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Democrazia digitale:
si può essere cittadini attivi e partecipi attraverso la rete?
Il tema della cosiddetta democrazia digitale sta interessando molte persone per vari
motivi. Proviamo a capire di cosa si tratta, e perché è importante.
Visti il tipo di espressione e il suo uso recente, è opportuno dare un primo sguardo ad
un’enciclopedia online come Wikipedia, che deve il suo successo proprio alla
ricchezza di informazioni e al continuo aggiornamento garantiti, in linea di principio,
dalla partecipazione diretta di tante persone e dalla collaborazione immediata tra gli
utenti. Qui, per Electronic Democracy (e-democracy) si intende una “forma di
democrazia diretta in cui vengono utilizzate le moderne tecnologie dell'informazione
e della comunicazione nelle consultazioni popolari”. Proviamo a verificare quanto
viene detto. Data la vastità dell’ambiente digitale, le domande che si pongono sono
almeno due: quali tecnologie sono usate e quali sono i tipi di consultazione popolare?
Prima di rispondere a questi interrogativi occorre però fare un passo indietro e
soffermarci sul concetto di democrazia diretta. Cronologicamente, si fa coincidere
l’inizio della democrazia diretta come forma di esercizio del potere da parte del
popolo senza intermediari con l’esperienza e le vicende della città di Atene del V-IV
sec. a.C. Tralasciando per un attimo la questione del se fu o meno vera democrazia
diretta, è logico pensare che essa può essere realizzata in ambiti ristretti, con gruppi
di poche persone come aventi diritto, perché, quando invece gli aventi diritto
diventano numerosi, sorgono problemi pratici per riunirsi, proporre iniziative, fare
dibattiti ed eseguire votazioni, con conseguenti allungamenti dei tempi previsti per
risolvere i problemi. E così si può spiegare (in parte) perché tale forma di esercizio
del potere debba essere trasformata nella più gestibile forma della democrazia
rappresentativa, dove il popolo elegge propri candidati rappresentanti ai quali delega
l’esercizio del potere sovrano. Anche se in alcuni stati democratici sono presenti
entrambe le forme per ambiti diversi, storicamente essa non è mai esistita da sola,
perché è sempre “degenerata” in altre forme, né ha mai riguardato tutti gli ambiti
della vita politica, visto che già in Grecia il popolo riunito in assemblea non poteva
esercitare tutti i suoi poteri e che l’elettorato non includeva donne e schiavi cioè
buona parte della popolazione all’interno di una pur piccola città-stato. Ora, vista
l’impossibilità (o forse dovremmo dire utopia?) di praticare in forma “pura” la
democrazia diretta nell’ambito reale, resta da verificare se questa possa essere messa
in atto o meno in ambito virtuale, ma prima di farlo, veniamo agli altri due quesiti.
Per tecnologie dell’informazione e della comunicazione si intendono i metodi, le
tecnologie ovvero i sistemi di invio o ricezione di informazioni (tecnologie digitali
comprese). Queste sono numerose: si va dai siti internet, ai blog, ai social network, ai
cellulari di nuova generazione ecc. Per mezzo di esse vengono svolte le consultazioni
popolari, cioè si conoscono opinioni e volontà di utenti su determinati argomenti
oggetto di dibattito sotto varie forme: questionari, sondaggi, referendum, ecc.
Ora, secondo Gianfranco Pasquino (cfr. la voce democrazia del Dizionario di Storia
della Treccani), “grazie a Internet sembra diventare possibile una sorta di agorà
telematica nella quale i cittadini, con un minimo di digital divide, vale a dire di
diseguaglianza fra categorie – giovani e anziani, istruiti e no, che hanno accesso e
possibilità differenziate –, godono della enorme opportunità di comunicare fra loro,
per es., con i blog, e, eventualmente, persino di decidere in tempo reale. Grandi sono i
rischi per una democrazia che non sia soltanto diretta, ma anche «istantanea». E,
anche chi voglia andare oltre ovvero, piuttosto, arricchire la democrazia
rappresentativa, sente che si pone il problema: ma la democrazia è decisione oppure è
«conversazione per la decisione»?” .
