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Sostanza e Soggetto

  Il nuovo ambito tematico
    della soggettività nella
      filosofia Moderna
INTRODUZIONE
Ousia: essenza delle cose che non muta al mutare
degli accidenti.
In latino sostanza: ciò che sta sotto, ciò che
sorregge (hypokéimenon): dunque il soggetto, cioè
il quid ch resta immutato e immutabile al variare
delle sue determinazioni; tutto diviene e muta, in un
perenne movimento, ma il soggetto resta in sé fermo
e stabile. Soggetto in due sensi:
Sostrato di certe determinazioni, il ciò di cui si parla
(ruolo grammaticale).
Ciò che sorregge gli atti attraverso cui gli oggetti ci
sono dati: fondamento della costituzione dell’oggetto.
Il soggetto è riferimento per se stesso (modernità).
CARTESIO * 1596-1650
Cartesio vuole rifondare l’intero edificio del sapere
tradizionale ormai superato. La conoscenza per
essere valida non deve solamente “funzionare”
(metodo matematico), ma deve essere anche
giustificata: si deve trovare il suo fondamento, la
sua giustificazione ultima.
Dunque la domanda è: qual è il soggetto della
conoscenza?
Conosciamo       il   dubbio   metodico:     partendo
innanzitutto dai sensi considerati ingannevoli. Essi ci
danno le cose come reali, certe nella loro esistenza,
eppure così accade anche nei sogni in cui viviamo
tutto come se fosse reale.
Le conoscenze matematiche invece sono
indubitabili perché del tutto indipendenti dalla
sensibilità. Eppure un genio maligno potrebbe
ingannarci, illudendoci: è lo scetticismo che sembra
radicale del dubbio iperbolico. Tutto appare
naufragare nel dubbio.
Eppure in esso qualcosa rimane saldo: non posso
dubitare di dubitare! Dubito e dunque esisto, non
può essere altrimenti: questa à una verità certa,
indubitabile, intuitiva e immediata, di carattere
“soggettivo” nel senso di un’esperienza a tutti
accessibile poiché riguarda ogni soggetto che pensi:
è certa in maniera assolutamente e universalmente
immediata.
Ma cosa è ciò che esiste? Qui si definisce la nozione
di soggetto dell’intera modernità.
Il dubbio iperbolico ha spazzato via ogni certezza
riguardo la natura dell’uomo, il mio esistere come
pensiero è l’unica certezza: sono allora una cosa
che pensa, il pensiero è l’unico attributo che mi
appartiene in modo indubitabile: res cogitans.
L’uomo è pensiero, spirito, non corpo: una cosa
definita innanzitutto da funzioni puramente
intellettuali, da atti che sono diverse forme di
pensiero. La conoscenza è fondata nel soggetto, non
nell’oggetto: non sarebbe possibile senza l’esistenza
del soggetto.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag. 101)
HOBBES * 1588-1679
Obietta a Cartesio che il “pensare” (atto) non può
trasformarsi in soggetto (io sono pensiero): questa è
sostanzializzazione di un atto, cioè l’identificazione
del soggetto con l’atto che compie.
Cartesio risponde che “pensiero” significa: la faoltà,
l’atto e il soggetto che pensa.
Per Cartesio la realtà spirituale precede ogni altre
realtà (esiste la sostanza spirituale, res cogitans),
per Hobbes tutto ciò che esiste è corpo: dunque
nega l’esistenza della sostanza spirituale.
LOCKE * 1632-1704
Nega che si possa conoscere cosa sia la sostanza.
Tutta la nostra conoscenza deriva dall’esperienza,
dai sensi, che forniscono idee semplici dati primitivi
sui corpi. (vedi testo di filosofia, storia, testo 4, pag. 198)
Successivamente il nostro intelletto, usando le idee
semplici, forgia le idee complesse aggregati di idee
semplici: la sostanza è un’idea complessa.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag. 199)
Siamo noi, e il nostro linguaggio, a credere che ci
debba essere un soggetto (sostanza in generale)
che sia il riferimento metafisico delle determinazioni:
da ciò derivano poi le idee di sostanze particolari
(oggetti esterni – idee di sensazione).
