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STORIA DELLA SCIENZA
RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
(XVII-XVIII SEC)
INDICE
La Rivoluzione scientifica. Introduzione
MODELLI DI CONOSCENZA
Prospettive storiche: l'aristotelismo e le nuove filosofie
Cosmologie
Le comete
La diffusione della scienza europea
Scienza e teologia
LUOGHI E FORME DELLA CONOSCENZA
Curiosità e studio della natura
Arsenali, miniere e botteghe
Gli strumenti scientifici
Le accademie
Osservatori, laboratori e orti botanici
I cabinets
I viaggi di scoperta e le osservazioni
Ingegneria e macchine
La comunicazione scientifica ed erudita
Professioni liberali e professioni tecniche
I PROTAGONISTI
Christiaan Huygens
Evangelista Torricelli
Francis Bacon
Galileo Galilei
Gottfried Wilhelm Leibniz
Isaac Newton
Johannes Kepler
Marcello Malpighi
Robert Boyle
Blaise Pascal
René Descartes
I DOMINI DELLA CONOSCENZA
Corpi, materia e spazio
La sintesi newtoniana
L'aristotelismo e le sue alternative
Meccanica e scienza del moto
Qualità primarie e qualità secondarie
La sostanza e il dogma dell’Eucaristia
Esperimenti sul vuoto
Pascal e l’horror vacui
Alchimia
I nuovi mondi della microscopia
Anatomia
Astrologia
La nascita della matematica moderna: 1600-1700
Lo sviluppo della matematica di Apollonio: Desargues, Pascal…
Diffusione e primi sviluppi del calcolo infinitesimale
La nascita del calcolo delle probabilità
Le innovazioni di Luca Valerio e di Bonaventura Cavalieri
Galilei e la geometria del moto accelerato
Ottica
Harvey e la circolazione del sangue
Il problema della generazione
La medicina
La musica
La rivoluzione cartesiana e gli sviluppi della geometria
Dalla Geometrie al calcolo: il problema delle tangenti...
Le origini della neurofisiologia
Le scienze della Terra
Psicologia e pneumatologia
Zoologia e botanica
Collezionismo e viaggi scientifici
La Rivoluzione scientifica. Introduzione
Storia della Scienza (2002)
di Daniel Garber
La Rivoluzione scientifica
All'inizio del XVII sec. quella che oggi comunemente chiamiamo 'scienza' non era identificabile con una
singola area di indagine che avesse come oggetto lo studio sistematico della Natura e non esistevano termini
con cui poter designare questo tipo di studio o coloro che vi si dedicavano, le persone che ai nostri giorni
rispondono al nome di scienziati. Ciò non vuol dire che nessuno s'interessasse a oggetti di indagine che oggi
consideriamo scientifici, quali per esempio le stelle, le piante, la traiettoria dei proietti i magneti e così via. Al
contrario, l'interesse degli uomini per i fenomeni naturali risale praticamente all'inizio della storia, ma le
categorie intellettuali di analisi del mondo naturale impiegate non corrispondono a quelle attuali. Inoltre,
all'inizio del XVII sec. non esistevano scienziati 'di professione', né riviste specializzate o centri di ricerca.
Ciononostante, si può legittimamente parlare di una 'storia della scienza' del XVII secolo.
Se, a rigore, per gli inizi del XVII sec. non si può parlare di una 'scienza' modernamente intesa, quali
discipline saranno prese in esame in un volume dedicato alla storia della scienza nell'età della Rivoluzione
scientifica? In che modo si affrontava e si studiava la Natura in tale periodo? Se non esistevano 'scienziati',
nell'accezione contemporanea del termine, chi erano i soggetti che si dedicavano allo studio della Natura? E
dove operavano? Di quali istituzioni facevano parte? A questi interrogativi risponderanno in modo dettagliato i
capitoli contenuti nel volume; tuttavia, prima di passare alle questioni particolari, può essere utile delineare
una visione d'insieme, attraverso la quale capire in che modo gli uomini del Seicento abbiano dato forma a
un'idea, oggi scontata, secondo la quale lo studio della Natura possiede un'unità e una coerenza tali da
giustificare l'elaborazione di una nozione di scienza molto vicina a quella attuale.
La 'scientia' e le scienze
Per affrontare in modo corretto lo studio della storia della scienza del XVII sec. è importante sottolineare che
al termine 'scienza' era attribuito un significato diverso da quello attuale. Il suo equivalente latino, la parola
scientia, significava semplicemente 'conoscenza', anche se era impiegato in riferimento a una particolare forma
di conoscenza, quella che implicava la certezza. Nell'autorevole Lexicon philosophicum, dato alle stampe nel
1613, Goclenius (Rudolph Göckel) presenta la scienza come "conoscenza acquisita attraverso la
dimostrazione" (p. 1012). E non si tratta soltanto di una questione linguistica: all'inizio del XVII sec. non
esisteva una categoria intellettuale che corrispondesse esattamente a quella cui oggi si dà il nome di scienza.
Per chiarire questo punto, si può prendere in considerazione la geografia intellettuale delineata in un'opera di
fondamentale importanza pubblicata all'inizio del Seicento, The two bookes of the proficience and
advancement of learning, divine and humane (1605) di Francis Bacon. In questo testo, l'autore divide così la
conoscenza: "Le parti della scienza umana si riferiscono alle tre parti dell'intelletto umano, che è sede della
scienza: la storia alla memoria, la poesia all'immaginazione, e la filosofia alla ragione" (Scritti filosofici, p.
201). Qui prenderemo in esame solo i casi della storia e della filosofia, due discipline che riguardano da vicino
la nostra analisi. Nella rielaborazione latina del testo, data alle stampe con il titolo di De dignitate et augmentis
scientiarum (1623), Bacon definisce così la storia:
La storia si occupa esclusivamente delle cose individuali che sono circoscritte nello spazio e nel tempo. E
sebbene la storia naturale sembri trattare le specie, ciò accade, in molti casi, soltanto per la somiglianza che
hanno l'una con l'altra le cose naturali comprese in una stessa specie; sicché, una volta conosciuta una di
queste cose, sono conosciute anche tutte le altre. E quando si trovano individui che sono unici nella loro
specie, come il Sole e la Luna, o che dalla loro specie si allontanano per una notevole dissimiglianza, come i
mostri, è giusto trattare anche questi nella storia naturale; come nella storia civile si deve trattare degli uomini
singoli. (Opere filosofiche, II, p. 87)
Goclenius fornisce una definizione della storia molto vicina a quella di Bacon: "La storia è conoscenza,
narrazione o descrizione di singoli fatti" (Lexicon, p. 626). D'altra parte, lo stesso Bacon nell'Advancement of
learning menziona accanto alla storia naturale altri generi di storia, come la storia civile, la storia ecclesiastica
e la storia letteraria, e divide la prima in tre parti: "La storia naturale è di tre tipi: storia della Natura nella sua
costanza, della Natura nelle sue eccezioni e variazioni, e della Natura in quanto alterata o modificata; cioè la
storia delle creature, la storia dei prodigi e la storia delle arti" (Scritti filosofici, p. 204). La storia della
"Natura nella sua costanza" è semplicemente lo studio basato sull'osservazione delle cose ordinariamente
riscontrabili in Natura, vale a dire la storia naturale nell'accezione comune del termine, lo studio delle piante e
degli animali, dei corpi celesti, delle formazioni geologiche e così via. La storia della "Natura nelle sue
eccezioni e variazioni" è lo studio dei mostri e delle meraviglie, per esempio, vitelli nati con due teste e altri
fenomeni fuori dalla norma. La storia della "Natura in quanto alterata o modificata" riguarda lo studio delle
macchine e dei congegni costruiti dall'uomo per raggiungere determinati obiettivi, così come lo studio
sperimentale della Natura.
Secondo Bacon, l'area di indagine della filosofia si distingue nettamente da quella della storia. Egli divide la
filosofia in tre parti: la filosofia divina, che si occupa di Dio; la filosofia naturale, che studia la Natura; e la
"filosofia umana" che ha come oggetto di indagine l'uomo. La "via principale e comune" di queste tre
discipline è quella che Bacon chiama la "filosofia prima", una scienza che egli distingue nettamente dalla
metafisica (ibidem, p. 220). La filosofia naturale, quella che ci riguarda più da vicino, è divisa a sua volta in
due parti, "la ricerca delle cause e la produzione degli effetti, l'una speculativa e l'altra pratica, scienza naturale
e prudenza naturale" (ibidem, p. 224). La parte operativa della filosofia naturale s'identifica con quella che
l'autore chiama magia naturale propriamente intesa, vale a dire con "la sapienza naturale o prudenza naturale,
secondo un'antica accezione, purificata da ogni vanità e superstizione" (ibidem). La filosofia naturale teorica,
la ricerca cioè delle cause, è suddivisa in due parti, fisica e metafisica: "Infatti, come abbiamo diviso la
filosofia generale nel suo complesso in ricerca delle cause e produzione di effetti, così suddivideremo la parte
che riguarda la ricerca delle cause secondo la comune e retta distinzione delle cause stesse: una parte che è la
fisica, indaga e tratta le cause materiali ed efficienti; l'altra, che è la metafisica, le cause finali e
formali" (ibidem, p. 227). Di seguito Bacon riassume la sua divisione delle branche della conoscenza che
hanno a che fare con la Natura: "La fisica, intesa secondo la sua etimologia e non, come avviene nella nostra
lingua, come sinonimo di medicina, è situata a metà strada fra la storia naturale e la metafisica. Infatti, la
storia naturale descrive la varietà delle cose; la fisica le cause, ma cause mutevoli o relative; e la metafisica le
cause fisse e costanti" (ibidem).
Bacon in questo caso era perfettamente consapevole di impiegare il termine 'metafisica' in un modo piuttosto
singolare, ma la sua concezione della fisica o filosofia naturale, come disciplina che studia le cause che sono
all'origine dei processi naturali, era decisamente ortodossa. Come affermò il gesuita Eustache de Saint-Paul
nella Summa philosophiae quadripartita data alle stampe nel 1609 e destinata a una grande popolarità: "il
filosofo della Natura spiega molti effetti della Natura attraverso le loro vere cause" (Physica, p. 3). La filosofia
naturale, conosciuta anche sotto i nomi di fisica o fisiologia, studiava in primo luogo le verità generali
concernenti le cose naturali (cioè, secondo l'accezione aristotelica, materia, forma, privazione, causa, ecc.) e in
secondo luogo verità più specifiche riguardanti cose particolari, come il Cosmo nel suo insieme, gli elementi e
la costituzione di generi individuali di corpi, inclusi tutti i generi di corpi viventi, le piante, gli animali e gli
esseri umani.
In questa accezione, vale a dire in senso tecnico, 'filosofia naturale' o 'fisica' erano i termini più vicini al
moderno 'scienza' cui Bacon e i suoi contemporanei potessero ricorrere; ma si tratta soltanto di una
corrispondenza parziale. Come abbiamo già osservato, la filosofia naturale era un'attività ben distinta dalla
storia naturale, una disciplina che proponeva un modo diverso, non meno sistematico, di affrontare lo studio
della Natura. Esisteva però anche un'altra disciplina che aveva a che fare con la Natura: la matematica.
Nell'Advancement of learning, Bacon riconduce la matematica alla filosofia naturale, menzionandola, in
modo piuttosto maldestro e sbrigativo tra le parti della metafisica. Una parte molto importante della
matematica era rappresentata dalla disciplina che Bacon e i suoi contemporanei chiamavano matematica
mista:
La matematica è pura o mista. Alla matematica pura appartengono quelle scienze che trattano della quantità
determinata semplicemente avulsa da ogni assioma della filosofia naturale. Tali scienze sono due, la geometria
e l'aritmetica; l'una tratta la quantità continua, l'altra la quantità discontinua. La matematica mista ha per
oggetto alcuni assiomi o parti della filosofia naturale, e considera la quantità determinata in quanto ad essi
relativa e pertinente. Molte parti della Natura, infatti, non possono essere indagate con sufficiente sottigliezza,
né dimostrate con sufficiente perspicuità, né adattate ad usi pratici con sufficiente facilità, senza l'intervento e
ausilio della matematica: di tal sorta sono la prospettiva, la musica, l'astronomia, la cosmografia, l'architettura,
l'ingegneria e molte altre cose. (Scritti filosofici, p. 233)
In particolare, una delle discipline legate alle scienze matematiche, l''ingegneria' o meccanica, coincideva con
una delle branche della storia naturale in precedenza menzionate, vale a dire la storia della Natura alterata o
modificata, la storia delle arti o historia mechanica, che Bacon considerava la novità più radicale e
fondamentale per la filosofia naturale, in quanto legata ad aspetti pratici e 'operativi', ovvero agli interventi
umani volti al miglioramento delle condizioni di vita:
Ma se la mia opinione vale qualcosa, la storia meccanica è fra tutte quella che ha una più radicata e
fondamentale utilità per la filosofia naturale: per una filosofia naturale che non si dissolva nel fumo della
speculazione sottile, sublime o dilettevole, ma che valga all'arricchimento e beneficio della vita umana. Non
solo infatti dispenserà e suggerirà immediatamente a tutte le attività pratiche molti ingegnosi espedienti,
mettendo in relazione e trasferendo le osservazioni di un'arte ai fini di un'altra, quando una stessa persona avrà
sott'occhio gli esperimenti relativi a diversi punti oscuri; ma, oltre a ciò, getterà sulle cause e gli assiomi una
luce più vera ed autentica di quanto non sia stata fin qui raggiunta. Infatti, come il carattere di un uomo non si
rivela del tutto se non nelle contrarietà, e come Proteo che non mutava forma se non quando era immobilizzato
e costretto, così i passaggi e i mutamenti della Natura non risultano tanto dalla Natura stessa allo stato libero,
quanto dalle prove e vessazioni dell'arte. (ibidem, pp. 206-207)
Bacon, tuttavia, osserva che contro le indagini che avevano come oggetto questo tipo di storia esistevano gravi
pregiudizi: "Quanto alla storia della Natura modificata o meccanica, conosco repertori d'agricoltura, come
pure di arti manuali, i quali però in genere escludevano le esperienze comuni e banali. Si reputa infatti una
sorta di disonore il sapere abbassarsi alla ricerca o meditazione su questioni meccaniche, a meno che esse non
siano tali da potersi ritenere segrete, rarità e sottigliezze particolari" (ibidem). In altre parole, Bacon intende
sottolineare che i cultori delle scienze più elevate, come la filosofia naturale e la fisica, pensavano di occupare
una posizione molto superiore a quella riservata ai meccanici e agli altri praticanti delle matematiche miste, a
coloro cioè che si occupavano di questioni pratiche. Benché Bacon avesse ricondotto la matematica, pura e
mista, alla filosofia naturale, la maggior parte dei suoi contemporanei riteneva che tra queste discipline non
esistessero punti di contatto. Il frontespizio di un'importante opera di Niccolò Tartaglia, la Nova scientia
(1537), presenta un'interessante rappresentazione simbolica delle relazioni che legavano le matematiche
applicate alla fisica. In questa incisione sono raffigurate due cerchie di mura, una più alta dell'altra.
All'ingresso della cinta inferiore, Euclide monta la guardia per vietare l'accesso a chiunque non conosca la
geometria. Al suo interno, si scorge lo stesso Tartaglia, attorniato dalle figure dell'Aritmetica e della
Geometria e dalle personificazioni di altre scienze matematiche, incluse l'Astronomia, l'Astrologia e la
Musica. Entro questo livello sono contenute anche alcune raffigurazioni di cannoni e di palle da cannone che
costituiscono il principale soggetto del libro. La recinzione più alta racchiude il campo della Filosofia,
sorvegliato da Platone e da Aristotele, che essendo più elevato risulta di difficile accesso; nell'incisione del
libro di Tartaglia, infatti, esso rimane completamente vuoto. In questa illustrazione è evidente che le due
discipline sono ben distinte: la filosofia, che presumibilmente includeva la filosofia naturale, e quindi la fisica,
è considerata una disciplina completamente diversa dalle scienze matematiche. I richiami di Bacon, che aveva
messo in luce la necessità di individuare le connessioni esistenti tra il lavoro dei meccanici e quello dei fisici,
tra la teoria e la pratica, erano espressione di un atteggiamento decisamente radicale: erano un'esortazione
all'elaborazione di una nuova filosofia e non osservazioni della pratica intellettuale della sua epoca.
Secondo Bacon, erano ben distinte dalla filosofia naturale anche le scienze che avevano come oggetto la mente
o il corpo degli esseri umani. Benché il loro legame con la filosofia naturale fosse evidente, egli separava tali
scienze, che a rigor di termini erano alla base della medicina, dalle altre parti della filosofia naturale,
trattandole estesamente in una sezione a parte. Ancora una volta, Bacon tenta di stabilire una relazione tra le
scienze dell'uomo e le diverse parti della filosofia naturale, ma anche in questo caso si tratta della descrizione
di un programma di azione più che di una pratica consolidata.
In queste diverse aree di indagine figuravano quindi molti temi oggi riuniti sotto il nome di scienza. Ma è
importante osservare che, nonostante i legami individuabili tra queste diverse parti della scientia, all'inizio del
XVII sec. esse non facevano parte di un progetto unificato, che attualmente potremmo definire 'scientifico',
ossia non delimitavano, nel loro complesso, un'area generale di indagine della Natura, ma costituivano un
insieme di progetti distinti. Benché tra loro esistessero connessioni che Bacon aveva sperato di estendere
ulteriormente non vi era ancora un singolo termine o un concetto in grado di unificarle. Questa circostanza
acquista una maggiore evidenza se si esamina l'intero contesto in cui è inserita l'organizzazione della
conoscenza di Bacon. Nel presentare le concezioni di Bacon, mi sono dilungato sui brani dell'Advancement of
learning che sembrano basarsi su una nozione moderna di scienza. Ma ciò ha richiesto un considerevole lavoro
di rilettura del testo. È importante osservare che in questa opera la storia naturale è legata non alla filosofia
naturale, ma ad altri tipi di storia, quella civile, ecclesiastica e letteraria; la stessa filosofia naturale è accostata
ad altri tipi di scienze, come quella divina e quella umana; la scienza dell'uomo include non solo lo studio
della mente e l'anatomia, ma anche la politica. Nella mappa della conoscenza delineata da Bacon quindi vi
sono alcuni punti di riferimento che possono esserci familiari, ma nell'insieme essa appare molto diversa da
quella attuale.
Le persone e i luoghi
Nel paragrafo precedente si è tracciato il profilo di alcune delle diverse categorie intellettuali in cui si era soliti
dividere il sapere all'inizio del XVII secolo. Questa ripartizione non era solo il risultato di distinzioni di
carattere intellettuale, ma rispecchiava la reale diversità delle posizioni di coloro che praticavano le differenti
discipline e dei contesti in cui operavano.
Il caso della filosofia naturale forse è il più facile da illustrare. Questa disciplina era inserita nel programma
degli studi della Facoltà delle arti e quindi era uno degli insegnamenti impartiti a coloro che aspiravano a
iscriversi alle facoltà di grado più elevato, vale a dire medicina, legge e teologia. Prenderemo in esame un caso
emblematico, quello del programma formulato nella Ratio studiorum: si tratta di un vero e proprio ordine degli
studi adottato nel 1599 nei collegi dei gesuiti, in cui sono indicate le regole organizzative che tutte le scuole
sottoposte alla direzione della Compagnia dovevano rispettare. Secondo la Ratio studiorum, l'insegnamento
della filosofia doveva aver luogo durante i primi tre anni del corso di laurea della Facoltà delle arti e alla
lettura dei testi filosofici si dovevano riservare due ore al giorno, una prima di mezzogiorno e l'altra dopo. Il
primo anno era interamente dedicato alla logica; nel secondo, gli studenti affrontavano la Fisica, il De caelo e
l'inizio del De generatione et corruptione di Aristotele; nel terzo, ciò che rimaneva del De generatione et
corruptione, il De anima e la Metafisica. I Meteorologica dovevano essere studiati durante l'estate tra il
secondo e il terzo anno del corso. Nel complesso quindi all'insegnamento della filosofia naturale era riservato
un anno e mezzo, vale a dire la metà circa del tempo destinato allo studio della filosofia nel suo insieme. In
generale, gli insegnanti che tenevano questi corsi non erano filosofi, scienziati o fisici nel senso che oggi
attribuiamo a questi termini: il loro ruolo era semplicemente quello di trasmettere un corpus dottrinale ai loro
giovani allievi. Nella maggior parte dei casi, dopo aver insegnato all'interno delle Facoltà delle arti per cinque
o al massimo dieci anni, questi insegnanti erano trasferiti nelle facoltà di grado superiore oppure lasciavano
l'università per lavorare come predicatori, missionari o amministratori al servizio dei loro ordini. In generale,
si può affermare che all'inizio del XVII sec. i collegi e le università non erano centri attivi di ricerca per
quanto concerneva la filosofia naturale.
In questo campo, le discussioni e i lavori di ricerca più originali furono svolti al di fuori delle università; ma,
all'inizio del secolo, queste attività non si svolgevano in un unico luogo. A tale riguardo, vale l'esempio di
Galileo Galilei, che al principio della sua carriera aveva insegnato la fisica aristotelica; tra i suoi manoscritti
figurano diversi appunti probabilmente destinati ai corsi di fisica che teneva all'università oltre a quelli di
matematica. Ma non appena ne ebbe l'opportunità, Galilei lasciò l'insegnamento per entrare al servizio del
granduca di Toscana, in qualità di filosofo e matematico di corte. William Gilbert, autore del celebre De
magnete, esercitava la professione medica a Londra. René Descartes, che con il suo meccanicismo aveva
sfidato la filosofia naturale aristotelica, poteva contare su un modesto reddito personale e lavorava in completo
isolamento in Olanda. Le sue idee furono introdotte nelle università olandesi quando era ancora in vita, ma è
difficile in questo caso parlare di successo. Tale evento, infatti, diede origine a una serie di attacchi e
controversie e, in definitiva, fu solo una fonte di guai per il filosofo francese.
All'inizio del XVII sec., la matematica era studiata nei collegi e nelle università congiuntamente alla filosofia
naturale. Tuttavia, è importante osservare che in generale queste materie erano insegnate da professori diversi,
che non godevano della stessa considerazione. Nei collegi dei gesuiti, per esempio, durante il secondo e il
terzo anno del corso di filosofia si dovevano riservare almeno due ore al giorno all'insegnamento della
filosofia naturale e soltanto quarantacinque minuti a quello della matematica. Non fu facile assicurare
l'applicazione di una disposizione che concedesse tale spazio a questa disciplina; infatti, i filosofi aristotelici
più conservatori e alcuni membri della più importante istituzione accademica dell'Ordine dei gesuiti, il
Collegio Romano, la criticarono aspramente e solo grazie alle pressioni di uno di essi, il matematico gesuita
Cristoforo Clavio si finì per farla rispettare.
La fantasiosa rappresentazione della separazione tra le due aree di indagine che appare nel frontespizio del
libro di Tartaglia sembra riflettere fedelmente la prassi del tempo. Alcune recenti ricerche hanno messo in luce
le differenze riscontrabili tra lo status sociale dei matematici e quello dei filosofi naturali alla fine del XVI
secolo. La matematica era quasi sempre considerata una disciplina di carattere pratico, quella più strettamente
legata alla meccanica, all'architettura militare e così via, e in genere la posizione sociale di coloro che la
praticavano era decisamente meno elevata di quella dei filosofi naturali. Nelle università e nelle corti i filosofi
erano più pagati e occupavano posizioni di maggior prestigio. Gran parte della carriera di Galilei può essere
letta come un tentativo di elevare lo status dei matematici, in modo da assicurare loro una considerazione non
inferiore a quella di cui godevano i filosofi. Nel corso degli anni questa situazione sarebbe cambiata, ma
all'inizio del Seicento le due professioni erano ancora nettamente distinte.
