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Lucca, Siena , Sangimignano 2010
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 1 Lucca LE MURA Nel sistema di fortificazioni della città, è pos‐ sibile individuare quattro fasi cui corrispondo‐ no altrettanti periodi di costruzione. La prima cerchia, di cui oggi rimangono poche tracce, è costituita dalle antiche mura romane. Fra l'XI e il XII secolo fu iniziata la costruzione della prima cinta medievale, o seconda cerchia, ultimata verso la metà del Duecento. Dovuta all’espansione urbanistica, la seconda cinta medievale, o terza cerchia, fu realizzata fra la seconda metà del Trecento e i primi decenni del Quattrocento, come ampliamento della precedente. L'ultima espansione delle Mura, la quarta cerchia, rappresenta un rilevante esempio di applicazione della scienza militare del Cinque‐ cento e del Seicento. In effetti, la costruzione fu decretata dalla Repubblica lucchese nel 1504, per adeguarsi ai progressi della tecnica Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli) Arrivo a Collodi entro le ore 10.30 Ore 12.30 (pranzo al sacco) Arrivo a Lucca ore 16.00 circa Serata: visita alla città OSTELLO SAN FREDIANO, Via della Cavallerizza, tel 0583469957 Mercoledì 25
agosto
2.
Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 2 militare e garantire una difesa più sicura della città, che temeva le spinte espansionistiche della Firenze medicea. I lavori, iniziati nel 1545 e terminati verso il 1650, videro via via impegnati importanti architetti militari, come il modenese Jacopo Sighizzi, il milanese Ales‐ sandro Resta, Ginese Bresciani da Firenzuola, gli urbinati Baldassarre Lanci, Francesco Pa‐ ciotto, Pietro Vagnarelli, e i fratelli Matteo e Muzio Oddi; l'unico architetto lucchese che partecipò ai lavori fu Vincenzo Civitali. Le Mura seguono in alcuni tratti l'andamento dei precedenti tracciati medie‐ vali e sono formate da undici baluardi congiunti da cortine per una lunghezza totale di oltre quattro chilometri. I baluardi, che garantiva‐ no la protezione di un tratto di mura o delle porte, furono eretti in modo tale che ognuno potesse controllare i due vicini. Costruiti con forma e caratteristiche diverse fra loro, incor‐ porarono i torrioni edificati fra il 1516 e il 1522 agli angoli della cinta medievale. Il baluardo di San Frediano, quello più antico, è l'unico che si presenta in forma rettangola‐ re. In seguito furono costruiti bastioni ad orecchioni rotondi o a musoni squadrati, assai sporgenti rispetto alle cortine e quindi più adatti alle nuove tecniche di difesa. Su ogni baluardo si trova un piccolo edificio per il corpo di guardia, la "casermetta" (tuttora esistente). All'interno del baluardo furono ricavati grandi ambienti per i cavalli, i soldati e le munizioni. Sia i baluardi sia le cortine sono rivestiti da una camicia di mattoni, fab‐ bricati nelle fornaci della Lucchesia. La cami‐ cia, verso l'esterno della città, è formata da una scarpa inclinata delimitata in alto da un cordone di pietra (toro), al di sopra del quale si trova un parapetto verticale. Verso l'inter‐ no, le mura presentano una scarpata erbosa (terrato) costituita da una grande quantità di terra ammassata e pressata. Una vasta area senza alberi e case, attraversata da fossi con acqua, detta "tagliata" (oggi drasticamente ridotta), circondava l'intero circuito murario. Le tre porte originarie delle mura rinascimen‐ tali sono Porta San Pietro, Porta Santa Maria e Porta San Donato, costruite nella seconda metà del Cinquecento. Si trattava di porte fortificate, dotate di un ponte levatoio azio‐ nato da catene, di una saracinesca, di un por‐ tone ferrato anteriore e di uno posteriore. Soltanto nel 1811 fu aperta una quarta porta, denominata Elisa in onore di Elisa Bonaparte Baciocchi, che non aveva più le caratteristiche militari delle altre porte, presentan‐ dosi piuttosto come un arco di trionfo. Altre due porte, denominate Vittorio Emanuele e San Jacopo, furono realizzate rispettivamente nel 1911 e nel 1931. Le Mura erano dotate di un apparato bellico imponente: l'artiglieria era formata da colu‐ brine per tiri di lunga gittata, da cannoni per il lancio delle palle metalliche e da petriere per il lancio delle pietre. I cannoni, costruiti da una fonderia cittadina, erano in bronzo. An‐ che la polvere da sparo era prodotta in una fabbrica di salnitro della città. Quest’enorme apparato difensivo in realtà non fu mai impie‐ gato a scopo bellico, anche perché ‐ durante uno dei due avvicendamenti con l’esercito francese avvenuti dopo il 1799 ‐ gli Austriaci si erano portati via i 124 cannoni di grosso calibro che difendevano le mura e la città. Da allora le Mura hanno perso ogni valore milita‐ re. La struttura fu messa alla prova una sola volta, nel 1812, durante la disastrosa alluvio‐ ne del Serchio. In quell’occasione furono chiuse e tamponate tutte le porte e la città rimase illesa. Dopo il Congresso di Vienna, il nuovo Ducato di Lucca fu affidato ai Borbone di Parma, nella persona della duchessa Maria Luisa. Nel 1818 la duchessa incaricò l'architetto Lorenzo Not‐ tolini di sistemare a verde una parte delle Mura. Nel 1820 fu istituito l'Orto Botanico. La
3.
Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 3 riconversione dell'antico sistema difensivo ad uso civile, per il tempo libero e lo svago, fu ulteriormente accentuata nel 1840 quando fu costruito, sul Baluardo Santa Maria, il Caffè delle Mura, poi demolito e ricostruito arretra‐ to nel 1885. Nel 1866 le Mura ‐ che allora appartenevano al Regio Governo, come tutte le fortezze ‐ furono acquistate dal Comune di Lucca. Oggi l’intero anello delle Mura si pre‐ senta come simbolo di Lucca: è un vasto par‐ co pubblico alberato, luogo di passeggio ama‐ to dai Lucchesi e dai turisti, è il dannunziano “arborato cerchio” che ancora abbraccia e idealmente protegge la città. DUOMO Tradizione vuole che il Duomo ‐ intitolato a San Martino ‐ sia stato fondato da San Fredia‐ no nel VI secolo. L’edificio fu ricostruito intor‐ no al 1060, dal vescovo di Lucca, Anselmo da Baggio, futuro papa Alessandro II, e quindi rinnovato tra il XII e il XIII secolo. La facciata ‐ realizzata da Guidetto da Como e datata 1204 ‐ s’ispira chiaramente a quella del Duomo di Pisa, ma si arricchisce d’elementi originali, tipici dello stile romanico ‐lucchese. Al piano terra s’apre un profondo porticato con tre ampie arcate sorrette da massicci pilastri compositi, sovrastati da tre ordini di loggette, che richiamano il Duomo pisano. Le tre arcate non sono d’uguale am‐ piezza, per l'asimmetria della facciata, che si restringe in prossimità del campanile, merla‐ to, risalente anch'esso al XIII secolo. Tra due arcate del portico era in origine collo‐ cato il gruppo statuario di San Martino che dona il mantello al povero, databile intorno al 1233, uno dei primi gruppi statuari medievali svincolati dalla funzione di scultura architet‐ tonica. Ora il gruppo originale è conservato all'interno del Duomo, e qui è sostituito da una copia. I portali della facciata sono stati decorati a più mani: nella lunetta del portale centrale spicca un rilievo con l'Ascensione di Cristo, mentre nelle specchiature tra i portali si trovano le Storie di San Martino e un Ciclo dei Mesi; nella lunetta del portale laterale destro sta il Martirio di San Regolo, mentre il portale sinistro mostra rilievi con Storie dell'infanzia di Cristo e una Deposizione, attri‐ buiti alla scuola di Nicola Pisano. L'interno, rinnovato nella seconda metà del Trecento, è a tre navate, divise da pilastri con transetto sporgente e abside semicircolare. Vi si conservano preziose opere d'arte, tra le quali si distinguono in particolare: in sacre‐ stia, un dipinto di Domenico Ghirlandaio raffi‐ gurante la Madonna con il Bambino tra i Santi Pietro, Clemente, Paolo e Sebastiano; sugli altari della navata di destra un'Adorazione dei magi di Federico Zuccari e un’Ultima cena di Jacopo Tintoretto; nella cappella del santua‐ rio c’è la Madonna ed il Bambino tra Santi, opera di Fra' Bartolomeo (1509). Ma i capolavori assoluti ‐ che da soli arricchi‐ scono il Duomo e lo rendono unico ‐ sono il Monumento funebre di Ilaria del Carretto ed il Volto Santo. Vediamoli con qualche detta‐ glio. Nella sacrestia è visibile il Monumento fune‐ bre di Ilaria del Carretto, seconda moglie di Paolo Guinigi, morta giovanissima l’8 di‐ cembre 1405. L’opera fu eseguita a partire dal 1406 da Jacopo della Quercia e ‐ in origine ‐ era collocata nel transet‐ to meridionale della cattedrale presso un altare patronato della famiglia Guinigi. Nel 1430, alla caduta della Signoria dei Guinigi, il monumento fu spoglia‐ to di tutte quelle parti che rendevano possibi‐ le riferirlo al tiranno, quali la lastra con lo stemma, poi recuperata, e un’iscrizione com‐ memorativa, andata perduta. L’opera rag‐ giunse la collocazione attuale nel 1887 dopo aver subito vari spostamenti all’interno della chiesa. Nella serenità della morte, Ilaria giace distesa su un basamento di marmo, fra deco‐ razioni di putti e festoni, d’ispirazione classi‐ ca. La testa poggia su un cuscino e gli occhi
4.
Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 4 son chiusi: Ilaria sembra ritratta nel sonno. La veste, raffinata e leggiadra, ha una foggia particolare, e forse corrisponde a quella in‐ dossata da Ilaria sul letto di morte. Ai suoi piedi è raffigurato un cane, simbolo della fedeltà coniugale. L’opera, delicata e perfet‐ ta, sembra avvolta da una mesta malinconia. Essa è frutto della straordinaria fusione tra il gusto tardo‐gotico di matrice francese, che si manifesta soprattutto nel panneggio a pieghe sottili e parallele, con il sorgente gusto rina‐ scimentale di ascendenza fiorentina, che si rivela nel dolce modellato della figura e del volto. Questa levigatezza era già stata notata nel Cinquecento da Giorgio Vasari, che scrive‐ va: “… Jacopo di leccatezza pulitamente il marmo cercò di finire con diligenza infinita”, e che considerava quest’opera uno dei massi‐ mi capolavori della scultura del Quattrocento. Al centro della navata sinistra sorge la cappel‐ la che custodisce il Crocefisso ligneo noto come "Volto San‐ to". Il tempietto è opera di Matteo Civitali, datata 1484. Circa il Cro‐ cefisso, narra la leggenda che esso sia stato scolpito in un cedro del Libano da Nicodemo, aiutato dagli angeli nel modellare le sembianze di Cristo. Tenuta nascosta per secoli e poi posta su una barca e affidata al mare aperto, la sacra immagine veleggiò mi‐ racolosamente per il Mediterraneo, appro‐ dando davanti al lido di Luni, dopo essere sfuggita ai pirati. Fu posta su un carro traina‐ to da giovenchi, che liberamente si diressero verso Lucca, conducendo il Crocefisso alle porte della città, da cui non è più uscito. Pro‐ babilmente, il Volto Santo di Lucca fu esegui‐ to tra l’XI ed il XIII secolo, forse ad imitazione di un più antico modello orientale. In origine il Crocefisso era in legno policromo, ma ‐ con l'andar degli anni ‐ il fumo delle candele e dell'incenso, hanno steso sulla figura una patina molto scura. Ogni anno, nei giorni 3 Maggio, 13 e 14 Settembre, in occasione delle feste religiose cittadine, il Volto Santo viene rivestito di preziosi ornamenti d'oro conser‐ vati nel Museo della Cattedrale. Da sempre il "Volto Santo" di Lucca è oggetto di gran vene‐ razione e meta di pellegrinaggi dall'Italia e dagli altri paesi europei. La leggenda La leggenda è riferibile all'epoca del vescovo Rangerio (1097‐1112), quando fu redatta una Relatio de revelatione sive inventione ac tran‐ slatione sacratissimi vultus (Racconto della creazione, scoperta e traslazione del santissi‐ mo volto). In questa relatio viene fissato il racconto dell'arrivo a Luni, e successivamen‐ te a Lucca, nel 742, di una immagine scolpita da quel Nicodemo che, con Giuseppe d'Ari‐ matea, depose Cristo nel sepolcro. La leggen‐ da riporta anche che Nicodemo si sarebbe trovato di fronte all'impossibilità di riprodurre il volto del Messia e che l'immagine sarebbe stata da lui ritrovata già scolpita in modo miracoloso. La leggenda continua raccontando che per sfuggire alla minaccia di distruzione essa ve‐ nisse posta su una nave priva di equipaggio, lasciata libera di navigare a tutti i venti, che infine giunse nel Tirreno, di fronte al porto di Luni. La nave avrebbe resistito ad ogni tenta‐ tivo di abbordaggio da parte dei lunensi, salvo poi approdare spontaneamente a riva dopo l'esortazione del vescovo di Lucca Giovanni I, giunto nel frattempo nella zona dopo essere stato avvisato in sogno della presenza sulla nave del Volto Santo. Una volta portato a terra, il crocifisso fu ancora disputato da lu‐ nensi e lucchesi, ma altri segni divini vollero che il crocifisso venisse condotto a Lucca, e alla fine i lunensi furono costretti a rinunciare al possesso della reliquia, ricevendo in com‐ pensazione un'ampolla del Sangue di Cristo prelevata da dentro il crocifisso. Tale reliquia è ancora venerata a Sarzana, essendovi giun‐ ta dopo l'abbandono di Luni. I lucchesi accolsero immediatamente con grande venerazione il crocifisso del Volto
5.
Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 5 Santo, il quale fu posto nella Basilica di S.Frediano. Al mattino seguente però, il Volto Santo era sparito. Fu però ritrovato in un orto nelle immediate vicinanze del Duomo di S.Martino: individuato come un "segno" mi‐ racoloso, il Crocifisso del Volto Santo resta tutt'oggi nel Duomo di Lucca. La suggestiva processione del Volto Santo (Luminara di Santa Croce) che si svolge il 13 Settembre di ogni anno ripercorre lo stesso itinerario. La storia Il Volto Santo fu veneratissimo fin dalla metà del sec. XI e Lucca divenne mèta di pellegri‐ naggi da ogni parte d'Europa. La sua effige divenne il simbolo della città tanto che fu posta sui sigilli dei cambisti e sulle monete. Il culto dette origine a derivazioni curiose come la Santa Kummernis dei paesi germanici, pro‐ messa sposa del re di Sicilia, che fu fatta cro‐ cifiggere dal padre perché le era cresciuta la barba e aveva così evitato il matrimonio (la santa proteggeva le donne che volevano libe‐ rarsi dei mariti). Tornando al Volto Santo, per quanto riguarda la datazione, si esclude che possa risalire al sec. I, come vorrebbe la leggenda. Per ragioni stilistiche gli studiosi sono concordi nel situa‐ re l'opera intorno all'XI secolo, e comunque in ambito romanico. Non è escluso tuttavia che possa essere la copia di un esemplare forse dell'VIII secolo e siriaco, come indicherebbero i particolari somatici del volto (occhi sporgen‐ ti, barba bipartita) e la caratteristica veste a maniche lunghe, rara nei crocifissi italiani dell'epoca. La leggenda è stata raffigurata dal pittore Amico Aspertini (nella foto) nella Cappella di S. Agostino all'interno della Basilica di S. Fre‐ diano. CHIESA DI S. MICHELE La Chiesa di San Michele è situata sull'area dell'antico Foro Romano, ed è stata in ogni tempo il centro della città, luogo di incontri e di scambi commerciali. Addirittura nel perio‐ do comunale, fino al 1370, vi si riuni‐ va il Consiglio Maggiore, massi‐ mo organo legisla‐ tivo di Lucca. Menzionata per la prima volta nel 795 con la deno‐ minazione ad foro, la chiesa attuale è stata costruita a par‐ tire dal 1070 per volere di papa Alessandro II. I lavori si sono protratti in epoche successive ed hanno caratterizzato un'opera architetto‐ nica con stili diversi fra loro. La chiesa ha tre navate, transetto ed abside semicircolare; sul transetto meridionale dell´edificio si innalza il campanile costruito a partire dal XII secolo. Le antiche cronache lucchesi riportano a questo proposito un particolare curioso: l' ultimo piano del campa‐ nile venne abbattuto sotto la signoria (1364‐ 1368) di Giovanni dell'Agnello doge di Pisa, o perché più alto della torre dell'Augusta che serviva a scambiare segnali con i pisani attra‐ verso il monte di San Giuliano, o perchè il suono delle campane giungeva fino a Pisa! L'esterno della chiesa è caratterizzato da un'altissima facciata che emerge isolata so‐ pra il tetto ed è ricca di sculture e di intarsi, molti dei quali vennero rifatti nel XIX secolo. Spicca la statua dell'arcangelo San Michele, che è collocata nella parte più alta della chie‐ sa e raggiunge i 4 metri di altezza. Per renderla stabile di fronte alle folate di vento venne impiegata una grande quantità di materiale ferroso. La leggenda vuole che nell'anello posto al dito dell'angelo sia incastonato un diamante di enormi dimensioni e di sera, da un preciso punto della piazza, è possibile scorgerne il luccichio. Tra le opere conservate all´interno vanno segnalate la Madonna col Bambino, terracot‐ ta smaltata di Luca della Robbia, e la tavola raffigurante Quattro Santi di Filippino Lippi.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 6 BASILICA DI S. FREDIANO San Frediano durante la Luminara di Santa Croce. Secondo la tradizione fu lo stesso S. Frediano, vescovo di Lucca di origine irlande‐ se, a fondare la chiesa, inizialmente intitolata a San Vincenzo. E' menzionata per la prima volta in un documento dell'anno 685 come basilica Longobardorum. Ebbe importanza notevole a partire dalla seconda metà del XII secolo, quando divenne uno dei più importanti centri per la diffusione della riforma liturgica gregoriana. Particolarmente suggestivo il mosaico della fine del XIII secolo posto sulla facciata, rarissi‐ mo nel romanico (in Toscana l'unica altra facciata decorata con un mosaico è quella del S. Miniato al Monte di Firenze). Raffigura il Cristo Redentore che ascende al cielo in una mandorla portata da due angeli. In mezzo agli Apostoli manca la figura della Vergine, taglia‐ ta via dalla finestra moderna. Lo stile dell'o‐ pera è dichiaratamente bizantino ed è riferi‐ bile alla Scuola lucchese dei Berlinghieri. L'interno della chiesa è suddiviso in tre nava‐ te, ed è regolato da due magnifici colonnati ad archi uguali. Sui fianchi sorgono numerose cappelle gentilizie, edificate tra XIV e XVI secolo. Da un punto di vista storico‐artistico le cap‐ pelle più significative sono quella di S. Agosti‐ no, con gli affreschi del pittore emiliano Ami‐ co Aspertini (1474‐1552), e quella della fami‐ glia Tenta con il dossale d'altare e le lastre tombali opera dello scultore senese Jacopo della Quercia (1374 circa‐1438). Da segnalare poi lo splendido fonte battesi‐ male del XII secolo, che si trova nello spazio adibito a battistero, a destra dell'entrata. I bellissimi rilievi raffigurano le Storie di Mosè, gli Apostoli e i Mesi, opere che vanno ascritte a maestri di scuola toscana e lombarda. E' dalla Basilica di San Frediano che ogni 13 settembre prende il via la suggesti‐ va Luminara di Santa Croce Giovedì 26