La stessa cosa accade anche nella nostra
dimensione interiore (idee di riflessione) in cui
emergono i nostri atti. Componendo queste idee
semplici formiamo l’idea di una sostanza spirituale
(l’io) loro soggetto.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 6-7, pag. 200 e 201)
L’idea di sostanza ha una sua innegabile utilità
pratica, contesta invece che si trasformi questa
idea complessa in idea semplice come se avesse
una corrispondenza nell’esperienza. La sostanza
non può essere esperita, non viene dall’esperienza e
dunque non può essere conosciuta. Contesta la
sostanza corporea di Hobbes e la sostanza spirituale
di Cartesio.
HUME * 1711-1776
Secondo l’autore la costanza dell’esperienza è solo
frutto della nostra abitudine. Nella realtà non vi è
nulla di costante, nulla di necessariamente
connesso, che non dipenda dalla nostra percezione.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 10, pag. 226)
L’idea di sostanza non ha alcun corrispondente nella
realtà dell’esperienza sensibile: non c’è alcuna
sensazione della sostanza spirituale, dell’io (identità
personale), ci sono solo sensazioni, variabili e
incostanti. L’anima, l’io spirituale è una finzione: noi
siamo solo un fascio di percezioni. Dunque viene
spazzata via la pretesa di fondazione soggettivistica
della conoscenza voluta da Cartesio.
Dal Trattato
Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni
che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo
flusso e movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro
orbite senza variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è
ancora più variabile della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà
contribuiscono a questo cambiamento; né esiste forse un solo
potere dell'anima che resti identico, senza alterazione, un
momento. La mente è una specie di teatro, dove le diverse
percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano,
scivolano e si mescolano con un'infinita varietà di atteggiamenti e
di situazioni. Né c'è, propriamente, in essa nessuna semplicità in
un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque sia
l'inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella
semplicità e identità. E non si fraintenda il paragone del teatro: a
costituire la mente non c'è altro che le percezioni successive: noi
non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene
vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta.
La pretesa di assolutezza e certezza dell’esistenza
dell’io (cogito ergo sum) si riduce a fasci di
impressioni.
Siamo in pieno antidogmatismo scettico: il dubbio
è l’unico esercizio ragionevole per il filosofo. Eppure
ancora una volta l’indagine filosofica non può non
partire dall’indagine sull’uomo (modernità).
Infatti egli voleva costruire una scienza della
natura umana su base sperimentale, voleva
essere il Newton della natura umana, offrendo
un’analisi sistematica delle dimensioni che
costituiscono l’uomo. I punti di partenza sono
empiristici e antimetafisici.
Le percezioni della mente sono di due tipologie:
Impressioni: percezioni immediate in tutta la loro
forza e vivacità originaria (sensazioni, passioni ed
emozioni nel momento in cui avvengono).
Idee: immagini e ricordi sbiaditi senza la forza delle
impressioni        (nella       memoria).      Derivano
necessariamente dalle prime e non esisterebbero
senza queste.
L’uomo può comporre, anche in modi fantasiosi,
le idee, ma non conoscerà mai nulla in più di ciò
che gli deriva dalle impressioni.
Non esistono idee astratte (universali), ma solo idee
semplici (individuali) anche se usate come segni per
indicare tutte le simili grazie all’abitudine.
La facoltà di stabilire relazioni tra le idee è
l’immaginazione che non opera liberamente ma
attraverso una dolce forza (vedi forza di gravità) che
è il principio di associazione (attrazione) secondo
tre criteri:
Somiglianza
Contiguità spazio temporale
Causalità
Tale associazione spiega l’esistenza delle idee di
spazio, tempo, causa, effetto, sostanza, che sono
ritenute oggettive e consistenti. In realtà non hanno
impressioni corrispondenti, ma sono frutto della
nostra abitudine.
Spazio e tempo sono nostri modi di sentire le
impressioni. Di come esse si dispongono dinnanzi
allo spirito, ma non sono impressioni essi stessi.
Ci sono proposizioni che concernono:
Relazioni tra idee (matematica), basate sul principio
di non contraddizione, indipendenti dall’esperienza,
che hanno in se stesse la propria validità.
