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Il Barbera del Monferrato
Progetto a cura di Giordano G, Dastoli F, Primatesta C
Università degli studi di Pavia
A.A. 2015/16
INTRODUZIONE
Il Barbera, o la Barbera come viene spesso viene chiamato in Piemonte, è uno dei più
importanti vitigni a bacca rossa italiani diffuso praticamente in quasi tutto il Paese e
presente anche oltreoceano dove risulta il vitigno italiano più coltivato.
Barbera del Monferrato:

colore: rosso rubino più o meno intenso;

odore: vinoso, caratteristico;

sapore: asciutto, mediamente di corpo, talvolta vivace;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; per la “Barbera del
Monferrato” con indicazione di “vigna” 12,00% vol;

acidità totale minima: 4,5 g/l;

estratto non riduttore minimo: 23,0 g/l.
Il colore è rosso rubino, con riflessi violacei più o meno accentuati. Il profumo è intenso,
vinoso da giovane, persistente: prevalgono la ciliegia, la prugna, le bacche scure. Al
gusto risulta pieno ed armonico.
Foglia di media grandezza, pentagonale, penta lobata con grappolo mediamente grande,
cilindrico, alato con acino medio-grande di colore blu-nero.
La forte adattabilità a terreni calcareo-argillosi e a climi siccitosi, la produzione
abbondante, l’alta resa del mosto e l’abbondanza di materia colorante nella buccia molto
pruinosa e di color blu intenso con una buona presenza di tannini, donano un vino
corposo, fresco, fruttato, poco astringente con una vena acidula che lo rende uno dei
migliori vini da cibo.
In passato il Barbera era considerato un vino “rustico”, ma con il tempo è cresciuto nella
stima del pubblico perché si è dimostrato capace di offrire, tramite appropriati processi
di vinificazione, sia ottimi vini di pronta beva, sia vini di media longevità e buona
struttura che resistono al tempo e confermano, dopo molti anni, i caratteri più originali di
una terra e di un vitigno dal particolare prestigio.
Elemento caratterizzante del prodotto finito è che la coltivazione viene svolta in vitigni
autoctoni e quindi le uve che ne derivano sono contraddistinte da particolari
caratteristiche derivanti dalla zona di produzione limitata e ben definita. comprende la
Provincia di Asti e parte della provincia di Alessandria. Si tratta di un sistema collinare
poco elevato, compreso per lo più tra i 150 e i 400 metri di altitudine, caratterizzato da
clima temperato o temperato-caldo (circa 1800 gradi giorno), poco ventoso e con una
piovosità annuale media intorno ai 700 millimetri.
Elemento caratterizzante delle terre a vocazione ottimale delle terre per la produzione
del Barbera del Barbera del Monferrato è appunto il terreno. Il suolo è per la maggior
parte composto dalla cosiddetta pietra da cantoni, una roccia calcarea di origine
sedimentaria. È dotata di caratteristiche uniche: con l'umidità si sgretola e diventa il
terreno ideale su cui coltivare la vite: magro e ricco di sali minerali porta una crescita
della vite lenta ma di alta qualità. Inoltre quando piove drena per cui non fa ristagno e
non crea un eccesso di umidità, mentre nelle annate asciutte non genera crepe e questo
permette al terreno di non seccare in profondità e rimanere fresco: questa caratteristica
appare particolarmente adatta alla vite, pianta dalle radici profonde.
STORIA
STORIA DEL MONFERRATO
La storia del vitigno è strettamente legata a quella del suo territorio, il Monferrato.
Questo è il territorio che è compreso fra due fiumi: il Tanaro e il Po. Nell'antichità fu
abitato dai Liguri e dai Celti e in seguito dai Romani. Nel Medioevo cadde sotto il
dominio dei Longobardi e pare che in questo periodo prese il suo nome attuale anche se
in una lingua mista fra latino e longobardo: veniva infatti detto mons farratus. Dal X
secolo fu Marchesato pur passando sotto il controllo di varie dinastie, la sua
indipendenza finì nel 1708 quando alla morte del duca Ferdinando Carlo Gonzaga di
Mantova veniva assegnato ai Savoia. Da lì in poi seguì i destini del regno dei Savoia,
cadendo prima sotto il dominio dei Francesi di Napoleone e in seguito entrando a far
parte del Regno d'Italia.
STORIA DEL VITIGNO
Le origini del vitigno Barbera sono antichissime: probabilmente nato da incroci in parte
anche spontanei di vitigni già esistenti, era conosciuto già dai Longobardi; la
denominazione attuale gli fu attribuita da Gallesio “Vitis vinifera Montisferratensis”.
In breve tempo la Barbera divenne l’uva piemontese per eccellenza e il suo vino
protagonista indiscusso delle mense contadine, testimone del quotidiano vivere su tutte
le colline piemontesi. Nella “Ampelografia della Provincia di Alessandria” di Leardi e
Demaria, del 1873 si legge a proposito del Barbera: “È vitigno conosciutissimo ed una
delle basi principali dei vini dell'Astigiano dove è indigeno e da lunghissimo tempo
coltivato”. Un punto cruciale della storia di questo vitigno arriva alla fine dell'ottocento,
quando la filossera inizia a distruggere sempre più viti: i viticoltori si resero conto che
era possibile far sì che il vitigno Barbera sopravvivesse innestandolo sulla radice della
vite americana. Fu questo uno dei motivi per il quale il Barbera si impose come un
vitigno forte e adattabile e del basso Monferrato.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò il fenomeno che portò a un maggiore
inurbamento della popolazione italiana: sempre più vigneti vennero progressivamente
trascurati e poi abbandonati dai proprietari che si trasferivano in città. Il motivo di
questa scelta era spesso dovuto alle malattie che ciclicamente colpiscono la vite. Questo
fatto ha portato ad avere una netta diminuzione della produzione ma ha permesso alle
aziende rimaste di investire molto nella ricerca di una migliore qualità del prodotto: non
è raro trovare aziende agricole, come l'azienda agricola La Casaccia, che oggi producono
meno litri di vino rispetto al passato, ma con una qualità del prodotto finito sicuramente
molto maggiore. Una produzione più contenuta permette di gestire tutto il ciclo nel
modo migliore possibile.
