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ROBOTICA LUDICA
Metodi e tecnologie per
l'insegnamento della
matematica
a.a. 2012/2013, 9° e 10° lezione – 2013/05/16
Tratto da
Alessandri G., Paciaroni M., 2013, Appunti sull’uso ludico delle tecnologie, Morlacchi,
Perugia
http://www.didafor.com
Giuseppe Alessandri, Dip. Scienze della Formazione Beni C. e Turismo, Università degli Studi di Macerata
• «I giochi ci rendono felici perché sono un lavoro duro
che abbiamo scelto noi stessi, e a quanto pare non c’è
quasi nulla che ci renda più felici di un buon lavoro
duro» (McGonigal J., 2011, pag. 28).
• Siamo abituati a dire che il lavoro, o meglio, il nostro
lavoro è duro. Diciamo così probabilmente perché non
sentiamo nostre le motivazioni che ci costringono a
farlo: lo facciamo per poter vivere, non lo abbiamo
scelto e tutto ciò che facciamo pensiamo sia per gli
altri, per chi ci comanda di fare qualcosa. Lo mettiamo
in alternativa alla nostra vita privata, ci porta via del
tempo, non ci dà soddisfazione.
• Può anche darsi che il lavoro che facciamo ci annoi, non
ci impegni abbastanza. In definitiva non sopportiamo il
lavoro che facciamo.
• Tutto ciò noi lo definiamo lavoro duro, ma è tale solo
perché non lo abbiamo scelto noi, non lo abbiamo
preferito ad altri, non lo sentiamo nostro, non
cresciamo con esso.
• Saremmo felici se potessimo trovare un lavoro duro
che, però, ci piace: non sarebbe duro, forse fisicamente,
ma non psicologicamente
• «Ogni buona condizione di gioco è
un lavoro duro. È lavoro duro che ci
piace e che abbiamo scelto noi da
soli. E quando facciamo un lavoro
che ci sta a cuore, prepariamo la
nostra mente per la felicità» (ivi, pag.
29).
• è dimostrato che
– se ci impegniamo in attività rilassanti, leggere, che
crediamo divertenti, usciamo dall’esperienza
sentendoci peggio rispetto al nostro stato iniziale;
– se invece ci impegniamo in attività complesse, in
giochi che ci fanno lavorare in modo duro, usciamo
fortificati da queste esperienze.
• In definitiva «un buon gioco è un modo speciale
di strutturare l’esperienza e produrre emozioni
positive. È uno strumento estremamente potente
per ispirare partecipazione e motivare a un lavoro
duro […]».
• «Tutto il buono che viene dai giochi
(tutti i modi in cui i giochi possono
renderci più felici nella vita
quotidiana e possono aiutarci a
cambiare il mondo) deriva dalla loro
capacità di organizzarci per
affrontare un ostacolo scelto
volontariamente» (ivi, pagg.34-35).
• Per i più piccoli è difficile individuare esperienze
lavorative e separarle da quelle di gioco. Per essi il lavoro
è il gioco.
• È compito dell’adulto educatore impegnarli in un lavoro
duro che è rappresentato da un gioco significativo. Sullo
sfondo occorre individuare sempre un impegno che porti
oltre, che conduca a sfide che siano sempre un po’ più in
là.
• L’educatore deve riuscire a far incontrare il bambino con
attività di gioco che egli trovi stimolanti e interessanti,
che lo coinvolgano in una sfida e non solamente che lo
intrattengano per un periodo di tempo.
Gioco e robot
Si possono impostare diversi modelli di gioco che si reggono su
diverse polarità; ad esempio quella fra polo deliberativo e
polo reattivo, quella fra polo chiuso e polo aperto.