Dati di fatto, fondate sull’esperienza, in cui contrario
è sempre possibile, fondate sulla relazione causa-
effetto che può essere conosciuta solo con
l’esperienza (induzione), mai a priori (con il solo
ragionamento). Ma causa ed effetto sono due
concetti diversi, nessuno dei due richiama in sé
l’altro: la loro connessione è arbitraria.
La connessione tra la causa e l’effetto avviene
nell’esperienza, grazie ad essa; che però non
garantisce che ciò avverrà sempre e comunque nel
futuro: nessuna connessione garantisce alcuna
previsione, in nessun ragionamento.
L’unica cosa certa è che da cause che ci
appaiono simili ci aspettiamo effetti simili.
Questa è un’attesa non giustificata dall’esperienza
o nell’esperienza: il legame causa-effetto non è
oggettivamente valido anche se l’uomo lo crede e vi
fonda la sua vita. La necessità del legame non è
nella realtà, ma nella natura umana soggettiva: esso
è frutto dell’abitudine come disposizione dell’animo e
spiega la congiunzione dei fatti, non necessaria.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 10, pag. 226)
L’abitudine, come l’istinto, è guida infallibile nella
vita pratica, ma non è un principio di giustificazione
razionale e filosofico.
Essa ci permette la vita quotidiana, ci assicura
soggettivamente circa la necessità degli eventi
dell’esperienza, ma non garantisce ne può farlo la
connessione necessaria e oggettiva tra i fatti.
Il rapporto causale allora non è giustificabile a
priori (legane tra concetti) e         a posteriori
(l’esperienza è retta dall’abitudine):          è una
necessità soggettiva data dalla abitudine.
Il mondo esterno
Dunque ogni credenza (sentimento) in realtà o fatti
è frutto dell’abitudine e non della ragione: manca la
necessità razionale della conoscenza scientifica e
resta solo la probabilità.
Gli uomini credono abitualmente nell’esistenza di un
mondo esterno intesa come credenza nella
persistenza continua delle cose e nell’esistenza
esterna delle cose stesse poiché le impressioni si
presentano spesso unite in modo costante e
coerente: essi credono in una sostanza esterna. Ma
la riflessione filosofica ci insegna che noi abbiamo
solo percezioni interrotte e discontinue: sono
immagini della nostra mente che noi conosciamo
attraverso i sensi, nostre modificazioni.
Noi conosciamo le nostre percezioni, una realtà
esterna non è raggiungibile né attraverso le nostre
impressioni né attraverso la causalità: dunque è
ingiustificabile, anche se l’abitudine (istinto) a
credere nella sua esistenza è ineliminabile. Il
dubbio filosofico non può impedire alla vita
quotidiana un tale atteggiamento.
Il nostro “io”
Anche la sua presunta unità e identità si risolve in un
fascio di impressioni dominate dalla credenza e
dall’abitudine. Il sentimento comincia a far capolino
nella filosofia occidentale.
SPINOZA * 1632-1677
La sua opera filosofica più importante è Ethica
ordine geometrico demonstrata, una sorta di
enciclopedia delle scienza filosofiche, svolta con un
metodo di ragionamento e di esposizione
rigorosamente geometrico.
Secondo gli studiosi l’autore adottò tale metodo
perché influenzato dalla moda matematizzante
dell’epoca (sapere rigoroso), per ammirazione verso
la matematica (precisione e sinteticità espositiva),
per imitare la struttura necessaria del reale (tutto è
legato e deducibile).
Centrale nella sua riflessione è il concetto di
sostanza.
Antichità e medioevo: la sostanza è quid, forma,
essenza necessaria, sinolo (individuo).

Cartesio: essa è Dio, causa sui, ma anche res
cogitans (il pensiero) e res extensa (l’estensione).

Spinoza la definisce invece come ciò che è in sé e
per sé si concepisce, cioè è autosufficiente e
autosussistente nell’essere (causa sui) e non
abbisogna di nessun altro concetto per essere
pensata.
Dunque è antonoma ontologicamente e
gnoseologicamente.
È increata, eterna, infinita, unica, indivisibile: è
Dio o l’Assoluto. Se essa è unica allora non è fuori
dal mondo, ma nel mondo, anzi costituisce con esso
un’unica realtà globale che è la Natura (Deus sive
Natura).