Negli anni si susseguirono periodicamente malattie e infezioni che misero in difficoltà il
sistema produttivo ma furono sempre superate, o utilizzando prodotti chimici migliori o
studiando sistemi di innesti più resistenti. Al giorno d’oggi però questi due metodi
sembrano non avere successo contro la flavescenza dorata, la malattia della vite che in
questi anni sta distruggendo sempre più piante riducendo la produzione anche del 30% e
facendo paura ai viticoltori di tutto il Monferrato. A questo proposito bisogna ricordare
che la vocazione storicamente vinicola di queste terre da paradossalmente una grossa
mano a questa malattia. Infatti sebbene i coltivatori provvedano ciclicamente a compiere
i trattamenti necessari per contrastarla essa trova nella vite americana, che cresce nei
numerosissimi boschi che un tempo erano stati vigneti, un portatore sano. Lo stesso
problema non si presenta con la stessa intensità in regioni quali il tortonese che invece
storicamente non presentavano una tale incidenza di vigna.
Il Barbera evidenzia nei suoi caratteri la natura del suolo di provenienza e l’impronta
morbida e suadente delle marne calcareo argillose che noi chiamiamo per brevità “le
terre bianche”: sono le terre della pietra da cantoni, nella quale sono stati scavati a
partire dalla seconda metà dell'800 gli Infernot, piccole camere sotterranee atte alla
conservazione e alla degustazione dei vini.
PRODUZIONE
Il Monferrato appare votato alla viticoltura di qualità già nel XI secolo come
testimoniano alcuni documenti, tuttavia la produttività ha sempre trovato un limite nella
forte frammentazione della proprietà che ha reso difficile l'affermarsi di aziende forti.
Assume quindi grande importanza in questo ambito la cooperazione enologica. Essa fu
prospettata una prima volta nel 1877 ma si dovette attendere fino al 1891 per vederla
nascere ad opera di B. Balsari che costituì ad Oleggio, vicino a Novara la prima cantina
sociale. La prima realtà di questo tipo nel Monferrato sorse nel 1908 a San Salvatore
Monferrato. Nonostante le iniziali perplessità e resistenze da parte dei viticoltori il
modello della cantina sociale si affermò e portò nel tempo molti piccoli produttori a non
vendere più la propria uva a commercianti o privati che vinificavano autonomamente ma
appunto a queste organizzazioni.
La possibilità di unirsi in cantine sociali portò i viticoltori a poter impegnare somme
crescenti nell'ammodernamento delle strutture produttive. Questo portò prima a una
timida meccanizzazione del ciclo produttivo, a partire dai torchi, che proseguì
interrottamente fino a oggi. Oggi di fatto tutto il ciclo avviene in modo automatico e
meccanizzato grazie a grandi impianti che assicurano una velocità e una precisione
nell'esecuzione delle lavorazioni prima sconosciuta.
Riassumiamo in breve i passaggi che portano l'uva a diventare vino in un raffronto fra
passato e presente (tecniche produttive ricavate dalla cantina sociale di San Giorgio):
- un tempo la spremitura delle uve, trasportate da piccoli carri, avveniva a mano o con
l'ausilio di utensili manuali, successivamente vennero introdotti prima i torchi lignei e
poi negli anni del secondo dopo guerra le vasche di cemento dove l’uva veniva
facilmente “pigiata”; oggi i camion scaricano l’uva nelle vasche d'acciaio dove
attraverso una coclea si provvede a separare gli acini dai graspi e contemporaneamente a
spremerli.
- attraverso una conduttura il mosto giunge in grandi cisterne di cemento vetrificato nel
quale riposa per un periodo di giorni che varia da annata ad annata in base al grado
alcolico presente nell’uva; questo processo negli anni ha subito principalmente due
variazioni:
 la meccanizzazione del processo di trasporto del mosto (che non avviene più
manualmente);
 innovazione dei “contenitori”, ovvero si è passati dalle botti alle cisterne/
vasche di contenimento
- il vino veniva un tempo filtrato da particolari filtri di stoffa che trattenevano le
impurità e permettevano il gocciolamento del fluido ripulito; oggi invece si provvede al
filtraggio automatico del vino con particolari filtri i quali nel periodo in cui il vino riposa
nelle cisterne, lavorano ininterrottamente in modo da depurarlo dalla cosiddetta “feccia”,
ovvero lo scarto/ le impurità del vino dalle quali, se distillate si ricava la grappa.
- una volta che il vino è pronto a essere imbottigliato una linea automatica svolge questo
procedimento; l'imbottigliamento appare relativamente di recente nella storia della
viticoltura: si stima infatti che sia stato introdotto nella seconda metà dell'800.
Il pur importante apporto della tecnologia nella vinificazione ha portato a perdere una
certa parte della tradizione produttiva che in passato era caratteristica distintiva di
eccellenza. In particolar modo si è persa nel tempo l’idea che il vino del Monferrato (il
Barbera, ma soprattutto il Grignolino) fosse un vino da invecchiamento. Consci della
perdita subita i viticoltori più attenti stanno oggi cercando di recuperare queste
tradizioni: è in fase sperimentale la produzione del Grignolino (vino cugino del Barbera)
seguendo i processi produttivi e le tecniche di lavorazione usate in passato.
