SlideShare a Scribd company logo
1 of 61
Download to read offline
Alma Mater Studiorum · Universit`a di Bologna
FACOLT`A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
Corso di Laurea in Matematica
SULL’INVERTIBILIT´A GLOBALE
Tesi di Laurea in Analisi Matematica
Relatore:
Chiarissimo Professor
Ermanno Lanconelli
Presentata da
Jacopo Lanzoni
I sessione
Anno Accademico 2007-2008
A mio fratello Gregorio
A mio nonno Flavio
Indice
Introduzione 5
1 Il differenziale di Fr´echet 7
2 Il differenziale di Gˆateaux 11
3 La propriet`a di prolungamento 15
4 Invertibilit`a globale di funzioni continue 19
5 Invertibilit`a globale di funzioni differenziabili 21
6 Funzioni coercive in norma e Teorema di Caccioppoli 25
7 Estensioni del teorema di invertibilit`a locale 27
8 Estensioni del teorema di invertibilit`a globale 35
9 Estensioni dell’invertibilit`a globale per applicazioni differenziabili 39
10 Esempi notevoli 45
10.1 Esempio I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
10.2 Esempio II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
10.3 Esempio III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
A Contrazioni in uno spazio metrico 55
3
4
Introduzione
L’obiettivo di questa tesi `e lo studio dell’invertibilit`a globale delle funzioni tra spazi
di Banach. I risultati di carattere teorico sono accompagnati da esempi concreti, in
particolare da applicazioni alle equazioni differenziali.
Per rendere questa trattazione autosufficiente, comincer`o con l’esporre alcune nozioni
di base riguardanti il calcolo differenziale tra spazi di Banach (capp. 1 e 2). Nel capitolo
3 introduco la propriet`a di prolungamento per applicazioni continue, che utilizzer`o nel
capitolo 4 per caratterizzare l’invertibilit`a globale delle funzioni continue tra spazi di
Banach. Terminata la trattazione per le funzioni continue, nel capitolo 5 studio l’inverti-
bilit`a globale di applicazioni differenziabili, esponendo e dimostrando il classico teorema
di Hadamard. Nel capitolo 6 introduco la nozione di coercivit`a per applicazioni tra spazi
di Banach, con cui si possono dimostrare altri teoremi di invertibilit`a globale, come il
teorema di Caccioppoli. Espongo poi alcune generalizzazioni dei teoremi di invertibilit`a
fino qui ottenuti: il capitolo 7 `e dedicato all’invertibilit`a locale, mentre i capitoli 8 e 9
riguardano l’invertibilit`a globale di applicazioni rispettivamente continue e differenziabili.
Nel capitolo 10 infine esporr`o alcuni esempi di applicazione dei teoremi di suriettivit`a e
di invertibilit`a globale alla teoria delle equazioni differenziali ordinarie.
5
6
Capitolo 1
Il differenziale di Fr´echet
Siano X ed Y spazi di Banach reali e sia Ω un aperto di X.
Definizione 1.1 (Differenziale di Fr´echet). Si dice che un’applicazione f : Ω → Y
`e differenziabile secondo Fr´echet in x0 ∈ Ω se esiste un’applicazione lineare continua
A : X → Y detta differenziale, tale che si abbia
f(x0 + h) = f(x0) + Ah + σ(h) (1.1)
con σ(h) = o( h ).
Osservazione 1. Il differenziale `e unico: infatti, se A1 e A2 sono due applicazioni lineari
di X in Y soddisfacenti alla definizione precedente, dalla (1.1) ricaviamo:
lim
h→0
(A1 − A2)h
h
= 0.
Questa relazione ci d`a subito A1 − A2 = 0. Infatti, preso un arbitrario ǫ > 0, esiste
un δ > 0 tale che per ogni h = 0, con h ≤ δ si ha
(A1 − A2)h
h
≤ ǫ
Ma questa relazione, per la linearit`a di A1 e A2, implica che A1 − A2 ≤ ǫ ed infine,
per l’arbitrariet`a di ǫ, che A1 = A2. Dunque, possiamo dire che A `e il differenziale di f
nel punto x0: esso pu`o venire indicato con il simbolo df(x0), oppure con f′
(x0).
La definizione introdotta non `e che l’estensione agli spazi di Banach della definizione
che si d`a ordinariamente per le applicazioni fra spazi Rn
.
Osservazione 2 (Dieudonn`e). Se si suppone che l’applicazione f sia continua, la con-
tinuit`a del differenziale A `e una conseguenza della relazione di limite che esprime la
differenziabilit`a.
Infatti, essendo σ(0) = 0, l’applicazione h → σ(h) risulta continua per h = 0; la (1.1)
si pu`o allora mettere nella forma
Ah = f(x0 + h) − f(x0) − σ(h)
che esprime in modo evidente la continuit`a di A per h = 0.
7
Osservazione 3. Due diverse norme 1, 2 assegnate in uno stesso spazio di Banach
X inducono la stessa topologia se e solo se esistono due costanti positive k1, k2 tali che
∀ x ∈ X, x = 0, k1 ≤
x 2
x 1
≤ k2
Si vede allora che se, nella definizione data sopra, si altera la norma di X o la norma
di Y lasciando inalterate le rispettive topologie, una applicazione differenziabile rimane
tale, e il suo differenziale non si altera. Dunque, la definizione introdotta fa uso solo
della topologia che viene assegnata in X ed Y .
Teorema 1.1 (di composizione). Siano X, Y, Z spazi di Banach, Ω un aperto di X,
Λ un aperto di Y, f un’applicazione Ω → Λ, g un’applicazione Λ → Z.
Se f `e differenziabile in x0, con differenziale f′
(x0), e g `e differenziabile in y0 = f(x0),
con differenziale g′
(y0), allora l’applicazione composta g ◦ f `e differenziabile in x0, con
differenziale g′
(y0) ◦ f′
(x0).
Dimostrazione. Si veda il caso consueto degli spazi Rn 1
.
Esempio 1.1. Un’applicazione costante `e differenziabile in ogni punto con differenziale
nullo.
Un’applicazione lineare continua f : X → Y `e differenziabile in ogni punto con
differenziale uguale ad f (perci`o costante).
Un’applicazione bilineare continua f : X × Y → Z (X, Y , Z sono tutti spazi di Ba-
nach) `e differenziabile in ogni punto. Il suo differenziale nel punto (x0, y0) `e l’applicazione
lineare
(h, k) → f(h, y0) + f(x0, k)
Indichiamo con L(X, Y ) lo spazio delle applicazioni lineari continue di X in Y , con
la norma canonica
A = sup
x X =1
Ax Y .
Definizione 1.2 (Derivata prima). Data l’applicazione f : Ω → Y (con Ω ⊂ X
aperto) differenziabile in ogni punto, l’applicazione
f′
: Ω → L(X, Y )
che associa ad ogni punto il differenziale della f calcolato in x0, si dice derivata prima
di f; se f′
`e continua in ogni punto, si dice che f `e di classe C1
in Ω.
Consideriamo ora il caso in cui Y coincida con la retta reale.
Con notazione usuale, si pone L(X, R) = X∗
(duale di X) e si rappresenta col simbolo
<, > la dualit`a fra X ed X∗
: se f ∈ X∗
e x ∈ X si dice prodotto scalare nella dualit`a, o
dualit`a, X∗
, X l’applicazione
<; >: X∗
× X → R, < f; x >= f(x).
1
Cfr. [LAN2], pagg. 58 e 59.
8
Pertanto, se f `e una funzione reale differenziabile in ogni punto dell’aperto Ω, la
derivata prima `e un’applicazione Ω → X∗
.
Se poi X `e uno spazio di Hilbert, il prodotto scalare (, ) fornisce un’identificazione
canonica j : X∗
→ X di X∗
con X mediante la relazione < z, x >= (jz, x), con z ∈ X∗
e x ∈ X. Possiamo allora porre la seguente
Definizione 1.3 (Gradiente). Se f `e una funzione a valori reali definita in un aperto Ω
di uno spazio di Hilbert H, differenziabile in ogni punto, si dice gradiente di f e si indica
con ∇f (o con grad f) l’applicazione j ◦ f′
.
In altre parole si ha
< f′
(x), h >= (∇f(x), h), ∀h ∈ H. (1.2)
Un operatore F : Ω → H, tale che esista un funzionale f per cui ∇f(x) = F(x) si
dice operatore-gradiente (o potenziale)
9
10
Capitolo 2
Il differenziale di Gˆateaux
Il differenziale di Gˆateaux non `e che un’estensione della nozione elementare di derivata
direzionale; esso risulta di impiego molto utile in varie questioni (in particolare, nel
calcolo delle variazioni).
Definizione 2.1 (Differenziale di Gˆateaux). Siano Ω ⊂ X aperto, f : Ω → Y e
x0 ∈ Ω. Se esiste un’applicazione lineare e continua A : X → Y tale che ∀h ∈ X
lim
τ→0
f(x0 + τh) − f(x0)
τ
= Ah
allora A si dice differenziale di Gˆateaux di f in x0.
L’unicit`a del limite assicura che il differenziale di Gˆateaux `e unico. L’applicazione
che ad ogni punto fa corrispondere il differenziale di Gˆateaux calcolato in esso si dir`a
derivata (secondo Gˆateaux) di f e verr`a indicata con f′
G.
Come risulta da esempi elementari (si pensi alla funzione di due variabili (x, y) →
xy2
x2+y2 in un intorno dell’origine) un’applicazione differenziabile secondo Gˆateaux pu`o non
essere differenziabile secondo Fr`echet. Risulta invece in modo ovvio, dal teorema di com-
posizione, che un’applicazione differenziabile secondo Fr`echet `e differenziabile secondo
Gˆateaux, con lo stesso differenziale.
Una funzione differenziabile secondo Gˆateaux `e differenziabile su tutte le rette: ci`o
permette di ottenere la maggiorazione contenuta nel seguente teorema.
Teorema 2.1. Sia f : Ω → Y un’applicazione differenziabile secondo Gˆateaux. Siano x1
e x2 punti di Ω tali che il segmento che li unisce
γ : t → tx2 + (1 − t)x1 (t ∈ [0, 1])
sia tutto contenuto in Ω. Vale allora la disuguaglianza
f(x2) − f(x1) ≤ sup
0≤t≤1
f′
G ◦ γ(t) x2 − x1 . (2.1)
Dimostrazione. Si verifica banalmente che la funzione
f ◦ γ : [0, 1] → Y
11
`e derivabile in ogni punto; la sua derivata `e
f′
G(t0x2 + (1 − t0)x1) (x2 − x1).
Sia ora ξ un qualunque elemento di Y ∗
; anche la funzione reale
t →< ξ, f ◦ γ(t) >
`e derivabile. Applicando ad essa il teorema del valor medio, si ha
< ξ, f(x2) − f(x1) > = < ξ, f ◦ γ(1) − f ◦ γ(0) > = < ξ, f′
G(θx2 + (1 − θ)x1) (x2 − x1) >
con 0 < θ < 1.
Risulta allora ∀ξ ∈ Y ∗
:
| < ξ, f(x2) − f(x1) > | ≤ sup
0≤t≤1
f′
G ◦ γ(t) x2 − x1 ξ .
Per un noto corollario del teorema di Hahn-Banach1
, si pu`o prendere ξ di norma
unitaria tale che sia < ξ, f(x2) − f(x1) >= f(x2) − f(x1) . Si ottiene cos`ı la (2.1).
Teorema 2.2. Se f : Ω → Y `e derivabile secondo Gˆateaux e se f′
G : Ω → L(X, Y ) `e
continua in x0, f `e differenziabile secondo Fr`echet in x0 e si ha f′
(x0) = f′
G(x0).
Dimostrazione. Basta applicare il teorema 2.1 alla funzione
h → σ(h) = f(x0 + h) − f(x0) − f′
G(x0)h.
Tenendo presente che σ(0) = 0, per h non superiore ad un ρ > 0 fissato si ha
σ(h) ≤ sup
h ≤ρ
f′
G(x0 + h) − f′
G(x0) h
relazione che fornisce subito la tesi.
In pratica, per dimostrare la differenziabilit`a secondo Fr`echet di un’applicazione, si
ricorre al teorema precedente: si verifica la derivabilit`a secondo Gˆateaux e la continuit`a
della derivata.
Per completare l’esposizione delle nozioni preliminari, richiamiamo brevemente la
teoria dell’integrazione delle funzioni di variabile reale, a valori in uno spazio di Banach,
continue.
Basta prendere l’integrale nel senso di Cauchy: per una funzione f : [a, b] → X
continua, la convergenza delle somme integrali `e assicurata dall’uniforme continuit`a.
Si ottiene poi facilmente la disuguaglianza
b
a
f(t)dt ≤
b
a
f(t) dt (a < b)
1
Cfr. [BRE], pagg. 1-10.
12
Basta infatti passare al limite, a partire dalla seguente disuguaglianza valida per le
somme integrali
i
f(τi)(ti − ti−1) ≤
i
f(τi)(ti − ti−1) =
i
f(τi) (ti − ti−1)
dove ti−1 ≤ τi ≤ ti.
Sia ancora f : [a, b] → X, con f continua ed X uno spazio di Banach. Posto
F(t) =
t
0
f(ξ)dξ
si ha come nel caso reale
F′
(t) = f(t).
Inoltre, a meno di una costante, F `e l’unica primitiva di f. Per questo basta sempre
applicare la disuguaglianza (2.1) che in questo caso particolare d`a
F(t2) − F(t1) ≤ sup
t1≤t≤t2
f(t) |t2 − t1|.
Nel caso in cui f(t) = 0 ∀t, si trova F(t) =costante.
In particolare, notiamo che se f : Ω → Y (Ω ⊂ X aperto) `e un’applicazione di classe
C1
, per ogni coppia di punti x1, x2 tali che il segmento che li congiunge stia in Ω, si ha
f(x2) − f(x1) =
1
0
f′
(x1 + t(x2 − x1))dt (x2 − x1). (2.2)
Per la dimostrazione, basta riconoscere che, posto γ(t) = x1 +(x2 −x1)t, dal Teorema
di composizione 1.1 si ha
(f ◦ γ)′
(t) = f′
(x1 + t(x2 − x1))(x2 − x1).
Per ottenere la (2.2) basta allora integrare membro a membro questa relazione nell’in-
tervallo [0, 1].
13
14
Capitolo 3
La propriet`a di prolungamento
Terminata l’esposizione delle nozioni preliminari, chiarisco ora che cosa si intende per
invertibilit`a, globale e locale, di un’applicazione con le seguenti definizioni.
Definizione 3.1 (Omeomorfismo). Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di
X e f : D −→ Y . f si dice un omeomorfismo se `e continua, biunivoca, e se l’inversa
f−1
: f(D) −→ D `e continua.
Definizione 3.2 (Omeomorfismo locale). Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto
di X e f : D −→ Y . Si dice che f `e un omeomorfismo locale in ogni punto se ∀ x ∈ D
esistono un intorno aperto U di x e un intorno aperto V di f(x) tali che
f|U : U −→ V
`e un omeomorfismo di U su V .
In questo capitolo studio una nozione, quella di prolungamento di funzioni, che pi`u
avanti sar`a messa in relazione con l’invertibilit`a globale. Diamo quindi la seguente
definizione.
Definizione 3.3 (Propriet`a di prolungamento). Siano X e Y spazi di Banach, D
un aperto di X, e f : D −→ Y . Si dice che f prolunga q : [0, 1] −→ Y ∈ C se,
∀ p : [0, a[−→ D ∈ C, a ≤ 1, tale che f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t < a, esiste x ∈ D tale che
1. p(t)
t→a−
−→ x;
2. f(x) = q(a).
Un omeomorfismo prolunga una funzione continua in modo unico. ´E questo il senso
del seguente Teorema.
Teorema 3.1. Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D → Y un
omeomorfismo locale in ogni punto. Supponiamo che f prolunghi q : [0, 1] → Y ∈ C tale
che q(0) = f(x0) per un x0 ∈ D.
Allora esiste una ed una sola p : [0, 1] → D tale che p(0) = x0 e f(p(t)) = q(t)
∀t ∈ [0, 1].
15
Dimostrazione. Siano U0 e V0 un intorno aperto di x0 e un intorno aperto di f(x0) tali
che fU0 sia un omeomorfismo di U0 su V0.
Esiste t1, 0 < t1 ≤ 1, tale che q(t) ∈ V0 per 0 ≤ t < t1 (per la continuit`a di q).
Poniamo per definizione
p(t) = f−1
U0
(q(t)), 0 ≤ t < t1.
Poich´e per ipotesi f ha la propriet`a di prolungamento rispetto a q, segue che
∃ lim
t→t1−
p(t),
questo appartiene a D, e
f lim
t→t1−
p(t) = q(t1).
Indichiamo tale limite con p(t1): allora f(p(t1)) = q(t1).
Se t1 = 1 abbiamo cos´ı provato l’esistenza di p.
Supponiamo t1 < 1.
Esistono allora due intorni aperti U1 di p(t1) e V1 di f(p(t1)) tali che fU1 `e un
omeomorfismo di U1 su V1; esiste t2, t1 < t2 ≤ 1, tale che q(t) ∈ V1 per t1 ≤ t < t2.
Poniamo per definizione
p(t) = f−1
U1
(q(t)), t1 ≤ t < t2.
Come prima, esiste
lim
t→t2−
p(t),
questo appartiene a D, e
f lim
t→t2−
p(t) = q(t2).
Indichiamo tale limite con p(t2); allora p `e continua su [0, t2] e f(p(t)) = q(t), 0 ≤
t < t2.
Se t2 = 1 resta provata l’esistenza di p.
Se t2 < 1 si ripete il ragionamento.
Se con un numero finito di operazioni del tipo descritto giungiamo a un punto tν e
questo coincide con 1, resta provata l’esistenza di p.
Supponiamo allora che l’operazione descritta di debba ripetere indefinitamente.
Sia ˆt il pi´u grande dei valori di t per cui p pu`o essere prolungato; esiste quindi (tk)k∈N
crescente e ˆt = supk tk; allora f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t < ˆt; ma, per la propriet`a di
prolungamento, esiste
lim
t→ˆt−
p(t),
questo appartiene a D, e
f lim
t→ˆt−
p(t) = q(ˆt).
Risulta ˆt = 1 perch´e se fosse ˆt < 1, nuovamente potremmo procedere al prolunga-
mento oltre ˆt, e ci`o contraddice la definizione di ˆt.
16
Proviamo l’unicit`a di p.
Supponiamo che esista r : [0, 1] → D continua e tale che f(r(t)) = q(t), 0 ≤ t ≤ 1,
con r(0) = x0.
L’insieme
J = {t ∈ [0, 1] | p(s) = r(s) per 0 ≤ s ≤ t}
dei punti fino ai quali p `e uguale a r non `e vuoto; sia
t = sup{t|t ∈ J};
poich´e p ed r sono continue, risulta t ∈ J.
Inoltre t = 1; infatti, se fosse t < 1, esisterebbe una successione (tk)k∈N tale che
t < tk ≤ 1 ∀k, tk ց t, p(tk) = r(tk);
d’altra parte
f(p(tk)) = f(r(tk)) ∀k lim
k→∞
p(tk) = lim
k→∞
r(tk) = p(t) = r(t),
e ci`o contraddice l’ipotesi che f sia un omeomorfismo locale in ogni punto.
Osservazione 4. Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D → Y un
omeomorfismo locale in ogni punto.
Se f prolunga tutte le q del tipo q(t) = (1−t)y0 +ty, 0 ≤ t ≤ 1, dove y0 = f(x0) (x0 ∈
D) e y `e un arbitrario punto di Y , allora f(D) = Y .
Infatti, per il Teorema 3.1, esiste p : [0, 1] → D continua e tale che p(0) = x0,
f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t ≤ 1. In particolare f(p(1)) = y.
Un risultato analogo a quello del Teorema 3.1 vale nel caso in cui la funzione q dipenda
da due variabili.
Teorema 3.2. Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D → Y un
omeomorfismo locale in ogni punto.
Siano q : [0, 1]×[0, 1] → Y e r : [0, 1] → D funzioni continue tali che f(r(s)) = q(s, 0)
per 0 ≤ s ≤ 1.
Per ogni 0 ≤ s ≤ 1 sia qs la funzione tale che qs(t) = q(s, t), 0 ≤ t ≤ 1.
Se f prolunga ogni qs, 0 ≤ s ≤ 1, allora esiste una ed una sola p : [0, 1] × [0, 1] → D,
continua e tale che p(s, 0) = r(s) per 0 ≤ s ≤ 1, e f(p(s, t)) = q(s, t) per s, t ∈ [0, 1].
Dimostrazione. Per il Teorema 3.1 ∀s ∈ [0, 1] esiste una ed una sola ps : [0, 1] → D
continua e tale che ps(0) = r(s), f(ps(t)) = qs(t) = q(s, t) ∀t ∈ [0, 1].
Poniamo p(s, t) = ps(t) per s, t ∈ [0, 1].
´E cos`ı assicurata l’esistenza di una funzione p soddisfacente alle condizioni richieste
tranne che alla continuit`a.
Proviamo per assurdo che p `e continua.
Supponiamo dunque che p sia discontinua nel punto (s0, t1); sia
t0 = inf{t ∈ [0, 1]; p discontinua in(s0, t)}.
Cominciamo col provare che non pu`o essere t0 = 0.
17
Esistono due intorni aperti U0 di r(s0) e V0 di q(s0, 0) tali che fU0 `e un omeomorfismo
di U0 su V0.
A causa della continuit`a di q e di r esistono δ, h ∈ R+ tali che r(s) ∈ U0 per s0 − δ <
s < s0 + δ e q(s, t) ∈ V0 per s0 − δ < s < s0 + δ e 0 ≤ t < h.
Ma allora, per questi s e t, causa l’unicit`a di ogni ps, `e p(s, t) = f−1
U0
(q(s, t)).
Ci`o assicura che p `e continua nei punti (s, t) per cui p(s, t) ∈ U0, e quindi in particolare
nel punto (s0, 0).
Supponiamo quindi 0 < t0 ≤ 1.
Siano U e V un intorno aperto di p(s0, t0) e un intorno aperto di q(s0, t0) tali che fU
sia un omeomorfismo di U su V .
Siano L(s0) e L(t0) un intorno di s0 e un intorno di t0 tali che q(s, t) ∈ V ∀(s, t) ∈
L(s0) × L(t0) (l’esistenza di L(s0) e di L(t0) `e assicurata dalla continuit`a di q).
Poich´e ps0 `e continua, possiamo scegliere t′
, t′
< t0, t′
∈ L(t0), in modo che sia
p(s0, t′
) ∈ U.
Ma, per la definizione di t0, p `e continua in (s0, t′
) e quindi esiste un intorno L′
(s0)
di s0, contenuto in L(s0) tale che p(s, t′
) ∈ U ∀s ∈ L′
(s0); ne segue che ps(t) = p(s, t) =
f−1
U (q(s, t)) ∀(s, t) ∈ L′
(s0) × L(t0) e quindi p `e continua in un intorno di (s0, t0).
Di qui l’assurdo.
Dunque esiste una ed una sola p : [0, 1] × [0, 1] −→ D continua soddisfacente le
condizioni richieste.
Proviamo ora l’ultima affermazione.
Poich´e q(0, t) = y ∀t ∈ [0, 1] e f(p(0, t)) = q(0, t), risulta p(0, t) costante su [0, 1]
e quindi p(0, t) = p(0, 0) = r(0) ∀t ∈ [0, 1]; infatti, se cos´ı non fosse, a causa della
continuit`a di p esisterebbero dei punti p(0, t), per opportuni t, arbitrariamente vicini a
r(0) i quali sono trasformati da f nel punto y, e ci`o contraddice l’ipotesi che f sia un
omeomorfismo locale in ogni punto.
Analogamente `e p(1, t) = r(1) ∀t ∈ [0, 1].
Conseguentemente p(·, 1) `e una funzione continua tale che f(p(s, 1)) = q(s, 1) = y
∀s ∈ [0, 1] e p(0, 1) = r(0), p(1, 1) = r(1); nuovamente, se fosse r(0) = r(1) esisterebbero
punti p(s, 1) vicini tanto quanto si vuole a r(0) trasformati da f nel punto y, e ci`o
contraddice l’ipotesi che f sia un omeomorfismo locale in ogni punto.
18
Capitolo 4
Invertibilit`a globale di funzioni
continue
Siamo ora in grado di dimostrare l’invertibilit`a globale di una funzione continua su
particolari domini, detti connessi per archi.
Definizione 4.1 (Insieme connesso per archi). Sia X uno spazio di Banach. Un suo
sottoinsieme D si dice connesso per archi se ∀x0, x1 ∈ D esiste p : [0, 1] −→ D continua
e tale che p(0) = x0, p(1) = x1.
Teorema 4.1. Siano X e Y due spazi di Banach e D sia un aperto di X connesso per
archi.
Allora un omeomorfismo locale in ogni punto f : D −→ Y `e un omeomorfismo di
D su Y se e solo se f gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni funzione
continua q : [0, 1] −→ Y .
Dimostrazione. Supponiamo che f sia un omeomorfismo di D su Y .
Siano a ≤ 1, p : [0, a[−→ D e q : [0, 1] −→ Y continue e tali che f(p(t)) = q(t)
∀t ∈ [0, a[.
Poniamo p(a) = f−1
(q(a)); allora p(a) ∈ D e la continuit`a di f−1
assicura che
lim
t→a−
f−1
(q(t)) = p(a).
Perci`o f ha la propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q : [0, 1] −→ Y continua.
Inversamente, supponiamo che f goda della propriet`a di prolungamento rispetto a
ogni q : [0, 1] −→ Y continua.
Per l’Osservazione 4 si ha tanto che f(D) = Y .
Proviamo che f `e 1 − 1.
Se ci`o non fosse, esisterebbero x0, x1 ∈ D, x0 = x1, tali che f(x0) = f(x1) = y.
Sia r : [0, 1] −→ D continua e tale che r(0) = x0, r(1) = x1 e definiamo q : [0, 1] ×
[0, 1] −→ Y ponendo q(s, t) = ty + (1 − t)f(r(s)).
La funzione q `e continua e
q(0, t) = ty + (1 − t)f(x0) = ty + (1 − t)y = y,
q(1, t) = ty + (1 − t)f(x1) = ty + (1 − t)y = y,
19
q(s, 1) = y.
Dal Teorema 3.2 segue quindi x0 = r(0) = r(1) = x1.
Osservazione 5. Se f `e un omeomorfismo locale in ogni punto dell’aperto D connesso
per archi e gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni funzione continua
q : [0, 1] −→ Y , allora D `e semplicemente connesso per archi, cio´e se p1, p2 : [0, 1] −→ D
sono due funzioni continue tali che p1(0) = p2(0) e p1(1) = p2(1), allora esiste una
omotopia q : [0, 1] × [0, 1] −→ D tale che q(0, t) = p1(t), q(1, t) = p2(t) ∀t ∈ [0, 1].
20
Capitolo 5
Invertibilit`a globale di funzioni
differenziabili
Finora abbiamo studiato l’invertibilit`a di funzioni continue tra spazi di Banach. In
questo capitolo analizziamo l’invertibilit`a globale di applicazioni differenziabili.
Teorema 5.1 (Hadamard). Siano X e Y due spazi di Banach e sia f : X −→ Y un
omeomorfismo locale di classe C1
; esista [df(x)]−1
∈ L(Y, X) ∀x ∈ X ed esista una
costante positiva γ tale che [df(x)]−1
≤ γ ∀x ∈ X.
Allora f `e un omeomorfismo di X su Y .
Prima di dimostrare questo Teorema enunciamo in maniera autonoma il seguente
lemma.
Lemma 5.2. Sia D un aperto di X, f : D −→ Y sia un omeomorfismo locale in ogni
punto e sia p : [0, a[−→ D una funzione continua (a ≤ 1).
Supponiamo che esista
lim
t→a−
f(p(t)) = y
e che esista una successione (tk)k∈N in [0, a[ tale che
lim
k→∞
tk = a
ed esista
lim
k→∞
p(tk) = x ∈ D.
Allora
lim
t→a−
p(t) = x.
Dimostrazione. Poich`e f `e continua, risulta
y = lim
k→∞
f(p(tk)) = f(x).
Siano U un intorno aperto di x e V un intorno aperto di y tali che fU sia un
omeomorfismo di U su V .
Esiste t′
∈]0, a[ tale che p(tk) ∈ U se tk ∈]t′
, a[ e f(p(t)) ∈ V per t ∈]t′
, a[.
21
Poniamo ˆp(t) = f−1
U (f(p(t))), t′
< t < a; allora ˆp(tk) = p(tk) ∀tk ∈]t′
, a[ e, con lo
stesso ragionamento di unicit`a fatto nella dimostrazione del Teorema 3.1, si conclude che
ˆp(t) = p(t) ∀t ∈]t′
, a[.
Per la continuit`a di f−1
U si ha quindi
lim
t→a−
p(t) = lim
t→a−
f−1
U (f(p(t))) = x.
Dimostriamo ora il Teorema di Hadamard.
Dimostrazione del Teorema. Proviamo che f ha la propriet`a di prolungamento rispetto
a ogni q lineare, cio`e q(t) = (1 − t)y0 + ty, 0 ≤ t ≤ 1, con y0 e y arbitrari punti di Y .
Sia p : [0, a[−→ X (a ≤ 1) continua, e sia f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t < a.
Per ogni fissato t ∈ [0, a[ esistono un intorno aperto U di p(t) e un intorno aperto V
di q(t) tali che fU `e un omeomorfismo di U su V .
Allora f−1
U `e di classe C1
in un intorno di q(t) e da f−1
U (f(x)) = x ∀x ∈ U segue
df−1
U (f(x)) ◦ df(x) = 1
e quindi
[df(x)]−1
= df−1
U (f(x)), x ∈ U.
Da p(t) = f−1
U (f(p(t))) = f−1
U (q(t)) segue che
p′
(t) = df−1
U (q(t))q′
(t) = [df(p(t))]−1
q′
(t);
ci`o prova che p `e di classe C(1)
su [0, a[.
Sia ora (tk)k∈N una successione in [0, a[ tale che tk ր a; allora
p(tj) − p(tk) =
tj
tk
p′
(t)dt =
tj
tk
[df(p(t))]−1
q′
(t)dt ≤
≤
tj
tk
γ y0 − y dt = γ y0 − y |tj − tk|
(5.1)
(perch`e q′
(t) = −y0 + y); ci`o assicura che (p(tk))k∈N `e una successione di Cauchy in X e
quindi esiste x ∈ X tale che
lim
k→∞
p(tk) = x;
ma f(p(t)) = q(t)
t→a−
−→ q(a) e quindi f(x) = q(a).
Per il Lemma 5.2 si ha quindi
lim
t→a−
p(t) = x
e f(x) = q(a).
Dunque f gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q lineare e quindi,
per l’Osservazione 5, `e f(X) = Y .
Proviamo ora che f `e 1 − 1.
22
Supponiamo che esistano x0, x1 ∈ X, x0 = x1, tali che f(x0) = f(x1) = y.
Poniamo
q(s, t) = ty + (1 − t)f((1 − s)x0 + sx1), s, t ∈ [0, 1].
´E q continua e, per ogni fissato s ∈ [0, 1], la funzione qs = q(s, ·) `e lineare; dunque f ha
la propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q.
Inoltre q(s, 1) = q(0, t) = q(1, t) = y ∀s, t ∈ [0, 1].
Allora per il Teorema 3.2 `e x0 = x1.
Osservazione 6 (Meyer). La conclusione del Teorema di Hadamard `e vera anche se
l’ipotesi
[df(x)]−1
≤ γ ∀x ∈ X
`e sostituita dall’ipotesi
[df(x)]−1
≤ α x + β ∀x ∈ X,
essendo α e β due costanti positive.
Dimostrazione. Supponiamo che sia
sup
0≤s<a
p(s) = µ < ∞;
allora, in luogo dell’equazione (5.1) si ha
p(tj) − p(tk) ≤ (αµ + β) y0 − y |tj − tk|
e quindi si pu`o ripetere tutto il ragionamento fatto precedentemente.
D’altra parte si ha per 0 ≤ t < a
p(t) − p(0) =
t
0
[df(p(s))]−1
q′
(s)ds ≤
t
0
(α p(s) + β) y0 − y ds ≤
≤
t
0
(α p(s) − p(0) + α p(0) + β) y0 − y ds
e quindi
p(t) − p(0) ≤ c1 + c2
t
0
p(s) − p(0) ds
con c1 = a(α p(0) + β) y0 − y e c2 = α y0 − y ; dal Lemma di Gronwall 1
segue
quindi p(t) − p(0) ≤ c1 exp
t
0
c2ds ≤ c1 exp c2 (perch`e t < α ≤ 1) e quindi p(t) ≤
p(0) + c1 exp c2.
1
Cfr. [HSI-SIB], pag. 3.
23
24
Capitolo 6
Funzioni coercive in norma e
Teorema di Caccioppoli
Riporto due proposizioni che si possono dimostrare utilizzando ragionamenti simili
a quelli precedenti e che caratterizzano l’invertibilit`a globale di funzioni tra spazi di
dimensione finita. Partiamo per`o prima da una definizione.
Definizione 6.1 (Applicazione coerciva in norma). Sia X uno spazio normato, D un
sottoinsieme di X e sia f : D −→ X.
Diciamo che f `e coerciva in norma rispetto all’aperto D0 ⊆ D se ∀y ≥ 0 esiste un
sottoinsieme Dy di X, chiuso e limitato, Dy ⊂ D0, tale che f(x) > y ∀x ∈ D0 − Dy.
Osserviamo che, se D0 = X, allora f `e coerciva in norma se e solo se
lim
x →∞
f(x) = +∞
.
Per gli spazi reali di dimensione finita, la coercivit`a prende il posto della propriet`a di
prolungamento nel caratterizzare l’invertibilit`a globale.
Teorema 6.1. Sia X uno spazio normato reale di dimensione finita, D un aperto di X
connesso per archi e f : D −→ X sia un omeomorfismo locale in ogni punto.
Allora f `e un omeomorfismo di D su X se e solo se `e coerciva in norma.
Dimostrazione. Se X ha dimensione n esso `e isomorfo a Rn
.
Non `e quindi restrittivo supporre X = Rn
.
Supponiamo dunque che f sia un omeomorfismo di D (aperto di Rn
connesso per
archi) su Rn
.
Sia y > 0 e poniamo S = S(0, y).
Allora Dy = f−1
(S) `e chiuso e limitato e x ∈ D − Dy =⇒ f(x) /∈ S; dunque
f(x) > y.
Viceversa, supponiamo f coerciva in norma su D.
Per provare che f `e un omeomorfismo di D su Rn
basta provare che f gode della
propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q : [0, 1] −→ R continua (Teorema 4.1).
Sia dunque q : [0, 1] −→ R, continua, e sia p : [0, a[−→ D, con a ≤ 1, continua e tale
che f(p(t)) = q(t) ∀t ∈ [0, a[; sia y = max{ q(t) |t ∈ [0, a]}; per l’ipotesi di coercivit`a
25
esiste un sottoinsieme limitato e chiuso Dy di D tale che f(x) > y ∀x ∈ D − Dy;
di qui segue che p(t) ∈ Dy ∀t ∈ [0, a[; sia ora (tk)k∈N una successione in [0, a[ tale che
tk ր a; (p(tk))k∈N `e una successione in Dy, e quindi `e limitata; da essa si pu`o estrarre
una sottosuccessione convergente, che per semplicit`a supponiamo essere la successione
stessa;
x = lim
k→∞
p(tk)
appartiene a Dy, e quindi a D, e per la continuit`a di f risulta f(x) = q(a).
Allora, per il Lemma 5.2, si conclude che f gode della propriet`a di prolungamento
rispetto a q.
Il secondo risultato di questo capitolo, dovuto al matematico italiano Renato Cac-
cioppoli (1904-1959), prova l’invertibilit`a globale per spazi non necessariamente reali n`e
di dimensione finita, utilizzando la nozione di funzione completamente continua.
Definizione 6.2 (Applicazione completamente continua). Sia X uno spazio di
Banach e Ω ⊂ X un suo sottoinsieme; f : Ω → X si dice completamente continua se `e
continua e trasforma ogni insieme limitato in un insieme relativamente compatto in X,
ovvero in un insieme la cui chiusura `e un compatto in X.
Teorema 6.2 (Caccioppoli). Sia D un aperto dello spazio normato X (arbitrario) con-
nesso per archi; sia f = 1 − g : D −→ X tale che g `e completamente continua, f `e un
omeomorfismo locale ed `e coercivo in norma.
Allora f `e un omeomorfismo di D su X.
Dimostrazione. Ragionando come prima, sia tk ր a; (p(tk))k∈N `e limitata (perch`e Dy `e
limitato); allora da essa si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente (p(tνk
))k∈N tale
che (g(p(tνk
)))k∈N `e convergente (perch`e g `e completamente continua); ora
f(p(tνk
)) = p(tνk
) − g(p(tνk
)) = q(tνk
);
poich`e q(tνk
)
k→∞
−→ q(a) e g(p(tνk
)) `e convergente, segue che anche (p(tνk
))k∈N `e conver-
gente; dopo di ci`o, la conclusione `e quella di prima.
26
Capitolo 7
Estensioni del teorema di
invertibilit`a locale
´E possibile estendere i classici teoremi di invertibilit`a locale, generalizzando il teo-
rema dello jacobiano agli spazi di Banach, e di invertibilit`a locale, trattata nei capitoli
precedenti, in una forma la cui utilit`a per la trattazione delle equazioni differenziali sar`a
pi`u immediata.
Iniziamo con un lemma.
Lemma 7.1. Siano X uno spazio di Banach, B la palla {x | x ≤ r}, e ψ : B → X
tale che ψ(0) = 0, ed esista una costante α, 0 < α < 1, per cui
ψ(x) − ψ(y) ≤ α x − y ∀x, ∀y ∈ B. (7.1)
Si indichi con φ l’applicazione x → x + ψ(x). Allora φ(B) copre la palla di centro 0
e raggio r(1 − α); inoltre φ `e iniettiva e φ−1
soddisfa a una condizione di Lipschitz con
costante 1/1 − α, ovvero
φ−1
(x) − φ−1
(y) ≤
x − y
1 − α
Dimostrazione. Si tratta di risolvere l’equazione x + ψ(x) = y. A questo scopo si
considera l’applicazione x → y − ψ(x) definita in B.
Essa `e una contrazione con costante α (cfr. Appendice A). Per poter applicare il
teorema delle contrazioni, occorre vedere per quali valori di y essa muta B in s`e. Si ha
y − ψ(x) ≤ y + ψ(x) ≤ y + α x . (7.2)
Evidentemente, se `e y ≤ r(1 − α), risulta y − ψ(x) ≤ r. Dunque, in queste
condizioni, si ha una ed una sola soluzione x. La valutazione della dipendenza di questa
da y `e molto facile. Sia
x2 + ψ(x2) = y2, x1 + ψ(x1) = y1.
Ricaviamo
x2 − x1 − ψ(x2) − ψ(x1) ≤ y2 − y1
27
da cui
(1 − α) x2 − x1 ≤ y2 − y1 ;
questa relazione esprime appunto il fatto che φ−1
ha una costante di Lipschitz data da
1/1 − α.
Osservazione 7. Il lemma 7.1 permette di affermare che φ `e localmente invertibile nel
punto 0: basta infatti prendere V uguale alla palla di centro 0 e raggio r(1−α) e prendere
U uguale all’immagine inversa di V .
Enunciamo ora l’estensione del Teorema di invertibilit`a locale di cui si `e detto.
Teorema 7.2 (Estensione del Teorema dell’invertibilit`a locale). Siano X ed
Y spazi di Banach e sia Ω un aperto di X contenente l’origine. Sia φ : Ω → Y
un’applicazione di classe C1
tale che sia φ(0) = 0 e che φ′
(0) sia invertibile.
Allora φ `e localmente invertibile in 0, con inversa di classe C1
, e si ha (φ−1
)′
=
(φ′
◦ φ−1
)−1
.
Dimostrazione. Poniamo A = (φ′
(0))−1
; per dimostrare la prima parte della tesi baster`a
dimostrare che A ◦ φ `e localmente invertibile nel punto 0; a questo scopo, utilizzando il
Lemma 7.1, baster`a verificare che, posto
A ◦ φ = I + ψ (I `e l’applicazione identica di X)
l’applicazione ψ, in una palla di centro 0 e raggio abbastanza piccolo, `e una contrazione.
Fissiamo un α tale che 0 < α < 1. Poich`e x → φ′
(x) `e continua per ipotesi, tale `e anche
x → (A ◦ φ)′
= A ◦ φ′
. Tenendo poi presente che `e A ◦ φ′
(0) = I, possiamo determinare
un r > 0 tale che per x ≤ r sia
Aφ′
(x) − I ≤ α.
Ci`o posto, siano x1 ed x2 due punti della palla B = {x | x ≤ r}. Si ha, tenendo
presente la formula (7.2)
ψ(x2) − ψ(x1) =A(φ(x2) − φ(x1)) − (x2 − x1) =
=
1
0
A ◦ φ′
(x1 + t(x2 − x1))dt (x2 − x1) − (x2 − x1) =
=
1
0
(A ◦ φ′
(x1 + t(x2 − x1)) − I)dt (x2 − x1)
da cui
ψ(x2) − ψ(x1) ≤
1
0
A ◦ φ′
(x1 + t(x2 − x1)) − I dt · x2 − x1 ≤
≤ sup
x∈B
A ◦ φ′
(x) − I · x2 − x1 ≤ α · x2 − x1 .
Cos`ı la prima parte della tesi `e dimostrata, cio`e resta dimostrato che vi sono un
intorno aperto U di 0 ∈ X ed un intorno aperto V di 0 ∈ Y tra cui φ induce un
28
omeomorfismo. Indicando (impropriamente) con φ−1
questa applicazione inversa locale,
dobbiamo dimostrare che essa `e differenziabile. Poniamo
r(x, x) = φ(x) − φ(x) − φ′
(x)(x − x),
ρ(y, y) = φ−1
(y) − φ−1
(y) − (φ′
(x))−1
(y − y).
Se `e y = φ(x), y = φ(x), si ha
ρ(y, y) = x − x − (φ′
(x))−1
(y − y) ≤
≤ (φ′
(x))−1
[φ′
(x)(x − x) − (φ(x) − φ(x))] ≤
≤ (φ′
(x))−1
r(x, x) .
Ora, per la differenziabilit`a di φ in x, si ha r(x, x) = o( x − x ), al tendere di x ad
x; ma φ−1
, in virt`u del Lemma 7.1, soddisfa ad una condizione di Lipschitz. Pertanto si
ha r(x, x) = o( y−y ) al tendere di y a y. Si conclude che si ha ρ(y, y) = o( y−y )
al tendere di y a y. Ci`o equivale evidentemente a dire che φ−1
`e differenziabile in y, con
differenziale dato da (φ′
(x))−1
= (φ′
(φ−1
(y)))−1
.
Resta da dimostrare la continuit`a della derivata di φ−1
, cio`e dell’applicazione
(φ′
◦ φ−1
)−1
: V → L(Y, X).
Poich`e φ−1
e φ′
sono continue per ipotesi, basta dimostrare la continuit`a dell’applica-
zione che fa corrispondere ad un’applicazione lineare invertibile la sua inversa. Vogliamo
fare questo discorso in forma precisa; enunciamo perci`o un teorema, che dimostreremo
pi`u avanti.
Teorema 7.3. Siano X ed Y spazi di Banach; si indichi con I(X, Y ) il sottoinsieme di
L(X, Y ) formato dalle applicazioni invertibili.