Esistevano tuttavia anche altre figure di intellettuali interessate da diversi punti di vista allo studio della
Natura, per esempio gli alchimisti. Benché Bacon nel suo catalogo della conoscenza non riservi molto spazio
alla loro disciplina, gli alchimisti rappresentavano una parte estremamente importante della comunità
intellettuale dell'inizio del XVII secolo. In questo periodo le concezioni alchemiche erano assai diversificate
ed è decisamente rischioso formulare generalizzazioni. L'alchimia era una disciplina teorica e al tempo stesso
pratica poiché richiedeva sia la descrizione di almeno una parte dei processi del mondo naturale sia
l'applicazione delle conoscenze così acquisite ai problemi pratici della trasformazione dei metalli vili in oro e
argento. Inoltre, il suo campo di azione si estendeva a questioni che oggi definiremmo di ingegneria chimica e
alla risoluzione di problemi legati al trattamento delle malattie. Secondo alcuni, la parte teorica dell'alchimia
aveva a che fare solo con una parte della Natura, vale a dire con le misture o con i metalli. Ma per altri,
l'alchimia si identificava con la scienza naturale stessa, era considerata cioè un'autentica filosofia della Natura
che offriva una concezione dei fondamenti della scienza naturale alternativa a quella proposta dagli
aristotelici, in quanto i filosofi chimici proponevano una diversa interpretazione delle categorie fondamentali e
dei principî del mondo fisico. Gli alchimisti occupavano vari ruoli nella società; alcuni operavano nelle
università e, in particolare, nelle Facoltà di medicina, altri, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, erano legati
alle corti. Molti lavoravano in proprio come commercianti di prodotti chimici utilizzabili in campo medico o
metallurgico e nei casi in cui non riuscivano a realizzare ciò che promettevano o si dedicavano alla
contraffazione, correvano il rischio di essere trascinati davanti alle autorità giudiziarie.
Un'altra comunità non meno importante interessata allo studio della Natura era quella medica. Tutti i medici,
naturalmente, avevano frequentato la Facoltà delle arti e quindi conoscevano a fondo la filosofia naturale
aristotelica. Solo dopo aver seguito i corsi di studio della Facoltà delle arti gli studenti che aspiravano a
esercitare questa professione si iscrivevano alla Facoltà di medicina, dove studiavano le opere di Ippocrate e di
Galeno, sostituite in alcuni casi da quelle di Paracelso e dei suoi seguaci, e apprendevano le arti mediche. Vi
erano, inoltre, altre categorie di persone che si occupavano della cura del corpo, come i chirurghi e i
farmacisti, che avevano corporazioni, modelli di formazione e centri di ricerca ben distinti da quelli dei
medici, e la maggior parte dei quali infatti non lavorava nelle università all'interno delle Facoltà di medicina
ma presso le corti, gli ospedali, le cliniche e i giardini botanici.
Infine, vi erano gli studiosi di storia naturale. Bacon intendeva unificare la storia naturale e la filosofia
naturale; secondo il suo disegno, la prima avrebbe dovuto servire da base alla seconda ma, almeno fino
all'inizio del secolo, le due discipline erano ancora nettamente separate. In generale, in questo periodo la storia
naturale era quasi del tutto assente dalle università ed era estranea agli interessi di coloro che si occupavano di
filosofia naturale, indipendentemente dalla loro adesione ai vecchi principî aristotelici o alle nuove concezioni.
La storia naturale era legata soprattutto ai viaggi di scoperta ‒ nel corso dei quali erano stati rinvenuti
esemplari di piante, di animali e di minerali fino ad allora sconosciuti in Europa ‒, ai cabinets in cui si
raccoglievano le meraviglie, creati per esibire questi nuovi oggetti della curiosità e ai giardini botanici e
zoologici fondati per studiarli.
In altre parole, all'alba del XVII sec. e per gran parte di esso, non esisteva un gruppo omogeneo di persone che
rispondessero al nome di 'scienziati', né istituzioni che costituissero un punto di riferimento per tutti coloro che
studiavano i fenomeni naturali. La filosofia naturale, quasi sempre considerata un'area di attività di
competenza delle Facoltà delle arti delle università, non costituiva tanto un campo di ricerca (e tantomeno di
ricerca sperimentale) quanto una parte del curriculum degli studenti di età compresa tra i dodici e i diciannove
anni che aspiravano a iscriversi alle facoltà di grado più elevato. La medicina e le altre scienze che si
occupavano del corpo umano, inclusa l'anatomia, erano insegnate presso le Facoltà di medicina, che erano
completamente separate dalle Facoltà delle arti. All'interno delle Facoltà di medicina si studiava anche
l'alchimia (per quanto riguardava la cura della salute), la botanica (per quanto aveva a che fare con la materia
medica) e persino l'astrologia. Le arti matematiche erano insegnate in diversi contesti: nelle università, anche
se solamente come materia sussidiaria della filosofia naturale, nelle corti e negli arsenali, per questioni più
pratiche, di natura militare e civile, e nei luoghi di lavoro. La disciplina che oggi chiamiamo biologia era
studiata in diversi tipi di giardini, realizzati allo scopo di effettuare ricerche mediche o biologiche e talvolta
semplicemente per esibire le ricchezze acquisite con la conquista di nuovi territori. In certi casi le collezioni
private e i cabinets di curiosità dei collezionisti furono utilizzati come strumenti di ricerca biologica. Benché
non fossero del tutto prive di punti di contatto, queste attività spesso erano molto diverse e ben distinte tra
loro: non c'era una sola categoria di analisi del mondo naturale ‒ che si voglia chiamarla 'scienza' o filosofia
naturale ‒ e la gamma delle posizioni sociali dei cultori delle diverse discipline era molto ampia: tra questi
ultimi figuravano infatti professori universitari, medici, alchimisti che lavoravano in proprio e gentiluomini
dediti al collezionismo.
C'è stata una Rivoluzione scientifica?
Il periodo preso in esame in questo volume rientra in quel vasto processo storico abitualmente definito
Rivoluzione scientifica. Gli storici della scienza hanno avanzato le tesi più diverse, sino al limite della
stravaganza, riguardo all'importanza storica di tale processo. In un celebre brano, per esempio, Herbert
Butterfield ha scritto che la Rivoluzione scientifica
mette in ombra tutti gli avvenimenti successivi alla nascita del cristianesimo e riduce il Rinascimento e la
Riforma al rango di semplici episodi, di semplici spostamenti interni al sistema della cristianità medievale. Dal
momento che ha modificato il carattere delle abituali operazioni mentali dell'uomo persino nella conduzione
delle scienze non materiali, trasformando, al tempo stesso, l'intera configurazione dell'universo fisico e la
struttura della vita umana stessa, essa ha finito per coincidere con l'origine sia del mondo moderno sia della
mentalità moderna, rendendo anacronistica e ingombrante la nostra abituale periodizzazione della storia
europea. (Butterfield 1949, p. VIII)
Non si può non riconoscere che il XVII sec. coincise con un periodo straordinariamente fecondo per la
scienza. Persino coloro che vissero in questa epoca ne ebbero la percezione: figure come Bacon e Descartes
erano certamente consapevoli della loro superiorità intellettuale e vollero far sapere ai contemporanei che il
nuovo e straordinario orientamento da essi impresso alle scienze avrebbe consentito di acquisire una nuova e
più profonda conoscenza della Natura, in netta discontinuità con quella del passato. Nel Discours de la
méthode, per esempio, Descartes, dopo aver fatto professione di umiltà riconoscendo i suoi limiti, confessò
senza alcuna modestia di aver scoperto una nuova filosofia naturale che avrebbe offerto all'umanità la chiave
del dominio della Natura:
Ma non appena acquistai alcune generali nozioni di Fisica e, utilizzatele per la soluzione di alcuni problemi
particolari, ebbi modo di notare fino a che punto possono condurre e quanto differiscono dai principî di cui
fino ad ora ci si è serviti, stimai che non avrei potuto tenerle nascoste senza peccare gravemente contro quella
legge che ci impone, per quanto è in noi, di procurare il bene generale di tutta l'umanità. Esse mi hanno infatti
mostrato che è possibile giungere a conoscenze molto utili per la vita e che, al posto di quella Filosofia
speculativa che si insegna nelle scuole, se ne può trovar una pratica, mediante la quale, conoscendo il potere e
gli effetti del fuoco, dell'acqua, dell'aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così
distintamente come conosciamo le tecniche di cui si servono i nostri artigiani. Potremmo utilizzare nello
stesso modo quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori della Natura.
(OF, I, pp. 541-542)
Bacon si espresse in termini ancora più concreti di quelli impiegati da Descartes riguardo ai risultati che era
lecito aspettarsi dalla sua nuova scienza. Nella New Atlantis (pubblicata postuma nel 1626), l'opera in cui
aveva tracciato il profilo di una società utopistica fondata sulla sua concezione della scienza, Bacon descrive
nei più minuti dettagli le innumerevoli scoperte effettuate dai membri dell'istituzione dedita alla ricerca, la
Casa di Salomone, nonché le meraviglie tecnologiche da essi ideate, tra cui si trovano invenzioni che
prefigurano moderni strumenti di comunicazione e di trasporto, l'applicazione di tecniche genetiche agli
organismi vegetali e animali e così via. Ancora più significativo è il fatto che anche altri colsero l'importanza
dei risultati conseguiti dalla nuova scienza. Nel 1668, il poeta inglese John Dryden scrisse:
Non è forse evidente che in questi ultimi cento anni (ovvero da quando lo studio della filosofia ha destato
l'interesse di tutti i 'virtuosi' della cristianità) ci si è rivelata una Natura quasi del tutto nuova? Che sono stati
individuati più errori della Scuola, effettuati più esperimenti utili nel campo della filosofia, scoperti più nobili
segreti nel campo dell'ottica, della medicina, dell'anatomia e dell'astronomia, che in tutte le credule e
ossequienti età che ci dividono da Aristotele? È così vero che niente si diffonde più rapidamente della scienza,
quando è correttamente e largamente coltivata. (Of dramatick poesie, XIV)
L'idea del progresso compiuto dalla scienza nel XVII sec. divenne un luogo comune durante l'età
dell'Illuminismo. Ciò traspare in modo molto chiaro dalle pagine dell'Encylopédie. Alla voce Expérimental,
per esempio, d'Alembert narra la storia della nascita della nuova scienza, a cui attribuisce il nome di 'filosofia
sperimentale', seguendo le tracce della sua affermazione che portano da Bacon e Descartes, a cui spettava il
merito di aver rifiutato Aristotele e i suoi commentatori, all'Accademia del Cimento, a Robert Boyle, a Edme
Mariotte e infine a Isaac Newton. Secondo d'Alembert, Newton aveva mostrato "come introdurre la geometria
nella fisica, e come dar forma a quest'ultima riducendo gli esperimenti al calcolo, una scienza esatta, profonda,
luminosa e nuova". L'autore quindi prosegue la sua analisi affermando che "una nuova generazione è venuta
alla ribalta, dal momento che sono state gettate le fondamenta di una rivoluzione, quasi sempre le rivoluzioni
sono portate a termine dalla generazione successiva" (p. 299). Nel Discours préliminaire dell'Encyclopédie, la
storia della nascita della nuova scienza è descritta a grandi linee nello stesso modo, ma qui, oltre a menzionare
Bacon, Descartes, Boyle, Mariotte e Newton, d'Alembert fa riferimento a Galilei, William Harvey, Christiaan
Huygens, Nicolas Malebranche, Gottfried Wilhelm Leibniz, Thomas Sydenham, Herman Boerhaave e a
"un'infinità di anatomisti e di fisici celebri".
L'idea che intorno al XVII sec. sia avvenuta una Rivoluzione scientifica risale ai lavori pubblicati da
Alexandre Koyré negli anni Trenta del XX secolo. Più precisamente, Koyré si richiamava a una trasformazione
o 'discontinuità' del pensiero umano. Secondo la sua opinione lo studio della storia della scienza "rivela quale
sforzo sovrumano [l'uomo] abbia pagato per ogni passo nel cammino della comprensione del reale, sforzo che
perviene, talvolta, a una vera e propria trasformazione dell'intelletto umano, in virtù della quale concetti
faticosamente 'inventati' dai più grandi geni, divengono non solo accessibili, ma anche facili, evidenti per gli
scolari. Una tale trasformazione […] fu certo la Rivoluzione scientifica del secolo XVII, profondo mutamento
intellettuale di cui la fisica moderna, o con più esattezza, la fisica classica, costituisce contemporaneamente
l'espressione e il risultato tangibile" (Koyré 1979, p. 5). Quindi prosegue affermando che "questo
atteggiamento intellettuale [è] stato il risultato di una trasformazione decisiva: si spiega in questo modo perché
la scoperta di concetti che oggi ci sembrano puerili sia costata sforzi così lunghi ‒ e non tutti coronati dal
successo ‒ ai più grandi geni dell'umanità, a un Galileo, a un Descartes. Non si trattava di combattere teorie
erronee, ma di rivoluzionare i quadri dell'intelligenza stessa; di sconvolgere un atteggiamento intellettuale,
assai naturale in definitiva, sostituendolo con un altro, che naturale non era" (ibidem, p. 9).
Quando scrisse queste parole Koyré aveva in mente una discontinuità intellettuale ben definita. A suo parere,
l'aspetto fondamentale di questo processo era costituito dal rifiuto della concezione aristotelica, vale a dire
qualitativa, del mondo e dalla sua sostituzione con una concezione interamente matematizzata, che in alcuni
casi attribuì ad Archimede e in altri a Platone. In un altro brano, Koyré lo descrisse come segue:
Per la coscienza filosofica e scientifica dell'epoca […] la linea di divisione tra gli aristotelici e i platonici è
molto netta: se si proclama il valore superiore delle matematiche, se, d'altra parte, si attribuisce loro un valore
reale e una posizione dominante nella e per la fisica, si è platonici; se, al contrario, si vede nelle matematiche
una scienza 'astratta', e per conseguenza di minor valore delle scienze ‒ fisica e metafisica ‒ che si occupano
del reale, se, in particolare, si pretende di fondare la fisica direttamente sull'esperienza, non attribuendo alle
matematiche che una funzione fiancheggiatrice, si è aristotelici. (ibidem, p. 286)
La transizione dalla concezione aristotelica all'interpretazione matematica della Natura rappresenterebbe
quindi una discontinuità decisiva nella storia del pensiero, chiudendo un'era e aprendone un'altra che vide la
nascita della fisica classica. La definizione del contenuto della Rivoluzione scientifica offerta da Koyré non è
stata condivisa da tutti. Ma l'idea di rivoluzione, che lo storico sostenne di aver ripreso dal filosofo della
scienza francese Gaston Bachelard, ha esercitato una grande influenza. Per Koyré, e dopo di lui per Thomas
Kuhn e per un'intera tradizione storiografica (e filosofica), si può parlare di rivoluzione quando si è in
presenza di una radicale discontinuità nel pensiero umano.
Di recente, alcuni storici hanno sfidato questa concezione, ormai divenuta tradizionale, del XVII sec. come
periodo della Rivoluzione scientifica. Una delle più importanti riserve a tale concetto deriva proprio dalle
differenze che intercorrono tra il nostro termine 'scienza' e il latino scientia. Ciò che più si avvicinava all'idea
moderna di indagine scientifica era la filosofia naturale, la quale, tuttavia, rimaneva ben distinta dagli studi
matematici, fossero essi 'puri', come l'aritmetica, la geometria e l'algebra, o 'applicati', come l'ottica,
l'astronomia, l'astrologia, la musica e la meccanica. Non meno importanti erano l'alchimia che, come la
filosofia naturale, studiava i corpi, anche se spesso in base a criteri completamenti diversi, e la tradizione
medica che ancora una volta aveva a che fare con i corpi, anche in questo caso da un punto di vista
completamente diverso da quello della filosofia. Né, infine, si possono dimenticare i collezionisti di curiosità,
tra le quali figuravano esemplari di piante e di animali rari.
Quella relativa alla nozione di scienza tuttavia non è la sola riserva mossa alla tradizionale concezione del
XVII sec. come periodo della Rivoluzione scientifica. Come ha dimostrato Bernard Cohen, l'idea di
rivoluzione nell'accezione moderna del termine ‒ di un processo cioè che determina un mutamento radicale e
irreversibile nella sfera della politica o in quella del pensiero, in opposizione alla fase di un processo ciclico
che in definitiva tende a ritornare al punto di partenza ‒ emerge solo verso la fine del XVII sec., se non più
tardi.
Così, nel periodo in cui si suppone abbia avuto luogo la parte più importante della Rivoluzione scientifica,
non esistevano né il moderno concetto di scienza, né il moderno concetto di rivoluzione. Senza dubbio nel
periodo compreso tra Niccolò Copernico e Immanuel Kant si verificarono mutamenti di estrema importanza
di cui i contemporanei erano consapevoli ma, almeno fino alla fine del secolo, se qualcuno avesse impiegato
l'espressione Rivoluzione scientifica per designare questo processo con ogni probabilità non sarebbe stato
capito.
La questione quindi è la seguente: si può sostenere che nel XVII sec. abbia avuto luogo una Rivoluzione
scientifica? Probabilmente no, se con questa espressione si intende indicare una discontinuità radicale. L'idea
stessa di tale discontinuità si è rivelata estremamente difficile da spiegare. Nella celebre monografia dedicata a
questo tema, Thomas Kuhn (1962) ha descritto la struttura delle rivoluzioni scientifiche basandosi sulla
nozione di incommensurabilità tra paradigmi concorrenti. Tuttavia, lo storico ha dedicato gran parte della sua
successiva carriera al tentativo di spiegare l'esatto significato di questa nozione e a difenderla da aspre critiche.
Alcune recenti ricerche inoltre hanno dimostrato che molte delle innovazioni elaborate dalla scienza del XVII
sec. erano in gran parte fondate sull'opera di pensatori vissuti nel periodo precedente.
Prenderemo in esame un caso emblematico, quello della matematizzazione della Natura, in cui Koyré vide una
delle pietre miliari della Rivoluzione scientifica e che costituisce un esempio della svolta radicale segnata nel
XVII sec. dal pensiero umano. Le spiegazioni offerte dalla fisica aristotelica erano nella maggior parte dei casi
di carattere qualitativo. Nella concezione aristotelica, i corpi erano definiti in termini di materia e di forma: la
materia era ciò che rimaneva costante nel mutamento e la forma era ciò che spiegava le proprietà essenziali dei
corpi. Così, il fatto che la terra fosse fredda e tendesse a cadere verso il centro del mondo e il fuoco fosse
caldo e tendesse a salire verso la sfera della Luna era spiegato dalle diverse forme che i due elementi
possedevano. Secondo il meccanicismo, invece, tutte le proprietà manifeste dei corpi dovevano essere spiegate
nei termini delle loro proprietà matematiche, cioè attraverso la dimensione, la forma e il movimento delle
particelle, vale a dire nello stesso modo in cui si spiegava il modo di operare delle macchine. È possibile
chiedersi se questo nuovo modo di guardare il mondo risultasse incomprensibile a quanti erano abituati a
servirsi dei principî aristocratici. Tra la vecchia fisica qualitativa delle scuole e la nuova fisica matematica
esisteva una discontinuità radicale? Descartes non lo credeva, e nei Principia philosophiae (1644) scrisse:
In questo [trattato] non ho mai fatto ricorso a principî che non siano accettati da tutti: questa Filosofia non è
nuova, ma è estremamente antica e comune.
Tuttavia vorrei anche che si notasse che qui ho tentato di spiegare tutta la natura delle cose materiali, in modo
da non usare assolutamente a tal fine alcun principio che non sia stato ammesso da Aristotele e da tutti gli altri
Filosofi vissuti in tutti i tempi, cosicché tale Filosofia non è affatto nuova, ma la più antica e comune tra tutte.
Infatti ho considerato le figure e i moti e le grandezze dei corpi e, secondo le leggi della Meccanica,
confermate da esperienze certe e quotidiane, ho esaminato quel che deve seguire dall'incontro di questi corpi.
Chi d'altra parte ha mai dubitato che i corpi si muovano e abbiano diverse dimensioni e figure e che, a seconda
della loro diversità, anche i loro moti si differenzino? [E chi ha mai dubitato] che, scontrandosi l'uno con
l'altro, i corpi più grandi si dividano in molti più piccoli e mutino figura? (OF, II, pp. 384-385)
Descartes si basa sul fatto che gli aristotelici riconoscevano le scienze matematiche che studiavano alcuni
settori del mondo naturale. In particolare, essi ritenevano valida la scienza della meccanica, attraverso la quale
era spiegabile il modo di operare delle macchine in termini matematici e che, come scienza delle cose
artificiali, poteva coesistere con la fisica, la scienza dei corpi naturali. Benché accettassero a grandi linee il
metodo di spiegazione fondato sulla dimensione, la forma e il movimento in questa specifica area di indagine,
i cultori della meccanica aristotelica avrebbero certamente escluso la possibilità di applicare tale metodo a tutti
i fenomeni naturali, così come Descartes avrebbe negato che alcuni fenomeni naturali fossero spiegabili in
termini di forme sostanziali e materia prima. Tuttavia, per rendere accettabile agli aristotelici il suo
programma Descartes fece appello a una comune area di intelligibilità. Un aristotelico avrebbe decisamente
rifiutato la tesi secondo cui tutto è spiegabile in termini meccanici, ma non avrebbe potuto sostenere di non
comprenderla. Più in generale, si può dire che la nuova fisica matematica emersa nel XVII sec. non costituiva
una radicale discontinuità rispetto ai parametri esplicativi preesistenti, ma era il risultato dalla nuova posizione
assunta dalla matematica applicata, collocata non più ai margini ma al centro della fisica.
Gli esempi che riguardano altre aree di indagine potrebbero moltiplicarsi: l'astronomia copernicana può essere
presentata come il risultato del perfezionamento tecnico delle idee precedenti effettuato all'interno della
comunità degli astronomi; la moderna teoria del movimento, fondata sul cosiddetto 'principio di inerzia', e il
nuovo calcolo infinitesimale possono essere considerati sviluppi del pensiero di Archimede e di Euclide e così
via. È molto difficile ravvisare le radicali discontinuità di pensiero, le fratture dell'intelligibilità che tanto per
Koyré quanto per Kuhn definiscono le rivoluzioni scientifiche.
Ciò non equivale a negare che nel XVII sec. siano state introdotte innovazioni originali: questo secolo coincise
con un periodo di nuove scoperte e di straordinarie novità concettuali. Per esempio, la matematica mista
registrò un rapido cambiamento di statuto e assunse una posizione centrale nell'ambito delle scienze fisiche,
sostituendo praticamente la filosofia naturale, così come era concepita nel periodo precedente, e dando forma
alla fisica matematica così come la conosciamo oggi. Questo processo fu strettamente connesso al rifiuto della
spiegazione aristotelica dei corpi in termini di materia e di forma e alla sua sostituzione con un modello
esplicativo meccanicistico. È importante osservare che il modello meccanicistico fu esteso alle scienze della
vita: i corpi viventi iniziarono a essere concepiti come macchine particolarmente complesse che potevano
essere studiate negli stessi termini in cui si analizzavano i corpi inanimati. Nel corso di questo secolo, inoltre,
furono effettuate importanti scoperte e formulati nuovi programmi nel campo della matematica; ricorderemo
qui l'invenzione della disciplina che sarà in seguito definita geometria analitica (nata dalla combinazione di
elementi di geometria e di algebra) e quella del calcolo differenziale e integrale, così come la definizione del
ramo della matematica che avrebbe acquisito la denominazione di teoria della probabilità e della scienza oggi
nota con il nome di statistica.
Tuttavia il XVII sec. si distinse anche per l'accumularsi di una grande quantità di conoscenze empiriche
relative al mondo naturale. I viaggi di scoperta consentirono di acquisire nuove conoscenze geografiche e di
studiare piante, animali e popolazioni che vivevano in altre regioni del mondo. I nuovi strumenti, come il
cannocchiale e il microscopio, rivelarono mondi costituiti da minuscoli esseri viventi e corpi celesti di cui fino
ad allora non si era neppure sospettata l'esistenza. Gli apparati sperimentali di recente invenzione, per esempio
la pompa pneumatica, consentirono agli sperimentatori di creare fenomeni che non si verificavano in Natura.
La raccolta sistematica dei dati fu accompagnata dall'emergere di un nuovo spirito empirico, di una
concezione dell'impresa scientifica che attribuiva una grande importanza, se non una posizione di primo
piano, all'osservazione e alla sperimentazione nel processo di acquisizione della conoscenza.
Questi sviluppi furono decisivi e sarebbero in sé sufficienti a giustificare l'attenzione con cui gli storici della
scienza hanno studiato il XVII secolo. Forse non costituiscono una vera e propria Rivoluzione scientifica nel
senso che Koyré e Kuhn hanno attribuito a questa espressione ma, considerati nel loro insieme, sono
decisamente straordinari e rappresentano una fase di espansione senza precedenti dell'attività scientifica che
diede inizio a un processo di trasformazione delle scienze che non si è ancora concluso.