In effetti la rete internet consente di comunicare rapidissimamente e in modo
istantaneo annullando i confini spazio temporali che, come abbiamo detto,
costituiscono uno dei problemi all’origine della scelta della democrazia
rappresentativa. Internet stesso è probabilmente il mezzo di comunicazione con la
diffusione più rapida della storia dell’umanità. Secondo i sostenitori della cosiddetta
“intelligenza collettiva” (come il filosofo francese Peter Levy) alcune sue
caratteristiche, come la dimensione reticolare e la convergenza al digitale di contenuti
di tipo diverso (suoni, immagini, testi), hanno modificato non solo i canoni di accesso
alla conoscenza, ma anche quelli della comunicazione stessa, diventata globale
proprio perché organizzata qui in forma reticolare. Nella rete telematica si può essere
contemporaneamente destinatari ed emittenti di messaggi, e tutti possono raggiungere
tutti con semplicità; in più, i social network come Facebook e Twitter sono visti da
molti come strumenti decisionali orizzontali, per la partecipazione e le iniziative dal
basso, che comportano il rifiuto di leadership designate e permamenti (cfr. Fabio
Chiusi cap. 2). Oltre a questi che sembrerebbero essere innegabili punti validi per la
realizzazione di una “democrazia diretta online”, esistono degli aspetti negativi? Per
molte istituzioni pubbliche e private nonché per cittadini e politici finora sicuramente
il pericolo, la difficoltà da affrontare e l’aspetto negativo sono consistiti
essenzialmente nella disintermediazione, come fattore tipico di Internet, e nella
distribuzione parziale, non uniforme e non sempre autorevole e “democratica” delle
informazioni e della conoscenza, data dall’uso non corretto del medium.
Il termine disintermediazione è di origine finanziaria e indica sostanzialmente la
tendenza del pubblico ad occuparsi in prima persona del proprio denaro scavalcando
la mediazione delle banche e di altre figure di consulenti. Nell’ambito di internet, sta
ad indicare in generale la possibilità di interazione diretta tra due figure che nel
mondo reale nella maggior parte dei casi si verifica grazie ad un intermediario: nelle
professioni dell’informazione ad esempio, questo termine è stato usato per indicare il
protagonismo dell’utente finale che in una certa fase è sembrato mettere in dubbio
l’esistenza stessa dei bibliotecari, dei documentalisti, degli information broker ecc.
É vero (almeno in teoria) che grazie alla rete il lettore non ha più bisogno del
bibliotecario, né lo scrittore dell’editore, eppure biblioteche e case editrici continuano
ad esistere grazie ai loro stessi sforzi per fronteggiare i problemi e le difficoltà che si
sono venuti a determinare con l’avvento dei mezzi digitali, così come, volendo
estendere il discorso, hanno fatto anche altre istituzioni: “il mondo accademico sta
reagendo alla crisi della comunicazione scientifica attraverso la costituzione di
consorzi per garantire l’accessibilità della letteratura specialistica; il mondo degli
studi e delle professioni ha dato vita ai portali verticali per organizzare un accesso
ordinato alle risorse presenti nel Web e pertinenti ai diversi ambiti specifici” (Cfr.
Giovanni Solimine, La biblioteca. Scenari, culture, pratiche di servizio, Roma-Bari,
Editori Laterza, 2005, 5). Si direbbe che chi finora ha svolto il ruolo di intermediario
è stato costretto a rivedere l’utilità e gli scopi della sua funzione.
E in politica che cosa accade? Si direbbe che tutti possono essere
contemporaneamente elettori e politici, e la mediazione politica o la delega non sono
più necessarie perché ciascuno può formarsi un’opinione e sostenere quelle che
ritiene valide. La democrazia diretta, per definizione, mina la mediazione dei politici
“di professione”. Ecco che alcuni, fra cui lo scrittore e giornalista Giampietro Berti,
sostengono che l'idea che la democrazia elettronica possa essere democrazia diretta
appare una speranza mal riposta in quanto “quest'ultima, per funzionare, richiede
esattamente il contrario di quanto offre la «rete» stessa, perché il suo conseguimento
può avvenire solo in piccole comunità, e solamente a patto che si dia un insieme di
condizioni storiche, geografiche, culturali, politiche, religiose - financo
antropologiche - del tutto specifiche. Esempio banale: nessuna democrazia diretta è in
grado di risolvere i problemi di convivenza fra persone di fedi politiche e religiose
opposte.” (http://www.ilgiornale.it/news/cultura/nome-web-sovrano-ecco-tutti-
inganni-democrazia-digitale-991054.html). Quindi, tolto il problema dello spazio e
del tempo per le decisioni da prendere, restano quelli della dimensione della comunità
e delle tante opinioni inconciliabili. Tante di più, se si intende la rete come mezzo di
