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CSeRMEG
Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale
XII Congresso - Costermano (VR) 15-17 ottobre 1999
I percorsi del paziente
Dalla Evidence Based Medicine alla Patient-Based Medicine
Introduzione
Lo scopo di questa breve introduzione al Congresso è di mettere in evidenza i nessi con l’argomento del
Congresso dello scorso anno, di cui rappresenta in un certo senso la naturale evoluzione1
.
In secondo luogo vorrei accennare alla questione dell’informazione al pubblico in ambito sanitario, ar-
gomento che viene spontaneo evocare parlando dei percorsi del paziente e quindi dei loro determinanti.
La connessione con l’evidence-based medicine è ricordata anche nel titolo che abbiamo dato al congres-
so. Ciò che interessa è analizzare i percorsi del paziente proprio quando e in quanto sono diversi, rispetto a
quelli teoricamente raccomandabili e fondati (quando e se possibile) su “prove” di forza variabile a seconda
delle situazioni. Per il medico di medicina generale è esperienza normale, nell’incontro e nel dialogo che in-
tercorre col paziente durante la consultazione, la percezione della diversità di linguaggi e prospettive. Ciò ci
costringe da un lato a cercare di capire cosa pensa e cosa vuole il paziente, e poi anche a trovare strumenti e
modalità di condivisione ed orientamento dei percorsi che saranno poi effettivamente messi in atto. Tutto
questo avviene nel corso della consultazione e ne costituisce l’aspetto comunemente identificato come “ne-
goziale”.
Non si deve però pensare che i percorsi del paziente siano solo espressione di differenze di vedute sulle
quali ci si è confrontati durante la visita. Già il rivolgersi al medico è parte del percorso autonomo del pa-
ziente, che notoriamente ha a disposizione molte alternative, di cui di volta in volta può decidere di servirsi o
meno, compiendo delle scelte. Il percorso del paziente continua poi anche dopo l’incontro o gli incontri col
medico, e si potrebbe dire che la consultazione serve anche a raccogliere elementi che saranno poi utilizzati,
assieme ad altri, per effettuare delle scelte, non necessariamente definitive. In un certo senso, il paziente è un
“ricercatore”: raccoglie pareri ed informazioni (i suoi dati), li confronta, li giudica in base alla propria espe-
rienza e convenienza, compie scelte (le sperimenta) ed in questo modo accresce e modifica la propria espe-
rienza, riutilizzandola inevitabilmente ad ogni successivo ed eventuale incontro col medico.
La posizione del medico, di qualunque medico anche se forse meno nel caso del medico di medicina ge-
nerale, è a rischio di essere male interpretata. Noi vediamo i pazienti solo … quando vanno dal medico, e
quindi siamo spontaneamente portati a pensare ad una nostra “centralità” rispetto al percorso e alla storia
complessiva del paziente, cosa che non è vera. Peraltro ne deriva che esistono solo percorsi del paziente, an-
che quando sono quelli indicati dal medico, ed in un certo senso è ugualmente interessante capire non solo
perché a volte i pazienti seguono percorsi propri e difformi da quelli indicati dal medico, ma anche perché,
altre volte, seguono invece proprio le indicazioni che abbiamo dato. Il paziente “compliante” e quello “non –
compliante” sarebbero, da questo punto di vista, entrambi adeguati oggetti di ricerca rispetto al medesimo
tema, ed è interessante anche constatare che una definizione univoca di queste categorie di pazienti si è di-
mostrata impossibile, perché non è costante2
.
1. I percorsi della Medicina
Precisa definizione degli oggetti di interesse (la malattia nosograficamente descritta)
Da un certo punto di vista lo schematismo tassonomico nosografico esprime una via di riduzione della
malattia all’essenziale. Il paziente sta molto male perché ad esempio la sua frazione di eiezione ventricolare
sinistra è bassa: lo dimostrano gli studi sulla correlazione lineare di questo parametro alla qualità della vita.
L’obiettivo diviene aumentare la frazione di eiezione. I sintomi diminuiranno, ma a prezzo di un intervento
che rende incommensurabili le prospettive del medico e quelle del paziente. Dalla somma di tali incommen-
Massimo Tombesi
“I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva
XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 2
surabilità, derivano le differenze di significato tra cura, guarigione, intervento medico e obiettivi del pazien-
te. Piccoli scostamenti si sommano nel tempo fino a determinare la nascita di mondi diversi in cui si parlano
lingue diverse, anche perché il ripristino di una funzione (posto che fosse sempre possibile) non potrebbe mai
restituire un paziente uguale a prima: sarebbe come pretendere di privarlo della sua storia. A questo punto il
medico comincia a sentire il bisogno di migliorare la propria capacità di comunicare col paziente, cosa che
avviene traducendo in modo a lui comprensibile il proprio modo di identificare l’essenziale della malattia.
Prevalenza degli esiti (“il futuro”) a cui il processo terapeutico è subordinato.
Il medico definisce gli obiettivi della cura, e il percorso da seguire con il piano di trattamento. Ad esem-
pio portare la pressione arteriosa almeno a 140/90, l’emoglobina glicosilata sotto a 8 mg% e l’indice di mas-
sa corporea sotto a 30 Kg/m², il tutto per mezzo di un inibitore dell’enzima convertente, una dieta che apporti
1400 Kcal al giorno ed una biguanide; inoltre il paziente dovrà camminare mezz’ora al giorno in più, smette-
re di fumare e controllarsi ogni tre mesi. E’ sicuro che questi interventi aumenteranno l’attesa di vita del pa-
ziente, diminuiranno il suo rischio di complicazioni, e di conseguenza eviteranno un peggioramento della sua
qualità della vita, comunque la vogliamo definire. Ma a parte che certe patologie sono croniche, che rapporto
c’è tra questi fatti e “la cura” o la guarigione?
L’arte di guarire è perduta perché non è mai esistita. E’ sempre esistita solo l’arte di curare, perché solo
il paziente può guarirsi. Se si rimane all’interno di una prospettiva clinica, oggi il paziente non è autorizzato
a definirsi malato se non tramite il medico che diagnostica ciò da cui è affetto, non è nemmeno autorizzato a
definirsi sano, salvo che non ne ottenga certificazione, e di conseguenza non può nemmeno definire autono-
mamente un esito che coincida con la propria guarigione. D’altra parte il medico non possiede strumenti di
intervento utili a curare, o a far raggiungere una guarigione, che non siano compresi in ambito clinico, anche
se questo non vuol certo dire che non ci sia nessun rapporto tra guarigione clinica e condizioni del paziente.
