3. Kant, con la sua «rivoluzione copernicana» ha avuto il merito di
far emergere una specifica attitudine, che possiamo chiamare
sguardo epistemologico, attingendo a una possibile derivazione
etimologica del termine epistemologia alternativa a quella usuale,
e che fa riferimento alla necessità di raggiungere lo strato
profondo del capire, quello dell’epistemologia, appunto.
Epistemologia è un termine che etimologicamente deriva dalle
due parole greche ἐπιστήμη (discorso) e λόγος (scienza) e
significa dunque, nell’accezione che usualmente ne viene data,
«discorso intorno alla scienza», alla scienza della politica, in
questo caso.
LO «SGUARDO EPISTEMOLOGICO»
4. Ma c’è un’altra possibile derivazione etimologica, più interessante nel
nostro caso, dal prefisso della lingua greca ἐπὶ (che significa «su» o
«sopra») e dal verbo ἴσταμαι (che significa «stare»): in questo modo
il termine può essere tradotto letteralmente come uno «stare sopra»
o un «sovrastare». A questo significato si ricollega la parola inglese
understanding, con la sola differenza che, in questo caso, anziché di
uno stare sopra si parla di uno «stare sotto». La versione tedesca di
questa facoltà cognitiva, ver-stehen, è più complessa, in quanto si
compone del verbo Stehen, che significa ancora una volta «stare» (in
piedi) accompagnato dal prefisso ver-, che porta in sé un senso di
allontanamento, di perdita, di cambiamento e di capovolgimento. In
tutti e tre i casi i significati convergono nel rimandare, comunque, a
un cambiamento di quota e di livello, il quale, sia che avvenga verso
l’alto o verso il basso, evidenzia la necessità di discostarsi dalla
superficie del discorso per andare giù, in profondità, o innalzarsi a un
punto di vista superiore.
LO «SGUARDO EPISTEMOLOGICO»
5. Questo tipo di sguardo è alla base dell’operazione del criticismo,
per cui il pensiero deve esercitare una critica dei suoi stessi
principi ed esprimere un giudizio su di sé, attraverso il criterio che
esso stessa si dà. Qui si gioca il suo stesso “diritto all’esistenza”,
la sua stessa condizione di possibilità. E non a caso Kant,
allorché nella prima edizione della Critica della ragion pura (1781)
definisce l’orizzonte della critica, si riferisce al diritto, inaugurando
tutto un insieme di metafore giuridiche che caratterizzano la sua
opera maggiore:
«La nostra epoca è la vera e propria epoca della critica, cui tutto
deve sottomettersi. La religione mediante la sua santità e la
legislazione mediante la sua maestà vogliono di solito sottrarsi
alla critica. Ma in tal caso esse suscitano contro di sé un giusto
sospetto e non possono pretendere un rispetto senza finzione,
che la ragione concede soltanto a ciò che ha potuto superare il
suo esame libero e pubblico».
LO «SGUARDO EPISTEMOLOGICO»
6. Alla base della "rivoluzione copernicana" di Kant vi è infatti la
distinzione tra la "questione di diritto" e la "questione di fatto”
presentata nei termini seguenti:
«I giuristi, quando trattano di facoltà e pretese, distinguono in una
questione giuridica quel che è di diritto (quid iuris) da ciò che si
attiene al fatto (quid facti) ; ed esigendo la dimostrazione dell'uno
e dell'altro punto, chiamano la prima, quella che deve dimostrare il
diritto, o anche la pretesa, deduzione. Noi ci serviamo di una
quantità di concetti empirici senza opposizione da parte di
nessuno; e ci sentiamo autorizzati, anche senza deduzione, ad
attribuir loro un senso e una portata quale noi ce l'immaginiamo,
perché in ogni tempo noi disponiamo dell'esperienza per provare
la loro realtà obbiettiva».
Kant, Critica della ragion pura, tr. it. di G. Gentile e G. Lombardo-
Radice, Laterza, Bari, 19659, p. 127
QUID IURIS E QUID FACTI
7. Cosa del tutto diversa è farne una questione riguardante
il diritto, «che ha sempre bisogno di essere dedotto;
giacché per la legittimità di un tal uso non sono
sufficienti le prove ricavate dall'esperienza [...] Chiamo
quindi deduzione trascendentale la spiegazione del
modo in cui concetti a priori si possano riferire ad
oggetti, e la distinguo dalla deduzione empirica, la quale
mostra in che modo un concetto è acquisito per mezzo
dell'esperienza e della riflessione su di essa, e quindi
riguarda, non la legittimità, ma il fatto onde risulta il
possesso».
Kant, Critica della ragion pura, tr. it. di G. Gentile e G. Lombardo
Radice, Laterza, Bari, 19659, pp. 126-127
QUID IURIS E QUID FACTI
8. La cosa non è data o prodotta da se stessa nel o per il
soggetto – essa è conosciuta per il suo criterio, che la
discerne, la distingue e così la afferra’. Conviene ancora
acquisire o riconoscere questo criterio stesso – e non
sbagliarsi sotto gli effetti di un pathos, attribuendo male
dei segni e aderendo così al cattivo doppio di una
phantasia, a un phantasma.
L’architettonica della ragione viene compresa come lo
spazio dei suoi giudizi, come il criterio secondo cui sono
ordinati i suoi idiomi, i suoi termini. Si può allora parlare
di un “carattere giuridico” del kantismo, proprio nel
definire quel progetto di delimitazione della conoscenza
che abbiamo delineato.
QUID IURIS E QUID FACTI
9. La filosofia è chiamata alla critica. La sua stessa nascita
ne impone l’utilizzo nella forma della krisis, di quel
giudizio sulla realtà che passa attraverso lo strumento
del linguaggio, e che attraverso il linguaggio cerca di
comprendersi, di riflettere su di sé, nel momento
stesso in cui riflette sulle forme del suo utilizzo.
QUID IURIS E QUID FACTI
10. Derrida riassume la questione in questi termini:
«Il kantismo non è solamente una rete potentemente
organizzata di limiti concettuali, una critica, una
metafisica, una dialettica, una disciplina della ragion
pura. Si tratta di un discorso che si presenta come
progetto essenziale di delimitazione: pensiero del
limite come posizione del limite, fondazione o
legittimazione del giudizio su questi limiti. La scena
di questa posizione e di questa legittimazione, di questa
posizione legittimante, è strutturalmente e
indissociabilmente giuridico-politico-filosofica».
Jacques Derrida, Du droit à la philosophie, Galilée, Paris, 1990 (trad. it. parziale
Del diritto alla filosofia, a cura di Francesco Garritano, Abramo, Catanzaro,
1999, pp. 89-90).
QUID IURIS E QUID FACTI
11. Il tribunale della filosofia è destinato all’autonomia, che da sola e
per sua esigenza decide di collocarsi in uno “spazio giudiziario”,
dove la lettura si presenta come un processo, che va in cerca non
soltanto delle prove e delle testimonianze, ma anche è soprattutto
delle sue modalità, della struttura che lo rende possibile. Kant
compie una volta per tutte questo passo decisivo. “Processando”
la stessa lettura, il filosofo afferma il quid juris, il proprio diritto a
giudicare i giudici. Dove la filosofia ha il compito di correggere i
lapsus judicii, nel senso proprio di determinare i confini di quei
termini che ci portano a sbagliare il giudizio, o a non riuscire a
comprendere la realtà attraverso il nostro giudizio e il suo
procedimento analogico. Si deve quindi aprire il “tribunale della
ragione” per far sì che vi sia un giudizio.
QUID IURIS E QUID FACTI
12. La scienza stessa – nell’auspicio kantiano, nella stessa indagine
su quella scienza che potrebbe essere la filosofia, secondo il
dettato che caratterizza la Critica della ragion pura, “se la
metafisica possa essere considerata una scienza” – si presenta
come un’analogia del giudizio, e il metodo di questa scienza delle
analogie è la critica. Una critica che accade nello specchio della
filosofia, nel suo stesso criticarsi. Perché la filosofia può porsi
come scienza umana – anche oltre le prerogative fondazionaliste,
che la collocano in una posizione privilegiata rispetto alle scienze
particolari, o la possibilità che tali scienze possano rivendicare
una autonomia, una capacità di darsi da sole le proprie leggi –
soltanto riprendendo questo istinto critico, e facendone il cuore di
un approccio autocritico.
QUID IURIS E QUID FACTI
13. Il problema della conoscenza, a giudizio di Kant, può essere convenientemente
affrontato e risolto solo ponendosi nella prospettiva di definire quella che egli
stesso chiama una “geografia della ragione umana”, sforzandosi cioè di
delineare lo spazio di legittima pertinenza di quest’ultima, tracciandone i confini.
Nella Critica della ragion pura, come si sa, viene attribuito a Hume il merito di
aver compiuto il primo passo in questa direzione: «Il complesso di tutti gli
oggetti possibili è, per la nostra conoscenza, come una superficie piana, che ha
il suo orizzonte apparente, quello, cioè, che abbraccia tutto l’ambito di essi, ed
è stato detto da noi il concetto razionale della totalità incondizionata.
Raggiungerlo empiricamente è impossibile, e tutti i tentativi per determinarlo a
priori secondo un certo principio sono stati vani. Intanto tutte le questioni della
nostra ragion pura mirano a ciò che può essere fuori di questo orizzonte, o in
ogni caso sulla linea del suo confine.
Il celebre David Hume fu uno di questi geografi della ragione umana, che
credette di essersi bene sbrigato a un tratto di quelle questioni, restringendole
al di là di quell’orizzonte di essa, che egli pur non poté determinare».
I. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice,
Laterza, Bari, 19659, p. 593 (Il corsivo è mio).
QUID IURIS E QUID FACTI
14. Stabilito che il problema della conoscenza non può essere risolto
né empiricamente, né seguendo la via delle determinazioni a
priori, Kant attribuisce al soggetto l’incombenza e la funzione di
dettare le regole e di tracciare i confini idonei a garantire la
disponibilità di un mondo empirico stabile e regolare. Questo è il
senso generale della rivoluzione copernicana, il cui “nucleo” è
costituito dall’idea che la realtà non possa essere conosciuta
attraverso una visione diretta, che punta lo sguardo su di essa
senza mediazioni, ma soltanto attraverso una visione indiretta (lo
sguardo epistemologico», appunto) che passa prioritariamente e
obbligatoriamente attraverso il soggetto e gli strumenti percettivi e
cognitivi di cui egli dispone e li utilizza come uno specchio
mediante il quale affrontare l’oggetto della conoscenza e venire a
capo dei problemi che la conoscenza medesima pone.
QUID IURIS E QUID FACTI
17. “La voix, mais aussi les yeux. Les yeux, la voix”: così Gilles
Deleuze nel saggio da lui dedicato al pensiero di Foucault
(Foucault, Les Éditions de Minuit, Paris 1986) in cui compare un §
intitolato “Les strates ou formations historiques: le visible et
l’énonçable (savoir)” da cui è estratto il passo citato (p. 58).
Si può credere che si parli di ciò che si vede, che si veda ciò di
cui si parla e che le due azioni siano concatenate, dando per
scontata la convergenza e la sintonia tra visibile e dicibile
soltanto all’interno di una prospettiva rigorosamente empiristica
che assuma come presupposto indiscutibile non solo l’esistenza
delle cose, come la pipa, ma la possibilità di considerarle e
osservarle in sé e per sé, indipendentemente da qualsivoglia
mediazione linguistica.
L’IMMAGINE E LA VOCE
18. Se manca questo comune riferimento alle cose come mezzi
sublinguistici neutrali, che garantiscono la possibilità di traduzione
da un codice all’altro e la correttezza di questa traduzione,
l’immagine e la voce si scoprono privi di relazione reciproca e
irrelati: un visibile, l’immagine della pipa, che non potrà che
essere visto e un enunciato, «Ceci n'est pas une pipe», che non
potrà che essere detto, l’una senza rapporto con l’altro.
È questa la Trahison des images che dà il titolo a questo dipinto a
olio su tela del pittore surrealista belga René Magritte, realizzato
nel 1928-29.