agosto PROGRAMMA : ore 7.30 Partenza per Siena, arrivo previsto ore 10.00 ore 9.30 Basilica di San Domenico, Santuario di Santa Caterina, Fontebranda, Duomo, Piazza del Campo ore 13.00 pranzo (pizzeria IL BANDIERINO, niente meno che in piazza del Campo, sulla curva di San Martino. Ricordarsi di portare il cavallo) tel : 0577282217 ore 15.00 Museo Civico di Palazzo Pubblico ore 16.30 partenza dal parcheggio San Prospero e rientro a Lucca SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 7 Siena BASILICA DI SAN DOMENICO Costruita dalla metà del 1200 è stata sviluppata nel Trecento, secondo lo stile Gotico, si fa notare da lontano per la sua altezza. E’ legata alla storia di Santa Caterina da Siena, patrona d’Europa, della quale espone la sacra testa perfettamente conservata. La costruzione del complesso comprendente la chiesa e il convento, iniziata intorno al 1225, si dice dopo la visita a Siena dello stes‐ so San Domenico, fu conclusa dopo circa quaranta anni, cioè intorno al 1262/65. Nel Trecento la chiesa fu ampliata in stile più gotico e nel 1361 iniziarono i lavori per il co‐ ro. La struttura ci è giunta fino a oggi, nono‐ stante gli incendi rovinosi del 1443 e del 1531; le occupazioni delle milizie spagnole nel 1548 e nel 1552; il terremoto del 1798. In posizione privilegiata e particolare, la basi‐ lica ha uno strano rapporto fra interno ed esterno. La facciata, infatti, si presenta abboz‐ zata e scarna, anche se riconoscibile grazie all’occhio centrale che si scorge in alto al centro. E’ probabile però che i lavori si siano interrotti per non rovinare la Cappella delle Volte, di cui si ha notizia già nel 1368 e che si trova, ancora oggi, addossata alla controfac‐ ciata. Questa cappella era, in qualche modo, intoccabile perché la basilica di San Domeni‐ co, tramite essa cappella, si lega alla vicenda di Santa Caterina da Siena; al suo interno, infatti, nella cappella delle Volte, la mistica senese avrebbe compiuto alcuni dei suoi più importanti miracoli. L’agiografo Beato Rai‐ mondo da Capua, confessore di Caterina, ci racconta che in questa cappella la Santa offrì il proprio mantello a Cristo pellegrino. A causa della Cappella, la facciata restò solo un abbozzo e il vero ingresso si trova, ancora oggi, sul prospetto laterale. Entrando quindi, ci si può spostare nella Cappella delle Volte, dove nel 1667 fu trasportato un bell’affresco di Andrea Vanni (1375) con S. Caterina e una devota. Si tratta dell’unica raffigurazione eseguita a Siena con la Santa ancora in vita e, quindi, delle raffigurazioni quella che più probabilmente riporta i tratti reali della Santa (archetipo). La cappella però contiene altri capolavori come la barocca Canonizzazione di Santa Caterina, splendida tela di Mattia Preti. Bello il coro ligneo quattrocentesco. Subito fuori si apre la chiesa, con il suo soffit‐ to ligneo e con la classica struttura a T, tipica delle grandi chiese degli ordini monastici di Siena. Sulla parte destra, dipinti e un bel Cro‐ cifisso ligneo dentro una nicchia del XIV seco‐ lo. Più avanti una Pietà lignea e al secondo altare, Natività della Madonna, capolavoro di Casolani (1584). Ancora oltre, reliquie di San‐ ta Caterina, fra cui un dito e una Pietra sacra usata come altare portatile. CAPPELLA DI SANTA CATERINA A circa metà della navata, sulla destra, ecco la Cappella di S. Caterina, fatta costruire nel 1460 da Niccolò Bensi per ospitare la testa della Santa Patrona d’Italia conservata nello stupendo altare marmoreo, opera di Giovanni di Stefano (1469). A destra, due leggiadri angeli reggono un candelabro, la reliquia è al centro, protetta da una grata, sopra un deli‐ cato busto della Santa. Sotto la mensa dell’Altare è sepolta la Beata Caterina dei Lenzi. Mirabili gli affreschi che ricoprono per intero la cappella, cominciati dal Sodoma, che raffigurò con eccezionale intensità (il grande artista piemontese ebbe a Siena una seconda patria) lo Svenimento mistico e L’estasi della Santa (1526). Ancora all’arte finissima del Sodoma vanno attribuite la Decapitazione di Niccolò di Tuldo, vivace e drammatica scena, e l’elegante decorazione a lato dell’Altare e all’interno dell’Arco (grottesche). La decorazione, interrotta, fu ripresa da Fran‐ cesco Vanni che dipinse a olio sulla parete destra, S. Caterina libera un’ossessa e nell’intradosso, Scene della vita del Beato Tommaso Nacci. Bellissimo, infine, l’effetto
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 8 prodotto dalla cupoletta in alto e dalla pavi‐ mentazione a marmi mischi con scena mitolo‐ gica. SACRESTIA Continuando, oltre la cappella della Santa, ecco la sagrestia con bellissimo altare con telo‐stendardo del Sodoma e raffigurante L’Assunta. Sul soffitto, leggibili appena, tracce di affreschi trecenteschi e, a lato, cappellina, residuo dell’antica sacrestia sacrificata per la cappella della Santa. Tornando nella navata, bel frammento di affresco con Madonna in trono e Bambino benedicente un guerriero, attribuita a un gio‐ vane Pietro Lorenzetti. Subito dopo, ecco un capolavoro di Francesco di Giorgio Martini, Adorazione dei pastori. E’ questa una delle migliori opere pittoriche del maestro senese (1475/80) e segna un avvicinamento, anche a Siena, alle opere e allo spirito botticelliano. L’amplissimo transetto è intervallato da cap‐ pelle e chiuso a destra dall’Altare dedicato al Beato Sansedoni. Tornando alla sagrestia, una visita la merita l’antica cripta con murati frammenti scultorei provenienti da antiche costruzioni ecclesiali. La cripta a tre navate è un bell’esempio di gotico senese e conserva una bellissima Croce a fondo oro di Sano di Pietro. Da vedere infine il chiostro quattro‐ centesco, purtroppo molto rimaneggiato, con bei pilastri di Antonio di Niccolò da Settigna‐ no. Riguadagnando l’uscita, vale la pena godersi la visione esterna di questa chiesa immersa, a valle della città, fra il borgo e la campagna, svettante con la sua torre e le sue grandi pareti gotiche. Ingresso (21) La Cappella delle Volte (1). Canonizzazione di Santa Caterina di Mattia Preti(2) , affiancata da due dipinti (la Santa dona l'abito a Gesù pellegrino e riceve da Cristo la crocetta) fir‐ mati e datati 1602 da Crescenzio Gambarelli, autore pure, nella parete adiacente, della Morte della Santa e della Santa che recita l'uffizio con Cristo (1602), collocate ai lati dell'Apparizione di Caterina a Santa Rosa da Lima di Deifebo Burbarini. Affre‐ sco di Andrea Vanni con Cate‐ rina e una devo‐ ta, veritiero ritratto della santa(3) . La parete sini‐ stra della navata Madonna col Bambino di Fran‐ cesco di Vannuc‐ cio, incorniciata da una tavola del Sodoma con l'Eterno e Santi e completata dalla predella con quindici Storie neotestamentarie riferite ad Antonio Magagna (17); il Sant'Antonio Abate che libera una indemoniata di Rutilio Manetti (1628) (18); lo Sposalizio mistico di Santa Caterina d'Alessandria di Sebastiano Folli (19); il San Giacinto che salva da un in‐ cendio una statua della Vergine e un ostenso‐ rio di Francesco Vanni (1600) (20). La cappella di Santa Caterina La parete destra della navata Nella parete destra della navata si trovano l'Apparizione della Vergine al Beato Gallerani di Stefano Volpi (1630) (4), la Natività della Vergine di Alessandro Casolani (1585) (5), e una teca contenente reliquie di Santa Cateri‐ na (6). Segue la cappella di Santa Caterina (7), voluta nel 1466 da Niccolò Bensi per custodire la reliquia della testa della santa, collocata al centro dell'altare di Giovanni di Stefano, or‐ nato lateralmente da due affreschi del Sodo‐ ma (Svenimento ed Estasi della Santa), autore anche della Morte di Niccolò di Tuldo sulla parete sinistra; di fronte è la Santa che libera un'ossessa di Francesco Vanni (1593‐1596). Completa la cappella il quattrocentesco pavi‐ mento marmoreo con la raffigurazione di Orfeo e gli animali, attribuito a Francesco di Giorgio.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 9 La parete destra della navata continua con un affresco staccato di Pietro Lorenzetti (Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e un cavaliere) e l'Adorazione dei pastori di Francesco di Giorgio (9), completata dalla lunetta di Matteo di Giovanni e dalla predella di Bernardino Fungai. Il transetto Il transetto destro è ornato sul fondo dall'al‐ tare dedicato al Beato Ambrogio Sansedoni (11), raffigurato nella tela di Francesco Rustici (1611‐1612) collocata al centro. Tra le cappelle si segnalano la seconda, per i monumenti sepolcrali dei defunti della "Nazione tedesca", e la terza per la Madonna col Bambino ed i Santi Girolamo e Giovanni Battista di Matteo di Giovanni (1476) (13). La quarta cappella (15), oltre l'altare maggio‐ re, presenta una Crocifissione con i Santi Eu‐ genio e Benedetto di Raffaello Vanni (1649) e un Sant'Antonio Abate intagliato da France‐ sco di Valdambrino e policromato da Martino di Bartolomeo (1426). La Maestà di Guido da Siena (riferibile, nonostante la data 1221, al 1265‐1270 e ridipinta da un pittore duccesco nei volti della Vergine e del Bambino) è collo‐ cata al centro della quinta cappella (16), dove si trovano la Madonna col Bambino e i Santi Gregorio, Giacomo, Girolamo e Sebastiano di Benvenuto di Giovanni, la Santa Barbara con le Sante Maria Maddalena e Caterina d'Ales‐ sandria (nella lunetta l'Adorazione dei Magi) di Matteo di Giovanni (1479) e, in alto, due affreschi di Giuseppe Nicola Nasini (Storie di San Giacinto e del Beato Sansedoni). Il tran‐ setto sinistro è concluso dall'altare di San Domenico e dall'ottocentesco Monumento di Giuseppe Pianigiani (Enea Becheroni e Tito Sarrocchi). Altare e abside Il recente altare maggiore (14) è abbellito dal ciborio e dai