L’insufficienza della clinica è però talmente evidente che si è tentato di porre rimedio con strumenti di anali-
si e valutazione della “qualità della vita”, considerata complemento essenziale della valutazione del paziente,
senza il quale si perde una parte importantissima della capacità di caratterizzarlo3
. In certe condizioni di ma-
lessere, anche importante, la clinica non riesce nemmeno a pervenire ad una chiara diagnosi circostanziata4
,
mentre in altri casi la diagnosi medesima non dà che una pallida immagine della natura complessiva
dell’infermità. Basterebbe leggere le cartelle cliniche di qualunque paziente, anche quelle del medico di me-
dicina generale, per accorgersi che è sostanzialmente impossibile capire esattamente “come sta” quel pazien-
te senza averlo di fronte (e magari in quel caso può bastare solo uno sguardo per capire molto di più di quan-
to non dica una cartella clinica). Ad esempio, queste due pazienti non hanno segni di progressione del tumore
da cui sono state affette, ma mentre la prima sta benissimo (almeno per quanto giudicabile dal medico):
BXXXX LXXXXX 12/07/38 (61) (122/326) 37
--------------------------------------------------------------------------------
LISTA DEI PROBLEMI
----¦----------PROBLEMI ATTIVI-----------¦----------PROBLEMI INATTIVI----------
1950¦cefalea essenziale ¦
1982¦ ¦IPERTIROIDISMO (M. DI BASEDOW)
1983¦ ¦tiroidectomia subtotale
1985¦artrosi lombo-sacrale ¦
1990¦tachicardia parossistica ¦
1994¦K MAMMARIO SX (T3N1M0) ¦mastectomia totale
1994¦ ¦chemioterapia adiuvante (CMF)
quest’altra sta invece malissimo, per motivi in piccola parte correlati a quanto scritto nella cartella, ed in par-
te per non legati a patologie, ma che hanno un’influenza notevole sul piano degli interventi clinici di cui è
poi fatta oggetto (da diversi medici curanti).
CYYYYYY LYYYYYY 08/11/47 (51) (122/326) 267
--------------------------------------------------------------------------------
LISTA DEI PROBLEMI
----¦----------PROBLEMI ATTIVI-----------¦----------PROBLEMI INATTIVI----------
1996¦LITIASI COLECISTICA MULTIPLA ¦
1997¦K MAMMARIO DX (T1N0M0) G1 ¦quadrantectomia
Massimo Tombesi
“I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva
XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 3
Ciò non vuol dire che sia impossibile costruire una cartella clinica veramente esplicativa di come sta il
paziente, ma solo che i dati che normalmente siamo abituati a considerare essenziali per un inquadramento
del paziente sono in realtà essenziali al massimo per definire il nostro piano di lavoro in base agli strumenti
che siamo abituati ad utilizzare nell’attività clinica.
“Ma come, dottore, non ha messo tutti i miei problemi di stomaco! La cosa principale!” era la stupita af-
fermazione di un paziente che aveva letto il suo certificato da allegare ad una domanda di invalidità. Nella
cartella clinica non ce ne era traccia, anche se certamente il medico ricordava benissimo (e poteva controllare
nella lista delle numerose terapie prescritte e dei numerosi esami praticati) che decine di volte aveva affron-
tato col paziente un problema di “dispepsia”, sicuramente tanto importante nel giudizio che il paziente dava
del suo stato di salute, quanto irrilevante per la commissione che giudica l’invalidità.
La medicina generale è sulla linea di confine tra la clinica e la cultura profana, e da questa posizione
percepisce chiaramente che il suo essere ambito negoziale è diretta espressione di una diversità di prospettive
di cui non può non tenere conto. La negoziazione esprime perciò la necessità di mediare tra diverse culture,
non solo di contrattare l’effettuazione o meno di un esame o di una terapia farmacologica. Ma questo avviene
in modo intuitivo, senza chiare e “legittime” coordinate né strumenti di intervento validati, salvo quelli che
possono derivare dall’esperienza umana e professionale del medico, che la utilizza in modo tanto più rilevan-
te quanto riesce a prescindere, almeno in parte, dall’attività clinica pura.
Metodo sperimentale come procedimento per la produzione di conoscenze
Con l’esperimento, si mette alla prova la realtà, senza che sia però possibile ottenere spiegazioni, ma so-
lo “risposte” all’ipotesi, cioè alla domanda5
. Ma la domanda scaturisce da una selezione dei fatti osservati, e
quindi non può che essere una domanda carica di significati predefiniti, per cui anche la risposta può essere
solo di un certo tipo, e coerente con i presupposti e la natura dell’esperimento. A questo punto diviene essen-
ziale valutare la pertinenza della domanda, cioè il rapporto ed i limiti con cui si lega alla complessità del rea-
le (non l’infinita ed indefinita complessità del reale, ma almeno quella che può interessare da qualche punto
di vista: se è impossibile afferrare e comprendere tutta la complessità, bisogna almeno riconoscerla come
qualità di certe situazioni con cui ci si deve rapportare).
Carattere epidemiologico-statistico, valutazione quantitativa dei rischi, generalizzabilità e riproducibilità
dei risultati, criticità della relazione causa-effetto, definiscono importanti aspetti relativi alla qualità delle co-
noscenze che il medico utilizza nella sua pratica, in cui c’è evidentemente una adesione di fondo ad un mo-
dello scientifico coerente e ben delimitato rispetto a ciò che ne è fuori (anche nella forma del “non ancora
documentato”).
2. I percorsi dei pazienti
Chiedersi quanto sono frequenti i percorsi dei pazienti, è una domanda ingenua. Esistono solo percorsi
dei pazienti, per lo meno al di fuori dei trattamenti sanitari obbligatori. In molti casi questi percorsi prevedo-
no anche l’intervento del medico, ma è logico pensare che ciò avvenga in una parte minima dei casi in cui i
pazienti avvertono qualche malessere6
(tabella 1).
