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Pledge fund, search fund
e SPAC: novità nel private
equity
di Guidalberto Gagliardi (*)
Le società italiane restano sottocapitalizzate rispetto alle omologhe straniere. Il private equity può
contribuire a risolvere la situazione. L’articolo fa il punto su alcuni strumenti che sono da poco
comparsi in Italia o che potrebbero presto essere introdotti da operatori intraprendenti.
Introduzione
Tra 2013 e 2014 il patrimonio netto delle
imprese italiane è aumentato di 33,8 miliardi
(1). Per 4,3 miliardi (13%) queste risorse sono
state reperite tramite collocamento in Borsa e
per 2,1 miliardi (6%) gli investimenti in
aumenti di capitale sono stati sottoscritti da
private equity.
I fondi ormai non si possono più ritenere
strumenti finanziari innovativi, poiché
anche in Italia sono presenti dai primi anni
Ottanta del secolo scorso. Essi inoltre si sono
affermati come uno degli strumenti più
adatti per contribuire al rafforzamento patri-
moniale delle imprese italiane. In questo
ambito si è assistito ad alcune novità (non
tutte introdotte in Italia) di cui nel presente
lavoro s’intende dare conto, cogliendo l’occa-
sione per fornire aggiornamenti sull’anda-
mento dell’attività d’investimento dei private
equity e delle SPAC.
Private equity: connotazione
e statistiche
Il private equity è la realizzazione di investi-
menti nel capitale di rischio di imprese (nor-
malmente non quotate) da parte di soggetti
specializzati.
Gli operatori che, sul territorio italiano, effet-
tuano questo tipo di attività sono 199 e, nel
corso del 2015, hanno completato 342 investi-
menti in 272 imprese per un impiego comples-
sivo di euro 4.620 milioni (2) (Tavola 1).
Anche quando non hanno un focus settoriale o
geografico, i private equity possono essere
specializzati in uno o più ambiti d’investi-
mento, sostanzialmente riconducibili a:
• venture capital, cioè finanziamento agli
albori della storia di un’impresa, normalmente
caratterizzata da un forte contenuto tecnolo-
gico e un ampio potenziale di crescita;
• development capital, dove il fondo
apporta all’azienda risorse (di solito sottoscri-
vendo un aumento di capitale riservato) per
consentirle di realizzare un percorso di
sviluppo;
• buy-out, in cui viene acquisita la maggio-
ranza di una società che abbia una posizione
di mercato difendibile e una redditività stabile;
•turnaround, quando il fondo mira ad imprese
in difficoltà, con l’obiettivo di ristrutturarle,
eventualmente penalizzando i precedenti
finanziatori.
Secondo il rapporto PEM (3), l’operazione-tipo
di questi investitori nel 2014 è il buy-out con
l’acquisizione di una quota del 67% dell’im-
presa target dalla famiglia che la possedeva. Il
fatturato medio dell’impresa acquisita è pari a
euro 57M, il suo enterprise value (4) pari a euro
Note:
(*) Equity Factory S.A. Lugano
(1) C. Bussi, “Cresce il patrimonio delle imprese”, in Il Sole - 24
Ore del 15 febbraio 2016.
(2) Salvo dove diversamente indicato, le statistiche sul mer-
cato del private equity italiano sono tratte dalle ricerche
pubblicate annualmente da AIFI al sito www.aifi.it.
(3) LIUC, PEM Private Equity Monitor Italia 2014, scaricabile dal
sito http://www.privateequitymonitor.it/.
(4) Ammontare corrispondente alla somma tra il prezzo rico-
nosciuto agli azionisti e l’indebitamento finanziario netto.
Amministrazione & Finanza n. 5/2016 65
FinanzaAziendale
Private equity
9M, corrispondente a un multiplo sull’Ebitda
di 7,1 volte (5).
Gli operatori sono normalmente costituiti
come un connubio tra un fondo, cioè una
sorta di “forziere” in cui i sottoscrittori met-
tono in comune il denaro da investire, e una
società che, grazie ai propri amministratori e
all’eventuale personale, si occupa di gestire il
fondo, identificando, selezionando, valutando
e realizzando gli investimenti.
La società di gestione (anche detta manage-
ment company o general partner) investe il
capitale raccolto dal fondo seguendo specifici
criteri e una procedura abbastanza standa-
rdizzata (ricerca, pre-valutazione interna,
delibera, LOI, due diligence, contratto d’inve-
stimento e patti, closing). La società di
gestione controlla periodicamente ciascuna
partecipata in portafoglio, affianca il manage-
ment (almeno) nelle decisioni strategiche,
effettua le azioni finanziarie, legali e di comu-
nicazione atte a valorizzare l’investimento.
Non appena si presenta un’opportunità, la
società di gestione cede (o quota in Borsa),
in tutto o in parte, la partecipazione detenuta
dal fondo. Le operazioni sfortunate portano a
una svalutazione o al sostanziale annulla-
mento dell’investimento.
Nel 2015 i fondi hanno alienato o annullato
partecipazioni per un totale di euro 2,9
miliardi, trovandosi quindi con euro 9,3
miliardi pronti per essere allocati su nuovi
progetti.
I sottoscrittori dei fondi (anche chiamati limi-
ted partner) sono abitualmente fondi pensione
e casse di previdenza (19% della raccolta
2015), investitori individuali o family office,
enti pubblici o fondi sovrani, banche e assi-
curazioni. Tutti questi soggetti sono accomu-
nati dalla possibilità (e necessità) di inserire
in un portafoglio di investimenti diversificato
anche degli impieghi che presentino un ele-
vato potenziale di rendimento di lungo ter-
mine (chiaramente accettando un rischio
proporzionalmente elevato). Da diversi anni
è raro che il fondo raccolga contestualmente
tutta la propria dotazione dai sottoscrittori: la
struttura più diffusa prevede che gli investi-
tori si impegnino a versare il loro contributo
mano a mano che i gestori richiamano le
singole tranche, in parallelo con il concretiz-
zarsi delle opportunità d’investimento. In
queste fattispecie si parla di fondi a
commitment.
La durata di un fondo chiuso è definita e, in
genere, decennale; alla scadenza esso è liqui-
dato e il ricavato viene spartito tra i sottoscrit-
tori. In alcuni casi comunque il provento netto
della dismissione è immediatamente distri-
buito ai sottoscrittori.
