1. Ho avuto uno scambio di email con Frannie Noble, un’americana che ha fatto la
volontaria alla Pouponniere di Bamako da aprile a luglio 2007. Ha lavorato con i bambini
di 3-7 mesi.
Ecco qua i suoi racconti:
La prima volta che ho visitato la Pouponniere e ho conosciuto la direttrice, ho chiesto
dove potevo aiutare meglio. Lei mi ha detto di andare a giocare con i piccoli bebè,
“Piangono tutto il giorno!”, ha detto. Per fortuna, normalmente ho trovato le stanze con i
piccolini un po’ più calme di come lei mi aveva raccontato. In ogni caso sono rimasta con
i piccolini, per darli da mangiare, dondolarli e aiutare in ogni modo.
Al livello personale, mi sentivo a mio agio a Bamako man mano che conoscevo la città e
imparavo Bambara, ma adesso quando ci rifletto, credo che ero diventata abituata allo
caos e senso di sfida costante. Il caldo, la gente, essere una donna bianca, sfide con la
lingua, questioni culturali, l’Islam…il caldo! E’ stato tutto molto forte. Normalmente,
stare con una dozzina di bambini bisognosi è anche quella un’esperienza molto forte, ma
in qualche modo l’orfanatrofio è diventato un rifugio per me, com’è per i bambini. Al
orfanatrofio ho scoperto un luogo a Bamako dove la lingua importava meno, e dove
potevo contribuire al benessere degli altri con sicurezza.
Una delle differenze culturali più difficili che ho osservato era l’idea di come giocare ed
interagire con i bambini. Era sottointesa che i bambini dovevano interagire e giocare fuori
dalle loro culle di giorno, ma attività organizzate o attività adatte allo sviluppo di bambini
per età non ci sono state. Da quello che ho imparato, le mamme in Mali sono occupate
quasi sempre, e mentre hanno contatto fisico coi loro bambini (perché i bambini stanno
sulla schiena), non c’è la stessa motivazione di fare giocare i bambini come abbiamo noi.
Non sono antropologa, ma sembrava di funzionare così: c’era lavoro da fare, il bambino
era sulla tua schiena, e crescendo il bambino avrebbe imparato a camminare e parlare e
giocare da solo. Incoraggiare un bambino di sedersi, di andare a gattoni, di darsi da
mangiare da solo, il contatto con gli occhi, lo sviluppo motorio…nessuno ha lavorato
consapevolmente con ogni bambino per aiutarlo in questo modo. Può essere che questo è
solo una differenza culturale, perché i bambini che ho conosciuto in Mali potevano fare
tutte le cose che fanno i bambini Americani, ma credo che al orfanatrofio la cura dello
sviluppo è molto meno ovvia, strutturata e intenzionale come sarebbe per genitori
americani.
I bambini, di circa 5 mesi in su, venivano tolti dalle loro culle e giocavano per terra
insieme di giorno. Se si addormentavo venivano messi nelle culle. C’erano alcuni
giocattoli disponibili per i bebè, tipo sonagli or piccoli camion o macchinette. Le
infermieri stavano nelle stanze o nello spazio aperto fuori dalle stanze con i bebè, e
normalmente chiacchieravano o facevano qualche lavoretto da parte, e a volte portavano
sulla schiena un bambino in quei momenti. Se i bebè frignavano a volte venivano presi in
braccio, o venivano distratti o calmati con canzoni in Bambara. Quando sono partita, ho
lasciato una radio con la manovella alle infermieri. Pensavo che la musica, per le
2. infermieri e i bambini, poteva essere utile. Li ho visti ascoltare la musica, battere le mani,
e anche i bambini sentivano la musica. Ma non so se è ancora lì la radio!