La sostanza ha poi delle qualità essenziali che
sono i suoi attributi infiniti (noi conosciamo solo
pensiero ed estensione !?), e delle affezioni-
                               !?
specificazioni che sono i suoi modi (infiniti –
proprietà     strutturali     degli    attributi    come
movimento,quiete, intelletto e volontà, il mondo
come totalità – e finiti – singoli corpi o menti !?).
La Natura è una realtà infinita ed eterna, che si
manifesta in un’infinità di dimensioni (attributi) e che
si concretizza in un’infinità di maniere d’essere
(modi). La Natura naturante (causa) e la Natura
naturata (effetti) sono sempre e panteisticamente
l’unica Natura madre e figlia, attività produttrice e
immanente. (vedi testo di filosofia, storia, pagg. 128-129)
Ogni cosa è in Dio e non è che Dio.
A differenza di Hume che riteneva la sostanza una
pura finzione e che sviluppava un atteggiamento
scettico, Spinoza ritiene la conoscenza razionale
l’unico modello di ogni conoscenza e il soggetto è
riassorbito nell’unica sostanza.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 9, pag. 144)
LEIBNIZ * 1646-1716
Rendere ragion del movimento senza rinunciare al
concetto di sostanza come sostrato immutabile.
Il movimento si spiega con una pluralità di sostanza
che sono forza, non mera estensione: esse sono
attive, dinamiche. Sono le monadi, sostanze
semplici, punti dotati di energia. I corpi sono
composti di tali sostanze semplici. Sono “atomi
spirituali”, indistruttibili, create da Dio. I corpi invece
si originano o periscono per composizione e
decomposizione. La monade è principio del proprio
movimento, dunque nessuna trasformazione le può
sopravvenire dall’esterno.
(vedi testo di filosofia, storia, testo 13 e 14, pag. 164-166)
È una visione fortemente dinamica dell’universo.
Le monadi sono infinitesimi l’uno diverso dall’altro
e la loro diversità è qualitativa: principio di identità
degli indiscernibili. Esse sono qualitativamente
diverse, quantitativamente omogenee, cioè sostanze
individuali.
Di esse si può avere una nozione completa solo se
se ne conoscono tute le determinazioni essenziali
ma anche accidentali. Ogni monade è collegata con
l’intero universo, anzi è uno specchio vivente
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2 sostanza e soggetto fino a kant percorso

  • 1. Sostanza e Soggetto Il nuovo ambito tematico della soggettività nella filosofia Moderna
  • 2. INTRODUZIONE Ousia: essenza delle cose che non muta al mutare degli accidenti. In latino sostanza: ciò che sta sotto, ciò che sorregge (hypokéimenon): dunque il soggetto, cioè il quid ch resta immutato e immutabile al variare delle sue determinazioni; tutto diviene e muta, in un perenne movimento, ma il soggetto resta in sé fermo e stabile. Soggetto in due sensi: Sostrato di certe determinazioni, il ciò di cui si parla (ruolo grammaticale). Ciò che sorregge gli atti attraverso cui gli oggetti ci sono dati: fondamento della costituzione dell’oggetto. Il soggetto è riferimento per se stesso (modernità).
  • 3. CARTESIO * 1596-1650 Cartesio vuole rifondare l’intero edificio del sapere tradizionale ormai superato. La conoscenza per essere valida non deve solamente “funzionare” (metodo matematico), ma deve essere anche giustificata: si deve trovare il suo fondamento, la sua giustificazione ultima. Dunque la domanda è: qual è il soggetto della conoscenza? Conosciamo il dubbio metodico: partendo innanzitutto dai sensi considerati ingannevoli. Essi ci danno le cose come reali, certe nella loro esistenza, eppure così accade anche nei sogni in cui viviamo tutto come se fosse reale.
  • 4. Le conoscenze matematiche invece sono indubitabili perché del tutto indipendenti dalla sensibilità. Eppure un genio maligno potrebbe ingannarci, illudendoci: è lo scetticismo che sembra radicale del dubbio iperbolico. Tutto appare naufragare nel dubbio. Eppure in esso qualcosa rimane saldo: non posso dubitare di dubitare! Dubito e dunque esisto, non può essere altrimenti: questa à una verità certa, indubitabile, intuitiva e immediata, di carattere “soggettivo” nel senso di un’esperienza a tutti accessibile poiché riguarda ogni soggetto che pensi: è certa in maniera assolutamente e universalmente immediata.