due angeli di Benedetto da Maiano (1475‐1480) mentre nell'abside sono collocate la Morte di San Pietro Martire di Arcangelo Salimbeni (1579) e San Tommaso di fronte al papa di Galgano Perpignani. FONTEBRANDA L’imperatore Carlo V, in occasione di una visita alla città, dichiarò che Siena sotterranea è più bella di quella che sta alla luce del sole. Senza dubbio, si riferiva all’antico acquedotto medioevale, che si estende per quasi 25 chilo‐ metri di gallerie tutte praticabili, e che tuttora rifornisce le varie fonti, collocate nei punti strategici del centro storico. Gli splendidi cunicoli sotterranei, chiamati “bottini” per la loro particolare forma a botte, sono i resti di antiche condotte destinate alle fonti pubbli‐ che. Fonte Branda è forse la più famosa e sicura‐ mente tra le più antiche fonti senesi. Situata nella via omonima, a ridosso della Rupe di San Domenico (o Colle del Costone), essa è stata per secoli la fonte che permetteva l’approvvigionamento idrico di gran parte della città. Ha un suo fascino particolare ed una fama che ha oltrepassato i confini senesi. Documentata fin dal 1081 ed ampliata dal Bellamino nel XII secolo, fu ristrutturata nelle attuali forme gotiche da Giovanni di Stefano verso la metà del Trecento. Interamente co‐ struita con mattoni, ornata di merli, sormon‐ tata da timpani e da quattro doccioni leonini che racchiudono lo stemma di Siena, caratte‐ rizzata da tre poderosi archi a sesto acuto che formano la sua struttura, Fonte Branda somi‐ glia più ad una piccola fortezza che ad una fonte tradizionale. Forse a causa dell’iscrizione che vi appare, si ritiene che questa fonte sia quella citata da Dante nel canto XXX dell’Inferno, ma studi recenti pro‐ vano che il sommo poeta si riferisce ad un'al‐ tra fonte ‐ omonima ‐ che si trova presso il Castello di Romena, in provincia di Arezzo. SANTUARIO DI SANTA CATERINA Il rione di Camollìa è famoso ‐ tra l’altro ‐ per aver dato i natali a Santa Caterina, figlia del tintore Jacopo Benincasa che, con la moglie Lapa e i ventiquattro figli, abitava in una casa probabilmente di proprietà della corporazio‐ ne dell’Arte della Lana. Acquistata dal Comu‐ ne di Siena nel 1466, pochi anni dopo la cano‐ nizzazione della Santa (avvenuta nel 1461,
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 10 per opera di papa Pio II Piccolomini), fu, per volere degli stessi cittadini, trasformata in oratorio. I lavori iniziarono dalla parte più bassa, da quel fondaco usato come tintoria dalla famiglia Benincasa. L’Oratorio della Tintoria fu realizzato da Francesco di Duccio del Guasta con l’aiuto di Corso di Bastiano tra il 1465 e il 1474. Alle decorazioni lavorarono anche Antonio Federighi e Urbano da Cortona (a quest’ultimo si deve la lunetta del portale, la Santa Caterina tra due angeli). L’esterno fu ristrutturato da Giuseppe Partini, Pietro Mar‐ chetti e Giuseppe Maccari nel 1877. La chiesa, che è oratorio della Nobile contra‐ da dell’Oca, presenta una navata con volta a crocie‐ ra e conserva una splen‐ dida Santa Caterina in legno policromo, opera del Neroccio (1474). Risa‐ lendo la strada a sinistra, dalla costa di Sant’Antonio si accede al Santuario cateriniano che racchiude l’abitazione dalla Santa. Questa si affaccia sul vicolo del Tiratoio, dove si scorge un portale in pietra che presenta nell’architrave l’iscrizione “Sponsae Kristi Catherinae Domus” e che era l’ingresso origi‐ nario al complesso cateriniano prima che, nel 1941, venisse costruito il Portico dei Comuni. Da qui si accede all’Oratorio del Crocifisso, a una navata, decorato da affreschi per lo più di mano di Giuseppe Nicola Nasini, che conserva un Crocifisso su tavola di scuola pisana del primo Duecento, davanti al quale Caterina avrebbe ricevuto le stimmate. Attiguo è l’Oratorio Superiore o della Cucina, probabil‐ mente ricavato ‐ in parte ‐ nella cucina della famiglia Benincasa e coperto da un bel soffit‐ to a cassettoni, con opere del Riccio, France‐ sco Vanni, Bernardino Fungai, Manetti e Po‐ marancio. Quindi, si scende all’Oratorio della Camera affrescato da Alessandro Franchi nel 1896 e all’altare dove si trova La Santa che riceve le stimmate di Girolamo di Benvenuto. Accanto è la cella in cui la santa si dedicava alla preghiera. IL DUOMO Opera insigne dell’architettura nazionale ed europea. Vi si accede dalla via del Capitano, arrivando alla Piazza del Duomo. PIAZZA L’edificio di culto domina la spianata, con il suo lunghissimo fianco policromo (bianco e nero, colori della città) e la sua ricchissima facciata che quasi si nasconde rispetto alla mole complessiva. La cattedrale prese il posto di un edificio più antico, un Castrum romano, trasformato nell’Alto Medio Evo in una strut‐ tura di proprietà vescovile che constava di una picco‐ la cappella. Il primo nucleo del Duomo, oggi scompar‐ so, risaliva alla fine del XII secolo (tradizionalmente si vuole che la consacrazione risalga al 18 Novembre 1179), ma i principali lavo‐ ri e la completa trasforma‐ zione si ebbe all’inizio del XIII secolo ad opera del geniale architetto Nicola Pisano che inizia a lavorare qui dopo il 1215 e, dopo la sua mor‐ te, lascia il cantiere a suo figlio, Giovanni Pisa‐ no. Dal genio dei due architetti‐scultori ven‐ gono la cupola, compiuta nel 1263, coperta con lastre di piombo e culminata da una ‘mela’, sfera di rame dorato (la lanterna è invece un rifacimento in stile del 1667), il campanile, ottenuto da uno preesistente, e, soprattutto, la facciata, splendida, divisa in tre portali. Se spesso la critica ne ha sottolineato la diso‐ mogeneità stilistica, dovuta al lungo tempo della costruzione, non ha potuto negarne lo splendore e la ricchezza. A Giovanni Pisano si devono le belle statue marmoree di Santi, Profeti e Sibille che si inseriscono nel tessuto della facciata. Anche le colonne a girali, bellissime, reggenti l’architrave del portale maggiore sono della stessa mano.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 11 A onor del vero, però, sarebbe più giusto dire che sono copie, pregevoli, delle originali tra‐ sportate nell’Ottocento, per conservarle e, anche, secondo la mentalità restaurativa dell’epoca, per dare alla facciata un aspetto più sgargiante, nel Museo dell’Opera del Duo‐ mo. L’architrave è, invece, originale e fu scolpito da Tino da Camaino alla fine del Duecento. Del Trecento, dopo l’interruzione dei lavori, sono invece la parte terminale del rosone centrale e le tre cuspidi, opera di Giovanni di Cecco. Mediocri invece i mosaici su Disegni di Alessandro Franchi e di Luigi Mussini (1877) che rappresen‐ tano l’Incoronazione della Ma‐ donna, La Natività e La presen‐ tazione di Gesù al Tempio. Del Seicento, invece, i busti di Beati dei frontoni che sovrastano i tre portali della facciata, opera di Tommaso Redi. Il pavimento del sagrato era ricco di decora‐ zioni marmoree, introduzione a quelle famo‐ sissime dell’interno, purtroppo oggi scompar‐ se e sostituite con poco interessanti copie moderne. SPEDALE SANTA MARIA DELLA SCALA Subito davanti la facciata della chiesa si erge l’insolito prospetto dello Spedale Santa Ma‐ ria della Scala, sorto nel Medio Evo come ospedale per i pellegrini e fanciulli, è oggi interessante museo e luogo di cultura. Istitu‐ zione fondamentale negli equilibri ammini‐ strativi della città medievale e moderna, lo Spedale si consolida nel Trecento e invita per la sua decorazione alcuni dei più importanti artisti dell’epoca. Sono circa 350.000 i metri cubi che compon‐ gono questa immensa fabbrica che, sottopo‐ sta a un recente e accurato restauro, ha sve‐ lato infiniti tesori d’arte. Dall’ingresso su piaz‐ za Duomo, è assolutamente meritevole di una visita la Cappella del Manto con un bell’affresco di Domenico Beccafumi e il Pas‐ seggio, grande e severo corridoio. Il cuore dello Spedale è, però, il Pellegrinaio che occu‐ pa longitudinalmente buona parte dell’architettura. La sua decorazione mostra la mano abile di Domenico di Bartolo, di Lo‐ renzo Vecchietta e di Priamo della Quercia. La vicina sagrestia vecchia conserva, poi, un bel ciclo di affreschi del Vecchietta. Sotto le sale del pianterreno, lo Spedale si snoda attorno ai cosiddetti Magazzini delle Corticella, grandi spazi adibiti, un tempo, a deposito e ora luo‐ ghi espositivi. Ancora più giù, lo Spedale si sviluppa in una serie caratteristica di vani, dall’intricata disposizione, detti appunto labirinti che ospitano oggi il Museo archeologico di Siena con reperti romani rinvenuti nel territorio. Accanto allo Spedale, si trova la chiesa della San‐ tissima Annunziata, di pianta duecentesca, ingrandita successivamente e contenente un bel Cristo portacroce in bronzo del Vecchietta e un gigantesco affresco raffigurante la Pro‐ batica piscina di Sebastiano Conca. Uscendo dalla Chiesa, sulla sinistra, il bel Pa‐ lazzo della curia Arcivescovile, dai tratti pre‐ cocemente neogotici (inizio XVIII secolo) e il Palazzo Reale, un tempo dimora dei Medici, dopo la conquista fiorentina di Siena. Oggi è sede della provincia e conserva al suo interno un bellissimo ciclo di arazzi cinquecenteschi su disegno dell’Allori. Seguendo il fianco destro del Duomo, eccoci al ‘facciatone’, resto imponente e malinconi‐ co della grande fabbrica mai finita del Duomo ‘nuovo’. Vicino a una delle porte della chiesa incom‐ piuta, troviamo l’ingresso al Museo dell’Opera Metropolitana. DUOMO NUOVO Vale la pena, prima di entrare, di osservare meglio la piazza, per guardare quelle strane mura, forate da bifore che si estendono dal fianco della chiesa. Sono tutto ciò che resta di uno dei più ambiziosi tentativi dell’architettura cristiana. Da poco completa‐ to l’impianto dell’attuale fabbrica del Duomo,