Il Grignolino era un vino tradizionalmente destinato alle tavole dei regnanti e dei loro
più illustri ospiti; con il passare del tempo divenne invece un vino giovane, destinato a
un consumo più commerciale. Questa tendenza è stata confermata tutt’oggi dai
consumatori che ritengono il Grignolino un vino da consumarsi giovane, talora
addirittura di pochi mesi al punto tale che se non dell'annata viene ritenuto del tutto
privo di un valore commerciale. Oggi si sta appunto recuperando la tradizione di
produrre un Grignolino destinato all'invecchiamento (e per questa ragione non fruibile
da giovane) e i primi risultati della critica sembrano essere molto positivi, incoraggiando
anche altri vinificatori a testare procedimenti simili (tuttora in fase sperimentale) anche
per quanto riguarda la Barbera.
VALORIZZAZIONE
Visto come si produceil vino vediamo ora quali sono i principali metodi per valorizzare
il prodotto finito.
COLTIVAZIONE BIOLOGICA
Scopo principale della coltivazione biologica è ottenere un vino di qualità migliore
rispettando al tempo stesso la natura: infatti i metodi odierni di produzione di tipo
industriale mettono a rischio non solo la qualità ma talora anche la fertilità stessadei
suoli. questo è dovuto al massiccio utilizzo di prodottichimici. La coltivazione biologica
peraltro non rifiuta le conquiste della scienza ma si proponedi farne un uso più
responsabile. Questo avviene nei seguenti modi:
- non si fa utilizzo di prodottichimici ma si preferisce impiegare rame zolfo e anche
ormoni per i trattamenti fitosanitari con particolare attenzione all'equilibrio della pianta e
del terreno;
-La tecnica più diffusa nel biologico è quella dell'inerbimento che viene adattato alle
diverse condizioni climatiche, alle esigenze vegetative e produttive della vite.
L'inerbimento consiste nel rivestimento del terreno occupato dal vigneto con una
copertura erbacea la cui crescita viene controllata per mezzo di trinciature o sfalci
lasciando in situ la biomassa. L’inerbimento potrà essere, quindi, naturale o artificiale;
presente per tutto l’anno (permanente) o per un periodo limitato (temporaneo); può
interessare l’intera superficie dell’impianto (inerbimento totale) o soltanto una parte
(inerbimento parziale). Si contrapponeal metodo invece più diffuso del procedere
periodicamente a arare e lavorare la terra mantenendola quindi priva di vegetazione;
- Si cura anche la scelta varietale ossia la ricerca del vitigno più adatto al luogo in
funzione delle caratteristiche di clima e terreno e della capacità di mediazione tra terreno
ed epibionte (specie viventi sui vegetali) offerta dal portinnesto.
Ulteriori regole riguardano la vinificazione.
Questi i dettami principali della coltivazione biologica che si sta diffondendo. Un
ulteriore passo in questo senso è rappresentato dalla coltivazione biodinamica. Questo
tipo di agricoltura fu prospettato per la prima volta da filosofo Rudolf Steiner. Egli
riteneva che elementi della sua dottrina filosofica si potessero applicare con successo
anche alla coltivazione.
Si ritiene che i movimenti di pianeti e stelle abbiano un influsso rilevante sullo sviluppo
e sulla vita di piante uomini e animali. Non si può quindi procederealle varie fasi
agricole quando si preferisce ma bisogna osservare precisi calendari.
Al posto di preparati chimici industriali compaiono preparati dinamizzati cioè creati
seguendo procedimenti che ricordano riti magici. Ad esempio per fertilizzare la terra si
utilizza sì il letame, ma esso subisce una serie di trattamenti volti a catturare l'energia
cosmica. E' evidente come questi sistemi siano poco diffusi perchè devono essere
supportatidalla convinzione di chi li applica che funzionino.
UNESCO E INFERNOT
Se due secoli or sono all'incirca la cultura poteva essere unanimemente identificata
principalmente nelle grandi opere d'arte, oggi invece definiamo il patrimonio come
l'insieme delle vite e degli stili di vita delle comunità umane.
Per entrare a far parte della "Lista dell'UNESCO", ogni bene, sia esso culturale o
naturale, deve possedere almeno uno dei 10 standard di selezione. Tali criteri non sono
immutabili, ma vengono regolarmente rivisti e aggiornati dal Comitato. Uno degli
standard enuncia che "i siti devono rappresentare un esempio eccezionale di un
insediamento umano tradizionale o di utilizzo tradizionale del territorio o del mare che
sia rappresentativo di una o più culture, oppure dell'interazione umana con l'ambiente".
Ed è appunto in questo ambito che si colloca la candidatura del Paesaggio vitivinicolo
delle Langhe, del Roero e del Monferrato. L'iter di candidatura è stato molto lungo: è
durato dal 2004 al 2014. La prima candidatura era stata presentata congiuntamente da
Monferrato Langhe-Roero per il paesaggio vitivinicolo tuttavia il Monferrato non
presenta le stesse caratteristiche delle Langhe-Roero, dove il paesaggio vitivinicolo
costituisce quasi il 90% del territorio. Dopo la bocciatura nel 2011 a San Pietroburgo, la
candidatura è stata formulata in maniera diversa: il Monferrato per gli infernot e
Langhe-Roero per il paesaggio vitivinicolo.
Assume in questo ambito rilevante importanza l'ecomuseo che è il museo del territorio.
ECOMUSEO
Il termine Ecomuseo è stato coniato da Hugues de Varine nel 1971. Con questo
neologismo egli voleva riferirsi a “un qualcosa che rappresenta ciò che un territorio è, e
ciò che sono i suoi abitanti, a partire dalla cultura viva delle persone, dal loro ambiente,
da ciò che hanno ereditato dal passato, da quello che amano e desiderano mostrare ai
loro ospiti e trasmettere ai loro figli."
Per approfondire la nostra ricerca abbiamo visitato l'ecomuseo di Cella Monte (AL) e la
tenuta La Casaccia: La sede è stata donata dalla diocesi di Casale al comune di Cella
Monte con lo scopo di farne la sede dell'Ecomuseo della Pietra da Cantoni. Il palazzo
sicuramente nobiliare, con il trascorrere dei secoli e con il cambio di destinazione d’uso
ha subito molte modifiche. Sono dunque intervenute le belle arti con una serie di lavori
di finitura e di sistemazione degli spazi di pertinenza e con interventi volti al
consolidamento strutturale
INFERNOT: COSA SONO E A COSA SERVONO?