Tabella 1. - Probabilità dei sintomi di portare
ad una consultazione medica
Astenia .......................................................... 1:456
Cefalea .......................................................... 1:184
Disturbi gastrici............................................... 1:109
Mal di schiena................................................. 1:52
Dolore ad un arto inferiore ............................... 1:49
Disturbi psicologico/emotivi .............................. 1:46
Dolore addominale .......................................... 1:29
Turbe mestruali............................................... 1:20
Mal di gola...................................................... 1:18
Dolore toracico................................................ 1:14
Banks, 1985
Questo è anche espressione del fatto che per esperienza i pazienti imparano che molti disturbi cessano
dopo breve tempo. Ma sarebbe altrettanto ingenuo pensare che questo equivalga a dire che i pazienti sanno
Massimo Tombesi
“I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva
XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 4
che certi disturbi sono “autorisolutivi”, come diciamo spesso noi medici, supponendo che la non sommini-
strazione di una terapia medica definita (ad esempio farmacologica) equivalga all’assenza di messa in atto di
qualsiasi provvedimento terapeutico. E’ quasi impossibile che a seguito di un disturbo non vengano messi in
atto provvedimenti di qualche genere, con valenza terapeutica, da parte del paziente. Senza entrare in inutili e
ben noti dettagli7
, si può dire che il sistema profano di cure trova nella guarigione, che avviene spesso in bre-
ve tempo, continue (e numerose) conferme agli occhi del paziente. In pratica, l’esperienza conferma che tali
provvedimenti hanno agito in qualche modo utile. Perciò divengono spesso consuetudini, e se una consuetu-
dine radicata può essere interpretata dal medico come equivalente al placebo, non metterla in atto potrebbe
avere un effetto “nocebo”, il che, molto banalmente, significa che da qualche punto di vista quel percorso
funziona, che non seguirlo non funziona, e che c’è differenza tra consuetudine e nessun intervento.
Oggetti di interesse
Per il paziente, l’oggetto di interesse è il complesso delle modificazioni che la malattia, nel senso
dell’illness non nosograficamente definito, implica nella propria vita. L’illness behaviour rappresenta la “re-
azione immunitaria” del paziente alla malattia (ciò ne esemplifica anche l’enorme variabilità), e questo spie-
ga anche perché vi sono oggi poche condizioni di malessere in cui (stando almeno alle valutazioni dei medici
di famiglia) i pazienti non si rivolgono al medico di medicina generale: non c’è niente di strano nel ricono-
scere che anche in casi banali avvenga una reazione immunitaria di qualche tipo. L’“andare dal medico” può
essere un metodo di risoluzione dei problemi incorporato nell’illness behaviour, in cui l’intervento del medi-
co può essere inquadrato nei termini della “consulenza”, una tra le altre, con più o meno peso.
Valore anche aneddotico della relazione causa-effetto
La definizione delle relazioni causa-effetto, è particolarmente critica in medicina. Specialmente da
quando ha iniziato a prevalere la convinzione che le conoscenze da trasferire alla pratica clinica debbano
fondarsi principalmente (se non esclusivamente) sul criterio dell’efficacia documentata (medicina delle prove
di efficacia), gli strumenti di produzione della conoscenza riguardante l’efficacia hanno raggiunto una estre-
ma raffinatezza nel definire le condizioni sperimentali8
. Ad esempio con i trials clinici randomizzati e con-
trollati, ci si mette in condizione di poter affermare con un elevato grado di certezza (probabilisticamente
calcolato) l’esistenza di relazioni causa-effetto intercorrenti tra intervento praticato ed esiti ottenuti. La com-
plessità di tali dimostrazioni è tale, anche per i medici che utilizzano queste conoscenze, che se la “prova” è
ciò che rende un intervento terapeutico utile o necessario, si può dire che le ragioni più essenziali e profonde
degli interventi terapeutici sono di fatto inaccessibili al paziente. Non a caso si è parlato di “rinuncia
all’autorità della prova” (Stengers, l. cit.) come proposta di condivisione basata sulla pertinenza delle risposte
che la scienza può dare alle persone (sia in campo medico che in altri settori).
Assenza di valutazioni di tipo epidemiologico o statistico
Per il paziente i riferimenti non possono essere che di altra natura, ed assumono significato anche espe-
rienze, proprie o altrui, che i medici definiscono aneddotiche, con una connotazione la cui negatività e irrile-
vanza non sono condivise dal paziente ed esprime a tutti gli effetti il significato di una diversità di senso e di
linguaggio. La dicotomia passa tra “prova” e “possibilità”, ed è abbastanza logico supporre che la possibilità
abbia un significato laddove la prova scientifica è pressoché incomprensibile perché l’evidenza si fonda su
un metodo estraneo e complicato. La singola “possibilità” prevale sulla coerenza della visione complessiva,
che non è ovviamente “scientifica”, ed anzi viene attribuito alla oggettività scientifica (riproducibilità e gene-
ralizzabilità) delle conoscenze uno scarso rilievo, come è esperienza comune di tutti noi. Del resto per fare
un’operazione del genere andrebbe messa tra parentesi la chiara percezione di individualità che il paziente ha
di se stesso, esaltando invece il suo essere parte di una qualche “popolazione” in grado di rappresentarlo nei
suoi tratti essenziali.
Non può che derivarne, agli occhi del clinico un valore “naïf” della sperimentazione intesa dal paziente
in termini di “proviamo”, “tanto non fa male”, ecc. In realtà siamo di fronte al paziente come “ricercatore”
in proprio, che agisce sulla base di una valutazione qualitativa del rischio percepito, perché anche il rischio è
identificato prevalentemente in termini di possibilità più che di definita probabilità.
Sincretismo culturale (il modello scientifico è uno tra altri)
E’ probabile che un medico di medicina generale possa riconoscere in questa descrizione alcune catego-
rie in grado di spiegare comportamenti e percorsi che osserva spesso nei pazienti. Bisogna però riconoscere
Massimo Tombesi
“I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva
XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 5
che una descrizione di questo genere rischia di far identificare i pazienti in modo caricaturale, quasi come se
tentassero di imitare categorie mentali del medico. Ma le ragioni degli autonomi percorsi del paziente non
possono essere lette come tentativo di applicazione in brutta copia degli schemi seguiti invece dal medico.
Non ci sono medesime categorie applicate da un lato in modo scientifico rigoroso e dall’altro in modo super-
ficiale e banalizzato. Le differenze sono più profonde.
La “causa” in medicina non è “il senso” per il paziente; l’aneddoto è il naturale e comprensibile riferi-
mento storico ed esperienziale che può conferire senso per analogia; il processo terapeutico, l’essere ricerca-
tore e quindi co-autore della guarigione rimandano alla necessità del coping durante la malattia; l’oggettività
e la riproducibilità negano l’evidenza della propria individualità, da cui deriva invece la rilevanza del proces-
so terapeutico (“il presente”) rispetto agli esiti della terapia.
Vi sono quindi altre coerenze nei percorsi del paziente, e la diversità dei valori spiega la diversità dei
fatti, delle teorie e delle interpretazioni.