C’erano sempre tanti biberon e vestiti puliti disponibili per i bambini. Quanto un bambino
con vestiti sporchi doveva aspettare prima di essere cambiato non lo so…ma non penso
che era tanto. Soprattutto i neonati portavano i pannolini di stoffa semplice, e quindi si
capiva subito quando avevano bisogno di essere cambiati. Quasi tutti i bambini avevano
qualche tipo di scultura mobile o giocattolo che pendolava dalla culla, e le lenzuola e
coperte venivano cambiati quando erano sporcati. Tutti i letti avevano le zanzariere
(grazie Dio!). Le stanze erano abbastanza pulite, e i bagni accanto erano decenti. I panni
da lavare erano in mucchi per terra in bagno, e i bambini venivano lavati velocemente
con le spugne al cambio di pannolino, se necessario. Spesso non c’era l’acqua, ma si
sapeva che succedeva, quindi le infermieri riempivano secchi di acqua pulita quando
c’era, per quei momenti. C’era sempre qualcuno fuori che lavava i panni, e i panni si
asciugavano velocemente sul tetto della struttura; mi sembrava una buona sistema – i
vestiti bolliti uccideva le batterie e con il caldo non c’era tempo per ammuffire.
Asciugare al sole aiutava poi per il discorso di batterie.
Non mi sembrava che c’era un orario specifico per i biberon – c’era una rotazione
costante invece. Penso però che i bebè che piangevano di più ricevevano più biberon.
Anche se sporadicamente, io insieme con altri volontari cercavamo di impegnarci a stare
con i neonati che sembravano più piccoli o più silenziosi. Uno dei piccoli a cui mi sono
legata di più – Ahmed – sorrideva sempre nonostante il fatto che era piccolo ed
ammalato. Un giorno ho provato tanta gioia quando ho visto le sue piccole gambe
marroni che uscivano da un marsupio al mercato di Bamako – Ahmed era stato adottato e
potevo conoscere i suoi nuovi genitori, e salutare lui!
Sui muri c’erano disegni e descrizioni in Inglese e Bambara con istruzioni di usare
biberon diversi per ogni bambino. Lo scopo era di fermare la trasmissione di malattie, ma
devo ammettere anch’io che è incredibilmente difficile organizzare i bebè e i biberon in
quel modo. Ho visto un po’ di impegno da parte delle infermieri, ma non credo che
riuscivano molto a seguire quelle istruzioni.
Quando un bambino si ammalava (e non so esattamente per quale motivo i bambini
venivano portati dal medico), c’erano infermieri sul piano terra. Non credo che tenevano
molte medicine lì, ma potevano fare gli IV e spesso i bambini ricevano vitamine e
medicazioni. Una o due volte alla settimana venivano i dottori; pesavano i bambini e li
controllavano. Era un processo lungo di togliere i vestiti a tutti, pesarli, registrare i pesi, e
poi rivestire tutti! Inevitabilmente facevano pipì per terra…a volte il caos era veramente
divertente! Anche i neonati venivano portati fuori per questo routine, ma venivano portati
in stanza prima dei bambini più grandi che aspettavano in gruppi con le infermieri.
Verso la fine del mio tempo lì, si è rotta la bilancia e quindi un indicatore enorme della
salute dei bambini - il peso - non c’era più. La scuola di mia mamma ha tirato su i soldi
per comprare una nuova bilancia, ma non sono esattamente sicura come sono stati usati
quei soldi.
3. Io ho lavorato con bambini piccoli in un orfanotrofio in Etiopia gestito da un agenzia di
adozioni americana, e devo dire che i bambini al orfanotrofio di Bamako erano
relativamente uguali o più sani di quei bambini in Etiopia. In Etiopia i bebè venivano da
una varietà di situazioni, e c’era stato un influsso drammatico di bebè appena prima del
mio arrivo, quindi non si può paragonare. Anche se è orribile, poi, penso che molti dei
bambini malnutriti o severamente malati in Mali non ce lo fanno in tempo per ricevere
aiuto da un medico o essere portati al orfanotrofio, mentre in Etiopia riuscivano meglio
da questo punto di vista. Spero che si capisce. Voglio dire, semplicemente in termini di
salute fisica, penso che lo staff a Bamako era abbastanza consapevoli dei bisogni dei
bambini e non è certo la situazione peggiore di salute che ho osservato.