Allora I(X, Y ) `e un aperto (eventualmente vuoto) e l’applicazione di invertibilit`a
I(X, Y ) → I(Y, X) `e continua.
Cos`ı la dimostrazione del Teorema 7.2 `e completa.
Osservazione 8 (banale, ma importante). L’ipotesi del Teorema 7.2 implica che gli spazi
X ed Y siano linearmente isomorfi. Inoltre, l’invertibilit`a di φ′
(0) `e una condizione neces-
saria affinch`e l’applicazione inversa sia anch’essa differenziabile. Basta infatti considerare
le relazioni
φ ◦ φ−1
= IY φ−1
◦ φ = IX
(ove IX e IY sono le identit`e di X ed Y rispettivamente) e differenziare nell’origine.
Osservazione 9. Se φ `e di classe Ck
(k ≥ 1), allora anche φ−1
`e di classe Ck
. Procediamo
infatti per induzione. Abbiamo gi`a dimostrato che φ−1
`e di classe C1
. Supponiamo che
φ−1
sia di classe Ck−1
.
Allora consideriamo il diagramma che esprime la derivata di φ−1
Y
φ−1
−→ X
φ′
−→ L(X, Y )
()−1
−→ L(Y, X)
ed osserviamo che φ−1
e φ′
sono k − 1 volte differenziabili e che ()−1
`e di classe C∞
.
Quindi φ−1
`e differenziabile k volte.
29
Osservazione 10. Possiamo chiederci se l’invertibilit`a locale sussiste quando si suppon-
ga φ continua e differenziabile nel punto, con derivata invertibile, lasciando cadere la
continuit`a della derivata.
Nel caso degli spazi di dimensione finita, l’applicazione `e localmente suriettiva (o
localmente aperta): cio`e l’immagine di un arbitrario intorno del punto `e un intorno del
punto corrispondente.
Ma l’iniettivit`a in generale cade, come si pu`o verificare gi`a nel caso unidimensionale.
Consideriamo infatti una funzione g : R → R continua, non decrescente, che soddisfi
alle seguenti condizioni:
a) g(ξ) = ξ + O(ξ2
) al tendere di ξ a 0;
b) si abbia g(ξ) = 1
n
in 1
n
− 1
4n2 , 1
n
+ 1
4n2 (n = 1, 2, 3, . . . ).
´E chiaro che g non `e localmente iniettiva nel punto 0.
Questa stessa funzione serve a costruire un controesempio alla suriettivit`a locale in
dimensione infinita. Precisamente, consideriamo l’applicazione C([−1, 1]) → C([−1, 1])
cos`ı definita:
x → g ◦ x.
Consideriamo la successione di funzioni
yn(t) =
1
n
+
t
n2
.
Nessuna di queste funzioni appartiene all’immagine. Infatti, supponiamo che sia
g ◦ xn(t) = g(xn(t)) =
1
n
+
t
n2
.
Deve aversi, in base alla definizione di g
xn(t) =
≥ 1
n
+ 1
4n2 per t > 0
≤ 1
n
− 1
4n2 per t < 0
cosa che `e incompatibile con la continuit`a di xn.
Il teorema di invertibilit`a locale enunciato pu`o essere utilmente impiegato in molte
situazioni; svariati problemi classici di perturbazioni possono essere facilmente trattati
per mezzo di esso.
Esempio 7.1. Nell’equazione differenziale
−
d2
u
dt2
+ λu + u2
= f (7.3)
λ `e un parametro reale, f `e una funzione periodica di periodo 2π.
Si cercano le soluzioni periodiche di periodo 2π. Introduciamo i seguenti spazi (con
le norme consuete)
C(2π) : spazio delle funzioni continue periodiche di periodo 2π;
30
C2
(2π) : spazio delle funzioni di classe C2
periodiche di periodo 2π.
L’applicazione φ : u → −d2u
dt2 + λu + u2
, come applicazione C2
(2π) → C(2π) `e
certamente di classe C1
. La derivata, calcolata in u, `e l’applicazione
v → −
d2
v
dt2
+ λv + 2uv
Per u = 0 essa risulta invertibile, non appena `e λ = −k2
(k = 0, 1, 2, . . . ).
Si pu`o concludere che per λ = −k2
, se f `e abbastanza piccola, l’equazione (5.3)
ha una soluzione in C2
(2π). Tale soluzione `e unica in un intorno abbastanza piccolo
dell’origine.
Esempio 7.2. Consideriamo in un aperto limitato e connesso Ω ⊂ R2
, sufficientemente
regolare, l’equazione delle superfici minime
L(u) = (1 + u2
y)uxx − 2uxuyuxy + (1 + u2
x)uyy = f (7.4)
ed impostiamo il problema di Dirichlet
u|Γ = ψ,
essendo ψ una funzione assegnata nella frontiera Γ di Ω.
Indichiamo con Cm,α
(Ω) (0 < α < 1) lo spazio delle funzioni derivabili con continu-
it`a in Ω fino all’ordine m, con la derivata m-esima soddisfacente ad una condizione di
Lipschitz di esponente α, dotato della norma usuale. Analogo significato ha il simbolo
Cm,α
(Γ).
Consideriamo allora l’applicazione
φ : C2,α
(Ω) → C0,α
(Ω) × C2,α
(Γ)
cos`ı definita
u → (L(u), u|Γ)
Essa `e un’applicazione di classe C1
e che la sua derivata calcolata in u `e l’applicazione
v → ((1+u2
y)vxx −2uxuyvxy +(1+u2
x)vyy +2uyuxxvy +2(uyvx +uxvy)uxy +2uxuyyvx, v|Γ)
Per u = 0, essa si riduca all’applicazione
v → (∆v, v|Γ).
Il problema
∆v = g
v|Γ = ξ
`e univocamente risolubile in C2,α
(Ω) se `e g ∈ C0,α
(Ω), ξ ∈ C2,α
(Γ) (ed `e stata proprio
questa circostanza a determinare la scelta degli spazi).
Si pu`o conludere che se f ∈ C0,α
(Ω) e φ ∈ C2,α
(Γ) sono abbastanza piccole nelle
rispettive norme, il problema posto ha una soluzione, che `e unica in un intorno piccolo
dell’origine in C2,α
(Ω).
31
L’introduzione di un parametro permette di ampliare la portata del teorema di in-
vertibilit`a studiato. Le proposizioni che ora dimostrer`o (7.4, 7.5) sono estensioni del
classico teorema del Dini.
Teorema 7.4 (di invertibilit`a locale per applicazioni dipendenti con continuit`a
da un parametro). Siano X,Y spazi di Banach, Λ uno spazio topologico qualunque. Sia
U un intorno aperto dell’origine di X e sia φ : Λ×U → Y un’applicazione con le seguenti
propriet`a
I) φ sia continua;
II) in ogni punto l’applicazione x → φ(λ, x) sia differenziabile, con derivata φ′
x con-
tinua (ovviamente come applicazione Λ × U → L(X, Y );
III) per un certo λ0 ∈ Λ sia φ(λ0, 0) = 0, e l’applicazione φ′
x(λ0, 0) sia invertibile.
Allora l’applicazione ψ : (λ, x) → (λ, φ(λ, x)) `e localmente invertibile fra (λ0, 0) ∈
Λ × U e (λ0, 0) ∈ Λ × Y , con inversa continua.
Per la dimostrazione basta ripetere, con ovvie varianti, quella del precedente teorema
di invertibilit`a locale.
Notiamo che la curva y = 0 ha come immagine inversa una curva cartesiana continua
x = x(λ). (Cfr. Fig. 7.1)
Figura 7.1: la curva y = 0.
In ipotesi di differenziabilit`a si ottiene il seguente
Teorema 7.5 (di invertibilit`a locale per applicazioni dipendenti da un para-
metro in modo differenziabile). Siano X, Y e Z spazi di Banach; sia U un intorno
dell’origine in X e Λ un intorno dell’origine in Z. L’applicazione φ : Λ × U → Y abbia
le seguenti propriet`a
I) sia di classe Ck
(k ≥ 1);
II) φ′
x(0, 0) : X → Y sia invertibile.
Allora l’applicazione ψ : Λ × U → Λ × Y cos`ı definita ψ(λ, x) = (λ, φ(λ, x)) `e
localmente invertibile, con inversa di classe Ck
(k ≥ 1).
32
Dimostrazione. ψ `e ovviamente di classe Ck
e il suo differenziale primo si pu`o esprimere
con
(µ, v) → (µ, φ′
λµ + φ′
xv)
o, se si vuole, con la matrice
I 0
φ′
λ φ′
x
.
Evidentemente il differenziale di ψ `e invertibile se e solo se lo `e φ′
x. Tanto basta per
concludere che si pu`o applicare il teorema di invertibilit`a locale.
Questa volta la curva y = 0 avr`a come inversa una curva cartesiana x = x(λ) di
classe Ck
.
33
34
Capitolo 8
Estensioni del teorema di
invertibilit`a globale
Partiamo come al solito da una definizione.
Definizione 8.1 (Funzione propria). Un’applicazione φ : X → Y (X, Y spazi topo-
logici) si dice propria se l’immagine inversa di ogni compatto `e un compatto.
Poniamo poi per ogni y ∈ Y , N(y) = #φ−1
({y}) (cardinalit`a dell’immagine inversa
del punto y).
Teorema 8.1. Siano X ed Y spazi topologici metrizzabili e sia φ : X → Y un’applica-
zione continua, propria, localmente invertibile in ogni punto.
Allora la funzione y → N(y) `e finita e localmente costante.
Dimostrazione. Che N(y) sia finito segue facilmente dal fatto che φ−1
({y}) `e discreto
(per la invertibilit`a locale di φ) ed `e compatto (perch`e φ `e propria). Sia ora N(y) = k
e siano x1, x2, . . . , xk gli elementi di φ−1
({y}); `e possibile, per l’invertibilit`a locale di φ,
trovare k intorni aperti U1, U2, . . . , Uk dei punti x1, x2, . . . , xk ed un intorno aperto V
di y tali che φ|Uj
induce un omeomorfismo tra Uj e V . Per ogni y ∈ V vi `e in ciascun
intorno Uj un punto xj, ed uno solo, tale che φ(xj) = y. Dunque, per ogni y ∈ V si ha
N(y) ≥ N(y) = k. Dico che esiste un intorno W di y, con W ⊂ V , tale che per ogni
y ∈ W si abbia N(y) = k. Se non fosse cos`ı, infatti, esisterebbe una successione yn tale
che limn→∞ yn = y e che N(yn) > k.
Allora si potrebbe trovare una successione ξn, con ξn /∈ j Uj e φ(ξn) = yn. Essendo
φ propria, l’insieme φ−1
({yn} ∪ y) `e compatto; poich`e si ha {ξn} ⊂ φ−1
({yn} ∪ y), dalla
successione ξn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente a un elemento ξ /∈ j Uj.
Risulta, passando al limite, φ(ξ) = y. Ma ci`o `e assurdo, essendo ξ diverso da ciascuno
dei punti x1, x2, . . . , xk.
Osservazione 11. Se si toglie l’ipotesi che φ sia propria, la tesi pu`o non sussistere. Basta
considerare, ad esempio, la funzione z → ez
, come applicazione C → C. Essa `e localmente
invertibile in ogni punto, ma ogni punto di C − {0} ha infinite immagini inverse; il fatto
`e che φ non `e propria.
Corollario 8.2. Nelle stesse ipotesi del Teorema precedente, se Y `e connesso, allora
N(y) `e costante.
35
Definizione 8.2 (Punto singolare, critico, insieme singolare, critico). Sia φ :
X → Y un’applicaziona continua (X ed Y sono spazi topologici). Un punto x ∈ X
in cui φ non `e localmente invertibile si dice punto singolare; y ∈ Y si dice punto (o
valore) critico se y = φ(x) per qualche punto singolare x ∈ X. Diremo che W `e l’insieme
singolare di φ se W `e l’insieme dei punti singolari di φ; φ(W) si dir`a insieme critico.
Una generalizzazione del Teorema 8.1 si ha con il seguente enunciato:
Teorema 8.3. Siano X e Y spazi topologici metrizzabili e φ : X → Y un’applicazione
continua e propria.
Allora N(y) `e costante su ogni componente connessa di Y − φ(W).
Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione φ ristretta a X − φ−1
(φ(W))
φ : X − φ−1
(φ(W)) → Y − φ(W);
φ `e propria e localmente invertibile in ogni punto di X −φ−1
(φ(W)); la conclusione segue
allora dal Teorema 8.1.
Esaminiamo ora un primo risultato fondamentale:
Teorema 8.4. Siano X ed Y spazi topologici metrizzabili. Sia φ : X → Y un’applicazio-
ne continua e propria. Siano X −φ−1
(φ(W)) non vuoto e connesso per archi e Y −φ(W)
semplicemente connesso1
.
Allora φ induce un omeomorfismo tra X − φ−1
(φ(W)) e Y − φ(W).
Corollario 8.5 (Estensione del teorema di invertibilit`a globale). Nelle ipotesi del
Teorema 8.4, se W = ∅ e Y `e semplicemente connesso, allora φ `e un omeomorfismo di
X su Y .
Dimostrazione del Teorema 8.4. La surgettivit`a segue subito dal Teorema 8.3: infatti
Y − φ(W) `e semplicemente connesso (e quindi connesso) e X − φ−1
(φ(W)) `e non vuoto
per ipotesi. Proviamo l’unicit`a. Supponiamo che vi siano almeno due punti x1 e x2 in
X − φ−1
(φ(W)) tali che
φ(x1) = φ(x2) = y.
Poich`e X − φ−1
(φ(W)) `e connesso per archi, esiste una curva
γ : [0, 1] → X − φ−1
(φ(W))
tale che
γ(0) = x1, γ(1) = x2
1
Uno spazio topologico si dice semplicemente connesso se `e connesso per archi e se ogni curva chiusa
`e omotopa ad una costante.
36
Figura 8.1: la curva γ.
Poniamo σ = φ ◦ γ; σ `e una curva tale che
σ(0) = σ(1) = y, [σ] ⊂ Y − φ(W)
Poich`e Y − φ(W) `e semplicemente connesso, esiste un’applicazione di omotopia F :
[0, 1] × [0, 1] → Y − φ(W), tale che
F(s, 0) = σ(s) F(s, 1) = y ∀s ∈ [0, 1]
F(0, t) = y F(1, t) = y ∀t ∈ [0, 1];
non `e infatti restrittivo prendere proprio uguale ad y la costante cui `e omotopa σ.
Per il Teorema 3.2 esiste una ed una sola G : [0, 1] × [0, 1] → X − φ−1
(φ(W)) tale che
G(0, 0) = x1 φ ◦ G = F
Si osservi che risulta G(0, 1) = x2, in quanto si ha G(0, s) = γ(s).
Sia φ la curva costituita dai tre lati del quadrato Q congiungendo nell’ordine i vertici
(0,0), (0,1), (1,1) e (1,0). Deve essere
φ ◦ G ◦ φ = F ◦ φ
Ma F ◦φ `e costante e quindi tale dovrebbe essere anche la curva G◦φ (se, ad esempio,
si sceglie come punto iniziale x1, allora G ◦ φ `e la costante x1). Questo `e in contrasto col
fatto, osservato prima, che G(0, 1) = x2.
37
38
Capitolo 9
Estensioni dell’invertibilit`a globale
per applicazioni differenziabili
Siano X e Y spazi di Banach, o, pi`u in generale, aperti di spazi di Banach.
Definizione 9.1 (Invertibilit`a locale differenziabile). Diremo che l’applicazione φ :
X → Y di classe Ck
`e localmente invertibile in modo differenziabile in x0 ∈ X se φ induce
un diffeomorfismo di classe Ck
tra un aperto U di x0 e un aperto V di y0 = φ(x0).
Definizione 9.2 (Punto singolare). Diremo che x0 ∈ X `e un punto singolare di φ se
φ′
(x0) non `e invertibile. Indicheremo ancora con W l’insieme dei punti singolari di φ.
φ(W) verr`a detto insieme critico.
Osservazione 12. Le definizioni di punto singolare e di invertibilit`a locale date ora non
coincidono, naturalmente, con quelle date precedentemente. L’invertibilit`a differenziabile
richiede infatti una maggiore regolarit`a: l’omeomorfismo e la sua inversa devono ora
essere differenziabili. Anche affinch`e un punto x0 sia non critico per una funzione φ
la richiesta `e ora pi`u forte: deve essere invertibile non solo φ(x0) ma anche φ′
(x0).
Nel seguito, quando parler`o di funzioni differenziabili, per invertibilit`a e punti critici
intender`o le accezioni nel senso appena introdotto.
Osservazione 13. I risultati provati nel capitolo precedente continuano a valere dando a
W e alla frase localmente invertibile il significato delle definizioni 8.1 e 8.2.
Introduciamo ora alcune nozioni che ci saranno utili nello studio dell’insieme singolare
e dell’insieme critico di un’applicazione differenziabile.
Definizione 9.3 (Variet`a differenziabile di codimensione 1). Sia X uno spazio di
Banach. L’insieme W ⊂ X si dice variet`a di classe Ck
di codimensione 1 se per ogni
punto x0 ∈ W esistono un intorno U di x0 ed un funzionale Γ : U → R di classe Ck
, tali
che
a) Γ′
(x0) = 0;
b) W ∩ U = {w ∈ U | Γ(w) = 0}.
Si vede facilmente che un diffeomorfismo di classe Ck
trasforma una variet`a di classe
Ck
di codimensione 1 in una variet`a dello stesso tipo. ´E poi possibile, localmente, trovare
un diffeomorfismo che trasformi la variet`a in una variet`a lineare di codimensione 1.
E’ interessante vedere come una variet`a di codimensione 1 sconnette lo spazio.
39
Teorema 9.1. Sia W una variet`a chiusa, connessa, di classe Ck
(k ≥ 1), di codimensione
1 nello spazio di Banach X. Allora W′ def
= X − W non pu`o avere pi`u di due componenti
connesse.
Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che vi siano tre aperti A1, A2, A3 non vuoti,
disgiunti, e tali che X −W = A1 ∪A2 ∪A3. Notiamo che, essendo X −W aperto, ognuno
degli Ai `e aperto non solo relativamente ad X − W, ma anche ad X.
Indichiamo con F1, F2, F3, rispettivamente, le frontiere di A1, A2, A3; esse non sono
vuote perch`e se Ai avesse frontiera vuota sarebbe un chiuso-aperto di X. Evidentemente,
poi, si ha Fi ⊂ W.
Per la propriet`a di W, preso un qualunque punto x0 ∈ W, si trova un aperto U di x0
tale che U ∩ W′
consta esattamente di due componenti connesse: dunque solo due degli
insiemi Ai possono avere intersezione non vuota con U. Ne segue che U ∩ W pu`o essere
contenuto in due soli (al pi`u) degli insiemi Fi.
D’altra parte, se `e x0 ∈ Fi, una delle due componenti connesse di U ∩W′
`e contenuta
in Ai, cio`e appartiene a Fi. Gli insiemi Fi sono allora due chiusi-aperti di W. Essendo,
per ipotesi, W connessa si ha W = Fi. Ma questo contrasta con il fatto, constatato
sopra, che ogni punto di W appartiene a due soli insiemi Fi.
Osservazione 14. Non sappiamo se, nelle ipotesi del Teorema 9.1, le componenti connesse
di W′
sono in ogni caso due.
Studiamo ora una situazione, per noi particolarmente interessante, in cui l’insieme
singolare e l’insieme critico sono variet`a differenziabili di codimensione 1.
Teorema 9.2. Siano X ed Y spazi di Banach, Λ un sottoinsieme aperto di X. L’appli-
cazione φ : Λ → Y sia di classe Ck
con k ≥ 2.
Sia x0 ∈ Λ tale che
I) φ′
(x0) abbia nucleo di dimensione 1 e l’immagine chiusa di codimensione 1.
II) Detto v0 ∈ X un vettore non nullo tale che φ′
(x0)v0 = 0, e γ0 un funzionale di Y
tale che Im(φ′
(x0)) = {z | < z, γ0 >= 0}, il funzionale lineare
z →< φ′′
(x0)[z][v0], γ0 >
non sia nullo.
Allora la variet`a W definita da φ `e, in un intorno di x0, una variet`a di classe Ck−1
di codimensione 1.
Se la II) viene sostituita con l’ipotesi pi`u forte:
II∗
) < φ′′
(x0)[v0][v0], γ0 >= 0
si pu`o trovare un intorno aperto U di x0 tale che φ(W ∩ U) `e una variet`a di classe Ck−1
di codimensione 1.
La dimostrazione si fonda sul seguente lemma di perturbazione.
40
Lemma 9.3. Sia T0 : X → Y (X, Y spazi di Banach) un’applicazione lineare continua
con immagine chiusa. Il nucleo e il conucleo di T0 abbiano dimensione 1. Allora ogni
applicazione lineare T abbastanza vicina a T0 (nella norma consueta) o `e un isomorfismo
di X su Y, oppure ha anch’essa nucleo e conucleo di dimensione 1.
Dimostrazione del lemma. Sia {λv0} (λ ∈ R) il nucleo di T0; sia γ0 un funzionale non
nullo definito in Y tale che Im(T0) = {z | < z, γ0 >= 0}. Sia δ un funzionale di X tale
che < v0, δ >= 1, e sia s un elemento di Y tale che < s, γ0 >= 1.
L’applicazione p : x → x − v0 < x, δ > `e una proiezione in X; sia ˆX il sottospazio
lineare invariante (evidentemente, di codimensione 1) relativo a p.
Analogamente, l’applicazione π : y → y − s < y, γ0 > `e una proiezione in Y ; il
sottospazio invariante ad esso associato, ˆY , coincide con Im(T0). Sia π′
la proiezione
coniugata di π.
Sia T una qualunque applicazione lineare X → Y ; per vedere se T `e invertibile,
poniamo T = T0 + S e v = λv0 + w con w ∈ ˆX.
Si tratta di studiare l’equazione
T0w + S(λv0 + w) = g (9.1)
essendo g assegnata in Y . Applicando a questa le proiezioni π e π′
si trova il sistema
equivalente
T0w + πS(λv0 + w) = πg
π′
S(λv0 + w) = π′
g
(9.2)
L’operatore T0 `e un isomorfismo di ˆX su ˆY ; tale risulta anche T0 + πS per S
abbastanza piccolo1
. Poniamo M = (T0 + πS)−1
.
Allora la prima equazione del sistema (9.2) equivale a
w = M(πg − πSλv0) (9.3)
Sostituendo nella seconda, si ottiene:
π′
S(λv0 − MπSλv0) = π′
g − π′
SMπg
che si pu`o scrivere esplicitamente cos`ı:
λ < Sv0 − SMπSv0, γ0 >=< g − SMπg, γ0 >
A questo punto, occorre distinguere due casi:
a) < Sv0 − SMπSv0, γ0 >= 0
(cio`e: il vettore Sv0 −SMπSv0 non appartiene all’immagine di T0). In questo caso,
per ogni g ∈ Y , il sistema (9.2) ha un’unica soluzione e pertanto T : X → Y `e un
isomorfismo.
1
Cfr. il Teorema 7.3.
41
b) < Sv0 − SMπSv0, γ0 >= 0
In questo caso, perch`e vi sia una soluzione, deve essere < g − SMπg, γ0 >= 0.
Notiamo che, per S abbastanza piccolo, il funzionale g →< g − SMπg, γ0 > non `e
nullo. Allora λ pu`o assumere valori arbitrari, e il nucleo di T ha dimensione 1.
Osservazione 15. Nel caso b) per le soluzioni proprie del sistema omogeneo si ha λ = 0.
Possiamo perci`o fare λ = 1, al fine di rappresentare il nucleo di T. Dalla (9.3), facendo
g = 0, ricaviamo:
w ≤ M π S v0
Questa ci dice che il nucleo di T, sempre nel caso b), pu`o essere individuato dal
vettore v0 + w, con v0 = 0, costante, e w che tende a zero al tendere di T a T0.
Dimostrazione del Teorema 9.2. Prendiamo φ′
(x0) in luogo di T0, φ′
(x) in luogo di T,
e conserviamo il significato degli altri simboli. Scriveremo: S(x) = φ′
(x) − φ′
(x0), e
indicheremo con M(x) l’applicazione inversa di φ′
(x0) + πS(x) (come applicazione di ˆX
in ˆY ). E’ importante notare che x → M(x) `e di classe Ck−1
.
Un punto x appartiene a W se e solo se si verifica il caso b).
Posto
N(x) = (φ′
(x) − φ′
(x0)) − (φ′
(x) − φ′
(x0))M(x)π(φ′
(x) − φ′
(x0))
la condizione b) si esprime con la relazione
< N(x)v0, γ0 >= 0
Per vedere se questa relazione individua localmente una variet`a di codimensione 1,
di classe Ck−1
, basta notare che N(x) `e di classe Ck−1
e che il differenziale del funzionale
x →< N(x)v0, γ0 >
calcolato nel punto di x0 `e dato da
z →< φ′′
(x0)[z][v0], γ0 > .
Questo funzionale lineare, per l’ipotesi II), non `e nullo. Risulta dunque dimostrata
la prima affermazione del Teorema 9.2.
Per dimostrare la seconda affermazione, facciamo vedere che, nell’ipotesi ammessa,
si pu`o costruire, in un intorno di x0, un diffeomorfismo W in φ(W). Evidentemente,
questo diffeomorfismo non pu`o essere la φ stessa, essendo x0 un punto singolare per φ.
Consideriamo dunque l’applicazione ψ : U → Y (dove U `e un opportuno intorno di x0)
cos`ı definita:
x → φ(x) + s < N(x)v0, γ0 >
Poich`e il funzionale x →< N(x)v0, γ0 > si annulla su W, φ coincide con ψ su W. Il
differenziale di ψ nel punto x0 `e:
x → φ′
(x0)z + s < φ′′
(x0)[z][v0], γ0 >
42
Un breve calcolo ci dice che ψ′
(x0) `e invertibile se e solo se
< φ′′
(x0)[v0][v0], γ0 >= 0
che `e appunto la condizione II∗
). Dunque, quando sia ammessa questa ipotesi l’insieme
critico `e, localmente, immagine della variet`a singolare secondo un diffeomorfismo di classe
Ck−1
: esso `e pertanto una variet`a di classe Ck−1
, di codimensione 1.
Definizione 9.4 (Punto singolare ordinario). Data un’applicazione di classe Ck
, con
k ≥ 2, diremo punto singolare ordinario un punto in cui valgono le condizioni I) e II∗
).
Quando x0 ∈ W sia un punto ordinario, la tesi del Teorema 8.3 pu`o essere notevol-
mente precisata.
Teorema 9.4. Sia φ : Λ → Y (Λ aperto di uno spazio di Banach X, Y spazio di Banach)
un’applicazione di classe Ck
con k ≥ 2 e sia x0 ∈ Λ un punto singolare ordinario.
Allora, indicato con s un vettore che `e trasversale a φ(W) in y0 = φ(x0), esiste un
intorno U di x0 ed un ǫ ∈ R+
tale che
a) ∀y ∈]y0, y0 + ǫs] l’equazione φ(x) = y ha 2 soluzioni in U;
b) ∀y ∈ [y0 − ǫs, y0[ l’equazione φ(x) = y non ha nessuna soluzione in U.
Dimostrazione. Poich`e x0 `e un punto singolare ordinario, allora, se U `e un opportuno
intorno di x0, φ(W ∩ U) `e, in un intorno di y0 = φ(x0), una variet`a di classe Ck−1
e di
codimensione 1. Usando le stesse notazioni del teorema precedente, indichiamo con s un
vettore che `e trasversale a φ(W) nel punto y0, e poniamo y = y0 + ηs, η ∈ R. Si pu`o
supporre senza ledere la generalit`a che < s, y0 >= 1, che x0 = 0 e che y0 = φ(x0) = 0.
Poniamo
r(x) = φ(x) − φ′
(0)x
x = λv0 + w (con w ∈ ˆX).
L’equazione φ(x) = y diventa allora:
φ′
(x0)w + r(λv0 + w) = ηs (9.4)
Trasformiamo la (9.4) in un sistema, applicando le proiezioni π e π′
. Avremo:
φ′
(x0)w + πr(λv0 + w) = 0
π′
r(λv0 + w) = ηs
(9.5)
Dalla prima delle (9.5), sempre tenendo presente l’invertibilit`a di φ′
(x0) tra ˆX e ˆY
ed il fatto che r′
(0) = 0, si ricava, applicando il teorema di Dini (Teorema 7.4):
w = σ(λ)
dove σ `e una funzione di classe Ck
definita in un intorno dell’origine di R e tale che
σ′
(0) = 0.
43
Il sistema (9.5) si riduce alla seguente equazione:
π′
r(λv0 + σ(λ)) = ηs,
che si pu`o scrivere:
< r(λv0 + σ(λ)), γ0 >= ηs
Quest’ultima equazione si tratta facilmente mediante il seguente Lemma.
Lemma 9.5. Sia φ una funzione reale di classe C2
definita in un intorno dell’origine di
R, tale che φ(0) = 0, φ′
(0) = 0, φ′′
(0) > 0.
Allora esistono dei numeri positivi ǫ, τ tali che:
• per ogni η ∈]0, ǫ] l’equazione φ(λ) = η ha due soluzioni di segno opposto in [−τ, +τ];
• per ogni η ∈ [−ǫ, 0[ l’equazione φ(λ) = η non ha alcuna soluzione in [−τ, +τ].
La conclusione della dimostrazione del Teorema 9.4 si ha subito ponendo φ(λ) =<
r(λv0 + σ(λ)), γ0 > e notando che `e φ(0) = φ′
(0) = 0, mentre `e φ′′
(0) = 0.
44
Capitolo 10
Esempi notevoli
Consideriamo problemi al contorno del tipo
y′′
(t) + ψ(y(t)) = f(t) 0 < t < π
y(0) = y(π) = 0
(10.1)
ove f ∈ Ck
([0, π]). Naturalmente lo studio dipender`a dalle propriet`a di ψ.
Il problema (10.1) sar`a messo in relazione con
v′′
+ λv = 0
v(0) = v(π) = 0
(10.2)
per cui la successione degli autovalori `e λn = n2
(n = 1, 2, . . . ).
Ricordiamo anche alcuni risultati concernenti la teoria degli autovalori per equazioni
differenziali del secondo ordine.
Proposizione 10.1. Sia ρ una funzione misurabile e limitata, ρ > 0 in [0, π]. Indicato
con µn l’ennesimo autovalore di
v′′
+ µρv = 0
v(0) = v(π) = 0
si ha che:
a) µn `e una successione di numeri positivi, non decrescente, che tende a +∞:
0 < µ1 < µ2 < . . .
b) Ogni autovalore `e semplice e l’autofunzione corrispondente a µn si annulla n-1
volte in ]0, π[.
c) µn `e funzione non crescente del coefficiente ρ. Se ρ1(t) < ρ2(t) q.o. in [0, π] allora,
indicati con µ
(1)
n e µ
(2)
n l’n-esimo autovalore di ρ = ρ1 e di ρ = ρ2 rispettivamente,
si ha µ
(1)
n > µ
(2)
n .
d) µn dipende con continuit`a da ρ nella topologia di L1
([0, π]).
45
Richiamiamo infine il Teorema di oscillazione di Sturm:
Teorema 10.2 (di Sturm). Supponiamo che x sia una soluzione in (a,b) di
(px′
)′
+ g1x = 0
e y una soluzione in (a,b) di
(py′
)′
+ g2y = 0
essendo p > 0, continua e g1, g2 due funzioni integrabili. Allora se risulta g2 ≥ g1 q.o.
in (a,b) e g2 > g1 in un insieme di misura positiva, tra due successivi zeri di x in (a,b)
cade almeno uno zero di y.
10.1 Esempio I
Supponiamo che ψ(s) sia una funzione di classe C1
tale che
ψ(0) = 0, h ≤ ψ′
(s) ≤ k con m2
< h ≤ k < (m + 1)2
(10.3)
Vogliamo dimostrare che in tali ipotesi per ogni f ∈ C([0, π]) il problema (10.1) ha
una ed una sola soluzione.
Sia C2
0 ([0, π]) = {f ∈ C2
([0, π])| supp(f) compatto}, dove supp(f) = {x|f(x) = 0}.
Sia φ : C2
0([0, π]) → C([0, π]) l’applicazione
φ : x(t) → x′′
(t) + ψ(x(t)) (10.4)
e proviamo che φ `e un omeomorfismo di C2
0 ([0, π]) in C([0, π]).
Cominciamo con il seguente Lemma:
Lemma 10.3. Sia xn una successione di C2
0([0, π]) e sia φ(xn) = fn. Allora se fn `e
limitata in C([0, π]), xn `e limitata in C([0, π])
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che xn C
1
→ +∞.
Poniamo zn = xn
xn C
. Si ha che zn ∈ C2
0 ([0, π]) ed inoltre zn C = 1.
Introduciamo la funzione
ω(s) =
ψ(s)
s
se s = 0
ψ′
(0) se s = 0
ω `e una funzione continua e si ha h ≤ ω ≤ k. Risulta
x′′
n + ψ(xn) = fn
e quindi, dividendo per xn C:
z′′
n + ω(xn)zn =
fn
xn C
(10.5)
1
y C = supx∈[0,π] |y(x)|.
46
La successione −ω(xn)zn + fn
xn C
`e limitata in C e quindi anche z′′
n `e limitata. Allora
da zn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente a z∗
in C1
0 (e quindi anche in C).
Risulta z∗
C = 1 e quindi z∗
= 0.
D’altra parte, poich`e ω(xn(t)) `e limitata, da essa si pu`o estrarre una sottosuccessione
convergente debolmente a ω∗
(nella topologia di (L1
)∗
), con h ≤ ω∗
≤ k.
Scriviamo la (10.5) in forma generalizzata:
−
π
0
z′
nw′
dt +
π
0
ω(xn)znwdt =
π
0
fn
xn C
wdt ∀w ∈ C∞
0 ([0, π]) (10.6)
e passiamo al limite in (10.6): si ottiene
−
π
0
(z∗
)′
w′
dt +
π
0
ω∗
z∗
wdt = 0 ∀w ∈ C∞
0 ([0, π]) (10.7)
La (10.7) dice che µ = 1 e v = z∗
sono, rispettivamente, un autovalore ed un
autovettore (in senso generalizzato) di
v′′
+ µω∗
v = 0
v(0) = v(π) = 0
(10.8)
Ma, essendo n2
< h ≤ ω∗
≤ k < (n + 1)2
, dovrebbe anche risultare µn < 1 < µn+1,
ove si `e indicato con µn l’n-esimo autovalore di (10.8). Si ottiene cos`ı un assurdo.
Lemma 10.4. L’applicazione φ : C2
0([0, π]) → C([0, π]) definita dalla (10.4) `e propria.
Dimostrazione. Sia xn una successione di C2
0 ([0, π]) tale che φ(xn) = fn sia convergente
in C([0, π]). Allora, per il Lemma 10.3, xn `e limitata in C([0, π]). Essendo poi x′′
n =
fn − ψ(xn), si ha che anche x′′
n C `e limitata e quindi xn contiene una sottosuccessione
convergente in C1
0 ([0, π]). Allora fn −ψ(xn) `e una successione convergente e quindi anche
x′′
n converge in C.
Lemma 10.5. φ `e un’applicazione di classe C1
, localmente invertibile in ogni punto
x ∈ C2
0([0, π]).
Dimostrazione. E’ evidente che φ `e di classe C1
e che il suo differenziale, calcolato nel
punto x ∈ C2
0 ([0, π]) `e dato da
φ′
(x) : v → v′′
+ ψ′
(x)v (10.9)
Allora per dimostrare il Lemma baster`a provare che la (10.9) `e una applicazione
invertibile. Per constatarlo consideriamo il problema 2
v′′
+ ψ′
(x)v = 0
v(0) = v(π) = 0
Esso non ha soluzioni proprie perch`e ∀t ∈ [0, π] si ha n2
< h ≤ ψ′
(x(t)) ≤ k < (n+1)2
(vedi la conclusione della dimostrazione del Lemma 10.3).
2 ´E sufficiente considerare il problema omogeneo (cfr. il teorema dell’alternativa)
47
Possiamo concludere con il seguente teorema
Teorema 10.6. Sia ψ una funzione di classe C1
tale che valga la (10.3). Allora il
problema (10.1) ha una ed una sola soluzione in C2
0 ([0, π]) per ogni secondo membro
f ∈ C([0, π]).
Dimostrazione. L’applicazione φ `e propria ed `e localmente invertibile in ogni punto di
C2
0 ([0, π]). Quindi φ `e un diffeomorfismo (di classe C1
) di C2
0([0, π]) su C([0, π]).
10.2 Esempio II
Supponiamo che ψ(s) sia una funzione di classe C2
, tale che:
ψ(0) = 0 ψ′
(0) = 1 ψ′′
(0) = 0 sψ′′
(s) < 0 ∀s = 0.
Vogliamo dimostrare che in tali ipotesi per ogni f ∈ C([0, π]), il problema (10.1) ha
una ed una sola soluzione.
Consideriamo ancora l’applicazione φ : C2
0 → C
φ(x) = x′′
+ ψ(x)
e seguendo lo schema usato nell’esempio I, proviamo una maggiorazione a priori.
Cominciamo con il notare che, essendo sψ′′
(s) < 0 (s = 0), ψ′
`e crescente in un
intorno sinistro di 0 e decrescente in un intorno destro di 0. Perci`o, preso l < 1 ed
abbastanza vicino a 1, esistono ξ1 > 0 e ξ2 < 0 tali che ψ′
(ξ1) = ψ′
(ξ2) = l.
Allora, per s > 0 si ha, per la concavit`a di ψ
ψ(s) ≤ ψ(ξ1) + ψ′
(ξ1)(s − ξ1) = ls + k1, k1 = ψ(ξ1) − ξ1ψ′
(ξ1)
e analogamente per s < 0:
ψ(s) ≥ ψ(ξ2) + ψ′
(ξ2)(s − ξ2) = ls + k2, k2 = ξ2ψ′
(ξ2) − ψ(ξ2)
da cui
sψ(s) ≤ ls2
+ k|s|, k = max(k1, k2) (10.10)
48
Figura 10.1: il grafico di ψ.
k1 e k2 (e quindi k) sono infinitesimi di ordine superiore a 1 − l per l → 1.
Sia ora f ∈ C([0, π]) e sia x ∈ C2
0([0, π]) una soluzione di x′′
+ψ(x) = f. Moltiplichiamo
per x ed integriamo in [0, π]. Con facili calcoli si ottiene:
π
0
x′′
(t)x(t)dt = [x′
(t)x(t)]
t=π
t=0 −
π
0
(x′
(t))2
dt = −
π
0
(x′
(t))2
dt
e quindi
π
0
{x′2
(t) − ψ(x(t))x(t)}dt = −
π
0
f(t)x(t)dt (10.11)
Utilizzando la (10.10) e la (10.11) si trova:
π
0
{x′2
(t) − lx2
(t)}dt ≤
π
0
{x′2
(t) + k|x(t)| − ψ(x(t))x(t)}dt =
=
π
0
{k|x(t)| − f(t)x(t)}dt ≤
π
0
(k + |f(t)|)|x(t)|dt (10.12)
Per la nota disuguaglianza di Poincar´e
π
0
x2
(t)dt ≤
π
0
x′2
(t)dt
Perci`o si ha, dalla (10.12):
(1 − l) x 2
L2 = (1 − l)
π
0
x2
(t)dt ≤
π
0
(k + |f(t)|)|x(t)|dt ≤ k + |f| L2 x L2
e quindi
x L2 ≤
1
1 − l
(k
√
π + f C). (10.13)
Inoltre dalla (10.12) si ricava:
x′ 2
L2 ≤ l x 2
L2 + k + |f| L2 x L2
e quindi dalla (10.13) si ricava che x′
L2 `e maggiorata in termini di f C. Ne segue che
x C `e limitata e quindi, dall’equazione x′′
= f − ψ(x) che anche x′′
C `e limitata.
A questo punto, ripetendo i ragionamenti fatti nel Lemma 10.4, possiamo affermare:
Lemma 10.7. L’applicazione φ `e propria.
Passiamo allo studio dei punti singolari di φ.
49
Lemma 10.8. L’insieme dei punti singolari W di φ si riduce al solo punto 0. Inoltre
φ(W) = φ−1
(φ(W)) = {0}.
Dimostrazione. E’ evidente che x = 0 `e un punto singolare per φ.
Proviamo che `e l’unico punto singolare di φ. Infatti sia x ∈ C2
0 ([0, π]) con x = 0 e
tale che φ′
(x) non sia invertibile. Allora esiste v = 0, v ∈ C2
0([0, π]) tale che
v′′
+ ψ′
(x)v = 0
Ma per s = 0 si ha ψ′
(s) < 1 e quindi ψ′
(x(t)) `e minore di 1 in un insieme di misura
positiva. Allora, per il teorema di Sturm, confrontando l’equazione precedente con
w′′
+ w = 0 w(0) = w(π) = 0
si ha che non pu`o essere v(π) = 0. Perci`o W = {0}, ed essendo φ(0) = 0, si ha anche che
φ(W) = {0}. Resta da provare che φ−1
(φ(W)) = {0}. A questo scopo sia x ∈ C2
0([0, π])
tale che φ(x) = 0.
Applicando la (10.13) si ha che ∀l < 1 ∃k > 0 tale che:
x L2 ≤
k
√
π
1 − l
Ricordiamo che, se l e k sono presi com’`e stato fatto all’inizio, k
1−l
→ 0 per l → 1.
Quindi x L2 = 0.
Possiamo concludere:
Teorema 10.9. Sia ψ una funzione di classe C2
tale che ψ(0) = 0, ψ′
(0) = 1, sψ′′
(s) < 0
(per s = 0). Allora il problema (10.1) ha una ed una sola soluzione in C2
0 ([0, π]), per
ogni secondo membro f ∈ C([0, π]).
Dimostrazione. In questo caso si applicher`a il Teorema 8.4. Infatti C2
0([0, π]) − {0} `e
connesso, e C([0, π]) − {0} `e semplicemente connesso. Quindi se f = 0 esiste ed `e unica
la soluzione x di φ(x) = f. Se f = 0, la tesi discende dal Lemma 10.8.
Osservazione 16. L’applicazione inversa f → x `e continua anche per f = 0. Ci`o discende
facilmente dalla maggiorazione a priori (10.13).
10.3 Esempio III
In quest’ultimo caso prendermo ψ soddisfacente alle seguenti condizioni: ψ ∈ C2
ed
inoltre ψ(0) = 0; ψ′
(0) = 1; ψ′′
(s) > 0;
lim
s→−∞
ψ′
(s) = l′
0 < l′
< l
lim
s→+∞
ψ′
(s) = l′′
l′′
< 4
Proveremo il Teorema seguente:
50
Teorema 10.10. Sia ψ una funzione verificante le ipotesi precedenti. Allora esiste in
C([0, π]) una variet`a M chiusa, connessa, di codimensione 1, tale che C([0, π]) − M
consiste esattamente di due componenti connesse A1 e A2 e si ha:
a) ∀f ∈ A1 il problema (10.1) non ha soluzioni
b) ∀f ∈ A2 il problema (10.1) ha due soluzioni
c) ∀f ∈ M il problema (10.1) ha una sola soluzione.
Per dimostrare questo teorema seguiremo il solito schema e considereremo l’applica-
zione φ : C2
0 ([0, π]) → C([0, π])
φ(x) = x′′
+ ψ(x)
Cominciamo a provare una maggiorazione a priori di φ:
Lemma 10.11. Sia xn ∈ C2
0 ([0, π]) tale che φ(xn) = fn sia limitata in C([0, π]). Allora
xn `e limitata in C([0, π]).
Dimostrazione. Nella prima parte si procede come nel Lemma 10.3. Supposto che
xn C → +∞,
si pone zn = xn
xn C
e
ω(s) =
ψ(s)
s
s = 0
ψ′
(0) s = 0
Si ha che zn C = 1 e che ω `e di classe C1
con l′
≤ ω(s) ≤ l′′
.
Inoltre essendo x′′
n +ψ(xn) = fn, dividendo per xn C e scrivendo l’equazione in forma
generalizzata, si trova che:
−
π
0
z′
n(t)w′
(t)dt +
π
0
ω(xn(t))zn(t)w(t)dt =
π
0
fn(t)
xn C
w(t)dt ∀w ∈ C∞
0 ([0, π])
(10.14)
Essendo z′′
n = fn xn
−1
C − ω(xn)zn, si ha che z′′
n C `e limitata. Quindi da zn si pu`o
estrarre una sottosuccessione convergente in C1
(e quindi in C) a una funzione z tale che
z = 1: z `e quindi non nulla.
A questo punto osserviamo che ∀t ∈ [0, π] tale che z(t) < 0 si ha
lim
n→+∞
ω(xn(t)) = l′′
Allora se si pone
α(t) =