Perché ci interessano i percorsi dei pazienti?
In parte perché esistono, sono spesso autonomi e interferiscono col nostro progetto. Quindi capirli per
poterci intervenire. In parte perché sono una costante delle strategie terapeutiche che il paziente mette in atto,
se non isolatamente, almeno parallelamente alle nostre. Ma in parte anche perché la medicina generale soffre
una crisi di riferimenti. E’ marginale rispetto all’accademia e alla scienza, che costituirebbero in teoria il
proprio riferimento professionale naturale, e si trova a convivere coi pazienti all’interno della comunità pro-
fana, costituendo però l’interfaccia tra di essa e la scienza. C’è la sensazione di dover ridefinire il proprio
ruolo, e le tendenze attuali rendono indispensabile prima di tutto ridefinirlo in funzione (o almeno tenuto
conto) della ridefinizione che i pazienti stanno dando di se stessi. Pazienti, clienti, assistiti, persone, cittadini,
assicurati? E’ chiaro che il punto è cruciale, perché ne derivano diverse legittimazioni dei percorsi dei pa-
zienti, ma anche diverse domande di prestazioni e servizi. Se in certa misura la crisi è espressione di un esse-
re avanti rispetto ad altre realtà professionali in cui la maturazione su questi fatti è minore, dall’altro le sen-
sazioni di insicurezza, di incomprensione, di incertezza, sono in noi molto più vive che altrove.
L’informazione al pubblico
I medici di medicina generale hanno una posizione molto critica sull’informazione che viene data al
pubblico in modo continuo, ossessivo, allarmistico e spesso distorto. Fornire un’informazione corretta, criti-
ca e completa è una questione di civiltà che non dovrebbe tollerare omissioni o carenze, perciò lo sforzo e
l’impegno devoluti a questa impresa sono doverosi9
.
Parlando di percorsi dei pazienti è naturale chiedersi quale sia il peso che oggi ha l’informazione così
pervasiva. Le sensazioni su questo punto sono in realtà divergenti. C’è chi enfatizza molto, anche in base alla
propria esperienza, e chi invece lo considera un modo riduttivo di vedere il problema.
Probabilmente i diversi punti di vista si spiegano perché l’analisi degli effetti viene valutata in modo di-
verso. Da un lato c’è una valutazione banalmente quantitativa (si parla sempre e ovunque di medicina, di ma-
lattie, di terapie nuove, di screening, ecc.). Da questo punto di vista la sensibilità generale delle persone alle
questioni riguardanti la salute non può che essere acuita (e i medici di medicina generale ne fanno un po’ le
spese), ma in fondo nessuno pensa che si dovrebbe tout-court parlare di meno di salute.
Allora bisogna chiedersi come se ne parla, e su questo non c’è dubbio che sia facile essere critici. Tutta-
via se entriamo nel campo della qualità dell’informazione e delle informazioni specifiche in determinati ar-
gomenti, bisogna anche ammettere che sarebbe ben strano pensare di influenzare stabilmente le persone con
messaggi la cui comprensibilità è più bassa di quella dei medici di famiglia, e su questioni che sono spesso
comunque poco sentite perché estranee alla propria esperienza. Quello che vale in un caso, vale anche in un
altro.
Il profluvio di informazioni favorisce il naufragio nell’informazione, come avviene in tutti i campi: ad
esempio, per chi usa Internet è chiarissimo che oggi il problema non è come avere informazioni, ma come
scartarle. L’operazione va a buon fine solo se si mantiene un elevato grado di scetticismo e di critica, altri-
menti ci si perde. I mass-media sono un caso paragonabile. Per rinnovarsi, se non altro, e per mantenere de-
sta l’attenzione, debbono trovare continuamente argomenti nuovi. E più i toni sono allarmistici (le zecche, le
Massimo Tombesi
“I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva
XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 6
zanzare, le epatiti, i tumori, il colesterolo…) più si satura facilmente la capacità di mantenere attenzione, in-
teresse, ed anche allarme, salvo magari il caso dei soggetti particolarmente ansiosi.
L’effetto complessivo dell’informazione è quindi aspecifico, si è creato più che altro uno sfondo. Sicu-
ramente è aumentata l’attenzione alla salute e alla medicina, ma il rumore di fondo è tale che non esiste nes-
sun argomento sul quale le persone abbiano assorbito un atteggiamento costante e coerente nel tempo. Del
resto l’informazione dei media non ha questo scopo, mentre quella di fonte medica è spesso talmente pateti-
ca, che disturba assai di più l’approssimazione, l’evidente contenuto pubblicitario e spesso commerciale delle
informazioni, o al massimo la contraddizione con le informazioni che il medico aveva già dato nel tempo ai
suoi pazienti.
E’ quindi probabile che né la pubblicità dei media, né quella più strettamente “educativa” dei medici
siano in grado di orientare comportamenti stabili nel merito di nessuno specifico ambito “promosso”
all’attenzione del pubblico. Semmai è l’episodicità del coinvolgimento complessivo (razionale o emotivo)
che svolge un notevole “disturbo” agli occhi del medico di medicina generale e che orienta, parimenti in mo-
do episodico, i percorsi dei pazienti. Oggi mi faccio il colesterolo in farmacia, domani l’FSH per vedere se
sono in menopausa, e magari dopodomani controllerò il contenuto calorico dei formaggini. Poi in estate ver-
rà il momento dell’obesità, e dopo un po’ quello delle zanzare.
E’ come se il medico mettesse nel suo studio una bacheca di “educazione sanitaria” lunga venti metri,
pur sapendo che alcuni pazienti riescono a fraintendere persino un cartello con su scritto “torno subito”.