L’IMMAGINE E LA VOCE
19. Quello che Magritte chiama “tradimento delle immagini” è la presa
d’atto del fatto che i due piani, quello della vista e quello della
parola, vanno separati, disposti parallelamente senza alcuna
possibilità di connessione e di interazione: abbiamo così una
parola cieca e una visione muta: una parola che si trasforma in
phoné, in pura e semplice emissione vocale, e un’immagine che
diventa pura visione, e che cessa pertanto di essere espressione
esteriore del pensiero e del linguaggio e loro estrinsecazione.
Essa acquisisce una totale autonomia in virtù della quale si
presenta come immagine in se stessa, puro visibile appunto, che
esclude ogni riferimento ad altri codici.
L’IMMAGINE E LA VOCE
20. COSÌ È SE VI PARE
Così è se vi pare è un’opera teatrale tratta dalla novella La
signora Frola e il signor Ponza, suo genero. Fu rappresentata
per la prima volta il 18 giugno 1917 e ne fu presentata una
nuova edizione arricchita e completamente modificata nel 1925.
L’opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello:
l’inconoscibilità del reale, di cui possono essere date versioni e
interpretazioni differenti a seconda del punto di vista adottato.
Ci si trova così di fronte a un’impossibilità a conoscere la verità
assoluta, che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi.
Il tema avrà molteplici sviluppi non solo nella filosofia, ma anche
nell’arte contemporanea e nel cinema: paradigmatico,da questo
punto di vista, può essere considerato il magistrale film del 1950
Rashōmon (lett. "La porta nelle mura difensive”) di Akira
Kurosawa.
21. COSÌ È SE VI PARE
Il tema avrà molteplici sviluppi non solo nella filosofia, ma anche
nell’arte contemporanea e nel cinema: paradigmatico,da questo
punto di vista, può essere considerato il magistrale film del 1950
Rashōmon (lett. "La porta nelle mura difensive”) di Akira
Kurosawa.
La trama è nota: un samurai viene assassinato e le tre
testimonianze appaiono al tempo stesso vere e false. Perché
ognuna è dominata daglI interessi di chi le racconta. Gli angoli
visuali incidono in modo determinante sulla rappresentazione,
sulle derivate narrazioni e conseguente stessa costruzione, o
creazione, della “realtà”. Vista come appare a soggetti diversi.
Ciò che si riporta con le parole, pure da conoscenze
approfondite e da testimonianze davanti a realtà in apparenza
non ambigue, è solo interpretazione.
22. COSÌ È SE VI PARE: LA TRAMA
La vita di una tranquilla cittadina di provincia è sconvolta
dall'arrivo di un nuovo impiegato, il Signor Ponza, e della
suocera, la Signora Frola, scampati ad un terribile terremoto
nella Marsica. Si mormora, tuttavia, che assieme ai due sia
giunta in città anche la moglie del Signor Ponza, anche se
nessuno l'ha mai vista. I coniugi Ponza alloggiano all'ultimo
piano di un caseggiato periferico, mentre la Signora Frola vive in
un elegante appartamentino. Il trio suscita la curiosità del paese
e viene coinvolto nelle chiacchiere degli abitanti, che suscitano
l’ilarità di Lamberto Laudisi, convinto dell’impossibilità di
conoscere gli altri e la loro vera storia.
23. COSÌ È SE VI PARE: LA TRAMA
Il signor Ponza viene sottoposto a un interrogatorio, durante il quale
dichiara la pazzia della suocera, che, a suo dire è impazzita a causa della
morte della figlia Lina, sua prima moglie, e si è convinta che Giulia
(seconda moglie) sia in realtà la figlia ancora viva.
Successivamente, però, entra la signora Frola che, resasi conto di essere
stata trattata come una pazza, rivolge la stessa accusa al genero: lui è
pazzo, almeno nel considerare Giulia come seconda moglie. Afferma che,
dopo la lunga assenza della moglie in una casa di cura, egli non l'avesse
più riconosciuta, e non l'avrebbe più accettata in casa se non si fossero
svolte delle seconde nozze, come se si trattasse di una seconda donna.
Tutti sono sbalorditi, non sapendo più cosa pensare, eccetto Laudisi che
prorompe in una sonora risata.
La ricerca delle prove per determinare la verità è in realtà l'occasione per
Laudisi di svelare il senso di quest'opera: egli polemizza con la fiducia
affidata ai "dati di fatto" e rivendica uguale realtà al "fantasma" della
costruzione soggettiva, affermando in questo modo l'insolubilità
dell'enigma.
24. COSÌ È SE VI PARE: SIGNIFICATO
Di particolare interesse, dal nostro punto di vista, è il dialogo di
Laudisi con la propria immagine riflessa nello specchio:
« Eh caro! chi è il pazzo di noi due? Eh lo so: io dico TU! e tu col
dito indichi me. Va là che, a tu per tu, ci conosciamo bene noi due.
Il guaio è che, come ti vedo io, gli altri non ti vedono... Tu per gli
altri diventi un fantasma! Eppure, vedi questi pazzi? senza badare
al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo,
pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! e credono che sia una
cosa diversa. »
Nel tentativo di risolvere l'enigma viene organizzato un incontro
tra suocera e genero: ne derivano scene di concitata violenza, in
cui il signor Ponza aggredisce la suocera urlandole in faccia la
verità. Subito dopo si scuserà per questo suo atteggiamento
dicendo che era necessario fare la parte del pazzo per mantenere
viva l'illusione della signora Frola.
25. COSÌ È SE VI PARE: SIGNIFICATO
Nell'ultimo atto, dopo una vana ricerca di prove certe tra i
superstiti del terremoto, viene condotta in scena la moglie del
signor Ponza, l'unica in grado di risolvere la questione mettendo
a conoscenza di tutti la verità. Quest'ultima, con il viso coperto
da un velo nero, afferma di essere al contempo sia la figlia della
signora Frola che la seconda moglie del signor Ponza, mentre di
sé afferma di non essere nessuna: "io sono colei che mi si
crede".
Interviene così Laudisi, dopo una risata, che dice, con uno
sguardo di sfida derisoria: "Ed ecco, o signori, come parla la
verità! Siete contenti?"
26. COSÌ È SE VI PARE: SIGNIFICATO
Questa conclusione sintetizza al meglio la problematicità del
rapporto tra il linguaggio e la realtà alla quale esso si riferisce.
Qualsiasi affermazione parte dalle parole che usiamo (il
significante), per esprimere un concetto (il significato) che è
interno al linguaggio, in quanto è parte costitutiva del segno,
che altro non è se non la relazione tra il significante e il
significato, appunto.
La realtà può essere espressa e conosciuta soltanto attraverso
il linguaggio, non c’è un accesso diretto a essa che prescinda
da quest’ultimo. Il referente, ciò che costituisce l’oggetto del
nostro discorso e al quale esso si riferisce, è però qualcosa di
esterno al nostro linguaggio, non può essere incorporato
all’interno della sua trama. C’è dunque un distacco incolmabile
tra il referente e il significato, attraverso il quale esso viene
introdotto nel linguaggio.
27. COSÌ È SE VI PARE: SIGNIFICATO
La moglie del signor Ponza, in quanto oggetto del discorso del marito
e della signora Frola, assume inevitabilmente il significato che ha
all’interno dei loro rispettivi discorsi: per il primo è dunque la seconda
moglie del signor Ponza, per il secondo discorso è invece la figlia
della signora Frola.
In sé stessa, come referente del discorso di entrambi, non può dare
alcuna risposta, è muta, e, se interrogata, può rispondere soltanto: "io
sono colei che mi si crede” proprio perché il referente può parlare
soltanto se viene introdotto all’interno di un linguaggio, nel quale caso
perde i suoi caratteri di realtà oggettiva e diventa inevitabilmente
oggetto di un discorso, significato.
Viene così posta, in modo arguto, la questione, cruciale dal punto di
vista filosofico, del rapporto tra oggetto reale e oggetto della
conoscenza. Il paradosso evidenziato da Pirandello consiste nel fatto
che questi oggetti non coincidono, ma non possono neppure essere
considerati estranei e indifferenti l’uno rispetto all’altro.
28. 28
Al centro della Struttura delle rivoluzioni scientifiche vi è l’idea dell’impossibilità di
accedere a qualsiasi oggetto della conoscenza senza la mediazione di un
linguaggio. Non esistono dunque quelli che possiamo chiamare mezzi sublinguistici
neutrali, che possano essere percepiti e conosciuti al di là e al di fuori dell’intervento
di un linguaggio di qualunque genere. Da questa premessa segue una rottura della
comunicazione dovuta al fatto che il processo di sviluppo di ogni disciplina scientifica
è contrassegnato dal succedersi dell’egemonia di scuole differenti, caratterizzate da
quelle che Kuhn chiama «le loro incommensurabili maniere di guardare al mondo e
di praticare la scienza in esso». In seguito a questo situazione, di cui l’autore
fornisce numerosi esempi nel corso della sua analisi, non si può parlare di continuità
della storia delle discipline medesime, la cui evoluzione è invece frammentata e
caratterizzata dalla presenza di “salti comunicativi” che pongono riaventi problemi di
comunicazione e di traduzione.
T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969, p.
22.
LA MEDIAZIONE LINGUISTICA
29. 29
«Nessuna storia naturale può venire interpretata in assenza di
un insieme anche implicito di credenze metodologiche e
teoretiche intrecciate fra loro che permetta la scelta, la
valutazione e la critica. Se questo corpo di credenze non è già
implicito nella raccolta di fatti –nel qual caso abbiamo a
disposizione qualcosa di più di “meri fatti”- esso deve essere
fornito dall’esterno, forse da parte di una metafisica di moda, o
da parte di un’altra scienza, oppure dai casi storici e personali.
Non fa dunque meraviglia che, nelle prime fasi di sviluppo di
ogni scienza, uomini diversi, trovandosi di fronte la stessa
gamma di fenomeni, ma non di solito tutti gli stessi fenomeni
particolari, li descrivano e li interpretino in maniere diverse».
Ibidem, p. 37.
LA MEDIAZIONE LINGUISTICA
30. 30
In realtà, però, questa situazione non è tipica soltanto delle
prime fasi di sviluppo di ogni scienza. Se infatti ci poniamo il
problema della relazione tra la dinamica newtoniana e quella
relativistica e ci chiediamo se sia realmente possibile far
derivare la prima dalla seconda, ci troviamo, immediatamente,
di fronte al fatto che «i riferimenti fisici dei concetti einsteniani
non sono affatto identici a quelli dei concetti newtoniani che
hanno lo stesso nome», per cui «le leggi di Newton non sono
un caso limite di quelle di Einstein. Infatti nel passaggio al
limite non è soltanto la forma delle leggi che è mutata.
Simultaneamente abbiamo dovuto alterare anche gli elementi
strutturali fondamentali di cui si compone l’universo a cui quelle
leggi si applicano. Questa necessità di mutare il significato di
concetti tradizionali e familiari costituisce il nucleo dell’effetto
rivoluzionario avuto dalla teoria di Einstein».
Ibidem, p. 130.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
31. 31
Ciò che questo esempio dimostra, di conseguenza, è che «la
transizione da un paradigma in crisi a uno nuovo, dal quale
possa emergere una nuova tradizione di scienza normale, è
tutt’altro che un processo cumulativo, che si attui attraverso
un’articolazione o un’estensione del vecchio paradigma. È
piuttosto una ricostruzione del campo su nuove basi, una
ricostruzione che modifica alcune delle più elementari
generalizzazioni teoriche del campo, così come molti metodi e
applicazioni del paradigma». Dunque anche nella scienza può
esserci, anzi normalmente si verifica che vi sia, ambiguità,
dovuta alla variazione di significato, al fatto ce nel passaggio
da una teoria all’altra, da un’interpretazione all’altra, da una
fase storica all’altra, i significati associati allo stesso termine
possono cambiare anche considerevolmente.