l′
se z(t) < 0
l′′
se z(t) > 0
ψ′
(0) se z(t) = 0
si ha che
lim
n→+∞
ω(xn(t))zn(t) = α(t)z(t) t ∈ [0, π]
51
Passiamo ora al limite nella (10.14); si trova che:
−
π
0
z′
(t)w′
(t)dt +
π
0
α(t)z(t)w(t)dt = 0 ∀w ∈ C∞
0 ([0, π])
Ci`o significa che z `e soluzione (in senso generalizzato) di
z′′
+ αz = 0 z(0) = z(π) = 0 (10.15)
Poich`e α ≤ l′′
< 4 per ipotesi, dalla (10.15) si deduce che 1 `e il primo autovalore
di v′′
+ λαv = 0, v(0) = v(π) = 0. Perci`o z `e sempre dello stesso segno in ]0, π[.
Supponiamo che sia, ad esempio, z(t) > 0 ∀t ∈]0, π[. Allora, α(t) = l′′
∀t ∈]0, π[ e la
(10.15) `e evidentemente assurda. Analogamente se z(t) < 0 in ]0, π[.
Ripetendo gli stessi ragionamenti fatti nel Lemma 10.4 si trova che:
Lemma 10.12. Nelle ipotesi fatte, l’applicazione φ `e propria.
Studiamo ora W (insieme singolare di φ) e φ(W). Cominciamo con:
Lemma 10.13. Se x0 ∈ W, allora x0 `e un punto singolare ordinario.
Dimostrazione. φ `e ovviamente un’applicazione di classe C2
. I suoi differenziali primo e
secondo calcolati nel punto x ∈ C2
0 ([0, π]), sono, rispettivamente
φ′
(x)[v] = v′′
+ ψ′
(x)v
ψ′′
(x)[v][w] = ψ′
(x)vw.
x0 ∈ W se e solo se il problema
v′′
+ ψ′
(x0)v = 0 v(0) = v(π) = 0
ha una soluzione propria, ovvero, equivalentemente, se λ = 1 `e un autovalore di
v′′
+ λψ′
(x0)v = 0 v(0) = v(π) = 0 (10.16)
Poich`e per ipotesi si ha 0 < l′
< ψ′
(x0) < l′′
con l′
< 1 < l′′
< 4, λ = 1 `e il primo
autovalore (e quindi semplice) di (10.16). Di conseguenza il nucleo Ker(φ′
(x0)) di φ′
(x0)
`e associato con un vettore non nullo v0 ∈ C2
0([0, π]), ed inoltre:
Im(φ′
(x0)) = g(t) ∈ C([0, π]) |
π
0
g(t)v0(t)dt = 0
Quindi l’ipotesi (I) del Teorema 9.2 `e soddisfatta e il funzionale γ0 tale che
Im(φ(x0)) = {z | < z, γ0 >= 0}
`e dato da
z →
π
0
z(t)v0(t)dt
Allora
< φ′′
(x0)[v0][v0], γ0 >=
π
0
ψ′′
(x0(t))v3
0(t)dt
Tale integrale `e diverso da 0 perch`e ψ′′
(s) > 0 ∀s e v0 `e sempre dello stesso segno in
]0, π[ essendo la prima il primo autovettore di (10.16).
52
Lemma 10.14. W `e non vuoto e connesso: infatti esso ha una rappresentazione carte-
siana su un sottospazio lineare di C2
0 ([0, π]) di codimensione 1.
Dimostrazione. Sia u ∈ C2
0 ([0, π]) con u(t) > 0 ∀t ∈]0, π[ e sia Z un qualunque sottospazio
lineare di C2
0([0, π]) di codimensione 1, tale che u /∈ Z. Ogni elemento x ∈ C2
0 ([0, π]) pu`o
essere rappresentato in modo unico nella forma x = z + νu con z ∈ Z e ν ∈ R. Il
problema
v′′
+ λψ′
(z + νu)v = 0 v(0) = v(π) = 0
in cui si pensa z ∈ Z fissato, ha come primo autovalore un numero λ(ν) dipendente con
continuit`a (cfr. Proposizione 10.1-d) da ν.
Poich`e u(t) > 0 in ]0, π[, allora ∀t ∈]0, π[ si ha che
lim
ν→−∞
ψ′
(z(t) + νu(t)) = l′
lim
ν→+∞
ψ′
(z(t) + νu(t)) = l′′
.
Essendo l′
< ψ′
(t) < l′′
, i limiti precedenti sono anche limiti nella norma L1
e quindi
si ha:
lim
ν→−∞
λ(ν) =
1
l′
> 1; lim
ν→+∞
µ(ν) =
1
l′′
< 1.
Quindi esiste un ν tale che µ(ν) = 1. Tale valore `e unico perch`e λ `e monotona
decrescente (cfr. Teorema 9.1-c). Dunque la retta ν → z + νu incontra W in un unico
punto. Tale punto dipende con continuit`a da z ∈ Z.
Infine, per studiare la struttura di φ(W) e di φ−1
(φ(W)), enunciamo il seguente
lemma:
Lemma 10.15. Se f ∈ φ(W), allora φ(x) = f ha un’unica soluzione C2
0 ([0, π]).
Dimostrazione. Sia f ∈ φ(W) e supponiamo che esistano due elementi x ed x tali che
φ(x) = φ(x) = f. Poniamo
φ(t) =
ψ(x(t))−ψ(x(t))
x(t)−x(t)
dove risulta x(t) = x(t)
ψ′
(x(t)) dove risulta x(t) = x(t)
Allora si ha che
(x − x)′′
+ φ(x − x) = 0 (x − x)(0) = (x − x)(π) = 0
Ma poich`e l′
< φ(t) < l′′
< 4, si deduce che x − x `e la prima autofunzione e λ = 1 `e
il primo autovalore di
v′′
+ λφv = 0 v(0) = v(π) = 0;
in particolare quindi, x − x ha sempre lo stesso segno in ]0, π[.
D’altra parte, essendo per ipotesi ψ′′
(t) > 0, si ha che
φ(t) > ψ′
(x(t)) t ∈]0, π[. (10.17)
Ricordando infine che x ∈ W, si ha che λ = 1 `e anche il primo autovalore di
v′′
+ λψ′
(x)v = 0 v(0) = v(π) = 0
Questo `e in contraddizione con la (10.17) (cfr. Proposizione 10.2 c).
53
Dimostrazione del Teorema 10.10. φ `e un’applicazione di classe C2
propria. W `e una
variet`a chiusa e connessa e quindi anche φ(W) `e chiusa e connessa3
; inoltre per il Lem-
ma 10.15 φ `e biiettiva fra W e φ(W) e quindi, essendo anche propria, φ induce un
omeomorfismo tra W e φ(W).
Poich`e tutti i punti di W sono ordinari, allora per il Teorema 9.2, anche φ(W) `e una
variet`a regolare di codimensione 1. Di conseguenza, per il Teorema 9.1, C([0, π]) − φ(W)
ha al pi`u 2 componenti connesse. Poich`e i punti x ∈ W sono punti singolari ordinari
allora possiamo applicare il Teorema 9.4 ed affermare che: esiste un intorno U di x ∈ W
e un segmento Λ trasversale a φ(W) in y = φ(x) tali che se f varia su Λ, il numero NU (f)
delle soluzioni di φ(x) = f che stanno in U `e 2 oppure 0 a seconda che f appartiene
ad una o all’altra delle componenti connesse di Λ − φ(W). Ora osserviamo che per ogni
intorno U di x0 ∈ W esiste un intorno V di y0 = φ(x0) tale che φ−1
(V ) ⊂ U. Infatti
se cos`ı non fosse esisterebbe un intorno U∗
di x0 ed una successione xn /∈ U∗
tale che
φ(xn) → y0. Poich`e φ `e propria, da xn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente
a x con x /∈ U∗
e φ(x) = y0. Questo `e in contrasto con il Lemma 10.15.
Si pu`o anche concludere che le componenti connesse di C([0, π]) − φ(W) sono esat-
tamente due (A1 e A2) e le soluzioni di φ(x) = f sono due o nessuna a seconda che f
appartiene all’una o all’altra di tali componenti. La (a) e (b) sono cos`ı dimostrate.
La (c) segue subito dal Lemma 10.15.
3
Poich`e φ `e propria, trasforma chiusi in chiusi.
54
Appendice A
Contrazioni in uno spazio metrico
Una contrazione `e una funzione da uno spazio metrico in se stesso che accorcia le
distanze fra le coppie di punti in modo uniforme.
Definizione A.1 (Contrazione). Se (M, d) e (N, g) sono due spazi metrici, si definisce
applicazione di contrazione, o semplicemente contrazione, una funzione f da M a N, con
la seguente propriet`a: esiste una costante reale 0 < k < 1 tale che, per ogni x e y in M,
si ha:
g(f(x), f(y) ≤ kd(x, y).
Il pi`u piccolo valore di k per cui vale tale condizione si chiama costante di Lipschitz di
f.
Ogni contrazione `e lipschitziana e quindi uniformemente continua.
Una contrazione ha al massimo un punto fisso.
Teorema A.1 (del punto fisso di Banach). Sia (X,d) uno spazio metrico completo
e sia
T : X −→ X
una contrazione in (X,d). Allora esiste ed `e unico un punto x ∈ X tale che
T(x) = x. (A.1)
Dimostrazione. Poich`e T `e una contrazione esiste una costante L ∈]0, 1[ tale che
d(T(x), T(y)) ≤ Ld(x, y) ∀x, y, ∈ X. (A.2)
i`o premesso dimostriamo dapprima l’unicit`a del punto fisso di T. Successivamente
proveremo l’esistenza.
Siano x, y ∈ X punti fissi di T. Allora T(x) = x e T(y) = y. Quindi
d(x, y) = d(T(x), T(y)) ≤ Ld(x, y)
od anche
(1 − L)d(x, y) ≤ 0.
Poich`e 1−L > 0 ci`o implica d(x, y) ≤ 0. Ma, in ogni caso, d(x, y) ≥ 0. Allora d(x, y) = 0
e x = y. Questo prova che T ha al pi`u un p`eunto fisso.
55
La dimostrazione dell’esistenza `e costruttiva e si basa su un importante procedimento
iterativo chiamato metodo delle approssimazioni successive.
Fissiamo, ad arbitrio, un punto a ∈ X e definiamo, per ricorrenza, una successione
(xn)n≥0 in X nel modo seguente:
x0 = a
xn+1 = T(xn), n ∈ N.
Proviamo che (xn) `e di Cauchy in (X, d). Anzitutto, poich`e T verifica (A.2), per ogni
m ∈ N si ha
d(xm+1, xm) = d(T(xm), T(xm−1)) ≤ Ld(xm, xm−1),
e quindi, per iterazione,
d(xm+1, xm) ≤ Ld(xm, xm−1) ≤ L2
d(xm−1, xm−2) ≤ · · · ≤ Lm
d(x1, x0).
Da questa, utilizzando la disuguaglianza triangolare, per ogni n, m ∈ N, n > m, si ricava
d(xn, xm) ≤ d(xn, xn−1) + d(xn−1, xn−2) + · · · + d(xm+1, xm) ≤
≤ Ln−1
d(x1, x0) + Ln−2
d(x1, x0) + · · · + Lm
d(x1, x0) =
= Lm
(1 + L + · · · + Ln−m−1
)d(x1, x0) =
= Lm Ln−m
− 1
L − 1
d(x1, x0).
Allora, poich`e
0 <
Ln−m
− 1
L − 1
=
1 − Ln−m
1 − L
<
1
1 − L
(ricordiamo che 0 < L < 1),
d(xn, xm) <
Lm
1 − L
d(x1, x0) ∀n, m ∈ N, n > m. (A.3)
Da questa, poich`e Lm
−→ 0 per m → +∞, si trae
d(xn, xm) → 0 per n, m → +∞.
Quindi (xn) `e una successione di Cauchy in (X, d). Per la completezza di (X, d) esiste
allora un punto
x ∈ X
tale che
xn
d
−→ x per n → +∞.
Ma allora, evidentemente, anche xn+1 → x per n → +∞, e quindi, poich`e xn+1 = T(xn)
e T `e continua
x = lim
n→+∞
xn+1 = lim
n→+∞
T(xn) = T( lim
n→+∞
xn) = T(x).
Questo prova che x `e un punto fisso di T e completa la dimostrazione del Teorema.
Tale teorema `e usato nella dimostrazione dell’esistenza ed unicit`a della soluzione per
i sistemi di equazioni differenziali ordinarie del primo ordine, sotto opportune ipotesi
(teorema di Cauchy-Lipschitz).
56
Bibliografia
AMB-PRO [1] A. AMBROSETTI, G. PRODI, Analisi non lineare, SNS, 1973, Pisa.
BER-PAS [2] M. BERTSCH, R. DAL PASSO, Elementi di analisi matematica,
ARACNE, 2001, Roma.
BRE [3] H. BREZIS, Analisi funzionale, LIGUORI, 1986, Napoli.
HSI-SIB [4] P. HSIEH, Y. SIBUYA, Basic theory of ordinary differential equations,
SPRINGER, 1999, New York.
LAN2 [5] E. LANCONELLI, Lezioni di analisi mat. 2 (parte prima), PITAGORA,
1995, Bologna.
PIN [6] B. PINI, Lezioni di analisi mat. di secondo livello (parte prima), CLUEB,
19 , Bologna.
RHE [7] W. C. RHEINBOLDT, Local mapping relations and global implicit
function theorems, Transactions American Mathematical Society, 138
(1969).
SER [8] E. SERNESI, Geometria 2, BOLLATI BORINGHIERI, 1994, Torino.
57
Ringraziamenti
Al termine di questi tre anni di studi, sono tante le persone che desidero ringraziare.
Comincio da coloro che non posso pi`u salutare di persona, i miei nonni Anna e Flavio.
Non posso che essere profondamente grato a tutta la mia famiglia: mia madre Lo-
riana, mio padre Jader, mio zio Enzo, mia nonna Edda, mia zia Paola, mio fratello
Gregorio. Il loro amore e il loro sostegno mi hanno fatto davvero capire solo in questi
anni l’importanza della famiglia.
Devo la mia passione per la matematica e il rigore del suo metodo a molte persone.
Da ogni insegnante (non solo di matematica) che ho incontrato ho imparato pi`u di quello
che posso esprimere. Desidero in particolare ringraziare i miei ex professori (ed ora amici)
Christian Facchini e Anna Maria Michelini.
Crescere e studiare insieme crea un legame forte come la vita: ringrazio Andrea,
Diego, Federico, Giulia, Lucia, Marcello, Marica, Silvia, Vanna, Veronica.
Il professor Ermanno Lanconelli invece non lo ringrazio ancora; non avrebbe senso
ringraziare una persona dei cui insegnamenti, esempi e consigli, avr`o bisogno ancora per
molto tempo.