Gli infernot sono una singolare tipologia di manufatto architettonico scavati in una
formazione geologica presente solo nel Basso Monferrato, la cosiddetta Pietra da
cantoni, erano utilizzati per la conservazione delle bottiglie e rappresentano vere e
proprie opere d’arte legate al saper fare. Si tratta di un’appendice della cantina ubicata
comunemente sotto le case, i cortili e talvolta le strade delle colline del Monferrato.
L’Eccezionale Valore Universale proposto per questo sito è rappresentato dalla radicata
cultura del vino e dallo straordinario paesaggio modellato dal lavoro dell’uomo, in
funzione della coltivazione della vite e della produzione del vino.
COME VENIVANO COSTRUITI?
Gli infernot venivano commissionati dal padrone di casa, solitamente come
abbellimento della cantina. Lo scavo aveva luogo durante la stagione invernale, quando i
contadini e vignaioli non erano intenti in attività agricole, e poteva richiedere due o tre
anni di lavoro svolto interamente a mano con particolari tipi di piccone a doppia punta.
CARATTERISTICHE (naturali e fisiche):
-L’infernot dell’Ecomuseo di Cella monte è piuttosto ampio (17 metri quadri) e
ovviamente è scavato sotto terra (5 metri e mezzo di profondità dal suolo);
-All'interno c'è sempre la stessa temperatura d'estate e di inverno (all'incira 12-14 gradi),
la stessa umidità (dell'80/85%) ;
-si tratta di un ambiente privo di luce e di aerazione naturale, vi si accede infatti tramite
una scala o un corridoio a “S” o a “L”;
Queste caratteristiche naturali rendono gli infernot un luogo ideale per la conservazione
del vino
- Il tavolo è una prerogativa solo degli infernot di Cella Monte: può essere di forma
rettangolare o ovale, rasato (dunque strofinato con la iuta per eliminare i segni delle
picconature) o a spacco (cioègrezzo), o ancora può essere dotato di gambe o un blocco
soltanto.
-le bottiglie di vino vengono allogiate in apposite mensole, anch’esseinteramente
scavate, o talvolta su gradoni. Visto che alcune bottiglie rappresentavano la nascita dei
figli in quando imbottigliate quello stesso anno esse venivano murate e smurate o
quando la figlia si sposavao quando il figlio andava a militare.
A QUALE EPOCA RISALGONO?
La necessità di scavare gli infernot sorge nel momento in cui avviene il passaggio dal
vino sfuso all’imbottigliamento: si aveva infatti la necessità di un luogo in cui alloggiare
e conservare il vino. A sostegno di questa tesi, nonostante vi sia poco discritto, vi sono
due ordini di ragioni:
1) per le date a noi giunte, cioè 1850-1900
2) per il libro “A zonzo per circondario di Casale Monferrato”, scritto prima del 1850,
da Giuseppe Niccolini, verificatore metrico di Casale Monferrato (ossia colui che
verifica la produzione dei vinificatori). Egli descrive in modo puntuale e minuzioso le
cantine che aveva visitato, i padronidelle stesse, i metodi di lavorazione utilizzati, la
quantità di produzione ottenuta; pare dunque strano che abbia trascurato del tutto gli
infernot.
QUANTI SONO?
Gli infernot censiti sono 47 ma questa stima è sicuramente da rivedere al rialzo dopo che
l'iscrizione a sito UNESCO ha aumentato l'interesse per questo manufatto.
PROSPETTIVE
Ad oggi possiamo dire che è il Barbera, in quanto eccellenza vinicola italiana già
conosciuta in tutto il mondo, a valorizzare e attrarre turisti in queste zone. Tuttavia la
valorizzazione del territorio non si riflette in una intuitiva valorizzazione economica:
non vi è un materiale ritorno economico per i produttori dei vini. Andrebbe infatti
sfruttata la visibilità data dall’UNESCO al territorio. Come?
ETICHETTE
Per l'utente comune non è a oggi un motivo di differenziazione sostanziale la dicitura
DOC DOP IGP ecc.... Riteniamo che aggiungere sulle etichette qualifiche ulteriori
permetterebbe al consumatore finale di poter cogliere maggiormente l'importanza di
questo vino unico al mondo. In concreto sarebbe utile far sì che anche un consumatore
poco esperto si rendesse conto, prendendo in mano la bottiglia e leggendone brevemente
l'etichetta, di cosa significhi esattamente che il Monferrato è un territorio patrimonio
dell'umanità e di come siano esattamente coltivate le vigne in modo tale da poter capire
perché il Barbera del Monferrato si distingue anche solo da altri Barbera.
IL TERRITORIO
Il vino dev'essere promosso in primis dal territorio stesso. Sarebbe auspicabile stringere
un maggior legame fra produttori e dettaglianti in modo tale da far sì che chi visita
queste terre sia stimolato a acquistare vini autoctoni. Inoltre anche la possibilità di
mappare e rendere visitabili gli Infernot dev'essere vista come una possibilità nuova di
far conoscere il prodotto finito anche ai turisti, magari organizzando piccole
degustazioni già durante la visita e sicuramente dando la possibilità a chi visita un
museo che tratta il vino di acquistare una bottiglia.
BIBLIOGRAFIA
• Progetto Monferrato anni '90, Ente Manifestazioni SPA, 1993
• La cooperazione enologica in Piemonte, Associazione Piemonte – Italia, 1966
• Italia vinicola ed agraria, Rivista mensile, 31 Agosto 1963
• Disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata:
“Barbera del Monferrato”
• Zonazione Vitivinicola della provincia di Alessandria, Camera di Commercio
Alessandria
• Ampelografia della provincia di Alessandria, Leardi e Demaria, 1873
Fotografie della presentazione scattate il 15/11/2015 in visita della cantina sociale di San
Giorgio, dell’Ecomuseo della Pietra da Cantoni – Cella Monte, cantina “La Casaccia”-
Cella Monte.