Ibidem, p. 111.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
32. 32
Le conseguenze di questa situazione sono tratte in modo ancora più esplicito
dallo stesso Kuhn in un saggio di risposta ai suoi critici del 1970:
«Il confronto punto per punto di due teorie successive richiede un
linguaggio in cui almeno le conseguenze empiriche di entrambe possano
venir tradotte senza perdite o mutamenti. Che questo linguaggio sia a
portata di mano è stato ampiamente ammesso fin dal diciassettesimo
secolo, quando i filosofi prendevano per certa la neutralità dei resoconti
delle sensazioni pure e andavano alla ricerca di una characteristica
universalis che sarebbe servita per esprimere tutti i linguaggi come uno
solo. Idealmente il vocabolario primitivo di tale linguaggio doveva
consistere di termini per dati puramente sensoriali, più dei connettivi
sintattici. I filosofi hanno ormai abbandonato la speranza di realizzare un
tale ideale, ma molti di essi continuano ad assumere che le teorie possano
venir confrontate ricorrendo a un vocabolario di base consistente
interamente di parole aderenti alla natura in maniera non problematica e,
nella misura necessaria, in modo indipendente dalla teoria.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
33. 33
Questo è il vocabolario nel quale gli asserti-base di Popper
sono formulati. Gli occorre per poter confrontare la
verisimilitudine di teorie che tendono a sostituirsi l’un l’altra o
per mostrare che una è ‘più spaziosa’ della precedente (o
l’include), Feyerabend ed io abbiamo ampiamente mostrato
che non è disponibile alcun vocabolario siffatto. Nella
transizione da una teoria all’altra, le teorie cambiano in modo
sottile il loro significato o le loro condizioni di applicabilità.
Sebbene la maggior parte degli stessi vocaboli siano usati
prima o dopo una rivoluzione –per esempio forza, massa,
elemento, composto, cellula- il modo con cui alcuni di essi
aderiscono alla natura è in parte mutato. Diciamo dunque che
le teorie che si succedono sono incommensurabili»,
Ibidem, tr. it., p. 352.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
34. 34
Ad esempio, lo sviluppo della teoria atomica di Dalton
introduce, rispetto alle elaborazioni teoriche precedenti, un
nuovo modo di vedere la combinazione chimica, col risultato
che le leghe, le quali prima di questa rivoluzione erano
considerate composti, in seguito a essa cominciano a
essere viste come miscele. Le teorie prima e dopo Dalton
danno dunque un diverso taglio al mondo e i chimici non
dispongono, per i loro resoconti, di mezzi sub-linguistici
neutrali che possano fungere da elemento di raffronto
reciproco e venire assunti come base comune, che funga da
“zona cuscinetto” e “interfaccia” tra le teorie in gioco e a
partire dalla quale si possa, per questo, effettuare una
traduzione affidabile.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
35. Il problema che viene così sollevato ha una conseguenza rilevante per
quanto riguarda il modo di impostare il rapporto tra il linguaggio e il mondo,
conseguenza con l’enunciazione della quale Kuhn conclude il suo contributo:
“Che cos’è il mondo, chiedo, se non comprende la maggior parte delle sorte
di cose a cui il linguaggio reale parlato in un dato tempo si riferisce? La Terra
era veramente un pianeta nel mondo degli astronomi precopernicani, i quali
parlavano di una lingua in cui i caratteri salienti del referente del termine
‘pianeta? Escludevano la sua applicazione alla Terra? Ha chiaramente più
senso parlare di accomodare il linguaggio al mondo che di accomodare il
mondo al linguaggio? O è il modo di parlare a creare tale distinzione, di per
sé illusoria? Ciò a cui ci riferiamo come al ‘mondo? È forse un prodotto di un
reciproco accomodamento fra esperienza e linguaggio?”.
Ibidem, p. 112.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
36. 36
In presenza di questo stato di cose due sono le risposte possibili: la
prima, quella di Feyerabend, consiste nel prendere atto di questa
incommensurabilità, considerarla sinonimo di intraducibilità
sostanzialmente, piegarsi a essa; la seconda è quella che assume lo
stesso Kuhn nel 1970, basata, al contrario, sull’idea che l’
incommensurabilità non significhi affatto impossibilità di dialogo e di
confronto tra le teorie. Tramontata l’illusione che esista un
fondamento unico della conoscenza e che l’apporto delle varie teorie
possa armonicamente comporsi in un’unica “immagine del mondo”,
coerente ed armonica, a suo giudizio, si deve affermare sempre più
la fatica di diventare buoni traduttori da una teoria all’altra,
prendendo così atto dell’apporto specifico che ciascuna di esse,
spesso in competizione con altre, fornisce, ma non rinunciando per
questo all’esigenza di farle reciprocamente dialogare e comunicare.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
37. 37
«Gli uomini che fanno esperienza di una rottura della comunicazione possono cercare,
reciprocamente, di scoprire quello che l’altro vuol vedere e dire quando è posto di fronte a
uno stimolo al quale la sua risposta visiva e verbale risulti diversa. Col tempo e coll’abilità
possono diventare bravissimi nel prevedere il comportamento reciproco, cosa che lo
storico di regola impara ( o dovrebbe imparare) a fare quando tratta con teorie scientifiche
più vecchie.
Ciò che coloro che sono coinvolti in una rottura della comunicazione hanno allora trovato
è, ovviamente, un modo per tradurre le reciproche teorie nel loro linguaggio e
contemporaneamente di descrivere il mondo cui si applicano tali teorie o tali linguaggi. Se
non ci fossero almeno dei passi preliminari in questa direzione, non ci sarebbe alcun
processo da descrivere, almeno in via di tentativo, come scelta tra teorie: la conversione
arbitraria (sebbene io metta in dubbio l’esistenza di una cosa siffatta in ogni aspetto della
vita) sarebbe allora tutto ciò che era ivi coinvolto. Va notato, però, che la possibilità di una
traduzione non rende inappropriato il termine ‘conversione’. Poiché manca un linguaggio
neutrale, la scelta di una nuova teoria consiste nella decisione di adottare un diverso
linguaggio nativo e di impiegarlo in un mondo che sarà, corrispondentemente, diverso».
Ibidem, pp. 363-364.
L’INCOMMENSURABILITÀ LINGUISTICA E TEORICA
39. La concezione linguistica delle teorie scientifiche
Sogno di
Leibniz
Una teoria scientifica è considerata
come :
• un contesto finito
di informazioni (es esperimenti)
• un insieme di proposizioni
su questo contesto
Neopositivismo
Un sistema deduttivo
assiomatizzabile
Carnap , Popper - 1934
40. La concezione linguistica delle teorie scientifiche
Teoria
matematica
(Geometria pura)
Teoria empirica
(Oggetti e processi fisici)
Assiomi
Regole interpretative
Regole di corrispondenza (enunciati)
che connettono, fissando l’interpretazione dei
termini primitivi
Termini primitivi:
punti
rette
superfici
Termini primitivi
Linguaggi già
compresi
Es linguaggio fenomenistico
Enunciati tipo : qua, ora, rosso
Es linguaggio fisicalistico
Nomi di cose, mondo fisico,
determinazioni spazio-temporali
Es linguaggio teorico
Teorie consolidate, sfondo condiviso
Concezione neopositivista
Classe di enunciati
deduttivamente chiusa
e assiomatizzabile
41. La concezione linguistica delle teorie scientifiche
Filosofia
della scienza
Rappresentazione di una
teoria scientifica:
Spiegazione deduttiva
(à struttura logica)
Proposizione da
spiegare E
(explanandum E )
Proposizioni dalle
quali viene spiegata E
(explanans M)
ConclusionePremesse
Proprietà della spiegazione
(proprietà logiche secondo Nagel)
42. La concezione linguistica delle teorie scientifiche
Proposizione da
spiegare E
(explanandum E )
Proposizioni dalle
quali viene spiegata E
(explanans M)
conclusionepremesse
Proprietà logiche
(Nagel)
• Le premesse devono contenere almeno una legge universale o
asserzione normativa;
• Se la conclusione è un evento, le premesse devono contenere
delle asserzioni di condizioni iniziali
• Se la conclusione è una legge universale, tutte le premesse
devono essere universali e almeno una anche più generale
• Alcune premesse devono essere essenziali nella derivazione
della conclusione
• La congiunzione delle premesse non deve essere equivalente
alla conclusione
43. La concezione linguistica delle teorie scientifiche
La concezione neopositivistica
fornisce una rappresentazione delle
teorie scientifiche secondo cui :
•esse rappresentano organicamente il sistema delle verità
relative ai loro oggetti, che esistono indipendentemente
da esse e che non interagiscono con esse;
•esse sono essenzialmente indipendenti dai soggetti che le
costituiscono e dalle loro interazioni, per cui ai fini della loro
elaborazione non è rilevante l'attività del singolo soggetto che
costruisce una determinata teoria, come non lo è il complesso
delle interazioni tra i soggetti in qualche modo coinvolti in
questo processo di costruzione e sviluppo
•L’evoluzione è per
estensione Lambert Brittain
Teoria
Contesto
(info)
Teoria ESTESA
Contesto ESTESO
(info)
46. La concezione strutturalistica delle teorie scientifiche
Carnap stesso suggerisce in Costruzione
logica del mondo 1928 una metafora
alternativa:
La mappa come modello delle proprietà strutturali
Rappresentazione topologica (non le distanze ma le
disposizioni e le relazioni)
Confronto di rappresentazione
del contesto tra più teorie:
• complesso di relazioni
presenti nelle diverse teorie
Diverse rappresentazioni cartografiche interrelate tra loro e sui diversi aspetti della stessa realtà
47. "Com’è possibile caratterizzare univocamente tutti gli oggetti all'interno di
un determinato campo di oggetti, senza indicare mediante presentazione
uno qualsiasi degli oggetti, e senza far intervenire uno qualsiasi degli
oggetti che stanno al di fuori del campo? Questa possibilità può essere
stabilita nel modo più facile con un esempio concreto, che, stante
l'importanza della situazione generale che si vuol chiarire, intendiamo
esporre per esteso. Esempio: prendiamo in considerazione la carta delle
strade ferrate della rete ferroviaria euro-asiatica. E supponiamo che
questa carta non sia disegnata su scala, ma con proporzioni alterate,
com’è in uso negli orari ferroviari, o anche in misura a piacimento più
accentuata. Essa quindi non fornisce le distanze, ma l'esatta disposizione
dei raccordi della rete ferroviaria, (in espressioni geometriche) non le
proprietà metriche, ma le proprietà topologiche della rete. L'esempio della
carta ferroviaria è usato anche per chiarire il concetto delle proprietà
topologiche: esso è altrettanto adatto per la chiarificazione del concetto
logico delle proprietà strutturali, notevolmente affine a quello, ma più
generale”.
48. "Supponiamo inoltre che tutte le stazioni ferroviarie siano segnate con punti, ma
che la carta non contenga alcun nome e alcun'altra indicazione oltre le linee
ferroviarie. Il problema è dunque: possiamo stabilire, andando a vedere la rete
ferroviaria, quali sono i nomi dei punti della nostra carta? In luogo della rete
ferroviaria reale, che è piuttosto difficile a prendersi in considerazione, ci si può
servire anche di una seconda carta, provvista di tutti i nomi. Poiché la nostra
(prima) carta può avere proporzioni molto più alterate di quelle delle carte in uso
negli orari ferroviari, non ci sarà di nessun aiuto riscontrare, basandoci sulle future
caratteristiche, come potrebbe essere lunga la linea siberiana. Procederemo invece
per un'altra via. Cercheremo i punti di congiunzione di ordine maggiore, e cioè
quelli nei quali si incontrano il maggior numero di linee. Di questi, ce ne sarà solo
un piccolo numero. Supponiamo di trovare venti punti di congiunzione, dai quali si
dipartono otto linee. Se poi, per ogni punto, contiamo su ognuna delle otto linee il
numero delle stazioni fino al punto di congiunzione più vicino, allora ben
difficilmente due di quei venti punti coincideranno in tutti gli otto numeri, e con ciò
sarebbero dunque identificati i venti punti. Se tuttavia dovessero coincidere nel
senso indicato ancora due o addirittura tutti i venti punti, allora non dovremmo far
altro che prendere in considerazione i collegamenti fra gli otto punti di congiunzione
che si incontrano per primi a partire da ognuno di quei venti: se tali punti di
congiunzione abbiano o no collegamenti diretti tra di loro, e quante stazioni
intermedie ci siano, quante linee si dipartano da ognuno di tali punti, ecc."