More Related Content

What's hot

4 Algebra Di Boole
4   Algebra Di Boole4   Algebra Di Boole
4 Algebra Di Booleguest60e9511
 
Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...
Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...
Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...santi caltabiano
 
Spazi di hilbert [santi caltabiano]
Spazi di hilbert [santi caltabiano]Spazi di hilbert [santi caltabiano]
Spazi di hilbert [santi caltabiano]santi caltabiano
 
Stimatori per covarianza
Stimatori per covarianzaStimatori per covarianza
Stimatori per covarianzarosettina
 
Minimax regret solution to linear programming problems with an interval obje...
Minimax regret solution to linear programming problems with  an interval obje...Minimax regret solution to linear programming problems with  an interval obje...
Minimax regret solution to linear programming problems with an interval obje...NicolasTortora
 
EC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilistico
EC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilisticoEC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilistico
EC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilisticogiovanni Colombo
 
Minimiemassimi
MinimiemassimiMinimiemassimi
Minimiemassimialecellini
 
Esercitazione 4 (19 marzo 2012)
Esercitazione 4 (19 marzo 2012)Esercitazione 4 (19 marzo 2012)
Esercitazione 4 (19 marzo 2012)STELITANO
 
Unità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli Francesco
Unità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli FrancescoUnità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli Francesco
Unità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli Francescosanmaxsan
 
Distribuzioni di Probabilita e Variabili Casuali
Distribuzioni di Probabilita e Variabili CasualiDistribuzioni di Probabilita e Variabili Casuali
Distribuzioni di Probabilita e Variabili Casualimaxbt
 
Calcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellittiche
Calcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellitticheCalcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellittiche
Calcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellitticheFlavio Grandin
 
Appunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplesso
Appunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplessoAppunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplesso
Appunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplessoprofman
 
Dispense21
Dispense21Dispense21
Dispense21imartini
 
Nonlin tutto 2009
Nonlin tutto 2009Nonlin tutto 2009
Nonlin tutto 2009marbonf
 

What's hot (20)

tesi
tesitesi
tesi
 
FSTI1112 1 1/2
FSTI1112 1 1/2FSTI1112 1 1/2
FSTI1112 1 1/2
 
4 Algebra Di Boole
4   Algebra Di Boole4   Algebra Di Boole
4 Algebra Di Boole
 
Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...
Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...
Appunti di analisi funzionale [a.a. 1995 1996][prof. biagio ricceri][santi ca...
 
Spazi di hilbert [santi caltabiano]
Spazi di hilbert [santi caltabiano]Spazi di hilbert [santi caltabiano]
Spazi di hilbert [santi caltabiano]
 
Stimatori per covarianza
Stimatori per covarianzaStimatori per covarianza
Stimatori per covarianza
 
Gruppo conforme
Gruppo conformeGruppo conforme
Gruppo conforme
 
Tesina integrali
Tesina integraliTesina integrali
Tesina integrali
 
Minimax regret solution to linear programming problems with an interval obje...
Minimax regret solution to linear programming problems with  an interval obje...Minimax regret solution to linear programming problems with  an interval obje...
Minimax regret solution to linear programming problems with an interval obje...
 