Massimo Tombesi
Bibliografia
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Bosisio M, Parma E, Apolone G, et al. La valutazione dello stato di salute in pazienti ambulatoriali con bronchite
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McWhinney I, A Textbook of Family Medicine. II edition. Oxford UP, 1997, p.153
5
Stengers I: Scienze e Poteri, Bollati Boringhieri,1998
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8
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siero Scientifico editore. Roma, 1994
9
Tombesi , Caimi V. La medicina basata sull’invadenza. La nuova inflazione medica si nasconde nella medicina pre-
ventiva. In “La salute in Italia. Rapporto 1999”: p. 45-66. Ediesse, Roma, 1999

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I percorsi dei pazienti. Introduzione al XII Congresso CSeRMEG (Massimo Tombesi)

  • 1. CSeRMEG Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale XII Congresso - Costermano (VR) 15-17 ottobre 1999 I percorsi del paziente Dalla Evidence Based Medicine alla Patient-Based Medicine Introduzione Lo scopo di questa breve introduzione al Congresso è di mettere in evidenza i nessi con l’argomento del Congresso dello scorso anno, di cui rappresenta in un certo senso la naturale evoluzione1 . In secondo luogo vorrei accennare alla questione dell’informazione al pubblico in ambito sanitario, ar- gomento che viene spontaneo evocare parlando dei percorsi del paziente e quindi dei loro determinanti. La connessione con l’evidence-based medicine è ricordata anche nel titolo che abbiamo dato al congres- so. Ciò che interessa è analizzare i percorsi del paziente proprio quando e in quanto sono diversi, rispetto a quelli teoricamente raccomandabili e fondati (quando e se possibile) su “prove” di forza variabile a seconda delle situazioni. Per il medico di medicina generale è esperienza normale, nell’incontro e nel dialogo che in- tercorre col paziente durante la consultazione, la percezione della diversità di linguaggi e prospettive. Ciò ci costringe da un lato a cercare di capire cosa pensa e cosa vuole il paziente, e poi anche a trovare strumenti e modalità di condivisione ed orientamento dei percorsi che saranno poi effettivamente messi in atto. Tutto questo avviene nel corso della consultazione e ne costituisce l’aspetto comunemente identificato come “ne- goziale”. Non si deve però pensare che i percorsi del paziente siano solo espressione di differenze di vedute sulle quali ci si è confrontati durante la visita. Già il rivolgersi al medico è parte del percorso autonomo del pa- ziente, che notoriamente ha a disposizione molte alternative, di cui di volta in volta può decidere di servirsi o meno, compiendo delle scelte. Il percorso del paziente continua poi anche dopo l’incontro o gli incontri col medico, e si potrebbe dire che la consultazione serve anche a raccogliere elementi che saranno poi utilizzati, assieme ad altri, per effettuare delle scelte, non necessariamente definitive. In un certo senso, il paziente è un “ricercatore”: raccoglie pareri ed informazioni (i suoi dati), li confronta, li giudica in base alla propria espe- rienza e convenienza, compie scelte (le sperimenta) ed in questo modo accresce e modifica la propria espe- rienza, riutilizzandola inevitabilmente ad ogni successivo ed eventuale incontro col medico. La posizione del medico, di qualunque medico anche se forse meno nel caso del medico di medicina ge- nerale, è a rischio di essere male interpretata. Noi vediamo i pazienti solo … quando vanno dal medico, e quindi siamo spontaneamente portati a pensare ad una nostra “centralità” rispetto al percorso e alla storia complessiva del paziente, cosa che non è vera. Peraltro ne deriva che esistono solo percorsi del paziente, an- che quando sono quelli indicati dal medico, ed in un certo senso è ugualmente interessante capire non solo perché a volte i pazienti seguono percorsi propri e difformi da quelli indicati dal medico, ma anche perché, altre volte, seguono invece proprio le indicazioni che abbiamo dato. Il paziente “compliante” e quello “non – compliante” sarebbero, da questo punto di vista, entrambi adeguati oggetti di ricerca rispetto al medesimo tema, ed è interessante anche constatare che una definizione univoca di queste categorie di pazienti si è di- mostrata impossibile, perché non è costante2 . 1. I percorsi della Medicina Precisa definizione degli oggetti di interesse (la malattia nosograficamente descritta) Da un certo punto di vista lo schematismo tassonomico nosografico esprime una via di riduzione della malattia all’essenziale. Il paziente sta molto male perché ad esempio la sua frazione di eiezione ventricolare sinistra è bassa: lo dimostrano gli studi sulla correlazione lineare di questo parametro alla qualità della vita. L’obiettivo diviene aumentare la frazione di eiezione. I sintomi diminuiranno, ma a prezzo di un intervento che rende incommensurabili le prospettive del medico e quelle del paziente. Dalla somma di tali incommen-
  • 2. Massimo Tombesi “I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 2 surabilità, derivano le differenze di significato tra cura, guarigione, intervento medico e obiettivi del pazien- te. Piccoli scostamenti si sommano nel tempo fino a determinare la nascita di mondi diversi in cui si parlano lingue diverse, anche perché il ripristino di una funzione (posto che fosse sempre possibile) non potrebbe mai restituire un paziente uguale a prima: sarebbe come pretendere di privarlo della sua storia. A questo punto il medico comincia a sentire il bisogno di migliorare la propria capacità di comunicare col paziente, cosa che avviene traducendo in modo a lui comprensibile il proprio modo di identificare l’essenziale della malattia. Prevalenza degli esiti (“il futuro”) a cui il processo terapeutico è subordinato. Il medico definisce gli obiettivi della cura, e il percorso da seguire con il piano di trattamento. Ad esem- pio portare la pressione arteriosa almeno a 140/90, l’emoglobina glicosilata sotto a 8 mg% e l’indice di mas- sa corporea sotto a 30 Kg/m², il tutto per mezzo di un inibitore dell’enzima convertente, una dieta che apporti 1400 Kcal al giorno ed una biguanide; inoltre il paziente dovrà camminare mezz’ora al giorno in più, smette- re di fumare e controllarsi ogni tre mesi. E’ sicuro che questi interventi aumenteranno l’attesa di vita del pa- ziente, diminuiranno il suo rischio di complicazioni, e di conseguenza eviteranno un peggioramento della sua qualità della vita, comunque la vogliamo definire. Ma a parte che certe patologie sono croniche, che rapporto c’è tra questi fatti e “la cura” o la guarigione? L’arte di guarire è perduta perché non è mai esistita. E’ sempre esistita solo l’arte di curare, perché solo il paziente può guarirsi. Se si rimane all’interno di una prospettiva clinica, oggi il paziente non è autorizzato