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Barbera del Monferrato testo

  • 1. Il Barbera del Monferrato Progetto a cura di Giordano G, Dastoli F, Primatesta C Università degli studi di Pavia A.A. 2015/16 INTRODUZIONE Il Barbera, o la Barbera come viene spesso viene chiamato in Piemonte, è uno dei più importanti vitigni a bacca rossa italiani diffuso praticamente in quasi tutto il Paese e presente anche oltreoceano dove risulta il vitigno italiano più coltivato. Barbera del Monferrato:
 colore: rosso rubino più o meno intenso;
 odore: vinoso, caratteristico;
 sapore: asciutto, mediamente di corpo, talvolta vivace;
 titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; per la “Barbera del Monferrato” con indicazione di “vigna” 12,00% vol;
 acidità totale minima: 4,5 g/l;
 estratto non riduttore minimo: 23,0 g/l. Il colore è rosso rubino, con riflessi violacei più o meno accentuati. Il profumo è intenso, vinoso da giovane, persistente: prevalgono la ciliegia, la prugna, le bacche scure. Al gusto risulta pieno ed armonico. Foglia di media grandezza, pentagonale, penta lobata con grappolo mediamente grande, cilindrico, alato con acino medio-grande di colore blu-nero. La forte adattabilità a terreni calcareo-argillosi e a climi siccitosi, la produzione abbondante, l’alta resa del mosto e l’abbondanza di materia colorante nella buccia molto pruinosa e di color blu intenso con una buona presenza di tannini, donano un vino corposo, fresco, fruttato, poco astringente con una vena acidula che lo rende uno dei migliori vini da cibo.
  • 2. In passato il Barbera era considerato un vino “rustico”, ma con il tempo è cresciuto nella stima del pubblico perché si è dimostrato capace di offrire, tramite appropriati processi di vinificazione, sia ottimi vini di pronta beva, sia vini di media longevità e buona struttura che resistono al tempo e confermano, dopo molti anni, i caratteri più originali di una terra e di un vitigno dal particolare prestigio. Elemento caratterizzante del prodotto finito è che la coltivazione viene svolta in vitigni autoctoni e quindi le uve che ne derivano sono contraddistinte da particolari caratteristiche derivanti dalla zona di produzione limitata e ben definita. comprende la Provincia di Asti e parte della provincia di Alessandria. Si tratta di un sistema collinare poco elevato, compreso per lo più tra i 150 e i 400 metri di altitudine, caratterizzato da clima temperato o temperato-caldo (circa 1800 gradi giorno), poco ventoso e con una piovosità annuale media intorno ai 700 millimetri. Elemento caratterizzante delle terre a vocazione ottimale delle terre per la produzione del Barbera del Barbera del Monferrato è appunto il terreno. Il suolo è per la maggior parte composto dalla cosiddetta pietra da cantoni, una roccia calcarea di origine sedimentaria. È dotata di caratteristiche uniche: con l'umidità si sgretola e diventa il terreno ideale su cui coltivare la vite: magro e ricco di sali minerali porta una crescita della vite lenta ma di alta qualità. Inoltre quando piove drena per cui non fa ristagno e non crea un eccesso di umidità, mentre nelle annate asciutte non genera crepe e questo permette al terreno di non seccare in profondità e rimanere fresco: questa caratteristica appare particolarmente adatta alla vite, pianta dalle radici profonde.
  • 3. STORIA STORIA DEL MONFERRATO La storia del vitigno è strettamente legata a quella del suo territorio, il Monferrato. Questo è il territorio che è compreso fra due fiumi: il Tanaro e il Po. Nell'antichità fu abitato dai Liguri e dai Celti e in seguito dai Romani. Nel Medioevo cadde sotto il dominio dei Longobardi e pare che in questo periodo prese il suo nome attuale anche se in una lingua mista fra latino e longobardo: veniva infatti detto mons farratus. Dal X secolo fu Marchesato pur passando sotto il controllo di varie dinastie, la sua indipendenza finì nel 1708 quando alla morte del duca Ferdinando Carlo Gonzaga di Mantova veniva assegnato ai Savoia. Da lì in poi seguì i destini del regno dei Savoia, cadendo prima sotto il dominio dei Francesi di Napoleone e in seguito entrando a far parte del Regno d'Italia. STORIA DEL VITIGNO Le origini del vitigno Barbera sono antichissime: probabilmente nato da incroci in parte anche spontanei di vitigni già esistenti, era conosciuto già dai Longobardi; la denominazione attuale gli fu attribuita da Gallesio “Vitis vinifera Montisferratensis”. In breve tempo la Barbera divenne l’uva piemontese per eccellenza e il suo vino protagonista indiscusso delle mense contadine, testimone del quotidiano vivere su tutte le colline piemontesi. Nella “Ampelografia della Provincia di Alessandria” di Leardi e Demaria, del 1873 si legge a proposito del Barbera: “È vitigno conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell'Astigiano dove è indigeno e da lunghissimo tempo coltivato”. Un punto cruciale della storia di questo vitigno arriva alla fine dell'ottocento, quando la filossera inizia a distruggere sempre più viti: i viticoltori si resero conto che era possibile far sì che il vitigno Barbera sopravvivesse innestandolo sulla radice della vite americana. Fu questo uno dei motivi per il quale il Barbera si impose come un vitigno forte e adattabile e del basso Monferrato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò il fenomeno che portò a un maggiore inurbamento della popolazione italiana: sempre più vigneti vennero progressivamente trascurati e poi abbandonati dai proprietari che si trasferivano in città. Il motivo di questa scelta era spesso dovuto alle malattie che ciclicamente colpiscono la vite. Questo fatto ha portato ad avere una netta diminuzione della produzione ma ha permesso alle aziende rimaste di investire molto nella ricerca di una migliore qualità del prodotto: non è raro trovare aziende agricole, come l'azienda agricola La Casaccia, che oggi producono meno litri di vino rispetto al passato, ma con una qualità del prodotto finito sicuramente molto maggiore. Una produzione più contenuta permette di gestire tutto il ciclo nel modo migliore possibile. Negli anni si susseguirono periodicamente malattie e infezioni che misero in difficoltà il sistema produttivo ma furono sempre superate, o utilizzando prodotti chimici migliori o studiando sistemi di innesti più resistenti. Al giorno d’oggi però questi due metodi