EC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilistico
EC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilisticoEC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilistico
EC_: mio dispensario_calcolo_semiprobabilistico
 
canale_turbolento
canale_turbolentocanale_turbolento
canale_turbolento
 
Minimiemassimi
MinimiemassimiMinimiemassimi
Minimiemassimi
 
Esercitazione 4 (19 marzo 2012)
Esercitazione 4 (19 marzo 2012)Esercitazione 4 (19 marzo 2012)
Esercitazione 4 (19 marzo 2012)
 
Corbo relativita
Corbo relativitaCorbo relativita
Corbo relativita
 
Unità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli Francesco
Unità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli FrancescoUnità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli Francesco
Unità didattica sui limiti - IIS "Einaudi-Scarpa" - Prof. Sorbaioli Francesco
 
Distribuzioni di Probabilita e Variabili Casuali
Distribuzioni di Probabilita e Variabili CasualiDistribuzioni di Probabilita e Variabili Casuali
Distribuzioni di Probabilita e Variabili Casuali
 
Calcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellittiche
Calcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellitticheCalcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellittiche
Calcolo della precessione del perielio di Mercurio mendiante funzioni ellittiche
 
Appunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplesso
Appunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplessoAppunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplesso
Appunti di Elaborazione automatica dei dati: il simplesso
 
Dispense21
Dispense21Dispense21
Dispense21
 
Nonlin tutto 2009
Nonlin tutto 2009Nonlin tutto 2009
Nonlin tutto 2009
 

Viewers also liked

The Buddy Bag Foundation
The Buddy Bag FoundationThe Buddy Bag Foundation
The Buddy Bag FoundationKatie Leedham
 
Betty Brite Cleaners Final
Betty Brite Cleaners FinalBetty Brite Cleaners Final
Betty Brite Cleaners FinalJohn Blair
 
aule libere Donmilanimontichiari
aule libere Donmilanimontichiariaule libere Donmilanimontichiari
aule libere Donmilanimontichiaribabul122
 
Educación a distancia
Educación a distanciaEducación a distancia
Educación a distanciadanielas1994
 
тиждень правових знань
тиждень правових знаньтиждень правових знань
тиждень правових знаньvasiliy1111
 
SWR Brochure v1.5.1_small
SWR Brochure v1.5.1_smallSWR Brochure v1.5.1_small
SWR Brochure v1.5.1_smallJon Frosdick
 
Wp security-wordcamp2016-vitalykarasik
Wp security-wordcamp2016-vitalykarasikWp security-wordcamp2016-vitalykarasik
Wp security-wordcamp2016-vitalykarasikVitaly Karasik
 
HEMA Presentation
HEMA PresentationHEMA Presentation
HEMA PresentationNick Huang
 
Canvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology Discoveries
Canvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology DiscoveriesCanvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology Discoveries
Canvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology DiscoveriesJesús C. Morales
 
Mode of Transportation Report
Mode of Transportation Report  Mode of Transportation Report
Mode of Transportation Report Batoul Alshamali
 

Viewers also liked (16)

Presentación2
Presentación2Presentación2
Presentación2
 
The Buddy Bag Foundation
The Buddy Bag FoundationThe Buddy Bag Foundation
The Buddy Bag Foundation
 
Betty Brite Cleaners Final
Betty Brite Cleaners FinalBetty Brite Cleaners Final
Betty Brite Cleaners Final
 
aule libere Donmilanimontichiari
aule libere Donmilanimontichiariaule libere Donmilanimontichiari
aule libere Donmilanimontichiari
 
Educación a distancia
Educación a distanciaEducación a distancia
Educación a distancia
 
Macroeconomia
MacroeconomiaMacroeconomia
Macroeconomia
 
тиждень правових знань
тиждень правових знаньтиждень правових знань
тиждень правових знань
 
SWR Brochure v1.5.1_small
SWR Brochure v1.5.1_smallSWR Brochure v1.5.1_small
SWR Brochure v1.5.1_small
 
255 1284-1-pb
255 1284-1-pb255 1284-1-pb
255 1284-1-pb
 
Ruz.Mobile.pptx
Ruz.Mobile.pptxRuz.Mobile.pptx
Ruz.Mobile.pptx
 
Wp security-wordcamp2016-vitalykarasik
Wp security-wordcamp2016-vitalykarasikWp security-wordcamp2016-vitalykarasik
Wp security-wordcamp2016-vitalykarasik
 
Manual specialization
Manual specializationManual specialization
Manual specialization
 
HEMA Presentation
HEMA PresentationHEMA Presentation
HEMA Presentation
 
Canvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology Discoveries
Canvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology DiscoveriesCanvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology Discoveries
Canvax Catalog 2017 - Accelerating your Molecular Biology Discoveries
 
Qtcl total
Qtcl totalQtcl total
Qtcl total
 
Mode of Transportation Report
Mode of Transportation Report  Mode of Transportation Report
Mode of Transportation Report
 

Similar to GlobalInvertibility (20)

Massimi e minimi
Massimi e minimiMassimi e minimi
Massimi e minimi
 
Derivate
DerivateDerivate
Derivate
 
martingale
martingalemartingale
martingale
 
Limiti
LimitiLimiti
Limiti
 
Integrale definito
Integrale definitoIntegrale definito
Integrale definito
 
Joseph louis lagrange
Joseph louis lagrangeJoseph louis lagrange
Joseph louis lagrange
 
Flessi
FlessiFlessi
Flessi
 
Integrali definiti
Integrali definitiIntegrali definiti
Integrali definiti
 
Derivata
DerivataDerivata
Derivata
 
05 calcolo differenziale 2017 imes
05 calcolo differenziale 2017 imes05 calcolo differenziale 2017 imes
05 calcolo differenziale 2017 imes
 
Integrali definiti
Integrali definitiIntegrali definiti
Integrali definiti
 
Appunti sugli-integrali-definiti
Appunti sugli-integrali-definitiAppunti sugli-integrali-definiti
Appunti sugli-integrali-definiti
 
Zeri
ZeriZeri
Zeri
 
testi esami T.Gramtchev
testi esami T.Gramtchevtesti esami T.Gramtchev
testi esami T.Gramtchev
 
Derivata.ppt
Derivata.pptDerivata.ppt
Derivata.ppt
 
La derivata
La derivataLa derivata
La derivata
 
Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009
Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009
Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009
 
Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009
Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009
Tracce Seconda Prova Matematica Maturità Scientifica 2009
 
Asintoti
AsintotiAsintoti
Asintoti
 
Funzioni di ammettenza aerodinamica degli edifici tramite integrazione quasi ...
Funzioni di ammettenza aerodinamica degli edifici tramite integrazione quasi ...Funzioni di ammettenza aerodinamica degli edifici tramite integrazione quasi ...
Funzioni di ammettenza aerodinamica degli edifici tramite integrazione quasi ...
 