Il primo modello si esplica fra due estremi che riferiamo alle
modalità attraverso le quali i robot si muovono/agiscono
nell’ambiente:
– nel polo deliberativo l’utente guida il robot dall’esterno
(passo dopo passo) oppure lo dota di un programma che lo
conduce in modo imperativo, cioè senza farlo interagire
con l’ambiente;
– in quello reattivo il robot è dotato di applicazioni che lo
guidano dall’interno e sanno reagire alle sollecitazioni
dell’esterno;
il secondo modello ha agli estremi diverse tipologie
di robot che riferiamo a due modalità di
realizzazione di esperienze:
– nel primo si possono usare dispositivi robotici già
costruiti e non è possibile realizzarne di nuovi,
– a differenza di quanto accade nel secondo estremo.
• L’incrocio fra questi due modelli ne genera a sua
volta quattro che esplicitano altrettante modalità:
deliberativo-chiuso (quadrante b), deliberativo-
aperto (a), reattivo-chiuso (c), reattivo-aperto
(d)(Figura 1).
• nel quadrante b si utilizzano dispositivi già
costruiti;
• nel quadrante a è possibile costruire dei
dispositivi robotici che agiscono nell’ambiente
con le stesse modalità precedenti;
• nel quadrante c si usano robot già costruiti, però
dotati di sensori;
• nel quadrante d si ha il massimo della flessibilità e
della creatività: vanno progettati e i dispositivi
robotici e i programmi che debbono mettere in
grado il robot di interagire con l’ambiente
• Simone (2012, pagg. 62-65) afferma che i testi
sono delle rappresentazioni del mondo e, in
particolare, quelli narrativi esplicitano l’ordine
cronologico degli eventi che si verificano nello
stesso mondo. Esiste un ordine testuale e un
ordine reale; se questi coincidono si ha un ordine
naturale (gli eventi sono rappresentati così come
avvengono nel mondo reale) che viene realizzato
attraverso l’operatore E-DOPO (un evento, E-
DOPO un altro, E-DOPO un altro, …),
• se invece non coincidono si ha un ordine
artificiale
• si può avere un ordine inverso attraverso
l’operatore E-PRIMA
• oppure un ordine che esprime la
contemporaneità, attraverso l’operatore E-
INTANTO (un evento, E-INTANTO un altro, E-
DOPO un altro, E-INTANTO un altro, E-
INTANTO un altro, …).
• È importante ricordare che un bambino
prende coscienza di questi operatori in
successivi momenti diversi:E-DOPO, E-PRIMA
e poi, infine, l’operatore E-INTANTO.
• Tale sequenza è fondamentale per poter
sviluppare delle esperienze di robotica.
deliberativo-chiuso
• Il modello deliberativo-chiuso, applicabile per
bambini di quattro-cinque anni, prevede
l’utilizzo di robot, già costruiti, che possono
essere guidati dall’esterno e anche
‘programmati’. Un esempio è rappresentato
dai Bee-Bot della Lego
Deliberativo-aperto
• Deliberativo-aperto (stessa fascia di età). In
questo modello si possono sviluppare attività
che prevedono la costruzione di robot che
agiscono nell’ambiente secondo le modalità
già viste per il modello deliberativo-chiuso; un
esempio è il kit WeDo della Lego
reattivo-chiuso
• Per quanto concerne il modello reattivo-chiuso, il salto
in avanti è notevole. Siamo proiettati nella fase nella
quale il bambino riesce a cogliere le situazioni
contemporanee del tipo E-INTANTO. Impostare
esperienze in questo contesto comporta un
arricchimento dell’hardware del robot (in genere un
insieme di sensori) e, fatto ancor più significativo, una
evoluzione nella costruzione dell’applicazione che
guida il robot. Questa deve essere in grado di
raccogliere determinati segnali che provengono
dall’ambiente nel quale il robot è sistemato,
comprendendo anche la tastiera e altri dispositivi di
input del pc collegato al robot.
reattivo-aperto
• Il modello reattivo-aperto rappresenta
l’esposizione massima alle esperienze di robotica.