49. Dal passo di Carnap emerge l'idea di proprietà strutturali come nucleo
fondamentale di una teoria scientifica e come base, a partire dalla quale
operare il confronto tra la rappresentazione del contesto di riferimento fornita
da una teoria qualunque e quella proposta invece da un'altra, che assuma
come oggetto della propria indagine il medesimo contesto. E come si evince
chiaramente dall'ultima parte del testo questo confronto non viene operato
appellandosi ai linguaggi delle due teorie, ma al complesso di relazioni
("punti di congiunzione di ordine maggiore, e cioè quelli nei quali si
incontrano il maggior numero di linee") presenti nell'una e nell'altra e che
sono indipendenti dalla scala, e cioè da una descrizione delle proprietà
metriche, e dal riferimento ai nomi degli oggetti (le stazioni ferroviarie) che
figurano nella rappresentazione sotto forma di semplici nodi dei collegamenti
presi in considerazione e raffigurati (le linee ferroviarie).
Con la metafora della carta geografica comincia dunque a profilarsi un modo
di intendere le teorie scientifiche che prende decisamente le distanze dalla
tesi della reciproca indipendenza dei dati osservativi e degli enunciati teorici
che li esprimono, cioè di osservazione e teoria, in quanto avanza l'idea che
gli oggetti da osservarsi siano dati e riconoscibili solo unitamente alla
relazioni in cui si trovano rispetto a altri oggetti, anzi finiscono addirittura
coll'esaurirsi in queste relazioni.
50. La concezione strutturalistica delle teorie scientifiche
Critica alla
• isolabilità dei dati osservativi e degli
enunciati che li esprimono e
indipendenza da presupposti teorici
Gli oggetti da osservare siano dati e riconoscibili
solo unitamente alle relazioni con gli altri oggetti
Toulmin 1968 e Hanson 1971
Le teorie servono per:
• Dare ordine e regolarità a un complesso di dati
• Organizzare un campo di fenomeni in una
struttura relazionale
Regole di
proiezione
Rilevazione
sul campo
51. La concezione strutturalistica delle teorie scientifiche
Hanson 1958 : critica a Berkeley
Analisi sulle figure ambigue
Cosa cambia nelle diverse
letture dell’immagine?
L’organizzazione
della figura
Ovvero
Il complesso delle relazioni
che collegano gli elementi e
quindi la loro diversa
interpretazione
(valutazione)
• L’organizzazione di una figura non è qualcosa che venga registrato sulla retina
assieme ad altri particolari
• La sua struttura è presente nell’atto del vederlo (retroazione processi secondari
che selezionano i processi primari)
52. La concezione strutturalistica delle teorie scientifiche
La visione della luce riflessa da un
tubo a raggi X e l’interpretazione del
fenomeno sono due componenti
inscindibili
Musica
•Il filo
•La
disposizione
Dipinto
•Il suono
(le note)
•La
composizione
•Il colore
•La
distribuzione
Tessuto
analogamente
53. La concezione strutturalistica delle teorie scientifiche
• Visione entro un contesto che ne determina il modo di lettura
• Non limitarsi allo specifico contesto ma valutare altri possibili
• Aggiungere interpretazioni
Non possono essere
applicate nozioni di
verità, probabilità,
falsificazione ma solo di
efficienza dell’ordine e
regolarità
Osservazioni
input
Osservazioni
output
Una teoria non è una scatola nera
Le teorie coincidono con l’ordine e la struttura
stessa dei fenomeni
54. Come si forma una comunità scientifica
• Critica alla Centralità del linguaggio
(che è effetto e non causa dell’intelligenza)Khun 1962
Struttura delle
rivoluzioni scientifiche
Competenza
linguistica
Intelligenza
Competenza
linguistica
Intelligenza
Comunità scientifica
Centralità
dei
manuali
la Fisica di Aristotele
l’Almagesto di Tolomeo,
i Principia e l’Ottica di Newton,
l’Elettricità di Franklin,
la Chimica di Lavoisier
la Geologia di Lyell
Oggetto: Problemi e i metodi legittimi di un
determinato campo di ricerca per numerose
generazioni di scienziati
•Risultati nuovi per attrarre seguaci
•Aperti per sviluppi (risolvere altri problemi)
I risultati, assieme agli elementi
che li sostengono e alle aperture
proposte, sono i Paradigmi
55. Come si forma una comunità scientifica
Assenza di discussioni epistemologiche o
metodologiche su:
• Metodi
• Problemi
• Modelli di soluzione
Modificazione
o revoca del
paradigma
Periodi di
Scienza normale
Egemonia incontrastata di
un Paradigma
(consenso)
Applicazioni come prova della teoria e non
come parte dell’apprendimento
Studenti à autorità dei docenti e testi
Nascita di nuovi
paradigmi
(dal dissenso)
56. Come si forma una comunità scientifica
• Le generalizzazioni
simboliche
Forme schematiche la cui
espressione simbolica
cambia da applicazione
ad applicazione
Esempi standard di problemi risolti
(dimestichezza con il linguaggio e
conoscenza della natura)
Stimolo per la scoperta
Relazioni di
somiglianza
Applicazione 1
Applicazione 2
Applicazione 3
• Gli esemplari
57. Come funziona il trasferimento analogico
• Le generalizzazioni simboliche
Relazioni di
somiglianza
Applicazione
Legge di Coulomb
nel campo elettrico
Applicazione al
Sole e alla Terra
Applicazione
alla Terra e
alla Luna
• Gli esemplari
F = ma
Predicato: x è una meccanica classica à
Un oggetto x sarà una meccanica classica
delle particelle se esisteranno :
3 funzioni: f(forza) m(massa) p(posizione)
2 insiemi : p (insieme delle particelle)
t (intervallo di tempo)
e ovviamente la relazione f=ma
Così che x è una struttura determinata
F = G
m1 m2
r2
Legge di
gravitazione
universale
Applicazione al
sistema solare
F=k
q1 q2
r2
Sneed 1971 The logical structure of Mathematical Phisics
60. L’uomo ha bisogno di confini perché “comunque si definisca la «realtà esterna» e
comunque la si intenda l’uomo non può accedere direttamente a essa, ma soltanto
attraverso una cascata di processi di mediazione in cui la manipolazione ha un
ruolo sempre più determinante.
Non ci sono «copie» degli oggetti che scivolano dentro i nostri occhi, ma solo fotoni,
quanti di luce riflessi (o eventualmente emessi) dagli oggetti del mondo fisico. E
questi fotoni piovono su un esteso tappeto di unità fotorecettrici distinte, la retina
oculare. Queste unità fotorecettrici trasformano l’energia luminosa in segnali
elettrochimici individuali che viaggiano nel tessuto nervoso. L’oggetto di partenza a
questo punto è inghiottito dal brulichio dei neuroni e delle sinapsi e, da questo
momento in poi, risponde alla logica del nostro campo recettivo interno, e non più
a quella dello spazio esterno.
Se poi l’oggetto è una microentità (meccanica quantistica, tecnologie) la mediazione
degli strumenti e delle macchine e l’intervento dei processi di manipolazione sono
sempre più ineludibili”
G. Vallortigara, Cervello di gallina. Visita (guidata) tra etologia e neuroscienze, Bollati
Boringhieri, Torino, 2005, p. 30.
.
«L’UOMO HA BISOGNO DI CONFINI»
61. “Il mondo visivo delle specie che possono focalizzare la luce per formare
immagini deve essere caratterizzato dalla presenza di figure segregate e
ben distinte rispetto allo sfondo. Date le proprietà della luce, ci sono pochi
modi per ottenere ciò. Un modo, generalissimo, è di ricavare margini o
bordi laddove la stimolazione fisica rileva delle differenze. Il problema
naturalmente è che in molte circostanze tali variazioni fisiche possono
essere assai poco nette, per non dire indistinte, oppure possono essere
presenti solo a tratti (pensate a un animale che si muove nel fitto del
fogliame). Ecco allora che per mezzo della selezione naturale sono stati
messi a punto dei meccanismi di interpolazione che, usando regole
piuttosto semplici basate sulle regolarità statistiche dell’ambiente
(similarità di colore, chiarezza e tessitura, continuità di direzione,
movimento comune delle parti ecc,) estraggono, a uso e consumo
dell’animale che ne ha bisogno, margini anche laddove non ve ne sono”.
G. Vallortigara, Cervello di gallina. Visite (guidate) tra etologia e neuroscienze, Bollati Boringhieri,
Torino, 2005, p. 29.
.
«L’UOMO HA BISOGNO DI CONFINI»
62. FIGURA E SFONDO
La tendenza a estrarre margini e linee di demarcazione
è così forte che gli organismi viventi tendono a vederli
anche laddove fisicamente non ci sono, come nelle
famose figure di Kanizsa. Si tratta di situazioni nelle
quali ci troviamo di fronte a una figura anomala che, di
fatto, non c’è, anche se viene vista: e questo «vedere
l’invisibile» è la concreta espressione e testimonianza
del fatto che abbiamo bisogno di un confine che separi e
distingua la figura e lo sfondo: ne abbiamo bisogno al
punto che, anche se questo confine fisicamente non c’è,
siamo orientati a percepirlo ugualmente.
63.
64.
65.
66.
67.
68. COSA SUCCEDE SE NON CI SONO CONFINI
Kazimir Malevič
Quadrato bianco su fondo
bianco
Correva l’anno 1918 quando Kazimir
Malevič, pittore russo fondatore del
Suprematismo, realizzò una tela
impensabile. Un quadrato bianco su fondo
bianco. Il bianco ci colpisce come un grande
silenzio che ci sembra assoluto”, spiega
Kandinsky. Ecco, il bianco come assenza di
suono. Come luogo della purezza, luogo del
niente o luogo dell’invisibile…
69. COSA SUCCEDE SE NON CI SONO CONFINI
Con l’operazione di Malevič, pertanto, il piano
della tela diventa Spazio e Oggetto, o Spazio-
Oggetto o Oggetto-Spazio, e mai l’uno e l’altro
come distinti che interagiscono. L’opera che ne
risulta non è in grado di prefigurare un “altro” al
quale riferirsi e con il quale ricongiungersi: eccoci
dunque costretti a navigare in uno spazio nel
quale l’oggetto è scomparso e dove, proprio nel
punto in cui, presumibilmente, si è inabissato, si
allarga una chiazza, un alone scuro che va
gradatamente annullandosi nel bianco
immacolato e indifferenziato della superficie.
70. COSA SUCCEDE SE NON CI SONO CONFINI
Il significato di una struttura è nella sua simmetria.
Il significato di una tela bianca, idealmente
illimitata, omogenea e isotropa, risiede nella
indiscernibilità, cioè nell’impossibilità di discernere
alcunché nella tela stessa. Comunque ci si sposti
lungo la tela, operando una rotazione o una
traslazione, nulla cambia, non ci si accorge di
alcuna variazione: in quanto invariante vuoi per
effetto di traslazioni, di rotazioni o di ribaltamenti
rispetto a un suo punto qualsiasi, vuoi per effetto
di permutazione tra punti, la tela bianca,
omogenea, isotropa e indifferente a scambi tra i
punti che la compongono, è dotata di una
simmetria perfetta.
71. COSA SUCCEDE SE NON CI SONO CONFINI
Una simmetria assoluta, quale quella che si
costituisce in seguito a un fondo del tutto
omogeneo, è il dominio dell’identico, del non
percepibile, in quanto una simmetria è sempre
ricostruita (e percepita) a partire dalla rottura
della simmetria assoluta, altrimenti non ci
sarebbe niente di diverso, e quindi di definito.
Una simmetria assoluta è la proiezione metaforica
della totalità di un universo infinitamente esteso e
assolutamente omogeneo, in cui sono
potenzialmente contenuti tutti i significati
possibili, e non è possibile farne emergere
concretamente uno. Nessuna meraviglia,
dunque, se per alcune comunità religiose del
Giappone essa assurge a simbolo della
divinità.