Inoltre è importante osservare che in questo periodo si verificò anche un altro mutamento, anche se meno
evidente; ci riferiamo alla riorganizzazione e all'unificazione delle diverse discipline che si occupavano dello
studio del mondo naturale. Si è già accennato al modo in cui la matematica mista finì per assumere il ruolo in
precedenza svolto dalla fisica, o filosofia naturale, nella sfera intellettuale. All'inizio del secolo, la matematica
e la filosofia naturale (cioè la fisica) erano aree di indagine separate. Nel 1687, nel dare alle stampe la sua
grande opera, Newton decise di intitolarla Philosophiae naturalis principia mathematica, legando così
strettamente le due discipline. All'inizio del secolo un tale titolo sarebbe stato praticamente inintelligibile, ma
alla fine del Seicento esso esprimeva una concessione quasi scontata.
Nel corso del XVII sec., si formò un legame tra scientia e historia, tra filosofia naturale e storia naturale, due
discipline che, come abbiamo già osservato, costituivano l'altra grande dicotomia del sapere. In questo caso, la
figura chiave è ancora quella di Bacon e l'opera risolutiva è il Novum organum (1620), un testo destinato a
esercitare una profonda influenza, in cui il filosofo descrisse un nuovo metodo che avrebbe consentito di
rendere accessibili i segreti della Natura. In questa opera Bacon si proponeva soprattutto di formulare un
programma di filosofia naturale che consentisse di giungere alla determinazione delle forme che erano
all'origine dei fenomeni e quindi di spiegare come si producono le qualità sensibili. Nella seconda parte del
Novum organum, per esempio, chiarisce come individuare la forma del calore che, a suo parere, corrisponde a
un certo tipo di movimento; ma il metodo qui presentato dal filosofo si basa sull'osservazione di particolari
eventi e organismi. Bacon spiega come elaborare tavole di dati ricavati da osservazioni di eventi e organismi
individuali di diverso genere ed è mediante l'esame sistematico di questo tipo di osservazioni che, a suo
avviso, si scoprono le verità generali della filosofia naturale; quindi, è attraverso la storia naturale che si
giunge alla filosofia della Natura. Bacon lega tra loro la storia e la filosofia, così come Descartes, Thomas
Hobbes e Newton avevano cercato di stabilire un legame tra la matematica e la fisica. Nel 1690 il programma
di cui Bacon aveva intrapreso la realizzazione è riproposto in An essay concerning humane understanding di
John Locke, dove si legge:
Questa maniera di procurarci ed accrescere la nostra conoscenza delle sostanze solo mediante l'esperienza e la
storia, che è tutto ciò che la debolezza delle nostre facoltà, in questo stato di mediocrità in cui ci troviamo in
questo mondo, possa mai raggiungere, mi fa sospettare che la filosofia naturale non sia suscettibile di venir
portata ad essere una scienza. Suppongo che si possa ottenere una conoscenza generale molto limitata per ciò
che riguarda le specie dei corpi, e le loro diverse proprietà. Possiamo fare esperimenti e osservazioni storiche
da cui possiamo trarre vantaggi per il benessere e la salute, e in tal modo accrescere il patrimonio dei comodi
di questa vita; ma temo che, oltre questo, i nostri talenti non giungano, né, se non arguisco male, possano
progredire le nostre facoltà. (ed. Pelizzi-Farina, II, p. 733)
Locke non credeva nella possibilità di elaborare un'autentica scienza dei corpi nel senso classico
dell'espressione, vale a dire una scienza deduttiva, certa e fondata sui principî primi e si schierò a favore della
filosofia naturale baconiana che si fondava sulla storia naturale, sulla conoscenza cioè di eventi e organismi
individuali. Anche in questo caso, si stabilisce un legame tra le due categorie, fino ad allora rimaste ben
distinte tra loro.
L'unificazione del campo della scienza non fu soltanto il risultato di mutazioni di carattere intellettuale, della
creazione cioè di un legame tra la filosofia naturale, la matematica e la storia naturale. Tali trasformazioni
intellettuali erano connesse anche a una trasformazione istituzionale estremamente importante: la fondazione
di accademie e di riviste scientifiche che furono luoghi comuni di discussione delle indagini sulla Natura.
All'inizio del XVII sec., le attività scientifiche si svolgevano in diverse sedi. Le università non erano centri di
ricerca, ma soltanto luoghi di insegnamento; gli studenti che seguivano i corsi di studio della Facoltà delle arti
non erano studenti universitari nel senso moderno dell'espressione: nella maggior parte dei casi, infatti,
avevano un'età compresa tra i dodici e i diciannove anni. Le università assomigliavano più a quelli che oggi
chiamiamo licei (scuole superiori o ginnasi) e in esse, inoltre l'insegnamento della filosofia naturale
aristotelica, soltanto di rado era integrato da qualche nozione di matematica.
In Francia, il Collège Royal impartiva una gamma più ampia di insegnamenti e verso la fine degli anni
Quaranta del XVII sec. accolse alcuni studiosi di matematica (in particolare, di matematica mista) ‒ tra cui
ricorderemo Gilles Personne de Roberval e Pierre Gassendi ‒ così come un certo numero di astronomi. Vi
erano inoltre le accademie informali e private. In Italia si distingueva l'Accademia del Cimento, un'accademia
privata di carattere sperimentale; a Parigi operava anche il circolo di dotti ed eruditi coordinato da Marin
Mersenne, la cosidetta 'Academia Parisiensis', tra i cui membri figuravano Hobbes, Roberval, Gassendi,
Étienne e Blaise Pascal e molti altri personaggi legati da rapporti di amicizia che si incontravano con
regolarità prevalentemente nel convento dei minimi francescani situato nei pressi della Place Royale per
discutere le nuove idee. Il Jardin du Roi di Parigi serviva da luogo di incontro degli alchimisti. Ma in questo
periodo non vi era ancora nessuna struttura paragonabile a quelle che oggi sono le istituzioni scientifiche.
Nel 1626, poco dopo la morte di Bacon, gli amici del filosofo decisero di dare alle stampe la New Atlantis, in
cui Bacon aveva descritto un nuovo tipo di istituzione, la Casa di Salomone, un'organizzazione finanziata dal
governo il cui scopo era quello di condurre vari tipi di ricerche sul mondo naturale. La struttura organizzativa
della Casa di Salomone riflette il concetto di indagine esposto dal filosofo nel Novum organum; i suoi
membri, infatti, svolgono vari compiti: alcuni devono occuparsi della raccolta delle osservazioni, altri
dell'esecuzione degli esperimenti, altri ancora di trarre conclusioni generali da tali esperimenti e di tradurre le
conoscenze teoriche in risultati pratici utili alla società. Per riprendere le parole impiegate da uno dei membri
della Casa di Salomone: "Lo scopo della nostra fondazione è quello di giungere alla conoscenza delle cause e
dei movimenti segreti delle cose; di estendere i confini dell'impero umano fino alla realizzazione di ogni cosa
possibile" (Scritti filosofici, p. 863). Il campo di azione della Casa di Salomone includeva ogni tipo di
indagine 'scientifica': la storia naturale, la biologia, l'anatomia, la medicina, la meccanica e la fisica, riunite
sotto lo stesso tetto e quindi dotate di una comune identità. In seguito, a Londra e a Parigi furono create
istituzioni con la medesima ispirazione, quali la Royal Society (fondata nel 1660) e l'Académie des Sciences
(fondata nel 1666) che furono imitate in tutte le regioni europee, tanto nelle grandi città quanto nelle cittadine
di provincia che aspiravano ad acquisire un maggiore prestigio.
Dell'Académie des Sciences entrarono a far parte alcuni dei più illustri matematici del tempo, tra cui
Christiaan Huygens, Pierre de Carcavi e Gian Domenico Cassini, così come celebri studiosi di storia naturale,
come Claude Perrault. L'Académie di Parigi non si limitò a intervenire autorevolmente nelle discussioni su
temi matematici, per esempio quelle che avevano come oggetto le scoperte astronomiche di Cassini e le
ricerche sul movimento e la meccanica di Huygens, ma curò anche la pubblicazione di due opere
monumentali, i Mémoires pour servir à l'histoire naturelle des animaux (1671-1676) e i Mémoires pour servir
à l'histoire naturelle des plantes (1676). Un grande spirito di cooperazione regnava nell'Académie, tanto che gli
astronomi assistevano alle dissezioni anatomiche e le commentavano.
La cerchia dei membri della Royal Society era più ampia di quella dell'Académie e al suo interno gli
aristocratici, e quindi gli appassionati 'virtuosi', erano più numerosi, mentre erano meno rappresentate le
professioni scientifiche emergenti. Tuttavia, gli interessi dei suoi membri non erano meno vasti di quelli
dell'istituzione parigina. Nel 1665, la Royal Society diede alle stampe la monumentale Micrographia di Robert
Hooke, in cui erano descritte le indagini condotte dallo studioso con il microscopio e nel 1687 finanziò la
pubblicazione dei Principia di Newton, che segnarono la nascita della fisica matematica. Una notevole varietà
di interessi è testimoniata anche dalla rivista della società, "The Philosophical Transactions of the Royal
Society of London", che sin dal primo periodo della pubblicazione diede spazio a un'ampia gamma di
materiali. Nei primi numeri, per esempio, si trovano registrazioni di osservazioni astronomiche, resoconti di
esperimenti ottici e altre discussioni di temi matematici, ma anche le recensioni alla Micrographia di Hooke e
alla Natural history of cold di Boyle nonché descrizioni di nascite di esseri mostruosi e altre analisi di temi di
storia naturale. Questa eterogeneità di argomenti rimase una costante nella storia delle "Philosophical
Transactions".
Nel Seicento, non era facile far circolare le proprie idee; si poteva, naturalmente, dare alle stampe un libro, se
si avevano a disposizione i mezzi necessari o se si riusciva a convincere un libraio della convenienza
dell'impresa. Altrimenti era possibile pubblicare un pamphlet o un manifesto e affiggerlo in un luogo pubblico.
A Parigi, per esempio, chi voleva far conoscere il proprio pensiero di frequente ricorreva ai muri del Pont
Neuf. Molto spesso le idee circolavano per via epistolare, in quanto le lettere non erano solo una forma di
comunicazione privata: Mersenne, che era maestro in questo tipo di corrispondenza, scriveva a Descartes per
sottoporgli le questioni sollevate dai membri della sua cerchia, quindi ne riproduceva la risposta in numerose
copie per poi distribuirle a tutti gli interessati che, a loro volta, potevano replicare alle asserzioni del filosofo.
In taluni casi queste raccolte di lettere furono date alle stampe e in certe occasioni Mersenne pubblicò nelle
sue opere alcuni brani che riteneva particolarmente interessanti, come nei Cogitata physico-mathematica
(1644), dove l'autore presenta le idee di Descartes, Hobbes e Roberval. Ma negli anni Sessanta del XVII sec.
emerse un'altra forma di comunicazione radicalmente nuova, quella delle riviste. Il primo numero delle
"Philosophical Transactions" fu pubblicato nel 1665 e nello stesso anno a Parigi apparve un'altra rivista, il
"Journal des Sçavants". Nel 1682, a Lipsia, iniziò la pubblicazione degli "Acta Eruditorum", molto vicini a
Leibniz, tanto che sulle sue pagine fu pubblicato il primo resoconto dell'invenzione del calcolo infinitesimale;
nel 1684 infine fu dato alle stampe il primo numero delle "Nouvelles de la République des Lettres". A
eccezione delle "Philosophical Transactions", nessuna di queste riviste però può essere definita una
pubblicazione scientifica nel senso rigoroso del termine. Oltre a materiali di matematica e di storia naturale,
infatti, esse davano alle stampe comunicazioni teologiche e storiche, così come notizie di attualità e di
carattere letterario; ma le loro pagine ospitarono le prime formulazioni di quella che il XVIII sec. avrebbe
chiamato nuova scienza.
Così, si può dire che tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII sec. emerse una nuova istituzione, una comunità
di praticanti indipendente dalle università e dalla Chiesa e raccolte intorno a riviste e società, che accoglieva
figure che all'inizio del secolo erano ancora del tutto eterogenee, offrendo loro una dimora e soprattutto
un'identità. In tal modo le differenti discipline che si occupavano della Natura finirono con il confluire, dando
forma a quello che appariva sempre più come un unico campo di indagine, a cui più tardi fu attribuito il nome
di 'scienza'.
La creazione della scienza come attività intellettuale e istituzionale fu accompagnata dall'approfondimento
della distinzione tra la filosofia nel significato moderno del termine e quelle che sarebbero state chiamate le
scienze. All'inizio del XVII sec., i termini 'filosofia' e 'scienza' erano praticamente sinonimi; entrambi, infatti,
indicavano la conoscenza in senso stretto, cioè certa, generale e fondata sullo studio delle cause. Ma alla fine
del secolo, si approfondì la distinzione tra lo studio empirico e matematico della Natura e un altro modo di
contribuire allo sviluppo della conoscenza. In un celebre brano di An essay concerning humane understanding
Locke scrisse:
Non mancano presentemente nella Repubblica delle Lettere dei famosi architetti che, nei grandi disegni che si
propongono per l'avanzamento delle scienze, lasceranno monumenti destinati all'ammirazione della posterità;
ma non tutti possono sperare di essere un Boyle o un Sydenham. E in un secolo che produce maestri quali
l'illustre Huygens e l'incomparabile Newton, oltre qualcun altro della stessa levatura, è già un'ambizione
sufficiente quella di impiegarsi in qualità di semplice operaio a sgombrare e ripulire un po' di terreno, e a
gettar da parte un poco dei detriti che s'incontrano sul cammino della conoscenza. (ed. Pelizzi-Farina, I, p.11)
Nel XVIII sec., i lettori di questo celebre testo pensarono che l'autore avesse operato una netta distinzione tra
la filosofia e la scienza. È interessante osservare il modo in cui d'Alembert definisce l'opera di Locke e
Newton nel suo Discours préliminaire dell'Encyclopédie. Come abbiamo già notato, per d'Alembert, Newton
rappresentava il culmine della storia della Rivoluzione scientifica, poiché era colui che aveva "conferito alla
filosofia la forma che, a quanto sembra, doveva avere" (p. XXVI). D'Alembert tuttavia osserva che se Newton
era stato un grande fisico, secondo il parere di molti, non eccelleva però nella metafisica. È qui che entra in
scena Locke: "Ciò che Newton non ha osato fare o non ha potuto fare, è stato intrapreso con successo da
Locke. Si può dire che egli abbia creato la metafisica così come Newton ha creato la fisica" (p. XXVII). Verso
la metà del Settecento, con la separazione della scienza dalla filosofia, si definisce una situazione che
assomiglia un po' di più al moderno panorama intellettuale, in cui il campo della scienza, ossia lo studio della
Natura, non si confonde più con quello della filosofia. Il XVII sec. ha visto nell'ambito delle diverse aree dello
studio della Natura una serie di progressi innovativi e importanti, forse persino rivoluzionari.
Struttura del volume
Nelle diverse sezioni di questo volume saranno analizzati in modo più dettagliato alcuni dei temi cui abbiamo
accennato. È importante tuttavia ricordare che una parte tutt'altro che trascurabile di questa storia è costituita
proprio dall'elaborazione dell'idea di scienza e dalla formazione delle istituzioni che resero possibile il suo
sviluppo. Quella che si presenta qui è una descrizione delle diverse discipline che in un modo o nell'altro
confluirono nella scienza. I soggetti analizzati sono stati scelti non solo in quanto espressioni dell'interesse
dell'uomo per la Natura, ma anche a partire da un giudizio a posteriori, tenendo conto cioè del loro successivo
sviluppo e del contributo che diedero alla formazione di quella che oggi chiamiamo scienza.
Uno studio che si ponga l'obiettivo di render conto di tutte le forme di attività scientifica nel corso di uno dei
suoi momenti più vivaci e originali, deve necessariamente essere incentrato sulle più importanti idee del
periodo preso in esame; ma deve anche tener conto delle principali individualità e del più vasto contesto
sociale e istituzionale grazie a cui tali idee si svilupparono.
Nella prima parte di questo volume, 'Modelli di conoscenza', saranno analizzati alcuni dei temi generali che
riguardano il periodo, incluse le questioni relative alla matematizzazione della Natura, alla nuova importanza
accordata agli esperimenti, ai rapporti tra scienza e teologia e infine alla diffusione della scienza europea in
altre regioni del globo. La seconda parte, 'Luoghi e forme della conoscenza', riguarda i luoghi e le istituzioni
dei successivi sviluppi scientifici: le accademie, le università, le biblioteche, i salotti, gli ordini religiosi, i
gabinetti, i laboratori, gli osservatori, i giardini botanici, gli arsenali e i viaggi di scoperta. Questa sezione
include anche la storia dell'interesse per le meraviglie e le curiosità, lo sviluppo degli strumenti scientifici e i
rapporti che legavano l'ingegneria e la meccanica alle nuove scienze, così come il decisivo sviluppo di diversi
canali di comunicazione scientifica. La terza parte, 'I protagonisti', in cui si parlerà delle personalità che
diedero forma alle nuove scienze, si apre con due capitoli dedicati ai professionisti e ai gentiluomini eruditi,
seguiti da brevi analisi consacrate alle principali figure di questo periodo, che saranno prese in esame anche in
altre sezioni del volume in relazione alle loro scoperte. Nell'ultima parte, 'I domini della conoscenza', saranno
analizzate nei dettagli le principali idee elaborate dalla scienza del XVII sec. nell'ambito delle scienze fisiche,
della matematica pura e mista e delle scienze della vita.
La Rivoluzione scientifica: modelli di conoscenza. Prospettive storiche: l'aristotelismo e
le nuove filosofie
Storia della Scienza (2002)
di Daniel Garber
Prospettive storiche: l'aristotelismo e le nuove filosofie
Sommario: 1. La filosofia naturale aristotelica. 2. L'antiaristotelismo e l'idea di una nuova filosofia. 3. Novità
e autorità. 4. La matematica e il mondo naturale. 5. Esperienza, sperimentazione e nuova scienza. 6. Certezza
e probabilità. □ Bibliografia.
Il XVII sec. fu un periodo di grandi cambiamenti e di nuove scoperte, accompagnate da un generale
ripensamento della concezione della Natura prevalente in Europa e della posizione dell'uomo al suo interno.
Le analisi dei mutamenti che hanno interessato i diversi campi di ricerca saranno l'oggetto dei capitoli
successivi, mentre in questo si affronteranno gli aspetti generali dello sviluppo delle scienze nel XVII sec., i
nuovi approcci alla storia, alla matematica e alla sperimentazione e il ruolo dei concetti di certezza e di
probabilità.
Innanzi tutto, occorre ricordare che per la maggior parte del secolo lo studio della Natura, in quasi tutti i campi
di ricerca, rimase fondato sulla filosofia aristotelica. È dunque dalla scienza aristotelica e dai suoi oppositori,
prima e durante il XVII sec., che occorre iniziare.
1. La filosofia naturale aristotelica
La filosofia aristotelica rimase al centro della coscienza intellettuale europea dal tardo XIII sec. fino a tutto il
XVII e a buona parte del XVIII. All'alba del Seicento, essa costituiva una parte fondamentale del programma
di studi di ogni tipo di scuola in tutti i paesi europei. Ogni cittadino europeo, cattolico o protestante,
settentrionale o meridionale, avrebbe potuto sottoscrivere l'affermazione contenuta nella Ratio studiorum, il
libro di testo adottato nelle scuole dei gesuiti, secondo cui era necessario "seguire la dottrina di Aristotele in
ciò che concerne la logica, la filosofia della natura, l'etica e la metafisica" (ed. Bianchi, p. 98). In questo
modo, la filosofia aristotelica venne a costituire una sorta di lingua franca dell'Europa dotta.
La visione aristotelica del mondo naturale è descritta da Eustache de Saint-Paul nella Summa philosophiae
quadripartita. Pubblicata a Parigi nel 1609, l'opera fu più volte ristampata sia nei paesi cattolici sia in quelli
protestanti e fu utilizzata nelle scuole per introdurre gli allievi allo studio della filosofia naturale. Da parte
nostra, ci serviremo di questo autore per descrivere la filosofia aristotelica, in quanto egli espone una versione
dell'aristotelismo ampiamente condivisa nel periodo che stiamo esaminando.
In primo luogo, Eustache specifica l'oggetto della filosofia naturale, o fisica, alla quale è dedicata una delle
quattro parti della Summa, intitolata Physica: "l'oggetto della fisica in senso proprio è il corpo naturale in
quanto naturale". Un corpo naturale "consta di una duplice natura, la materia e la forma; queste infatti sono
dette principî del moto e della quiete" (pp. 5-6). È presente qui un'implicita distinzione tra oggetti naturali e
oggetti artificiali: i primi possiedono il principio del proprio mutamento. Di conseguenza, la filosofia naturale
era contrapposta alle scienze del mondo artificiale, tra le quali figura, per esempio, la meccanica, che si
occupa dei modi di raggiungere scopi contrari alla natura delle cose, come quando si adopera una leva o una
carrucola per sollevare un grave all'altezza voluta. La Physica è suddivisa a sua volta in tre parti: la prima, dal
titolo De corpore naturale in genere, è dedicata allo studio dei corpi naturali e in essa sono descritte le
caratteristiche generali del mondo fisico, che comprendono la forma, la materia e la privazione (i tre principî
aristotelici della Natura), le quattro cause, lo spazio, il tempo e il moto. Nella seconda parte, De corpore
naturale inanimato, Eustache affronta i temi della materia celeste e dei quattro elementi (terra, acqua, aria e
fuoco) e quelli dell'azione, della passione, della generazione e della corruzione. La terza e conclusiva parte,
De corpore naturale animato, è dedicata alla trattazione delle cose viventi, e in essa si parla dell'anima, delle
sue facoltà e della separazione dell'anima dal corpo.
Seguendo lo schema scolastico tradizionale, Eustache concepisce i corpi in termini di materia prima, di forma
sostanziale e di privazione. La materia prima è ciò che soggiace al mutamento e rimane immutato quando un
corpo passa da un genere di cosa a un altro. La forma sostanziale, invece, è ciò che individua un ente in quanto
tale e che cambia quando lo stesso ente passa da un genere a un altro (nei viventi, la forma prende il nome di
anima). La privazione non si distingue effettivamente dalla materia: è la mancanza nella materia di proprietà
particolari che consente alla materia stessa di acquisirle in seguito. Secondo l'ortodossia tomista, la materia è
atto puro e la forma potenza pura, e l'una non può esistere senza l'altra. Eustache, tuttavia, adottando le
posizioni di Giovanni Duns Scoto e di Guglielmo di Ockham, attribuiva alla forma e alla materia la capacità di
esistere indipendentemente in diversi modi. Seguendo la tradizione aristotelica, egli negava inoltre l'esistenza
del vacuum o spazio vuoto.
Non meno importante era la classificazione aristotelica dei corpi esistenti nell'Universo. Nel mondo sublunare,
il mondo sottostante la sfera della Luna, esistono quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. In virtù della sua
forma, ciascun elemento possiede un particolare ventaglio di quelle che erano chiamate generalmente qualità
primarie e qualità motorie. Le qualità primarie sono le coppie caldo/freddo e umido/asciutto. La terra, per
esempio, è fredda e asciutta, l'acqua fredda e umida, l'aria calda e umida e il fuoco caldo e asciutto. Oltre alle
qualità primarie, gli elementi possiedono le qualità motorie: la leggerezza e la pesantezza. La terra e l'acqua,
gli elementi pesanti, hanno la tendenza a cadere in basso, verso il centro del mondo, mentre l'aria e il fuoco
tendono a sollevarsi in alto, allontanandosi dal centro del mondo. Più esattamente, le qualità motorie derivano
dal fatto che ciascun elemento ha una sua sede naturale nell'Universo, l'elemento terrestre al centro, seguito, a
distanze sempre maggiori, dall'acqua, dall'aria e dal fuoco. Quando vengono allontanati dalla loro sede
naturale, gli elementi tendono a tornarvi. Tuttavia, in Natura gli elementi non si trovano mai, o quasi mai, allo
stato puro, ma si mescolano tra loro, dando origine a corpi dotati di proprietà differenti a seconda delle diverse
proporzioni degli elementi che li compongono. La teoria, assai complessa, dei corpi composti diede origine ad
alcune delle più accese dispute dell'aristotelismo del Tardo Medioevo e della prima Età moderna. Poiché le
cose erano composte da elementi diversi, tendenti a separarsi di nuovo, il mondo sublunare era un mondo in
costante trasformazione, in cui gli elementi davano origine alle cose combinandosi tra loro e ne provocavano
la corruzione tornando a separarsi.