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 12 i senesi si lanciarono in una “folle impresa”, come la definì Enzo Carli. Giunta al culmine della ricchezza culturale ed economica, la città, per delibera del Consiglio Generale della Campana, decise, nel 1339, di iniziare la costruzione di una ben più ampia cattedrale di cui l’attuale costruzione sarebbe stata semplicemente il braccio corto trasver‐ sale della croce latina! Se compiuto, si sareb‐ be trattato del più grande Tempio della cri‐ stianità. Sotto la direzione di Lando di Piero, prima, e di Giovanni d’Agostino, poi, l’opera fu intrapresa con fervore, tanto che in pochi anni si costruì un lato delle mura del corpo centrale a tre navate, ancora oggi visibile. Questa torre di Bebele sacra crollò, però, all’arrivo della Peste Nera del 1348 che deci‐ mò committenti, progettisti e, soprattutto, operai. I lavori furono interrotti del tutto nel 1357, lasciandoci però un’idea suggestiva di questa chiesa irrealizzata: le colonne delle tre navate su quella che è oggi Piazza Jacopo della Quer‐ cia, le mura del fianco, i resti del ‘facciatone’ e il bellissimo portale sotto il quale si passa per accedere al Battistero. INTERNO All’interno della cattedrale non si può non rimanere colpiti dalla severità e, insieme, dalla grandiosità di que‐ sta opera imponente, esaltata da pilastri in marmo a strisce bianco e nere (simbolo cittadino). La bicromia, già presen‐ te in facciata, scandisce la struttura e introduce alle grandi opere pre‐ senti nelle tre navate che compongono il cor‐ po della chiesa, nel transetto, nell’abside, nelle strutture laterali. PAVIMENTO Per osservare, però, il primo capolavoro della chiesa basterà abbassare lo sguardo e muo‐ versi con attenzione nel tracciato che i restau‐ ratori, dopo l’ultimo, recentissimo, intervento hanno inserito. Potremo godere così del pavi‐ mento marmoreo delle tre navate. Si tratta di un magnifico pavimento con storie e figure in marmo a colori e a sgraffio. L’opera è frutto, come la facciata, di diverse mani e di diverse epoche. Si può dire che i riquadri marmorei vanno dal 1373 al 1547. Inutile dire, forse, che il calpestio dei secoli ha provocato non pochi danni alle figure che spesso sono state rifatte o restaurate. Restano comunque ben visibili tutte le scene. Partendo dall’ingresso alla navata centrale, troviamo: Ermete Trime‐ gisto di Giovanni di Stefano, La Lupa senese di ignoto del sec. XIV, L’Aquila imperiale, sempre di ignoto autore, Il colle della Virtù, opera somma del Pinturic‐ chio (1505), dove si scorgono dei Saggi, guida‐ ti dalla Fortuna, arrivare su di un’isola e sca‐ larne il colle sormontato da una Virtù, splen‐ dida donna accompagnata da Socrate e Cra‐ tete; chiude una Ruota della Fortuna e del Potere, attribuita a Domenico Niccolò. Le navate laterali sono arricchite da una serie di Sibille, su disegni del Cozzarelli, di Matteo di Giovanni, di Benvenuto di Giovanni, di Urba‐ no da Cortona, che però molto hanno subito dalle ingiurie del tempo e da maldestri re‐ stauri. Buona è invece la conservazione delle scene sotto la cupola, del tran‐ setto e dell’abside, che sono ricchissime e testi‐ moniano oltre che diver‐ se mani, anche diverse modalità di interpreta‐ zione concettuale. Le tredici scene sotto la cupola sono, infatti, di Domenico Beccafumi e del suo allievo Giovan Battista Sozzini che le disegnò con tratto or‐ mai quasi manierista. Le scene del transetto sono in parte ancora del Beccafumi, ma so‐ prattutto di vari artisti senesi del Quattrocen‐ to e hanno impronta più nettamente umani‐ sta. Fra queste ricordiamo La strage degli Innocenti, ancora di Matteo di Giovanni.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 13 Tornando alla chiesa, possiamo osservare nella navata centrale, le belle acquasantiere di Federighi (1466) che riprendono una sim‐ bologia pagano‐cristiana, tipica del Rinasci‐ mento e di questo edificio in particolare (e già vista nel riquadro pavimentario del Pinturic‐ chio). Uno sguardo lo merita, girandosi indietro, anche il rosone a vetri, opera cinquecentesca di Pastorino Pastorini, raffigurante l’Ultima cena. Belli, inoltre, i bassorilievi con Storie di S. Ansano, d’incerta attribuzione, posti sull’architrave e quelli con Storie di Maria, posti nella loggia in controfacciata, di Urbano da Cortona. In fondo alla navata, si apre la bella cupola dalla forma asimmetrica e sorretta da sei pilastri, al sommo dei quali sono Statue gigan‐ tesche in stucco dorato dei Santi Patroni di Siena (S. Caterina e San Bernardino su tutti). Le nicchie trasformano il tamburo della cupo‐ la in dodecagono e sono intervallate da 42 colonnine che formano una galleria cieca, dentro la quale sono dipinti in monocromo Profeti e Patriarchi. Sull’innesto della cupola sul dodecagono si notano piccole sculture di teste umane e animalesche attribuita a Nicola Pisano. CAPPELLA DEL VOTO Dalla cupola, ci si sposta al transetto di de‐ stra, dove si apre la cappella del Voto che accoglie un’immagine carissima alla città di Siena, che, anche nel Medio Evo, era forte‐ mente immersa nel culto mariano: La Madon‐ na col Bambino ora attribuita a Dietisalvi di Speme. Attorno a questo culto, dell’icona della Madonna con il Figlio, si è costruito il più bell'intervento barocco della città, per volere di Papa Alessandro VII e per mano di Gian Lorenzo Bernini, incaricato dell’opera nel 1660. Al Bernini e alla sua enorme maestria dobbia‐ mo le due sculture che aprono la cappella: La Maddalena, vero virtuosismo barocco, e San Girolamo. La cappella è a pianta circolare con otto belle colonne di marmo verde antico che, si dice, furono fatte portare qui da S. Giovanni in Laterano. Ai lati dell’immagine sacra, posta dentro una teca retta da due angeli dorati e sormontata da due putti e dallo stemma pontificio, pregevoli le statue in marmo di San Bernardino e Santa Caterina, di Ercole Ferrata e di Antonio Raggi. Uscendo dalla cappella, si noti un capolavoro di Mattia Preti, il Cavaliere calabrese, La pre‐ dica di San Bernardino (1670), opera intensa nei suoi giochi chiaroscurali e nella distribu‐ zione dei personaggi. ALTAR MAGGIORE Al centro dello spazio del transetto del Duo‐ mo, troviamo il bellissimo Altar maggiore, opera straordinaria di Baldassarre Peruzzi (1532). In bronzo e marmo, l’altare conserva una sobrietà geometrica interrotta dall’imponente verticalità del Tabernacolo bronzeo del Vecchietta, posto al centro. L’opera fu collocata qui dal despota Pandolfo Petrucci, nel 1506, per sostituire la Maestà di Duccio non più rispondente al gusto dell'epo‐ ca. I begli Angeli in bronzo sono di Giovanni di Stefano (coppia in alto) e di Francesco di Gior‐ gio (coppia in basso). Bellissimi anche gli altri Angeli, posti sulle colonne prossime al presbi‐ terio, otto in tutto, capolavoro del Beccafumi. L’abside è ancora intervento tardo (1525) del Peruzzi che vi aprì una nicchia, coperta fra il 1535 e 1544 dagli affreschi del Beccafumi, Ascensione di Gesù e Madonna e apostoli, purtroppo in gran parte compromessi da interventi successivi. Le zone laterali dell’abside sono invece opera pittorica di Ventura Salimbeni (1608‐1611) con scene bibliche e Santi e Beati senesi. Capolavoro fra i capolavori, nell’abside è la grande vetrata centrale, una delle più impor‐ tanti testimonianze dell’arte vetraria italiana, adesso trasportato nel Museo dell'Opera del Duomo. Si ritiene eseguita su cartoni di Duccio nel 1288 e qui collocata, dopo i lavori, nel 1365. E’ divisa in nove zone: il Seppellimento di Maria e L’Assunzione; i quattro Evangelisti; i Santi Patroni Ansano, Savino, Crescenzio e Bartolomeo.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 14 CORO Sotto l’occhio della vetrata, rischia di passare in secondo piano lo splendido coro ligneo costruito nel Trecento, ma con vari interventi successivi e con stalli intagliati e splendido leggio disegnato dal Riccio ed eseguito da Domenico Cafaggi e Benedetto di Giovanni. Accanto al coro, si apre una sagrestia con alcuni altari quattrocenteschi e una serie di affreschi con scene mariane, attribuiti a Bene‐ detto di Bindo e realizzati intorno al 1410. Sulla parete dell’ingresso, resti di affreschi attribuiti a Domenico di Bartolo e un elegante tabernacolo. PULPITO Subito oltre, lo splendido Pulpito del Duomo, realizzato da Nicola Pisano e dalla sua bottega tra il 1265 e il 1269. È stato per lungo tempo attribuito a Giovanni Pisano. E’ una delle ope‐ re scultoree medievali più celebri d’Italia, vicina per bellezza agli altri grandi pulpiti toscani di Pisa e Pistoia (sempre dei Pisano). La struttura venne, infatti, ripresa dal precedente pulpito del Batti‐ stero di Pisa (sette colonne delle quali tre con leoni stilofori, archet‐ ti trilobati con pennacchi scolpiti e statue a tutto tondo al di sopra dei capitelli), ma molte furono le novi‐ tà sia architettoniche che nelle sculture. Innanzitutto, venne aboli‐ ta la struttura a pannelli scolpiti a favore di uno schema più continuo e animato, ricchissimo di figurazio‐ ni di animali e uomini, intervallato solo da sculture di figure più grandi collocate agli angoli, anziché dalle cornici e dalle colonnine. La base è ottagonale invece che esagonale e per questo venne aggiunta la Strage degli Innocenti, mentre il Giudizio Universale venne dilatato su due pannelli, con al centro il Cristo giudice. Le scene quindi sono:Natività,Adorazione dei Magi, Presentazione al tempio, Crocefissione, Strage degli Innocenti,Giudizio Universale Le scene sono molto affollate e le figure sono disposte su ben quattro o cinque piani so‐ vrapposti, secondo un ritmo molto concitato, sottolineato anche da gesti animati ed e‐ spressioni drammatiche, ma straordinaria‐ mente unificato dalle direzionalità dei perso‐ naggi che in perfetto ordine, orientano con la semplice posizione del capo i pannelli e la lettura dello spettatore. Bellissimi i classici leoni stilofori che reggono la struttura che fu più volte smontata e ri‐ composta, ed ebbe questa definitiva colloca‐ zione grazie a un progetto del Riccio (1543) che la poggiò sullo zoccolo e ne ridisegnò la scala. CAPPELLA DI SAN GIOVANNI BATTISTA Nei pressi del pulpito, si apre la bella cappella di San Giovanni Battista che custodisce la reliquia del braccio del santo e sul fondo della cappella ospita una delle opere più belle della scultura rinascimentale: il San Giovanni Battista del Donatello. E’ opera in bronzo tarda, ma celebratissima del maestro fio‐ rentino, databile al 1457. Mirabi‐ le la resa ‘realistica’ del volto e delle carni emaciate del santo nelle quali si inseriscono giochi di luce e ombre, esaltate dalla veste del Battista. Ne risulta un effetto quasi romantico, ribelle alla com‐ postezza classica, ma di straordi‐ nario pathos emotivo. Tutt’intorno, la cappella è impre‐ ziosita dagli affreschi di Bernardi‐ no da Betto Pinturicchio, quasi un assaggio dello splendido ciclo pittorico portato a termi‐ ne nella adiacente Libreria Piccolomini. Si tratta di otto riquadri in puro stile rinascimen‐ tale: Ritratto di Giovane cavaliere in paesag‐ gio marino, Natività del Battista, Decollazione del Battista, Ritratto dell’Aringhieri, il Battista nel deserto, Battesimo di Gesù, Battista visita‐ to in carcere dai discepoli, Predica del Batti‐ sta. Fuori dalla cappella, superata la Lastra tom‐ bale in bronzo del vescovo Pecci con uno
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 15 splendido bassorilievo anch’esso del Donatel‐ lo, si può ammirare la Tomba del cardinale Petroni, realizzata da Tino di Camaino nel 1317. E’ uno dei primi esempi di grandi monumenti sepolcrali e colpisce per il suo rigore e la sua intensità. LIBRERIA PICCOLOMINI Si arriva infine all’ingresso della splendida Libreria Piccolomini. Fu voluta nel 1492 dall'Arcivescovo di Siena Cardinale Francesco Piccolomini Todeschini (poi Papa Pio III Picco‐ lomini) perché vi fosse custodito il ricchissimo patrimonio librario raccolto dallo zio Papa Pio II Piccolomini. Per questo si trasformarono alcuni locali della vecchia canonica in una grande sala, con ingresso dallo stesso Duomo, navata di sinistra. Un grande affresco raffigu‐ rante L’incoronazione di Pio III, il committente della fabbrica, sempre del Pinturicchio, sotto‐ linea l’entrata al nuovo ambiente. La porta di bronzo, attraverso cui si accede, immette nella Libreria che non vide mai però i libri di Pio II, ma che fu rivestita di magnifici affreschi sul soffitto e sulle pareti dal Pinturicchio, dopo la morte di Pio III (1503), fra il 1505 e il 1507. Alle pareti sono dieci grandi scene at‐ traverso la cui lettura è possibile ricostruire la vita di Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II. Le immagini sono distribuite su tre delle quat‐ tro pareti (fa eccezione quella della finestra) e la loro lettura deve avvenire da destra verso sinistra analogamente al percorso del sole. Alle prime quattro scene raffiguranti il giova‐ ne Enea al servizio del Concilio di Basilea ne fanno seguito due che evidenziano il ruolo di intermediazione che egli svolse tra papa e imperatore. Concludono il ciclo le immagini relative ai momenti salienti del suo pontificato, dall'ele‐ zione a papa all'arrivo ad Ancona, città nella quale alla vigilia di una importante crociata, il papa morirà. Degno di nota, infine, è il soffit‐ to della Libreria raffigurante temi mitologici. Accanto alla decorazione a grottesche carat‐ terizzata da elementi vegetali, appaiono figu‐ re allegoriche che sottolineano il tema del divenire ovvero l'alternanza tra la Vita e la Morte. Da non molto è ritornato, al centro della libreria, il gruppo marmoreo delle Tre Grazie, proveniente da Roma quale dono del cardinale Todeschini. Ma con gli affreschi del Pinturicchio, le opere più ammirate e prezio‐ se sono i grandi antifonari conservati nelle apposite vetrine, sotto gli affreschi. Le favolo‐ se miniature che decorano molte pagine di questi antifonari appartengono alla storia della grande miniatura italiana; da vedere e rivedere, in particolare, le splendide pagine di Girolamo da Cremona e di Liberale da Vero‐ na, maestri in quest’arte, chiamati apposita‐ mente a Siena per l’esecuzione di queste opere. Uscendo dalla cappella, troviamo ancora un capolavoro che dobbiamo alla famiglia Picco‐ lomini e cioè il gigantesco Altare marmoreo fatto edificare da Francesco Piccolomini nel 1481 a gloria del suo casato. Fu commissiona‐ to al lombardo Andrea Bregno che lo eseguì con gusto del dettaglio e ricchezza di figure. La morte prematura del Bregno, portò il Car‐ dinale Piccolomini a chiedere un intervento, prima, di Pietro Torreggiani, che eseguì, però, solo un S. Francesco, poi, di Michelangelo che eseguì, fra il 1503 e il 1504, un S. Pietro, un S. Paolo, un S. Pio e un S. Gregorio. Sono opere minori del grande artista, ma soprattutto nelle prime due raffigurazioni è facile ricono‐ scere la mano geniale di Buonarroti. Questi, però, non concluse tutte le statue lasciando due nicchie vuote, una tuttora visibile in alto a destra, l’altra riempita più tardi da una bella Madonna col Figlio, già attribuita a Jacopo della Quercia ma ora ricondotta a Giovanni di Cecco. Rimane anche questo altare uno splendido esempio di quella composita crea‐ zione di opere che nel Duomo di Siena ha coinvolto diversi e grandissimi artisti del Rina‐ scimento italiano. Proseguendo verso l’uscita, sempre sulla navata sinistra, si può ammirare, infine, L’adorazione dei Magi, bel dipinto cinquecen‐ tesco di Pietro Sorri.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 16 PIAZZA DEL CAMPO Centro e cuore della città, questo luogo rivo‐ luziona l’idea stessa della piazza italiana me‐ dievale, rifiutando, spazial‐ mente, l’imposizione di una planimetria convenzionale e, concettualmente, qualsiasi commistione fra potere pub‐ blico e potere religioso. Nata su un terreno fragile e fangoso, su cui convergevano le piccole vie dell'antica città, la piazza per secoli ha rappresentato un grosso problema urbano per Siena. Fu proprio in epoca romana che il luogo ven‐ ne bonificato completamente, restando però un centro periferico. Il nucleo della città in formazione si trovava più in alto, nella zona di Castelvecchio, e il futuro "Campo" era uno spazio per i mercati, appena laterale rispetto alle principali strade di comunicazione che passavano per la città. Il primo documento che parla di sistemazione dello spazio del Campo è del 1169 e si riferi‐ sce a tutta la vallata comprendente sia l'attu‐ ale piazza che la Piazza del Mercato, al giorno d'oggi retrostante al Palazzo Comunale. In questa data, la comunità senese acquista il terreno che andava dalle attuali Logge della Mercanzia all'attuale Piazza del Mercato. La prima notizia di una suddivisione delle due piazze si ha nel 1193 e fa dedurre che nel frattempo fosse stato costruito almeno un muro divisorio: da una parte, quindi, il Campo che assume una particolare forma ‘a conchiglia’, dall’altra il Mercato. Intorno al muro, inizia la costruzione di fabbriche e bot‐ teghe. Fino al 1270, lo spazio della futura piazza viene usato per fiere e mercati. Caduto il governo dei Ventiquattro, esempio di dispoti‐ smo aristocratico, nasce l’idea di uno spazio indipendente sia dal potere ecclesiastico che da quello nobiliare. E’ questo il grande pro‐ getto civico che porta alla costruzione del Palazzo Pubblico e, conseguentemente, alla centralità urbana del Campo. Sarà il governo dei Nove a cominciare lenta‐ mente l’attuazione del progetto. All’inizio del Trecento il Palazzo è compiuto e i Nove vi prendono alloggio nel 1310. Da quel momento, inizia la progressiva decorazione e miglioria della piazza. La pavimentazione della piaz‐ za inizia nel 1327 e termina nel 1349. Ancora oggi, la par‐ te centrale è pavimentata in modo analogo, con la suddivisione in nove spicchi a memoria del Governo dei Nove. Il Campo con la sua splendida forma ‘a conchiglia’ era cinto da ricchi palazzi medie‐ vali che i secoli, però, hanno fortemente tra‐ sformato, privandoli di alcune loro caratteri‐ stiche senza alterare per altro il colpo d’occhio complessivo. Di fatto, al di là dei singoli interventi sui fabbri‐ cati, il filo e l’insieme della piazza si manten‐ gono inalterati da quasi sette secoli (un pro‐ getto per coronare la piazza di logge, firmato da Baldassare Peruzzi, fu accantonato nel Cinquecento). FONTE GAIA La fonte trae l'acqua dalla zona nord fuori della città, lungo un crinale che non incontra valli o depressioni. Per trasportare l’acqua fino alla piazza, Giacomo Vanni di Ugolino (detto poi dell’Acqua) impiegò otto anni per scavare grandi canali sotterranei detti bottini. L’acqua arrivò alla fonte nel 1342, seguita da una grande festa dei senesi (per questo la fonte è detta gaia). È la regina delle fonti senesi sia per la sua posizione, la Piazza del Campo, sia soprattutto per l'indubbio valore artistico. Della fonte Gaia del Trecento (che pure aveva una bella decorazione scultorea) quasi niente sappiamo, tranne che fu sostitui‐ ta dal celebre complesso attuale all’inizio del Quattrocento. L'opera, che Jacopo della Quercia scolpì tra il 1409 e il 1419, deve, in‐ fatti, essere considerata tra le maggiori e‐ spressioni della scultura italiana del Quattro‐ cento.