72. COSA SUCCEDE SE NON CI SONO CONFINI
Se la simmetria della tela bianca, omogenea e
isoltropa, viene ridotta, magari semplicemente
segnando nella tela un solo punto nero P,
quest’ultimo diventa un elemento di ordine per la
struttura: diventa infatti naturale riferirsi a P per
ordinare gli altri punti della tela, ad esempio in
funzione della loro distanza da P. Di conseguenza
il punto rompe la simmetria assoluta ma solo
parzialmente, curando che la struttura risultante
presenti una simmetria superstite. Si conferma
così che in una struttura omogenea e isoltropa,
nella quale si operi una riduzione della simmetria,
emergono elementi di simmetria superstiti
associati all’instaurarsi di un ordine.
73. CARATTERE DINAMICO DEI CONFINI
Consideriamo la figura a destra, particolare di
un’opera di Franco Grignani del 1971,
Psicoplastica nel campo. Nel tratto finale ci sono
due moduli, separati da una parete centrale,
ottenuti l’uno dall’altro mediante ribaltamento
rispetto al centro di simmetria. il confine (la parete
centrale) appartiene per metà al modulo di sinistra
e per metà a quello di destra, e nello stesso tempo
non appartiene a nessuno dei due. Esso è, per
così dire, oggetto di contesa tra i due moduli. In
una configurazione o stato centrosimmetrico e
stationario la parete centrale appartiene per metà
al modulo di sinistra e per metà a quello di destra.
In una configurazione o stato anticentrosimmetrico
e stationario essa non appartiene né al modulo di
sinistra né al modulo di destra.
74. CARATTERE DINAMICO DEI CONFINI
Poi, da bidimensionale quale era, la figura
all’improvviso si autoorganizza e invade lo spazio
tridimensionale. La parete centrale sembra portarsi
sul modulo cubico di sinistra oppure su quello di
destra, con conseguente spodestamento del centro
di simmetria collocato all’interno di essa dal suo
ruolo. Ma il pensiero visivo non rimane congelato in
una di queste situazioni alternative: ben presto si
profila una sequenza autoorganizzata e
approssimativamente periodica di inversioni
prospettiche: destra ⇢ sinistra ⇢ destra. Con
l’aumento della curiosità e dell’attenzione al punto
critico si creano dunque le premesse per una rottura
di simmetria e, contestualmente, per la nucleazione
dell’ordine: la fluttuazione iniziale diventa struttura.
76. KANT: REALITÄT ED EXISTENZ
In questo quadro è interessante richiamare la distinzione, netta e
precisa, proposta da Kant tra la Realität, categoria della qualità,
corrispondente al giudizio affermativo, da una parte, e il concetto di
Dasein e quelli di Existenz e di Wirklichkeit, cioè di esistenza e di
effettualità, strettamente associati a esso, dall'altra, che rientrano
invece nell'ambito delle categorie della modalità. Ciò che emerge
da questa distinzione è che la realtà in quanto categoria della
qualità non si riferisce all'esistenza effettiva di un qualcosa nel
"mondo" esterno, bensì alle determinazioni e ai contenuti che sono
propri di un qualcosa in quanto res, cioè alla determinazione del
contenuto di una cosa in quanto cosa.
77. KANT: REALITÄT ED EXISTENZ
Quale sia il senso e quale l’oggetto di questo sguardo rivolto verso la
cerchia dei possibili e puntato su ciò che ne traccia i limiti è ben
illustrato e spiegato dall'esempio, proposto nella Critica della Ragion
pura, là dove si afferma che cento talleri possibili non si distinguono
affatto da cento talleri effettivi, se questi ultimi vengono considerati
dal punto di vista che Kant ci invita ad assumere, quello del
Gegenstand e della sua Position an sich selbst, cioè della res, che
non può variare, sia che venga considerata come possibile o come
effettiva, dal momento che si tratta, nell'un caso e nell'altro, dello
stesso quid.
78. KANT: REALITÄT ED EXISTENZ
Questo quid è l'essenza al quale l'effettualità non fa che aggiungersi
successivamente, per cui si può dire che anche l'esistenza ha il
valore e il significato d'una realtà. Ma è il quid in se stesso, in quanto
tale, che consente all'oggetto di definirsi, di qualificarsi in un modo
specifico che sia sufficiente a differenziarlo da ogni altro: esso,
pertanto, costituisce la risposta appropriata e sufficiente alla
domanda tendente a stabilire ciò che una cosa è, e non ad appurare
se tale cosa esista. Intesa in questo modo la realtà designa la totalità
della determinazione possibile della res.
79. KANT: REALITÄT ED EXISTENZ
Cerchiamo di capire meglio il significato di questa distinzione. Con il termine realtà
intendiamo tutto ciò di cui dobbiamo disporre per afferrare il concetto e il contenuto di
un oggetto qualsiasi. Se ci riferiamo a una casa, ad esempio, della sua realtà fanno
parte in modo imprescindibile le fondamenta, il tetto, la porta, la grandezza,
l’estensione, i colori, insomma tutto ciò che mi serve per potermene fare un’idea
corretta ed esaustiva, e quindi tutti i suoi predicati e le determinazioni possibili. Il fatto
che essa sussista effettivamente oppure no è inessenziale ai fini della costruzione
dell’idea e della sua corrispondente espressione, intesa non nel senso puramente
rappresentativo che abbiamo appena finito di precisare. Proprio per questo
l’esistenza di ciò che esiste, la sua effettività, non è un predicato reale. Essa
concerne non il che cosa dell’oggetto casa, ma il suo come, cioè il rapporto che
questo oggetto ha con il soggetto conoscente e con la facoltà del conoscere.
80. KANT: REALITÄT ED EXISTENZ
Kant è preciso ed esplicito su questo punto. All’inizio del “Chiarimento” dei “Postulati del
pensiero empirico in generale” egli infatti dice con molta chiarezza:
«Le categorie della modalità hanno questo di particolare, che non accrescono
menomamente, come determinazione dell’oggetto, il concetto al quale sono unite, ma
esprimono soltanto il rapporto con la facoltà conoscitiva. Quando il concetto di una cosa
è già del tutto completo, io posso chiedermi sempre se questo oggetto sia solamente
possibile o reale, e, in questo caso, se sia anche necessario».
Mentre quando parlo di realtà mi riferisco alle determinazioni della cosa in quanto tale,
a tutto ciò che risulta necessario per poterla pensare in tutta la sua estensione
possibile, in tutte le sue possibili varianti e modalità di presentazione, quando parlo
invece di effettualità non aggiungo un elemento o aspetto che riguardi la cosa “in e per
sé stessa” ma pongo questa stessa cosa nella relazione conoscitiva. Ed è soltanto in
questa relazione, secondo Kant, che il reale si legittima come effettivo. Kant, I. (1957),
Critica della ragion pura, Torino: Einaudi, 229.
81. KANT: REALITÄT ED EXISTENZ
Questa distinzione di Kant ci consente di capire in che cosa
consistono la creatività e la capacità di progettare.
Progettare significa riuscire a vedere e a pensare altrimenti
l’effettualità (l’oggetto che si ha di fronte, qui e ora, nello spazio e
nel tempo) cogliendo le alternative della sua modalità di
presentazione, insite nel suo specifico orizzonte di realtà. Così
facendo non si esce, ovviamente, dalla totalità della
determinazione possibile dell’oggetto medesimo, cioè dalla sua
realtà: si va invece al di là dello specifico modo in cui si è abituati
a considerarlo sulla base delle modalità percettive usuali ed
egemoni.
82. LEOPARDI: LA VISIONE DOPPIA
Quelle modalità percettive usuali ed egemoni che Leopardi, non a
caso, invita a superare, integrandole con l’immaginazione:
«All'uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono
vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il
mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli
occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono
d'una campana; e nel tempo stesso coll'immaginazione vedrà
un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo
secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle
cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che
non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli
soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la
sensazione».
Leopardi, G. Zibaldone di pensieri, Firenze 30 novembre 1828.
83. Viktor Sklovskij (1893-1984): “lo scrittore, con l’intreccio, lava il mondo. Il
mondo non fa che confondersi e impolverarsi. Lo scrittore, con l’intreccio,
strofina lo specchio della coscienza”.
“Se ci mettiamo a riflettere sulle leggi generali della percezione, vediamo
che, diventando abituali, le azioni diventano meccaniche…
Col processo dell’automatizzazione si spiegano anche le leggi del nostro
linguaggio prosaico, con le sue frasi non completate e le sue parole
pronunciate a metà.
L’oggetto passa vicino a noi come imballato, sappiamo che cosa è per il
posto che occupa, ma ne vediamo solo la superficie. Per influsso di tale
percezione, l’oggetto si inaridisce, dapprima solo come percezione, ma
poi anche nella sua riproduzione…
PERCEZIONE E IMMAGINAZIONE
84. Ed ecco che per restituire il senso della vita, per ‘sentire’ gli oggetti, per
far sì che la pietra sia di pietra, esiste ciò che si chiama arte. Scopo
dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto, come ‘visione’ e non
come ‘riconoscimento’: procedimento dell’arte è il procedimento dello
straniamento (ostranenie) degli oggetti e il procedimento della forma
oscura che aumenta la difficoltà e la durata della percezione, dal
momento che il processo percettivo, nell’arte, è fine a se stesso e deve
essere prolungato; l’arte è una maniera di ‘sentire’ il divenire dell’oggetto,
mentre il ‘già compiuto’ non ha importanza nell’arte”.
“Ogni opera letteraria è un nuovo montaggio del mondo, una nuova
sorpresa, una nuova apparizione”.
PERCEZIONE E IMMAGINAZIONE
85. Nella fase di costruzione della singolarità, di emergenza di una nuova idea
abbiamo necessariamente una forte contrapposizione tra creatività e
automatismo, in quanto l’elaborazione di un nuovo stile, di un nuovo modo di
raccontare il mondo, di un nuovo modo di vedere le cose e i domini dell’esperienza
presuppone e comporta, inevitabilmente, un distacco dalle routines, dai modi usuali
ed egemoni di percepire la realtà. Questo distacco presuppone e comporta altresì
la necessità di prendere le distanze da un naturalismo e da un realismo intesi come
possibilità di trarre dalle cose stesse, dal loro ordine, dalle loro modalità di
presentazione la loro rappresentazione, in quanto così facendo, si rimarrebbe
prigionieri delle modalità ricorrenti di vedere e di organizzare lo spazio circostante e
l’esperienza quotidiana.
PERCEZIONE E IMMAGINAZIONE
86. Ecco perché, nella fase che definiamo “creativa”, l’artista e il progettista devono
prendere le distanze da quella che possiamo chiamare una “combinatoria di
oggetti già dotati di significato”, all’interno della quale vi sia una corrispondenza
già definita e in qualche modo vincolata tra i segni del linguaggio usato
(qualunque esso sia: quello della poesia, della pittura, della musica e via di
seguito) e gli oggetti e i processi della realtà da descrivere, da rappresentare o
alla quale comunque ci si intenda riferire. Essi devono cioè liberarsi dall’egemonia
del senso della realtà per esplorare il senso della possibilità, il possibile in
tutta la sua ampiezza e potenzialità, affidandosi a un sistema combinatorio che,
proprio in quanto non vincolato dall’assegnazione di un significato preciso ai
segni, sia in grado di rendere conto di tutta la gamma e la molteplicità delle
soluzioni teoricamente possibili (e, ricordiamo, che i mondi possibili e il senso
della possibilità risultano vincolati dalla sola esigenza di essere internamente
coerenti, cioè di non violare il principio di non contraddizione).
PERCEZIONE E IMMAGINAZIONE
87. Orientarsi verso il senso della possibilità e lasciarsi guidare da esso
significa dunque cercare di cogliere l’infinita varietà della realtà intesa
non già come effettualità, come ciò che è presente qui e ora e che è già
visibile e rappresentabile, ma negli aspetti per i quali essa non è ancora
nota, o nei modi e negli stili nuovi che possono permettere di “lavare il
mondo”, cioè di conferire significati inediti alle cose già note.