GlobalInvertibility

  • 1. Alma Mater Studiorum · Universit`a di Bologna FACOLT`A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Matematica SULL’INVERTIBILIT´A GLOBALE Tesi di Laurea in Analisi Matematica Relatore: Chiarissimo Professor Ermanno Lanconelli Presentata da Jacopo Lanzoni I sessione Anno Accademico 2007-2008
  • 2.
  • 3. A mio fratello Gregorio A mio nonno Flavio
  • 4.
  • 5. Indice Introduzione 5 1 Il differenziale di Fr´echet 7 2 Il differenziale di Gˆateaux 11 3 La propriet`a di prolungamento 15 4 Invertibilit`a globale di funzioni continue 19 5 Invertibilit`a globale di funzioni differenziabili 21 6 Funzioni coercive in norma e Teorema di Caccioppoli 25 7 Estensioni del teorema di invertibilit`a locale 27 8 Estensioni del teorema di invertibilit`a globale 35 9 Estensioni dell’invertibilit`a globale per applicazioni differenziabili 39 10 Esempi notevoli 45 10.1 Esempio I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 10.2 Esempio II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 10.3 Esempio III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 A Contrazioni in uno spazio metrico 55 3
  • 6. 4
  • 7. Introduzione L’obiettivo di questa tesi `e lo studio dell’invertibilit`a globale delle funzioni tra spazi di Banach. I risultati di carattere teorico sono accompagnati da esempi concreti, in particolare da applicazioni alle equazioni differenziali. Per rendere questa trattazione autosufficiente, comincer`o con l’esporre alcune nozioni di base riguardanti il calcolo differenziale tra spazi di Banach (capp. 1 e 2). Nel capitolo 3 introduco la propriet`a di prolungamento per applicazioni continue, che utilizzer`o nel capitolo 4 per caratterizzare l’invertibilit`a globale delle funzioni continue tra spazi di Banach. Terminata la trattazione per le funzioni continue, nel capitolo 5 studio l’inverti- bilit`a globale di applicazioni differenziabili, esponendo e dimostrando il classico teorema di Hadamard. Nel capitolo 6 introduco la nozione di coercivit`a per applicazioni tra spazi di Banach, con cui si possono dimostrare altri teoremi di invertibilit`a globale, come il teorema di Caccioppoli. Espongo poi alcune generalizzazioni dei teoremi di invertibilit`a fino qui ottenuti: il capitolo 7 `e dedicato all’invertibilit`a locale, mentre i capitoli 8 e 9 riguardano l’invertibilit`a globale di applicazioni rispettivamente continue e differenziabili. Nel capitolo 10 infine esporr`o alcuni esempi di applicazione dei teoremi di suriettivit`a e di invertibilit`a globale alla teoria delle equazioni differenziali ordinarie. 5
  • 8. 6
  • 9. Capitolo 1 Il differenziale di Fr´echet Siano X ed Y spazi di Banach reali e sia Ω un aperto di X. Definizione 1.1 (Differenziale di Fr´echet). Si dice che un’applicazione f : Ω → Y `e differenziabile secondo Fr´echet in x0 ∈ Ω se esiste un’applicazione lineare continua A : X → Y detta differenziale, tale che si abbia f(x0 + h) = f(x0) + Ah + σ(h) (1.1) con σ(h) = o( h ). Osservazione 1. Il differenziale `e unico: infatti, se A1 e A2 sono due applicazioni lineari di X in Y soddisfacenti alla definizione precedente, dalla (1.1) ricaviamo: lim h→0 (A1 − A2)h h = 0. Questa relazione ci d`a subito A1 − A2 = 0. Infatti, preso un arbitrario ǫ > 0, esiste un δ > 0 tale che per ogni h = 0, con h ≤ δ si ha (A1 − A2)h h ≤ ǫ Ma questa relazione, per la linearit`a di A1 e A2, implica che A1 − A2 ≤ ǫ ed infine, per l’arbitrariet`a di ǫ, che A1 = A2. Dunque, possiamo dire che A `e il differenziale di f nel punto x0: esso pu`o venire indicato con il simbolo df(x0), oppure con f′ (x0). La definizione introdotta non `e che l’estensione agli spazi di Banach della definizione che si d`a ordinariamente per le applicazioni fra spazi Rn . Osservazione 2 (Dieudonn`e). Se si suppone che l’applicazione f sia continua, la con- tinuit`a del differenziale A `e una conseguenza della relazione di limite che esprime la differenziabilit`a. Infatti, essendo σ(0) = 0, l’applicazione h → σ(h) risulta continua per h = 0; la (1.1) si pu`o allora mettere nella forma Ah = f(x0 + h) − f(x0) − σ(h) che esprime in modo evidente la continuit`a di A per h = 0. 7
  • 10. Osservazione 3. Due diverse norme 1, 2 assegnate in uno stesso spazio di Banach X inducono la stessa topologia se e solo se esistono due costanti positive k1, k2 tali che ∀ x ∈ X, x = 0, k1 ≤ x 2 x 1 ≤ k2 Si vede allora che se, nella definizione data sopra, si altera la norma di X o la norma di Y lasciando inalterate le rispettive topologie, una applicazione differenziabile rimane tale, e il suo differenziale non si altera. Dunque, la definizione introdotta fa uso solo della topologia che viene assegnata in X ed Y . Teorema 1.1 (di composizione). Siano X, Y, Z spazi di Banach, Ω un aperto di X, Λ un aperto di Y, f un’applicazione Ω → Λ, g un’applicazione Λ → Z. Se f `e differenziabile in x0, con differenziale f′ (x0), e g `e differenziabile in y0 = f(x0), con differenziale g′ (y0), allora l’applicazione composta g ◦ f `e differenziabile in x0, con differenziale g′ (y0) ◦ f′ (x0). Dimostrazione. Si veda il caso consueto degli spazi Rn 1 . Esempio 1.1. Un’applicazione costante `e differenziabile in ogni punto con differenziale nullo. Un’applicazione lineare continua f : X → Y `e differenziabile in ogni punto con differenziale uguale ad f (perci`o costante). Un’applicazione bilineare continua f : X × Y → Z (X, Y , Z sono tutti spazi di Ba- nach) `e differenziabile in ogni punto. Il suo differenziale nel punto (x0, y0) `e l’applicazione lineare (h, k) → f(h, y0) + f(x0, k) Indichiamo con L(X, Y ) lo spazio delle applicazioni lineari continue di X in Y , con la norma canonica A = sup x X =1 Ax Y . Definizione 1.2 (Derivata prima). Data l’applicazione f : Ω → Y (con Ω ⊂ X aperto) differenziabile in ogni punto, l’applicazione f′ : Ω → L(X, Y ) che associa ad ogni punto il differenziale della f calcolato in x0, si dice derivata prima di f; se f′ `e continua in ogni punto, si dice che f `e di classe C1 in Ω. Consideriamo ora il caso in cui Y coincida con la retta reale. Con notazione usuale, si pone L(X, R) = X∗ (duale di X) e si rappresenta col simbolo <, > la dualit`a fra X ed X∗ : se f ∈ X∗ e x ∈ X si dice prodotto scalare nella dualit`a, o dualit`a, X∗ , X l’applicazione <; >: X∗ × X → R, < f; x >= f(x). 1 Cfr. [LAN2], pagg. 58 e 59. 8
  • 11. Pertanto, se f `e una funzione reale differenziabile in ogni punto dell’aperto Ω, la derivata prima `e un’applicazione Ω → X∗ . Se poi X `e uno spazio di Hilbert, il prodotto scalare (, ) fornisce un’identificazione canonica j : X∗ → X di X∗ con X mediante la relazione < z, x >= (jz, x), con z ∈ X∗ e x ∈ X. Possiamo allora porre la seguente Definizione 1.3 (Gradiente). Se f `e una funzione a valori reali definita in un aperto Ω di uno spazio di Hilbert H, differenziabile in ogni punto, si dice gradiente di f e si indica con ∇f (o con grad f) l’applicazione j ◦ f′ . In altre parole si ha < f′ (x), h >= (∇f(x), h), ∀h ∈ H. (1.2) Un operatore F : Ω → H, tale che esista un funzionale f per cui ∇f(x) = F(x) si dice operatore-gradiente (o potenziale) 9
  • 12. 10
  • 13. Capitolo 2 Il differenziale di Gˆateaux Il differenziale di Gˆateaux non `e che un’estensione della nozione elementare di derivata direzionale; esso risulta di impiego molto utile in varie questioni (in particolare, nel calcolo delle variazioni). Definizione 2.1 (Differenziale di Gˆateaux). Siano Ω ⊂ X aperto, f : Ω → Y e x0 ∈ Ω. Se esiste un’applicazione lineare e continua A : X → Y tale che ∀h ∈ X lim τ→0 f(x0 + τh) − f(x0) τ = Ah allora A si dice differenziale di Gˆateaux di f in x0. L’unicit`a del limite assicura che il differenziale di Gˆateaux `e unico. L’applicazione che ad ogni punto fa corrispondere il differenziale di Gˆateaux calcolato in esso si dir`a derivata (secondo Gˆateaux) di f e verr`a indicata con f′ G. Come risulta da esempi elementari (si pensi alla funzione di due variabili (x, y) → xy2 x2+y2 in un intorno dell’origine) un’applicazione differenziabile secondo Gˆateaux pu`o non essere differenziabile secondo Fr`echet. Risulta invece in modo ovvio, dal teorema di com- posizione, che un’applicazione differenziabile secondo Fr`echet `e differenziabile secondo Gˆateaux, con lo stesso differenziale. Una funzione differenziabile secondo Gˆateaux `e differenziabile su tutte le rette: ci`o permette di ottenere la maggiorazione contenuta nel seguente teorema. Teorema 2.1. Sia f : Ω → Y un’applicazione differenziabile secondo Gˆateaux. Siano x1 e x2 punti di Ω tali che il segmento che li unisce γ : t → tx2 + (1 − t)x1 (t ∈ [0, 1]) sia tutto contenuto in Ω. Vale allora la disuguaglianza f(x2) − f(x1) ≤ sup 0≤t≤1 f′ G ◦ γ(t) x2 − x1 . (2.1) Dimostrazione. Si verifica banalmente che la funzione f ◦ γ : [0, 1] → Y 11
  • 14. `e derivabile in ogni punto; la sua derivata `e f′ G(t0x2 + (1 − t0)x1) (x2 − x1). Sia ora ξ un qualunque elemento di Y ∗ ; anche la funzione reale t →< ξ, f ◦ γ(t) > `e derivabile. Applicando ad essa il teorema del valor medio, si ha < ξ, f(x2) − f(x1) > = < ξ, f ◦ γ(1) − f ◦ γ(0) > = < ξ, f′ G(θx2 + (1 − θ)x1) (x2 − x1) > con 0 < θ < 1. Risulta allora ∀ξ ∈ Y ∗ : | < ξ, f(x2) − f(x1) > | ≤ sup 0≤t≤1 f′ G ◦ γ(t) x2 − x1 ξ . Per un noto corollario del teorema di Hahn-Banach1 , si pu`o prendere ξ di norma unitaria tale che sia < ξ, f(x2) − f(x1) >= f(x2) − f(x1) . Si ottiene cos`ı la (2.1). Teorema 2.2. Se f : Ω → Y `e derivabile secondo Gˆateaux e se f′ G : Ω → L(X, Y ) `e continua in x0, f `e differenziabile secondo Fr`echet in x0 e si ha f′ (x0) = f′ G(x0). Dimostrazione. Basta applicare il teorema 2.1 alla funzione h → σ(h) = f(x0 + h) − f(x0) − f′ G(x0)h. Tenendo presente che σ(0) = 0, per h non superiore ad un ρ > 0 fissato si ha σ(h) ≤ sup h ≤ρ f′ G(x0 + h) − f′ G(x0) h relazione che fornisce subito la tesi. In pratica, per dimostrare la differenziabilit`a secondo Fr`echet di un’applicazione, si ricorre al teorema precedente: si verifica la derivabilit`a secondo Gˆateaux e la continuit`a della derivata. Per completare l’esposizione delle nozioni preliminari, richiamiamo brevemente la teoria dell’integrazione delle funzioni di variabile reale, a valori in uno spazio di Banach, continue. Basta prendere l’integrale nel senso di Cauchy: per una funzione f : [a, b] → X continua, la convergenza delle somme integrali `e assicurata dall’uniforme continuit`a. Si ottiene poi facilmente la disuguaglianza b a f(t)dt ≤ b a f(t) dt (a < b) 1 Cfr. [BRE], pagg. 1-10. 12
  • 15. Basta infatti passare al limite, a partire dalla seguente disuguaglianza valida per le somme integrali i f(τi)(ti − ti−1) ≤ i f(τi)(ti − ti−1) = i f(τi) (ti − ti−1) dove ti−1 ≤ τi ≤ ti. Sia ancora f : [a, b] → X, con f continua ed X uno spazio di Banach. Posto F(t) = t 0 f(ξ)dξ si ha come nel caso reale F′ (t) = f(t). Inoltre, a meno di una costante, F `e l’unica primitiva di f. Per questo basta sempre applicare la disuguaglianza (2.1) che in questo caso particolare d`a F(t2) − F(t1) ≤ sup t1≤t≤t2 f(t) |t2 − t1|. Nel caso in cui f(t) = 0 ∀t, si trova F(t) =costante. In particolare, notiamo che se f : Ω → Y (Ω ⊂ X aperto) `e un’applicazione di classe C1 , per ogni coppia di punti x1, x2 tali che il segmento che li congiunge stia in Ω, si ha f(x2) − f(x1) = 1 0 f′ (x1 + t(x2 − x1))dt (x2 − x1). (2.2) Per la dimostrazione, basta riconoscere che, posto γ(t) = x1 +(x2 −x1)t, dal Teorema di composizione 1.1 si ha (f ◦ γ)′ (t) = f′ (x1 + t(x2 − x1))(x2 − x1). Per ottenere la (2.2) basta allora integrare membro a membro questa relazione nell’in- tervallo [0, 1]. 13
  • 16. 14
  • 17. Capitolo 3 La propriet`a di prolungamento Terminata l’esposizione delle nozioni preliminari, chiarisco ora che cosa si intende per invertibilit`a, globale e locale, di un’applicazione con le seguenti definizioni. Definizione 3.1 (Omeomorfismo). Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D −→ Y . f si dice un omeomorfismo se `e continua, biunivoca, e se l’inversa f−1 : f(D) −→ D `e continua. Definizione 3.2 (Omeomorfismo locale). Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D −→ Y . Si dice che f `e un omeomorfismo locale in ogni punto se ∀ x ∈ D esistono un intorno aperto U di x e un intorno aperto V di f(x) tali che f|U : U −→ V `e un omeomorfismo di U su V . In questo capitolo studio una nozione, quella di prolungamento di funzioni, che pi`u avanti sar`a messa in relazione con l’invertibilit`a globale. Diamo quindi la seguente definizione. Definizione 3.3 (Propriet`a di prolungamento). Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X, e f : D −→ Y . Si dice che f prolunga q : [0, 1] −→ Y ∈ C se, ∀ p : [0, a[−→ D ∈ C, a ≤ 1, tale che f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t < a, esiste x ∈ D tale che 1. p(t) t→a− −→ x; 2. f(x) = q(a). Un omeomorfismo prolunga una funzione continua in modo unico. ´E questo il senso del seguente Teorema. Teorema 3.1. Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D → Y un omeomorfismo locale in ogni punto. Supponiamo che f prolunghi q : [0, 1] → Y ∈ C tale che q(0) = f(x0) per un x0 ∈ D. Allora esiste una ed una sola p : [0, 1] → D tale che p(0) = x0 e f(p(t)) = q(t) ∀t ∈ [0, 1]. 15
  • 18. Dimostrazione. Siano U0 e V0 un intorno aperto di x0 e un intorno aperto di f(x0) tali che fU0 sia un omeomorfismo di U0 su V0. Esiste t1, 0 < t1 ≤ 1, tale che q(t) ∈ V0 per 0 ≤ t < t1 (per la continuit`a di q). Poniamo per definizione p(t) = f−1 U0 (q(t)), 0 ≤ t < t1. Poich´e per ipotesi f ha la propriet`a di prolungamento rispetto a q, segue che ∃ lim t→t1− p(t), questo appartiene a D, e f lim t→t1− p(t) = q(t1). Indichiamo tale limite con p(t1): allora f(p(t1)) = q(t1). Se t1 = 1 abbiamo cos´ı provato l’esistenza di p. Supponiamo t1 < 1. Esistono allora due intorni aperti U1 di p(t1) e V1 di f(p(t1)) tali che fU1 `e un omeomorfismo di U1 su V1; esiste t2, t1 < t2 ≤ 1, tale che q(t) ∈ V1 per t1 ≤ t < t2. Poniamo per definizione p(t) = f−1 U1 (q(t)), t1 ≤ t < t2. Come prima, esiste lim t→t2− p(t), questo appartiene a D, e f lim t→t2− p(t) = q(t2). Indichiamo tale limite con p(t2); allora p `e continua su [0, t2] e f(p(t)) = q(t), 0 ≤ t < t2. Se t2 = 1 resta provata l’esistenza di p. Se t2 < 1 si ripete il ragionamento. Se con un numero finito di operazioni del tipo descritto giungiamo a un punto tν e questo coincide con 1, resta provata l’esistenza di p. Supponiamo allora che l’operazione descritta di debba ripetere indefinitamente. Sia ˆt il pi´u grande dei valori di t per cui p pu`o essere prolungato; esiste quindi (tk)k∈N crescente e ˆt = supk tk; allora f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t < ˆt; ma, per la propriet`a di prolungamento, esiste lim t→ˆt− p(t), questo appartiene a D, e f lim t→ˆt− p(t) = q(ˆt). Risulta ˆt = 1 perch´e se fosse ˆt < 1, nuovamente potremmo procedere al prolunga- mento oltre ˆt, e ci`o contraddice la definizione di ˆt. 16
  • 19. Proviamo l’unicit`a di p. Supponiamo che esista r : [0, 1] → D continua e tale che f(r(t)) = q(t), 0 ≤ t ≤ 1, con r(0) = x0. L’insieme J = {t ∈ [0, 1] | p(s) = r(s) per 0 ≤ s ≤ t} dei punti fino ai quali p `e uguale a r non `e vuoto; sia t = sup{t|t ∈ J}; poich´e p ed r sono continue, risulta t ∈ J. Inoltre t = 1; infatti, se fosse t < 1, esisterebbe una successione (tk)k∈N tale che t < tk ≤ 1 ∀k, tk ց t, p(tk) = r(tk); d’altra parte f(p(tk)) = f(r(tk)) ∀k lim k→∞ p(tk) = lim k→∞ r(tk) = p(t) = r(t), e ci`o contraddice l’ipotesi che f sia un omeomorfismo locale in ogni punto. Osservazione 4. Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D → Y un omeomorfismo locale in ogni punto. Se f prolunga tutte le q del tipo q(t) = (1−t)y0 +ty, 0 ≤ t ≤ 1, dove y0 = f(x0) (x0 ∈ D) e y `e un arbitrario punto di Y , allora f(D) = Y . Infatti, per il Teorema 3.1, esiste p : [0, 1] → D continua e tale che p(0) = x0, f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t ≤ 1. In particolare f(p(1)) = y. Un risultato analogo a quello del Teorema 3.1 vale nel caso in cui la funzione q dipenda da due variabili. Teorema 3.2. Siano X e Y spazi di Banach, D un aperto di X e f : D → Y un omeomorfismo locale in ogni punto. Siano q : [0, 1]×[0, 1] → Y e r : [0, 1] → D funzioni continue tali che f(r(s)) = q(s, 0) per 0 ≤ s ≤ 1. Per ogni 0 ≤ s ≤ 1 sia qs la funzione tale che qs(t) = q(s, t), 0 ≤ t ≤ 1. Se f prolunga ogni qs, 0 ≤ s ≤ 1, allora esiste una ed una sola p : [0, 1] × [0, 1] → D, continua e tale che p(s, 0) = r(s) per 0 ≤ s ≤ 1, e f(p(s, t)) = q(s, t) per s, t ∈ [0, 1]. Dimostrazione. Per il Teorema 3.1 ∀s ∈ [0, 1] esiste una ed una sola ps : [0, 1] → D continua e tale che ps(0) = r(s), f(ps(t)) = qs(t) = q(s, t) ∀t ∈ [0, 1]. Poniamo p(s, t) = ps(t) per s, t ∈ [0, 1]. ´E cos`ı assicurata l’esistenza di una funzione p soddisfacente alle condizioni richieste tranne che alla continuit`a. Proviamo per assurdo che p `e continua. Supponiamo dunque che p sia discontinua nel punto (s0, t1); sia t0 = inf{t ∈ [0, 1]; p discontinua in(s0, t)}. Cominciamo col provare che non pu`o essere t0 = 0. 17
  • 20. Esistono due intorni aperti U0 di r(s0) e V0 di q(s0, 0) tali che fU0 `e un omeomorfismo di U0 su V0. A causa della continuit`a di q e di r esistono δ, h ∈ R+ tali che r(s) ∈ U0 per s0 − δ < s < s0 + δ e q(s, t) ∈ V0 per s0 − δ < s < s0 + δ e 0 ≤ t < h. Ma allora, per questi s e t, causa l’unicit`a di ogni ps, `e p(s, t) = f−1 U0 (q(s, t)). Ci`o assicura che p `e continua nei punti (s, t) per cui p(s, t) ∈ U0, e quindi in particolare nel punto (s0, 0). Supponiamo quindi 0 < t0 ≤ 1. Siano U e V un intorno aperto di p(s0, t0) e un intorno aperto di q(s0, t0) tali che fU sia un omeomorfismo di U su V . Siano L(s0) e L(t0) un intorno di s0 e un intorno di t0 tali che q(s, t) ∈ V ∀(s, t) ∈ L(s0) × L(t0) (l’esistenza di L(s0) e di L(t0) `e assicurata dalla continuit`a di q). Poich´e ps0 `e continua, possiamo scegliere t′ , t′ < t0, t′ ∈ L(t0), in modo che sia p(s0, t′ ) ∈ U. Ma, per la definizione di t0, p `e continua in (s0, t′ ) e quindi esiste un intorno L′ (s0) di s0, contenuto in L(s0) tale che p(s, t′ ) ∈ U ∀s ∈ L′ (s0); ne segue che ps(t) = p(s, t) = f−1 U (q(s, t)) ∀(s, t) ∈ L′ (s0) × L(t0) e quindi p `e continua in un intorno di (s0, t0). Di qui l’assurdo. Dunque esiste una ed una sola p : [0, 1] × [0, 1] −→ D continua soddisfacente le condizioni richieste. Proviamo ora l’ultima affermazione. Poich´e q(0, t) = y ∀t ∈ [0, 1] e f(p(0, t)) = q(0, t), risulta p(0, t) costante su [0, 1] e quindi p(0, t) = p(0, 0) = r(0) ∀t ∈ [0, 1]; infatti, se cos´ı non fosse, a causa della continuit`a di p esisterebbero dei punti p(0, t), per opportuni t, arbitrariamente vicini a r(0) i quali sono trasformati da f nel punto y, e ci`o contraddice l’ipotesi che f sia un omeomorfismo locale in ogni punto. Analogamente `e p(1, t) = r(1) ∀t ∈ [0, 1]. Conseguentemente p(·, 1) `e una funzione continua tale che f(p(s, 1)) = q(s, 1) = y ∀s ∈ [0, 1] e p(0, 1) = r(0), p(1, 1) = r(1); nuovamente, se fosse r(0) = r(1) esisterebbero punti p(s, 1) vicini tanto quanto si vuole a r(0) trasformati da f nel punto y, e ci`o contraddice l’ipotesi che f sia un omeomorfismo locale in ogni punto. 18
  • 21. Capitolo 4 Invertibilit`a globale di funzioni continue Siamo ora in grado di dimostrare l’invertibilit`a globale di una funzione continua su particolari domini, detti connessi per archi. Definizione 4.1 (Insieme connesso per archi). Sia X uno spazio di Banach. Un suo sottoinsieme D si dice connesso per archi se ∀x0, x1 ∈ D esiste p : [0, 1] −→ D continua e tale che p(0) = x0, p(1) = x1. Teorema 4.1. Siano X e Y due spazi di Banach e D sia un aperto di X connesso per archi. Allora un omeomorfismo locale in ogni punto f : D −→ Y `e un omeomorfismo di D su Y se e solo se f gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni funzione continua q : [0, 1] −→ Y . Dimostrazione. Supponiamo che f sia un omeomorfismo di D su Y . Siano a ≤ 1, p : [0, a[−→ D e q : [0, 1] −→ Y continue e tali che f(p(t)) = q(t) ∀t ∈ [0, a[. Poniamo p(a) = f−1 (q(a)); allora p(a) ∈ D e la continuit`a di f−1 assicura che lim t→a− f−1 (q(t)) = p(a). Perci`o f ha la propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q : [0, 1] −→ Y continua. Inversamente, supponiamo che f goda della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q : [0, 1] −→ Y continua. Per l’Osservazione 4 si ha tanto che f(D) = Y . Proviamo che f `e 1 − 1. Se ci`o non fosse, esisterebbero x0, x1 ∈ D, x0 = x1, tali che f(x0) = f(x1) = y. Sia r : [0, 1] −→ D continua e tale che r(0) = x0, r(1) = x1 e definiamo q : [0, 1] × [0, 1] −→ Y ponendo q(s, t) = ty + (1 − t)f(r(s)). La funzione q `e continua e q(0, t) = ty + (1 − t)f(x0) = ty + (1 − t)y = y, q(1, t) = ty + (1 − t)f(x1) = ty + (1 − t)y = y, 19
  • 22. q(s, 1) = y. Dal Teorema 3.2 segue quindi x0 = r(0) = r(1) = x1. Osservazione 5. Se f `e un omeomorfismo locale in ogni punto dell’aperto D connesso per archi e gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni funzione continua q : [0, 1] −→ Y , allora D `e semplicemente connesso per archi, cio´e se p1, p2 : [0, 1] −→ D sono due funzioni continue tali che p1(0) = p2(0) e p1(1) = p2(1), allora esiste una omotopia q : [0, 1] × [0, 1] −→ D tale che q(0, t) = p1(t), q(1, t) = p2(t) ∀t ∈ [0, 1]. 20
  • 23. Capitolo 5 Invertibilit`a globale di funzioni differenziabili Finora abbiamo studiato l’invertibilit`a di funzioni continue tra spazi di Banach. In questo capitolo analizziamo l’invertibilit`a globale di applicazioni differenziabili. Teorema 5.1 (Hadamard). Siano X e Y due spazi di Banach e sia f : X −→ Y un omeomorfismo locale di classe C1 ; esista [df(x)]−1 ∈ L(Y, X) ∀x ∈ X ed esista una costante positiva γ tale che [df(x)]−1 ≤ γ ∀x ∈ X. Allora f `e un omeomorfismo di X su Y . Prima di dimostrare questo Teorema enunciamo in maniera autonoma il seguente lemma. Lemma 5.2. Sia D un aperto di X, f : D −→ Y sia un omeomorfismo locale in ogni punto e sia p : [0, a[−→ D una funzione continua (a ≤ 1). Supponiamo che esista lim t→a− f(p(t)) = y e che esista una successione (tk)k∈N in [0, a[ tale che lim k→∞ tk = a ed esista lim k→∞ p(tk) = x ∈ D. Allora lim t→a− p(t) = x. Dimostrazione. Poich`e f `e continua, risulta y = lim k→∞ f(p(tk)) = f(x). Siano U un intorno aperto di x e V un intorno aperto di y tali che fU sia un omeomorfismo di U su V . Esiste t′ ∈]0, a[ tale che p(tk) ∈ U se tk ∈]t′ , a[ e f(p(t)) ∈ V per t ∈]t′ , a[. 21
  • 24. Poniamo ˆp(t) = f−1 U (f(p(t))), t′ < t < a; allora ˆp(tk) = p(tk) ∀tk ∈]t′ , a[ e, con lo stesso ragionamento di unicit`a fatto nella dimostrazione del Teorema 3.1, si conclude che ˆp(t) = p(t) ∀t ∈]t′ , a[. Per la continuit`a di f−1 U si ha quindi lim t→a− p(t) = lim t→a− f−1 U (f(p(t))) = x. Dimostriamo ora il Teorema di Hadamard. Dimostrazione del Teorema. Proviamo che f ha la propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q lineare, cio`e q(t) = (1 − t)y0 + ty, 0 ≤ t ≤ 1, con y0 e y arbitrari punti di Y . Sia p : [0, a[−→ X (a ≤ 1) continua, e sia f(p(t)) = q(t) per 0 ≤ t < a. Per ogni fissato t ∈ [0, a[ esistono un intorno aperto U di p(t) e un intorno aperto V di q(t) tali che fU `e un omeomorfismo di U su V . Allora f−1 U `e di classe C1 in un intorno di q(t) e da f−1 U (f(x)) = x ∀x ∈ U segue df−1 U (f(x)) ◦ df(x) = 1 e quindi [df(x)]−1 = df−1 U (f(x)), x ∈ U. Da p(t) = f−1 U (f(p(t))) = f−1 U (q(t)) segue che p′ (t) = df−1 U (q(t))q′ (t) = [df(p(t))]−1 q′ (t); ci`o prova che p `e di classe C(1) su [0, a[. Sia ora (tk)k∈N una successione in [0, a[ tale che tk ր a; allora p(tj) − p(tk) = tj tk p′ (t)dt = tj tk [df(p(t))]−1 q′ (t)dt ≤ ≤ tj tk γ y0 − y dt = γ y0 − y |tj − tk| (5.1) (perch`e q′ (t) = −y0 + y); ci`o assicura che (p(tk))k∈N `e una successione di Cauchy in X e quindi esiste x ∈ X tale che lim k→∞ p(tk) = x; ma f(p(t)) = q(t) t→a− −→ q(a) e quindi f(x) = q(a). Per il Lemma 5.2 si ha quindi lim t→a− p(t) = x e f(x) = q(a). Dunque f gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q lineare e quindi, per l’Osservazione 5, `e f(X) = Y . Proviamo ora che f `e 1 − 1. 22
  • 25. Supponiamo che esistano x0, x1 ∈ X, x0 = x1, tali che f(x0) = f(x1) = y. Poniamo q(s, t) = ty + (1 − t)f((1 − s)x0 + sx1), s, t ∈ [0, 1]. ´E q continua e, per ogni fissato s ∈ [0, 1], la funzione qs = q(s, ·) `e lineare; dunque f ha la propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q. Inoltre q(s, 1) = q(0, t) = q(1, t) = y ∀s, t ∈ [0, 1]. Allora per il Teorema 3.2 `e x0 = x1. Osservazione 6 (Meyer). La conclusione del Teorema di Hadamard `e vera anche se l’ipotesi [df(x)]−1 ≤ γ ∀x ∈ X `e sostituita dall’ipotesi [df(x)]−1 ≤ α x + β ∀x ∈ X, essendo α e β due costanti positive. Dimostrazione. Supponiamo che sia sup 0≤s<a p(s) = µ < ∞; allora, in luogo dell’equazione (5.1) si ha p(tj) − p(tk) ≤ (αµ + β) y0 − y |tj − tk| e quindi si pu`o ripetere tutto il ragionamento fatto precedentemente. D’altra parte si ha per 0 ≤ t < a p(t) − p(0) = t 0 [df(p(s))]−1 q′ (s)ds ≤ t 0 (α p(s) + β) y0 − y ds ≤ ≤ t 0 (α p(s) − p(0) + α p(0) + β) y0 − y ds e quindi p(t) − p(0) ≤ c1 + c2 t 0 p(s) − p(0) ds con c1 = a(α p(0) + β) y0 − y e c2 = α y0 − y ; dal Lemma di Gronwall 1 segue quindi p(t) − p(0) ≤ c1 exp t 0 c2ds ≤ c1 exp c2 (perch`e t < α ≤ 1) e quindi p(t) ≤ p(0) + c1 exp c2. 1 Cfr. [HSI-SIB], pag. 3. 23
  • 26. 24