Diversa natura aveva il mondo dei corpi celesti: questi, infatti, non erano formati dai quattro elementi, ma da
un quinto detto 'etere', o 'quintessenza'. Si riteneva che la fisica celeste seguisse leggi completamente diverse
da quelle della fisica terrestre. I corpi celesti non seguivano un percorso rettilineo, ma si muovevano lungo
circoli perfetti. A differenza del mondo sublunare, dominato dal cambiamento, dalla generazione e dalla
corruzione, il mondo celeste era visto come il regno immutabile della perfezione.
2. L'antiaristotelismo e l'idea di una nuova filosofia
Per quanto rappresentasse l'ortodossia dominante, la filosofia aristotelica, riassunta nella Summa philosophiae
quadripartita di Eustache e in altri manuali, non era priva di avversari, fu anzi osteggiata sin dalla sua
introduzione nell'Occidente latino. Considerato una filosofia pagana, non facilmente conciliabile con il
pensiero cristiano, l'aristotelismo (o almeno alcune sue interpretazioni) fu condannato più volte a Parigi nel
XIII sec., fino alla condanna del 1277, quando ben 217 tesi furono proibite dal vescovo Étienne Tempier.
A partire dal XVI sec. si affermarono numerosi sistemi filosofici che sfidavano la visione del mondo
aristotelica. In effetti, gli autori dell'inizio del Seicento ritenevano di trovarsi di fronte a una vera rivoluzione
intellettuale. Già nei primi decenni del secolo i filosofi conservatori seguaci dell'aristotelismo lamentavano
l'aumento dei pensatori che si rifiutavano di accogliere la verità ricevuta. Nel suo commento alla Genesi, le
Quaestiones celeberrimae in Genesim (1623), Marin Mersenne identificava come esponenti di questa tendenza
antiaristotelica, tra gli altri, Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Bernardino Telesio, Francesco Patrizi,
Nicolas Hill e Sébastien Basson, oltre a Johannes Kepler, Galileo Galilei, Francis Bacon e William Gilbert.
Più o meno negli stessi anni, il celebre professore parigino Jean-Cécile Frey teneva le lezioni di fronte a torme
di studenti, difendendo Aristotele da tutti gli attacchi e fustigando le opinioni eterodosse di molti suoi
avversari.
Il XVI sec. aveva prodotto una grande varietà di scuole di pensiero ostili all'aristotelismo. Una delle più note
era quella dei cosiddetti naturalisti italiani, un gruppo di filosofi che condividevano un generale rifiuto
dell'interpretazione aristotelica della Natura. Nel Libro I del De rerum natura (1565), Telesio rifiutava la
concezione aristotelica del corpo come unione di materia e di forma, sostituendola con una concezione del
mondo basata sul caldo e sul freddo, agenti immateriali (ma naturali) che penetrano nella materia inerte,
animandola. Secondo Telesio, il mondo è il risultato della lotta tra questi due agenti fondamentali, in perenne
opposizione. Il pensiero di Campanella rappresenta in un certo senso la prosecuzione e lo sviluppo di quello di
Telesio. Campanella, che aveva iniziato la carriera come suo seguace, in particolare nell'opera giovanile
Philosophia sensibus demonstrata (1591), era giunto soltanto più tardi alla conclusione che la teoria fisica del
suo maestro necessitasse di fondamenta più solide e profonde. Nel De sensu rerum et magia (1620) e anche nel
più tardo Universalis philosophiae, seu metaphysicarum […] dogmata (1638), affermò che Telesio aveva
sbagliato nel considerare il caldo e il freddo come agenti naturali, sostenendo che essi dovevano la loro
efficacia a Dio e all'anima del mondo. La luce era invece alla base della concezione del mondo di un altro
filosofo italiano, Francesco Patrizi da Cherso, autore della Nova de universis philosophia (1591).
Gli scritti densi e complessi di Giordano Bruno, benché difettino a volte di coerenza, presentano alcuni temi
ben definiti. Bruno rifiuta i concetti aristotelici di Dio, di sostanza, di materia e di forma. Nel De la causa,
principio et uno (1584) afferma che Dio è l'unica sostanza e tutte le cose finite sono soltanto suoi aspetti.
Bruno non respinge del tutto l'idea che i corpi siano prodotti dall'unione di forma e materia, ma sembra spesso
considerare questi due concetti come equivalenti, in modo poco aristotelico. Telesio e Patrizi attaccarono
anche le idee aristoteliche di spazio e luogo, affermando che lo spazio preesiste a ogni cosa ed è indipendente
dai corpi, essendo una sorta di contenitore vuoto riempito soltanto in parte dal mondo fisico. La basilare
distinzione aristotelica tra cielo e Terra fu messa in discussione dal sistema copernicano, formulato nel De
revolutionibus orbium coelestium (1543). Altri attacchi vennero dagli alchimisti, e in particolare da quelli
appartenenti alla scuola di Teophrast Bombast von Hohenheim, noto come Paracelso (1493-1541). Mentre
alcuni alchimisti non pensavano di agire in contraddizione con le linee fondamentali dell'aristotelismo, i
paracelsiani ritenevano che fosse ormai giunto il momento di sostituirlo con una nuova filosofia della Natura.
Agli occhi dei conservatori come Mersenne e Frey tutto ciò assumeva l'aspetto di una rivoluzione, un tentativo
di rovesciare l'aristotelismo e sostituirlo con qualcosa di nuovo. Per Mersenne, si trattava di un atto di pura
presunzione. In un celebre passaggio della Vérité des sciences (1625), scrisse: "Come filosofo, Aristotele è
un'aquila; gli altri sono solo dei pulcini che vorrebbero volare prima di avere le ali" (pp. 110-111). Altri la
pensavano in modo ancora più radicale. L'astrologo e filosofo francese Jean-Baptiste Morin (1583-1656),
reagendo a un attacco alle tesi di Aristotele presentato pubblicamente da un gruppo di atomisti, nella
Réfutation des Thèses [...] contre la doctrine d'Aristote (1624) affermò: "Non vi è nulla di più sedizioso e
pernicioso di una nuova dottrina: e lo dico non solo per la teologia, ma anche per la filosofia" (p. 3).
Mersenne, Frey e Morin probabilmente non immaginavano che gli attacchi alla tradizione aristotelica
sarebbero divenuti ancora più violenti e temibili negli anni successivi. Nel 1620 Francis Bacon pubblicò la
Instauratio magna, opera nella quale delineava un completo rinnovamento di tutte le scienze. All'interno di
quest'opera, egli presentava ai lettori il Novum organum, un nuovo metodo sperimentale con il quale si
prefiggeva di indagare le scienze e di rinnovarle profondamente.
Nello stesso periodo, il giovane René Descartes stava elaborando il suo personale metodo di indagine nelle
Regulae ad directionem ingenii, rimaste poi incompiute. Solo dopo alcuni anni, nel 1637, Descartes pubblicò
il Discours de la méthode, in cui esponeva le proprie opinioni sull'indagine scientifica e auspicava l'avvento di
una nuova scienza. Inoltre, Descartes pubblicò alcuni esempi concreti di applicazione del suo metodo, vale a
dire una nuova geometria, che univa elementi della geometria tradizionale all'algebra, e i primi saggi della
nuova scienza meccanicista, destinata a dominare il pensiero scientifico fino alla fine del secolo. Nella nuova
filosofia naturale proposta da Descartes, la materia e la forma degli aristotelici erano sostituite da corpi,
viventi e inanimati, concepiti sul modello delle macchine. Di lì a poco, gli sviluppi della matematizzazione
galileiana del moto e dell'elaborazione del copernicanesimo avrebbero minato ulteriormente la concezione
aristotelica del mondo, così come avrebbero fatto la riscoperta dell'atomismo da parte di Pierre Gassendi, il
materialismo di Thomas Hobbes e molti altri sviluppi del pensiero contemporaneo. Alla fine del secolo, il
genio universale di Gottfried Wilhelm Leibniz poteva annunciare la nascita di una nuova filosofia, come
avevano fatto prima di lui polemicamente Mersenne e Frey, ma questa volta i protagonisti erano altri: "I
fondatori della filosofia moderna sono Bacon, Galilei, Kepler, Gassendi e Descartes" (De la philosophie
cartésienne, p. 1480). I novatores del XVI sec. erano caduti completamente nell'oblio e il XVII sec. si
presentava ai contemporanei come l'età che aveva dato i natali alla nuova filosofia della Natura e aveva visto la
scienza moderna muovere i primi passi.
I dettagli di questa nuova scienza saranno discussi nei capitoli seguenti: il sorgere di diverse forme di
atomismo e di meccanicismo, che offrivano un'alternativa alla visione aristotelica di un mondo dominato dalla
materia e dalla forma, le spiegazioni matematiche della Natura, le nuove interpretazioni dello spazio e del
vuoto, che contraddicevano quelle aristoteliche, il superamento della distinzione tra naturale e artificiale e tra
celeste e terrestre, le nuove spiegazioni della vita e così via.
3. Novità e autorità
Uno dei cambiamenti più evidenti che caratterizzarono il XVII sec. fu il mutato atteggiamento verso le novità
filosofiche. L'originalità di pensiero non ha goduto sempre di una buona reputazione. Come abbiamo visto,
Morin riteneva, per esempio, che ogni novità fosse potenzialmente pericolosa. L'Oxford Latin dictionary, da
parte sua, riporta tra i significati di novus ‒ letteralmente 'nuovo' nel latino classico ‒ quelli di 'sovversivo' e
'sedizioso', avallandoli con citazioni da Cicerone, Svetonio e Tacito. Durante il XVI sec., le novità, le
innovazioni e le opinioni eterodosse erano guardate con sospetto, almeno in alcuni ambienti. Benito Pereyra
(1535 ca.-1610), stimato professore di fisica al Collegio Romano, nel De modo legendi cursum philosophiae
esprimeva un punto di vista molto comune quando sosteneva che "non bisognerebbe farsi allettare dalle nuove
opinioni ‒ ossia da quelle che abbiamo scoperto noi stessi ‒ ma aderire alle opinioni antiche e comunemente
accettate" (p. 667). Questo principio era contenuto anche nella Ratio studiorum dei gesuiti, l'insieme delle
regole che governavano la loro estesa rete di istituti scolastici. Nella versione del 1599, essa ammoniva gli
insegnanti a rifuggire dalle nuove opinioni, anche nelle materie che non mettevano in pericolo la fede.
Potremmo proseguire a lungo nelle citazioni: definire una dottrina nuova, innovativa o originale non
significava necessariamente elogiarla.
Tutto questo era destinato a cambiare nel XVII sec., quando la novità sembrò assumere un valore positivo.
L'opera più rappresentativa di questa tendenza è forse la Instauratio magna di Bacon, sul cui frontespizio era
rappresentata una nave a vele spiegate, in procinto di superare le Colonne d'Ercole e di inoltrarsi nell'oceano
aperto, a simboleggiare la ricerca del nuovo. Sotto la nave è inciso un motto biblico: "molti lo scorreranno e la
loro conoscenza sarà accresciuta" (Daniele, 12, 4). Il significato implicito nell'immagine scelta da Bacon era
che il suo libro avrebbe aperto un'epoca di nuove scoperte e di grande accrescimento delle conoscenze.
L'opera inizia con una critica di ciò che era stato fatto fino a quel momento:
Se qualcuno considera attentamente tutta quella pretesa varietà di libri della quale le scienze e le arti sono
tanto fiere, troverà ovunque infinite ripetizioni della stessa cosa, lievemente diverse per il modo della
trattazione, ma già scontate per quanto concerne l'invenzione. In tal modo ciò che a un primo sguardo
sembrava ricchezza si riduce, una volta esaminato, a ben poco.
Per quanto riguarda l'utilità bisogna dire apertamente che questo sapere che ci deriva soprattutto dai Greci
sembra essere una specie di infanzia della scienza con tutte le caratteristiche proprie dei fanciulli: pronto a
ciarlare, è immaturo e incapace di generare. (Scritti filosofici, pp. 521-522)
La soluzione proposta da Bacon è estremamente coraggiosa: "cominciare interamente da capo l'impresa con
mezzi più validi e intraprendere una totale Restaurazione, innalzata sulle dovute fondamenta, delle scienze,
delle arti, e di ogni umano sapere" (ibidem, p. 516). Non vi è traccia di paura delle novità in queste parole. Il
passato deve essere abbandonato e la ricerca della conoscenza ripresa su basi interamente nuove.
Ritroviamo accenti molto simili nel Discours de la méthode di Descartes, dove l'autore espone il suo
ambizioso programma di rifondazione della scienza. Come Bacon, anche Descartes si dichiara deluso dalla
cultura tradizionale e desideroso di ricostruire l'intero edificio del sapere dalle fondamenta. Paragonando il
corpus del sapere tradizionale a una casa costruita su fondamenta instabili o a una città cresciuta in modo
casuale, affermava:
Quanto alla Filosofia dirò soltanto che, vedendo che è stata coltivata dai più eccellenti ingegni che siano mai
vissuti e che, tuttavia, non c'è nulla in essa su cui non si continui a discutere e che quindi non sia scevro da
dubbi, non ero così presuntuoso da sapere che vi sarei riuscito meglio degli altri. D'altra parte, considerando
quante diverse opinioni siano state sostenute a proposito di uno stesso argomento che sia vero, finii di stimare
pressoché falso tutto ciò che era solo verisimile.
Quanto poi alle altre scienze, in quanto esse derivano i loro principî dalla Filosofia, conclusi che non poteva
esser stato costruito nulla di solido su fondamenti così incerti. (OF, I, p. 503)
Non è quindi sorprendente che, una volta giunto il momento di ricostruire, egli abbia finito per scartare la
maggior parte del sapere tradizionale.
Bacon e Descartes, come la maggior parte dei loro contemporanei assetati di novità, avevano due bersagli
preferiti. Il primo era l'aristotelismo scolastico, che abbiamo descritto all'inizio di questo capitolo. Le dottrine
aristoteliche insegnate nelle scuole rappresentavano il simbolo stesso della tradizione e dell'autorità che essi
intendevano distruggere, ma il secondo bersaglio era costituito dall'Umanesimo, che tanta importanza aveva
avuto nella vita intellettuale del XVI sec., anche tra gli scienziati e i matematici.
L'Umanesimo fu un vasto e diffuso movimento intellettuale incentrato sulla riscoperta della letteratura e della
cultura dell'Antichità classica. Gli sforzi degli umanisti erano diretti principalmente alla rinascita della lingua,
della retorica e della letteratura dell'antica Roma, ma l'Umanesimo ebbe importanti conseguenze anche in
campo scientifico. Gli umanisti riscoprirono, pubblicarono e studiarono i principali testi matematici
dell'Antichità, tra cui gli scritti di Archimede, Pappo di Alessandria e altri. Ugualmente importante fu la
riscoperta degli antichi sistemi non aristotelici di filosofia naturale. Justus Lipsius (Joost Lips, 1547-1606),
per esempio, contribuì grandemente ad accendere l'interesse verso vari aspetti dello stoicismo, fra cui la
filosofia naturale. Ancora più importante a questo riguardo fu l'azione di Pierre Gassendi, forse l'ultimo degli
umanisti scientifici: egli dedicò la maggior parte della sua carriera all'edizione del testo greco del Libro X
delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, che contiene il nucleo principale degli scritti dell'atomista greco
Epicuro. La pubblicazione di questi testi, accompagnata dai dotti e filosofici commentari di Gassendi,
contribuì notevolmente alla rinascita dell'interesse per le dottrine atomiste nell'Europa del XVII secolo.
Con l'avvento del nuovo secolo, tuttavia, questa soggezione dinanzi al passato cominciò a essere messa
apertamente in discussione. Nella citazione che abbiamo da poco riportato, Bacon rifiuta il ritorno pedissequo
alla cultura dei Greci. Descartes, in modo ancora più radicale, contrappone il 'buon senso' alla cultura libresca.
In un celebre passo del Discours, afferma "che anche le scienze dei libri, quelle almeno fondate soltanto su
ragioni probabili e non dimostrate, essendosi formate e accresciute a poco a poco con le opinioni di molte e
differenti persone, non sono tanto vicine alla verità quanto i semplici ragionamenti che può fare naturalmente
un uomo di buon senso" (OF, I, p. 506). La soluzione adottata da Descartes fu semplicemente quella di
rivolgersi verso il mondo e verso sé stesso per cercare di comprendere la realtà delle cose.
Gli scritti di Galilei sono altrettanto indicativi di questa nuova mentalità: nel Dialogo sopra i due massimi
sistemi del mondo (1632), il personaggio di Simplicio, che incarna l'aristotelismo dogmatico, è continuamente
messo in ridicolo per la sua deferenza verso Aristotele, a cui si oppongono le argomentazioni di Salviati
(portavoce di Galilei), fondate sull'esperienza e sulla ragione, e l'atteggiamento aperto e ragionevole di
Sagredo. La lezione che si ricava dal Dialogo è chiara: nel nuovo mondo del XVII sec., la storia e l'autorità
contano poco o nulla.
Verso la fine del Seicento, la Francia letteraria rimase a lungo invischiata nella cosiddetta 'querelle des
Anciens et des Modernes', in cui erano messi a confronto i meriti letterari degli Antichi e quelli dei Moderni.
Ma in campo scientifico l'argomento era già stato chiuso molti anni prima. Alla fine del secolo, nessun
membro rispettabile della Repubblica delle Lettere avrebbe osato mettere in dubbio la superiorità delle scienze
naturali e matematiche moderne.
4. La matematica e il mondo naturale
Cosa pensasse effettivamente Aristotele dei rapporti tra matematica e mondo naturale è ancora oggetto di
opinioni piuttosto discordanti. Tuttavia, qualunque fosse la sua opinione, è certo che la matematica non
svolgeva un ruolo fondamentale nella filosofia naturale del tardo periodo scolastico. Come abbiamo già visto,
infatti, la filosofia naturale propriamente detta trattava i corpi da un punto di vista esclusivamente qualitativo,
in termini di unione di materia e di forma, di elementi, delle loro mescolanze e della formazione di sostanze
composte e così via. Questo non significa tuttavia che non esistessero scienze matematiche incaricate dello
studio dei fenomeni naturali. Nella tarda Scolastica, un certo numero di discipline, connesse tanto con la
matematica quanto con la fisica, furono riunite nella categoria della matematica mista o delle 'scienze
intermedie'. Nella voce dedicata alla matematica del Lexicon philosophicum (1613) di Goclenius (Rudolph
Göckel), si legge che esistono tre generi di matematica. In senso generale, 'matematica' significa disciplina,
dottrina, precetti; in senso secondario, significa geometria o aritmetica. Ma il terzo significato è il più
interessante. Egli afferma infatti che "per matematica non si intende solo aritmetica e geometria, ma anche
astronomia, ottica, musica, meccanica" (p. 672).
Occorre tuttavia tenere chiaramente presente la distinzione tra filosofia naturale vera e propria e scienze
intermedie. In linea generale, la prima si occupava delle cause ultime dei fenomeni naturali, in termini di
materia, forma e privazione. Il compito delle scienze intermedie era invece, solitamente, quello di spiegare i
fenomeni, cioè i risultati prodotti da quelle cause, in termini matematici. Particolarmente interessante a tale
proposito (e ricco di implicazioni per i radicali cambiamenti intervenuti nel XVII sec.) è lo status della
meccanica e il suo rapporto con la fisica. La filosofia naturale si occupava delle cose naturali in quanto tali, ne
indagava le essenze e ricercava le vere cause dei fenomeni naturali, ma le cose in Natura non si comportano
sempre nel modo che noi vorremmo. È qui che entra in gioco la meccanica. Le macchine non sono oggetti
naturali, ma artefatti: cose costruite dall'uomo per eseguire determinate operazioni di cui ha bisogno. La
meccanica è la scienza che studia le macchine. Nella Mechanica, un corpus di scritti attribuiti ad Aristotele nel
XVI sec. e da allora ampiamente letti e commentati, è descritta la situazione in questi termini: "La nostra
meraviglia si accende, in primo luogo, di fronte a quei fenomeni che accadono secondo Natura, ma dei quali
non conosciamo la causa; e in secondo luogo da quelli prodotti da qualche arte contraria alla Natura e a
beneficio dell'umanità. La Natura spesso opera in modo contrario all'interesse umano, poiché essa segue
sempre il suo corso senza deviazioni, mentre l'interesse umano cambia continuamente. E dunque, quando si
deve fare qualcosa di contrario alla Natura ci troviamo in difficoltà e dobbiamo chiamare in nostro aiuto
un'arte che chiamiamo 'meccanica'" (847a 10f).
La meccanica si occupava degli oggetti artificiali, ossia degli oggetti naturali trasformati in congegni a nostro
uso e consumo. In questo senso era un supplemento alla fisica, dato che tra i suoi oggetti vi erano cose di cui
la fisica non si occupava, cioè le cose artificiali, le macchine. A sua volta, la fisica era indispensabile alla
meccanica. Ovviamente, le macchine erano fabbricate con materiali naturali (legno, metallo, corde, ecc.)
dotati di specifiche proprietà. La meccanica si serviva di queste proprietà per studiare il funzionamento delle
macchine. Così, per esempio, la pesantezza giocava un ruolo determinante nella spiegazione del
funzionamento delle macchine semplici (come, per esempio, la leva e la vite), che utilizzavano tutte la forza
umana o animale per vincere gli effetti naturali della pesantezza e consentivano di sollevare le cose in diversi
modi. I trattati di meccanica partivano sempre dal presupposto che si avesse a che fare con corpi dotati di
pesantezza e quindi con la tendenza a cadere verso il centro della Terra. Il problema della causa della
pesantezza e della caduta libera dei gravi esulava dal campo della meccanica e riguardava esclusivamente la
fisica. La pesantezza rappresentava quindi per la meccanica un presupposto soltanto preso in prestito da una
scienza distinta, la fisica.
Nel XVI sec., la matematica e la filosofia naturale erano discipline molto differenti, appartenenti a mondi
completamente diversi. Questa situazione era però destinata a mutare radicalmente nel corso del secolo
successivo. Nel 1610, sull'onda del successo del Sidereus nuncius, Galilei fu invitato a entrare a far parte della
corte fiorentina di Cosimo II de' Medici. Date le sue esperienze nei campi dell'ottica, dell'astronomia e della
meccanica, l'incarico più naturale sarebbe stato quello di matematico del granduca. Galilei tuttavia si oppose e
scrisse a Belisario Vinta, segretario di Stato di Cosimo, quanto segue: "Finalmente, quanto al titolo et pretesto
del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico, che S[ua] A[ltezza] vi aggiugnesse quello di
Filosofo, professando io di havere studiato più anni in filosofia, che mesi in mathematica pura: nella quale qual
profitto io habbia fatto, et se io possa et deva peritar questo titolo, potrò far vedere a loro A[ltezze], qual volta
sia di loro piacimento il concedermi campo di poterne trattare alla presenza loro con i più stimati in tal
facoltà" (EN, X, p. 353).