PERCEZIONE E IMMAGINAZIONE
88. All’interno di questa infinita varietà della realtà bisogna poi saper
cogliere e selezionare gli aspetti pertinenti, vale a dire quelli
necessari e sufficienti per riuscire a cogliere e a rappresentare ciò
che sentiamo e vogliamo esprimere attraverso questo intreccio di
percezione e immaginazione.
PERCEZIONE E IMMAGINAZIONE
90. Uno splendido esempio di questa
capacità di togliere, che non è
comunque d’ostacolo al riconoscimento
(tutt’altro) è la face de femme del
1935 di Matisse.
Pochi tratti essenziali sono sufficienti
per far scattare la nostra capacità di
classificare correttamente questa figura
e di interpretarla come faremmo con
una fotografia ben più ricca di dettagli.
La percezione è selettiva
Anche l’apprendimento lo è.
Henri Matisse
95. Il Sidereus Nuncius non segna soltanto la nascita della
scienza moderna: esso può essere considerato anche la
fase iniziale di quella che possiamo chiamare una
“strategia dello sguardo” da parte della ricerca.
Pubblicato a Venezia il 12 marzo 1610 presuppone
l’alleanza di naturale e artificiale, il potenziamento
dell’occhio con strumenti tecnologici. Nei mesi
precedenti, Galileo si era infatti dedicato al
perfezionamento tecnico del cannocchiale, ideato nel
1608 in Olanda da Hans Lippershey, e nella sua opera
è assai scrupoloso nel definire le caratteristiche
fondamentali del suo strumento.
GALILEO: IL SIDEREUS NUNCIUS
96.
97. Quando lo volge al cielo, scopre qualcosa che gli permette di
smontare e rivoluzionare la conoscenza del suo tempo: e la cosa
interessante è che egli correda i resoconti delle sue osservazioni
con disegni tratti direttamente dall’osservazione col telescopio:
alla comunicazione attraverso la scrittura abbina dunque,
rinforzandola considerevolmente e rendendola assai più
immediata e diretta, quella per immagini, attraverso riproduzioni
estremamente accurate, da lui stesso disegnate, della superficie
della luna nelle diverse fasi d’illuminazione solare, per dimostrare
che la superficie lunare non è affatto liscia, uniforme e di sfericità
esattissima ma al contrario scabra e disuguale, con rilievi di
diverse altezze, piena di cavità e di sporgenze non altrimenti che
la faccia stessa della terra.
GALILEO: IL SIDEREUS NUNCIUS
98. Il ricorso a queste figure risponde alla seconda componente della
strategia di Galileo: quello di rendere il più possibile capillarmente
diffusa e interattiva la visione risultante da questa alleanza tra
l’occhio e il canocchiale, coinvolgendo il senso comune nella
rivoluzione epistemologica che ne scaturiva. Con questa sua
rivoluzione Galileo dunque non solo vede, ma vuole far vedere
a chiunque sia interessato che il mondo è diverso da quella che
la conoscenza fino a quel momento disponibile ci proponeva. Il
1610 può quindi essere considerato, come ha sottolineato Pietro
Greco, l’anno d’inizio della stagione in cui la verità si può vedere,
e non solo dedurre con logica astratta, anziché matematizzata.
P. Greco, L’astro narrante. La luna nella scienza e nella letteratura italiane,
Springer, Milano, 2009.
GALILEO: IL SIDEREUS NUNCIUS
101. Questa “strategia dello sguardo” di Galileo è stata ripresa e
riproposta, valendosi dei più aggiornati mezzi messi a
disposizione dallo sviluppo tecnologico, da Kip Thorne, uno
dei più autorevoli fisici contemporanei, collega e amico di
Stephen Hawking.
È grazie ai suoi studi sulla forza delle onde gravitazionali e su
quali indizi possiamo cercare dalla Terra che è stato possibile
sviluppare l’esperimento che ha permesso di confermare la
previsione di Einstein dell'esistenza delle onde gravitazionali -
sottili increspature nello spazio-tempo prodotte da oggetti
massicci che sfrecciano nel cosmo.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
102. Alla sua attività di ricercatore autorevole e impegnato Kip Thorne
ha abbinato la funzione di rigoroso divulgatore scientifico e,
soprattutto, di attivo ideatore e realizzatore di una nuova forma di
“strategia dello sguardo”, basata sull’alleanza di scienza e
fantascienza, di ricerca scientifica e cinema.
Egli è infatti stato dapprima il consulente scientifico di Robert
Zemeckis per il film Contact (in cui la scienziata Ellie Arroway,
interpretata da Jodie Foster, riesce a viaggiare attraverso un
tunnel spaziotemporale) e poi la mente rigorosa dietro
l’impressionante rappresentazione di viaggi interspaziali, buchi
neri, relatività nei piani temporali e molto altro offerta da
Interstellar, film di fantascienza made in USA e ambientato in un
ventunesimo secolo alternativo in cui la terra è devastata da
terribili piaghe atmosferiche.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
103.
104. Questo film era in cantiere già dal 2006, quando la Paramount
Pictures l'aveva affidato a Steven Spielberg, per consegnarlo
successivamente nel 2013 nelle mani di Christopher Nolan che
l’ha portato a compimento nel 2014 vincendo il premio Oscar
2015 per i migliori effetti speciali. Con l’aiuto decisivo di Thorne
sul piano teorico e delle tecnologie più avanzate che gli hanno
consentito di realizzare questi effetti Nolan è riuscito a costruire
un universo visivamente elegante, straordinario e potente,
giocando con cognizione di causa con la relatività generale, le
leggi fisiche della gravità e dello spazio-tempo, e fornendo una
descrizione estremanente curata di molti dettagli scientifici. Il
senso complessivo dell’operazione è stato spiegato da Thorne in
un libro con introduzione di Nolan, uscito in concomitanza con il
film, dal titolo The science of Intestellar, pubblicato solo negli Stati
Uniti, dove vengono descritte con precisione e rigore tutte le
teorie utilizzate nella sceneggiatura.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
105. L’obiettivo è quello di spiegare che gli effetti visivi proposti per la
prima volta nella pellicola, soprattutto per quanto riguarda
wormholes, buchi neri, viaggi interstellari, si fondano sulle più
avanzate teorie scientifiche di cui disponiamo e ci forniscono una
rappresentazione accurata delle leggi fisiche che governano il
nostro universo e dei fenemeni davvero sorprendenti che esse
rendono possibile
Proprio richiamandosi a questa pubblicazione e facendo un
consuntivo della sua opera, Nolan può dunque affermare: "I miei
film sono sempre legati a standard elevati perché sollevano
problemi che non sono presenti nei lavori degli altri registi, il che
mi va bene. Kip Thorne, l'astrofisico che ha collaborato alla
sceneggiatura di Interstellar, ha scritto un libro sulla scienza del
film in cui spiega ciò che è reale e ciò che è mera speculazione,
perché ovviamente larga parte del plot è speculazione”.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
106.
107. CUNICOLO SPAZIO-TEMPORALE
IMMAGINE DI UN BUCO NERO
La NASA ha scattato queste immagini di un buco nero in azione a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra. La
materia attirata senza via di scampo dal suo mostruoso campo magnetico emette, prima di sparire
dall’universo, degli zampilli di luce catturati dai radiotelescopi.
113. Al di là del valore artistico del film, sul quale si è molto
discusso, quello che è importante sottolineare è che con
questa collaborazione a un’opera cinematografica
comunque ardita e coraggiosa Thorne si propone come
erede della “strategia dello sguardo”, inaugurata da Galileo
con il Sidereus Nuncius. Il suo proposito infatti è
manifestamente quello di dilatare e potenziare la capacità
di vedere e di immaginare degli spettatori, contribuendo a
metterli in condizione, anche in questo caso, di vedere la
verità scientifica, anziché limitarsi a dedurla e a
comprenderla con la logica astratta e con la capacità di
astrazione della mente.
KIP THORNE: INTERSTELLAR
115. NUOVE PAROLE
Aggiungiamo, a questo punto, al nostro gioco linguistico e alle parole
con le quali abbiamo cominciato nuovi termini che vi sono familiari:
rete, cooperazione, dialogo, fiducia reciproca, collaborazione.
Queste parole sono alla base del passaggio dai giochi a somma zero,
nei quali se qualcuno vince vi deve necessariamente essere qualcuno
che perde, ai giochi a somma diversa da zero, basati invece su
un’idea rivoluzionaria: quella che si possa vincere o perdere tutti
insieme, e che l’ esito positivo o negativo dipenda dall’attitudine e
dalle intenzioni con i quali si gioca e dalla scelta dei principi che sono
alla base delle decisioni da prendere.
Questa distinzione è importante ai fini del nostro discorso perché la
scienza è il tipico esempio di “gioco” in cui si può vincere tutti insieme,
attraverso la comunicazione, il rispetto reciproco, il confronto e la
cooperazione.
116. GIOCHI A SOMMA ZERO E GIOCHI A SOMMA POSITIVA
Il merito dell’introduzione dell’idea di gioco a somma positiva, in
cui i partecipanti normalmente vincono o perdono insieme, è del
matematico John Nash, la “mente meravigliosa” dell’omonimo
film. È importante capire bene questo tipo di giochi,
differenziandoli da quelli a somma zero, i quali descrivono una
situazione nella quale il guadagno o la perdita di un giocatore è
perfettamente bilanciato da una perdita o da un guadagno di un
altro, per cui se dalla somma totale dei guadagni di tutti i
protagonisti si sottrae la somma totale delle perdite, si ottiene
appunto, zero.
117. GIOCHI A ZERO E GIOCHI A SOMMA POSITIVA
La nascita della moderna teoria dei giochi viene generalmente fatta
coincidere con l’uscita del libro Theory of Games and Economic
Behavior di John von Neumann e Oskar Morgenstern nel 1944, anche
se altri autori, quali Ernst Zermelo, Armand Borel e lo stesso von
Neumann avevano anticipato l’idea di descrivere matematicamente
(“matematizzare”) il comportamento umano in quei casi in cui
l’interazione fra contendenti comporta la vincita o la suddivisione di un
qualche tipo di risorsa.
La premessa indispensabile è che tutti devono essere a conoscenza
delle regole del gioco, ed essere consapevoli delle conseguenze di ogni
singola mossa. Nella teoria, la mossa, o l’insieme delle mosse che un
individuo intende fare viene chiamata “strategia”. Ogni giocatore può
prendere un numero finito (o infinito nel caso più astratto possibile) di
decisioni o strategie. Ogni strategia è caratterizzata da una
conseguenza per il giocatore che l’ha presa, che può essere un premio
o una penalità quantificabili.
118. GIOCHI A SOMMA ZERO E GIOCHI A SOMMA POSITIVA
Il risultato del gioco è completamente determinato dalle sequenze
delle rispettive strategie. Si può rappresentare ogni gioco con un
grafo ad albero che descrive ogni possibile combinazione di
giocate dei contendenti sino agli stati finali, nei quali vengono
ripartite le vincite. Questa descrizione è quella che viene
immediatamente in mente per esempio quando si pensa al gioco
degli scacchi. A ogni mossa di uno dei giocatori possono seguire
più risposte dell’altro, a ognuna delle quali a sua volta il primo può
rispondere scegliendo fra parecchie mosse possibili, e così via. La
struttura che descrive questa situazione è appunto la struttura di
un albero, nel quale ogni ramo si divide in più rametti, i quali si
dividono in rametti più sottili e così via.
119. GIOCHI A SOMMA POSITIVA ED EQUILIBRIO
Il contributo fondamentale di Nash consiste nell’introduzione della nozione
di ‘equilibrio’, grazie alla quale la possibilità di applicare la Teoria dei Giochi
ai casi concreti di conflitto ha compiuto un passo avanti decisivo. Questa
scoperta, che gli valse il premio Nobel per l’economia nel 1994, prende in
considerazione, in particolare, un comportamento che non può essere
migliorato con azioni unilaterali, nel senso che lo si sarebbe tenuto anche
se il comportamento dell’avversario fosse stato noto in anticipo. È stato lo
stesso John Nash a esporre in modo sintetico ed efficace, in una intervista
rilasciata nel 2015, poco prima della morte, le basi della sua teoria,
facendo emergere, come tratto distintivo fondamentale del suo approccio,
l’importanza della cooperazione tra i giocatori: “Un gioco può essere
descritto in termini di strategie che i giocatori devono seguire nelle loro
mosse: l’equilibrio c’è quando nessuno riesce a migliorare in maniera
unilaterale il proprio comportamento. Per cambiare, occorre agire insieme”.