Coloroche governanola management company
sono professionisti, normalmente provenienti
dalla finanza e, molto meno frequentemente,
da aziende industriali. I gestori di fondi usano
lanciare periodicamente (ogni tre o cinque
anni) nuovi veicoli d’investimento, progressi-
vamente più importanti in termini di raccolta.
La società di gestione è abitualmente remune-
rata con una commissione periodica e, soprat-
tutto, in relazione al rendimento che sta
facendo ottenere ai sottoscrittori. Gli operatori
di maggiore successo hanno chiaramente
minori difficoltà a raccogliere un nuovo
fondo rispetto ai neofiti o a coloro che non
hanno ottenuto rendimenti significativi. Il ren-
dimento medio del private equity italiano nel
2014 è stato pari al 19,7% (ciò spiega l’attra-
zione che questo tipo di “asset class” esercita su
determinate categorie di investitori).
Ifonditendonoadavereunafunzionerilevante
per l’economia di ciascun Paese sviluppato in
quanto sono una delle poche forme istituzio-
nali cui le imprese e i loro soci possono acce-
dere per ottenere capitale di rischio che
consenta di avviare nuovi progetti, crescere,
cambiare la proprietà e realizzare un
salvataggio.
Secondo la prospettiva degli investitori (cioè
dei potenziali sottoscrittori di fondi) i princi-
pali svantaggi di questa categoria di strumenti
(asset class, in inglese) possono risiedere:
•nella lentezza nell’identificare e realizzare gli
investimenti (6);
• nella necessità di ricorrere a consulenti spe-
cializzati per mettere in atto la due diligence;
• nella frequente focalizzazione sugli aspetti
finanziari anziché industriali;
Note:
(5) I dai AIFI indicano che circa l’80% degli investimenti del
2015 è stato indirizzato verso PMI con fatturato interiore a euro
50 milioni e meno di 200 dipendenti.
(6) “Soltanto 115 delle 3.263 imprese complessivamente con-
siderate nell’analisi (pari al 3,5%) si caratterizzano per valori
degli indicatori patrimoniali, economici e reddituali in linea
con quelli che caratterizzano le aziende partecipate da fondi
di private equity e venture capital nel periodo 2000-2008” da
G. Fusaro e A. Muzio, “Domanda e offerta di private equity in
Italia”, Liuc Papers n. 245, febbraio 2012.
66 Amministrazione & Finanza n. 5/2016
FinanzaAziendale
Private equity
• nella carenza di risorse e competenze gesto-
rie chepossano contribuire ancheallosviluppo
strategico e organizzativo delle partecipate;
•nella conseguente dipendenza dall’imprendi-
tore cedente;
•nella ridotta propensione a interventi succes-
sivi sulle partecipate nel caso in cui non si
verifichino le dinamiche attese;
• nei costi della struttura operativa dedicata
(uffici, segretaria, partner, analisti).
Per superare alcune delle limitazioni dei pri-
vate equity tradizionali, la pratica ha fatto
emergere alcune strutture alternative.
Cos’è e come funziona il pledge fund
I pledge fund sono piattaforme per investimenti
in private equity in cui gli investitori (talora
definiti member) partecipano al progetto inve-
stendo un importo relativamente contenuto
(nell’ordine dei 200 mila dollari) nella singola
operazione. Questi ultimi, infatti, assegnano
a un gruppo di professionisti l’incarico
d’identificare delle opportunità d’investimento
secondo certi parametri. Successivamente cia-
scun investitore esamina la potenziale opera-
zione e decide se parteciparci.
Questa configurazione assomiglia a quella che
in Italia è anche detta del club deal. La diffe-
renza consiste nel fatto che nei veri e propri
“investimenti tra amici” sono gli stessi poten-
ziali investitori a reperire e costruire le
opportunità, mentre nei pledge fund queste
attività sono affidate a un team di specialisti.
La singolarità rispetto al private equity
tradizionale, a sua volta, risiede nel fatto che i
gestore del pledge fund non possono contare su
un impegno irrevocabile dei sottoscrittori a
investire nel fondo e nella possibilità per il
management team di allocare le risorse del
fondo in sostanziale autonomia. In pratica si
coniuga la presenza di un processo d’investi-
mento formale e standardizzato con la
possibilità per il sottoscrittore di decidere libe-
ramente se partecipare oppure no a un certo
progetto (scelta che l’investitore in un fondo di
private equity normalmente non ha).
Nei pledge fund la società di gestione si occupa
quindi di tutte le funzioni classiche del venture
capital e del private equity: presenza nella
comunità finanziaria, reperimento e studio
delle opportunità d’investimento, prepara-
zione e presentazione delle operazioni agli
investitori, negoziazione dei termini contrat-
tuali e definizione dei relativi testi, gestione
delle partecipate (per esempio partecipando
ai consigli di amministrazione). Quando l’inve-
stimento è effettuato su base individuale, come
accade nei club deal o per i business angel, c’è il
rischio che l’operazione non sia valutata con
sufficiente obiettività e che il singolo investi-
tore non abbia le competenze o il tempo neces-
sari per seguire la società in cui ha investito.
Diventare “membro” di un pledge fund è sem-
plice. Di solito si compila un questionario e si
dimostra di possedere dei requisiti minimi in
termini di capacità finanziaria (meno onerosi
rispetto a quanto richiesto per sottoscrivere
altri veicoli di private equity). I membri sono
tenuti a versare una limitata quota annua (tra 5
Tavola 1 - Evoluzione dell’attivita` d’investimento dei private equity
Amministrazione & Finanza n. 5/2016 67
FinanzaAziendale
Private equity
e 10 mila dollari), destinata a coprire i costi
generali del fondo e a scremare tra i potenziali
investitori quelli realmente interessati al pro-
getto. Mensilmente, infatti, il management
team analizza le operazioni che gli sono sotto-
poste, incontra le società più promettenti, con-
duce una due diligence strategica e finanziaria
preliminare e seleziona le 3 o 4 migliori
opportunità. Queste sono ulteriormente scre-
mate e finalmente presentate, in maniera siste-
matica, a tutti i membri. I partecipanti al pledge
fund hanno un breve intervallo (una settimana
al massimo) entro il quale indicare a quale
progetto vogliono partecipare. Sono comun-
que liberi di rifiutare qualsiasi proposta.