Galilei non era il solo a pensare che esistessero importanti legami tra la fisica e la matematica. Descartes, per
esempio, considerava gli studi di Isaac Beeckman un deciso passo in avanti verso l'unificazione delle due
discipline. Gli scritti di Beeckman apparvero poco dopo la sua morte con il titolo Mathematico-physicarum
meditationum, quaestionum, solutionum centuria (1644). Nello stesso anno, Mersenne pubblicò un libro con
un titolo molto simile, Cogitata physico-mathematica. Anche Descartes tentò in un certo senso di unire la
fisica alla matematica, in una prospettiva ancora più ambiziosa di quella di Beeckman e perfino di quella di
Galilei. Secondo Descartes, infatti, tutto ciò che esisteva doveva essere studiato e compreso esattamente allo
stesso modo in cui si studiavano e si comprendevano le macchine. Così scriveva nei suoi Principia
philosophiae:
A tal fine non poco mi hanno aiutato le cose costruite dall'arte [dell'uomo], infatti, tra queste e i corpi naturali
non conosco altra differenza se non che le operazioni per costruire gli artefatti sono perlopiù compiute con
strumenti tanto grandi da poter essere facilmente percepiti dai sensi: ciò infatti si richiede perché possano
essere costruite dagli uomini. Al contrario, gli effetti naturali dipendono quasi sempre da alcuni organi tanto
minuti che sfuggono a ogni senso. (OF, II, p. 387)
Non è quindi affatto sorprendente che egli scrivesse a un suo corrispondente di pensare che "tutta la mia fisica
non sia altro che una meccanica" (AT, II, p. 542). Benché la matematica svolga un ruolo piuttosto limitato
nelle opere di fisica pubblicate da Descartes, la sua classificazione della fisica come branca specifica della
matematica è tutt'altro che irrilevante. Anche per Thomas Hobbes la fisica era virtualmente identica alla
matematica, né vi era alcuna differenza tra l'oggetto dell'una e dell'altra. Di conseguenza, il moto fisico era
affrontato in modo sostanzialmente identico a quello geometrico, ossia a partire dal moto dei punti, delle linee
e delle superfici, che consente di costruire le diverse figure geometriche, e la geometria non era altro che la
manipolazione immaginaria dei corpi. In un'opera più tarda, Elementorum philosophiae sectio secunda de
homine (1658), Hobbes scriveva:
E poiché nelle cose naturali che nascono dal moto non è possibile neppure procedere con un ragionamento a
posteriori, senza la cognizione di ciò che consegue ad una qualunque specie di moto, e non è possibile
giungere alle conseguenze dei moti senza la cognizione della quantità, che è la geometria, non può accadere
che certe cose non debbano essere dimostrate, con una dimostrazione a priori, anche dal fisico. Perciò la
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La Rivoluzione scientifica del XVII-XVIII sec. - Treccani

  • 1. www.treccani.it STORIA DELLA SCIENZA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA (XVII-XVIII SEC) INDICE La Rivoluzione scientifica. Introduzione MODELLI DI CONOSCENZA Prospettive storiche: l'aristotelismo e le nuove filosofie Cosmologie Le comete La diffusione della scienza europea Scienza e teologia LUOGHI E FORME DELLA CONOSCENZA Curiosità e studio della natura Arsenali, miniere e botteghe Gli strumenti scientifici Le accademie Osservatori, laboratori e orti botanici
  • 2. I cabinets I viaggi di scoperta e le osservazioni Ingegneria e macchine La comunicazione scientifica ed erudita Professioni liberali e professioni tecniche I PROTAGONISTI Christiaan Huygens Evangelista Torricelli Francis Bacon Galileo Galilei Gottfried Wilhelm Leibniz Isaac Newton Johannes Kepler Marcello Malpighi Robert Boyle Blaise Pascal René Descartes I DOMINI DELLA CONOSCENZA Corpi, materia e spazio La sintesi newtoniana L'aristotelismo e le sue alternative Meccanica e scienza del moto Qualità primarie e qualità secondarie
  • 3. La sostanza e il dogma dell’Eucaristia Esperimenti sul vuoto Pascal e l’horror vacui Alchimia I nuovi mondi della microscopia Anatomia Astrologia La nascita della matematica moderna: 1600-1700 Lo sviluppo della matematica di Apollonio: Desargues, Pascal… Diffusione e primi sviluppi del calcolo infinitesimale La nascita del calcolo delle probabilità Le innovazioni di Luca Valerio e di Bonaventura Cavalieri Galilei e la geometria del moto accelerato Ottica Harvey e la circolazione del sangue Il problema della generazione La medicina La musica La rivoluzione cartesiana e gli sviluppi della geometria Dalla Geometrie al calcolo: il problema delle tangenti... Le origini della neurofisiologia Le scienze della Terra Psicologia e pneumatologia Zoologia e botanica Collezionismo e viaggi scientifici
  • 4. La Rivoluzione scientifica. Introduzione Storia della Scienza (2002) di Daniel Garber La Rivoluzione scientifica All'inizio del XVII sec. quella che oggi comunemente chiamiamo 'scienza' non era identificabile con una singola area di indagine che avesse come oggetto lo studio sistematico della Natura e non esistevano termini con cui poter designare questo tipo di studio o coloro che vi si dedicavano, le persone che ai nostri giorni rispondono al nome di scienziati. Ciò non vuol dire che nessuno s'interessasse a oggetti di indagine che oggi consideriamo scientifici, quali per esempio le stelle, le piante, la traiettoria dei proietti i magneti e così via. Al contrario, l'interesse degli uomini per i fenomeni naturali risale praticamente all'inizio della storia, ma le categorie intellettuali di analisi del mondo naturale impiegate non corrispondono a quelle attuali. Inoltre, all'inizio del XVII sec. non esistevano scienziati 'di professione', né riviste specializzate o centri di ricerca. Ciononostante, si può legittimamente parlare di una 'storia della scienza' del XVII secolo. Se, a rigore, per gli inizi del XVII sec. non si può parlare di una 'scienza' modernamente intesa, quali discipline saranno prese in esame in un volume dedicato alla storia della scienza nell'età della Rivoluzione scientifica? In che modo si affrontava e si studiava la Natura in tale periodo? Se non esistevano 'scienziati', nell'accezione contemporanea del termine, chi erano i soggetti che si dedicavano allo studio della Natura? E dove operavano? Di quali istituzioni facevano parte? A questi interrogativi risponderanno in modo dettagliato i capitoli contenuti nel volume; tuttavia, prima di passare alle questioni particolari, può essere utile delineare una visione d'insieme, attraverso la quale capire in che modo gli uomini del Seicento abbiano dato forma a un'idea, oggi scontata, secondo la quale lo studio della Natura possiede un'unità e una coerenza tali da giustificare l'elaborazione di una nozione di scienza molto vicina a quella attuale. La 'scientia' e le scienze
  • 5. Per affrontare in modo corretto lo studio della storia della scienza del XVII sec. è importante sottolineare che al termine 'scienza' era attribuito un significato diverso da quello attuale. Il suo equivalente latino, la parola scientia, significava semplicemente 'conoscenza', anche se era impiegato in riferimento a una particolare forma di conoscenza, quella che implicava la certezza. Nell'autorevole Lexicon philosophicum, dato alle stampe nel 1613, Goclenius (Rudolph Göckel) presenta la scienza come "conoscenza acquisita attraverso la dimostrazione" (p. 1012). E non si tratta soltanto di una questione linguistica: all'inizio del XVII sec. non esisteva una categoria intellettuale che corrispondesse esattamente a quella cui oggi si dà il nome di scienza. Per chiarire questo punto, si può prendere in considerazione la geografia intellettuale delineata in un'opera di fondamentale importanza pubblicata all'inizio del Seicento, The two bookes of the proficience and advancement of learning, divine and humane (1605) di Francis Bacon. In questo testo, l'autore divide così la conoscenza: "Le parti della scienza umana si riferiscono alle tre parti dell'intelletto umano, che è sede della scienza: la storia alla memoria, la poesia all'immaginazione, e la filosofia alla ragione" (Scritti filosofici, p. 201). Qui prenderemo in esame solo i casi della storia e della filosofia, due discipline che riguardano da vicino la nostra analisi. Nella rielaborazione latina del testo, data alle stampe con il titolo di De dignitate et augmentis scientiarum (1623), Bacon definisce così la storia: La storia si occupa esclusivamente delle cose individuali che sono circoscritte nello spazio e nel tempo. E sebbene la storia naturale sembri trattare le specie, ciò accade, in molti casi, soltanto per la somiglianza che hanno l'una con l'altra le cose naturali comprese in una stessa specie; sicché, una volta conosciuta una di queste cose, sono conosciute anche tutte le altre. E quando si trovano individui che sono unici nella loro specie, come il Sole e la Luna, o che dalla loro specie si allontanano per una notevole dissimiglianza, come i mostri, è giusto trattare anche questi nella storia naturale; come nella storia civile si deve trattare degli uomini singoli. (Opere filosofiche, II, p. 87) Goclenius fornisce una definizione della storia molto vicina a quella di Bacon: "La storia è conoscenza, narrazione o descrizione di singoli fatti" (Lexicon, p. 626). D'altra parte, lo stesso Bacon nell'Advancement of learning menziona accanto alla storia naturale altri generi di storia, come la storia civile, la storia ecclesiastica e la storia letteraria, e divide la prima in tre parti: "La storia naturale è di tre tipi: storia della Natura nella sua costanza, della Natura nelle sue eccezioni e variazioni, e della Natura in quanto alterata o modificata; cioè la storia delle creature, la storia dei prodigi e la storia delle arti" (Scritti filosofici, p. 204). La storia della "Natura nella sua costanza" è semplicemente lo studio basato sull'osservazione delle cose ordinariamente riscontrabili in Natura, vale a dire la storia naturale nell'accezione comune del termine, lo studio delle piante e
  • 6. degli animali, dei corpi celesti, delle formazioni geologiche e così via. La storia della "Natura nelle sue eccezioni e variazioni" è lo studio dei mostri e delle meraviglie, per esempio, vitelli nati con due teste e altri fenomeni fuori dalla norma. La storia della "Natura in quanto alterata o modificata" riguarda lo studio delle macchine e dei congegni costruiti dall'uomo per raggiungere determinati obiettivi, così come lo studio sperimentale della Natura. Secondo Bacon, l'area di indagine della filosofia si distingue nettamente da quella della storia. Egli divide la filosofia in tre parti: la filosofia divina, che si occupa di Dio; la filosofia naturale, che studia la Natura; e la "filosofia umana" che ha come oggetto di indagine l'uomo. La "via principale e comune" di queste tre discipline è quella che Bacon chiama la "filosofia prima", una scienza che egli distingue nettamente dalla metafisica (ibidem, p. 220). La filosofia naturale, quella che ci riguarda più da vicino, è divisa a sua volta in due parti, "la ricerca delle cause e la produzione degli effetti, l'una speculativa e l'altra pratica, scienza naturale e prudenza naturale" (ibidem, p. 224). La parte operativa della filosofia naturale s'identifica con quella che l'autore chiama magia naturale propriamente intesa, vale a dire con "la sapienza naturale o prudenza naturale, secondo un'antica accezione, purificata da ogni vanità e superstizione" (ibidem). La filosofia naturale teorica, la ricerca cioè delle cause, è suddivisa in due parti, fisica e metafisica: "Infatti, come abbiamo diviso la filosofia generale nel suo complesso in ricerca delle cause e produzione di effetti, così suddivideremo la parte che riguarda la ricerca delle cause secondo la comune e retta distinzione delle cause stesse: una parte che è la fisica, indaga e tratta le cause materiali ed efficienti; l'altra, che è la metafisica, le cause finali e formali" (ibidem, p. 227). Di seguito Bacon riassume la sua divisione delle branche della conoscenza che hanno a che fare con la Natura: "La fisica, intesa secondo la sua etimologia e non, come avviene nella nostra lingua, come sinonimo di medicina, è situata a metà strada fra la storia naturale e la metafisica. Infatti, la storia naturale descrive la varietà delle cose; la fisica le cause, ma cause mutevoli o relative; e la metafisica le cause fisse e costanti" (ibidem). Bacon in questo caso era perfettamente consapevole di impiegare il termine 'metafisica' in un modo piuttosto singolare, ma la sua concezione della fisica o filosofia naturale, come disciplina che studia le cause che sono all'origine dei processi naturali, era decisamente ortodossa. Come affermò il gesuita Eustache de Saint-Paul nella Summa philosophiae quadripartita data alle stampe nel 1609 e destinata a una grande popolarità: "il filosofo della Natura spiega molti effetti della Natura attraverso le loro vere cause" (Physica, p. 3). La filosofia naturale, conosciuta anche sotto i nomi di fisica o fisiologia, studiava in primo luogo le verità generali concernenti le cose naturali (cioè, secondo l'accezione aristotelica, materia, forma, privazione, causa, ecc.) e in secondo luogo verità più specifiche riguardanti cose particolari, come il Cosmo nel suo insieme, gli elementi e
  • 7. la costituzione di generi individuali di corpi, inclusi tutti i generi di corpi viventi, le piante, gli animali e gli esseri umani. In questa accezione, vale a dire in senso tecnico, 'filosofia naturale' o 'fisica' erano i termini più vicini al moderno 'scienza' cui Bacon e i suoi contemporanei potessero ricorrere; ma si tratta soltanto di una corrispondenza parziale. Come abbiamo già osservato, la filosofia naturale era un'attività ben distinta dalla storia naturale, una disciplina che proponeva un modo diverso, non meno sistematico, di affrontare lo studio della Natura. Esisteva però anche un'altra disciplina che aveva a che fare con la Natura: la matematica. Nell'Advancement of learning, Bacon riconduce la matematica alla filosofia naturale, menzionandola, in modo piuttosto maldestro e sbrigativo tra le parti della metafisica. Una parte molto importante della matematica era rappresentata dalla disciplina che Bacon e i suoi contemporanei chiamavano matematica mista: La matematica è pura o mista. Alla matematica pura appartengono quelle scienze che trattano della quantità determinata semplicemente avulsa da ogni assioma della filosofia naturale. Tali scienze sono due, la geometria e l'aritmetica; l'una tratta la quantità continua, l'altra la quantità discontinua. La matematica mista ha per oggetto alcuni assiomi o parti della filosofia naturale, e considera la quantità determinata in quanto ad essi relativa e pertinente. Molte parti della Natura, infatti, non possono essere indagate con sufficiente sottigliezza, né dimostrate con sufficiente perspicuità, né adattate ad usi pratici con sufficiente facilità, senza l'intervento e ausilio della matematica: di tal sorta sono la prospettiva, la musica, l'astronomia, la cosmografia, l'architettura, l'ingegneria e molte altre cose. (Scritti filosofici, p. 233) In particolare, una delle discipline legate alle scienze matematiche, l''ingegneria' o meccanica, coincideva con una delle branche della storia naturale in precedenza menzionate, vale a dire la storia della Natura alterata o modificata, la storia delle arti o historia mechanica, che Bacon considerava la novità più radicale e fondamentale per la filosofia naturale, in quanto legata ad aspetti pratici e 'operativi', ovvero agli interventi umani volti al miglioramento delle condizioni di vita: Ma se la mia opinione vale qualcosa, la storia meccanica è fra tutte quella che ha una più radicata e fondamentale utilità per la filosofia naturale: per una filosofia naturale che non si dissolva nel fumo della speculazione sottile, sublime o dilettevole, ma che valga all'arricchimento e beneficio della vita umana. Non solo infatti dispenserà e suggerirà immediatamente a tutte le attività pratiche molti ingegnosi espedienti, mettendo in relazione e trasferendo le osservazioni di un'arte ai fini di un'altra, quando una stessa persona avrà
  • 8. sott'occhio gli esperimenti relativi a diversi punti oscuri; ma, oltre a ciò, getterà sulle cause e gli assiomi una luce più vera ed autentica di quanto non sia stata fin qui raggiunta. Infatti, come il carattere di un uomo non si rivela del tutto se non nelle contrarietà, e come Proteo che non mutava forma se non quando era immobilizzato e costretto, così i passaggi e i mutamenti della Natura non risultano tanto dalla Natura stessa allo stato libero, quanto dalle prove e vessazioni dell'arte. (ibidem, pp. 206-207) Bacon, tuttavia, osserva che contro le indagini che avevano come oggetto questo tipo di storia esistevano gravi pregiudizi: "Quanto alla storia della Natura modificata o meccanica, conosco repertori d'agricoltura, come pure di arti manuali, i quali però in genere escludevano le esperienze comuni e banali. Si reputa infatti una sorta di disonore il sapere abbassarsi alla ricerca o meditazione su questioni meccaniche, a meno che esse non siano tali da potersi ritenere segrete, rarità e sottigliezze particolari" (ibidem). In altre parole, Bacon intende sottolineare che i cultori delle scienze più elevate, come la filosofia naturale e la fisica, pensavano di occupare una posizione molto superiore a quella riservata ai meccanici e agli altri praticanti delle matematiche miste, a coloro cioè che si occupavano di questioni pratiche. Benché Bacon avesse ricondotto la matematica, pura e mista, alla filosofia naturale, la maggior parte dei suoi contemporanei riteneva che tra queste discipline non esistessero punti di contatto. Il frontespizio di un'importante opera di Niccolò Tartaglia, la Nova scientia (1537), presenta un'interessante rappresentazione simbolica delle relazioni che legavano le matematiche applicate alla fisica. In questa incisione sono raffigurate due cerchie di mura, una più alta dell'altra. All'ingresso della cinta inferiore, Euclide monta la guardia per vietare l'accesso a chiunque non conosca la geometria. Al suo interno, si scorge lo stesso Tartaglia, attorniato dalle figure dell'Aritmetica e della Geometria e dalle personificazioni di altre scienze matematiche, incluse l'Astronomia, l'Astrologia e la Musica. Entro questo livello sono contenute anche alcune raffigurazioni di cannoni e di palle da cannone che costituiscono il principale soggetto del libro. La recinzione più alta racchiude il campo della Filosofia, sorvegliato da Platone e da Aristotele, che essendo più elevato risulta di difficile accesso; nell'incisione del libro di Tartaglia, infatti, esso rimane completamente vuoto. In questa illustrazione è evidente che le due discipline sono ben distinte: la filosofia, che presumibilmente includeva la filosofia naturale, e quindi la fisica, è considerata una disciplina completamente diversa dalle scienze matematiche. I richiami di Bacon, che aveva messo in luce la necessità di individuare le connessioni esistenti tra il lavoro dei meccanici e quello dei fisici, tra la teoria e la pratica, erano espressione di un atteggiamento decisamente radicale: erano un'esortazione all'elaborazione di una nuova filosofia e non osservazioni della pratica intellettuale della sua epoca. Secondo Bacon, erano ben distinte dalla filosofia naturale anche le scienze che avevano come oggetto la mente o il corpo degli esseri umani. Benché il loro legame con la filosofia naturale fosse evidente, egli separava tali
  • 9. scienze, che a rigor di termini erano alla base della medicina, dalle altre parti della filosofia naturale, trattandole estesamente in una sezione a parte. Ancora una volta, Bacon tenta di stabilire una relazione tra le scienze dell'uomo e le diverse parti della filosofia naturale, ma anche in questo caso si tratta della descrizione di un programma di azione più che di una pratica consolidata. In queste diverse aree di indagine figuravano quindi molti temi oggi riuniti sotto il nome di scienza. Ma è importante osservare che, nonostante i legami individuabili tra queste diverse parti della scientia, all'inizio del XVII sec. esse non facevano parte di un progetto unificato, che attualmente potremmo definire 'scientifico', ossia non delimitavano, nel loro complesso, un'area generale di indagine della Natura, ma costituivano un insieme di progetti distinti. Benché tra loro esistessero connessioni che Bacon aveva sperato di estendere ulteriormente non vi era ancora un singolo termine o un concetto in grado di unificarle. Questa circostanza acquista una maggiore evidenza se si esamina l'intero contesto in cui è inserita l'organizzazione della conoscenza di Bacon. Nel presentare le concezioni di Bacon, mi sono dilungato sui brani dell'Advancement of learning che sembrano basarsi su una nozione moderna di scienza. Ma ciò ha richiesto un considerevole lavoro di rilettura del testo. È importante osservare che in questa opera la storia naturale è legata non alla filosofia naturale, ma ad altri tipi di storia, quella civile, ecclesiastica e letteraria; la stessa filosofia naturale è accostata ad altri tipi di scienze, come quella divina e quella umana; la scienza dell'uomo include non solo lo studio della mente e l'anatomia, ma anche la politica. Nella mappa della conoscenza delineata da Bacon quindi vi sono alcuni punti di riferimento che possono esserci familiari, ma nell'insieme essa appare molto diversa da quella attuale. Le persone e i luoghi Nel paragrafo precedente si è tracciato il profilo di alcune delle diverse categorie intellettuali in cui si era soliti dividere il sapere all'inizio del XVII secolo. Questa ripartizione non era solo il risultato di distinzioni di carattere intellettuale, ma rispecchiava la reale diversità delle posizioni di coloro che praticavano le differenti discipline e dei contesti in cui operavano. Il caso della filosofia naturale forse è il più facile da illustrare. Questa disciplina era inserita nel programma degli studi della Facoltà delle arti e quindi era uno degli insegnamenti impartiti a coloro che aspiravano a iscriversi alle facoltà di grado più elevato, vale a dire medicina, legge e teologia. Prenderemo in esame un caso emblematico, quello del programma formulato nella Ratio studiorum: si tratta di un vero e proprio ordine degli studi adottato nel 1599 nei collegi dei gesuiti, in cui sono indicate le regole organizzative che tutte le scuole