  • 4. sembrano non avere successo contro la flavescenza dorata, la malattia della vite che in questi anni sta distruggendo sempre più piante riducendo la produzione anche del 30% e facendo paura ai viticoltori di tutto il Monferrato. A questo proposito bisogna ricordare che la vocazione storicamente vinicola di queste terre da paradossalmente una grossa mano a questa malattia. Infatti sebbene i coltivatori provvedano ciclicamente a compiere i trattamenti necessari per contrastarla essa trova nella vite americana, che cresce nei numerosissimi boschi che un tempo erano stati vigneti, un portatore sano. Lo stesso problema non si presenta con la stessa intensità in regioni quali il tortonese che invece storicamente non presentavano una tale incidenza di vigna. Il Barbera evidenzia nei suoi caratteri la natura del suolo di provenienza e l’impronta morbida e suadente delle marne calcareo argillose che noi chiamiamo per brevità “le terre bianche”: sono le terre della pietra da cantoni, nella quale sono stati scavati a partire dalla seconda metà dell'800 gli Infernot, piccole camere sotterranee atte alla conservazione e alla degustazione dei vini.
  • 5. PRODUZIONE Il Monferrato appare votato alla viticoltura di qualità già nel XI secolo come testimoniano alcuni documenti, tuttavia la produttività ha sempre trovato un limite nella forte frammentazione della proprietà che ha reso difficile l'affermarsi di aziende forti. Assume quindi grande importanza in questo ambito la cooperazione enologica. Essa fu prospettata una prima volta nel 1877 ma si dovette attendere fino al 1891 per vederla nascere ad opera di B. Balsari che costituì ad Oleggio, vicino a Novara la prima cantina sociale. La prima realtà di questo tipo nel Monferrato sorse nel 1908 a San Salvatore Monferrato. Nonostante le iniziali perplessità e resistenze da parte dei viticoltori il modello della cantina sociale si affermò e portò nel tempo molti piccoli produttori a non vendere più la propria uva a commercianti o privati che vinificavano autonomamente ma appunto a queste organizzazioni. La possibilità di unirsi in cantine sociali portò i viticoltori a poter impegnare somme crescenti nell'ammodernamento delle strutture produttive. Questo portò prima a una timida meccanizzazione del ciclo produttivo, a partire dai torchi, che proseguì interrottamente fino a oggi. Oggi di fatto tutto il ciclo avviene in modo automatico e meccanizzato grazie a grandi impianti che assicurano una velocità e una precisione nell'esecuzione delle lavorazioni prima sconosciuta. Riassumiamo in breve i passaggi che portano l'uva a diventare vino in un raffronto fra passato e presente (tecniche produttive ricavate dalla cantina sociale di San Giorgio): - un tempo la spremitura delle uve, trasportate da piccoli carri, avveniva a mano o con l'ausilio di utensili manuali, successivamente vennero introdotti prima i torchi lignei e poi negli anni del secondo dopo guerra le vasche di cemento dove l’uva veniva facilmente “pigiata”; oggi i camion scaricano l’uva nelle vasche d'acciaio dove attraverso una coclea si provvede a separare gli acini dai graspi e contemporaneamente a spremerli. - attraverso una conduttura il mosto giunge in grandi cisterne di cemento vetrificato nel quale riposa per un periodo di giorni che varia da annata ad annata in base al grado alcolico presente nell’uva; questo processo negli anni ha subito principalmente due variazioni:  la meccanizzazione del processo di trasporto del mosto (che non avviene più manualmente);  innovazione dei “contenitori”, ovvero si è passati dalle botti alle cisterne/ vasche di contenimento - il vino veniva un tempo filtrato da particolari filtri di stoffa che trattenevano le
  • 6. impurità e permettevano il gocciolamento del fluido ripulito; oggi invece si provvede al filtraggio automatico del vino con particolari filtri i quali nel periodo in cui il vino riposa nelle cisterne, lavorano ininterrottamente in modo da depurarlo dalla cosiddetta “feccia”, ovvero lo scarto/ le impurità del vino dalle quali, se distillate si ricava la grappa. - una volta che il vino è pronto a essere imbottigliato una linea automatica svolge questo procedimento; l'imbottigliamento appare relativamente di recente nella storia della viticoltura: si stima infatti che sia stato introdotto nella seconda metà dell'800. Il pur importante apporto della tecnologia nella vinificazione ha portato a perdere una certa parte della tradizione produttiva che in passato era caratteristica distintiva di eccellenza. In particolar modo si è persa nel tempo l’idea che il vino del Monferrato (il Barbera, ma soprattutto il Grignolino) fosse un vino da invecchiamento. Consci della perdita subita i viticoltori più attenti stanno oggi cercando di recuperare queste tradizioni: è in fase sperimentale la produzione del Grignolino (vino cugino del Barbera) seguendo i processi produttivi e le tecniche di lavorazione usate in passato. Il Grignolino era un vino tradizionalmente destinato alle tavole dei regnanti e dei loro più illustri ospiti; con il passare del tempo divenne invece un vino giovane, destinato a un consumo più commerciale. Questa tendenza è stata confermata tutt’oggi dai consumatori che ritengono il Grignolino un vino da consumarsi giovane, talora addirittura di pochi mesi al punto tale che se non dell'annata viene ritenuto del tutto privo di un valore commerciale. Oggi si sta appunto recuperando la tradizione di produrre un Grignolino destinato all'invecchiamento (e per questa ragione non fruibile da giovane) e i primi risultati della critica sembrano essere molto positivi, incoraggiando anche altri vinificatori a testare procedimenti simili (tuttora in fase sperimentale) anche per quanto riguarda la Barbera.