In questo si possono costruire dei robot che
sappiano reagire all’ambiente raccogliendo gli
eventi che si verificano in esso, quando cioè il
robot rileva una qualche variazione nell’ambiente
in cui agisce (può essere una variazione rilevata
con i sensori, oppure una azione dell’utente sul
pc collegato) ed in corrispondenza di questa si
attiva un procedimento nell’applicazione che lo
guida.
E-INTANTO
Un evento è caratterizzato da:
• un oggetto (hardware) capace di rilevare delle
variazioni (sensore, tastiera, joystick) e di inviare
opportune segnalazioni all’applicazione (software);
• l’ascolto, nell’applicazione (software), delle
segnalazioni che arrivano;
• la procedura che deve essere conseguentemente
eseguita e che fa agire il robot.
La gestione e comprensione degli eventi è connessa alla
possibilità di concepire situazioni del tipo E-INTANTO.
E-INTANTO
• Nella figura è possibile intuire la contemporaneità di
azioni; in questo caso è generata da un evento: con
un click sulla freccia di avvio (triangolo verde) si avvia
una ripetizione infinita di un motivo musicale e,
quando si vuole, è possibile avviare l’auto con un
click sulla lettera A.
Dall’iconico al testuale
• Per molti anni le esperienze di costruzione di artefatti
ipertestuali sono state al centro dell’approccio alle
tecnologie, in particolare nelle scuole primarie. Queste
esperienze sono state e sono sicuramente significative
per diversi morivi, di certo noti, che non si intende qui
riproporre.
• Tuttavia l’aspetto procedurale-strategico al problem-
solving ha sofferto di qualche latenza, sia perché non è
stato facile individuare risorse umane disponibili ma
anche tecnologiche proponibili che potessero
esplicitarlo, sia perché, a fronte di conoscenze
adeguate su questo versante, spesso si è ritenuto
opportuno non affrontare questi percorsi.
• Pur se l’approccio procedurale è stato qualche volta
esplicitato come itinerario di riflessione su percorsi
realizzati, tuttavia è stato poco affrontato l’aspetto
della soluzione di problemi per via algoritmica.
L’algoritmo è stato spesso accostato a forme di
proceduralismo imperativo di tipo top-down,
prescrittivo, in definitiva quasi imprigionante la
creatività. Se è pur vero che l’esecuzione di un
algoritmo organizzato in forma deliberativa può
sembrare un processo rigido, tuttavia la sua
progettazione non è sicuramente un prodotto di un
approccio meccanico.
• Per sua stessa matrice la progettazione è il ponte fra
prescrizione e creatività: ad una ipotesi iniziale segue la sua
messa in opera attraverso verifiche che mettono in gioco la
flessibilità in un continuo ciclo prova-valutazione-sistemazione-
nuova prova.
• Assegnando il dovuto peso alla progettazione, ci sembra che
utilizzare strumenti software che permettano la realizzazione di
animazioni possa essere un utile esercizio, da un lato possibile
se si tiene conto della progressione dalla sequenzialità alla
contemporaneità, dall’altro utile perché la rinforza.
• Inoltre la costruzione di una applicazione non si esaurisce solo
in un approccio deliberativo ma investe anche modalità che
permettono la realizzazione di interazioni con l’ambiente.
• L’ipotesi che si intende qui sostenere procede all’inverso rispetto
alla tendenza che vede l’elaboratore sempre più orientato verso
applicazioni desktop fortemente iconiche, per suggerire un
itinerario che possa procedere dall’iconico al testuale.
• Ci si colloca sia nel campo delle tecnologie inclusive, che in quello
delle esclusive.
• Un possibile percorso può vederle in sequenza; si può iniziare dalle
tecnologie inclusive che realizzano esperienze dove l’hardware (il
dispositivo fisico) diventa parte fondamentale per procedere, poi,
verso un duplice binario: in una prima direzione si prosegue sulle
tecnologie di uso inclusivo potenziando sia l’aspetto hardware sia
quello software; in una seconda direzione, si incontrano le
tecnologie utilizzate in modo esclusivo, per le quali le esperienze
che si possono sviluppare prevedono l’uso del software che realizza
animazioni sul video in un ambito artificiale.