  • 10. sottoposte alla direzione della Compagnia dovevano rispettare. Secondo la Ratio studiorum, l'insegnamento della filosofia doveva aver luogo durante i primi tre anni del corso di laurea della Facoltà delle arti e alla lettura dei testi filosofici si dovevano riservare due ore al giorno, una prima di mezzogiorno e l'altra dopo. Il primo anno era interamente dedicato alla logica; nel secondo, gli studenti affrontavano la Fisica, il De caelo e l'inizio del De generatione et corruptione di Aristotele; nel terzo, ciò che rimaneva del De generatione et corruptione, il De anima e la Metafisica. I Meteorologica dovevano essere studiati durante l'estate tra il secondo e il terzo anno del corso. Nel complesso quindi all'insegnamento della filosofia naturale era riservato un anno e mezzo, vale a dire la metà circa del tempo destinato allo studio della filosofia nel suo insieme. In generale, gli insegnanti che tenevano questi corsi non erano filosofi, scienziati o fisici nel senso che oggi attribuiamo a questi termini: il loro ruolo era semplicemente quello di trasmettere un corpus dottrinale ai loro giovani allievi. Nella maggior parte dei casi, dopo aver insegnato all'interno delle Facoltà delle arti per cinque o al massimo dieci anni, questi insegnanti erano trasferiti nelle facoltà di grado superiore oppure lasciavano l'università per lavorare come predicatori, missionari o amministratori al servizio dei loro ordini. In generale, si può affermare che all'inizio del XVII sec. i collegi e le università non erano centri attivi di ricerca per quanto concerneva la filosofia naturale. In questo campo, le discussioni e i lavori di ricerca più originali furono svolti al di fuori delle università; ma, all'inizio del secolo, queste attività non si svolgevano in un unico luogo. A tale riguardo, vale l'esempio di Galileo Galilei, che al principio della sua carriera aveva insegnato la fisica aristotelica; tra i suoi manoscritti figurano diversi appunti probabilmente destinati ai corsi di fisica che teneva all'università oltre a quelli di matematica. Ma non appena ne ebbe l'opportunità, Galilei lasciò l'insegnamento per entrare al servizio del granduca di Toscana, in qualità di filosofo e matematico di corte. William Gilbert, autore del celebre De magnete, esercitava la professione medica a Londra. René Descartes, che con il suo meccanicismo aveva sfidato la filosofia naturale aristotelica, poteva contare su un modesto reddito personale e lavorava in completo isolamento in Olanda. Le sue idee furono introdotte nelle università olandesi quando era ancora in vita, ma è difficile in questo caso parlare di successo. Tale evento, infatti, diede origine a una serie di attacchi e controversie e, in definitiva, fu solo una fonte di guai per il filosofo francese. All'inizio del XVII sec., la matematica era studiata nei collegi e nelle università congiuntamente alla filosofia naturale. Tuttavia, è importante osservare che in generale queste materie erano insegnate da professori diversi, che non godevano della stessa considerazione. Nei collegi dei gesuiti, per esempio, durante il secondo e il terzo anno del corso di filosofia si dovevano riservare almeno due ore al giorno all'insegnamento della filosofia naturale e soltanto quarantacinque minuti a quello della matematica. Non fu facile assicurare
  • 11. l'applicazione di una disposizione che concedesse tale spazio a questa disciplina; infatti, i filosofi aristotelici più conservatori e alcuni membri della più importante istituzione accademica dell'Ordine dei gesuiti, il Collegio Romano, la criticarono aspramente e solo grazie alle pressioni di uno di essi, il matematico gesuita Cristoforo Clavio si finì per farla rispettare. La fantasiosa rappresentazione della separazione tra le due aree di indagine che appare nel frontespizio del libro di Tartaglia sembra riflettere fedelmente la prassi del tempo. Alcune recenti ricerche hanno messo in luce le differenze riscontrabili tra lo status sociale dei matematici e quello dei filosofi naturali alla fine del XVI secolo. La matematica era quasi sempre considerata una disciplina di carattere pratico, quella più strettamente legata alla meccanica, all'architettura militare e così via, e in genere la posizione sociale di coloro che la praticavano era decisamente meno elevata di quella dei filosofi naturali. Nelle università e nelle corti i filosofi erano più pagati e occupavano posizioni di maggior prestigio. Gran parte della carriera di Galilei può essere letta come un tentativo di elevare lo status dei matematici, in modo da assicurare loro una considerazione non inferiore a quella di cui godevano i filosofi. Nel corso degli anni questa situazione sarebbe cambiata, ma all'inizio del Seicento le due professioni erano ancora nettamente distinte. Esistevano tuttavia anche altre figure di intellettuali interessate da diversi punti di vista allo studio della Natura, per esempio gli alchimisti. Benché Bacon nel suo catalogo della conoscenza non riservi molto spazio alla loro disciplina, gli alchimisti rappresentavano una parte estremamente importante della comunità intellettuale dell'inizio del XVII secolo. In questo periodo le concezioni alchemiche erano assai diversificate ed è decisamente rischioso formulare generalizzazioni. L'alchimia era una disciplina teorica e al tempo stesso pratica poiché richiedeva sia la descrizione di almeno una parte dei processi del mondo naturale sia l'applicazione delle conoscenze così acquisite ai problemi pratici della trasformazione dei metalli vili in oro e argento. Inoltre, il suo campo di azione si estendeva a questioni che oggi definiremmo di ingegneria chimica e alla risoluzione di problemi legati al trattamento delle malattie. Secondo alcuni, la parte teorica dell'alchimia aveva a che fare solo con una parte della Natura, vale a dire con le misture o con i metalli. Ma per altri, l'alchimia si identificava con la scienza naturale stessa, era considerata cioè un'autentica filosofia della Natura che offriva una concezione dei fondamenti della scienza naturale alternativa a quella proposta dagli aristotelici, in quanto i filosofi chimici proponevano una diversa interpretazione delle categorie fondamentali e dei principî del mondo fisico. Gli alchimisti occupavano vari ruoli nella società; alcuni operavano nelle università e, in particolare, nelle Facoltà di medicina, altri, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, erano legati alle corti. Molti lavoravano in proprio come commercianti di prodotti chimici utilizzabili in campo medico o
  • 12. metallurgico e nei casi in cui non riuscivano a realizzare ciò che promettevano o si dedicavano alla contraffazione, correvano il rischio di essere trascinati davanti alle autorità giudiziarie. Un'altra comunità non meno importante interessata allo studio della Natura era quella medica. Tutti i medici, naturalmente, avevano frequentato la Facoltà delle arti e quindi conoscevano a fondo la filosofia naturale aristotelica. Solo dopo aver seguito i corsi di studio della Facoltà delle arti gli studenti che aspiravano a esercitare questa professione si iscrivevano alla Facoltà di medicina, dove studiavano le opere di Ippocrate e di Galeno, sostituite in alcuni casi da quelle di Paracelso e dei suoi seguaci, e apprendevano le arti mediche. Vi erano, inoltre, altre categorie di persone che si occupavano della cura del corpo, come i chirurghi e i farmacisti, che avevano corporazioni, modelli di formazione e centri di ricerca ben distinti da quelli dei medici, e la maggior parte dei quali infatti non lavorava nelle università all'interno delle Facoltà di medicina ma presso le corti, gli ospedali, le cliniche e i giardini botanici. Infine, vi erano gli studiosi di storia naturale. Bacon intendeva unificare la storia naturale e la filosofia naturale; secondo il suo disegno, la prima avrebbe dovuto servire da base alla seconda ma, almeno fino all'inizio del secolo, le due discipline erano ancora nettamente separate. In generale, in questo periodo la storia naturale era quasi del tutto assente dalle università ed era estranea agli interessi di coloro che si occupavano di filosofia naturale, indipendentemente dalla loro adesione ai vecchi principî aristotelici o alle nuove concezioni. La storia naturale era legata soprattutto ai viaggi di scoperta ‒ nel corso dei quali erano stati rinvenuti esemplari di piante, di animali e di minerali fino ad allora sconosciuti in Europa ‒, ai cabinets in cui si raccoglievano le meraviglie, creati per esibire questi nuovi oggetti della curiosità e ai giardini botanici e zoologici fondati per studiarli. In altre parole, all'alba del XVII sec. e per gran parte di esso, non esisteva un gruppo omogeneo di persone che rispondessero al nome di 'scienziati', né istituzioni che costituissero un punto di riferimento per tutti coloro che studiavano i fenomeni naturali. La filosofia naturale, quasi sempre considerata un'area di attività di competenza delle Facoltà delle arti delle università, non costituiva tanto un campo di ricerca (e tantomeno di ricerca sperimentale) quanto una parte del curriculum degli studenti di età compresa tra i dodici e i diciannove anni che aspiravano a iscriversi alle facoltà di grado più elevato. La medicina e le altre scienze che si occupavano del corpo umano, inclusa l'anatomia, erano insegnate presso le Facoltà di medicina, che erano completamente separate dalle Facoltà delle arti. All'interno delle Facoltà di medicina si studiava anche l'alchimia (per quanto riguardava la cura della salute), la botanica (per quanto aveva a che fare con la materia medica) e persino l'astrologia. Le arti matematiche erano insegnate in diversi contesti: nelle università, anche
  • 13. se solamente come materia sussidiaria della filosofia naturale, nelle corti e negli arsenali, per questioni più pratiche, di natura militare e civile, e nei luoghi di lavoro. La disciplina che oggi chiamiamo biologia era studiata in diversi tipi di giardini, realizzati allo scopo di effettuare ricerche mediche o biologiche e talvolta semplicemente per esibire le ricchezze acquisite con la conquista di nuovi territori. In certi casi le collezioni private e i cabinets di curiosità dei collezionisti furono utilizzati come strumenti di ricerca biologica. Benché non fossero del tutto prive di punti di contatto, queste attività spesso erano molto diverse e ben distinte tra loro: non c'era una sola categoria di analisi del mondo naturale ‒ che si voglia chiamarla 'scienza' o filosofia naturale ‒ e la gamma delle posizioni sociali dei cultori delle diverse discipline era molto ampia: tra questi ultimi figuravano infatti professori universitari, medici, alchimisti che lavoravano in proprio e gentiluomini dediti al collezionismo. C'è stata una Rivoluzione scientifica? Il periodo preso in esame in questo volume rientra in quel vasto processo storico abitualmente definito Rivoluzione scientifica. Gli storici della scienza hanno avanzato le tesi più diverse, sino al limite della stravaganza, riguardo all'importanza storica di tale processo. In un celebre brano, per esempio, Herbert Butterfield ha scritto che la Rivoluzione scientifica mette in ombra tutti gli avvenimenti successivi alla nascita del cristianesimo e riduce il Rinascimento e la Riforma al rango di semplici episodi, di semplici spostamenti interni al sistema della cristianità medievale. Dal momento che ha modificato il carattere delle abituali operazioni mentali dell'uomo persino nella conduzione delle scienze non materiali, trasformando, al tempo stesso, l'intera configurazione dell'universo fisico e la struttura della vita umana stessa, essa ha finito per coincidere con l'origine sia del mondo moderno sia della mentalità moderna, rendendo anacronistica e ingombrante la nostra abituale periodizzazione della storia europea. (Butterfield 1949, p. VIII) Non si può non riconoscere che il XVII sec. coincise con un periodo straordinariamente fecondo per la scienza. Persino coloro che vissero in questa epoca ne ebbero la percezione: figure come Bacon e Descartes erano certamente consapevoli della loro superiorità intellettuale e vollero far sapere ai contemporanei che il nuovo e straordinario orientamento da essi impresso alle scienze avrebbe consentito di acquisire una nuova e più profonda conoscenza della Natura, in netta discontinuità con quella del passato. Nel Discours de la méthode, per esempio, Descartes, dopo aver fatto professione di umiltà riconoscendo i suoi limiti, confessò
  • 14. senza alcuna modestia di aver scoperto una nuova filosofia naturale che avrebbe offerto all'umanità la chiave del dominio della Natura: Ma non appena acquistai alcune generali nozioni di Fisica e, utilizzatele per la soluzione di alcuni problemi particolari, ebbi modo di notare fino a che punto possono condurre e quanto differiscono dai principî di cui fino ad ora ci si è serviti, stimai che non avrei potuto tenerle nascoste senza peccare gravemente contro quella legge che ci impone, per quanto è in noi, di procurare il bene generale di tutta l'umanità. Esse mi hanno infatti mostrato che è possibile giungere a conoscenze molto utili per la vita e che, al posto di quella Filosofia speculativa che si insegna nelle scuole, se ne può trovar una pratica, mediante la quale, conoscendo il potere e gli effetti del fuoco, dell'acqua, dell'aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distintamente come conosciamo le tecniche di cui si servono i nostri artigiani. Potremmo utilizzare nello stesso modo quei corpi a tutti gli usi cui sono adatti e divenir così quasi padroni e possessori della Natura. (OF, I, pp. 541-542) Bacon si espresse in termini ancora più concreti di quelli impiegati da Descartes riguardo ai risultati che era lecito aspettarsi dalla sua nuova scienza. Nella New Atlantis (pubblicata postuma nel 1626), l'opera in cui aveva tracciato il profilo di una società utopistica fondata sulla sua concezione della scienza, Bacon descrive nei più minuti dettagli le innumerevoli scoperte effettuate dai membri dell'istituzione dedita alla ricerca, la Casa di Salomone, nonché le meraviglie tecnologiche da essi ideate, tra cui si trovano invenzioni che prefigurano moderni strumenti di comunicazione e di trasporto, l'applicazione di tecniche genetiche agli organismi vegetali e animali e così via. Ancora più significativo è il fatto che anche altri colsero l'importanza dei risultati conseguiti dalla nuova scienza. Nel 1668, il poeta inglese John Dryden scrisse: Non è forse evidente che in questi ultimi cento anni (ovvero da quando lo studio della filosofia ha destato l'interesse di tutti i 'virtuosi' della cristianità) ci si è rivelata una Natura quasi del tutto nuova? Che sono stati individuati più errori della Scuola, effettuati più esperimenti utili nel campo della filosofia, scoperti più nobili segreti nel campo dell'ottica, della medicina, dell'anatomia e dell'astronomia, che in tutte le credule e ossequienti età che ci dividono da Aristotele? È così vero che niente si diffonde più rapidamente della scienza, quando è correttamente e largamente coltivata. (Of dramatick poesie, XIV) L'idea del progresso compiuto dalla scienza nel XVII sec. divenne un luogo comune durante l'età dell'Illuminismo. Ciò traspare in modo molto chiaro dalle pagine dell'Encylopédie. Alla voce Expérimental, per esempio, d'Alembert narra la storia della nascita della nuova scienza, a cui attribuisce il nome di 'filosofia
  • 15. sperimentale', seguendo le tracce della sua affermazione che portano da Bacon e Descartes, a cui spettava il merito di aver rifiutato Aristotele e i suoi commentatori, all'Accademia del Cimento, a Robert Boyle, a Edme Mariotte e infine a Isaac Newton. Secondo d'Alembert, Newton aveva mostrato "come introdurre la geometria nella fisica, e come dar forma a quest'ultima riducendo gli esperimenti al calcolo, una scienza esatta, profonda, luminosa e nuova". L'autore quindi prosegue la sua analisi affermando che "una nuova generazione è venuta alla ribalta, dal momento che sono state gettate le fondamenta di una rivoluzione, quasi sempre le rivoluzioni sono portate a termine dalla generazione successiva" (p. 299). Nel Discours préliminaire dell'Encyclopédie, la storia della nascita della nuova scienza è descritta a grandi linee nello stesso modo, ma qui, oltre a menzionare Bacon, Descartes, Boyle, Mariotte e Newton, d'Alembert fa riferimento a Galilei, William Harvey, Christiaan Huygens, Nicolas Malebranche, Gottfried Wilhelm Leibniz, Thomas Sydenham, Herman Boerhaave e a "un'infinità di anatomisti e di fisici celebri". L'idea che intorno al XVII sec. sia avvenuta una Rivoluzione scientifica risale ai lavori pubblicati da Alexandre Koyré negli anni Trenta del XX secolo. Più precisamente, Koyré si richiamava a una trasformazione o 'discontinuità' del pensiero umano. Secondo la sua opinione lo studio della storia della scienza "rivela quale sforzo sovrumano [l'uomo] abbia pagato per ogni passo nel cammino della comprensione del reale, sforzo che perviene, talvolta, a una vera e propria trasformazione dell'intelletto umano, in virtù della quale concetti faticosamente 'inventati' dai più grandi geni, divengono non solo accessibili, ma anche facili, evidenti per gli scolari. Una tale trasformazione […] fu certo la Rivoluzione scientifica del secolo XVII, profondo mutamento intellettuale di cui la fisica moderna, o con più esattezza, la fisica classica, costituisce contemporaneamente l'espressione e il risultato tangibile" (Koyré 1979, p. 5). Quindi prosegue affermando che "questo atteggiamento intellettuale [è] stato il risultato di una trasformazione decisiva: si spiega in questo modo perché la scoperta di concetti che oggi ci sembrano puerili sia costata sforzi così lunghi ‒ e non tutti coronati dal successo ‒ ai più grandi geni dell'umanità, a un Galileo, a un Descartes. Non si trattava di combattere teorie erronee, ma di rivoluzionare i quadri dell'intelligenza stessa; di sconvolgere un atteggiamento intellettuale, assai naturale in definitiva, sostituendolo con un altro, che naturale non era" (ibidem, p. 9). Quando scrisse queste parole Koyré aveva in mente una discontinuità intellettuale ben definita. A suo parere, l'aspetto fondamentale di questo processo era costituito dal rifiuto della concezione aristotelica, vale a dire qualitativa, del mondo e dalla sua sostituzione con una concezione interamente matematizzata, che in alcuni casi attribuì ad Archimede e in altri a Platone. In un altro brano, Koyré lo descrisse come segue:
  • 16. Per la coscienza filosofica e scientifica dell'epoca […] la linea di divisione tra gli aristotelici e i platonici è molto netta: se si proclama il valore superiore delle matematiche, se, d'altra parte, si attribuisce loro un valore reale e una posizione dominante nella e per la fisica, si è platonici; se, al contrario, si vede nelle matematiche una scienza 'astratta', e per conseguenza di minor valore delle scienze ‒ fisica e metafisica ‒ che si occupano del reale, se, in particolare, si pretende di fondare la fisica direttamente sull'esperienza, non attribuendo alle matematiche che una funzione fiancheggiatrice, si è aristotelici. (ibidem, p. 286) La transizione dalla concezione aristotelica all'interpretazione matematica della Natura rappresenterebbe quindi una discontinuità decisiva nella storia del pensiero, chiudendo un'era e aprendone un'altra che vide la nascita della fisica classica. La definizione del contenuto della Rivoluzione scientifica offerta da Koyré non è stata condivisa da tutti. Ma l'idea di rivoluzione, che lo storico sostenne di aver ripreso dal filosofo della scienza francese Gaston Bachelard, ha esercitato una grande influenza. Per Koyré, e dopo di lui per Thomas Kuhn e per un'intera tradizione storiografica (e filosofica), si può parlare di rivoluzione quando si è in presenza di una radicale discontinuità nel pensiero umano. Di recente, alcuni storici hanno sfidato questa concezione, ormai divenuta tradizionale, del XVII sec. come periodo della Rivoluzione scientifica. Una delle più importanti riserve a tale concetto deriva proprio dalle differenze che intercorrono tra il nostro termine 'scienza' e il latino scientia. Ciò che più si avvicinava all'idea moderna di indagine scientifica era la filosofia naturale, la quale, tuttavia, rimaneva ben distinta dagli studi matematici, fossero essi 'puri', come l'aritmetica, la geometria e l'algebra, o 'applicati', come l'ottica, l'astronomia, l'astrologia, la musica e la meccanica. Non meno importanti erano l'alchimia che, come la filosofia naturale, studiava i corpi, anche se spesso in base a criteri completamenti diversi, e la tradizione medica che ancora una volta aveva a che fare con i corpi, anche in questo caso da un punto di vista completamente diverso da quello della filosofia. Né, infine, si possono dimenticare i collezionisti di curiosità, tra le quali figuravano esemplari di piante e di animali rari. Quella relativa alla nozione di scienza tuttavia non è la sola riserva mossa alla tradizionale concezione del XVII sec. come periodo della Rivoluzione scientifica. Come ha dimostrato Bernard Cohen, l'idea di rivoluzione nell'accezione moderna del termine ‒ di un processo cioè che determina un mutamento radicale e irreversibile nella sfera della politica o in quella del pensiero, in opposizione alla fase di un processo ciclico che in definitiva tende a ritornare al punto di partenza ‒ emerge solo verso la fine del XVII sec., se non più tardi.
  • 17. Così, nel periodo in cui si suppone abbia avuto luogo la parte più importante della Rivoluzione scientifica, non esistevano né il moderno concetto di scienza, né il moderno concetto di rivoluzione. Senza dubbio nel periodo compreso tra Niccolò Copernico e Immanuel Kant si verificarono mutamenti di estrema importanza di cui i contemporanei erano consapevoli ma, almeno fino alla fine del secolo, se qualcuno avesse impiegato l'espressione Rivoluzione scientifica per designare questo processo con ogni probabilità non sarebbe stato capito. La questione quindi è la seguente: si può sostenere che nel XVII sec. abbia avuto luogo una Rivoluzione scientifica? Probabilmente no, se con questa espressione si intende indicare una discontinuità radicale. L'idea stessa di tale discontinuità si è rivelata estremamente difficile da spiegare. Nella celebre monografia dedicata a questo tema, Thomas Kuhn (1962) ha descritto la struttura delle rivoluzioni scientifiche basandosi sulla nozione di incommensurabilità tra paradigmi concorrenti. Tuttavia, lo storico ha dedicato gran parte della sua successiva carriera al tentativo di spiegare l'esatto significato di questa nozione e a difenderla da aspre critiche. Alcune recenti ricerche inoltre hanno dimostrato che molte delle innovazioni elaborate dalla scienza del XVII sec. erano in gran parte fondate sull'opera di pensatori vissuti nel periodo precedente. Prenderemo in esame un caso emblematico, quello della matematizzazione della Natura, in cui Koyré vide una delle pietre miliari della Rivoluzione scientifica e che costituisce un esempio della svolta radicale segnata nel XVII sec. dal pensiero umano. Le spiegazioni offerte dalla fisica aristotelica erano nella maggior parte dei casi di carattere qualitativo. Nella concezione aristotelica, i corpi erano definiti in termini di materia e di forma: la materia era ciò che rimaneva costante nel mutamento e la forma era ciò che spiegava le proprietà essenziali dei corpi. Così, il fatto che la terra fosse fredda e tendesse a cadere verso il centro del mondo e il fuoco fosse caldo e tendesse a salire verso la sfera della Luna era spiegato dalle diverse forme che i due elementi possedevano. Secondo il meccanicismo, invece, tutte le proprietà manifeste dei corpi dovevano essere spiegate nei termini delle loro proprietà matematiche, cioè attraverso la dimensione, la forma e il movimento delle particelle, vale a dire nello stesso modo in cui si spiegava il modo di operare delle macchine. È possibile chiedersi se questo nuovo modo di guardare il mondo risultasse incomprensibile a quanti erano abituati a servirsi dei principî aristocratici. Tra la vecchia fisica qualitativa delle scuole e la nuova fisica matematica esisteva una discontinuità radicale? Descartes non lo credeva, e nei Principia philosophiae (1644) scrisse: In questo [trattato] non ho mai fatto ricorso a principî che non siano accettati da tutti: questa Filosofia non è nuova, ma è estremamente antica e comune.