Un’ambulanza era disponibile se i bambini dovevano essere portati in ospedale. Penso
che quello era l’unico motivo per lasciare l’orfanotrofio. All’età di tre anni venivano
spostati al SOS Children’s Village che permette ai bambini di vivere in case di famiglia e
di andare a una buona scuola. Ci sono due SOS villaggi in Mali – a Sanakoroba
e….penso a Mopti. Il programma SOS è internazionale ed è uno dei migliori modelli di
orfanotrofio che conosco.
Per i bambini sotto 5 mesi, stavano quasi sempre nella culla. Ogni bambino aveva la
propria culla nella stanza dove lavoravo, e solo raramente ho visto due bebè dormire
insieme. Credo che le infermieri sapevano che nel dormire insieme i bambini potevano
passare germi. La struttura riusciva anche a sopportare un influsso grande di bebè in
qualsiasi momenti, quindi c’erano abbastanza culle, con alcuni vuote a volte.
Credo che era a 5 mesi e non prima che i piccolo venivano messi sulla veranda per
giocare. Questo succedeva di mattina per qualche ora, e dopo pranzo c’era il pisolino.
Stavano li sdraiati, si muovevano un po’, si rotolavano, ma non potevano ancora sedersi
da soli. Avevano giochi con cui giocare e spazio per rotolarsi. Le infermieri erano
osservanti ma non interagivano molto con i bebè. Mentre alcuni bambini stavano fuori
sulle coperte, altri dormivano and altri mangiavano. Era più uno spazio per loro di
prendere sole e uscire dalle culle, che un momento di gioco strutturato.
Più piccoli i bambini, più probabile era che passavano le loro giornate nelle culle o sedile
da bebè. C’erano o 1 o 2 infermieri per ogni 10 bambini. Ad un’età così piccola questo
significato una rotazione costante di dare da mangiare e cambiare pannolini. I bambini
venivano tenuti in braccia per darli da mangiare e fare i rutti, con un po’ di interazione
con una canzone o coccole dalle infermieri.
I biberon venivano preparati con latte in polvere e acqua calda, ma non so se veniva
bollita prima. Una volta i bambini potevano sedersi, si riunivano attorno a ciotole di riso
con salse, e carne o pesce. Si sedevano insieme per terra e mangiavano. Le infermieri
aiutavano a dare da mangiare ai piccoli se non riuscivano a coordinarsi da soli ancora. A
due anni sapevano già darsi da mangiare da soli con le mani e si riunivano attorno alle
ciotole per mangiare insieme. Anche se questo è il modo tradizionale di mangiare in
Mali, non penso che il risultato fosse una condivisione giusta di cibo per i bambini più
grandi – un bambino più aggressivo poteva mangiare di più.
4. C’erano circa 6 biberon al giorno per i bebè…ma se il bambino non piangeva o frignava è
capace che riceveva meno di 6 biberon. Se non avevano voglia di mangiare in quel
momento, o se frignavano o si addormentavano prima di finire, allora anche così
mangiavano meno. Quando avevano circa 9 mesi, mangiavano doppio, con biberon più
grandi. Ad un anno magari prendevano 4 biberon grandi e un po’ di riso con salsa tre
volte al giorno. Era buffo vedere i piccoli ricevere i biberon di mattina o mezzogiorno.
Sapevano che dovevano sdraiarsi e non stare attorno alla infermiere che dava i biberon, e
così venivano sulla veranda e all’improvviso si mettevano giù per terra insieme!
Sapevano esattamente come fare! E stavano lì, insieme, sdraiati a bere, con qualcuno che
si addormentava.