Raccolte le manifestazioni d’interesse, i gestori
del pledge fund valutano se le risorse comples-
sivamenteallocatesonosufficienti per comple-
tare l’operazione prospettata e, nei casi
favorevoli, costituiscono una società dedicata
in cui immettere i capitali dei membri interes-
sati, avviano la due diligence approfondita,
incaricano i legali del fondo di ultimare i con-
tratti e svolgono le altre attività propedeutiche
all’investimento. L’acquisizione viene solita-
mente effettuata dal veicolo societario dedi-
cato e uno o più dei gestori del fondo
assumono la carica di amministratore della
partecipata (7).
Il search fund, una curiosa sottospecie
del pledge fund
Il search fund è un veicolo per raccogliere
denaro da soggetti interessati a effettuare inve-
stimenti di private equity (8). L’obiettivo dei
finanziatori consiste nel collocare manager
promettenti e motivati (non necessariamente
con grande esperienza operativa o precedenti
nei settori industriali d’interesse) in un
ambiente non molto complesso e sotto il con-
trollo e con il supporto dell’esperienza dei sog-
getti che hanno messo a disposizione il capitale
di rischio. La maggior parte dei search fund è
stata raccolta da studenti che, frequentando i
migliori corsi di MBA, hanno avuto accetto alle
maggiori reti di private equity (9).
Un piccolo gruppo di investitori (che possono
averequote diverse traloro) supporta uno opiù
manager nella ricerca di un’impresa da acqui-
sire. Se viene conclusa l’acquisizione, i mana-
ger ottengono ruoli apicali nella società-
obiettivo.
Normalmente la raccolta del fondo avviene in
due fasi: nella prima si dota del capitale
minimo necessario per sostenere i costi nel
periodo di ricerca (per un ammontare solita-
mente compreso tra 200.000 e 1.000.000 $),
nella seconda si raccoglie il capitale necessario
per completare il progetto (tra 2 e 20 milioni di
$). In alcuni casi la fase di ricerca è auto-finan-
ziata dagli aspiranti imprenditori al fine di
ottenere migliori condizioni al momento del-
l’esecuzione del progetto. Il capitale per la
seconda fase potrebbe essere già stato impe-
gnato dai sottoscrittori all’inizio del processo,
oppure essere opzionato con la formula del c.d.
pledge fund (i sottoscrittori hanno il diritto ma
non l’obbligo di investire, da soli o in gruppo,
nell’acquisizione).
I manager per ciascun fondo sono solitamente
un paio e gli investitori tra 5 e 25 (con un
investimento iniziale medio pro-capite di
30 mila $).
I target operano frequentemente in settori
frammentati, hanno fatturato tra 1 e 30 milioni
di $, solitamente con un andamento stabile o in
lieve crescita, una buona redditività (l’Ebitda
medio è prossimo al 20%) e prospettive di cre-
scita di lungo periodo.
Degli oltre 200 fondi nati dal 1984, una quaran-
tina è ancora attivo (Tavola 2). Per effettuare il
singolo investimento, i potenziali imprenditori
devono analizzare mediamente oltre 300
imprese. Circa un quinto dei search fund è
stato liquidato in quanto, in due o tre anni,
non ha trovato aziende da rilevare. Oltre 30
Note:
(7) Ciò è un vantaggio importante rispetto alle operazioni
effettuata direttamente dai business angel in quanto i gestori
sono professionisti delle operazioni d’investimento e valorizza-
zione, mentre diversi investitori singoli non hanno competenze
specifiche o hanno poco tempo da dedicare allo sviluppo
della società partecipata.
(8)Si vedano: http://www.searchfund.org; http://www.gsb.
stanford.edu/faculty-research/centers-initiatives/ces/
research/search-funds; https://uploads.strikinglycdn.com/
files/65890/6280421d-e655-49f2-bc75-542fc5b1a24b/
Search-Funds-2013.pdf; http://www.iese.edu/en/
faculty-research/events/international-search-fund-confe-
rence-2015/ e http://www.iese.edu/research/pdfs/ST-0342-
E.pdf. Al sito https://uploads.strikinglycdn.com/files/65890/
e27c58cd-81ad-4cfa-b130-a835835819f6/PPM%
20Template%20-%20Search%20Fund.pdf è scaricabile un
esempio di Regolamento di un search fund statunitense.
(9) Dal sito internet dell’Università di Harvard: “Are you looking
foranalternativetoacareerpathatabigfirm?Doesfounding
your own start-up seem too risky? There is a radical third path
open to you: You can buy a small business and run it as CEO.
Purchasing a small company offers significant financial
rewards–as well as personal and professional fulfillment”.
68 Amministrazione & Finanza n. 5/2016
FinanzaAziendale
Private equity
fondi sono stati creati anche in altri continenti,
Europa inclusa. In Italia non risulta ancora
attivo alcuno di questi veicoli (Tavola 3).
Secondo una ricerca condotta dalla Stanford
University nel 2013, diversi search fund ameri-
cani avrebbero decuplicato il valore (prima
delle imposte) e registrato un IRR lordo
del 35%.
Un caso è emblematico del funzionamento di
questo strumento (10). I trentenni Andy
Schoonover e Chris Hendriksen frequentarono
l’MBA di Stanford e decisero di intraprendere
una carriera autonoma ricorrendo alla tecnica
del search fund. Al completamento degli studi
fondarono così Blue Canyon Capital che
raccolse mezzo milione di dollari da diversi
investitori. I due aspiranti imprenditori
contattarono “a freddo” 50 aziende alla setti-
mana e, dopo aver scansionato un migliaio di
imprese, trovarono VRI, una società dell’Ohio
che realizza sistemi di monitoraggio clinico
remoto. A ottobre 2007 il duo acquisì la
societàdopoaverraccoltolealtrerisorseneces-
sarie. Ora Schoonover è amministratore dele-
gato di VRI e la società, dall’acquisizione ha
visto espandersi l’organico da 40 a 250 dipen-
denti e il fatturato crescere del 30% medio
annuo.