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 17 La fonte che oggi il turista può ammirare è la copia di Tito Sarrocchi che dal 1858 sostitui‐ sce l'originale, rovinata dal trascorrere dei secoli e i cui resti si trovano al complesso museale del Santa Maria della Scala. L'acqua che non viene utilizzata giunge, tra‐ mite bottini più o meno praticabili, a valle della fonte stessa, alimentando le seguenti fonti: Pantaneto, S. Maurizio, Casato, Pispini. Oltre la splendida fonte Gaia, che campeggia nella piazza, spostandosi lungo il Campo è possibile ammirare il bel Palazzo Petroni e quello Piccolomini Salamoneschi, in laterizio, il primo con belle trifore murate. Sull’Angolo detto Curva S. Martino, fra via del Porrione e via Rinaldini, si vedono il Palazzo Ragnoni e, dietro esso, le rimanenze degli edifici poi inglobati nel bel Palazzo Piccolomini. Oltre troviamo il palazzo Mezolombardi‐Rinaldini, oggi conosciuto come Palazzo Chigi‐ Zondadari. Superato il vicolo dei Pollaioli, troviamo i bei palazzi Tornainpuglia‐ Sansedoni, Vincenti e Picco‐ lomini. Questi palazzi, di fondazione trecentesca, furono forte‐ mente modificati fra il 1760 e il 1767 e unificati da un’unica facciata con riprese neogotiche. Tutto l’insieme, però, con il suo compatto laterizio e con i suoi toni fra il rosa e il rosso, dona al Campo una delle più belle decorazioni architettoniche e fa da bel contraltare al Palazzo Pubblico e alla Torre. Il Palazzo della Mercanzia si trova fra i vicoli di S. Pietro e S. Paolo, anch’esso rimaneggiato nel Settecento. I palazzi Saracini e Scotti, fra S. Paolo e la Costarella dei Barbieri, lasciano intravedere, al di là delle modifiche più tarde, l’impianto medievale, così come, subito dopo, il Palazzo Accarigi e, particolarmente, il Palaz‐ zo Alessi. Questi ultimi conservano la bella merlatura guelfa e resti di bifore e trifore. Infine, trovia‐ mo il palazzo Mattasala‐Lambertini, con base in pietra, subito dopo il Chiasso del Bargello e via del Casato di Sotto. IL PALIO Non è forse necessario ricordare che Piazza del Campo è anche il teatro di uno degli even‐ ti folklorici e tradizionali, più importanti d’Italia e del Mondo: Il Palio. Come forse non è necessario ricordare che il Palio è una com‐ petizione fra le contrade di Siena nella forma di una giostra equestre di origine medievale. La corsa (tradizionalmente chiamata ‘carriera’) si svolge normalmente due volte l'anno: il 2 luglio si corre il Palio di Provenzano (in onore della Madonna di Provenzano) e il 16 agosto il Palio dell'Assunta (in onore della Madonna Assunta). In occasione di avvenimenti eccezionali (come ad esempio nel 1969 la conquista della Luna da parte della missione Apollo 11) o di ricor‐ renze cittadine o nazionali ritenute rilevanti e pertinenti (ad es. il centenario dell'Unità d'I‐ talia), la comunità senese può decidere di effettuare un Palio straordinario, tra maggio e settembre (l'ultimo si è tenuto nel 2000, per celebra‐ re l'ingresso nel nuovo millennio). Secondo alcune fonti, fu in ricor‐ do della memorabile battaglia di Montaperti (1260) e dello scam‐ pato pericolo che i senesi decise‐ ro di indire il famoso Palio, anche se, è bene ricordarlo, le prime attestazioni sicure sullo svolgimento della corsa risalgono al 1333 e, d’altronde, visto ciò che abbiamo detto sulla organizzazione della Piazza del Campo, non pare un caso che la corsa abbia avuto inizio solo quando il luogo che l’ha ospitata e la ospita aveva preso una forma definitiva. Va detto, però, che per secoli i palii e le corse dei cavalli si succedettero in modo disordinato e molte sono le manifestazioni, oggi scompar‐ se, di cui c’è traccia nei documenti. Le due date quella del 2 Luglio, precedente‐ mente legata alla visitazione di Maria e poi alla venerata immagine della Madonna di Provenzano, e quella del 16 Agosto, vennero a fissarsi definitivamente in epoche relativa‐ mente recenti: la prima data, basata su una vecchia ‘carriera’ della bufale, organizzata
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 18 dall’Istrice, diventò data del Palio nel 1656, quando alla piazza, per motivi d’incolumità pubblica, vennero negati i giochi pirotecnici per i festeggiamen‐ ti dalla Visitazione; la seconda, lo di‐ ventò nel 1774, anche se da anni si svolgeva, saltuaria‐ mente, una gara fra contrade in quella data (la prima era stata organizzata ancora dall’Istrice nel 1689). Entrambi i Palii sono, oggi, organizzati e gestiti dal Comune di Siena. Palio prende il nome, e non solo a Siena, dal premio: il Palio, dal latino pallium (mantello), era in genere un drappo di stoffa molto pregiata che veniva utilizzato per gli scopi più svariati. A Siena, in genere, era de‐ stinato alla chiesa del rione vincitore. Poteva essere utilizzato sia come arredo per la chiesa stessa, o per altri scopi analoghi. Un pallium cinquecentesco sembra abbia decorato fino a non moltissimi anni fa l'altare della Chiesa di San Giuseppe, della Contrada Capitana dell'Onda. E’ importante sottolineare che il Palio è una gara fra contrade, cioè a forte connotazione popolare ed è questa particola‐ rità agonistica che ne ha determinato la fortu‐ na, rispetto ai tornei dei nobili. Ricordiamo, quindi, le contrade che sono, oltre le già citate Istrice e Onda: Bruco, Nic‐ chio, Leocorno, Lupa, Pantera, Selva, Tartuca, Torre, Valdimontone, Aquila, Oca, Chiocciola, Giraffa, Civetta e Drago. Un totale quindi di diciassette contrade che rappresentano, ov‐ viamente, altrettanti quartieri della città e, di conseguenza, altrettanti gruppi di sostenitori (i contradaioli). Le Contrade furono definite nei loro confini, nel 1729, dalla governatrice di Siena Violante di Baviera che, causa di incidenti occorsi negli anni precedenti, decre‐ tò inoltre che non po‐ tessero partecipare più di dieci Contrade alla volta. E’ una decisione che è rimasta inaltera‐ ta fino ai nostri giorni. Ogni anno partecipano di diritto al Palio le sette contrade escluse l’anno precedente (in questo caso le due ‘carriere’, quella di Luglio e quella di Ago‐ sto, sono da conside‐ rarsi completamente indipendenti), le altre tre vengono sorteggia‐ te fra le partecipanti dell’anno prima. Ad ogni rione viene assegna‐ to per sorteggio un cavallo dei 10 selezionati tra quelli fisicamente idonei. L'assegnazione avviene la mattina del 29 giugno per il Palio di luglio, del 13 agosto per quello di agosto: è la Tratta, il primo appuntamento di una Festa che dura 4 giorni. La Carriera è preceduta da sei corse di prova, che si svolgono tre la mattina e tre la sera dei quattro giorni, durante le quali il fantino, scelto dalla Contrada, prende dimestichezza con il cavallo. L'ultima delle prove di sera è chiamata Prova Generale mentre l'ultima prova in assoluto, corsa la mattina del Palio, è detta Provaccia. La corsa del Palio consiste in tre giri di Piazza del Campo, su una pista di tufo tracciata nell'anello sovrastante la conchiglia. Si parte dalla Mossa, formata da due canapi dentro i quali si dispongono nove contrade in un ordi‐ ne stabilito per sorteggio. Alla Costarella dei Barbieri è impiantato un marchingegno (‘verrocchio’) che azionato dal mossiere fa cadere di colpo il canapo e dà il via alla corsa nel momento, e solo nel momento in cui en‐
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 19 tra l’ultimo cavaliere della decima e ultima contrada rimasta inizialmente fuori. Vince la Contrada il cui cavallo, con o senza fantino, arriva primo al termine dei tre giri. Il giro del Campo è uno spettacolo unico al mondo: la cavea della piazza può contenere circa 30.000 spettatori, ai palazzi vengono addossati i pal‐ chi per il pubblico. Può essere suggestivo, infine, ricordare che un tempo lontano le contrade di Siena erano 23. Oltre alle Contrade ancora esistenti, si ha notizia storica di altre sei, chiamate "contrade soppresse o morte": Gallo, Leone, Orso, Quercia, Spadaforte, Vipera. Nel XVII secolo queste andarono lentamente estinguendosi per carenze organizzative e mancanza di par‐ tecipazioni alla vita pubblica. Il loro territorio fu inglobato dalle Contrade confinanti e di loro rimane traccia negli stemmi di alcune Contrade attuali. CAPPELLA DI PIAZZA Come detto la costruzione della torre termina proprio all’arrivo della peste nel 1348. A que‐ sta tremenda epidemia è legato un altro cele‐ bre monumento senese che si trova proprio ai piedi della Torre: la Cappella di Piazza che venne costruita nel 1352, per un voto fatto dal Comune, appoggiata al Palazzo. Il cantie‐ re, però, non ebbe vita facile: i quattro piloni d’angolo (le “more”) vennero più volte modi‐ ficati e solo nel 1376, sotto la direzione di Giovanni di Cecco, videro la luce. La tettoia che li coprì fu sostituita quasi cento anni do‐ po, in pieno Rinascimento, da Antonio Federi‐ ghi (1461). Una volta ad archi a tutto sesto, ancora oggi, chiude la cappella. I pilastri esterni mostrano sei nicchie, sulle dodici ordinate dal Comune, occupate da mediocri statue di apostoli, ope‐ ra di Mariano Angelo de Romanelli e Bartolo‐ meo di Tommé, detto Pizzino, eseguite tutte fra il 1378 e il 1382; solo il S. Bartolomeo è opera del 1382 di Lando di Stefano. Bella l’architrave in gusto classico con grifi affron‐ tati a vasi. Bellissimi erano i pannelli marmo‐ rei che componevano la balaustra della cap‐ pella, opera di Giacomo Cozzarelli (1470) e rappresentanti l’Aritmetica e la Geometria. Furono sostituiti da copie di Enea Becheroni (1848) e posti sullo scalone principale di Pa‐ lazzo Pubblico. Una elegante cancellata in ferro battuto, originale del Trecento, corre sui lati del mo‐ numento, sembra sia opera di Pietro di Betto e potrebbe essere la vecchia cancellata della prima Cappella dei Nove, posta al piano terre‐ no del Palazzo. Sull’altare, restano, purtrop‐ po, scarse tracce dell’affresco del Sodoma con Madonna e Figlio con angeli e L’Eterno, opera eseguita fra il 1537 e il 1539. A lato, piccolo tabernacolo con una delicata Annun‐ ciazione e un Gesù benedicente, capolavoro d’ignoto lapicida senese del Trecento. PALAZZO PUBBLICO Il Palazzo Pubblico è uno dei più famosi mo‐ numenti della città di Siena. Osservandone la facciata su Piazza del Campo si notano, subi‐ to, i vari periodi di costruzione: al primo ordi‐ ne di trifore fu usata la pietra, poi il laterizio. Le finestre, nel tipico stile senese, hanno tre archetti gotici affiancati e appoggiati su co‐ lonnine, mentre al centro di ciascuna ghiera, tra archetti e l'arco acuto principale di ciascu‐ na finestra, è stato inserito uno stemma di Siena. Il corpo centrale è rialzato di un piano rispetto alle due ali laterali. Sulla sommità presenta un coronamento merlato di tipo guelfo, cioè senza l'estremità a coda di rondine. Al centro della facciata un grande disco presenta il monogramma di Cristo (detto anche monogramma bernardia‐ no): fu eseguito nel 1425 da Battista di Nicco‐ lò e Turino di Sano. Sotto, l’emblema medice‐ o, ai lati, la Balzana (lo stemma banco e nero del comune di Siena) e un Leone rampante. I piccoli fori che puntellano la facciata sono le cosiddette buche pontaie, dove i costruttori medievali incastravano i pali di legno per tirare su le impalcature necessarie al cantiere. CORTILE DEL PODESTÀ Nel Palazzo Pubblico si entra dalla porta pro‐ spiciente la Piazza del Campo, vicino alla Cap‐ pella, attraverso il bel Cortile del Podestà,