L’acqua del rubinetto di Bamako è quasi sempre molto sicura per bere, quindi non credo
che l’uso di quell’acqua era un rischio di salute serio. Io penso invece che le malattie
(quasi tutte respiratorie o diarrea) venivano trasmesse attraverso il contatto – il non lavare
le mani, la condivisione di biberon e culle, ecc.
Non ricordo di aver visto il rimprovero fisico dalla parte delle infermieri, anche se essere
un po’ più brusco con i bambini non mi avrebbe sorpreso. Colpire i bambini in Mali è
molto più comune, come certo lo sai, che negli Stati Uniti o Europa. Se un bambino
colpiva un altro con un giocattolo penso che l’infermiere l’avrebbe sgridato, e avrebbe
tolto il giocattolo. Onestamente, credo che i bambini stavano tanto nelle culle e le
infermieri erano abbastanza impegnate che non c’era né tempo né occasione per essere
troppo rigidi.
L’idea dello sviluppo e il curare i bambini è diverso in Mali che negli Stati Uniti. Anche
se certamente le mamme amano i loro bambini, c’è anche tanto lavoro da fare. Anche un
bebè di solo qualche giorno viene legato alla schiena della mamma con la stoffa, e la
mamma così può cucinare, pulire, lavorare nei campi o fare la spesa, col bimbo presente.
Ho letto che questo aumento il legame fra mamme e bambini e che questo contatto fisico
fa in modo che i battiti cardiaci di due persone sono in armonia. La mamma riesce a fare
il suo lavoro e il bambino si lega con lei.
Mentre quasi tutte le infermieri tenevano un bambino sulla schiena mentre lavoravano al
orfanotrofio, non sono sicura se facevano una rotazione dei bambini, in modo che ogni
bambino veniva portato. Il motivo per essere messo sulla schiena poteva essere pura
fortuna, o perché il bimbo piangeva.
L’atteggiamento generale delle infermieri quindi era più di compiere un dovere che di
fare la mamma. Io penso che nessuno aveva fatto vedere alle infermieri come giocare con
i bambini. Una volta che i bambini potevano divertirsi da soli con i loro coetanei, allora
giocavano così, come sarebbe in qualsiasi famiglia.
Le infermieri lavoravano con turni – credo di 12 ore – quindi c’erano sempre di giorno e
di notte; di notte continuavano lo stesso routine del dormire, cambiare pannolino, e dare
da mangiare. So che quando i bambini erano più grandi dormivano di più di notte, così le
infermieri potevano dormire anche loro un po’. Prendevano una coperta e dormivano
5. nelle stanze con i bambini. So che le infermieri erano amiche, and si parlavano insieme,
ma non penso che lasciavano mai le stanze per tempi lunghi.
E’ possibile che i bimbi più piccolo dormivano insieme 2 per culla di notte, ma non sono
sicura. Per motivi di affetto, spero che dormivano insieme, anche se so che questo può
aumentare la trasmissione di germi.
Io immagino che non deve essere facile leggere tutto questo, e non sapere certi dettagli
della vita di tuo figlio, ma devo dire che credo che le infermieri e staff volevano bene ai
bambini. Non c’era nessun animosità rispetto al fatto che i bambini erano orfani, o che
erano malati, o che le infermieri lavoravano turni lunghi di 12 ore. C’era molto lavoro da
fare, ma i bisogni di base dei bambini erano soddisfatti, avevano cura medica di base e
altri bambini con cui giocare. Sono contenta, minimamente, che questo luogo esiste così i
bebè possono andare da qualche parte.
Questa esperienza mi ha cambiato la vita. Non dimenticherò mai la stanchezza nebbiosa
che sentivo dopo aver dondolato i piccoli a nanna, mentre guardavo la città dall’alto.
Caos assoluto, un caldo torrido, ma c’era qualcosa in tutto questo che aveva un senso per
me, e sentivo uno slancio di motivazione.