La SPAC, un search fund quotato
e regolamentato
Le Special (o Single) Purpose Acquisition
Companysonoveicolid’investimentocollettivo
che permettono agli investitori di realizzare
un’unica acquisizione di una società non quo-
tata (11). Le SPAC sono promosse da uno o più
soggetti che, dopo averle finanziate in misura
Tavola 2 - Il destino dei search fund
Note:
(10) http://www.bloomberg.com/bw/articles/2012-08-31/
search-funds-an-mba-shortcut-to-the-c-suite.
(11) Per approfondimenti si rinvia a G. Gagliardi, “Le SPAC
approdano in Italia”, in questa Rivista, n. 10/2011.
Amministrazione & Finanza n. 5/2016 69
FinanzaAziendale
Private equity
sufficientepersostenereicostidell’offertapub-
blica iniziale (IPO), le portano alla quotazione
in Borsa.
Una volta che i promotori hanno identificato
un’impresa potenzialmente acquisibile (i pro-
spetti informativi delle SPAC delineano i set-
tori obiettivo dell’acquisizione, mentre
l’azienda target è reperita solo successiva-
mente) e hanno negoziato i termini della rela-
tiva operazione con i soci di tale società,
l’aggregazione (detta business combination) è
sottoposta agli azionisti della SPAC. Se l’ope-
razione è approvata da una maggioranza qua-
lificata, i capitali raccolti possono essere
utilizzati (frequentemente i promotori della
SPAC ricevono in premio una porzione impor-
tante del capitale dell’impresa). Nel caso in cui
l’assemblea dei soci non approvi l’operazione,
la SPAC è liquidata. La liquidazione si verifica
anche qualora sia trascorso il periodo prefis-
sato nello statuto entro il quale la SPAC deve
completare la business combination (di solito
oscillante tra 12 e 24 mesi).
Se il progetto ha funzionato, la società target
viene fusa con la SPAC e si trova quindi quo-
tata. Gli azionisti della SPAC hanno così rea-
lizzatounasingolaoperazionediprivateequity,
ottenendo nei fatti il controllo di una società
quotata in Borsa.
Le SPAC sinora varate in Italia sono state
8 e sei di esse hanno già completato la
business combination con medie imprese
nazionali (Ivs, Iwb, Fila, Lu-Ve, Sesa e
Prima Vera), offrendo importanti ritorni agli
azionisti (12).
L’utilità di questi strumenti
per le imprese italiane
La sottocapitalizzazione del nostro sistema
imprenditoriale è fenomeno noto e stigmatiz-
zato da ogni centro di ricerca e autorità (13).
I dati contabili delle società italiane eviden-
ziano, in effetti, come gran parte del capitale
investito sia finanziato tramite l’indebitamento
(in gran parte bancario e a breve scadenza),
dando luogo a rapporti medi tra PFN e reddito
operativo lordo tra i più alti in Europa.
Questa storica debolezza (14) si unisce alle
altre minacce che gravano sulle imprese ita-
liane quali:
• l’urgenza di realizzare il passaggio genera-
zionale in numerosissime imprese di proprietà
familiare (molte delle quali grandi);
• una dimensione insufficiente per travalicare
nicchie geo o competitive;
• la frequente collocazione pericolosa nelle
catene del valore globali;
Tavola 3 - I search fund avviati nel mondo tra 1983 e 2013
Note:
(12) L. Gia e P. Jadeluca (a cura di), “SPAC, la finanza a misura
di PMI”, in Repubblica Economia & Finanza del 22 luglio 2015.
(13) “Secondo Banca d’Italia [nelle aziende italiane] man-
cano all’appello 200 miliardi di euro di mezzi propri” da
C. Bussi, op. cit. Nello stesso senso: “Nel confronto internazio-
nale, le imprese della Regione [Lombardia] appaiono sotto-
capitalizzate e con una redditività operativa inferiore” da
Banca d’Italia, L’economia della Lombardia, giugno 2014.
(14) Voluta e perseguita da imprenditori, banche e politica.
Però qui il discorso rischia di travalicare il tema e lo lasciamo
quindi ad altri, più ferrati autori.
70 Amministrazione & Finanza n. 5/2016
FinanzaAziendale
Private equity
• una scarsità d’innovazione e l’assenza di
cespiti immateriali;
• la mancanza di manager.
Gli strumenti esaminati in questo lavoro
potrebbero contribuire a ridurre la sottocapi-
talizzazione delle nostre PMI. Essi, inoltre,
potrebbero essere utili per realizzare il passag-
gio generazione agevolando la redistribuzione
delle quote tra i membri della famiglia interes-
satiarestareinazienda,nonchélaliquidazione
dei familiari disinteressati.
Le maggiori disponibilità di capitale di rischio
consentirebbero anche di affrontare gli inve-
stimenti necessari per riposizione le imprese in
contesti competitivi più confacenti alla globa-
lizzazione dell’economia (strategia realizza-
bile tramite opzioni di sviluppo organico o
tramite M&A) (15), di aumentare il tasso d’in-
novazione e la creazione di asset intangibili e di
attrarre manager nelle PMI.
Per queste ragioni gli imprenditori, i manager e
i loro consulenti dovrebbero prendere in con-
siderazione le molteplici opzioni offerte dal
private equity e progettare il modo per presen-
tare efficacemente l’azienda a un fondo (16).
Le autorità e gli investitori istituzionali,
dal canto loro, dovrebbero ragionare su come
rendere più semplice l’attività dei private equity
tradizionali in Italia, su come attrarre nel
nostro Paese gli investitori finanziari esteri e
su come rendere praticabile l’introduzione di
nuovi strumenti quali i search fund (17). Questi
ultimi, in particolare, potrebbero anche rallen-
tarelac.d.fugadicervelli,trattenendoigiovani
più promettenti in Italia per consentire loro di
diventare imprenditori di aziende storiche e
ben avviate. Ad avviso di chi scrive, la collabo-
razione tra advisor con esperienza di M&A e
università potrebbe risultare vincente per
affermare anche in Italia questa interessante
asset class “di nicchia”.
Note:
(15) G. Gagliardi, “M&A: le prospettive”, in questa Rivista,
n. 11/2015; G. Gagliardi, “Quando conviene comprare un
concorrente straniero”, in Innovare, n. 1/2009; M. Ghiringhelli
e G. Gagliardi, “Le operazioni di M&A come strumento di
sviluppo strategico”, in L’Ammonitore del 16 maggio 2005.