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 20 costituito da un elegante colonnato a mattoni su cui si innalza un piano con grandi finestre trifore ad arco acuto. Qui, insieme a una serie di stemmi di gover‐ natori, si possono vedere i resti della statua in pietra del Mangia: l'ultimo automa che ha battuto le ore nella campana maggiore della Torre. Il soprannome 'Mangiaguadagni', dato a suo tempo a Giovanni di Balduccio, ,antico custode e campanaro, ha infatti originato l'intitolazione della Torre stessa. Dal cortile si accede alla Torre del Mangia e al Museo Civico di cui sono visibili la bigliette‐ ria e la scala d’accesso, restauro moderno di Mario Terrosi. Sul pia‐ nerottolo di questa, sono collocati alcuni forzieri della Repubblica di Siena e la celebre campana che annunciò ai senesi la vittoria di Montaperti (1260). SALA DELLE LUPE E’ un vasto salone su quattro campate, così chiamato per le due lupe marmoree trecente‐ sche che un tempo servivano come gocciola‐ toi esterni alla facciata del palazzo. Nel 1920, la sala è stata arricchita da pregevoli stemmi, dipinti da Umberto Giunti, e legati alla storia e alle imprese della città (S. Maurizio, S. Virgi‐ lio, Spada forte etc.). Alla parete sinistra, accanto alle lupe, un Mo‐ sè, statuetta di Antonio Federighi. Pochi i resti pittorici in un ambiente certo un tempo ricca‐ mente decorato: fra questi il più significativo è senz’altro il S. Pietro Alessandrino tra i beati Andrea Gallerani e Ambrogio Sansedoni, sulla parete destra della 3° campata, affresco di Sano di Pietro del 1446. Il Santo regge sulle ginocchia una veduta di Siena nella quale sono ben visibili il Duomo e il Palazzo Pubbli‐ co. Sulla parte opposta, è visibile un pregevo‐ le affresco del Sodoma, raffigurante un'Aquila e due putti: coronava la Resurrezione di Cri‐ sto, sempre del Sodoma, ora traferita in una sala attigua. SECONDO PIANO QUADRERIA Dal pianerottolo della scala moderna si rag‐ giungono le prime quattro sale, oggi adibite alla quadreria. Collezione composita e varie‐ gata, rappresenta un ulteriore ricchezza del già ricchissimo Palazzo Pubblico. Di recente istituzione: in essa sono ordinati numerosi affreschi staccati, tavole e tele sia di scuola senese che di autori italiani e stranieri. Nella prima sala, molto belle le quattro grandi tele rappresentanti Scene di caccia e già attribuite a Joseph Ro‐ os, raffinato pittore austriaco influenzato dalla scuola dei bam‐ boccianti. Notevoli una grande Samaritana al pozzo della scuola di Mattia Preti e una deli‐ cata Madonna col bambino, santi e angeli del veronese Felice Brusasorzi. Da ricordare an‐ che le due Marine su rame attribuite a Filippo Napoletano, una Sant’Orsola di anonimo artista senese, una Madonna col bambino ancora di Felice Brusasorzi. Nella seconda sala si trovano le bellissime sinopie degli affreschi eseguiti dal Sodoma (1537‐39) per la Cappella di Piazza del Cam‐ po: sono queste assai meglio conservate degli affreschi originali e offrono un’ottima possibi‐ lità di godere dell’arte di questo eclettico artista piemontese. Nella sala da ricordare il Cataletto (quattro testate di bara) opera di Bartolomeo di David, proveniente dalla Com‐ pagnia di Sant'Onofrio, una Madonna col Bambino e angeli di Andrea Piccinelli detto “il Brescianino”, un altro Cataletto dipinto da Ventura Salimbeni per la Compagnia laicale di Santo Stefano a Porta Pispini, una Pietà di Vincenzo Rustici e un Martirio di Santi opera di Marco Pino. Nella saletta di passaggio, o terza sala, parti‐
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 21 colarmente gradevoli i sei quadretti con i Mesi dell'anno di Cristofano Rustici, prove‐ nienti da Palazzo Piccolomini; Patrizi in via di Città e due tele interessanti non tanto per la qualità artistica quanto per la rara iconografi‐ a: La processione in Piazza del Duomo di Ago‐ stino Marcucci, che testimonia della situazio‐ ne seicentesca delle adiacenze della Cattedra‐ le e una Lupa senese con fanciullo portaban‐ diera. Vi è poi una deliziosa Madonna col Bambino e Santi riferibile alla prima attività di Rutilio Manetti. Al centro della sala, un globo Mappamondo, opera di manifattura francese del XVIII secolo. L'ultima sala ospita alcune belle opere di Ruti‐ lio Manetti, forse il più importante pittore senese del Seicento, San Girolamo, L'adora‐ zione dei Magi, un intenso San Paolo e una Epifania. Sempre nella sala troviamo uno stendardo dipinto nelle due facce da Seba‐ stiano Folli, lo Sposalizio della Vergine di Pie‐ tro Sorri, due opere di Domenico Manetti, figlio di Rutilio, Visitazione, Gesù insegna a leggere a Santa Caterina, oltre ad una vetrina con arredi sacri e reliquiari. Nel corridoio attiguo all'ingresso, in un'ampia vetrina, è esposta una particolare collezione di ceramiche, sia medievali sia provenienti dalla più importante manifattura senese mo‐ derna: quella Chigi, attiva a San Quirico d'Or‐ cia per tutto il Settecento. L’ultima sala del Museo, oggetto di un recen‐ te riallestimento, ospita alcune opere di gran‐ dissima importanza: bellissima la Croce di Massarello di Gilio (1301), probabilmente l'opera più antica realizzata per il Palazzo Comunale; particolare la vetratina raffiguran‐ te San Michele Arcangelo, attribuita ad Am‐ brogio Lorenzetti; bellissime le tavolette di scuola senese del XIV e XV secolo tra cui uno scomparto di predella attribuito a Neroccio, raffigurante Una predica di San Bernardino in Piazza del Campo e San Bernardino che libera un'indemoniata. SALA RISORGIMENTO Da un piccolo vano, si accede all’attigua Sala del Risorgimento (o sala Vittorio Emanuele), il più importante contributo postunitario alla storia del Palazzo. Ricca di opere di scultura e pittura italiana dell’Ottocento (si notano dei bei Dupré e Gallori), la sala è nota per le gran‐ di scene della storia di Vittorio Emanuele II, “il padre della patria”. I dipinti a parete, seppur limitati dall’eccessiva magniloquenza agiografica e illustrativa (molti campeggiano a illustrazione dei sussidiari di Storia più che di Storia dell’Arte), sono pregevoli per la tecnica e per la cura del disegno e del dettaglio. Belle le grandi scene militari di Amos Cassioli, La Battaglia di S. Martino e gli zuavi alla bat‐ taglia di Palestro(1886), e quelle di lutto di Cesare Maccari, I funerali del re al Pantheon (1886). Celeberrimi nell’iconografia i dipinti di Pietro Aldi (1886): L’incontro a Novara fra Vittorio Emanuele e il Generale Radetsky e, soprattutto, L’incontro a Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele. Sulla volta, Allegoria dell’Italia di Alessandro Franchi (1887) e sui pennacchi, Le regioni d’Italia di vari artisti, fra cui Franchi. Al fondo della sala, colossale scul‐ tura raffigurante Il dolore opera di Emilio Gallori. In vetrina, la divisa di Vittorio Ema‐ nuele, indossata alla battaglia di S. Martino. SALA BALIA u realizzata agli inizi del XIV secolo e ha que‐ sto nome perché ospitava la magistratura di Balia, un organo chiamato a eseguire le deci‐ sioni assunte dal governo, che ebbe sede in questa sala dal 1455 fino alla fine della Re‐ pubblica. Qui, fu ucciso, sembra per tradi‐ mento, Gilberto da Correggio, comandante dell’esercito senese contro il Piccinino (1455). La sala è riccamente affrescata: sulle volte, il senese Martino Bartolomeo raffigurò tra il 1407 e l'anno successivo, gli Evangelisti e sei busti di imperatori e di guerrieri, mentre Spi‐ nello Aretino, aiutato dal figlio Parri, negli stessi anni, compì la notevole impresa di di‐ pingere, nelle pareti restanti con le Storie di Alessandro III, vale a dire Papa Rolando Ban‐ dinelli, gloria senese, che, nel corso del suo papato, ebbe modo di combattere a lungo e con alterne fortune l'Imperatore Federico
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Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 22 Barbarossa. Il ciclo, diviso in sedici quadri, ha inizio dalle due lunette sull’arcone della porta di uscita. Le scene contrassegnate da una vivacità sem‐ plice, ma efficace, di chiara impronta tardo‐ giottesca, mostrano le imprese del Papa sene‐ se, dalla sua incoronazione fino alla sua cac‐ ciata da Roma ad opera delle truppe imperia‐ li, dalla sua alleanza con i veneziani fino alla fondazione della città piemontese di Alessan‐ dria, che proprio a lui deve il suo nome. Fra i vari episodi raffigurati, non si può non ricordare, per la ricchezza dei particolari e la complessità dell’azione, la Battaglia di Punta San Salvatore (1167), tra le flotte dei venezia‐ ni e dei tedeschi imperiali, risoltasi a favore dei primi, alleati del Papa; essa occu‐ pa tutta la parte inferiore della parete verso l’uscita. Altrettanto bella è la de‐ scrizione del Ritorno a Roma di Alessandro III che si trova invece sulla parete d’ingresso. In quest’ultimo affresco, è ben visibile l’Imperatore Barbarossa, che, sconfitto e perdonato, accompagna il Papa nella città eterna. La decorazione della sala rappresenta una anomalia rispetto al programma concettuale e iconografico del Palazzo: qui, prima e dopo Spinello, infatti, solo pittori senesi hanno lavorato. Di rara finezza la residenza (o bancone) in legno intarsiato, già usata dai Magistrati di Balia, risalenti al 1410, opera del maestro di legnami Barna di Turino. LA CAPPELLA E’ uno dei luoghi più suggestivi del Palazzo e vi si accede tramite una bella porta intarsiata del 1426. La cappella nasce a seguito di alcuni lavori di ridefinizione degli spazi interni del Palazzo, all'inizio del XV secolo, e a integrazio‐ ne e sostituzione della cappella inferiore. La cancellata che la divide dal resto dell'am‐ biente risale al periodo di realizzazione della Cappella. Fu fabbricata, in forme eleganti da Giacomo di Vita, negli anni '40 del Quattro‐ cento, forse avvalendosi di un precedente progetto di Jacopo della Quercia. A destra, si nota una piccola e graziosa acquasantiera pensile con statuette in bronzo, opera di Gio‐ vanni Turino. Entrando, in alto al centro, si trova il bello e raro lampadario recentemente attribuito a Domenico di Niccolò, mentre il piccolo ma prezioso organo, collocato sul fianco destro dell'altare, risale al 1520 ca. ed è opera di Giovanni d'Antonio Piffaro. Sempre a Domenico Niccolò va attribuito il magnifico coro ligneo che contribuisce non poco a donare alla cappella un senso di profonda spiritua‐ lità medievale e un aspetto pienamente tardo gotico: scolpito e intarsiato fine‐ mente tra il 1415 e il 1428, rappresenta, in ciascuno dei 21 sedili, i vari articoli del Credo. Domenico di Niccolò, per la bellezza e fama di quest’opera, venne soprannominato, in segui‐ to, dei cori. Indubbiamente, però, lo splendore della sala è dato dalla decorazione di Taddeo di Bartolo. Taddeo, incaricato di decorare la cappella all’inizio del Quattrocento, realizzò sui muri cinque storie mariane. L'Annunciazione, posta sopra l'altare, e le quattro grandi scene poste sulla parete sinistra che raffigurano: Il conge‐ do dagli Apostoli, La morte della Vergine, I funerali della Vergine, L'Assunzione. Senza apportare soluzioni particolarmente significa‐ tive e senza allontanarsi dal dettato giottesco, Taddeo riesce a rendere in modo vivido le storie di Maria (particolarmente bello è il corteo funebre e lo sfondo urbano) e a sotto‐ lineare intensamente la sacralità della cappel‐ la. Inoltre, Taddeo di Bartolo dipinse nel soffitto
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