• In definitiva, si parte da esperienze di robotica
nelle quali il robot è guidato attraverso
software iconici, per procedere poi, da un lato,
allo sviluppo di esperienze di robotica sempre
più significative, dall’altro alla realizzazione di
animazioni con robot senza corpo che si
muovono sullo schermo attraverso software
basati su un approccio realizzativo testuale o
parzialmente testuale (ad esempio Scratch).
Un possibile itinerario
• dopo esperienze di robotica con approccio
deliberativo-chiuso, si passa a quelle di tipo
deliberativo-aperto; in questa fase si ha una
introduzione alla realizzazione di programmi nella
modalità iconica;
• nel frattempo il bambino inizia ad acquisire elementari
strumenti di lettura e da questo momento in poi è
possibile sviluppare esperienze su due versanti: da un
lato potenziare quelle sulla robotica, da un altro,
indirizzarsi verso ambientazioni completamente virtuali
(esiste, comunque, una terza via: quella di applicazioni
ibride che vivono in parte nel virtuale e in parte nel
mondo reale).
Bibliografia
• Alessandri G., 2008, Dal desktop a Second Life. Tecnologie nella
didattica, Morlacchi Editore, Perugia.
• Alessandri G., 2013, Tecnologie autonome nella didattica. Verso
la robotica educativa. Morlacchi Editore, Perugia.
• Alessandri G., Paciaroni M., Educational Robotics between
narration and simulation, Procedia - Social and Behavioral
Sciences, Volume 51, 2012, Pages 104-109, ISSN 1877-0428,
10.1016/j.sbspro.2012.08.126; URL:
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1877042812
032648, verificato il 17 Febbraio 2013
• McGonigal J., La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono
migliori e come possono cambiare il mondo. Apogeo, Milano.
• Simone R., 2012, Presi nella rete. La mente ai tempi del web,
Garzanti, Milano.
http://www.didafor.com

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Robotica ludica e coding

  • 1. ROBOTICA LUDICA Metodi e tecnologie per l'insegnamento della matematica a.a. 2012/2013, 9° e 10° lezione – 2013/05/16 Tratto da Alessandri G., Paciaroni M., 2013, Appunti sull’uso ludico delle tecnologie, Morlacchi, Perugia http://www.didafor.com Giuseppe Alessandri, Dip. Scienze della Formazione Beni C. e Turismo, Università degli Studi di Macerata
  • 2. • «I giochi ci rendono felici perché sono un lavoro duro che abbiamo scelto noi stessi, e a quanto pare non c’è quasi nulla che ci renda più felici di un buon lavoro duro» (McGonigal J., 2011, pag. 28). • Siamo abituati a dire che il lavoro, o meglio, il nostro lavoro è duro. Diciamo così probabilmente perché non sentiamo nostre le motivazioni che ci costringono a farlo: lo facciamo per poter vivere, non lo abbiamo scelto e tutto ciò che facciamo pensiamo sia per gli altri, per chi ci comanda di fare qualcosa. Lo mettiamo in alternativa alla nostra vita privata, ci porta via del tempo, non ci dà soddisfazione.
  • 3. • Può anche darsi che il lavoro che facciamo ci annoi, non ci impegni abbastanza. In definitiva non sopportiamo il lavoro che facciamo. • Tutto ciò noi lo definiamo lavoro duro, ma è tale solo perché non lo abbiamo scelto noi, non lo abbiamo preferito ad altri, non lo sentiamo nostro, non cresciamo con esso. • Saremmo felici se potessimo trovare un lavoro duro che, però, ci piace: non sarebbe duro, forse fisicamente, ma non psicologicamente
  • 4. • «Ogni buona condizione di gioco è un lavoro duro. È lavoro duro che ci piace e che abbiamo scelto noi da soli. E quando facciamo un lavoro che ci sta a cuore, prepariamo la nostra mente per la felicità» (ivi, pag. 29).