  • 5. Ma cosa è ciò che esiste? Qui si definisce la nozione di soggetto dell’intera modernità. Il dubbio iperbolico ha spazzato via ogni certezza riguardo la natura dell’uomo, il mio esistere come pensiero è l’unica certezza: sono allora una cosa che pensa, il pensiero è l’unico attributo che mi appartiene in modo indubitabile: res cogitans. L’uomo è pensiero, spirito, non corpo: una cosa definita innanzitutto da funzioni puramente intellettuali, da atti che sono diverse forme di pensiero. La conoscenza è fondata nel soggetto, non nell’oggetto: non sarebbe possibile senza l’esistenza del soggetto. (vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag. 101)
  • 6. HOBBES * 1588-1679 Obietta a Cartesio che il “pensare” (atto) non può trasformarsi in soggetto (io sono pensiero): questa è sostanzializzazione di un atto, cioè l’identificazione del soggetto con l’atto che compie. Cartesio risponde che “pensiero” significa: la faoltà, l’atto e il soggetto che pensa. Per Cartesio la realtà spirituale precede ogni altre realtà (esiste la sostanza spirituale, res cogitans), per Hobbes tutto ciò che esiste è corpo: dunque nega l’esistenza della sostanza spirituale.
  • 7. LOCKE * 1632-1704 Nega che si possa conoscere cosa sia la sostanza. Tutta la nostra conoscenza deriva dall’esperienza, dai sensi, che forniscono idee semplici dati primitivi sui corpi. (vedi testo di filosofia, storia, testo 4, pag. 198) Successivamente il nostro intelletto, usando le idee semplici, forgia le idee complesse aggregati di idee semplici: la sostanza è un’idea complessa. (vedi testo di filosofia, storia, testo 5, pag. 199) Siamo noi, e il nostro linguaggio, a credere che ci debba essere un soggetto (sostanza in generale) che sia il riferimento metafisico delle determinazioni: da ciò derivano poi le idee di sostanze particolari (oggetti esterni – idee di sensazione).
  • 8. La stessa cosa accade anche nella nostra dimensione interiore (idee di riflessione) in cui emergono i nostri atti. Componendo queste idee semplici formiamo l’idea di una sostanza spirituale (l’io) loro soggetto. (vedi testo di filosofia, storia, testo 6-7, pag. 200 e 201) L’idea di sostanza ha una sua innegabile utilità pratica, contesta invece che si trasformi questa idea complessa in idea semplice come se avesse una corrispondenza nell’esperienza. La sostanza non può essere esperita, non viene dall’esperienza e dunque non può essere conosciuta. Contesta la sostanza corporea di Hobbes e la sostanza spirituale di Cartesio.
  • 9. HUME * 1711-1776 Secondo l’autore la costanza dell’esperienza è solo frutto della nostra abitudine. Nella realtà non vi è nulla di costante, nulla di necessariamente connesso, che non dipenda dalla nostra percezione. (vedi testo di filosofia, storia, testo 10, pag. 226) L’idea di sostanza non ha alcun corrispondente nella realtà dell’esperienza sensibile: non c’è alcuna sensazione della sostanza spirituale, dell’io (identità personale), ci sono solo sensazioni, variabili e incostanti. L’anima, l’io spirituale è una finzione: noi siamo solo un fascio di percezioni. Dunque viene spazzata via la pretesa di fondazione soggettivistica della conoscenza voluta da Cartesio.
  • 10. Dal Trattato Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro orbite senza variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è ancora più variabile della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà contribuiscono a questo cambiamento; né esiste forse un solo potere dell'anima che resti identico, senza alterazione, un momento. La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un'infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. Né c'è, propriamente, in essa nessuna semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque sia l'inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella semplicità e identità. E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c'è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta.
  • 11. La pretesa di assolutezza e certezza dell’esistenza dell’io (cogito ergo sum) si riduce a fasci di impressioni. Siamo in pieno antidogmatismo scettico: il dubbio è l’unico esercizio ragionevole per il filosofo. Eppure ancora una volta l’indagine filosofica non può non partire dall’indagine sull’uomo (modernità). Infatti egli voleva costruire una scienza della natura umana su base sperimentale, voleva essere il Newton della natura umana, offrendo un’analisi sistematica delle dimensioni che costituiscono l’uomo. I punti di partenza sono empiristici e antimetafisici.