(16) Equity Factory SA, “Dress: come portare un fondo di
private equity nel retail”, in Largo Consumo, n. 5/2015;
G. Gagliardi, “Arriva un nuovo socio”, in questa Rivista, n. 3/
2011; M. Ghiringhelli e G. Gagliardi, “ Ottenere capitali dai
private equity”, in Contabilità, Finanza e Controllo, n. 12/2006.
(17) “L’Italia è esportatore netto di capitali con conseguente
espoliazione del risparmio nazionale” da MISE, Small Business
Act, Rapporto 2014, scaricabile dal sito del Ministero.
Amministrazione & Finanza n. 5/2016 71
FinanzaAziendale
Private equity

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  • 1. Pledge fund, search fund e SPAC: novità nel private equity di Guidalberto Gagliardi (*) Le società italiane restano sottocapitalizzate rispetto alle omologhe straniere. Il private equity può contribuire a risolvere la situazione. L’articolo fa il punto su alcuni strumenti che sono da poco comparsi in Italia o che potrebbero presto essere introdotti da operatori intraprendenti. Introduzione Tra 2013 e 2014 il patrimonio netto delle imprese italiane è aumentato di 33,8 miliardi (1). Per 4,3 miliardi (13%) queste risorse sono state reperite tramite collocamento in Borsa e per 2,1 miliardi (6%) gli investimenti in aumenti di capitale sono stati sottoscritti da private equity. I fondi ormai non si possono più ritenere strumenti finanziari innovativi, poiché anche in Italia sono presenti dai primi anni Ottanta del secolo scorso. Essi inoltre si sono affermati come uno degli strumenti più adatti per contribuire al rafforzamento patri- moniale delle imprese italiane. In questo ambito si è assistito ad alcune novità (non tutte introdotte in Italia) di cui nel presente lavoro s’intende dare conto, cogliendo l’occa- sione per fornire aggiornamenti sull’anda- mento dell’attività d’investimento dei private equity e delle SPAC. Private equity: connotazione e statistiche Il private equity è la realizzazione di investi- menti nel capitale di rischio di imprese (nor- malmente non quotate) da parte di soggetti specializzati. Gli operatori che, sul territorio italiano, effet- tuano questo tipo di attività sono 199 e, nel corso del 2015, hanno completato 342 investi- menti in 272 imprese per un impiego comples- sivo di euro 4.620 milioni (2) (Tavola 1). Anche quando non hanno un focus settoriale o geografico, i private equity possono essere specializzati in uno o più ambiti d’investi- mento, sostanzialmente riconducibili a: • venture capital, cioè finanziamento agli albori della storia di un’impresa, normalmente caratterizzata da un forte contenuto tecnolo- gico e un ampio potenziale di crescita; • development capital, dove il fondo apporta all’azienda risorse (di solito sottoscri- vendo un aumento di capitale riservato) per consentirle di realizzare un percorso di sviluppo; • buy-out, in cui viene acquisita la maggio- ranza di una società che abbia una posizione di mercato difendibile e una redditività stabile; •turnaround, quando il fondo mira ad imprese in difficoltà, con l’obiettivo di ristrutturarle, eventualmente penalizzando i precedenti finanziatori. Secondo il rapporto PEM (3), l’operazione-tipo di questi investitori nel 2014 è il buy-out con l’acquisizione di una quota del 67% dell’im- presa target dalla famiglia che la possedeva. Il fatturato medio dell’impresa acquisita è pari a euro 57M, il suo enterprise value (4) pari a euro Note: (*) Equity Factory S.A. Lugano (1) C. Bussi, “Cresce il patrimonio delle imprese”, in Il Sole - 24 Ore del 15 febbraio 2016. (2) Salvo dove diversamente indicato, le statistiche sul mer- cato del private equity italiano sono tratte dalle ricerche pubblicate annualmente da AIFI al sito www.aifi.it. (3) LIUC, PEM Private Equity Monitor Italia 2014, scaricabile dal sito http://www.privateequitymonitor.it/. (4) Ammontare corrispondente alla somma tra il prezzo rico- nosciuto agli azionisti e l’indebitamento finanziario netto. Amministrazione & Finanza n. 5/2016 65 FinanzaAziendale Private equity
  • 2. 9M, corrispondente a un multiplo sull’Ebitda di 7,1 volte (5). Gli operatori sono normalmente costituiti come un connubio tra un fondo, cioè una sorta di “forziere” in cui i sottoscrittori met- tono in comune il denaro da investire, e una società che, grazie ai propri amministratori e all’eventuale personale, si occupa di gestire il fondo, identificando, selezionando, valutando e realizzando gli investimenti. La società di gestione (anche detta manage- ment company o general partner) investe il capitale raccolto dal fondo seguendo specifici criteri e una procedura abbastanza standa- rdizzata (ricerca, pre-valutazione interna, delibera, LOI, due diligence, contratto d’inve- stimento e patti, closing). La società di gestione controlla periodicamente ciascuna partecipata in portafoglio, affianca il manage- ment (almeno) nelle decisioni strategiche, effettua le azioni finanziarie, legali e di comu- nicazione atte a valorizzare l’investimento. Non appena si presenta un’opportunità, la società di gestione cede (o quota in Borsa), in tutto o in parte, la partecipazione detenuta dal fondo. Le operazioni sfortunate portano a una svalutazione o al sostanziale annulla- mento dell’investimento. Nel 2015 i fondi hanno alienato o annullato partecipazioni per un totale di euro 2,9 miliardi, trovandosi quindi con euro 9,3 miliardi pronti per essere allocati su nuovi progetti. I sottoscrittori dei fondi (anche chiamati limi- ted partner) sono abitualmente fondi pensione e casse di previdenza (19% della raccolta 2015), investitori individuali o family office, enti pubblici o fondi sovrani, banche e assi- curazioni. Tutti questi soggetti sono accomu- nati dalla possibilità (e necessità) di inserire in un portafoglio di investimenti diversificato anche degli impieghi che presentino un ele- vato potenziale di rendimento di lungo ter- mine (chiaramente accettando un rischio proporzionalmente elevato). Da diversi anni è raro che il fondo raccolga contestualmente tutta la propria dotazione dai sottoscrittori: la struttura più diffusa prevede che gli investi- tori si impegnino a versare il loro contributo mano a mano che i gestori richiamano le singole tranche, in parallelo con il