taormina. Teatro di Epidauro
  • 58. Santuario di Delfi (Grecia): Tempio di Apollo
  • 60. ESTRAZIONE DALLA CAVA - I FASE Il procedimento di estrazione viene avviato mediante l’iniziale individuazione del sito più idoneo con la rimozione dello strato di terriccio presente sulla superficie della roccia calcarea, con conseguente pulizia e livellazione del banco prescelto. Successivamente interviene l'opera delle maestranze che provvedono a tracciare la sagoma della circonferenza del rocchio che si vuole estrarre secondo le esigenze di cantiere.
  • 61. ESTRAZIONE DALLA CAVA II FASE Si incideva il contorno dei tamburi, dai diametri prestabiliti. Dopo questa preparazione, attorno all'intaglio del contorno del rocchio si scavava, via via più profondo, un canale circolare largo circa 40-65-80 cm. In pratica la calcarenite viene frantumata a forza di braccia con colpi di scalpello e pian piano dopo tanta fatica degli scalpellini, così detti latomòi, affiora dal banco di pietra il moncone di colonna da trasportare al cantiere per i templi in costruzione. Il cordolo di pietra rimasto "in situ" tra i due canali doveva poi essere eliminato. Questo procedimento veniva continuato fino a raggiungere l'altezza del pezzo voluta, dipendente in larga misura dalla poderosità dello spessore dello strato estrattivo. In questo solco dovevano esser fatti penetrare dei cunei di metallo il più profondo possibile, fino a staccare il pezzo dalla roccia. Per staccare dal fondo il rocchio posteriore, si rendeva necessario provvedere prima allo stacco di quello anteriore. Dopo all'estrazione, si dovevano rovesciare i rocchi e allontanarli.
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  • 64. ESTRAZIONE DALLA CAVA - III FASE Venuto fuori per intero il troncone di colonna preventivato secondo le misure richieste (generalmente 3m di diametro x 4m di altezza) si davano inizio alle operazioni di scalzamento del tronco alla base. Gli scalpellini incidevano alla base della colonna una marcata scanalatura contro la quale inserivano appositi cunei di legno su cui si versava dell’acqua per farli gonfiare: in questo modo i cunei gonfiati dall'acqua comprimevano le opposte pareti rocciose. Contemporaneamente dall'alto della colonna si operavano poderose spinte, mediante leve di grossi tronchi di legno, in sinergia con quelle alla base fino al completo distacco della colonna.
  • 65. ESTRAZIONE DALLA CAVA - III FASE
  • 66. ESTRAZIONE DALLA CAVA - IV FASE Allorquando il troncone di colonna era staccato dalla roccia alla base, questo veniva legato con robuste funi per adagiarlo, a forza di braccia e di leve, in posizione orizzontale su una slitta di legno capace non solo di reggere l'enorme peso (fino a 80 tonnellate), ma anche di sopportare tutte le sollecitazioni relative al viaggio di trascinamento fino al cantiere dei templi.
  • 68. TRASPORTO DALLA CAVA AL CANTIERE - V FASE In pianura il trasporto dei blocchi (o dei semilavorati) necessitava di sistemi di traino: nell’antico Egitto, essi erano effettuati tramite slitte trascinate dalla forza di centinaia di uomini, mentre nell’antichità classica e nelle epoche successive veniva generalmente impiegata energia animale. Un mulo non può trasportare più di kg.150 di materiale (vale a dire non più di due blocchi di cm 20x25x50 circa), mentre un paio di buoi è in grado di trainare un carro con un carico di circa 800 kg; il trasporto di pesi maggiori era reso possibile moltiplicando gli animali aggiogati. Il traino di grandi blocchi, effettuato aggiogando molte coppie di buoi, era certamente in uso presso gli antichi Greci: lo studio della nota epigrafe che registra i conti per la costruzione del portico del telesterion di Eleusi, ad esempio, documenta l’impiego di 27-40 coppie di buoi per ogni viaggio.
  • 69. TRASPORTO DALLA CAVA AL CANTIERE - V FASE In ogni epoca il costo del trasporto, in termini di fatica umana e di tempo, era tra i più alti di tutte le operazioni del cantiere. LIZZATURA Nei casi in cui la zona di estrazione si trovava in aree montane, la prima fase del trasporto era rappresentata dalla discesa dalla cava verso il piano, tramite percorsi che generalmente si effettuavano su forti pendenze, e lungo i quali i blocchi dovevano essere frenati. Un sistema frequente era l’approntamento di piste larghe qualche metro, costituite da piani inclinati (detti ‘lizze’), lungo le quali venivano fatti scendere i blocchi: i blocchi, pesanti anche oltre 25 tonnellate, venivano issati sopra slitte di legno di quercia di lunghezza variabile (anche sino a 12 metri). Le slitte venivano fatte scorrere su assi di legno ingrassato disposti trasversalmente, e venivano trattenute con grossi funi (dette canapi) agganciate ai bordi del percorso a corti pali di legno duro (piri) infissi nella roccia; il graduale allentamento delle funi consentiva un lento avanzamento dei carichi. Iniziata la discesa, con l’aiuto di leve, i ‘lizzatori’ che hanno preparato la carica con l’aiuto dei “manovali di lizza”, toglievano via via le traverse dietro e le disponevano davanti. Nelle cave greche del marmo pentelico si conservano straordinarie testimonianze di tale sistema, costituito da una via in forte pendenza, ai lati della quale si trovano ancora i fori usati per i pali dove venivano avvolte e fatte scorrere le funi destinate a frenare le slitte. Nelle cave di marmo di Carrara la ‘lizzatura’ è stata in uso fino a epoche recenti.
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  • 71. Cave di Cusa. Pianta ultimo settore