a definirsi malato se non tramite il medico che diagnostica ciò da cui è affetto, non è nemmeno autorizzato a definirsi sano, salvo che non ne ottenga certificazione, e di conseguenza non può nemmeno definire autono- mamente un esito che coincida con la propria guarigione. D’altra parte il medico non possiede strumenti di intervento utili a curare, o a far raggiungere una guarigione, che non siano compresi in ambito clinico, anche se questo non vuol certo dire che non ci sia nessun rapporto tra guarigione clinica e condizioni del paziente. L’insufficienza della clinica è però talmente evidente che si è tentato di porre rimedio con strumenti di anali- si e valutazione della “qualità della vita”, considerata complemento essenziale della valutazione del paziente, senza il quale si perde una parte importantissima della capacità di caratterizzarlo3 . In certe condizioni di ma- lessere, anche importante, la clinica non riesce nemmeno a pervenire ad una chiara diagnosi circostanziata4 , mentre in altri casi la diagnosi medesima non dà che una pallida immagine della natura complessiva dell’infermità. Basterebbe leggere le cartelle cliniche di qualunque paziente, anche quelle del medico di me- dicina generale, per accorgersi che è sostanzialmente impossibile capire esattamente “come sta” quel pazien- te senza averlo di fronte (e magari in quel caso può bastare solo uno sguardo per capire molto di più di quan- to non dica una cartella clinica). Ad esempio, queste due pazienti non hanno segni di progressione del tumore da cui sono state affette, ma mentre la prima sta benissimo (almeno per quanto giudicabile dal medico): BXXXX LXXXXX 12/07/38 (61) (122/326) 37 -------------------------------------------------------------------------------- LISTA DEI PROBLEMI ----¦----------PROBLEMI ATTIVI-----------¦----------PROBLEMI INATTIVI---------- 1950¦cefalea essenziale ¦ 1982¦ ¦IPERTIROIDISMO (M. DI BASEDOW) 1983¦ ¦tiroidectomia subtotale 1985¦artrosi lombo-sacrale ¦ 1990¦tachicardia parossistica ¦ 1994¦K MAMMARIO SX (T3N1M0) ¦mastectomia totale 1994¦ ¦chemioterapia adiuvante (CMF) quest’altra sta invece malissimo, per motivi in piccola parte correlati a quanto scritto nella cartella, ed in par- te per non legati a patologie, ma che hanno un’influenza notevole sul piano degli interventi clinici di cui è poi fatta oggetto (da diversi medici curanti). CYYYYYY LYYYYYY 08/11/47 (51) (122/326) 267 -------------------------------------------------------------------------------- LISTA DEI PROBLEMI ----¦----------PROBLEMI ATTIVI-----------¦----------PROBLEMI INATTIVI---------- 1996¦LITIASI COLECISTICA MULTIPLA ¦ 1997¦K MAMMARIO DX (T1N0M0) G1 ¦quadrantectomia
  • 3. Massimo Tombesi “I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 3 Ciò non vuol dire che sia impossibile costruire una cartella clinica veramente esplicativa di come sta il paziente, ma solo che i dati che normalmente siamo abituati a considerare essenziali per un inquadramento del paziente sono in realtà essenziali al massimo per definire il nostro piano di lavoro in base agli strumenti che siamo abituati ad utilizzare nell’attività clinica. “Ma come, dottore, non ha messo tutti i miei problemi di stomaco! La cosa principale!” era la stupita af- fermazione di un paziente che aveva letto il suo certificato da allegare ad una domanda di invalidità. Nella cartella clinica non ce ne era traccia, anche se certamente il medico ricordava benissimo (e poteva controllare nella lista delle numerose terapie prescritte e dei numerosi esami praticati) che decine di volte aveva affron- tato col paziente un problema di “dispepsia”, sicuramente tanto importante nel giudizio che il paziente dava del suo stato di salute, quanto irrilevante per la commissione che giudica l’invalidità. La medicina generale è sulla linea di confine tra la clinica e la cultura profana, e da questa posizione percepisce chiaramente che il suo essere ambito negoziale è diretta espressione di una diversità di prospettive di cui non può non tenere conto. La negoziazione esprime perciò la necessità di mediare tra diverse culture, non solo di contrattare l’effettuazione o meno di un esame o di una terapia farmacologica. Ma questo avviene in modo intuitivo, senza chiare e “legittime” coordinate né strumenti di intervento validati, salvo quelli che possono derivare dall’esperienza umana e professionale del medico, che la utilizza in modo tanto più rilevan- te quanto riesce a prescindere, almeno in parte, dall’attività clinica pura. Metodo sperimentale come procedimento per la produzione di conoscenze Con l’esperimento, si mette alla prova la realtà, senza che sia però possibile ottenere spiegazioni, ma so- lo “risposte” all’ipotesi, cioè alla domanda5 . Ma la domanda scaturisce da una selezione dei fatti osservati, e quindi non può che essere una domanda carica di significati predefiniti, per cui anche la risposta può essere solo di un certo tipo, e coerente con i presupposti e la natura dell’esperimento. A questo punto diviene essen- ziale valutare la pertinenza della domanda, cioè il rapporto ed i limiti con cui si lega alla complessità del rea- le (non l’infinita ed indefinita complessità del reale, ma almeno quella che può interessare da qualche punto di vista: se è impossibile afferrare e comprendere tutta la complessità, bisogna almeno riconoscerla come qualità di certe situazioni con cui ci si deve rapportare). Carattere epidemiologico-statistico, valutazione quantitativa dei rischi, generalizzabilità e riproducibilità dei risultati, criticità della relazione causa-effetto, definiscono importanti aspetti relativi alla qualità delle co- noscenze che il medico utilizza nella sua pratica, in cui c’è evidentemente una adesione di fondo ad un mo- dello scientifico coerente e ben delimitato rispetto a ciò che ne è fuori (anche nella forma del “non ancora documentato”). 2. I percorsi dei pazienti Chiedersi quanto sono frequenti i percorsi dei pazienti, è una domanda ingenua. Esistono solo percorsi dei pazienti, per lo meno al di fuori dei trattamenti sanitari obbligatori. In molti casi questi percorsi prevedo- no anche l’intervento del medico, ma è logico pensare che ciò avvenga in una parte minima dei casi in cui i pazienti avvertono qualche malessere6 (tabella 1). Tabella 1. - Probabilità dei sintomi di portare ad una consultazione medica Astenia .......................................................... 1:456 Cefalea .......................................................... 1:184 Disturbi gastrici............................................... 1:109 Mal di schiena................................................. 1:52 Dolore ad un arto inferiore ............................... 1:49 Disturbi psicologico/emotivi .............................. 1:46 Dolore addominale .......................................... 1:29 Turbe mestruali............................................... 1:20 Mal di gola...................................................... 1:18 Dolore toracico................................................ 1:14 Banks, 1985 Questo è anche espressione del fatto che per esperienza i pazienti imparano che molti disturbi cessano dopo breve tempo. Ma sarebbe altrettanto ingenuo pensare che questo equivalga a dire che i pazienti sanno