concretiz- zarsi delle opportunità d’investimento. In queste fattispecie si parla di fondi a commitment. La durata di un fondo chiuso è definita e, in genere, decennale; alla scadenza esso è liqui- dato e il ricavato viene spartito tra i sottoscrit- tori. In alcuni casi comunque il provento netto della dismissione è immediatamente distri- buito ai sottoscrittori. Coloroche governanola management company sono professionisti, normalmente provenienti dalla finanza e, molto meno frequentemente, da aziende industriali. I gestori di fondi usano lanciare periodicamente (ogni tre o cinque anni) nuovi veicoli d’investimento, progressi- vamente più importanti in termini di raccolta. La società di gestione è abitualmente remune- rata con una commissione periodica e, soprat- tutto, in relazione al rendimento che sta facendo ottenere ai sottoscrittori. Gli operatori di maggiore successo hanno chiaramente minori difficoltà a raccogliere un nuovo fondo rispetto ai neofiti o a coloro che non hanno ottenuto rendimenti significativi. Il ren- dimento medio del private equity italiano nel 2014 è stato pari al 19,7% (ciò spiega l’attra- zione che questo tipo di “asset class” esercita su determinate categorie di investitori). Ifonditendonoadavereunafunzionerilevante per l’economia di ciascun Paese sviluppato in quanto sono una delle poche forme istituzio- nali cui le imprese e i loro soci possono acce- dere per ottenere capitale di rischio che consenta di avviare nuovi progetti, crescere, cambiare la proprietà e realizzare un salvataggio. Secondo la prospettiva degli investitori (cioè dei potenziali sottoscrittori di fondi) i princi- pali svantaggi di questa categoria di strumenti (asset class, in inglese) possono risiedere: •nella lentezza nell’identificare e realizzare gli investimenti (6); • nella necessità di ricorrere a consulenti spe- cializzati per mettere in atto la due diligence; • nella frequente focalizzazione sugli aspetti finanziari anziché industriali; Note: (5) I dai AIFI indicano che circa l’80% degli investimenti del 2015 è stato indirizzato verso PMI con fatturato interiore a euro 50 milioni e meno di 200 dipendenti. (6) “Soltanto 115 delle 3.263 imprese complessivamente con- siderate nell’analisi (pari al 3,5%) si caratterizzano per valori degli indicatori patrimoniali, economici e reddituali in linea con quelli che caratterizzano le aziende partecipate da fondi di private equity e venture capital nel periodo 2000-2008” da G. Fusaro e A. Muzio, “Domanda e offerta di private equity in Italia”, Liuc Papers n. 245, febbraio 2012. 66 Amministrazione & Finanza n. 5/2016 FinanzaAziendale Private equity
  • 3. • nella carenza di risorse e competenze gesto- rie chepossano contribuire ancheallosviluppo strategico e organizzativo delle partecipate; •nella conseguente dipendenza dall’imprendi- tore cedente; •nella ridotta propensione a interventi succes- sivi sulle partecipate nel caso in cui non si verifichino le dinamiche attese; • nei costi della struttura operativa dedicata (uffici, segretaria, partner, analisti). Per superare alcune delle limitazioni dei pri- vate equity tradizionali, la pratica ha fatto emergere alcune strutture alternative. Cos’è e come funziona il pledge fund I pledge fund sono piattaforme per investimenti in private equity in cui gli investitori (talora definiti member) partecipano al progetto inve- stendo un importo relativamente contenuto (nell’ordine dei 200 mila dollari) nella singola operazione. Questi ultimi, infatti, assegnano a un gruppo di professionisti l’incarico d’identificare delle opportunità d’investimento secondo certi parametri. Successivamente cia- scun investitore esamina la potenziale opera- zione e decide se parteciparci. Questa configurazione assomiglia a quella che in Italia è anche detta del club deal. La diffe- renza consiste nel fatto che nei veri e propri “investimenti tra amici” sono gli stessi poten- ziali investitori a reperire e costruire le opportunità, mentre nei pledge fund queste attività sono affidate a un team di specialisti. La singolarità rispetto al private equity tradizionale, a sua volta, risiede nel fatto che i gestore del pledge fund non possono contare su un impegno irrevocabile dei sottoscrittori a investire nel fondo e nella possibilità per il management team di allocare le risorse del fondo in sostanziale autonomia. In pratica si coniuga la presenza di un processo d’investi- mento formale e standardizzato con la possibilità per il sottoscrittore di decidere libe- ramente se partecipare oppure no a un certo progetto (scelta che l’investitore in un fondo di private equity normalmente non ha). Nei pledge fund la società di gestione si occupa quindi di tutte le funzioni classiche del venture capital e del private equity: presenza nella comunità finanziaria, reperimento e studio delle opportunità d’investimento, prepara- zione e presentazione delle operazioni agli investitori, negoziazione dei termini contrat- tuali e definizione dei relativi testi, gestione delle partecipate (per esempio partecipando ai consigli di amministrazione). Quando l’inve- stimento è effettuato su base individuale, come accade nei club deal o per i business angel, c’è il rischio che l’operazione non sia valutata con sufficiente obiettività e che il singolo investi- tore non abbia le competenze o il tempo neces- sari per seguire la società in cui ha investito. Diventare “membro” di un pledge fund è sem- plice. Di solito si compila un questionario e si dimostra di possedere dei requisiti minimi in termini di capacità finanziaria (meno onerosi rispetto a quanto richiesto per sottoscrivere altri veicoli di private equity). I membri sono tenuti a versare una limitata quota annua (tra 5 Tavola 1 - Evoluzione dell’attivita` d’investimento dei private equity Amministrazione & Finanza n. 5/2016 67 FinanzaAziendale Private equity