  • 5. • è dimostrato che – se ci impegniamo in attività rilassanti, leggere, che crediamo divertenti, usciamo dall’esperienza sentendoci peggio rispetto al nostro stato iniziale; – se invece ci impegniamo in attività complesse, in giochi che ci fanno lavorare in modo duro, usciamo fortificati da queste esperienze. • In definitiva «un buon gioco è un modo speciale di strutturare l’esperienza e produrre emozioni positive. È uno strumento estremamente potente per ispirare partecipazione e motivare a un lavoro duro […]».
  • 6. • «Tutto il buono che viene dai giochi (tutti i modi in cui i giochi possono renderci più felici nella vita quotidiana e possono aiutarci a cambiare il mondo) deriva dalla loro capacità di organizzarci per affrontare un ostacolo scelto volontariamente» (ivi, pagg.34-35).
  • 7. • Per i più piccoli è difficile individuare esperienze lavorative e separarle da quelle di gioco. Per essi il lavoro è il gioco. • È compito dell’adulto educatore impegnarli in un lavoro duro che è rappresentato da un gioco significativo. Sullo sfondo occorre individuare sempre un impegno che porti oltre, che conduca a sfide che siano sempre un po’ più in là. • L’educatore deve riuscire a far incontrare il bambino con attività di gioco che egli trovi stimolanti e interessanti, che lo coinvolgano in una sfida e non solamente che lo intrattengano per un periodo di tempo.
  • 8. Gioco e robot Si possono impostare diversi modelli di gioco che si reggono su diverse polarità; ad esempio quella fra polo deliberativo e polo reattivo, quella fra polo chiuso e polo aperto. Il primo modello si esplica fra due estremi che riferiamo alle modalità attraverso le quali i robot si muovono/agiscono nell’ambiente: – nel polo deliberativo l’utente guida il robot dall’esterno (passo dopo passo) oppure lo dota di un programma che lo conduce in modo imperativo, cioè senza farlo interagire con l’ambiente; – in quello reattivo il robot è dotato di applicazioni che lo guidano dall’interno e sanno reagire alle sollecitazioni dell’esterno;
  • 9. il secondo modello ha agli estremi diverse tipologie di robot che riferiamo a due modalità di realizzazione di esperienze: – nel primo si possono usare dispositivi robotici già costruiti e non è possibile realizzarne di nuovi, – a differenza di quanto accade nel secondo estremo. • L’incrocio fra questi due modelli ne genera a sua volta quattro che esplicitano altrettante modalità: deliberativo-chiuso (quadrante b), deliberativo- aperto (a), reattivo-chiuso (c), reattivo-aperto (d)(Figura 1).
  • 10.
  • 11. • nel quadrante b si utilizzano dispositivi già costruiti; • nel quadrante a è possibile costruire dei dispositivi robotici che agiscono nell’ambiente con le stesse modalità precedenti; • nel quadrante c si usano robot già costruiti, però dotati di sensori; • nel quadrante d si ha il massimo della flessibilità e della creatività: vanno progettati e i dispositivi robotici e i programmi che debbono mettere in grado il robot di interagire con l’ambiente
  • 12. • Simone (2012, pagg. 62-65) afferma che i testi sono delle rappresentazioni del mondo e, in particolare, quelli narrativi esplicitano l’ordine cronologico degli eventi che si verificano nello stesso mondo. Esiste un ordine testuale e un ordine reale; se questi coincidono si ha un ordine naturale (gli eventi sono rappresentati così come avvengono nel mondo reale) che viene realizzato attraverso l’operatore E-DOPO (un evento, E- DOPO un altro, E-DOPO un altro, …),
  • 13. • se invece non coincidono si ha un ordine artificiale • si può avere un ordine inverso attraverso l’operatore E-PRIMA • oppure un ordine che esprime la contemporaneità, attraverso l’operatore E- INTANTO (un evento, E-INTANTO un altro, E- DOPO un altro, E-INTANTO un altro, E- INTANTO un altro, …).