  • 27. Capitolo 6 Funzioni coercive in norma e Teorema di Caccioppoli Riporto due proposizioni che si possono dimostrare utilizzando ragionamenti simili a quelli precedenti e che caratterizzano l’invertibilit`a globale di funzioni tra spazi di dimensione finita. Partiamo per`o prima da una definizione. Definizione 6.1 (Applicazione coerciva in norma). Sia X uno spazio normato, D un sottoinsieme di X e sia f : D −→ X. Diciamo che f `e coerciva in norma rispetto all’aperto D0 ⊆ D se ∀y ≥ 0 esiste un sottoinsieme Dy di X, chiuso e limitato, Dy ⊂ D0, tale che f(x) > y ∀x ∈ D0 − Dy. Osserviamo che, se D0 = X, allora f `e coerciva in norma se e solo se lim x →∞ f(x) = +∞ . Per gli spazi reali di dimensione finita, la coercivit`a prende il posto della propriet`a di prolungamento nel caratterizzare l’invertibilit`a globale. Teorema 6.1. Sia X uno spazio normato reale di dimensione finita, D un aperto di X connesso per archi e f : D −→ X sia un omeomorfismo locale in ogni punto. Allora f `e un omeomorfismo di D su X se e solo se `e coerciva in norma. Dimostrazione. Se X ha dimensione n esso `e isomorfo a Rn . Non `e quindi restrittivo supporre X = Rn . Supponiamo dunque che f sia un omeomorfismo di D (aperto di Rn connesso per archi) su Rn . Sia y > 0 e poniamo S = S(0, y). Allora Dy = f−1 (S) `e chiuso e limitato e x ∈ D − Dy =⇒ f(x) /∈ S; dunque f(x) > y. Viceversa, supponiamo f coerciva in norma su D. Per provare che f `e un omeomorfismo di D su Rn basta provare che f gode della propriet`a di prolungamento rispetto a ogni q : [0, 1] −→ R continua (Teorema 4.1). Sia dunque q : [0, 1] −→ R, continua, e sia p : [0, a[−→ D, con a ≤ 1, continua e tale che f(p(t)) = q(t) ∀t ∈ [0, a[; sia y = max{ q(t) |t ∈ [0, a]}; per l’ipotesi di coercivit`a 25
  • 28. esiste un sottoinsieme limitato e chiuso Dy di D tale che f(x) > y ∀x ∈ D − Dy; di qui segue che p(t) ∈ Dy ∀t ∈ [0, a[; sia ora (tk)k∈N una successione in [0, a[ tale che tk ր a; (p(tk))k∈N `e una successione in Dy, e quindi `e limitata; da essa si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente, che per semplicit`a supponiamo essere la successione stessa; x = lim k→∞ p(tk) appartiene a Dy, e quindi a D, e per la continuit`a di f risulta f(x) = q(a). Allora, per il Lemma 5.2, si conclude che f gode della propriet`a di prolungamento rispetto a q. Il secondo risultato di questo capitolo, dovuto al matematico italiano Renato Cac- cioppoli (1904-1959), prova l’invertibilit`a globale per spazi non necessariamente reali n`e di dimensione finita, utilizzando la nozione di funzione completamente continua. Definizione 6.2 (Applicazione completamente continua). Sia X uno spazio di Banach e Ω ⊂ X un suo sottoinsieme; f : Ω → X si dice completamente continua se `e continua e trasforma ogni insieme limitato in un insieme relativamente compatto in X, ovvero in un insieme la cui chiusura `e un compatto in X. Teorema 6.2 (Caccioppoli). Sia D un aperto dello spazio normato X (arbitrario) con- nesso per archi; sia f = 1 − g : D −→ X tale che g `e completamente continua, f `e un omeomorfismo locale ed `e coercivo in norma. Allora f `e un omeomorfismo di D su X. Dimostrazione. Ragionando come prima, sia tk ր a; (p(tk))k∈N `e limitata (perch`e Dy `e limitato); allora da essa si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente (p(tνk ))k∈N tale che (g(p(tνk )))k∈N `e convergente (perch`e g `e completamente continua); ora f(p(tνk )) = p(tνk ) − g(p(tνk )) = q(tνk ); poich`e q(tνk ) k→∞ −→ q(a) e g(p(tνk )) `e convergente, segue che anche (p(tνk ))k∈N `e conver- gente; dopo di ci`o, la conclusione `e quella di prima. 26
  • 29. Capitolo 7 Estensioni del teorema di invertibilit`a locale ´E possibile estendere i classici teoremi di invertibilit`a locale, generalizzando il teo- rema dello jacobiano agli spazi di Banach, e di invertibilit`a locale, trattata nei capitoli precedenti, in una forma la cui utilit`a per la trattazione delle equazioni differenziali sar`a pi`u immediata. Iniziamo con un lemma. Lemma 7.1. Siano X uno spazio di Banach, B la palla {x | x ≤ r}, e ψ : B → X tale che ψ(0) = 0, ed esista una costante α, 0 < α < 1, per cui ψ(x) − ψ(y) ≤ α x − y ∀x, ∀y ∈ B. (7.1) Si indichi con φ l’applicazione x → x + ψ(x). Allora φ(B) copre la palla di centro 0 e raggio r(1 − α); inoltre φ `e iniettiva e φ−1 soddisfa a una condizione di Lipschitz con costante 1/1 − α, ovvero φ−1 (x) − φ−1 (y) ≤ x − y 1 − α Dimostrazione. Si tratta di risolvere l’equazione x + ψ(x) = y. A questo scopo si considera l’applicazione x → y − ψ(x) definita in B. Essa `e una contrazione con costante α (cfr. Appendice A). Per poter applicare il teorema delle contrazioni, occorre vedere per quali valori di y essa muta B in s`e. Si ha y − ψ(x) ≤ y + ψ(x) ≤ y + α x . (7.2) Evidentemente, se `e y ≤ r(1 − α), risulta y − ψ(x) ≤ r. Dunque, in queste condizioni, si ha una ed una sola soluzione x. La valutazione della dipendenza di questa da y `e molto facile. Sia x2 + ψ(x2) = y2, x1 + ψ(x1) = y1. Ricaviamo x2 − x1 − ψ(x2) − ψ(x1) ≤ y2 − y1 27
  • 30. da cui (1 − α) x2 − x1 ≤ y2 − y1 ; questa relazione esprime appunto il fatto che φ−1 ha una costante di Lipschitz data da 1/1 − α. Osservazione 7. Il lemma 7.1 permette di affermare che φ `e localmente invertibile nel punto 0: basta infatti prendere V uguale alla palla di centro 0 e raggio r(1−α) e prendere U uguale all’immagine inversa di V . Enunciamo ora l’estensione del Teorema di invertibilit`a locale di cui si `e detto. Teorema 7.2 (Estensione del Teorema dell’invertibilit`a locale). Siano X ed Y spazi di Banach e sia Ω un aperto di X contenente l’origine. Sia φ : Ω → Y un’applicazione di classe C1 tale che sia φ(0) = 0 e che φ′ (0) sia invertibile. Allora φ `e localmente invertibile in 0, con inversa di classe C1 , e si ha (φ−1 )′ = (φ′ ◦ φ−1 )−1 . Dimostrazione. Poniamo A = (φ′ (0))−1 ; per dimostrare la prima parte della tesi baster`a dimostrare che A ◦ φ `e localmente invertibile nel punto 0; a questo scopo, utilizzando il Lemma 7.1, baster`a verificare che, posto A ◦ φ = I + ψ (I `e l’applicazione identica di X) l’applicazione ψ, in una palla di centro 0 e raggio abbastanza piccolo, `e una contrazione. Fissiamo un α tale che 0 < α < 1. Poich`e x → φ′ (x) `e continua per ipotesi, tale `e anche x → (A ◦ φ)′ = A ◦ φ′ . Tenendo poi presente che `e A ◦ φ′ (0) = I, possiamo determinare un r > 0 tale che per x ≤ r sia Aφ′ (x) − I ≤ α. Ci`o posto, siano x1 ed x2 due punti della palla B = {x | x ≤ r}. Si ha, tenendo presente la formula (7.2) ψ(x2) − ψ(x1) =A(φ(x2) − φ(x1)) − (x2 − x1) = = 1 0 A ◦ φ′ (x1 + t(x2 − x1))dt (x2 − x1) − (x2 − x1) = = 1 0 (A ◦ φ′ (x1 + t(x2 − x1)) − I)dt (x2 − x1) da cui ψ(x2) − ψ(x1) ≤ 1 0 A ◦ φ′ (x1 + t(x2 − x1)) − I dt · x2 − x1 ≤ ≤ sup x∈B A ◦ φ′ (x) − I · x2 − x1 ≤ α · x2 − x1 . Cos`ı la prima parte della tesi `e dimostrata, cio`e resta dimostrato che vi sono un intorno aperto U di 0 ∈ X ed un intorno aperto V di 0 ∈ Y tra cui φ induce un 28
  • 31. omeomorfismo. Indicando (impropriamente) con φ−1 questa applicazione inversa locale, dobbiamo dimostrare che essa `e differenziabile. Poniamo r(x, x) = φ(x) − φ(x) − φ′ (x)(x − x), ρ(y, y) = φ−1 (y) − φ−1 (y) − (φ′ (x))−1 (y − y). Se `e y = φ(x), y = φ(x), si ha ρ(y, y) = x − x − (φ′ (x))−1 (y − y) ≤ ≤ (φ′ (x))−1 [φ′ (x)(x − x) − (φ(x) − φ(x))] ≤ ≤ (φ′ (x))−1 r(x, x) . Ora, per la differenziabilit`a di φ in x, si ha r(x, x) = o( x − x ), al tendere di x ad x; ma φ−1 , in virt`u del Lemma 7.1, soddisfa ad una condizione di Lipschitz. Pertanto si ha r(x, x) = o( y−y ) al tendere di y a y. Si conclude che si ha ρ(y, y) = o( y−y ) al tendere di y a y. Ci`o equivale evidentemente a dire che φ−1 `e differenziabile in y, con differenziale dato da (φ′ (x))−1 = (φ′ (φ−1 (y)))−1 . Resta da dimostrare la continuit`a della derivata di φ−1 , cio`e dell’applicazione (φ′ ◦ φ−1 )−1 : V → L(Y, X). Poich`e φ−1 e φ′ sono continue per ipotesi, basta dimostrare la continuit`a dell’applica- zione che fa corrispondere ad un’applicazione lineare invertibile la sua inversa. Vogliamo fare questo discorso in forma precisa; enunciamo perci`o un teorema, che dimostreremo pi`u avanti. Teorema 7.3. Siano X ed Y spazi di Banach; si indichi con I(X, Y ) il sottoinsieme di L(X, Y ) formato dalle applicazioni invertibili. Allora I(X, Y ) `e un aperto (eventualmente vuoto) e l’applicazione di invertibilit`a I(X, Y ) → I(Y, X) `e continua. Cos`ı la dimostrazione del Teorema 7.2 `e completa. Osservazione 8 (banale, ma importante). L’ipotesi del Teorema 7.2 implica che gli spazi X ed Y siano linearmente isomorfi. Inoltre, l’invertibilit`a di φ′ (0) `e una condizione neces- saria affinch`e l’applicazione inversa sia anch’essa differenziabile. Basta infatti considerare le relazioni φ ◦ φ−1 = IY φ−1 ◦ φ = IX (ove IX e IY sono le identit`e di X ed Y rispettivamente) e differenziare nell’origine. Osservazione 9. Se φ `e di classe Ck (k ≥ 1), allora anche φ−1 `e di classe Ck . Procediamo infatti per induzione. Abbiamo gi`a dimostrato che φ−1 `e di classe C1 . Supponiamo che φ−1 sia di classe Ck−1 . Allora consideriamo il diagramma che esprime la derivata di φ−1 Y φ−1 −→ X φ′ −→ L(X, Y ) ()−1 −→ L(Y, X) ed osserviamo che φ−1 e φ′ sono k − 1 volte differenziabili e che ()−1 `e di classe C∞ . Quindi φ−1 `e differenziabile k volte. 29
  • 32. Osservazione 10. Possiamo chiederci se l’invertibilit`a locale sussiste quando si suppon- ga φ continua e differenziabile nel punto, con derivata invertibile, lasciando cadere la continuit`a della derivata. Nel caso degli spazi di dimensione finita, l’applicazione `e localmente suriettiva (o localmente aperta): cio`e l’immagine di un arbitrario intorno del punto `e un intorno del punto corrispondente. Ma l’iniettivit`a in generale cade, come si pu`o verificare gi`a nel caso unidimensionale. Consideriamo infatti una funzione g : R → R continua, non decrescente, che soddisfi alle seguenti condizioni: a) g(ξ) = ξ + O(ξ2 ) al tendere di ξ a 0; b) si abbia g(ξ) = 1 n in 1 n − 1 4n2 , 1 n + 1 4n2 (n = 1, 2, 3, . . . ). ´E chiaro che g non `e localmente iniettiva nel punto 0. Questa stessa funzione serve a costruire un controesempio alla suriettivit`a locale in dimensione infinita. Precisamente, consideriamo l’applicazione C([−1, 1]) → C([−1, 1]) cos`ı definita: x → g ◦ x. Consideriamo la successione di funzioni yn(t) = 1 n + t n2 . Nessuna di queste funzioni appartiene all’immagine. Infatti, supponiamo che sia g ◦ xn(t) = g(xn(t)) = 1 n + t n2 . Deve aversi, in base alla definizione di g xn(t) = ≥ 1 n + 1 4n2 per t > 0 ≤ 1 n − 1 4n2 per t < 0 cosa che `e incompatibile con la continuit`a di xn. Il teorema di invertibilit`a locale enunciato pu`o essere utilmente impiegato in molte situazioni; svariati problemi classici di perturbazioni possono essere facilmente trattati per mezzo di esso. Esempio 7.1. Nell’equazione differenziale − d2 u dt2 + λu + u2 = f (7.3) λ `e un parametro reale, f `e una funzione periodica di periodo 2π. Si cercano le soluzioni periodiche di periodo 2π. Introduciamo i seguenti spazi (con le norme consuete) C(2π) : spazio delle funzioni continue periodiche di periodo 2π; 30
  • 33. C2 (2π) : spazio delle funzioni di classe C2 periodiche di periodo 2π. L’applicazione φ : u → −d2u dt2 + λu + u2 , come applicazione C2 (2π) → C(2π) `e certamente di classe C1 . La derivata, calcolata in u, `e l’applicazione v → − d2 v dt2 + λv + 2uv Per u = 0 essa risulta invertibile, non appena `e λ = −k2 (k = 0, 1, 2, . . . ). Si pu`o concludere che per λ = −k2 , se f `e abbastanza piccola, l’equazione (5.3) ha una soluzione in C2 (2π). Tale soluzione `e unica in un intorno abbastanza piccolo dell’origine. Esempio 7.2. Consideriamo in un aperto limitato e connesso Ω ⊂ R2 , sufficientemente regolare, l’equazione delle superfici minime L(u) = (1 + u2 y)uxx − 2uxuyuxy + (1 + u2 x)uyy = f (7.4) ed impostiamo il problema di Dirichlet u|Γ = ψ, essendo ψ una funzione assegnata nella frontiera Γ di Ω. Indichiamo con Cm,α (Ω) (0 < α < 1) lo spazio delle funzioni derivabili con continu- it`a in Ω fino all’ordine m, con la derivata m-esima soddisfacente ad una condizione di Lipschitz di esponente α, dotato della norma usuale. Analogo significato ha il simbolo Cm,α (Γ). Consideriamo allora l’applicazione φ : C2,α (Ω) → C0,α (Ω) × C2,α (Γ) cos`ı definita u → (L(u), u|Γ) Essa `e un’applicazione di classe C1 e che la sua derivata calcolata in u `e l’applicazione v → ((1+u2 y)vxx −2uxuyvxy +(1+u2 x)vyy +2uyuxxvy +2(uyvx +uxvy)uxy +2uxuyyvx, v|Γ) Per u = 0, essa si riduca all’applicazione v → (∆v, v|Γ). Il problema ∆v = g v|Γ = ξ `e univocamente risolubile in C2,α (Ω) se `e g ∈ C0,α (Ω), ξ ∈ C2,α (Γ) (ed `e stata proprio questa circostanza a determinare la scelta degli spazi). Si pu`o conludere che se f ∈ C0,α (Ω) e φ ∈ C2,α (Γ) sono abbastanza piccole nelle rispettive norme, il problema posto ha una soluzione, che `e unica in un intorno piccolo dell’origine in C2,α (Ω). 31
  • 34. L’introduzione di un parametro permette di ampliare la portata del teorema di in- vertibilit`a studiato. Le proposizioni che ora dimostrer`o (7.4, 7.5) sono estensioni del classico teorema del Dini. Teorema 7.4 (di invertibilit`a locale per applicazioni dipendenti con continuit`a da un parametro). Siano X,Y spazi di Banach, Λ uno spazio topologico qualunque. Sia U un intorno aperto dell’origine di X e sia φ : Λ×U → Y un’applicazione con le seguenti propriet`a I) φ sia continua; II) in ogni punto l’applicazione x → φ(λ, x) sia differenziabile, con derivata φ′ x con- tinua (ovviamente come applicazione Λ × U → L(X, Y ); III) per un certo λ0 ∈ Λ sia φ(λ0, 0) = 0, e l’applicazione φ′ x(λ0, 0) sia invertibile. Allora l’applicazione ψ : (λ, x) → (λ, φ(λ, x)) `e localmente invertibile fra (λ0, 0) ∈ Λ × U e (λ0, 0) ∈ Λ × Y , con inversa continua. Per la dimostrazione basta ripetere, con ovvie varianti, quella del precedente teorema di invertibilit`a locale. Notiamo che la curva y = 0 ha come immagine inversa una curva cartesiana continua x = x(λ). (Cfr. Fig. 7.1) Figura 7.1: la curva y = 0. In ipotesi di differenziabilit`a si ottiene il seguente Teorema 7.5 (di invertibilit`a locale per applicazioni dipendenti da un para- metro in modo differenziabile). Siano X, Y e Z spazi di Banach; sia U un intorno dell’origine in X e Λ un intorno dell’origine in Z. L’applicazione φ : Λ × U → Y abbia le seguenti propriet`a I) sia di classe Ck (k ≥ 1); II) φ′ x(0, 0) : X → Y sia invertibile. Allora l’applicazione ψ : Λ × U → Λ × Y cos`ı definita ψ(λ, x) = (λ, φ(λ, x)) `e localmente invertibile, con inversa di classe Ck (k ≥ 1). 32
  • 35. Dimostrazione. ψ `e ovviamente di classe Ck e il suo differenziale primo si pu`o esprimere con (µ, v) → (µ, φ′ λµ + φ′ xv) o, se si vuole, con la matrice I 0 φ′ λ φ′ x . Evidentemente il differenziale di ψ `e invertibile se e solo se lo `e φ′ x. Tanto basta per concludere che si pu`o applicare il teorema di invertibilit`a locale. Questa volta la curva y = 0 avr`a come inversa una curva cartesiana x = x(λ) di classe Ck . 33
  • 36. 34
  • 37. Capitolo 8 Estensioni del teorema di invertibilit`a globale Partiamo come al solito da una definizione. Definizione 8.1 (Funzione propria). Un’applicazione φ : X → Y (X, Y spazi topo- logici) si dice propria se l’immagine inversa di ogni compatto `e un compatto. Poniamo poi per ogni y ∈ Y , N(y) = #φ−1 ({y}) (cardinalit`a dell’immagine inversa del punto y). Teorema 8.1. Siano X ed Y spazi topologici metrizzabili e sia φ : X → Y un’applica- zione continua, propria, localmente invertibile in ogni punto. Allora la funzione y → N(y) `e finita e localmente costante. Dimostrazione. Che N(y) sia finito segue facilmente dal fatto che φ−1 ({y}) `e discreto (per la invertibilit`a locale di φ) ed `e compatto (perch`e φ `e propria). Sia ora N(y) = k e siano x1, x2, . . . , xk gli elementi di φ−1 ({y}); `e possibile, per l’invertibilit`a locale di φ, trovare k intorni aperti U1, U2, . . . , Uk dei punti x1, x2, . . . , xk ed un intorno aperto V di y tali che φ|Uj induce un omeomorfismo tra Uj e V . Per ogni y ∈ V vi `e in ciascun intorno Uj un punto xj, ed uno solo, tale che φ(xj) = y. Dunque, per ogni y ∈ V si ha N(y) ≥ N(y) = k. Dico che esiste un intorno W di y, con W ⊂ V , tale che per ogni y ∈ W si abbia N(y) = k. Se non fosse cos`ı, infatti, esisterebbe una successione yn tale che limn→∞ yn = y e che N(yn) > k. Allora si potrebbe trovare una successione ξn, con ξn /∈ j Uj e φ(ξn) = yn. Essendo φ propria, l’insieme φ−1 ({yn} ∪ y) `e compatto; poich`e si ha {ξn} ⊂ φ−1 ({yn} ∪ y), dalla successione ξn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente a un elemento ξ /∈ j Uj. Risulta, passando al limite, φ(ξ) = y. Ma ci`o `e assurdo, essendo ξ diverso da ciascuno dei punti x1, x2, . . . , xk. Osservazione 11. Se si toglie l’ipotesi che φ sia propria, la tesi pu`o non sussistere. Basta considerare, ad esempio, la funzione z → ez , come applicazione C → C. Essa `e localmente invertibile in ogni punto, ma ogni punto di C − {0} ha infinite immagini inverse; il fatto `e che φ non `e propria. Corollario 8.2. Nelle stesse ipotesi del Teorema precedente, se Y `e connesso, allora N(y) `e costante. 35
  • 38. Definizione 8.2 (Punto singolare, critico, insieme singolare, critico). Sia φ : X → Y un’applicaziona continua (X ed Y sono spazi topologici). Un punto x ∈ X in cui φ non `e localmente invertibile si dice punto singolare; y ∈ Y si dice punto (o valore) critico se y = φ(x) per qualche punto singolare x ∈ X. Diremo che W `e l’insieme singolare di φ se W `e l’insieme dei punti singolari di φ; φ(W) si dir`a insieme critico. Una generalizzazione del Teorema 8.1 si ha con il seguente enunciato: Teorema 8.3. Siano X e Y spazi topologici metrizzabili e φ : X → Y un’applicazione continua e propria. Allora N(y) `e costante su ogni componente connessa di Y − φ(W). Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione φ ristretta a X − φ−1 (φ(W)) φ : X − φ−1 (φ(W)) → Y − φ(W); φ `e propria e localmente invertibile in ogni punto di X −φ−1 (φ(W)); la conclusione segue allora dal Teorema 8.1. Esaminiamo ora un primo risultato fondamentale: Teorema 8.4. Siano X ed Y spazi topologici metrizzabili. Sia φ : X → Y un’applicazio- ne continua e propria. Siano X −φ−1 (φ(W)) non vuoto e connesso per archi e Y −φ(W) semplicemente connesso1 . Allora φ induce un omeomorfismo tra X − φ−1 (φ(W)) e Y − φ(W). Corollario 8.5 (Estensione del teorema di invertibilit`a globale). Nelle ipotesi del Teorema 8.4, se W = ∅ e Y `e semplicemente connesso, allora φ `e un omeomorfismo di X su Y . Dimostrazione del Teorema 8.4. La surgettivit`a segue subito dal Teorema 8.3: infatti Y − φ(W) `e semplicemente connesso (e quindi connesso) e X − φ−1 (φ(W)) `e non vuoto per ipotesi. Proviamo l’unicit`a. Supponiamo che vi siano almeno due punti x1 e x2 in X − φ−1 (φ(W)) tali che φ(x1) = φ(x2) = y. Poich`e X − φ−1 (φ(W)) `e connesso per archi, esiste una curva γ : [0, 1] → X − φ−1 (φ(W)) tale che γ(0) = x1, γ(1) = x2 1 Uno spazio topologico si dice semplicemente connesso se `e connesso per archi e se ogni curva chiusa `e omotopa ad una costante. 36
  • 39. Figura 8.1: la curva γ. Poniamo σ = φ ◦ γ; σ `e una curva tale che σ(0) = σ(1) = y, [σ] ⊂ Y − φ(W) Poich`e Y − φ(W) `e semplicemente connesso, esiste un’applicazione di omotopia F : [0, 1] × [0, 1] → Y − φ(W), tale che F(s, 0) = σ(s) F(s, 1) = y ∀s ∈ [0, 1] F(0, t) = y F(1, t) = y ∀t ∈ [0, 1]; non `e infatti restrittivo prendere proprio uguale ad y la costante cui `e omotopa σ. Per il Teorema 3.2 esiste una ed una sola G : [0, 1] × [0, 1] → X − φ−1 (φ(W)) tale che G(0, 0) = x1 φ ◦ G = F Si osservi che risulta G(0, 1) = x2, in quanto si ha G(0, s) = γ(s). Sia φ la curva costituita dai tre lati del quadrato Q congiungendo nell’ordine i vertici (0,0), (0,1), (1,1) e (1,0). Deve essere φ ◦ G ◦ φ = F ◦ φ Ma F ◦φ `e costante e quindi tale dovrebbe essere anche la curva G◦φ (se, ad esempio, si sceglie come punto iniziale x1, allora G ◦ φ `e la costante x1). Questo `e in contrasto col fatto, osservato prima, che G(0, 1) = x2. 37
  • 40. 38
  • 41. Capitolo 9 Estensioni dell’invertibilit`a globale per applicazioni differenziabili Siano X e Y spazi di Banach, o, pi`u in generale, aperti di spazi di Banach. Definizione 9.1 (Invertibilit`a locale differenziabile). Diremo che l’applicazione φ : X → Y di classe Ck `e localmente invertibile in modo differenziabile in x0 ∈ X se φ induce un diffeomorfismo di classe Ck tra un aperto U di x0 e un aperto V di y0 = φ(x0). Definizione 9.2 (Punto singolare). Diremo che x0 ∈ X `e un punto singolare di φ se φ′ (x0) non `e invertibile. Indicheremo ancora con W l’insieme dei punti singolari di φ. φ(W) verr`a detto insieme critico. Osservazione 12. Le definizioni di punto singolare e di invertibilit`a locale date ora non coincidono, naturalmente, con quelle date precedentemente. L’invertibilit`a differenziabile richiede infatti una maggiore regolarit`a: l’omeomorfismo e la sua inversa devono ora essere differenziabili. Anche affinch`e un punto x0 sia non critico per una funzione φ la richiesta `e ora pi`u forte: deve essere invertibile non solo φ(x0) ma anche φ′ (x0). Nel seguito, quando parler`o di funzioni differenziabili, per invertibilit`a e punti critici intender`o le accezioni nel senso appena introdotto. Osservazione 13. I risultati provati nel capitolo precedente continuano a valere dando a W e alla frase localmente invertibile il significato delle definizioni 8.1 e 8.2. Introduciamo ora alcune nozioni che ci saranno utili nello studio dell’insieme singolare e dell’insieme critico di un’applicazione differenziabile. Definizione 9.3 (Variet`a differenziabile di codimensione 1). Sia X uno spazio di Banach. L’insieme W ⊂ X si dice variet`a di classe Ck di codimensione 1 se per ogni punto x0 ∈ W esistono un intorno U di x0 ed un funzionale Γ : U → R di classe Ck , tali che a) Γ′ (x0) = 0; b) W ∩ U = {w ∈ U | Γ(w) = 0}. Si vede facilmente che un diffeomorfismo di classe Ck trasforma una variet`a di classe Ck di codimensione 1 in una variet`a dello stesso tipo. ´E poi possibile, localmente, trovare un diffeomorfismo che trasformi la variet`a in una variet`a lineare di codimensione 1. E’ interessante vedere come una variet`a di codimensione 1 sconnette lo spazio. 39
  • 42. Teorema 9.1. Sia W una variet`a chiusa, connessa, di classe Ck (k ≥ 1), di codimensione 1 nello spazio di Banach X. Allora W′ def = X − W non pu`o avere pi`u di due componenti connesse. Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che vi siano tre aperti A1, A2, A3 non vuoti, disgiunti, e tali che X −W = A1 ∪A2 ∪A3. Notiamo che, essendo X −W aperto, ognuno degli Ai `e aperto non solo relativamente ad X − W, ma anche ad X. Indichiamo con F1, F2, F3, rispettivamente, le frontiere di A1, A2, A3; esse non sono vuote perch`e se Ai avesse frontiera vuota sarebbe un chiuso-aperto di X. Evidentemente, poi, si ha Fi ⊂ W. Per la propriet`a di W, preso un qualunque punto x0 ∈ W, si trova un aperto U di x0 tale che U ∩ W′ consta esattamente di due componenti connesse: dunque solo due degli insiemi Ai possono avere intersezione non vuota con U. Ne segue che U ∩ W pu`o essere contenuto in due soli (al pi`u) degli insiemi Fi. D’altra parte, se `e x0 ∈ Fi, una delle due componenti connesse di U ∩W′ `e contenuta in Ai, cio`e appartiene a Fi. Gli insiemi Fi sono allora due chiusi-aperti di W. Essendo, per ipotesi, W connessa si ha W = Fi. Ma questo contrasta con il fatto, constatato sopra, che ogni punto di W appartiene a due soli insiemi Fi. Osservazione 14. Non sappiamo se, nelle ipotesi del Teorema 9.1, le componenti connesse di W′ sono in ogni caso due. Studiamo ora una situazione, per noi particolarmente interessante, in cui l’insieme singolare e l’insieme critico sono variet`a differenziabili di codimensione 1. Teorema 9.2. Siano X ed Y spazi di Banach, Λ un sottoinsieme aperto di X. L’appli- cazione φ : Λ → Y sia di classe Ck con k ≥ 2. Sia x0 ∈ Λ tale che I) φ′ (x0) abbia nucleo di dimensione 1 e l’immagine chiusa di codimensione 1. II) Detto v0 ∈ X un vettore non nullo tale che φ′ (x0)v0 = 0, e γ0 un funzionale di Y tale che Im(φ′ (x0)) = {z | < z, γ0 >= 0}, il funzionale lineare z →< φ′′ (x0)[z][v0], γ0 > non sia nullo. Allora la variet`a W definita da φ `e, in un intorno di x0, una variet`a di classe Ck−1 di codimensione 1. Se la II) viene sostituita con l’ipotesi pi`u forte: II∗ ) < φ′′ (x0)[v0][v0], γ0 >= 0 si pu`o trovare un intorno aperto U di x0 tale che φ(W ∩ U) `e una variet`a di classe Ck−1 di codimensione 1. La dimostrazione si fonda sul seguente lemma di perturbazione. 40
  • 43. Lemma 9.3. Sia T0 : X → Y (X, Y spazi di Banach) un’applicazione lineare continua con immagine chiusa. Il nucleo e il conucleo di T0 abbiano dimensione 1. Allora ogni applicazione lineare T abbastanza vicina a T0 (nella norma consueta) o `e un isomorfismo di X su Y, oppure ha anch’essa nucleo e conucleo di dimensione 1. Dimostrazione del lemma. Sia {λv0} (λ ∈ R) il nucleo di T0; sia γ0 un funzionale non nullo definito in Y tale che Im(T0) = {z | < z, γ0 >= 0}. Sia δ un funzionale di X tale che < v0, δ >= 1, e sia s un elemento di Y tale che < s, γ0 >= 1. L’applicazione p : x → x − v0 < x, δ > `e una proiezione in X; sia ˆX il sottospazio lineare invariante (evidentemente, di codimensione 1) relativo a p. Analogamente, l’applicazione π : y → y − s < y, γ0 > `e una proiezione in Y ; il sottospazio invariante ad esso associato, ˆY , coincide con Im(T0). Sia π′ la proiezione coniugata di π. Sia T una qualunque applicazione lineare X → Y ; per vedere se T `e invertibile, poniamo T = T0 + S e v = λv0 + w con w ∈ ˆX. Si tratta di studiare l’equazione T0w + S(λv0 + w) = g (9.1) essendo g assegnata in Y . Applicando a questa le proiezioni π e π′ si trova il sistema equivalente T0w + πS(λv0 + w) = πg π′ S(λv0 + w) = π′ g (9.2) L’operatore T0 `e un isomorfismo di ˆX su ˆY ; tale risulta anche T0 + πS per S abbastanza piccolo1 . Poniamo M = (T0 + πS)−1 . Allora la prima equazione del sistema (9.2) equivale a w = M(πg − πSλv0) (9.3) Sostituendo nella seconda, si ottiene: π′ S(λv0 − MπSλv0) = π′ g − π′ SMπg che si pu`o scrivere esplicitamente cos`ı: λ < Sv0 − SMπSv0, γ0 >=< g − SMπg, γ0 > A questo punto, occorre distinguere due casi: a) < Sv0 − SMπSv0, γ0 >= 0 (cio`e: il vettore Sv0 −SMπSv0 non appartiene all’immagine di T0). In questo caso, per ogni g ∈ Y , il sistema (9.2) ha un’unica soluzione e pertanto T : X → Y `e un isomorfismo. 1 Cfr. il Teorema 7.3. 41