  • 4. e 10 mila dollari), destinata a coprire i costi generali del fondo e a scremare tra i potenziali investitori quelli realmente interessati al pro- getto. Mensilmente, infatti, il management team analizza le operazioni che gli sono sotto- poste, incontra le società più promettenti, con- duce una due diligence strategica e finanziaria preliminare e seleziona le 3 o 4 migliori opportunità. Queste sono ulteriormente scre- mate e finalmente presentate, in maniera siste- matica, a tutti i membri. I partecipanti al pledge fund hanno un breve intervallo (una settimana al massimo) entro il quale indicare a quale progetto vogliono partecipare. Sono comun- que liberi di rifiutare qualsiasi proposta. Raccolte le manifestazioni d’interesse, i gestori del pledge fund valutano se le risorse comples- sivamenteallocatesonosufficienti per comple- tare l’operazione prospettata e, nei casi favorevoli, costituiscono una società dedicata in cui immettere i capitali dei membri interes- sati, avviano la due diligence approfondita, incaricano i legali del fondo di ultimare i con- tratti e svolgono le altre attività propedeutiche all’investimento. L’acquisizione viene solita- mente effettuata dal veicolo societario dedi- cato e uno o più dei gestori del fondo assumono la carica di amministratore della partecipata (7). Il search fund, una curiosa sottospecie del pledge fund Il search fund è un veicolo per raccogliere denaro da soggetti interessati a effettuare inve- stimenti di private equity (8). L’obiettivo dei finanziatori consiste nel collocare manager promettenti e motivati (non necessariamente con grande esperienza operativa o precedenti nei settori industriali d’interesse) in un ambiente non molto complesso e sotto il con- trollo e con il supporto dell’esperienza dei sog- getti che hanno messo a disposizione il capitale di rischio. La maggior parte dei search fund è stata raccolta da studenti che, frequentando i migliori corsi di MBA, hanno avuto accetto alle maggiori reti di private equity (9). Un piccolo gruppo di investitori (che possono averequote diverse traloro) supporta uno opiù manager nella ricerca di un’impresa da acqui- sire. Se viene conclusa l’acquisizione, i mana- ger ottengono ruoli apicali nella società- obiettivo. Normalmente la raccolta del fondo avviene in due fasi: nella prima si dota del capitale minimo necessario per sostenere i costi nel periodo di ricerca (per un ammontare solita- mente compreso tra 200.000 e 1.000.000 $), nella seconda si raccoglie il capitale necessario per completare il progetto (tra 2 e 20 milioni di $). In alcuni casi la fase di ricerca è auto-finan- ziata dagli aspiranti imprenditori al fine di ottenere migliori condizioni al momento del- l’esecuzione del progetto. Il capitale per la seconda fase potrebbe essere già stato impe- gnato dai sottoscrittori all’inizio del processo, oppure essere opzionato con la formula del c.d. pledge fund (i sottoscrittori hanno il diritto ma non l’obbligo di investire, da soli o in gruppo, nell’acquisizione). I manager per ciascun fondo sono solitamente un paio e gli investitori tra 5 e 25 (con un investimento iniziale medio pro-capite di 30 mila $). I target operano frequentemente in settori frammentati, hanno fatturato tra 1 e 30 milioni di $, solitamente con un andamento stabile o in lieve crescita, una buona redditività (l’Ebitda medio è prossimo al 20%) e prospettive di cre- scita di lungo periodo. Degli oltre 200 fondi nati dal 1984, una quaran- tina è ancora attivo (Tavola 2). Per effettuare il singolo investimento, i potenziali imprenditori devono analizzare mediamente oltre 300 imprese. Circa un quinto dei search fund è stato liquidato in quanto, in due o tre anni, non ha trovato aziende da rilevare. Oltre 30 Note: (7) Ciò è un vantaggio importante rispetto alle operazioni effettuata direttamente dai business angel in quanto i gestori sono professionisti delle operazioni d’investimento e valorizza- zione, mentre diversi investitori singoli non hanno competenze specifiche o hanno poco tempo da dedicare allo sviluppo della società partecipata. (8)Si vedano: http://www.searchfund.org; http://www.gsb. stanford.edu/faculty-research/centers-initiatives/ces/ research/search-funds; https://uploads.strikinglycdn.com/ files/65890/6280421d-e655-49f2-bc75-542fc5b1a24b/ Search-Funds-2013.pdf; http://www.iese.edu/en/ faculty-research/events/international-search-fund-confe- rence-2015/ e http://www.iese.edu/research/pdfs/ST-0342- E.pdf. Al sito https://uploads.strikinglycdn.com/files/65890/ e27c58cd-81ad-4cfa-b130-a835835819f6/PPM% 20Template%20-%20Search%20Fund.pdf è scaricabile un esempio di Regolamento di un search fund statunitense. (9) Dal sito internet dell’Università di Harvard: “Are you looking foranalternativetoacareerpathatabigfirm?Doesfounding your own start-up seem too risky? There is a radical third path open to you: You can buy a small business and run it as CEO. Purchasing a small company offers significant financial rewards–as well as personal and professional fulfillment”. 68 Amministrazione & Finanza n. 5/2016 FinanzaAziendale Private equity
  • 5. fondi sono stati creati anche in altri continenti, Europa inclusa. In Italia non risulta ancora attivo alcuno di questi veicoli (Tavola 3). Secondo una ricerca condotta dalla Stanford University nel 2013, diversi search fund ameri- cani avrebbero decuplicato il valore (prima delle imposte) e registrato un IRR lordo del 35%. Un caso è emblematico del funzionamento di questo strumento (10). I trentenni Andy Schoonover e Chris Hendriksen frequentarono l’MBA di Stanford e decisero di intraprendere una carriera autonoma ricorrendo alla tecnica del search fund. Al completamento degli studi fondarono così Blue Canyon Capital che raccolse mezzo milione di dollari da diversi investitori. I due aspiranti imprenditori contattarono “a freddo” 50 aziende alla setti- mana e, dopo aver scansionato un migliaio di imprese, trovarono VRI, una società dell’Ohio che realizza sistemi di monitoraggio clinico remoto. A ottobre 2007 il duo acquisì la societàdopoaverraccoltolealtrerisorseneces- sarie. Ora Schoonover è amministratore dele- gato di VRI e la società, dall’acquisizione ha visto espandersi l’organico da 40 a 250 dipen- denti e il fatturato crescere del 30% medio annuo. La SPAC, un search fund quotato e regolamentato Le Special (o Single) Purpose Acquisition Companysonoveicolid’investimentocollettivo che permettono agli investitori di realizzare un’unica acquisizione di una società non quo- tata (11). Le SPAC sono promosse da uno o più soggetti che, dopo averle finanziate in misura Tavola 2 - Il destino dei search fund Note: (10) http://www.bloomberg.com/bw/articles/2012-08-31/ search-funds-an-mba-shortcut-to-the-c-suite. (11) Per approfondimenti si rinvia a G. Gagliardi, “Le SPAC approdano in Italia”, in questa Rivista, n. 10/2011. Amministrazione & Finanza n. 5/2016 69 FinanzaAziendale Private equity