  • 14. • È importante ricordare che un bambino prende coscienza di questi operatori in successivi momenti diversi:E-DOPO, E-PRIMA e poi, infine, l’operatore E-INTANTO. • Tale sequenza è fondamentale per poter sviluppare delle esperienze di robotica.
  • 15. deliberativo-chiuso • Il modello deliberativo-chiuso, applicabile per bambini di quattro-cinque anni, prevede l’utilizzo di robot, già costruiti, che possono essere guidati dall’esterno e anche ‘programmati’. Un esempio è rappresentato dai Bee-Bot della Lego
  • 16.
  • 17. Deliberativo-aperto • Deliberativo-aperto (stessa fascia di età). In questo modello si possono sviluppare attività che prevedono la costruzione di robot che agiscono nell’ambiente secondo le modalità già viste per il modello deliberativo-chiuso; un esempio è il kit WeDo della Lego
  • 18.
  • 19. reattivo-chiuso • Per quanto concerne il modello reattivo-chiuso, il salto in avanti è notevole. Siamo proiettati nella fase nella quale il bambino riesce a cogliere le situazioni contemporanee del tipo E-INTANTO. Impostare esperienze in questo contesto comporta un arricchimento dell’hardware del robot (in genere un insieme di sensori) e, fatto ancor più significativo, una evoluzione nella costruzione dell’applicazione che guida il robot. Questa deve essere in grado di raccogliere determinati segnali che provengono dall’ambiente nel quale il robot è sistemato, comprendendo anche la tastiera e altri dispositivi di input del pc collegato al robot.
  • 20. reattivo-aperto • Il modello reattivo-aperto rappresenta l’esposizione massima alle esperienze di robotica. In questo si possono costruire dei robot che sappiano reagire all’ambiente raccogliendo gli eventi che si verificano in esso, quando cioè il robot rileva una qualche variazione nell’ambiente in cui agisce (può essere una variazione rilevata con i sensori, oppure una azione dell’utente sul pc collegato) ed in corrispondenza di questa si attiva un procedimento nell’applicazione che lo guida.
  • 21. E-INTANTO Un evento è caratterizzato da: • un oggetto (hardware) capace di rilevare delle variazioni (sensore, tastiera, joystick) e di inviare opportune segnalazioni all’applicazione (software); • l’ascolto, nell’applicazione (software), delle segnalazioni che arrivano; • la procedura che deve essere conseguentemente eseguita e che fa agire il robot. La gestione e comprensione degli eventi è connessa alla possibilità di concepire situazioni del tipo E-INTANTO.
  • 22. E-INTANTO • Nella figura è possibile intuire la contemporaneità di azioni; in questo caso è generata da un evento: con un click sulla freccia di avvio (triangolo verde) si avvia una ripetizione infinita di un motivo musicale e, quando si vuole, è possibile avviare l’auto con un click sulla lettera A.
  • 23. Dall’iconico al testuale • Per molti anni le esperienze di costruzione di artefatti ipertestuali sono state al centro dell’approccio alle tecnologie, in particolare nelle scuole primarie. Queste esperienze sono state e sono sicuramente significative per diversi morivi, di certo noti, che non si intende qui riproporre. • Tuttavia l’aspetto procedurale-strategico al problem- solving ha sofferto di qualche latenza, sia perché non è stato facile individuare risorse umane disponibili ma anche tecnologiche proponibili che potessero esplicitarlo, sia perché, a fronte di conoscenze adeguate su questo versante, spesso si è ritenuto opportuno non affrontare questi percorsi.