  • 4. Massimo Tombesi “I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 4 che certi disturbi sono “autorisolutivi”, come diciamo spesso noi medici, supponendo che la non sommini- strazione di una terapia medica definita (ad esempio farmacologica) equivalga all’assenza di messa in atto di qualsiasi provvedimento terapeutico. E’ quasi impossibile che a seguito di un disturbo non vengano messi in atto provvedimenti di qualche genere, con valenza terapeutica, da parte del paziente. Senza entrare in inutili e ben noti dettagli7 , si può dire che il sistema profano di cure trova nella guarigione, che avviene spesso in bre- ve tempo, continue (e numerose) conferme agli occhi del paziente. In pratica, l’esperienza conferma che tali provvedimenti hanno agito in qualche modo utile. Perciò divengono spesso consuetudini, e se una consuetu- dine radicata può essere interpretata dal medico come equivalente al placebo, non metterla in atto potrebbe avere un effetto “nocebo”, il che, molto banalmente, significa che da qualche punto di vista quel percorso funziona, che non seguirlo non funziona, e che c’è differenza tra consuetudine e nessun intervento. Oggetti di interesse Per il paziente, l’oggetto di interesse è il complesso delle modificazioni che la malattia, nel senso dell’illness non nosograficamente definito, implica nella propria vita. L’illness behaviour rappresenta la “re- azione immunitaria” del paziente alla malattia (ciò ne esemplifica anche l’enorme variabilità), e questo spie- ga anche perché vi sono oggi poche condizioni di malessere in cui (stando almeno alle valutazioni dei medici di famiglia) i pazienti non si rivolgono al medico di medicina generale: non c’è niente di strano nel ricono- scere che anche in casi banali avvenga una reazione immunitaria di qualche tipo. L’“andare dal medico” può essere un metodo di risoluzione dei problemi incorporato nell’illness behaviour, in cui l’intervento del medi- co può essere inquadrato nei termini della “consulenza”, una tra le altre, con più o meno peso. Valore anche aneddotico della relazione causa-effetto La definizione delle relazioni causa-effetto, è particolarmente critica in medicina. Specialmente da quando ha iniziato a prevalere la convinzione che le conoscenze da trasferire alla pratica clinica debbano fondarsi principalmente (se non esclusivamente) sul criterio dell’efficacia documentata (medicina delle prove di efficacia), gli strumenti di produzione della conoscenza riguardante l’efficacia hanno raggiunto una estre- ma raffinatezza nel definire le condizioni sperimentali8 . Ad esempio con i trials clinici randomizzati e con- trollati, ci si mette in condizione di poter affermare con un elevato grado di certezza (probabilisticamente calcolato) l’esistenza di relazioni causa-effetto intercorrenti tra intervento praticato ed esiti ottenuti. La com- plessità di tali dimostrazioni è tale, anche per i medici che utilizzano queste conoscenze, che se la “prova” è ciò che rende un intervento terapeutico utile o necessario, si può dire che le ragioni più essenziali e profonde degli interventi terapeutici sono di fatto inaccessibili al paziente. Non a caso si è parlato di “rinuncia all’autorità della prova” (Stengers, l. cit.) come proposta di condivisione basata sulla pertinenza delle risposte che la scienza può dare alle persone (sia in campo medico che in altri settori). Assenza di valutazioni di tipo epidemiologico o statistico Per il paziente i riferimenti non possono essere che di altra natura, ed assumono significato anche espe- rienze, proprie o altrui, che i medici definiscono aneddotiche, con una connotazione la cui negatività e irrile- vanza non sono condivise dal paziente ed esprime a tutti gli effetti il significato di una diversità di senso e di linguaggio. La dicotomia passa tra “prova” e “possibilità”, ed è abbastanza logico supporre che la possibilità abbia un significato laddove la prova scientifica è pressoché incomprensibile perché l’evidenza si fonda su un metodo estraneo e complicato. La singola “possibilità” prevale sulla coerenza della visione complessiva, che non è ovviamente “scientifica”, ed anzi viene attribuito alla oggettività scientifica (riproducibilità e gene- ralizzabilità) delle conoscenze uno scarso rilievo, come è esperienza comune di tutti noi. Del resto per fare un’operazione del genere andrebbe messa tra parentesi la chiara percezione di individualità che il paziente ha di se stesso, esaltando invece il suo essere parte di una qualche “popolazione” in grado di rappresentarlo nei suoi tratti essenziali. Non può che derivarne, agli occhi del clinico un valore “naïf” della sperimentazione intesa dal paziente in termini di “proviamo”, “tanto non fa male”, ecc. In realtà siamo di fronte al paziente come “ricercatore” in proprio, che agisce sulla base di una valutazione qualitativa del rischio percepito, perché anche il rischio è identificato prevalentemente in termini di possibilità più che di definita probabilità. Sincretismo culturale (il modello scientifico è uno tra altri) E’ probabile che un medico di medicina generale possa riconoscere in questa descrizione alcune catego- rie in grado di spiegare comportamenti e percorsi che osserva spesso nei pazienti. Bisogna però riconoscere
  • 5. Massimo Tombesi “I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 5 che una descrizione di questo genere rischia di far identificare i pazienti in modo caricaturale, quasi come se tentassero di imitare categorie mentali del medico. Ma le ragioni degli autonomi percorsi del paziente non possono essere lette come tentativo di applicazione in brutta copia degli schemi seguiti invece dal medico. Non ci sono medesime categorie applicate da un lato in modo scientifico rigoroso e dall’altro in modo super- ficiale e banalizzato. Le differenze sono più profonde. La “causa” in medicina non è “il senso” per il paziente; l’aneddoto è il naturale e comprensibile riferi- mento storico ed esperienziale che può conferire senso per analogia; il processo terapeutico, l’essere ricerca- tore e quindi co-autore della guarigione rimandano alla necessità del coping durante la malattia; l’oggettività e la riproducibilità negano l’evidenza della propria individualità, da cui deriva invece la rilevanza del proces- so terapeutico (“il presente”) rispetto agli esiti della terapia. Vi sono quindi altre coerenze nei percorsi del paziente, e la diversità dei valori spiega la diversità dei fatti, delle teorie e delle interpretazioni. Perché