  • 18. Tuttavia vorrei anche che si notasse che qui ho tentato di spiegare tutta la natura delle cose materiali, in modo da non usare assolutamente a tal fine alcun principio che non sia stato ammesso da Aristotele e da tutti gli altri Filosofi vissuti in tutti i tempi, cosicché tale Filosofia non è affatto nuova, ma la più antica e comune tra tutte. Infatti ho considerato le figure e i moti e le grandezze dei corpi e, secondo le leggi della Meccanica, confermate da esperienze certe e quotidiane, ho esaminato quel che deve seguire dall'incontro di questi corpi. Chi d'altra parte ha mai dubitato che i corpi si muovano e abbiano diverse dimensioni e figure e che, a seconda della loro diversità, anche i loro moti si differenzino? [E chi ha mai dubitato] che, scontrandosi l'uno con l'altro, i corpi più grandi si dividano in molti più piccoli e mutino figura? (OF, II, pp. 384-385) Descartes si basa sul fatto che gli aristotelici riconoscevano le scienze matematiche che studiavano alcuni settori del mondo naturale. In particolare, essi ritenevano valida la scienza della meccanica, attraverso la quale era spiegabile il modo di operare delle macchine in termini matematici e che, come scienza delle cose artificiali, poteva coesistere con la fisica, la scienza dei corpi naturali. Benché accettassero a grandi linee il metodo di spiegazione fondato sulla dimensione, la forma e il movimento in questa specifica area di indagine, i cultori della meccanica aristotelica avrebbero certamente escluso la possibilità di applicare tale metodo a tutti i fenomeni naturali, così come Descartes avrebbe negato che alcuni fenomeni naturali fossero spiegabili in termini di forme sostanziali e materia prima. Tuttavia, per rendere accettabile agli aristotelici il suo programma Descartes fece appello a una comune area di intelligibilità. Un aristotelico avrebbe decisamente rifiutato la tesi secondo cui tutto è spiegabile in termini meccanici, ma non avrebbe potuto sostenere di non comprenderla. Più in generale, si può dire che la nuova fisica matematica emersa nel XVII sec. non costituiva una radicale discontinuità rispetto ai parametri esplicativi preesistenti, ma era il risultato dalla nuova posizione assunta dalla matematica applicata, collocata non più ai margini ma al centro della fisica. Gli esempi che riguardano altre aree di indagine potrebbero moltiplicarsi: l'astronomia copernicana può essere presentata come il risultato del perfezionamento tecnico delle idee precedenti effettuato all'interno della comunità degli astronomi; la moderna teoria del movimento, fondata sul cosiddetto 'principio di inerzia', e il nuovo calcolo infinitesimale possono essere considerati sviluppi del pensiero di Archimede e di Euclide e così via. È molto difficile ravvisare le radicali discontinuità di pensiero, le fratture dell'intelligibilità che tanto per Koyré quanto per Kuhn definiscono le rivoluzioni scientifiche. Ciò non equivale a negare che nel XVII sec. siano state introdotte innovazioni originali: questo secolo coincise con un periodo di nuove scoperte e di straordinarie novità concettuali. Per esempio, la matematica mista registrò un rapido cambiamento di statuto e assunse una posizione centrale nell'ambito delle scienze fisiche,
  • 19. sostituendo praticamente la filosofia naturale, così come era concepita nel periodo precedente, e dando forma alla fisica matematica così come la conosciamo oggi. Questo processo fu strettamente connesso al rifiuto della spiegazione aristotelica dei corpi in termini di materia e di forma e alla sua sostituzione con un modello esplicativo meccanicistico. È importante osservare che il modello meccanicistico fu esteso alle scienze della vita: i corpi viventi iniziarono a essere concepiti come macchine particolarmente complesse che potevano essere studiate negli stessi termini in cui si analizzavano i corpi inanimati. Nel corso di questo secolo, inoltre, furono effettuate importanti scoperte e formulati nuovi programmi nel campo della matematica; ricorderemo qui l'invenzione della disciplina che sarà in seguito definita geometria analitica (nata dalla combinazione di elementi di geometria e di algebra) e quella del calcolo differenziale e integrale, così come la definizione del ramo della matematica che avrebbe acquisito la denominazione di teoria della probabilità e della scienza oggi nota con il nome di statistica. Tuttavia il XVII sec. si distinse anche per l'accumularsi di una grande quantità di conoscenze empiriche relative al mondo naturale. I viaggi di scoperta consentirono di acquisire nuove conoscenze geografiche e di studiare piante, animali e popolazioni che vivevano in altre regioni del mondo. I nuovi strumenti, come il cannocchiale e il microscopio, rivelarono mondi costituiti da minuscoli esseri viventi e corpi celesti di cui fino ad allora non si era neppure sospettata l'esistenza. Gli apparati sperimentali di recente invenzione, per esempio la pompa pneumatica, consentirono agli sperimentatori di creare fenomeni che non si verificavano in Natura. La raccolta sistematica dei dati fu accompagnata dall'emergere di un nuovo spirito empirico, di una concezione dell'impresa scientifica che attribuiva una grande importanza, se non una posizione di primo piano, all'osservazione e alla sperimentazione nel processo di acquisizione della conoscenza. Questi sviluppi furono decisivi e sarebbero in sé sufficienti a giustificare l'attenzione con cui gli storici della scienza hanno studiato il XVII secolo. Forse non costituiscono una vera e propria Rivoluzione scientifica nel senso che Koyré e Kuhn hanno attribuito a questa espressione ma, considerati nel loro insieme, sono decisamente straordinari e rappresentano una fase di espansione senza precedenti dell'attività scientifica che diede inizio a un processo di trasformazione delle scienze che non si è ancora concluso. Inoltre è importante osservare che in questo periodo si verificò anche un altro mutamento, anche se meno evidente; ci riferiamo alla riorganizzazione e all'unificazione delle diverse discipline che si occupavano dello studio del mondo naturale. Si è già accennato al modo in cui la matematica mista finì per assumere il ruolo in precedenza svolto dalla fisica, o filosofia naturale, nella sfera intellettuale. All'inizio del secolo, la matematica e la filosofia naturale (cioè la fisica) erano aree di indagine separate. Nel 1687, nel dare alle stampe la sua
  • 20. grande opera, Newton decise di intitolarla Philosophiae naturalis principia mathematica, legando così strettamente le due discipline. All'inizio del secolo un tale titolo sarebbe stato praticamente inintelligibile, ma alla fine del Seicento esso esprimeva una concessione quasi scontata. Nel corso del XVII sec., si formò un legame tra scientia e historia, tra filosofia naturale e storia naturale, due discipline che, come abbiamo già osservato, costituivano l'altra grande dicotomia del sapere. In questo caso, la figura chiave è ancora quella di Bacon e l'opera risolutiva è il Novum organum (1620), un testo destinato a esercitare una profonda influenza, in cui il filosofo descrisse un nuovo metodo che avrebbe consentito di rendere accessibili i segreti della Natura. In questa opera Bacon si proponeva soprattutto di formulare un programma di filosofia naturale che consentisse di giungere alla determinazione delle forme che erano all'origine dei fenomeni e quindi di spiegare come si producono le qualità sensibili. Nella seconda parte del Novum organum, per esempio, chiarisce come individuare la forma del calore che, a suo parere, corrisponde a un certo tipo di movimento; ma il metodo qui presentato dal filosofo si basa sull'osservazione di particolari eventi e organismi. Bacon spiega come elaborare tavole di dati ricavati da osservazioni di eventi e organismi individuali di diverso genere ed è mediante l'esame sistematico di questo tipo di osservazioni che, a suo avviso, si scoprono le verità generali della filosofia naturale; quindi, è attraverso la storia naturale che si giunge alla filosofia della Natura. Bacon lega tra loro la storia e la filosofia, così come Descartes, Thomas Hobbes e Newton avevano cercato di stabilire un legame tra la matematica e la fisica. Nel 1690 il programma di cui Bacon aveva intrapreso la realizzazione è riproposto in An essay concerning humane understanding di John Locke, dove si legge: Questa maniera di procurarci ed accrescere la nostra conoscenza delle sostanze solo mediante l'esperienza e la storia, che è tutto ciò che la debolezza delle nostre facoltà, in questo stato di mediocrità in cui ci troviamo in questo mondo, possa mai raggiungere, mi fa sospettare che la filosofia naturale non sia suscettibile di venir portata ad essere una scienza. Suppongo che si possa ottenere una conoscenza generale molto limitata per ciò che riguarda le specie dei corpi, e le loro diverse proprietà. Possiamo fare esperimenti e osservazioni storiche da cui possiamo trarre vantaggi per il benessere e la salute, e in tal modo accrescere il patrimonio dei comodi di questa vita; ma temo che, oltre questo, i nostri talenti non giungano, né, se non arguisco male, possano progredire le nostre facoltà. (ed. Pelizzi-Farina, II, p. 733) Locke non credeva nella possibilità di elaborare un'autentica scienza dei corpi nel senso classico dell'espressione, vale a dire una scienza deduttiva, certa e fondata sui principî primi e si schierò a favore della filosofia naturale baconiana che si fondava sulla storia naturale, sulla conoscenza cioè di eventi e organismi
  • 21. individuali. Anche in questo caso, si stabilisce un legame tra le due categorie, fino ad allora rimaste ben distinte tra loro. L'unificazione del campo della scienza non fu soltanto il risultato di mutazioni di carattere intellettuale, della creazione cioè di un legame tra la filosofia naturale, la matematica e la storia naturale. Tali trasformazioni intellettuali erano connesse anche a una trasformazione istituzionale estremamente importante: la fondazione di accademie e di riviste scientifiche che furono luoghi comuni di discussione delle indagini sulla Natura. All'inizio del XVII sec., le attività scientifiche si svolgevano in diverse sedi. Le università non erano centri di ricerca, ma soltanto luoghi di insegnamento; gli studenti che seguivano i corsi di studio della Facoltà delle arti non erano studenti universitari nel senso moderno dell'espressione: nella maggior parte dei casi, infatti, avevano un'età compresa tra i dodici e i diciannove anni. Le università assomigliavano più a quelli che oggi chiamiamo licei (scuole superiori o ginnasi) e in esse, inoltre l'insegnamento della filosofia naturale aristotelica, soltanto di rado era integrato da qualche nozione di matematica. In Francia, il Collège Royal impartiva una gamma più ampia di insegnamenti e verso la fine degli anni Quaranta del XVII sec. accolse alcuni studiosi di matematica (in particolare, di matematica mista) ‒ tra cui ricorderemo Gilles Personne de Roberval e Pierre Gassendi ‒ così come un certo numero di astronomi. Vi erano inoltre le accademie informali e private. In Italia si distingueva l'Accademia del Cimento, un'accademia privata di carattere sperimentale; a Parigi operava anche il circolo di dotti ed eruditi coordinato da Marin Mersenne, la cosidetta 'Academia Parisiensis', tra i cui membri figuravano Hobbes, Roberval, Gassendi, Étienne e Blaise Pascal e molti altri personaggi legati da rapporti di amicizia che si incontravano con regolarità prevalentemente nel convento dei minimi francescani situato nei pressi della Place Royale per discutere le nuove idee. Il Jardin du Roi di Parigi serviva da luogo di incontro degli alchimisti. Ma in questo periodo non vi era ancora nessuna struttura paragonabile a quelle che oggi sono le istituzioni scientifiche. Nel 1626, poco dopo la morte di Bacon, gli amici del filosofo decisero di dare alle stampe la New Atlantis, in cui Bacon aveva descritto un nuovo tipo di istituzione, la Casa di Salomone, un'organizzazione finanziata dal governo il cui scopo era quello di condurre vari tipi di ricerche sul mondo naturale. La struttura organizzativa della Casa di Salomone riflette il concetto di indagine esposto dal filosofo nel Novum organum; i suoi membri, infatti, svolgono vari compiti: alcuni devono occuparsi della raccolta delle osservazioni, altri dell'esecuzione degli esperimenti, altri ancora di trarre conclusioni generali da tali esperimenti e di tradurre le conoscenze teoriche in risultati pratici utili alla società. Per riprendere le parole impiegate da uno dei membri
  • 22. della Casa di Salomone: "Lo scopo della nostra fondazione è quello di giungere alla conoscenza delle cause e dei movimenti segreti delle cose; di estendere i confini dell'impero umano fino alla realizzazione di ogni cosa possibile" (Scritti filosofici, p. 863). Il campo di azione della Casa di Salomone includeva ogni tipo di indagine 'scientifica': la storia naturale, la biologia, l'anatomia, la medicina, la meccanica e la fisica, riunite sotto lo stesso tetto e quindi dotate di una comune identità. In seguito, a Londra e a Parigi furono create istituzioni con la medesima ispirazione, quali la Royal Society (fondata nel 1660) e l'Académie des Sciences (fondata nel 1666) che furono imitate in tutte le regioni europee, tanto nelle grandi città quanto nelle cittadine di provincia che aspiravano ad acquisire un maggiore prestigio. Dell'Académie des Sciences entrarono a far parte alcuni dei più illustri matematici del tempo, tra cui Christiaan Huygens, Pierre de Carcavi e Gian Domenico Cassini, così come celebri studiosi di storia naturale, come Claude Perrault. L'Académie di Parigi non si limitò a intervenire autorevolmente nelle discussioni su temi matematici, per esempio quelle che avevano come oggetto le scoperte astronomiche di Cassini e le ricerche sul movimento e la meccanica di Huygens, ma curò anche la pubblicazione di due opere monumentali, i Mémoires pour servir à l'histoire naturelle des animaux (1671-1676) e i Mémoires pour servir à l'histoire naturelle des plantes (1676). Un grande spirito di cooperazione regnava nell'Académie, tanto che gli astronomi assistevano alle dissezioni anatomiche e le commentavano. La cerchia dei membri della Royal Society era più ampia di quella dell'Académie e al suo interno gli aristocratici, e quindi gli appassionati 'virtuosi', erano più numerosi, mentre erano meno rappresentate le professioni scientifiche emergenti. Tuttavia, gli interessi dei suoi membri non erano meno vasti di quelli dell'istituzione parigina. Nel 1665, la Royal Society diede alle stampe la monumentale Micrographia di Robert Hooke, in cui erano descritte le indagini condotte dallo studioso con il microscopio e nel 1687 finanziò la pubblicazione dei Principia di Newton, che segnarono la nascita della fisica matematica. Una notevole varietà di interessi è testimoniata anche dalla rivista della società, "The Philosophical Transactions of the Royal Society of London", che sin dal primo periodo della pubblicazione diede spazio a un'ampia gamma di materiali. Nei primi numeri, per esempio, si trovano registrazioni di osservazioni astronomiche, resoconti di esperimenti ottici e altre discussioni di temi matematici, ma anche le recensioni alla Micrographia di Hooke e alla Natural history of cold di Boyle nonché descrizioni di nascite di esseri mostruosi e altre analisi di temi di storia naturale. Questa eterogeneità di argomenti rimase una costante nella storia delle "Philosophical Transactions".
  • 23. Nel Seicento, non era facile far circolare le proprie idee; si poteva, naturalmente, dare alle stampe un libro, se si avevano a disposizione i mezzi necessari o se si riusciva a convincere un libraio della convenienza dell'impresa. Altrimenti era possibile pubblicare un pamphlet o un manifesto e affiggerlo in un luogo pubblico. A Parigi, per esempio, chi voleva far conoscere il proprio pensiero di frequente ricorreva ai muri del Pont Neuf. Molto spesso le idee circolavano per via epistolare, in quanto le lettere non erano solo una forma di comunicazione privata: Mersenne, che era maestro in questo tipo di corrispondenza, scriveva a Descartes per sottoporgli le questioni sollevate dai membri della sua cerchia, quindi ne riproduceva la risposta in numerose copie per poi distribuirle a tutti gli interessati che, a loro volta, potevano replicare alle asserzioni del filosofo. In taluni casi queste raccolte di lettere furono date alle stampe e in certe occasioni Mersenne pubblicò nelle sue opere alcuni brani che riteneva particolarmente interessanti, come nei Cogitata physico-mathematica (1644), dove l'autore presenta le idee di Descartes, Hobbes e Roberval. Ma negli anni Sessanta del XVII sec. emerse un'altra forma di comunicazione radicalmente nuova, quella delle riviste. Il primo numero delle "Philosophical Transactions" fu pubblicato nel 1665 e nello stesso anno a Parigi apparve un'altra rivista, il "Journal des Sçavants". Nel 1682, a Lipsia, iniziò la pubblicazione degli "Acta Eruditorum", molto vicini a Leibniz, tanto che sulle sue pagine fu pubblicato il primo resoconto dell'invenzione del calcolo infinitesimale; nel 1684 infine fu dato alle stampe il primo numero delle "Nouvelles de la République des Lettres". A eccezione delle "Philosophical Transactions", nessuna di queste riviste però può essere definita una pubblicazione scientifica nel senso rigoroso del termine. Oltre a materiali di matematica e di storia naturale, infatti, esse davano alle stampe comunicazioni teologiche e storiche, così come notizie di attualità e di carattere letterario; ma le loro pagine ospitarono le prime formulazioni di quella che il XVIII sec. avrebbe chiamato nuova scienza. Così, si può dire che tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII sec. emerse una nuova istituzione, una comunità di praticanti indipendente dalle università e dalla Chiesa e raccolte intorno a riviste e società, che accoglieva figure che all'inizio del secolo erano ancora del tutto eterogenee, offrendo loro una dimora e soprattutto un'identità. In tal modo le differenti discipline che si occupavano della Natura finirono con il confluire, dando forma a quello che appariva sempre più come un unico campo di indagine, a cui più tardi fu attribuito il nome di 'scienza'. La creazione della scienza come attività intellettuale e istituzionale fu accompagnata dall'approfondimento della distinzione tra la filosofia nel significato moderno del termine e quelle che sarebbero state chiamate le scienze. All'inizio del XVII sec., i termini 'filosofia' e 'scienza' erano praticamente sinonimi; entrambi, infatti, indicavano la conoscenza in senso stretto, cioè certa, generale e fondata sullo studio delle cause. Ma alla fine
  • 24. del secolo, si approfondì la distinzione tra lo studio empirico e matematico della Natura e un altro modo di contribuire allo sviluppo della conoscenza. In un celebre brano di An essay concerning humane understanding Locke scrisse: Non mancano presentemente nella Repubblica delle Lettere dei famosi architetti che, nei grandi disegni che si propongono per l'avanzamento delle scienze, lasceranno monumenti destinati all'ammirazione della posterità; ma non tutti possono sperare di essere un Boyle o un Sydenham. E in un secolo che produce maestri quali l'illustre Huygens e l'incomparabile Newton, oltre qualcun altro della stessa levatura, è già un'ambizione sufficiente quella di impiegarsi in qualità di semplice operaio a sgombrare e ripulire un po' di terreno, e a gettar da parte un poco dei detriti che s'incontrano sul cammino della conoscenza. (ed. Pelizzi-Farina, I, p.11) Nel XVIII sec., i lettori di questo celebre testo pensarono che l'autore avesse operato una netta distinzione tra la filosofia e la scienza. È interessante osservare il modo in cui d'Alembert definisce l'opera di Locke e Newton nel suo Discours préliminaire dell'Encyclopédie. Come abbiamo già notato, per d'Alembert, Newton rappresentava il culmine della storia della Rivoluzione scientifica, poiché era colui che aveva "conferito alla filosofia la forma che, a quanto sembra, doveva avere" (p. XXVI). D'Alembert tuttavia osserva che se Newton era stato un grande fisico, secondo il parere di molti, non eccelleva però nella metafisica. È qui che entra in scena Locke: "Ciò che Newton non ha osato fare o non ha potuto fare, è stato intrapreso con successo da Locke. Si può dire che egli abbia creato la metafisica così come Newton ha creato la fisica" (p. XXVII). Verso la metà del Settecento, con la separazione della scienza dalla filosofia, si definisce una situazione che assomiglia un po' di più al moderno panorama intellettuale, in cui il campo della scienza, ossia lo studio della Natura, non si confonde più con quello della filosofia. Il XVII sec. ha visto nell'ambito delle diverse aree dello studio della Natura una serie di progressi innovativi e importanti, forse persino rivoluzionari. Struttura del volume Nelle diverse sezioni di questo volume saranno analizzati in modo più dettagliato alcuni dei temi cui abbiamo accennato. È importante tuttavia ricordare che una parte tutt'altro che trascurabile di questa storia è costituita proprio dall'elaborazione dell'idea di scienza e dalla formazione delle istituzioni che resero possibile il suo sviluppo. Quella che si presenta qui è una descrizione delle diverse discipline che in un modo o nell'altro confluirono nella scienza. I soggetti analizzati sono stati scelti non solo in quanto espressioni dell'interesse dell'uomo per la Natura, ma anche a partire da un giudizio a posteriori, tenendo conto cioè del loro successivo sviluppo e del contributo che diedero alla formazione di quella che oggi chiamiamo scienza.
  • 25. Uno studio che si ponga l'obiettivo di render conto di tutte le forme di attività scientifica nel corso di uno dei suoi momenti più vivaci e originali, deve necessariamente essere incentrato sulle più importanti idee del periodo preso in esame; ma deve anche tener conto delle principali individualità e del più vasto contesto sociale e istituzionale grazie a cui tali idee si svilupparono. Nella prima parte di questo volume, 'Modelli di conoscenza', saranno analizzati alcuni dei temi generali che riguardano il periodo, incluse le questioni relative alla matematizzazione della Natura, alla nuova importanza accordata agli esperimenti, ai rapporti tra scienza e teologia e infine alla diffusione della scienza europea in altre regioni del globo. La seconda parte, 'Luoghi e forme della conoscenza', riguarda i luoghi e le istituzioni dei successivi sviluppi scientifici: le accademie, le università, le biblioteche, i salotti, gli ordini religiosi, i gabinetti, i laboratori, gli osservatori, i giardini botanici, gli arsenali e i viaggi di scoperta. Questa sezione include anche la storia dell'interesse per le meraviglie e le curiosità, lo sviluppo degli strumenti scientifici e i rapporti che legavano l'ingegneria e la meccanica alle nuove scienze, così come il decisivo sviluppo di diversi canali di comunicazione scientifica. La terza parte, 'I protagonisti', in cui si parlerà delle personalità che diedero forma alle nuove scienze, si apre con due capitoli dedicati ai professionisti e ai gentiluomini eruditi, seguiti da brevi analisi consacrate alle principali figure di questo periodo, che saranno prese in esame anche in altre sezioni del volume in relazione alle loro scoperte. Nell'ultima parte, 'I domini della conoscenza', saranno analizzate nei dettagli le principali idee elaborate dalla scienza del XVII sec. nell'ambito delle scienze fisiche, della matematica pura e mista e delle scienze della vita. La Rivoluzione scientifica: modelli di conoscenza. Prospettive storiche: l'aristotelismo e le nuove filosofie Storia della Scienza (2002) di Daniel Garber Prospettive storiche: l'aristotelismo e le nuove filosofie
  • 26. Sommario: 1. La filosofia naturale aristotelica. 2. L'antiaristotelismo e l'idea di una nuova filosofia. 3. Novità e autorità. 4. La matematica e il mondo naturale. 5. Esperienza, sperimentazione e nuova scienza. 6. Certezza e probabilità. □ Bibliografia. Il XVII sec. fu un periodo di grandi cambiamenti e di nuove scoperte, accompagnate da un generale ripensamento della concezione della Natura prevalente in Europa e della posizione dell'uomo al suo interno. Le analisi dei mutamenti che hanno interessato i diversi campi di ricerca saranno l'oggetto dei capitoli successivi, mentre in questo si affronteranno gli aspetti generali dello sviluppo delle scienze nel XVII sec., i nuovi approcci alla storia, alla matematica e alla sperimentazione e il ruolo dei concetti di certezza e di probabilità. Innanzi tutto, occorre ricordare che per la maggior parte del secolo lo studio della Natura, in quasi tutti i campi di ricerca, rimase fondato sulla filosofia aristotelica. È dunque dalla scienza aristotelica e dai suoi oppositori, prima e durante il XVII sec., che occorre iniziare. 1. La filosofia naturale aristotelica La filosofia aristotelica rimase al centro della coscienza intellettuale europea dal tardo XIII sec. fino a tutto il XVII e a buona parte del XVIII. All'alba del Seicento, essa costituiva una parte fondamentale del programma di studi di ogni tipo di scuola in tutti i paesi europei. Ogni cittadino europeo, cattolico o protestante, settentrionale o meridionale, avrebbe potuto sottoscrivere l'affermazione contenuta nella Ratio studiorum, il libro di testo adottato nelle scuole dei gesuiti, secondo cui era necessario "seguire la dottrina di Aristotele in ciò che concerne la logica, la filosofia della natura, l'etica e la metafisica" (ed. Bianchi, p. 98). In questo modo, la filosofia aristotelica venne a costituire una sorta di lingua franca dell'Europa dotta. La visione aristotelica del mondo naturale è descritta da Eustache de Saint-Paul nella Summa philosophiae quadripartita. Pubblicata a Parigi nel 1609, l'opera fu più volte ristampata sia nei paesi cattolici sia in quelli protestanti e fu utilizzata nelle scuole per introdurre gli allievi allo studio della filosofia naturale. Da parte nostra, ci serviremo di questo autore per descrivere la filosofia aristotelica, in quanto egli espone una versione dell'aristotelismo ampiamente condivisa nel periodo che stiamo esaminando. In primo luogo, Eustache specifica l'oggetto della filosofia naturale, o fisica, alla quale è dedicata una delle quattro parti della Summa, intitolata Physica: "l'oggetto della fisica in senso proprio è il corpo naturale in quanto naturale". Un corpo naturale "consta di una duplice natura, la materia e la forma; queste infatti sono dette principî del moto e della quiete" (pp. 5-6). È presente qui un'implicita distinzione tra oggetti naturali e oggetti artificiali: i primi possiedono il principio del proprio mutamento. Di conseguenza, la filosofia naturale
  • 27. era contrapposta alle scienze del mondo artificiale, tra le quali figura, per esempio, la meccanica, che si occupa dei modi di raggiungere scopi contrari alla natura delle cose, come quando si adopera una leva o una carrucola per sollevare un grave all'altezza voluta. La Physica è suddivisa a sua volta in tre parti: la prima, dal titolo De corpore naturale in genere, è dedicata allo studio dei corpi naturali e in essa sono descritte le caratteristiche generali del mondo fisico, che comprendono la forma, la materia e la privazione (i tre principî aristotelici della Natura), le quattro cause, lo spazio, il tempo e il moto. Nella seconda parte, De corpore naturale inanimato, Eustache affronta i temi della materia celeste e dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) e quelli dell'azione, della passione, della generazione e della corruzione. La terza e conclusiva parte, De corpore naturale animato, è dedicata alla trattazione delle cose viventi, e in essa si parla dell'anima, delle sue facoltà e della separazione dell'anima dal corpo. Seguendo lo schema scolastico tradizionale, Eustache concepisce i corpi in termini di materia prima, di forma sostanziale e di privazione. La materia prima è ciò che soggiace al mutamento e rimane immutato quando un corpo passa da un genere di cosa a un altro. La forma sostanziale, invece, è ciò che individua un ente in quanto tale e che cambia quando lo stesso ente passa da un genere a un altro (nei viventi, la forma prende il nome di anima). La privazione non si distingue effettivamente dalla materia: è la mancanza nella materia di proprietà particolari che consente alla materia stessa di acquisirle in seguito. Secondo l'ortodossia tomista, la materia è atto puro e la forma potenza pura, e l'una non può esistere senza l'altra. Eustache, tuttavia, adottando le posizioni di Giovanni Duns Scoto e di Guglielmo di Ockham, attribuiva alla forma e alla materia la capacità di esistere indipendentemente in diversi modi. Seguendo la tradizione aristotelica, egli negava inoltre l'esistenza del vacuum o spazio vuoto. Non meno importante era la classificazione aristotelica dei corpi esistenti nell'Universo. Nel mondo sublunare, il mondo sottostante la sfera della Luna, esistono quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. In virtù della sua forma, ciascun elemento possiede un particolare ventaglio di quelle che erano chiamate generalmente qualità primarie e qualità motorie. Le qualità primarie sono le coppie caldo/freddo e umido/asciutto. La terra, per esempio, è fredda e asciutta, l'acqua fredda e umida, l'aria calda e umida e il fuoco caldo e asciutto. Oltre alle qualità primarie, gli elementi possiedono le qualità motorie: la leggerezza e la pesantezza. La terra e l'acqua, gli elementi pesanti, hanno la tendenza a cadere in basso, verso il centro del mondo, mentre l'aria e il fuoco tendono a sollevarsi in alto, allontanandosi dal centro del mondo. Più esattamente, le qualità motorie derivano dal fatto che ciascun elemento ha una sua sede naturale nell'Universo, l'elemento terrestre al centro, seguito, a distanze sempre maggiori, dall'acqua, dall'aria e dal fuoco. Quando vengono allontanati dalla loro sede naturale, gli elementi tendono a tornarvi. Tuttavia, in Natura gli elementi non si trovano mai, o quasi mai, allo stato puro, ma si mescolano tra loro, dando origine a corpi dotati di proprietà differenti a seconda delle diverse proporzioni degli elementi che li compongono. La teoria, assai complessa, dei corpi composti diede origine ad
  • 28. alcune delle più accese dispute dell'aristotelismo del Tardo Medioevo e della prima Età moderna. Poiché le cose erano composte da elementi diversi, tendenti a separarsi di nuovo, il mondo sublunare era un mondo in costante trasformazione, in cui gli elementi davano origine alle cose combinandosi tra loro e ne provocavano la corruzione tornando a separarsi. Diversa natura aveva il mondo dei corpi celesti: questi, infatti, non erano formati dai quattro elementi, ma da un quinto detto 'etere', o 'quintessenza'. Si riteneva che la fisica celeste seguisse leggi completamente diverse da quelle della fisica terrestre. I corpi celesti non seguivano un percorso rettilineo, ma si muovevano lungo circoli perfetti. A differenza del mondo sublunare, dominato dal cambiamento, dalla generazione e dalla corruzione, il mondo celeste era visto come il regno immutabile della perfezione. 2. L'antiaristotelismo e l'idea di una nuova filosofia Per quanto rappresentasse l'ortodossia dominante, la filosofia aristotelica, riassunta nella Summa philosophiae quadripartita di Eustache e in altri manuali, non era priva di avversari, fu anzi osteggiata sin dalla sua introduzione nell'Occidente latino. Considerato una filosofia pagana, non facilmente conciliabile con il pensiero cristiano, l'aristotelismo (o almeno alcune sue interpretazioni) fu condannato più volte a Parigi nel XIII sec., fino alla condanna del 1277, quando ben 217 tesi furono proibite dal vescovo Étienne Tempier. A partire dal XVI sec. si affermarono numerosi sistemi filosofici che sfidavano la visione del mondo aristotelica. In effetti, gli autori dell'inizio del Seicento ritenevano di trovarsi di fronte a una vera rivoluzione intellettuale. Già nei primi decenni del secolo i filosofi conservatori seguaci dell'aristotelismo lamentavano l'aumento dei pensatori che si rifiutavano di accogliere la verità ricevuta. Nel suo commento alla Genesi, le Quaestiones celeberrimae in Genesim (1623), Marin Mersenne identificava come esponenti di questa tendenza antiaristotelica, tra gli altri, Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Bernardino Telesio, Francesco Patrizi, Nicolas Hill e Sébastien Basson, oltre a Johannes Kepler, Galileo Galilei, Francis Bacon e William Gilbert. Più o meno negli stessi anni, il celebre professore parigino Jean-Cécile Frey teneva le lezioni di fronte a torme di studenti, difendendo Aristotele da tutti gli attacchi e fustigando le opinioni eterodosse di molti suoi avversari. Il XVI sec. aveva prodotto una grande varietà di scuole di pensiero ostili all'aristotelismo. Una delle più note era quella dei cosiddetti naturalisti italiani, un gruppo di filosofi che condividevano un generale rifiuto dell'interpretazione aristotelica della Natura. Nel Libro I del De rerum natura (1565), Telesio rifiutava la concezione aristotelica del corpo come unione di materia e di forma, sostituendola con una concezione del mondo basata sul caldo e sul freddo, agenti immateriali (ma naturali) che penetrano nella materia inerte, animandola. Secondo Telesio, il mondo è il risultato della lotta tra questi due agenti fondamentali, in perenne
  • 29. opposizione. Il pensiero di Campanella rappresenta in un certo senso la prosecuzione e lo sviluppo di quello di Telesio. Campanella, che aveva iniziato la carriera come suo seguace, in particolare nell'opera giovanile Philosophia sensibus demonstrata (1591), era giunto soltanto più tardi alla conclusione che la teoria fisica del suo maestro necessitasse di fondamenta più solide e profonde. Nel De sensu rerum et magia (1620) e anche nel più tardo Universalis philosophiae, seu metaphysicarum […] dogmata (1638), affermò che Telesio aveva sbagliato nel considerare il caldo e il freddo come agenti naturali, sostenendo che essi dovevano la loro efficacia a Dio e all'anima del mondo. La luce era invece alla base della concezione del mondo di un altro filosofo italiano, Francesco Patrizi da Cherso, autore della Nova de universis philosophia (1591). Gli scritti densi e complessi di Giordano Bruno, benché difettino a volte di coerenza, presentano alcuni temi ben definiti. Bruno rifiuta i concetti aristotelici di Dio, di sostanza, di materia e di forma. Nel De la causa, principio et uno (1584) afferma che Dio è l'unica sostanza e tutte le cose finite sono soltanto suoi aspetti. Bruno non respinge del tutto l'idea che i corpi siano prodotti dall'unione di forma e materia, ma sembra spesso considerare questi due concetti come equivalenti, in modo poco aristotelico. Telesio e Patrizi attaccarono anche le idee aristoteliche di spazio e luogo, affermando che lo spazio preesiste a ogni cosa ed è indipendente dai corpi, essendo una sorta di contenitore vuoto riempito soltanto in parte dal mondo fisico. La basilare distinzione aristotelica tra cielo e Terra fu messa in discussione dal sistema copernicano, formulato nel De revolutionibus orbium coelestium (1543). Altri attacchi vennero dagli alchimisti, e in particolare da quelli appartenenti alla scuola di Teophrast Bombast von Hohenheim, noto come Paracelso (1493-1541). Mentre alcuni alchimisti non pensavano di agire in contraddizione con le linee fondamentali dell'aristotelismo, i paracelsiani ritenevano che fosse ormai giunto il momento di sostituirlo con una nuova filosofia della Natura. Agli occhi dei conservatori come Mersenne e Frey tutto ciò assumeva l'aspetto di una rivoluzione, un tentativo di rovesciare l'aristotelismo e sostituirlo con qualcosa di nuovo. Per Mersenne, si trattava di un atto di pura presunzione. In un celebre passaggio della Vérité des sciences (1625), scrisse: "Come filosofo, Aristotele è un'aquila; gli altri sono solo dei pulcini che vorrebbero volare prima di avere le ali" (pp. 110-111). Altri la pensavano in modo ancora più radicale. L'astrologo e filosofo francese Jean-Baptiste Morin (1583-1656), reagendo a un attacco alle tesi di Aristotele presentato pubblicamente da un gruppo di atomisti, nella Réfutation des Thèses [...] contre la doctrine d'Aristote (1624) affermò: "Non vi è nulla di più sedizioso e pernicioso di una nuova dottrina: e lo dico non solo per la teologia, ma anche per la filosofia" (p. 3). Mersenne, Frey e Morin probabilmente non immaginavano che gli attacchi alla tradizione aristotelica sarebbero divenuti ancora più violenti e temibili negli anni successivi. Nel 1620 Francis Bacon pubblicò la Instauratio magna, opera nella quale delineava un completo rinnovamento di tutte le scienze. All'interno di quest'opera, egli presentava ai lettori il Novum organum, un nuovo metodo sperimentale con il quale si prefiggeva di indagare le scienze e di rinnovarle profondamente.