  • 24. • Pur se l’approccio procedurale è stato qualche volta esplicitato come itinerario di riflessione su percorsi realizzati, tuttavia è stato poco affrontato l’aspetto della soluzione di problemi per via algoritmica. L’algoritmo è stato spesso accostato a forme di proceduralismo imperativo di tipo top-down, prescrittivo, in definitiva quasi imprigionante la creatività. Se è pur vero che l’esecuzione di un algoritmo organizzato in forma deliberativa può sembrare un processo rigido, tuttavia la sua progettazione non è sicuramente un prodotto di un approccio meccanico.
  • 25. • Per sua stessa matrice la progettazione è il ponte fra prescrizione e creatività: ad una ipotesi iniziale segue la sua messa in opera attraverso verifiche che mettono in gioco la flessibilità in un continuo ciclo prova-valutazione-sistemazione- nuova prova. • Assegnando il dovuto peso alla progettazione, ci sembra che utilizzare strumenti software che permettano la realizzazione di animazioni possa essere un utile esercizio, da un lato possibile se si tiene conto della progressione dalla sequenzialità alla contemporaneità, dall’altro utile perché la rinforza. • Inoltre la costruzione di una applicazione non si esaurisce solo in un approccio deliberativo ma investe anche modalità che permettono la realizzazione di interazioni con l’ambiente.
  • 26. • L’ipotesi che si intende qui sostenere procede all’inverso rispetto alla tendenza che vede l’elaboratore sempre più orientato verso applicazioni desktop fortemente iconiche, per suggerire un itinerario che possa procedere dall’iconico al testuale. • Ci si colloca sia nel campo delle tecnologie inclusive, che in quello delle esclusive. • Un possibile percorso può vederle in sequenza; si può iniziare dalle tecnologie inclusive che realizzano esperienze dove l’hardware (il dispositivo fisico) diventa parte fondamentale per procedere, poi, verso un duplice binario: in una prima direzione si prosegue sulle tecnologie di uso inclusivo potenziando sia l’aspetto hardware sia quello software; in una seconda direzione, si incontrano le tecnologie utilizzate in modo esclusivo, per le quali le esperienze che si possono sviluppare prevedono l’uso del software che realizza animazioni sul video in un ambito artificiale.
  • 27. • In definitiva, si parte da esperienze di robotica nelle quali il robot è guidato attraverso software iconici, per procedere poi, da un lato, allo sviluppo di esperienze di robotica sempre più significative, dall’altro alla realizzazione di animazioni con robot senza corpo che si muovono sullo schermo attraverso software basati su un approccio realizzativo testuale o parzialmente testuale (ad esempio Scratch).
  • 28. Un possibile itinerario • dopo esperienze di robotica con approccio deliberativo-chiuso, si passa a quelle di tipo deliberativo-aperto; in questa fase si ha una introduzione alla realizzazione di programmi nella modalità iconica; • nel frattempo il bambino inizia ad acquisire elementari strumenti di lettura e da questo momento in poi è possibile sviluppare esperienze su due versanti: da un lato potenziare quelle sulla robotica, da un altro, indirizzarsi verso ambientazioni completamente virtuali (esiste, comunque, una terza via: quella di applicazioni ibride che vivono in parte nel virtuale e in parte nel mondo reale).
  • 29. Bibliografia • Alessandri G., 2008, Dal desktop a Second Life. Tecnologie nella didattica, Morlacchi Editore, Perugia. • Alessandri G., 2013, Tecnologie autonome nella didattica. Verso la robotica educativa. Morlacchi Editore, Perugia. • Alessandri G., Paciaroni M., Educational Robotics between narration and simulation, Procedia - Social and Behavioral Sciences, Volume 51, 2012, Pages 104-109, ISSN 1877-0428, 10.1016/j.sbspro.2012.08.126; URL: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1877042812 032648, verificato il 17 Febbraio 2013 • McGonigal J., La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo. Apogeo, Milano. • Simone R., 2012, Presi nella rete. La mente ai tempi del web, Garzanti, Milano. http://www.didafor.com