E ancora: “Unilateralmente possiamo solo evitare il peggio, mentre per
raggiungere il meglio abbiamo bisogno di cooperazione
120. GIOCHI A SOMMA ZERO E GIOCHI A SOMMA POSITIVA
Assumendo il gioco a somma positiva come schema per
esemplificare le relazioni sociali ciò che si vuole mettere in
evidenza è che i soggetti coinvolti sono interessati a interagire e a
sostenersi reciprocamente, stabilendo un concreto rapporto di
fiducia e collaborazione, accrescendo la riserva strutturale di
opportunità complessive sulla quale il sistema sociale e l’ambiente
in cui sono inseriti e operano possono contare.
È questo il significato fondamentale del passaggio dai giochi a
somma zero, nei quali non si ha mai incremento di valore, dato
che il risultato che si ottiene sottraendo dalla somma totale dei
guadagni di tutti i protagonisti la somma totale delle perdite è
sempre uguale a zero, ai giochi a somma positiva.
121. L’IMPERATIVO ETICO DI VON FOERSTER
Dal quadro complessivo delineato emerge quello che Heinz von
Foerster considera l’“imperativo etico” fondamentale del nostro
tempo, che invita a un’azione orientata a produrre nuove
possibilità per sé stesso e per il prossimo: “agisci sempre in modo
di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta”, “do ut
possis dare”, do affinché tu possa dare di più. Seguendo questa
traccia ci si orienta verso una strategia di continua creazione di
possibilità nella quale ogni decisione, ogni azione, ogni
comportamento, attualizza una parte del possibile mentre crea un
nuovo possibile. Non, quindi, il possibile in modo generico e
indeterminato, come risultato dell’esclusione di ciò che è
necessario e ciò che è impossibile, ma il possibile come
l’inserimento di ciò che è dato nell’orizzonte delle sue possibili
trasformazioni, concepibili e concretamente realizzabili.
H. Von Foerster H. (1982), Sistemi che osservano, tr. it. Astrolabio, Roma, 1987, p. 233.
122. L’IMPERATIVO ETICO DI VON FOERSTER
Questo imperativo è importante perché coglie ed esprime la
tendenza fondamentale sia della vita, sia della conoscenza,
in virtù del forte legame che viene sempre più istituito tra di
esse, che vogliono continuamente sperimentarsi,
espandersi, calpestare le frontiere, ridurre le terre di
nessuno.
La “vita vivente” e il processo della conoscenza vogliono
proprio questo. Imprevedibilità, invenzione, di conseguenza,
vanno accettate e coltivate con attenzione, garantendo a
esse l’indispensabile ancoraggio alla realtà esistente, al
costante confronto con la quale non ci si può, ovviamente,
sottrarre.
.
123. L’IMPERATIVO ETICO DI VON FOERSTER
Questo imperativo è l’opposto della apparente virtù del donare.
La legge del dono, infatti, è basata sulla logica simmetrica, insita
nel principio di reciprocità, per cui Rab=Rba (la relazione tra a e b
deve essere uguale alla relazione tra b e a, come accade, ad
esempio, nel caso della relazione di “fratello di”). Essa esclude
per principio ogni forma di incremento, di arricchimento delle
possibilità in gioco, tutta racchiusa com’è nell’orizzonte
dell’aspettativa dello scambio paritetico, senza quel guadagno e
quella disponibilità a favorire l’accrescimento dell’altro e,
attraverso questo, lo sviluppo complessivo di tutti.
124. L’IMPERATIVO ETICO DI VON FOERSTER
Quanto diversa, rispetto a questo “do ut des”, sia la logica della
vita e della conoscenza che si espandono e che esigono che
ogni cosa sia messa in condizione di “crescere per forza propria”
(“do ut possis dare”), ce lo dicono con chiarezza tutte le ricerche
relative alla struttura interna e al funzionamento degli organismi
viventi e dei sistemi cognitivi, dalle quali emerge in modo chiaro
un’esigenza fondamentale e imprescindibile sia per gli uni che per
gli altri, quella di espandersi e di arricchire continuamente le
proprie possibilità, sperimentando e innovando.
125. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
La cooperazione tra scienziati è tanto forte da superare anche le
condizioni più avverse.
Un esempio concreto è costituito dalle circostanze in cui si
verificò la prima conferma sperimentale della teoria della relatività
generale di Einstein, formulata dal suo autore per via puramente
teorica, senza il supporto di alcuna evidenza e di alcuna
osservazione empirica.
126. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
Protagonista di questa vicenda fu un astrofisico inglese, Arthur
Eddington, al quale Einstein deve il riconoscimento della sua
teoria come cardine della nuova concezione del mondo
“postnewtoniana” e la sua personale consacrazione come il fisico
più autorevole dell’inizio del XX secolo.
127. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
Quando scoppiò la prima guerra mondiale Eddington era direttore
dell’Osservatorio astronomico dell’Università di Cambridge,
l’istituzione che custodiva gelosamente l’eredità di Newton.
La comunità scientifica inglese aveva preso una dura posizione di
ostracismo nei confronti degli scienziati tedeschi, considerandoli
corresponsabili delle scelte del loro governo: le riviste che
ospitavano i loro scritti furono messe al bando e ne fu vietata la
circolazione nel Regno Unito.
Nonostante ciò Eddington, attratto dalla teoria della relatività
generale di Einstein, fece di tutto per procurarsele, rischiando di
venire accusato di contrabbando di pubblicazioni vietate fra la
Germania e l’Inghilterra.
128. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
Come scrive lo storico della scienza Matthew Stanley “le
osservazioni astronomiche, i risultati sperimentali e i calcoli
matematici – la linfa vitale della scienza – vennero fermate dalle
trincee” e poi, subito dopo la fine del conflitto, dalle linee di
confine appena ridisegnate.
Eddington, strenuo sostenitore dell’internazionalismo e della
cooperazione in campo scientifico, anche con gli scienziati
appartenenti al campo avverso, riuscì a mettere le mani sugli
articoli pubblicati da Albert Einstein tra la fine del 1915 e l’inizio
del 1916, in piena guerra mondiale: proprio gli scritti che
delineavano la teoria della relatività generale, e fu il primo
scienziato a diffondere la nuova teoria nel mondo anglofono.
129. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
Subito dopo la fine della guerra Eddington chiese l’autorizzazione
a organizzare una spedizione prevista per il maggio del 1919
all’isola di Principe, una delle due maggiori di un arcipelago di
circa 20 isole che si trova nell’Oceano atlantico al largo dell’Africa
centro-occidentale nel golfo di Guinea. con lo scopo di osservare
un’eclisse totale di sole e mettere a confronto i risultati
sperimentali ottenuti con la teoria di Newton e con la nuova teoria
di Einstein.
130. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
Ciò che serviva al gruppo guidato da Eddington era stabilire se il
Sole, con la sua massa, deforma lo spazio-tempo, così come
prevede la teoria della relatività generale, in modo tale che la
luce di una stella lontana giunga fino a noi lungo una traiettoria
diversa da quella che percorrerebbe in uno spazio-tempo vuoto,
come quello teorizzato da Newton; tipicamente, in uno spazio-
tempo deformato da una grossa massa, la luce viaggia lungo una
linea curva anziché retta.
L’eclissi durò 302 secondi – poco più di cinque minuti. Dopo aver
elaborato i dati ottenuti, il verdetto fu positivo: il risultato era
compatibile con la teoria della relatività generale. La luce delle
stelle era deviata dalla presenza del Sole, e lo era proprio come
Einstein aveva previsto.
131. UN ESEMPIO CONCRETO DI COOPERAZIONE
J.J. Thomson, premio Nobel per la fisica per la scoperta
dell’elettrone e presidente della Royal Society, definì la relatività
generale “uno dei successi più importanti del pensiero umano” e il
nome di Albert Einstein cominciò a essere sulla bocca di tutti, e
non soltanto degli addetti ai lavori.
Quella che Abraham Pais, il più celebre dei biografi dell’artefice
della teoria della relatività, ha definito “la canonizzazione di
Einstein” iniziò poco dopo la presentazione alla Royal Society. Già
il 7 novembre 1919, il giorno successivo, il Time riportò, seguito
dal New York Times, che era stata formulata una “nuova teoria
dell’Universo” che “detronizzava le idee di Newton”.
133. SCIENZA E INNOVAZIONE
Per capire quanto sia fondamentale e imprescindibile per noi questa
esigenza di innovazione continua basta pensare come si presenta, alla luce
delle conoscenze che ne abbiamo oggi, quel meraviglioso sistema
complesso che è il nostro cervello: 100 miliardi di neuroni, ognuno dei quali
possiede in media 1.000 sinapsi che lo collegano ad altri neuroni: centomila
miliardi di connessioni cerebrali per ogni individuo. Ciascuna delle sinapsi
può trovarsi in un differente stato funzionale in relazione ai diversi livelli di
attivazione o di inibizione elettrochimica. Dato che ogni sinapsi può avere in
media circa dieci possibili stati funzionali, il numero dei possibili stati
cerebrali raggiunge il milione di miliardi (1015). Questi numeri ci fanno
capire ciò che abbiamo dentro la nostra scatola cranica: come ha scritto
Calvino “la nostra mente è una scacchiera in cui sono messi in gioco
centinaia di miliardi di pezzi – neppure in una vita che durasse quanto
l’universo s’arriverebbe a giocare tutte le partite possibili”.
I. Calvino, “Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo
combinatorio)” (1967), in Una pietra sopra, Milano, Mondadori 1995, p. 204.
134. L’IMPOSSIBILITA’ DI FAR FRONTE ALLO SVILUPPO
DELLA CONOSCENZA ATTAVERSO IL SOLO FORMALE
Uno studio della Berkeley University ha rilevato che il
volume di informazioni prodotte tra il 2001 e il 2004 è
equivalente a quello prodotto tra il 1970 e il 2000 e
che queste sono a loro volta equivalenti alla quantità
di tutte le informazioni prodotte dall’umanità da
quando è nata la scrittura fino al 1970.
Un aggiornamento di questo studio ha rilevato che nei
due anni dal 2004 al 2006 abbiamo prodotto l’identica
quantità di informazioni nella metà del periodo.
Se volessimo indicizzare solo l’informazione prodotta
nei primi 6 anni di questo secolo staremmo dunque
parlando del doppio di tutta l’informazione scritta di
tutta la storia dell’umanità fino al 1970.
2001 20041970 20062000Inizio della scrittura
135. SCIENZA E INNOVAZIONE
Questi dati ci fanno capire che scienza e accrescimento della conoscenza
sono espressioni ormai coincidenti: la scienza consiste sempre più nel suo
processo di crescita e dunque di innovazione.
Essa apre nuove frontiere, nuovi territori di indagine, dall’infinitamente
grande del cosmo, esplorato con telescopi sempre più potenti, come il
Sardinia Radio Telescope (Abbreviato in SRT), situato in località Pranu
‘e Sànguni, nel territorio del comune di San Basilio, il terzo strumento di
questo tipo installato in Italia, tecnologicamente il più avanzato e quello di
maggiori dimensioni, all’infinitamente piccolo indagato dalla meccanica
quantistica, alla nanotecnologia, un ramo della scienza applicata che si
occupa del controllo della materia su scala dimensionale inferiore al
nanometro, ovvero un miliardesimo di metro (in genere tra 1 e 100
nanometri) e della progettazione e realizzazione di dispositivi in questa
scala.
136. INNOVAZIONE E TRADIZIONE
È tuttavia bene sottolineare subito che l’apertura di queste nuove frontiere e
l’impetuoso processo di crescita e di innovazione che contraddistingue oggi
la scienza non significano buttare a mare le conoscenze acquisite nel
passato.