  • 6. sufficientepersostenereicostidell’offertapub- blica iniziale (IPO), le portano alla quotazione in Borsa. Una volta che i promotori hanno identificato un’impresa potenzialmente acquisibile (i pro- spetti informativi delle SPAC delineano i set- tori obiettivo dell’acquisizione, mentre l’azienda target è reperita solo successiva- mente) e hanno negoziato i termini della rela- tiva operazione con i soci di tale società, l’aggregazione (detta business combination) è sottoposta agli azionisti della SPAC. Se l’ope- razione è approvata da una maggioranza qua- lificata, i capitali raccolti possono essere utilizzati (frequentemente i promotori della SPAC ricevono in premio una porzione impor- tante del capitale dell’impresa). Nel caso in cui l’assemblea dei soci non approvi l’operazione, la SPAC è liquidata. La liquidazione si verifica anche qualora sia trascorso il periodo prefis- sato nello statuto entro il quale la SPAC deve completare la business combination (di solito oscillante tra 12 e 24 mesi). Se il progetto ha funzionato, la società target viene fusa con la SPAC e si trova quindi quo- tata. Gli azionisti della SPAC hanno così rea- lizzatounasingolaoperazionediprivateequity, ottenendo nei fatti il controllo di una società quotata in Borsa. Le SPAC sinora varate in Italia sono state 8 e sei di esse hanno già completato la business combination con medie imprese nazionali (Ivs, Iwb, Fila, Lu-Ve, Sesa e Prima Vera), offrendo importanti ritorni agli azionisti (12). L’utilità di questi strumenti per le imprese italiane La sottocapitalizzazione del nostro sistema imprenditoriale è fenomeno noto e stigmatiz- zato da ogni centro di ricerca e autorità (13). I dati contabili delle società italiane eviden- ziano, in effetti, come gran parte del capitale investito sia finanziato tramite l’indebitamento (in gran parte bancario e a breve scadenza), dando luogo a rapporti medi tra PFN e reddito operativo lordo tra i più alti in Europa. Questa storica debolezza (14) si unisce alle altre minacce che gravano sulle imprese ita- liane quali: • l’urgenza di realizzare il passaggio genera- zionale in numerosissime imprese di proprietà familiare (molte delle quali grandi); • una dimensione insufficiente per travalicare nicchie geo o competitive; • la frequente collocazione pericolosa nelle catene del valore globali; Tavola 3 - I search fund avviati nel mondo tra 1983 e 2013 Note: (12) L. Gia e P. Jadeluca (a cura di), “SPAC, la finanza a misura di PMI”, in Repubblica Economia & Finanza del 22 luglio 2015. (13) “Secondo Banca d’Italia [nelle aziende italiane] man- cano all’appello 200 miliardi di euro di mezzi propri” da C. Bussi, op. cit. Nello stesso senso: “Nel confronto internazio- nale, le imprese della Regione [Lombardia] appaiono sotto- capitalizzate e con una redditività operativa inferiore” da Banca d’Italia, L’economia della Lombardia, giugno 2014. (14) Voluta e perseguita da imprenditori, banche e politica. Però qui il discorso rischia di travalicare il tema e lo lasciamo quindi ad altri, più ferrati autori. 70 Amministrazione & Finanza n. 5/2016 FinanzaAziendale Private equity
  • 7. • una scarsità d’innovazione e l’assenza di cespiti immateriali; • la mancanza di manager. Gli strumenti esaminati in questo lavoro potrebbero contribuire a ridurre la sottocapi- talizzazione delle nostre PMI. Essi, inoltre, potrebbero essere utili per realizzare il passag- gio generazione agevolando la redistribuzione delle quote tra i membri della famiglia interes- satiarestareinazienda,nonchélaliquidazione dei familiari disinteressati. Le maggiori disponibilità di capitale di rischio consentirebbero anche di affrontare gli inve- stimenti necessari per riposizione le imprese in contesti competitivi più confacenti alla globa- lizzazione dell’economia (strategia realizza- bile tramite opzioni di sviluppo organico o tramite M&A) (15), di aumentare il tasso d’in- novazione e la creazione di asset intangibili e di attrarre manager nelle PMI. Per queste ragioni gli imprenditori, i manager e i loro consulenti dovrebbero prendere in con- siderazione le molteplici opzioni offerte dal private equity e progettare il modo per presen- tare efficacemente l’azienda a un fondo (16). Le autorità e gli investitori istituzionali, dal canto loro, dovrebbero ragionare su come rendere più semplice l’attività dei private equity tradizionali in Italia, su come attrarre nel nostro Paese gli investitori finanziari esteri e su come rendere praticabile l’introduzione di nuovi strumenti quali i search fund (17). Questi ultimi, in particolare, potrebbero anche rallen- tarelac.d.fugadicervelli,trattenendoigiovani più promettenti in Italia per consentire loro di diventare imprenditori di aziende storiche e ben avviate. Ad avviso di chi scrive, la collabo- razione tra advisor con esperienza di M&A e università potrebbe risultare vincente per affermare anche in Italia questa interessante asset class “di nicchia”. Note: (15) G. Gagliardi, “M&A: le prospettive”, in questa Rivista, n. 11/2015; G. Gagliardi, “Quando conviene comprare un concorrente straniero”, in Innovare, n. 1/2009; M. Ghiringhelli e G. Gagliardi, “Le operazioni di M&A come strumento di sviluppo strategico”, in L’Ammonitore del 16 maggio 2005. (16) Equity Factory SA, “Dress: come portare un fondo di private equity nel retail”, in Largo Consumo, n. 5/2015; G. Gagliardi, “Arriva un nuovo socio”, in questa Rivista, n. 3/ 2011; M. Ghiringhelli e G. Gagliardi, “ Ottenere capitali dai private equity”, in Contabilità, Finanza e Controllo, n. 12/2006. (17) “L’Italia è esportatore netto di capitali con conseguente espoliazione del risparmio nazionale” da MISE, Small Business Act, Rapporto 2014, scaricabile dal sito del Ministero. Amministrazione & Finanza n. 5/2016 71 FinanzaAziendale Private equity