  • 12. Le percezioni della mente sono di due tipologie: Impressioni: percezioni immediate in tutta la loro forza e vivacità originaria (sensazioni, passioni ed emozioni nel momento in cui avvengono). Idee: immagini e ricordi sbiaditi senza la forza delle impressioni (nella memoria). Derivano necessariamente dalle prime e non esisterebbero senza queste. L’uomo può comporre, anche in modi fantasiosi, le idee, ma non conoscerà mai nulla in più di ciò che gli deriva dalle impressioni. Non esistono idee astratte (universali), ma solo idee semplici (individuali) anche se usate come segni per indicare tutte le simili grazie all’abitudine.
  • 13. La facoltà di stabilire relazioni tra le idee è l’immaginazione che non opera liberamente ma attraverso una dolce forza (vedi forza di gravità) che è il principio di associazione (attrazione) secondo tre criteri: Somiglianza Contiguità spazio temporale Causalità Tale associazione spiega l’esistenza delle idee di spazio, tempo, causa, effetto, sostanza, che sono ritenute oggettive e consistenti. In realtà non hanno impressioni corrispondenti, ma sono frutto della nostra abitudine.
  • 14. Spazio e tempo sono nostri modi di sentire le impressioni. Di come esse si dispongono dinnanzi allo spirito, ma non sono impressioni essi stessi. Ci sono proposizioni che concernono: Relazioni tra idee (matematica), basate sul principio di non contraddizione, indipendenti dall’esperienza, che hanno in se stesse la propria validità. Dati di fatto, fondate sull’esperienza, in cui contrario è sempre possibile, fondate sulla relazione causa- effetto che può essere conosciuta solo con l’esperienza (induzione), mai a priori (con il solo ragionamento). Ma causa ed effetto sono due concetti diversi, nessuno dei due richiama in sé l’altro: la loro connessione è arbitraria.
  • 15. La connessione tra la causa e l’effetto avviene nell’esperienza, grazie ad essa; che però non garantisce che ciò avverrà sempre e comunque nel futuro: nessuna connessione garantisce alcuna previsione, in nessun ragionamento. L’unica cosa certa è che da cause che ci appaiono simili ci aspettiamo effetti simili. Questa è un’attesa non giustificata dall’esperienza o nell’esperienza: il legame causa-effetto non è oggettivamente valido anche se l’uomo lo crede e vi fonda la sua vita. La necessità del legame non è nella realtà, ma nella natura umana soggettiva: esso è frutto dell’abitudine come disposizione dell’animo e spiega la congiunzione dei fatti, non necessaria.
  • 16. (vedi testo di filosofia, storia, testo 10, pag. 226) L’abitudine, come l’istinto, è guida infallibile nella vita pratica, ma non è un principio di giustificazione razionale e filosofico. Essa ci permette la vita quotidiana, ci assicura soggettivamente circa la necessità degli eventi dell’esperienza, ma non garantisce ne può farlo la connessione necessaria e oggettiva tra i fatti. Il rapporto causale allora non è giustificabile a priori (legane tra concetti) e a posteriori (l’esperienza è retta dall’abitudine): è una necessità soggettiva data dalla abitudine.
  • 17. Il mondo esterno Dunque ogni credenza (sentimento) in realtà o fatti è frutto dell’abitudine e non della ragione: manca la necessità razionale della conoscenza scientifica e resta solo la probabilità. Gli uomini credono abitualmente nell’esistenza di un mondo esterno intesa come credenza nella persistenza continua delle cose e nell’esistenza esterna delle cose stesse poiché le impressioni si presentano spesso unite in modo costante e coerente: essi credono in una sostanza esterna. Ma la riflessione filosofica ci insegna che noi abbiamo solo percezioni interrotte e discontinue: sono immagini della nostra mente che noi conosciamo
  • 18. attraverso i sensi, nostre modificazioni. Noi conosciamo le nostre percezioni, una realtà esterna non è raggiungibile né attraverso le nostre impressioni né attraverso la causalità: dunque è ingiustificabile, anche se l’abitudine (istinto) a credere nella sua esistenza è ineliminabile. Il dubbio filosofico non può impedire alla vita quotidiana un tale atteggiamento. Il nostro “io” Anche la sua presunta unità e identità si risolve in un fascio di impressioni dominate dalla credenza e dall’abitudine. Il sentimento comincia a far capolino nella filosofia occidentale.