  • 30. Nello stesso periodo, il giovane René Descartes stava elaborando il suo personale metodo di indagine nelle Regulae ad directionem ingenii, rimaste poi incompiute. Solo dopo alcuni anni, nel 1637, Descartes pubblicò il Discours de la méthode, in cui esponeva le proprie opinioni sull'indagine scientifica e auspicava l'avvento di una nuova scienza. Inoltre, Descartes pubblicò alcuni esempi concreti di applicazione del suo metodo, vale a dire una nuova geometria, che univa elementi della geometria tradizionale all'algebra, e i primi saggi della nuova scienza meccanicista, destinata a dominare il pensiero scientifico fino alla fine del secolo. Nella nuova filosofia naturale proposta da Descartes, la materia e la forma degli aristotelici erano sostituite da corpi, viventi e inanimati, concepiti sul modello delle macchine. Di lì a poco, gli sviluppi della matematizzazione galileiana del moto e dell'elaborazione del copernicanesimo avrebbero minato ulteriormente la concezione aristotelica del mondo, così come avrebbero fatto la riscoperta dell'atomismo da parte di Pierre Gassendi, il materialismo di Thomas Hobbes e molti altri sviluppi del pensiero contemporaneo. Alla fine del secolo, il genio universale di Gottfried Wilhelm Leibniz poteva annunciare la nascita di una nuova filosofia, come avevano fatto prima di lui polemicamente Mersenne e Frey, ma questa volta i protagonisti erano altri: "I fondatori della filosofia moderna sono Bacon, Galilei, Kepler, Gassendi e Descartes" (De la philosophie cartésienne, p. 1480). I novatores del XVI sec. erano caduti completamente nell'oblio e il XVII sec. si presentava ai contemporanei come l'età che aveva dato i natali alla nuova filosofia della Natura e aveva visto la scienza moderna muovere i primi passi. I dettagli di questa nuova scienza saranno discussi nei capitoli seguenti: il sorgere di diverse forme di atomismo e di meccanicismo, che offrivano un'alternativa alla visione aristotelica di un mondo dominato dalla materia e dalla forma, le spiegazioni matematiche della Natura, le nuove interpretazioni dello spazio e del vuoto, che contraddicevano quelle aristoteliche, il superamento della distinzione tra naturale e artificiale e tra celeste e terrestre, le nuove spiegazioni della vita e così via. 3. Novità e autorità Uno dei cambiamenti più evidenti che caratterizzarono il XVII sec. fu il mutato atteggiamento verso le novità filosofiche. L'originalità di pensiero non ha goduto sempre di una buona reputazione. Come abbiamo visto, Morin riteneva, per esempio, che ogni novità fosse potenzialmente pericolosa. L'Oxford Latin dictionary, da parte sua, riporta tra i significati di novus ‒ letteralmente 'nuovo' nel latino classico ‒ quelli di 'sovversivo' e 'sedizioso', avallandoli con citazioni da Cicerone, Svetonio e Tacito. Durante il XVI sec., le novità, le innovazioni e le opinioni eterodosse erano guardate con sospetto, almeno in alcuni ambienti. Benito Pereyra (1535 ca.-1610), stimato professore di fisica al Collegio Romano, nel De modo legendi cursum philosophiae esprimeva un punto di vista molto comune quando sosteneva che "non bisognerebbe farsi allettare dalle nuove
  • 31. opinioni ‒ ossia da quelle che abbiamo scoperto noi stessi ‒ ma aderire alle opinioni antiche e comunemente accettate" (p. 667). Questo principio era contenuto anche nella Ratio studiorum dei gesuiti, l'insieme delle regole che governavano la loro estesa rete di istituti scolastici. Nella versione del 1599, essa ammoniva gli insegnanti a rifuggire dalle nuove opinioni, anche nelle materie che non mettevano in pericolo la fede. Potremmo proseguire a lungo nelle citazioni: definire una dottrina nuova, innovativa o originale non significava necessariamente elogiarla. Tutto questo era destinato a cambiare nel XVII sec., quando la novità sembrò assumere un valore positivo. L'opera più rappresentativa di questa tendenza è forse la Instauratio magna di Bacon, sul cui frontespizio era rappresentata una nave a vele spiegate, in procinto di superare le Colonne d'Ercole e di inoltrarsi nell'oceano aperto, a simboleggiare la ricerca del nuovo. Sotto la nave è inciso un motto biblico: "molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta" (Daniele, 12, 4). Il significato implicito nell'immagine scelta da Bacon era che il suo libro avrebbe aperto un'epoca di nuove scoperte e di grande accrescimento delle conoscenze. L'opera inizia con una critica di ciò che era stato fatto fino a quel momento: Se qualcuno considera attentamente tutta quella pretesa varietà di libri della quale le scienze e le arti sono tanto fiere, troverà ovunque infinite ripetizioni della stessa cosa, lievemente diverse per il modo della trattazione, ma già scontate per quanto concerne l'invenzione. In tal modo ciò che a un primo sguardo sembrava ricchezza si riduce, una volta esaminato, a ben poco. Per quanto riguarda l'utilità bisogna dire apertamente che questo sapere che ci deriva soprattutto dai Greci sembra essere una specie di infanzia della scienza con tutte le caratteristiche proprie dei fanciulli: pronto a ciarlare, è immaturo e incapace di generare. (Scritti filosofici, pp. 521-522) La soluzione proposta da Bacon è estremamente coraggiosa: "cominciare interamente da capo l'impresa con mezzi più validi e intraprendere una totale Restaurazione, innalzata sulle dovute fondamenta, delle scienze, delle arti, e di ogni umano sapere" (ibidem, p. 516). Non vi è traccia di paura delle novità in queste parole. Il passato deve essere abbandonato e la ricerca della conoscenza ripresa su basi interamente nuove. Ritroviamo accenti molto simili nel Discours de la méthode di Descartes, dove l'autore espone il suo ambizioso programma di rifondazione della scienza. Come Bacon, anche Descartes si dichiara deluso dalla cultura tradizionale e desideroso di ricostruire l'intero edificio del sapere dalle fondamenta. Paragonando il corpus del sapere tradizionale a una casa costruita su fondamenta instabili o a una città cresciuta in modo casuale, affermava:
  • 32. Quanto alla Filosofia dirò soltanto che, vedendo che è stata coltivata dai più eccellenti ingegni che siano mai vissuti e che, tuttavia, non c'è nulla in essa su cui non si continui a discutere e che quindi non sia scevro da dubbi, non ero così presuntuoso da sapere che vi sarei riuscito meglio degli altri. D'altra parte, considerando quante diverse opinioni siano state sostenute a proposito di uno stesso argomento che sia vero, finii di stimare pressoché falso tutto ciò che era solo verisimile. Quanto poi alle altre scienze, in quanto esse derivano i loro principî dalla Filosofia, conclusi che non poteva esser stato costruito nulla di solido su fondamenti così incerti. (OF, I, p. 503) Non è quindi sorprendente che, una volta giunto il momento di ricostruire, egli abbia finito per scartare la maggior parte del sapere tradizionale. Bacon e Descartes, come la maggior parte dei loro contemporanei assetati di novità, avevano due bersagli preferiti. Il primo era l'aristotelismo scolastico, che abbiamo descritto all'inizio di questo capitolo. Le dottrine aristoteliche insegnate nelle scuole rappresentavano il simbolo stesso della tradizione e dell'autorità che essi intendevano distruggere, ma il secondo bersaglio era costituito dall'Umanesimo, che tanta importanza aveva avuto nella vita intellettuale del XVI sec., anche tra gli scienziati e i matematici. L'Umanesimo fu un vasto e diffuso movimento intellettuale incentrato sulla riscoperta della letteratura e della cultura dell'Antichità classica. Gli sforzi degli umanisti erano diretti principalmente alla rinascita della lingua, della retorica e della letteratura dell'antica Roma, ma l'Umanesimo ebbe importanti conseguenze anche in campo scientifico. Gli umanisti riscoprirono, pubblicarono e studiarono i principali testi matematici dell'Antichità, tra cui gli scritti di Archimede, Pappo di Alessandria e altri. Ugualmente importante fu la riscoperta degli antichi sistemi non aristotelici di filosofia naturale. Justus Lipsius (Joost Lips, 1547-1606), per esempio, contribuì grandemente ad accendere l'interesse verso vari aspetti dello stoicismo, fra cui la filosofia naturale. Ancora più importante a questo riguardo fu l'azione di Pierre Gassendi, forse l'ultimo degli umanisti scientifici: egli dedicò la maggior parte della sua carriera all'edizione del testo greco del Libro X delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, che contiene il nucleo principale degli scritti dell'atomista greco Epicuro. La pubblicazione di questi testi, accompagnata dai dotti e filosofici commentari di Gassendi, contribuì notevolmente alla rinascita dell'interesse per le dottrine atomiste nell'Europa del XVII secolo. Con l'avvento del nuovo secolo, tuttavia, questa soggezione dinanzi al passato cominciò a essere messa apertamente in discussione. Nella citazione che abbiamo da poco riportato, Bacon rifiuta il ritorno pedissequo alla cultura dei Greci. Descartes, in modo ancora più radicale, contrappone il 'buon senso' alla cultura libresca. In un celebre passo del Discours, afferma "che anche le scienze dei libri, quelle almeno fondate soltanto su ragioni probabili e non dimostrate, essendosi formate e accresciute a poco a poco con le opinioni di molte e differenti persone, non sono tanto vicine alla verità quanto i semplici ragionamenti che può fare naturalmente
  • 33. un uomo di buon senso" (OF, I, p. 506). La soluzione adottata da Descartes fu semplicemente quella di rivolgersi verso il mondo e verso sé stesso per cercare di comprendere la realtà delle cose. Gli scritti di Galilei sono altrettanto indicativi di questa nuova mentalità: nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), il personaggio di Simplicio, che incarna l'aristotelismo dogmatico, è continuamente messo in ridicolo per la sua deferenza verso Aristotele, a cui si oppongono le argomentazioni di Salviati (portavoce di Galilei), fondate sull'esperienza e sulla ragione, e l'atteggiamento aperto e ragionevole di Sagredo. La lezione che si ricava dal Dialogo è chiara: nel nuovo mondo del XVII sec., la storia e l'autorità contano poco o nulla. Verso la fine del Seicento, la Francia letteraria rimase a lungo invischiata nella cosiddetta 'querelle des Anciens et des Modernes', in cui erano messi a confronto i meriti letterari degli Antichi e quelli dei Moderni. Ma in campo scientifico l'argomento era già stato chiuso molti anni prima. Alla fine del secolo, nessun membro rispettabile della Repubblica delle Lettere avrebbe osato mettere in dubbio la superiorità delle scienze naturali e matematiche moderne. 4. La matematica e il mondo naturale Cosa pensasse effettivamente Aristotele dei rapporti tra matematica e mondo naturale è ancora oggetto di opinioni piuttosto discordanti. Tuttavia, qualunque fosse la sua opinione, è certo che la matematica non svolgeva un ruolo fondamentale nella filosofia naturale del tardo periodo scolastico. Come abbiamo già visto, infatti, la filosofia naturale propriamente detta trattava i corpi da un punto di vista esclusivamente qualitativo, in termini di unione di materia e di forma, di elementi, delle loro mescolanze e della formazione di sostanze composte e così via. Questo non significa tuttavia che non esistessero scienze matematiche incaricate dello studio dei fenomeni naturali. Nella tarda Scolastica, un certo numero di discipline, connesse tanto con la matematica quanto con la fisica, furono riunite nella categoria della matematica mista o delle 'scienze intermedie'. Nella voce dedicata alla matematica del Lexicon philosophicum (1613) di Goclenius (Rudolph Göckel), si legge che esistono tre generi di matematica. In senso generale, 'matematica' significa disciplina, dottrina, precetti; in senso secondario, significa geometria o aritmetica. Ma il terzo significato è il più interessante. Egli afferma infatti che "per matematica non si intende solo aritmetica e geometria, ma anche astronomia, ottica, musica, meccanica" (p. 672). Occorre tuttavia tenere chiaramente presente la distinzione tra filosofia naturale vera e propria e scienze intermedie. In linea generale, la prima si occupava delle cause ultime dei fenomeni naturali, in termini di materia, forma e privazione. Il compito delle scienze intermedie era invece, solitamente, quello di spiegare i fenomeni, cioè i risultati prodotti da quelle cause, in termini matematici. Particolarmente interessante a tale
  • 34. proposito (e ricco di implicazioni per i radicali cambiamenti intervenuti nel XVII sec.) è lo status della meccanica e il suo rapporto con la fisica. La filosofia naturale si occupava delle cose naturali in quanto tali, ne indagava le essenze e ricercava le vere cause dei fenomeni naturali, ma le cose in Natura non si comportano sempre nel modo che noi vorremmo. È qui che entra in gioco la meccanica. Le macchine non sono oggetti naturali, ma artefatti: cose costruite dall'uomo per eseguire determinate operazioni di cui ha bisogno. La meccanica è la scienza che studia le macchine. Nella Mechanica, un corpus di scritti attribuiti ad Aristotele nel XVI sec. e da allora ampiamente letti e commentati, è descritta la situazione in questi termini: "La nostra meraviglia si accende, in primo luogo, di fronte a quei fenomeni che accadono secondo Natura, ma dei quali non conosciamo la causa; e in secondo luogo da quelli prodotti da qualche arte contraria alla Natura e a beneficio dell'umanità. La Natura spesso opera in modo contrario all'interesse umano, poiché essa segue sempre il suo corso senza deviazioni, mentre l'interesse umano cambia continuamente. E dunque, quando si deve fare qualcosa di contrario alla Natura ci troviamo in difficoltà e dobbiamo chiamare in nostro aiuto un'arte che chiamiamo 'meccanica'" (847a 10f). La meccanica si occupava degli oggetti artificiali, ossia degli oggetti naturali trasformati in congegni a nostro uso e consumo. In questo senso era un supplemento alla fisica, dato che tra i suoi oggetti vi erano cose di cui la fisica non si occupava, cioè le cose artificiali, le macchine. A sua volta, la fisica era indispensabile alla meccanica. Ovviamente, le macchine erano fabbricate con materiali naturali (legno, metallo, corde, ecc.) dotati di specifiche proprietà. La meccanica si serviva di queste proprietà per studiare il funzionamento delle macchine. Così, per esempio, la pesantezza giocava un ruolo determinante nella spiegazione del funzionamento delle macchine semplici (come, per esempio, la leva e la vite), che utilizzavano tutte la forza umana o animale per vincere gli effetti naturali della pesantezza e consentivano di sollevare le cose in diversi modi. I trattati di meccanica partivano sempre dal presupposto che si avesse a che fare con corpi dotati di pesantezza e quindi con la tendenza a cadere verso il centro della Terra. Il problema della causa della pesantezza e della caduta libera dei gravi esulava dal campo della meccanica e riguardava esclusivamente la fisica. La pesantezza rappresentava quindi per la meccanica un presupposto soltanto preso in prestito da una scienza distinta, la fisica. Nel XVI sec., la matematica e la filosofia naturale erano discipline molto differenti, appartenenti a mondi completamente diversi. Questa situazione era però destinata a mutare radicalmente nel corso del secolo successivo. Nel 1610, sull'onda del successo del Sidereus nuncius, Galilei fu invitato a entrare a far parte della corte fiorentina di Cosimo II de' Medici. Date le sue esperienze nei campi dell'ottica, dell'astronomia e della meccanica, l'incarico più naturale sarebbe stato quello di matematico del granduca. Galilei tuttavia si oppose e scrisse a Belisario Vinta, segretario di Stato di Cosimo, quanto segue: "Finalmente, quanto al titolo et pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico, che S[ua] A[ltezza] vi aggiugnesse quello di
  • 35. Filosofo, professando io di havere studiato più anni in filosofia, che mesi in mathematica pura: nella quale qual profitto io habbia fatto, et se io possa et deva peritar questo titolo, potrò far vedere a loro A[ltezze], qual volta sia di loro piacimento il concedermi campo di poterne trattare alla presenza loro con i più stimati in tal facoltà" (EN, X, p. 353). Galilei non era il solo a pensare che esistessero importanti legami tra la fisica e la matematica. Descartes, per esempio, considerava gli studi di Isaac Beeckman un deciso passo in avanti verso l'unificazione delle due discipline. Gli scritti di Beeckman apparvero poco dopo la sua morte con il titolo Mathematico-physicarum meditationum, quaestionum, solutionum centuria (1644). Nello stesso anno, Mersenne pubblicò un libro con un titolo molto simile, Cogitata physico-mathematica. Anche Descartes tentò in un certo senso di unire la fisica alla matematica, in una prospettiva ancora più ambiziosa di quella di Beeckman e perfino di quella di Galilei. Secondo Descartes, infatti, tutto ciò che esisteva doveva essere studiato e compreso esattamente allo stesso modo in cui si studiavano e si comprendevano le macchine. Così scriveva nei suoi Principia philosophiae: A tal fine non poco mi hanno aiutato le cose costruite dall'arte [dell'uomo], infatti, tra queste e i corpi naturali non conosco altra differenza se non che le operazioni per costruire gli artefatti sono perlopiù compiute con strumenti tanto grandi da poter essere facilmente percepiti dai sensi: ciò infatti si richiede perché possano essere costruite dagli uomini. Al contrario, gli effetti naturali dipendono quasi sempre da alcuni organi tanto minuti che sfuggono a ogni senso. (OF, II, p. 387) Non è quindi affatto sorprendente che egli scrivesse a un suo corrispondente di pensare che "tutta la mia fisica non sia altro che una meccanica" (AT, II, p. 542). Benché la matematica svolga un ruolo piuttosto limitato nelle opere di fisica pubblicate da Descartes, la sua classificazione della fisica come branca specifica della matematica è tutt'altro che irrilevante. Anche per Thomas Hobbes la fisica era virtualmente identica alla matematica, né vi era alcuna differenza tra l'oggetto dell'una e dell'altra. Di conseguenza, il moto fisico era affrontato in modo sostanzialmente identico a quello geometrico, ossia a partire dal moto dei punti, delle linee e delle superfici, che consente di costruire le diverse figure geometriche, e la geometria non era altro che la manipolazione immaginaria dei corpi. In un'opera più tarda, Elementorum philosophiae sectio secunda de homine (1658), Hobbes scriveva: E poiché nelle cose naturali che nascono dal moto non è possibile neppure procedere con un ragionamento a posteriori, senza la cognizione di ciò che consegue ad una qualunque specie di moto, e non è possibile giungere alle conseguenze dei moti senza la cognizione della quantità, che è la geometria, non può accadere che certe cose non debbano essere dimostrate, con una dimostrazione a priori, anche dal fisico. Perciò la