  • 7. VALORIZZAZIONE Visto come si produceil vino vediamo ora quali sono i principali metodi per valorizzare il prodotto finito. COLTIVAZIONE BIOLOGICA Scopo principale della coltivazione biologica è ottenere un vino di qualità migliore rispettando al tempo stesso la natura: infatti i metodi odierni di produzione di tipo industriale mettono a rischio non solo la qualità ma talora anche la fertilità stessadei suoli. questo è dovuto al massiccio utilizzo di prodottichimici. La coltivazione biologica peraltro non rifiuta le conquiste della scienza ma si proponedi farne un uso più responsabile. Questo avviene nei seguenti modi: - non si fa utilizzo di prodottichimici ma si preferisce impiegare rame zolfo e anche ormoni per i trattamenti fitosanitari con particolare attenzione all'equilibrio della pianta e del terreno; -La tecnica più diffusa nel biologico è quella dell'inerbimento che viene adattato alle diverse condizioni climatiche, alle esigenze vegetative e produttive della vite. L'inerbimento consiste nel rivestimento del terreno occupato dal vigneto con una copertura erbacea la cui crescita viene controllata per mezzo di trinciature o sfalci lasciando in situ la biomassa. L’inerbimento potrà essere, quindi, naturale o artificiale; presente per tutto l’anno (permanente) o per un periodo limitato (temporaneo); può interessare l’intera superficie dell’impianto (inerbimento totale) o soltanto una parte (inerbimento parziale). Si contrapponeal metodo invece più diffuso del procedere periodicamente a arare e lavorare la terra mantenendola quindi priva di vegetazione; - Si cura anche la scelta varietale ossia la ricerca del vitigno più adatto al luogo in funzione delle caratteristiche di clima e terreno e della capacità di mediazione tra terreno ed epibionte (specie viventi sui vegetali) offerta dal portinnesto. Ulteriori regole riguardano la vinificazione. Questi i dettami principali della coltivazione biologica che si sta diffondendo. Un ulteriore passo in questo senso è rappresentato dalla coltivazione biodinamica. Questo tipo di agricoltura fu prospettato per la prima volta da filosofo Rudolf Steiner. Egli riteneva che elementi della sua dottrina filosofica si potessero applicare con successo anche alla coltivazione.
  • 8. Si ritiene che i movimenti di pianeti e stelle abbiano un influsso rilevante sullo sviluppo e sulla vita di piante uomini e animali. Non si può quindi procederealle varie fasi agricole quando si preferisce ma bisogna osservare precisi calendari. Al posto di preparati chimici industriali compaiono preparati dinamizzati cioè creati seguendo procedimenti che ricordano riti magici. Ad esempio per fertilizzare la terra si utilizza sì il letame, ma esso subisce una serie di trattamenti volti a catturare l'energia cosmica. E' evidente come questi sistemi siano poco diffusi perchè devono essere supportatidalla convinzione di chi li applica che funzionino. UNESCO E INFERNOT Se due secoli or sono all'incirca la cultura poteva essere unanimemente identificata principalmente nelle grandi opere d'arte, oggi invece definiamo il patrimonio come l'insieme delle vite e degli stili di vita delle comunità umane. Per entrare a far parte della "Lista dell'UNESCO", ogni bene, sia esso culturale o naturale, deve possedere almeno uno dei 10 standard di selezione. Tali criteri non sono immutabili, ma vengono regolarmente rivisti e aggiornati dal Comitato. Uno degli standard enuncia che "i siti devono rappresentare un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale o di utilizzo tradizionale del territorio o del mare che sia rappresentativo di una o più culture, oppure dell'interazione umana con l'ambiente". Ed è appunto in questo ambito che si colloca la candidatura del Paesaggio vitivinicolo delle Langhe, del Roero e del Monferrato. L'iter di candidatura è stato molto lungo: è durato dal 2004 al 2014. La prima candidatura era stata presentata congiuntamente da Monferrato Langhe-Roero per il paesaggio vitivinicolo tuttavia il Monferrato non presenta le stesse caratteristiche delle Langhe-Roero, dove il paesaggio vitivinicolo costituisce quasi il 90% del territorio. Dopo la bocciatura nel 2011 a San Pietroburgo, la candidatura è stata formulata in maniera diversa: il Monferrato per gli infernot e Langhe-Roero per il paesaggio vitivinicolo. Assume in questo ambito rilevante importanza l'ecomuseo che è il museo del territorio. ECOMUSEO Il termine Ecomuseo è stato coniato da Hugues de Varine nel 1971. Con questo neologismo egli voleva riferirsi a “un qualcosa che rappresenta ciò che un territorio è, e
  • 9. ciò che sono i suoi abitanti, a partire dalla cultura viva delle persone, dal loro ambiente, da ciò che hanno ereditato dal passato, da quello che amano e desiderano mostrare ai loro ospiti e trasmettere ai loro figli." Per approfondire la nostra ricerca abbiamo visitato l'ecomuseo di Cella Monte (AL) e la tenuta La Casaccia: La sede è stata donata dalla diocesi di Casale al comune di Cella Monte con lo scopo di farne la sede dell'Ecomuseo della Pietra da Cantoni. Il palazzo sicuramente nobiliare, con il trascorrere dei secoli e con il cambio di destinazione d’uso ha subito molte modifiche. Sono dunque intervenute le belle arti con una serie di lavori di finitura e di sistemazione degli spazi di pertinenza e con interventi volti al consolidamento strutturale INFERNOT: COSA SONO E A COSA SERVONO? Gli infernot sono una singolare tipologia di manufatto architettonico