  • 44. b) < Sv0 − SMπSv0, γ0 >= 0 In questo caso, perch`e vi sia una soluzione, deve essere < g − SMπg, γ0 >= 0. Notiamo che, per S abbastanza piccolo, il funzionale g →< g − SMπg, γ0 > non `e nullo. Allora λ pu`o assumere valori arbitrari, e il nucleo di T ha dimensione 1. Osservazione 15. Nel caso b) per le soluzioni proprie del sistema omogeneo si ha λ = 0. Possiamo perci`o fare λ = 1, al fine di rappresentare il nucleo di T. Dalla (9.3), facendo g = 0, ricaviamo: w ≤ M π S v0 Questa ci dice che il nucleo di T, sempre nel caso b), pu`o essere individuato dal vettore v0 + w, con v0 = 0, costante, e w che tende a zero al tendere di T a T0. Dimostrazione del Teorema 9.2. Prendiamo φ′ (x0) in luogo di T0, φ′ (x) in luogo di T, e conserviamo il significato degli altri simboli. Scriveremo: S(x) = φ′ (x) − φ′ (x0), e indicheremo con M(x) l’applicazione inversa di φ′ (x0) + πS(x) (come applicazione di ˆX in ˆY ). E’ importante notare che x → M(x) `e di classe Ck−1 . Un punto x appartiene a W se e solo se si verifica il caso b). Posto N(x) = (φ′ (x) − φ′ (x0)) − (φ′ (x) − φ′ (x0))M(x)π(φ′ (x) − φ′ (x0)) la condizione b) si esprime con la relazione < N(x)v0, γ0 >= 0 Per vedere se questa relazione individua localmente una variet`a di codimensione 1, di classe Ck−1 , basta notare che N(x) `e di classe Ck−1 e che il differenziale del funzionale x →< N(x)v0, γ0 > calcolato nel punto di x0 `e dato da z →< φ′′ (x0)[z][v0], γ0 > . Questo funzionale lineare, per l’ipotesi II), non `e nullo. Risulta dunque dimostrata la prima affermazione del Teorema 9.2. Per dimostrare la seconda affermazione, facciamo vedere che, nell’ipotesi ammessa, si pu`o costruire, in un intorno di x0, un diffeomorfismo W in φ(W). Evidentemente, questo diffeomorfismo non pu`o essere la φ stessa, essendo x0 un punto singolare per φ. Consideriamo dunque l’applicazione ψ : U → Y (dove U `e un opportuno intorno di x0) cos`ı definita: x → φ(x) + s < N(x)v0, γ0 > Poich`e il funzionale x →< N(x)v0, γ0 > si annulla su W, φ coincide con ψ su W. Il differenziale di ψ nel punto x0 `e: x → φ′ (x0)z + s < φ′′ (x0)[z][v0], γ0 > 42
  • 45. Un breve calcolo ci dice che ψ′ (x0) `e invertibile se e solo se < φ′′ (x0)[v0][v0], γ0 >= 0 che `e appunto la condizione II∗ ). Dunque, quando sia ammessa questa ipotesi l’insieme critico `e, localmente, immagine della variet`a singolare secondo un diffeomorfismo di classe Ck−1 : esso `e pertanto una variet`a di classe Ck−1 , di codimensione 1. Definizione 9.4 (Punto singolare ordinario). Data un’applicazione di classe Ck , con k ≥ 2, diremo punto singolare ordinario un punto in cui valgono le condizioni I) e II∗ ). Quando x0 ∈ W sia un punto ordinario, la tesi del Teorema 8.3 pu`o essere notevol- mente precisata. Teorema 9.4. Sia φ : Λ → Y (Λ aperto di uno spazio di Banach X, Y spazio di Banach) un’applicazione di classe Ck con k ≥ 2 e sia x0 ∈ Λ un punto singolare ordinario. Allora, indicato con s un vettore che `e trasversale a φ(W) in y0 = φ(x0), esiste un intorno U di x0 ed un ǫ ∈ R+ tale che a) ∀y ∈]y0, y0 + ǫs] l’equazione φ(x) = y ha 2 soluzioni in U; b) ∀y ∈ [y0 − ǫs, y0[ l’equazione φ(x) = y non ha nessuna soluzione in U. Dimostrazione. Poich`e x0 `e un punto singolare ordinario, allora, se U `e un opportuno intorno di x0, φ(W ∩ U) `e, in un intorno di y0 = φ(x0), una variet`a di classe Ck−1 e di codimensione 1. Usando le stesse notazioni del teorema precedente, indichiamo con s un vettore che `e trasversale a φ(W) nel punto y0, e poniamo y = y0 + ηs, η ∈ R. Si pu`o supporre senza ledere la generalit`a che < s, y0 >= 1, che x0 = 0 e che y0 = φ(x0) = 0. Poniamo r(x) = φ(x) − φ′ (0)x x = λv0 + w (con w ∈ ˆX). L’equazione φ(x) = y diventa allora: φ′ (x0)w + r(λv0 + w) = ηs (9.4) Trasformiamo la (9.4) in un sistema, applicando le proiezioni π e π′ . Avremo: φ′ (x0)w + πr(λv0 + w) = 0 π′ r(λv0 + w) = ηs (9.5) Dalla prima delle (9.5), sempre tenendo presente l’invertibilit`a di φ′ (x0) tra ˆX e ˆY ed il fatto che r′ (0) = 0, si ricava, applicando il teorema di Dini (Teorema 7.4): w = σ(λ) dove σ `e una funzione di classe Ck definita in un intorno dell’origine di R e tale che σ′ (0) = 0. 43
  • 46. Il sistema (9.5) si riduce alla seguente equazione: π′ r(λv0 + σ(λ)) = ηs, che si pu`o scrivere: < r(λv0 + σ(λ)), γ0 >= ηs Quest’ultima equazione si tratta facilmente mediante il seguente Lemma. Lemma 9.5. Sia φ una funzione reale di classe C2 definita in un intorno dell’origine di R, tale che φ(0) = 0, φ′ (0) = 0, φ′′ (0) > 0. Allora esistono dei numeri positivi ǫ, τ tali che: • per ogni η ∈]0, ǫ] l’equazione φ(λ) = η ha due soluzioni di segno opposto in [−τ, +τ]; • per ogni η ∈ [−ǫ, 0[ l’equazione φ(λ) = η non ha alcuna soluzione in [−τ, +τ]. La conclusione della dimostrazione del Teorema 9.4 si ha subito ponendo φ(λ) =< r(λv0 + σ(λ)), γ0 > e notando che `e φ(0) = φ′ (0) = 0, mentre `e φ′′ (0) = 0. 44
  • 47. Capitolo 10 Esempi notevoli Consideriamo problemi al contorno del tipo y′′ (t) + ψ(y(t)) = f(t) 0 < t < π y(0) = y(π) = 0 (10.1) ove f ∈ Ck ([0, π]). Naturalmente lo studio dipender`a dalle propriet`a di ψ. Il problema (10.1) sar`a messo in relazione con v′′ + λv = 0 v(0) = v(π) = 0 (10.2) per cui la successione degli autovalori `e λn = n2 (n = 1, 2, . . . ). Ricordiamo anche alcuni risultati concernenti la teoria degli autovalori per equazioni differenziali del secondo ordine. Proposizione 10.1. Sia ρ una funzione misurabile e limitata, ρ > 0 in [0, π]. Indicato con µn l’ennesimo autovalore di v′′ + µρv = 0 v(0) = v(π) = 0 si ha che: a) µn `e una successione di numeri positivi, non decrescente, che tende a +∞: 0 < µ1 < µ2 < . . . b) Ogni autovalore `e semplice e l’autofunzione corrispondente a µn si annulla n-1 volte in ]0, π[. c) µn `e funzione non crescente del coefficiente ρ. Se ρ1(t) < ρ2(t) q.o. in [0, π] allora, indicati con µ (1) n e µ (2) n l’n-esimo autovalore di ρ = ρ1 e di ρ = ρ2 rispettivamente, si ha µ (1) n > µ (2) n . d) µn dipende con continuit`a da ρ nella topologia di L1 ([0, π]). 45
  • 48. Richiamiamo infine il Teorema di oscillazione di Sturm: Teorema 10.2 (di Sturm). Supponiamo che x sia una soluzione in (a,b) di (px′ )′ + g1x = 0 e y una soluzione in (a,b) di (py′ )′ + g2y = 0 essendo p > 0, continua e g1, g2 due funzioni integrabili. Allora se risulta g2 ≥ g1 q.o. in (a,b) e g2 > g1 in un insieme di misura positiva, tra due successivi zeri di x in (a,b) cade almeno uno zero di y. 10.1 Esempio I Supponiamo che ψ(s) sia una funzione di classe C1 tale che ψ(0) = 0, h ≤ ψ′ (s) ≤ k con m2 < h ≤ k < (m + 1)2 (10.3) Vogliamo dimostrare che in tali ipotesi per ogni f ∈ C([0, π]) il problema (10.1) ha una ed una sola soluzione. Sia C2 0 ([0, π]) = {f ∈ C2 ([0, π])| supp(f) compatto}, dove supp(f) = {x|f(x) = 0}. Sia φ : C2 0([0, π]) → C([0, π]) l’applicazione φ : x(t) → x′′ (t) + ψ(x(t)) (10.4) e proviamo che φ `e un omeomorfismo di C2 0 ([0, π]) in C([0, π]). Cominciamo con il seguente Lemma: Lemma 10.3. Sia xn una successione di C2 0([0, π]) e sia φ(xn) = fn. Allora se fn `e limitata in C([0, π]), xn `e limitata in C([0, π]) Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che xn C 1 → +∞. Poniamo zn = xn xn C . Si ha che zn ∈ C2 0 ([0, π]) ed inoltre zn C = 1. Introduciamo la funzione ω(s) = ψ(s) s se s = 0 ψ′ (0) se s = 0 ω `e una funzione continua e si ha h ≤ ω ≤ k. Risulta x′′ n + ψ(xn) = fn e quindi, dividendo per xn C: z′′ n + ω(xn)zn = fn xn C (10.5) 1 y C = supx∈[0,π] |y(x)|. 46
  • 49. La successione −ω(xn)zn + fn xn C `e limitata in C e quindi anche z′′ n `e limitata. Allora da zn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente a z∗ in C1 0 (e quindi anche in C). Risulta z∗ C = 1 e quindi z∗ = 0. D’altra parte, poich`e ω(xn(t)) `e limitata, da essa si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente debolmente a ω∗ (nella topologia di (L1 )∗ ), con h ≤ ω∗ ≤ k. Scriviamo la (10.5) in forma generalizzata: − π 0 z′ nw′ dt + π 0 ω(xn)znwdt = π 0 fn xn C wdt ∀w ∈ C∞ 0 ([0, π]) (10.6) e passiamo al limite in (10.6): si ottiene − π 0 (z∗ )′ w′ dt + π 0 ω∗ z∗ wdt = 0 ∀w ∈ C∞ 0 ([0, π]) (10.7) La (10.7) dice che µ = 1 e v = z∗ sono, rispettivamente, un autovalore ed un autovettore (in senso generalizzato) di v′′ + µω∗ v = 0 v(0) = v(π) = 0 (10.8) Ma, essendo n2 < h ≤ ω∗ ≤ k < (n + 1)2 , dovrebbe anche risultare µn < 1 < µn+1, ove si `e indicato con µn l’n-esimo autovalore di (10.8). Si ottiene cos`ı un assurdo. Lemma 10.4. L’applicazione φ : C2 0([0, π]) → C([0, π]) definita dalla (10.4) `e propria. Dimostrazione. Sia xn una successione di C2 0 ([0, π]) tale che φ(xn) = fn sia convergente in C([0, π]). Allora, per il Lemma 10.3, xn `e limitata in C([0, π]). Essendo poi x′′ n = fn − ψ(xn), si ha che anche x′′ n C `e limitata e quindi xn contiene una sottosuccessione convergente in C1 0 ([0, π]). Allora fn −ψ(xn) `e una successione convergente e quindi anche x′′ n converge in C. Lemma 10.5. φ `e un’applicazione di classe C1 , localmente invertibile in ogni punto x ∈ C2 0([0, π]). Dimostrazione. E’ evidente che φ `e di classe C1 e che il suo differenziale, calcolato nel punto x ∈ C2 0 ([0, π]) `e dato da φ′ (x) : v → v′′ + ψ′ (x)v (10.9) Allora per dimostrare il Lemma baster`a provare che la (10.9) `e una applicazione invertibile. Per constatarlo consideriamo il problema 2 v′′ + ψ′ (x)v = 0 v(0) = v(π) = 0 Esso non ha soluzioni proprie perch`e ∀t ∈ [0, π] si ha n2 < h ≤ ψ′ (x(t)) ≤ k < (n+1)2 (vedi la conclusione della dimostrazione del Lemma 10.3). 2 ´E sufficiente considerare il problema omogeneo (cfr. il teorema dell’alternativa) 47
  • 50. Possiamo concludere con il seguente teorema Teorema 10.6. Sia ψ una funzione di classe C1 tale che valga la (10.3). Allora il problema (10.1) ha una ed una sola soluzione in C2 0 ([0, π]) per ogni secondo membro f ∈ C([0, π]). Dimostrazione. L’applicazione φ `e propria ed `e localmente invertibile in ogni punto di C2 0 ([0, π]). Quindi φ `e un diffeomorfismo (di classe C1 ) di C2 0([0, π]) su C([0, π]). 10.2 Esempio II Supponiamo che ψ(s) sia una funzione di classe C2 , tale che: ψ(0) = 0 ψ′ (0) = 1 ψ′′ (0) = 0 sψ′′ (s) < 0 ∀s = 0. Vogliamo dimostrare che in tali ipotesi per ogni f ∈ C([0, π]), il problema (10.1) ha una ed una sola soluzione. Consideriamo ancora l’applicazione φ : C2 0 → C φ(x) = x′′ + ψ(x) e seguendo lo schema usato nell’esempio I, proviamo una maggiorazione a priori. Cominciamo con il notare che, essendo sψ′′ (s) < 0 (s = 0), ψ′ `e crescente in un intorno sinistro di 0 e decrescente in un intorno destro di 0. Perci`o, preso l < 1 ed abbastanza vicino a 1, esistono ξ1 > 0 e ξ2 < 0 tali che ψ′ (ξ1) = ψ′ (ξ2) = l. Allora, per s > 0 si ha, per la concavit`a di ψ ψ(s) ≤ ψ(ξ1) + ψ′ (ξ1)(s − ξ1) = ls + k1, k1 = ψ(ξ1) − ξ1ψ′ (ξ1) e analogamente per s < 0: ψ(s) ≥ ψ(ξ2) + ψ′ (ξ2)(s − ξ2) = ls + k2, k2 = ξ2ψ′ (ξ2) − ψ(ξ2) da cui sψ(s) ≤ ls2 + k|s|, k = max(k1, k2) (10.10) 48
  • 51. Figura 10.1: il grafico di ψ. k1 e k2 (e quindi k) sono infinitesimi di ordine superiore a 1 − l per l → 1. Sia ora f ∈ C([0, π]) e sia x ∈ C2 0([0, π]) una soluzione di x′′ +ψ(x) = f. Moltiplichiamo per x ed integriamo in [0, π]. Con facili calcoli si ottiene: π 0 x′′ (t)x(t)dt = [x′ (t)x(t)] t=π t=0 − π 0 (x′ (t))2 dt = − π 0 (x′ (t))2 dt e quindi π 0 {x′2 (t) − ψ(x(t))x(t)}dt = − π 0 f(t)x(t)dt (10.11) Utilizzando la (10.10) e la (10.11) si trova: π 0 {x′2 (t) − lx2 (t)}dt ≤ π 0 {x′2 (t) + k|x(t)| − ψ(x(t))x(t)}dt = = π 0 {k|x(t)| − f(t)x(t)}dt ≤ π 0 (k + |f(t)|)|x(t)|dt (10.12) Per la nota disuguaglianza di Poincar´e π 0 x2 (t)dt ≤ π 0 x′2 (t)dt Perci`o si ha, dalla (10.12): (1 − l) x 2 L2 = (1 − l) π 0 x2 (t)dt ≤ π 0 (k + |f(t)|)|x(t)|dt ≤ k + |f| L2 x L2 e quindi x L2 ≤ 1 1 − l (k √ π + f C). (10.13) Inoltre dalla (10.12) si ricava: x′ 2 L2 ≤ l x 2 L2 + k + |f| L2 x L2 e quindi dalla (10.13) si ricava che x′ L2 `e maggiorata in termini di f C. Ne segue che x C `e limitata e quindi, dall’equazione x′′ = f − ψ(x) che anche x′′ C `e limitata. A questo punto, ripetendo i ragionamenti fatti nel Lemma 10.4, possiamo affermare: Lemma 10.7. L’applicazione φ `e propria. Passiamo allo studio dei punti singolari di φ. 49
  • 52. Lemma 10.8. L’insieme dei punti singolari W di φ si riduce al solo punto 0. Inoltre φ(W) = φ−1 (φ(W)) = {0}. Dimostrazione. E’ evidente che x = 0 `e un punto singolare per φ. Proviamo che `e l’unico punto singolare di φ. Infatti sia x ∈ C2 0 ([0, π]) con x = 0 e tale che φ′ (x) non sia invertibile. Allora esiste v = 0, v ∈ C2 0([0, π]) tale che v′′ + ψ′ (x)v = 0 Ma per s = 0 si ha ψ′ (s) < 1 e quindi ψ′ (x(t)) `e minore di 1 in un insieme di misura positiva. Allora, per il teorema di Sturm, confrontando l’equazione precedente con w′′ + w = 0 w(0) = w(π) = 0 si ha che non pu`o essere v(π) = 0. Perci`o W = {0}, ed essendo φ(0) = 0, si ha anche che φ(W) = {0}. Resta da provare che φ−1 (φ(W)) = {0}. A questo scopo sia x ∈ C2 0([0, π]) tale che φ(x) = 0. Applicando la (10.13) si ha che ∀l < 1 ∃k > 0 tale che: x L2 ≤ k √ π 1 − l Ricordiamo che, se l e k sono presi com’`e stato fatto all’inizio, k 1−l → 0 per l → 1. Quindi x L2 = 0. Possiamo concludere: Teorema 10.9. Sia ψ una funzione di classe C2 tale che ψ(0) = 0, ψ′ (0) = 1, sψ′′ (s) < 0 (per s = 0). Allora il problema (10.1) ha una ed una sola soluzione in C2 0 ([0, π]), per ogni secondo membro f ∈ C([0, π]). Dimostrazione. In questo caso si applicher`a il Teorema 8.4. Infatti C2 0([0, π]) − {0} `e connesso, e C([0, π]) − {0} `e semplicemente connesso. Quindi se f = 0 esiste ed `e unica la soluzione x di φ(x) = f. Se f = 0, la tesi discende dal Lemma 10.8. Osservazione 16. L’applicazione inversa f → x `e continua anche per f = 0. Ci`o discende facilmente dalla maggiorazione a priori (10.13). 10.3 Esempio III In quest’ultimo caso prendermo ψ soddisfacente alle seguenti condizioni: ψ ∈ C2 ed inoltre ψ(0) = 0; ψ′ (0) = 1; ψ′′ (s) > 0; lim s→−∞ ψ′ (s) = l′ 0 < l′ < l lim s→+∞ ψ′ (s) = l′′ l′′ < 4 Proveremo il Teorema seguente: 50
  • 53. Teorema 10.10. Sia ψ una funzione verificante le ipotesi precedenti. Allora esiste in C([0, π]) una variet`a M chiusa, connessa, di codimensione 1, tale che C([0, π]) − M consiste esattamente di due componenti connesse A1 e A2 e si ha: a) ∀f ∈ A1 il problema (10.1) non ha soluzioni b) ∀f ∈ A2 il problema (10.1) ha due soluzioni c) ∀f ∈ M il problema (10.1) ha una sola soluzione. Per dimostrare questo teorema seguiremo il solito schema e considereremo l’applica- zione φ : C2 0 ([0, π]) → C([0, π]) φ(x) = x′′ + ψ(x) Cominciamo a provare una maggiorazione a priori di φ: Lemma 10.11. Sia xn ∈ C2 0 ([0, π]) tale che φ(xn) = fn sia limitata in C([0, π]). Allora xn `e limitata in C([0, π]). Dimostrazione. Nella prima parte si procede come nel Lemma 10.3. Supposto che xn C → +∞, si pone zn = xn xn C e ω(s) = ψ(s) s s = 0 ψ′ (0) s = 0 Si ha che zn C = 1 e che ω `e di classe C1 con l′ ≤ ω(s) ≤ l′′ . Inoltre essendo x′′ n +ψ(xn) = fn, dividendo per xn C e scrivendo l’equazione in forma generalizzata, si trova che: − π 0 z′ n(t)w′ (t)dt + π 0 ω(xn(t))zn(t)w(t)dt = π 0 fn(t) xn C w(t)dt ∀w ∈ C∞ 0 ([0, π]) (10.14) Essendo z′′ n = fn xn −1 C − ω(xn)zn, si ha che z′′ n C `e limitata. Quindi da zn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente in C1 (e quindi in C) a una funzione z tale che z = 1: z `e quindi non nulla. A questo punto osserviamo che ∀t ∈ [0, π] tale che z(t) < 0 si ha lim n→+∞ ω(xn(t)) = l′′ Allora se si pone α(t) =    l′ se z(t) < 0 l′′ se z(t) > 0 ψ′ (0) se z(t) = 0 si ha che lim n→+∞ ω(xn(t))zn(t) = α(t)z(t) t ∈ [0, π] 51
  • 54. Passiamo ora al limite nella (10.14); si trova che: − π 0 z′ (t)w′ (t)dt + π 0 α(t)z(t)w(t)dt = 0 ∀w ∈ C∞ 0 ([0, π]) Ci`o significa che z `e soluzione (in senso generalizzato) di z′′ + αz = 0 z(0) = z(π) = 0 (10.15) Poich`e α ≤ l′′ < 4 per ipotesi, dalla (10.15) si deduce che 1 `e il primo autovalore di v′′ + λαv = 0, v(0) = v(π) = 0. Perci`o z `e sempre dello stesso segno in ]0, π[. Supponiamo che sia, ad esempio, z(t) > 0 ∀t ∈]0, π[. Allora, α(t) = l′′ ∀t ∈]0, π[ e la (10.15) `e evidentemente assurda. Analogamente se z(t) < 0 in ]0, π[. Ripetendo gli stessi ragionamenti fatti nel Lemma 10.4 si trova che: Lemma 10.12. Nelle ipotesi fatte, l’applicazione φ `e propria. Studiamo ora W (insieme singolare di φ) e φ(W). Cominciamo con: Lemma 10.13. Se x0 ∈ W, allora x0 `e un punto singolare ordinario. Dimostrazione. φ `e ovviamente un’applicazione di classe C2 . I suoi differenziali primo e secondo calcolati nel punto x ∈ C2 0 ([0, π]), sono, rispettivamente φ′ (x)[v] = v′′ + ψ′ (x)v ψ′′ (x)[v][w] = ψ′ (x)vw. x0 ∈ W se e solo se il problema v′′ + ψ′ (x0)v = 0 v(0) = v(π) = 0 ha una soluzione propria, ovvero, equivalentemente, se λ = 1 `e un autovalore di v′′ + λψ′ (x0)v = 0 v(0) = v(π) = 0 (10.16) Poich`e per ipotesi si ha 0 < l′ < ψ′ (x0) < l′′ con l′ < 1 < l′′ < 4, λ = 1 `e il primo autovalore (e quindi semplice) di (10.16). Di conseguenza il nucleo Ker(φ′ (x0)) di φ′ (x0) `e associato con un vettore non nullo v0 ∈ C2 0([0, π]), ed inoltre: Im(φ′ (x0)) = g(t) ∈ C([0, π]) | π 0 g(t)v0(t)dt = 0 Quindi l’ipotesi (I) del Teorema 9.2 `e soddisfatta e il funzionale γ0 tale che Im(φ(x0)) = {z | < z, γ0 >= 0} `e dato da z → π 0 z(t)v0(t)dt Allora < φ′′ (x0)[v0][v0], γ0 >= π 0 ψ′′ (x0(t))v3 0(t)dt Tale integrale `e diverso da 0 perch`e ψ′′ (s) > 0 ∀s e v0 `e sempre dello stesso segno in ]0, π[ essendo la prima il primo autovettore di (10.16). 52
  • 55. Lemma 10.14. W `e non vuoto e connesso: infatti esso ha una rappresentazione carte- siana su un sottospazio lineare di C2 0 ([0, π]) di codimensione 1. Dimostrazione. Sia u ∈ C2 0 ([0, π]) con u(t) > 0 ∀t ∈]0, π[ e sia Z un qualunque sottospazio lineare di C2 0([0, π]) di codimensione 1, tale che u /∈ Z. Ogni elemento x ∈ C2 0 ([0, π]) pu`o essere rappresentato in modo unico nella forma x = z + νu con z ∈ Z e ν ∈ R. Il problema v′′ + λψ′ (z + νu)v = 0 v(0) = v(π) = 0 in cui si pensa z ∈ Z fissato, ha come primo autovalore un numero λ(ν) dipendente con continuit`a (cfr. Proposizione 10.1-d) da ν. Poich`e u(t) > 0 in ]0, π[, allora ∀t ∈]0, π[ si ha che lim ν→−∞ ψ′ (z(t) + νu(t)) = l′ lim ν→+∞ ψ′ (z(t) + νu(t)) = l′′ . Essendo l′ < ψ′ (t) < l′′ , i limiti precedenti sono anche limiti nella norma L1 e quindi si ha: lim ν→−∞ λ(ν) = 1 l′ > 1; lim ν→+∞ µ(ν) = 1 l′′ < 1. Quindi esiste un ν tale che µ(ν) = 1. Tale valore `e unico perch`e λ `e monotona decrescente (cfr. Teorema 9.1-c). Dunque la retta ν → z + νu incontra W in un unico punto. Tale punto dipende con continuit`a da z ∈ Z. Infine, per studiare la struttura di φ(W) e di φ−1 (φ(W)), enunciamo il seguente lemma: Lemma 10.15. Se f ∈ φ(W), allora φ(x) = f ha un’unica soluzione C2 0 ([0, π]). Dimostrazione. Sia f ∈ φ(W) e supponiamo che esistano due elementi x ed x tali che φ(x) = φ(x) = f. Poniamo φ(t) = ψ(x(t))−ψ(x(t)) x(t)−x(t) dove risulta x(t) = x(t) ψ′ (x(t)) dove risulta x(t) = x(t) Allora si ha che (x − x)′′ + φ(x − x) = 0 (x − x)(0) = (x − x)(π) = 0 Ma poich`e l′ < φ(t) < l′′ < 4, si deduce che x − x `e la prima autofunzione e λ = 1 `e il primo autovalore di v′′ + λφv = 0 v(0) = v(π) = 0; in particolare quindi, x − x ha sempre lo stesso segno in ]0, π[. D’altra parte, essendo per ipotesi ψ′′ (t) > 0, si ha che φ(t) > ψ′ (x(t)) t ∈]0, π[. (10.17) Ricordando infine che x ∈ W, si ha che λ = 1 `e anche il primo autovalore di v′′ + λψ′ (x)v = 0 v(0) = v(π) = 0 Questo `e in contraddizione con la (10.17) (cfr. Proposizione 10.2 c). 53
  • 56. Dimostrazione del Teorema 10.10. φ `e un’applicazione di classe C2 propria. W `e una variet`a chiusa e connessa e quindi anche φ(W) `e chiusa e connessa3 ; inoltre per il Lem- ma 10.15 φ `e biiettiva fra W e φ(W) e quindi, essendo anche propria, φ induce un omeomorfismo tra W e φ(W). Poich`e tutti i punti di W sono ordinari, allora per il Teorema 9.2, anche φ(W) `e una variet`a regolare di codimensione 1. Di conseguenza, per il Teorema 9.1, C([0, π]) − φ(W) ha al pi`u 2 componenti connesse. Poich`e i punti x ∈ W sono punti singolari ordinari allora possiamo applicare il Teorema 9.4 ed affermare che: esiste un intorno U di x ∈ W e un segmento Λ trasversale a φ(W) in y = φ(x) tali che se f varia su Λ, il numero NU (f) delle soluzioni di φ(x) = f che stanno in U `e 2 oppure 0 a seconda che f appartiene ad una o all’altra delle componenti connesse di Λ − φ(W). Ora osserviamo che per ogni intorno U di x0 ∈ W esiste un intorno V di y0 = φ(x0) tale che φ−1 (V ) ⊂ U. Infatti se cos`ı non fosse esisterebbe un intorno U∗ di x0 ed una successione xn /∈ U∗ tale che φ(xn) → y0. Poich`e φ `e propria, da xn si pu`o estrarre una sottosuccessione convergente a x con x /∈ U∗ e φ(x) = y0. Questo `e in contrasto con il Lemma 10.15. Si pu`o anche concludere che le componenti connesse di C([0, π]) − φ(W) sono esat- tamente due (A1 e A2) e le soluzioni di φ(x) = f sono due o nessuna a seconda che f appartiene all’una o all’altra di tali componenti. La (a) e (b) sono cos`ı dimostrate. La (c) segue subito dal Lemma 10.15. 3 Poich`e φ `e propria, trasforma chiusi in chiusi. 54
  • 57. Appendice A Contrazioni in uno spazio metrico Una contrazione `e una funzione da uno spazio metrico in se stesso che accorcia le distanze fra le coppie di punti in modo uniforme. Definizione A.1 (Contrazione). Se (M, d) e (N, g) sono due spazi metrici, si definisce applicazione di contrazione, o semplicemente contrazione, una funzione f da M a N, con la seguente propriet`a: esiste una costante reale 0 < k < 1 tale che, per ogni x e y in M, si ha: g(f(x), f(y) ≤ kd(x, y). Il pi`u piccolo valore di k per cui vale tale condizione si chiama costante di Lipschitz di f. Ogni contrazione `e lipschitziana e quindi uniformemente continua. Una contrazione ha al massimo un punto fisso. Teorema A.1 (del punto fisso di Banach). Sia (X,d) uno spazio metrico completo e sia T : X −→ X una contrazione in (X,d). Allora esiste ed `e unico un punto x ∈ X tale che T(x) = x. (A.1) Dimostrazione. Poich`e T `e una contrazione esiste una costante L ∈]0, 1[ tale che d(T(x), T(y)) ≤ Ld(x, y) ∀x, y, ∈ X. (A.2) i`o premesso dimostriamo dapprima l’unicit`a del punto fisso di T. Successivamente proveremo l’esistenza. Siano x, y ∈ X punti fissi di T. Allora T(x) = x e T(y) = y. Quindi d(x, y) = d(T(x), T(y)) ≤ Ld(x, y) od anche (1 − L)d(x, y) ≤ 0. Poich`e 1−L > 0 ci`o implica d(x, y) ≤ 0. Ma, in ogni caso, d(x, y) ≥ 0. Allora d(x, y) = 0 e x = y. Questo prova che T ha al pi`u un p`eunto fisso. 55
  • 58. La dimostrazione dell’esistenza `e costruttiva e si basa su un importante procedimento iterativo chiamato metodo delle approssimazioni successive. Fissiamo, ad arbitrio, un punto a ∈ X e definiamo, per ricorrenza, una successione (xn)n≥0 in X nel modo seguente: x0 = a xn+1 = T(xn), n ∈ N. Proviamo che (xn) `e di Cauchy in (X, d). Anzitutto, poich`e T verifica (A.2), per ogni m ∈ N si ha d(xm+1, xm) = d(T(xm), T(xm−1)) ≤ Ld(xm, xm−1), e quindi, per iterazione, d(xm+1, xm) ≤ Ld(xm, xm−1) ≤ L2 d(xm−1, xm−2) ≤ · · · ≤ Lm d(x1, x0). Da questa, utilizzando la disuguaglianza triangolare, per ogni n, m ∈ N, n > m, si ricava d(xn, xm) ≤ d(xn, xn−1) + d(xn−1, xn−2) + · · · + d(xm+1, xm) ≤ ≤ Ln−1 d(x1, x0) + Ln−2 d(x1, x0) + · · · + Lm d(x1, x0) = = Lm (1 + L + · · · + Ln−m−1 )d(x1, x0) = = Lm Ln−m − 1 L − 1 d(x1, x0). Allora, poich`e 0 < Ln−m − 1 L − 1 = 1 − Ln−m 1 − L < 1 1 − L (ricordiamo che 0 < L < 1), d(xn, xm) < Lm 1 − L d(x1, x0) ∀n, m ∈ N, n > m. (A.3) Da questa, poich`e Lm −→ 0 per m → +∞, si trae d(xn, xm) → 0 per n, m → +∞. Quindi (xn) `e una successione di Cauchy in (X, d). Per la completezza di (X, d) esiste allora un punto x ∈ X tale che xn d −→ x per n → +∞. Ma allora, evidentemente, anche xn+1 → x per n → +∞, e quindi, poich`e xn+1 = T(xn) e T `e continua x = lim n→+∞ xn+1 = lim n→+∞ T(xn) = T( lim n→+∞ xn) = T(x). Questo prova che x `e un punto fisso di T e completa la dimostrazione del Teorema. Tale teorema `e usato nella dimostrazione dell’esistenza ed unicit`a della soluzione per i sistemi di equazioni differenziali ordinarie del primo ordine, sotto opportune ipotesi (teorema di Cauchy-Lipschitz). 56
  • 59. Bibliografia AMB-PRO [1] A. AMBROSETTI, G. PRODI, Analisi non lineare, SNS, 1973, Pisa. BER-PAS [2] M. BERTSCH, R. DAL PASSO, Elementi di analisi matematica, ARACNE, 2001, Roma. BRE [3] H. BREZIS, Analisi funzionale, LIGUORI, 1986, Napoli. HSI-SIB [4] P. HSIEH, Y. SIBUYA, Basic theory of ordinary differential equations, SPRINGER, 1999, New York. LAN2 [5] E. LANCONELLI, Lezioni di analisi mat. 2 (parte prima), PITAGORA, 1995, Bologna. PIN [6] B. PINI, Lezioni di analisi mat. di secondo livello (parte prima), CLUEB, 19 , Bologna. RHE [7] W. C. RHEINBOLDT, Local mapping relations and global implicit function theorems, Transactions American Mathematical Society, 138 (1969). SER [8] E. SERNESI, Geometria 2, BOLLATI BORINGHIERI, 1994, Torino. 57
  • 60.
  • 61. Ringraziamenti Al termine di questi tre anni di studi, sono tante le persone che desidero ringraziare. Comincio da coloro che non posso pi`u salutare di persona, i miei nonni Anna e Flavio. Non posso che essere profondamente grato a tutta la mia famiglia: mia madre Lo- riana, mio padre Jader, mio zio Enzo, mia nonna Edda, mia zia Paola, mio fratello Gregorio. Il loro amore e il loro sostegno mi hanno fatto davvero capire solo in questi anni l’importanza della famiglia. Devo la mia passione per la matematica e il rigore del suo metodo a molte persone. Da ogni insegnante (non solo di matematica) che ho incontrato ho imparato pi`u di quello che posso esprimere. Desidero in particolare ringraziare i miei ex professori (ed ora amici) Christian Facchini e Anna Maria Michelini. Crescere e studiare insieme crea un legame forte come la vita: ringrazio Andrea, Diego, Federico, Giulia, Lucia, Marcello, Marica, Silvia, Vanna, Veronica. Il professor Ermanno Lanconelli invece non lo ringrazio ancora; non avrebbe senso ringraziare una persona dei cui insegnamenti, esempi e consigli, avr`o bisogno ancora per molto tempo.