La scienza procede innovando ma anche conservando il patrimonio di
conoscenze acquisite nel corso del suo processo di sviluppo, e così
facendo mantiene solido un ponte tra passato e futuro, tra memoria e
progetto, tra tradizione e innovazione.
137. INNOVAZIONE E TRADIZIONE
Per limitarci a un solo esempio tra i tanti possibili, le differenze tra la
meccanica newtoniana e la teoria della relatività ristretta e generale di
Einstein diventano apprezzabili e significative solo per grandissime velocità,
che si approssimano a quelle della luce. La meccanica newtoniana
differisce da quella relativistica sia nei principi fondamentali sia nella forma
matematica, ma giunge a risultati equivalenti se applicata allo studio di
processi che coinvolgono velocità piccole rispetto a quelle della luce.
Così pure la meccanica quantistica fa sentire il suo distacco rispetto alla
fisica classica quando siamo in presenza di grandezze subatomiche.
Possiamo dunque dire che la scienza innova conservando. Essa ci
induce a tenere nella massima considerazione i livelli di realtà e il
concetto di limite di applicazione. Spesso una nuova teoria stabilisce i
limiti di applicabilità delle concezioni precedenti che contribuisce a
superare.
138. INNOVAZIONE E TRADIZIONE
A proposito di questo rapporto tra l’innovazione e il patrimonio di
conoscenze accumulate nel corso della storia possiamo applicare alla
dinamica delle teorie scientifiche e al processo di crescita che caratterizza
la ricerca il notissimo aforisma del grande musicista Gustav Mahler:
La tradizione è la custodia del fuoco, non l’adorazione delle ceneri.
139. INNOVAZIONE ED EVIDENZA
E veniamo a un altro aspetto che caratterizza la dinamica delle teorie
scientifiche e che costituisce uno dei più significativi contributi che la
scienza fornisce allo sviluppo della cultura: la capacità di smascherare le
false evidenze, basate sull’apparenza piuttosto che sulla realtà.
L’esempio più eclatante è costituito dal superamento di quella che
sembrava una delle verità più solide e indubitabili: il V postulato della
geometria euclidea.
140. INNOVAZIONE ED EVIDENZA
Postulato, com’è noto, è una proposizione che, senza essere
dimostrata, si assume – o si richiede all’interlocutore di
assumere – come fondamento di una dimostrazione o di una
teoria.
Nella logica tradizionale il termine ha significato diverso
da assioma, che indica una proposizione evidente di per sé.
Esempio tipico di proposizione del primo tipo è il postulato di
Euclide, o postulato della parallele, riconducibile all’asserzione
che per un punto esterno a una retta passa una e una sola
parallela alla retta stessa.
Solo dopo secoli di tentativi infruttuosi di darne una
dimostrazione in base agli altri quattro postulati se ne riconobbe
il carattere indipendente all’inizio del 19 secolo, con la
conseguente nascita delle geometrie non-euclidee.
141. Ci sono cose che sembrano difficili a farsi perché si è accecati dalle apparenze. La scienza ci aiuta a liberarci da
questa forma di cecità, sottolineando l’importanza dell'analisi approfondita e della critica.
Muller, street art. Gli abissi infuocati sono dipinti semplicemente sulla strada, la tridimensionalità è pura
apparenza, appunto.
142. Ancora Muller, in Cina... La giovane donna cinese salta a suo rischio e pericolo, l'abisso è
immenso. Ma è tutta apparenza, è tutto dipinto sulla strada. Per intravvedere la realtà al di là delle
apparenze non si può fare a meno delle armi della critica e della teoria.
143. COME STANARE LA FALSA EVIDENZA
Ma come si individuano l’apparenza che non corrisponde alla
realtà, la falsa evidenza o, nei casi più “soft”, una teoria non più
al passo con i tempi?
Secondo molti con un esperimento cruciale in grado di
decidere quale sia la soluzione giusta in presenza di teorie o
spiegazioni alternative. In realtà le cose non sono così semplici,
ed è istruttivo capire perché.
Per spiegare un processo oggetto di studio una teoria ha
bisogno di separarlo dal “resto del mondo”, dal contesto in cui
avviene, fissando le condizioni inziali, cioè i valori che le
variabili dinamiche assumono in un certo istante di riferimento,
detto stato iniziale.
144. COME STANARE LA FALSA EVIDENZA
Se una legge qualunque L entra in conflitto con i dati osservativi
e sperimentali, in quanto le sue previsioni si discostano da essi,
a dover essere messa in dubbio non è la sola legge L, ma la
congiunzione tra L e le condizioni iniziali C: L+C.
Potrebbe dunque essere falsa L ma potrebbero essere variate,
per qualche motivo o qualche influenza esterna non prevista sul
sistema, le condizioni iniziali.
145. COME STANARE LA FALSA EVIDENZA
Facciamo un esempio realmente accaduto. Poco prima della
metà dell’800 fu notato che Giove e Saturno si muovevano
secondo le previsioni delle leggi di Newton, mentre Urano si
discostava da esse. Anziché ritenere falsificata la meccanica
celeste newtoniana due astronomi, Adams e Leverrier,
suggerirono che questa anomalia fosse causata dall’attrazione
esercitata da un pianeta esterno a Urano non ancora visto, la
cui orbita influiva su quella del pianeta “ribelle”, determinandone
lo scostamento dall’ellisse perfetta di Keplero.
Fecero i calcoli, stabilirono dove trovare questo pianeta nuovo e
chiesero ai rispettivi osservatori di puntare i loro telescopi in
quella direzione. Utilizzando i loro calcoli le osservazioni che
confermavano l’esistenza di questo nuovo pianeta, poi chiamato
Nettuno, furono effettuate nella notte del 23 settembre 1846
all’osservatorio di Berlino da Johann Gottfried Galle.
146. COME STANARE LA FALSA EVIDENZA
Nettuno è l'ottavo e più lontano pianeta del Sistema solare
partendo dal Sole. Si tratta del quarto pianeta più grande,
considerando il suo diametro, e il terzo se si considera la sua
massa. Esso, come si è visto, è stato matematicamente
individuato prima di essere direttamente osservato.
Le circostanze della sua scoperta dimostrano che la validità di
una legge o di una teoria si basa sulle sue capacità
previsionali: tuttavia il mancato successo di queste ultime non
basta per ritenere superate la legge e la teoria e scartarle.
Alcune volte è così, come nel caso del passaggio dalla
meccanica di Newton alla teoria della relatività di Einstein, altre
volte, come nel caso di Urano/Nettuno, l’anomalia riscontrata
diventa un fattore di ulteriore conferma e di rafforzamento della
teoria e della legge in discussione.
147. COME STANARE LA FALSA EVIDENZA
Non c’è dunque alcun automatismo basato sul rapporto tra la
teoria e i dati sperimentali, spetta sempre agli scienziati
decidere prendendo in esame tutte le alternative possibili e
mettendole alla prova (“Provando e riprovando”, come diceva,
non a caso, il motto dell’Accademia del Cimento) prima di
emettere il loro verdetto.
154. Arte: Elaborazione Consapevole della Realtà
Scienza: Elaborazione Consapevole della Realtà
Opera D’Arte
Teoria-Modello
Realtà
155. Maxwell “scopre l’esistenza” di campi Elettrici e Magnetici – 1862
Equazioni di Maxwell - 1862
Mel Brooks, Frankenstein Junior - 1974
156. LA RETROAZIONE POSITIVA COMPLETA
Il riferimento a Maxwell è importante perché è a lui che
si deve, grazie al suo studio del campo magnetico, la
conclusione che i campi elettrici e magnetici possono
generarsi a vicenda.
I principi fondamentali dell’elettromagnetismo erano
stati stabiliti nel corso del secolo XIX dai fondamentali
lavori di Charles-Augustin de Coulomb (1736-1806),
Hans Christian Oersted (1777-1851), André-Marie
Ampère (1775-1836), Joseph Henry (1797-1878) e
soprattutto di Michael Faraday (1791-1867).
157. LA RETROAZIONE POSITIVA COMPLETA
Tutti questi risultati furono poi sintetizzati da Carl Fredrich Gauss (1777-1855)
nei seguenti due teoremi, che stabiliscono i primi due principi fondamentali
dell'elettromagnetismo:
1) Un corpo carico produce nello spazio circostante delle linee di forza
elettriche, il cui flusso attraverso una superficie chiusa è pari alla somma
delle cariche poste al suo interno divisa per la costante dielettrica.
2) Una corrente elettrica che circola in un conduttore produce delle linee di
forza magnetiche attorno al conduttore, il cui flusso attraverso una superficie
chiusa è sempre nullo.
La prima affermazione è detta Teorema di Gauss del campo elettrico mentre
la seconda è chiamata anche Teorema di Gauss del campo magnetico. Il
primo teorema ha il seguente significato fisico: esiste il monopolo elettrico,
cioè la carica elettrica singola, ed essa è sorgente di campo elettrico. Il
secondo ci dice invece che il campo magnetico è solenoidale, ovvero che le
linee di forza sono sempre chiuse, e non esiste il monopolo magnetico.
Spezzando un magnete in due, infatti, trovo sempre due magneti dotati
entrambi di polo Nord e polo Sud.
158. LA RETROAZIONE POSITIVA COMPLETA
È a questo punto che si collocano le fondamentali ricerche di James Clerk
Maxwell, il quale negli anni tra il 1860 ed il 1870 scoprì che l’esistenza del
campo elettrico indotto è indipendente dalla presenza del conduttore che in
sostanza ha soltanto una funzione ausiliaria, quella di costituire un dispositivo
che permetta di porre in evidenza l’esistenza di questo campo
canalizzandolo, lungo la spira. In questo modo un’interpretazione più
approfondita del fenomeno di induzione elettromagnetica lo condusse alla
conclusione che:
Ø ogni variazione di un campo magnetico genera la comparsa di un campo
elettrico rotazionale.
Questa stretta relazione tra campo elettrico e magnetico gli suggerì che
doveva sussistere anche l’effetto inverso:
Ø ogni variazione di campo elettrico nel tempo deve creare, per ragioni di
simmetria, un campo magnetico rotazionale concatenato col campo
elettrico.
159. LA RETROAZIONE POSITIVA COMPLETA
L'insieme completo di relazioni tra i campi elettrici e magnetici
proposto da Maxwell non fu subito direttamente verificabile. Egli,
però, aveva previsto anche un fenomeno del tutto nuovo, che
avrebbe dovuto insorgere per effetto delle reciproche interazioni
tra campi elettrici e magnetici variabili. Per capire di cosa si
tratta, supponiamo che in una certa regione di spazio ad un
certo istante si determini una variazione del campo elettrico,
originato, per esempio, da un moto accelerato di cariche
elettriche. Nei punti immediatamente vicini si produce allora un
campo magnetico anch'esso variabile nel tempo. La variazione
del campo magnetico origina nei punti immediatamente vicini un
campo elettrico anch'esso variabile, e così via. Nasce in tal
modo una perturbazione elettromagnetica che si propaga nello
spazio.
160. LA RETROAZIONE POSITIVA COMPLETA
Già prima di Maxwell era nota la produzione di un campo elettrico
variabile in seguito a una variazione del campo magnetico in un
punto, in quanto prevista dalla legge di Faraday-Henry; si pensava
però che la brusca diminuzione di un campo magnetico da un
valore massimo a zero dovesse provocare un comportamento
analogo del campo elettrico e che, di conseguenza, dopo un
piccolo intervallo di tempo dall’istante in cui si era annullato il
campo magnetico l’intero processo venisse a cessare. La novità,
assai rilevante, prevista da Maxwell consiste nel fatto che, al
contrario, il campo elettrico ed il campo magnetico generati dalla
variazione nel tempo di uno dei due sono in grado di
autosostenersi, cioè di propagarsi anche se la variazione iniziale
che li ha prodotti è venuta meno.
Se ne conclude che, da una brusca variazione di un campo
elettrico o magnetico nel tempo, ha origine la propagazione di un
impulso elettromagnetico, cioè di un'onda, chiamata per l'appunto
onda elettromagnetica.