scavati in una formazione geologica presente solo nel Basso Monferrato, la cosiddetta Pietra da cantoni, erano utilizzati per la conservazione delle bottiglie e rappresentano vere e proprie opere d’arte legate al saper fare. Si tratta di un’appendice della cantina ubicata comunemente sotto le case, i cortili e talvolta le strade delle colline del Monferrato. L’Eccezionale Valore Universale proposto per questo sito è rappresentato dalla radicata cultura del vino e dallo straordinario paesaggio modellato dal lavoro dell’uomo, in funzione della coltivazione della vite e della produzione del vino. COME VENIVANO COSTRUITI? Gli infernot venivano commissionati dal padrone di casa, solitamente come abbellimento della cantina. Lo scavo aveva luogo durante la stagione invernale, quando i contadini e vignaioli non erano intenti in attività agricole, e poteva richiedere due o tre anni di lavoro svolto interamente a mano con particolari tipi di piccone a doppia punta. CARATTERISTICHE (naturali e fisiche): -L’infernot dell’Ecomuseo di Cella monte è piuttosto ampio (17 metri quadri) e ovviamente è scavato sotto terra (5 metri e mezzo di profondità dal suolo); -All'interno c'è sempre la stessa temperatura d'estate e di inverno (all'incira 12-14 gradi), la stessa umidità (dell'80/85%) ; -si tratta di un ambiente privo di luce e di aerazione naturale, vi si accede infatti tramite una scala o un corridoio a “S” o a “L”;
  • 10. Queste caratteristiche naturali rendono gli infernot un luogo ideale per la conservazione del vino - Il tavolo è una prerogativa solo degli infernot di Cella Monte: può essere di forma rettangolare o ovale, rasato (dunque strofinato con la iuta per eliminare i segni delle picconature) o a spacco (cioègrezzo), o ancora può essere dotato di gambe o un blocco soltanto. -le bottiglie di vino vengono allogiate in apposite mensole, anch’esseinteramente scavate, o talvolta su gradoni. Visto che alcune bottiglie rappresentavano la nascita dei figli in quando imbottigliate quello stesso anno esse venivano murate e smurate o quando la figlia si sposavao quando il figlio andava a militare. A QUALE EPOCA RISALGONO? La necessità di scavare gli infernot sorge nel momento in cui avviene il passaggio dal vino sfuso all’imbottigliamento: si aveva infatti la necessità di un luogo in cui alloggiare e conservare il vino. A sostegno di questa tesi, nonostante vi sia poco discritto, vi sono due ordini di ragioni: 1) per le date a noi giunte, cioè 1850-1900 2) per il libro “A zonzo per circondario di Casale Monferrato”, scritto prima del 1850, da Giuseppe Niccolini, verificatore metrico di Casale Monferrato (ossia colui che verifica la produzione dei vinificatori). Egli descrive in modo puntuale e minuzioso le cantine che aveva visitato, i padronidelle stesse, i metodi di lavorazione utilizzati, la quantità di produzione ottenuta; pare dunque strano che abbia trascurato del tutto gli infernot. QUANTI SONO? Gli infernot censiti sono 47 ma questa stima è sicuramente da rivedere al rialzo dopo che l'iscrizione a sito UNESCO ha aumentato l'interesse per questo manufatto.
  • 11. PROSPETTIVE Ad oggi possiamo dire che è il Barbera, in quanto eccellenza vinicola italiana già conosciuta in tutto il mondo, a valorizzare e attrarre turisti in queste zone. Tuttavia la valorizzazione del territorio non si riflette in una intuitiva valorizzazione economica: non vi è un materiale ritorno economico per i produttori dei vini. Andrebbe infatti sfruttata la visibilità data dall’UNESCO al territorio. Come? ETICHETTE Per l'utente comune non è a oggi un motivo di differenziazione sostanziale la dicitura DOC DOP IGP ecc.... Riteniamo che aggiungere sulle etichette qualifiche ulteriori permetterebbe al consumatore finale di poter cogliere maggiormente l'importanza di questo vino unico al mondo. In concreto sarebbe utile far sì che anche un consumatore poco esperto si rendesse conto, prendendo in mano la bottiglia e leggendone brevemente l'etichetta, di cosa significhi esattamente che il Monferrato è un territorio patrimonio dell'umanità e di come siano esattamente coltivate le vigne in modo tale da poter capire perché il Barbera del Monferrato si distingue anche solo da altri Barbera. IL TERRITORIO Il vino dev'essere promosso in primis dal territorio stesso. Sarebbe auspicabile stringere un maggior legame fra produttori e dettaglianti in modo tale da far sì che chi visita queste terre sia stimolato a acquistare vini autoctoni. Inoltre anche la possibilità di mappare e rendere visitabili gli Infernot dev'essere vista come una possibilità nuova di far conoscere il prodotto finito anche ai turisti, magari organizzando piccole degustazioni già durante la visita e sicuramente dando la possibilità a chi visita un museo che tratta il vino di acquistare una bottiglia.
  • 12. BIBLIOGRAFIA • Progetto Monferrato anni '90, Ente Manifestazioni SPA, 1993 • La cooperazione enologica in Piemonte, Associazione Piemonte – Italia, 1966 • Italia vinicola ed agraria, Rivista mensile, 31 Agosto 1963 • Disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata: “Barbera del Monferrato” • Zonazione Vitivinicola della provincia di Alessandria, Camera di Commercio Alessandria • Ampelografia della provincia di Alessandria, Leardi e Demaria, 1873 Fotografie della presentazione scattate il 15/11/2015 in visita della cantina sociale di San Giorgio, dell’Ecomuseo della Pietra da Cantoni – Cella Monte, cantina “La Casaccia”- Cella Monte.