  • 19. SPINOZA * 1632-1677 La sua opera filosofica più importante è Ethica ordine geometrico demonstrata, una sorta di enciclopedia delle scienza filosofiche, svolta con un metodo di ragionamento e di esposizione rigorosamente geometrico. Secondo gli studiosi l’autore adottò tale metodo perché influenzato dalla moda matematizzante dell’epoca (sapere rigoroso), per ammirazione verso la matematica (precisione e sinteticità espositiva), per imitare la struttura necessaria del reale (tutto è legato e deducibile). Centrale nella sua riflessione è il concetto di sostanza.
  • 20. Antichità e medioevo: la sostanza è quid, forma, essenza necessaria, sinolo (individuo). Cartesio: essa è Dio, causa sui, ma anche res cogitans (il pensiero) e res extensa (l’estensione). Spinoza la definisce invece come ciò che è in sé e per sé si concepisce, cioè è autosufficiente e autosussistente nell’essere (causa sui) e non abbisogna di nessun altro concetto per essere pensata.
  • 21. Dunque è antonoma ontologicamente e gnoseologicamente. È increata, eterna, infinita, unica, indivisibile: è Dio o l’Assoluto. Se essa è unica allora non è fuori dal mondo, ma nel mondo, anzi costituisce con esso un’unica realtà globale che è la Natura (Deus sive Natura). La sostanza ha poi delle qualità essenziali che sono i suoi attributi infiniti (noi conosciamo solo pensiero ed estensione !?), e delle affezioni- !? specificazioni che sono i suoi modi (infiniti – proprietà strutturali degli attributi come movimento,quiete, intelletto e volontà, il mondo come totalità – e finiti – singoli corpi o menti !?).
  • 22. La Natura è una realtà infinita ed eterna, che si manifesta in un’infinità di dimensioni (attributi) e che si concretizza in un’infinità di maniere d’essere (modi). La Natura naturante (causa) e la Natura naturata (effetti) sono sempre e panteisticamente l’unica Natura madre e figlia, attività produttrice e immanente. (vedi testo di filosofia, storia, pagg. 128-129) Ogni cosa è in Dio e non è che Dio. A differenza di Hume che riteneva la sostanza una pura finzione e che sviluppava un atteggiamento scettico, Spinoza ritiene la conoscenza razionale l’unico modello di ogni conoscenza e il soggetto è riassorbito nell’unica sostanza. (vedi testo di filosofia, storia, testo 9, pag. 144)
  • 23. LEIBNIZ * 1646-1716 Rendere ragion del movimento senza rinunciare al concetto di sostanza come sostrato immutabile. Il movimento si spiega con una pluralità di sostanza che sono forza, non mera estensione: esse sono attive, dinamiche. Sono le monadi, sostanze semplici, punti dotati di energia. I corpi sono composti di tali sostanze semplici. Sono “atomi spirituali”, indistruttibili, create da Dio. I corpi invece si originano o periscono per composizione e decomposizione. La monade è principio del proprio movimento, dunque nessuna trasformazione le può sopravvenire dall’esterno. (vedi testo di filosofia, storia, testo 13 e 14, pag. 164-166)
  • 24. È una visione fortemente dinamica dell’universo. Le monadi sono infinitesimi l’uno diverso dall’altro e la loro diversità è qualitativa: principio di identità degli indiscernibili. Esse sono qualitativamente diverse, quantitativamente omogenee, cioè sostanze individuali. Di esse si può avere una nozione completa solo se se ne conoscono tute le determinazioni essenziali ma anche accidentali. Ogni monade è collegata con l’intero universo, anzi è uno specchio vivente perpetuo dell’universo, piccoli mondi contratti in un punto o diversi punti di vista sull’intero universo. (vedi testo di filosofia, storia, pagg. 152-156)