ci interessano i percorsi dei pazienti? In parte perché esistono, sono spesso autonomi e interferiscono col nostro progetto. Quindi capirli per poterci intervenire. In parte perché sono una costante delle strategie terapeutiche che il paziente mette in atto, se non isolatamente, almeno parallelamente alle nostre. Ma in parte anche perché la medicina generale soffre una crisi di riferimenti. E’ marginale rispetto all’accademia e alla scienza, che costituirebbero in teoria il proprio riferimento professionale naturale, e si trova a convivere coi pazienti all’interno della comunità pro- fana, costituendo però l’interfaccia tra di essa e la scienza. C’è la sensazione di dover ridefinire il proprio ruolo, e le tendenze attuali rendono indispensabile prima di tutto ridefinirlo in funzione (o almeno tenuto conto) della ridefinizione che i pazienti stanno dando di se stessi. Pazienti, clienti, assistiti, persone, cittadini, assicurati? E’ chiaro che il punto è cruciale, perché ne derivano diverse legittimazioni dei percorsi dei pa- zienti, ma anche diverse domande di prestazioni e servizi. Se in certa misura la crisi è espressione di un esse- re avanti rispetto ad altre realtà professionali in cui la maturazione su questi fatti è minore, dall’altro le sen- sazioni di insicurezza, di incomprensione, di incertezza, sono in noi molto più vive che altrove. L’informazione al pubblico I medici di medicina generale hanno una posizione molto critica sull’informazione che viene data al pubblico in modo continuo, ossessivo, allarmistico e spesso distorto. Fornire un’informazione corretta, criti- ca e completa è una questione di civiltà che non dovrebbe tollerare omissioni o carenze, perciò lo sforzo e l’impegno devoluti a questa impresa sono doverosi9 . Parlando di percorsi dei pazienti è naturale chiedersi quale sia il peso che oggi ha l’informazione così pervasiva. Le sensazioni su questo punto sono in realtà divergenti. C’è chi enfatizza molto, anche in base alla propria esperienza, e chi invece lo considera un modo riduttivo di vedere il problema. Probabilmente i diversi punti di vista si spiegano perché l’analisi degli effetti viene valutata in modo di- verso. Da un lato c’è una valutazione banalmente quantitativa (si parla sempre e ovunque di medicina, di ma- lattie, di terapie nuove, di screening, ecc.). Da questo punto di vista la sensibilità generale delle persone alle questioni riguardanti la salute non può che essere acuita (e i medici di medicina generale ne fanno un po’ le spese), ma in fondo nessuno pensa che si dovrebbe tout-court parlare di meno di salute. Allora bisogna chiedersi come se ne parla, e su questo non c’è dubbio che sia facile essere critici. Tutta- via se entriamo nel campo della qualità dell’informazione e delle informazioni specifiche in determinati ar- gomenti, bisogna anche ammettere che sarebbe ben strano pensare di influenzare stabilmente le persone con messaggi la cui comprensibilità è più bassa di quella dei medici di famiglia, e su questioni che sono spesso comunque poco sentite perché estranee alla propria esperienza. Quello che vale in un caso, vale anche in un altro. Il profluvio di informazioni favorisce il naufragio nell’informazione, come avviene in tutti i campi: ad esempio, per chi usa Internet è chiarissimo che oggi il problema non è come avere informazioni, ma come scartarle. L’operazione va a buon fine solo se si mantiene un elevato grado di scetticismo e di critica, altri- menti ci si perde. I mass-media sono un caso paragonabile. Per rinnovarsi, se non altro, e per mantenere de- sta l’attenzione, debbono trovare continuamente argomenti nuovi. E più i toni sono allarmistici (le zecche, le
  • 6. Massimo Tombesi “I percorsi del paziente” - Relazione introduttiva XII Congresso CSeRMEG – Costermano 15-17 ottobre 1999 6 zanzare, le epatiti, i tumori, il colesterolo…) più si satura facilmente la capacità di mantenere attenzione, in- teresse, ed anche allarme, salvo magari il caso dei soggetti particolarmente ansiosi. L’effetto complessivo dell’informazione è quindi aspecifico, si è creato più che altro uno sfondo. Sicu- ramente è aumentata l’attenzione alla salute e alla medicina, ma il rumore di fondo è tale che non esiste nes- sun argomento sul quale le persone abbiano assorbito un atteggiamento costante e coerente nel tempo. Del resto l’informazione dei media non ha questo scopo, mentre quella di fonte medica è spesso talmente pateti- ca, che disturba assai di più l’approssimazione, l’evidente contenuto pubblicitario e spesso commerciale delle informazioni, o al massimo la contraddizione con le informazioni che il medico aveva già dato nel tempo ai suoi pazienti. E’ quindi probabile che né la pubblicità dei media, né quella più strettamente “educativa” dei medici siano in grado di orientare comportamenti stabili nel merito di nessuno specifico ambito “promosso” all’attenzione del pubblico. Semmai è l’episodicità del coinvolgimento complessivo (razionale o emotivo) che svolge un notevole “disturbo” agli occhi del medico di medicina generale e che orienta, parimenti in mo- do episodico, i percorsi dei pazienti. Oggi mi faccio il colesterolo in farmacia, domani l’FSH per vedere se sono in menopausa, e magari dopodomani controllerò il contenuto calorico dei formaggini. Poi in estate ver- rà il momento dell’obesità, e dopo un po’ quello delle zanzare. E’ come se il medico mettesse nel suo studio una bacheca di “educazione sanitaria” lunga venti metri, pur sapendo che alcuni pazienti riescono a fraintendere persino un cartello con su scritto “torno subito”. Massimo Tombesi Bibliografia 1 Tombesi M. Le strade e i confini della evidence based medicine: dal caso Di Bella alle trappole della prevenzione. Relazione all’XI Congresso dello CSeRMEG. Soragna (PR), 1998 2 Vebeek-Heida. How Patients Look at Drug Therapy: Consequences for Therapy Negotiations in Medical Consulta- tions. Fam Pract 1993;10:326-9 3 Bosisio M, Parma E, Apolone G, et al. La valutazione dello stato di salute in pazienti ambulatoriali con bronchite cronica. Uno studio di esito nella medicina generale. Ricerca & Pratica 1996;12:55-62 4 McWhinney I, A Textbook of Family Medicine. II edition. Oxford UP, 1997, p.153 5 Stengers I: Scienze e Poteri, Bollati Boringhieri,1998 6 Banks et al. 1975: Factors influencing demand for primary medical care in women aged 20-44 years: a preliminary report. Iternational Journal of Epidemiology, 4, 189. 7 Freidson E. Client Control and Medical Practice, in Am J of Sociology 1960;65:374-382 8 Marchioli R, Tognoni G. Cause-effetti in medicina. Logica e strumenti di valutazione clinico-epidemiologica. Il Pen- siero Scientifico editore. Roma, 1994 9 Tombesi , Caimi V. La medicina basata sull’invadenza. La nuova inflazione medica si nasconde nella medicina pre- ventiva. In “La salute in Italia. Rapporto 1999”: p. 45-66. Ediesse, Roma, 1999