democrazia diretta, dove chiunque può esprimere un proprio parere e non c’è
mediazione politica. In realtà, non tutte le opinioni espresse sul web hanno seguito,
ma solo alcune. Ecco che esperti giuristi come Fulco Lanchester, professore
ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato all’università La Sapienza di
Roma, mettono in luce i modi in cui le network technologies possono favorire nuove
e inquietanti forme plebiscitarie, sottratte a ogni effettivo controllo democratico. Ciò
accadrebbe, riprendendo il pensiero di Giampietro Berti, perché in rete il consenso è
frutto non di scelte volontarie e perciò libere, ma di condizionamenti e di opere di
persuasione da parte di demagoghi (cfr. http://www.ilgiornale.it/news/cultura/nome-
web-sovrano-ecco-tutti-inganni-democrazia-digitale-991054.html ). In effetti il
consenso è correttamente espresso, come dice Giuseppe Schiavone, docente di
filosofia politica all’università del Salento, solo quando viene dato dopo un’attenta
riflessione che ha fatto maturare una determinata convinzione , e non risulta autentico
negli altri casi, o quando “dato in forma emotiva in una condizione di coazione
esplicita od occulta, finemente manipolata, o come adesione servile al potere,
all’uomo forte, nella speranza – peraltro spesso improbabile - di poterne avere dei
favori.”. Verrebbe da dire: figurarsi se in un posto come Internet, dove l’istantaneità
la fa da padrona, si può parlare di consenso! Tocca senza dubbio riconoscere che in
una società in cui i cittadini votano ogni sera per eliminare i concorrenti di un
programma televisivo, e ogni mattina firmano petizioni online, il processo elettorale
parlamentare ad esempio, può risultare, se non rigido, quantomeno anacronistico. Se
si riflette ancora un po’, sorgono altre domande: quanto uno dei social media come
Facebook o Twitter aiuta i cittadini a decidere con la propria testa, e quanto fa da
aggregatore e da spinta verso il conformismo per chi vuole fare propaganda? E già,
banalmente la questione è tutta qui. Chi riesce a influenzare chi all’interno della rete?
Chi e quanti sono davvero attivi e partecipi?
Sicuramente non bisogna dimenticare che internet dovrebbe garantire, solo in quanto
medium e per le potenzialità che ha, il libero accesso alle informazioni e il diritto di
esprimere la propria opinione in uguale misura per tutti gli utenti. Si sa però, che la
sua incidenza sociale e politica dipende da come viene usato e infatti non sembra
essere un “luogo” neutro, perché condizionato a sua volta da logiche di potere
economico, di potenza degli Stati e di omologazione. Cosa c'è dunque di così
democratico e orizzontale, o quantomeno, di oggettivo, nell'ecosistema di internet e
dei nuovi media, se tutto è filtrato da interessi economici e di potere? Cosa c’è di
libero se i nostri dati personali sono oggetto di mercato e se, come sostiene il
giornalista Benedetto Vecchi, i contenuti sono espropriati da parte di imprese
economiche, e quelli politici sono “l’esito di un processo produttivo che vede la
dimensione politica ridotta a macchina organizzativa di quel processo produttivo ?”
(http://ilmanifesto.it/una-democrazia-a-colpi-di-mouse/ ). Sostanzialmente nulla di
più o di meno rispetto a quanto è possibile riscontrare in pratiche politiche,
associative, comunitarie di tipo tradizionale e piramidale: il rischio che l’opinione
delle persone venga strumentalizzata, se non si conosce bene il funzionamento della
rete, è pressoché identico a quello di un vecchio medium come la tv. Alcuni problemi
che si pongono sono gli stessi di sempre: evitare che il mezzo, invece di aumentare
gli spazi di informazione e quindi di autonomia dei cittadini, venga usato in modo
inappropriato, fomentando il populismo, favorendo le decisioni affrettate e dettate da
emozioni momentanee, l’enfatizzazione mediatica motivata spesso da interessi poco
trasparenti. A fianco a questi però, sorgono altri problemi dettati proprio dalle
caratteristiche di internet. Se si deve votare, come garantire la trasparenza della
votazione senza violare la privacy degli utenti elettori? Visto che la decisione è solo
una fase del “policy making”, in un processo legislativo, come fare per allineare
modalità e tempi virtuali con quelli reali? Come sapere se la questione alla quale si
partecipa con un click non faccia parte di ben più profonde discussioni e non implichi
ben altri risultati? L’Estonia sarà l’unico Paese ad esprimersi con il voto elettronico
alle elezioni europee 2014. Come essere sicuri che i voti dati non verranno
manipolati? Al momento i dubbi sono più delle certezze, in quanto nessuna
istituzione è ancora riuscita, già a qualche anno di distanza dall’introduzione in
diversi stati di metodi di consultazione popolare online, a servirsi dei punti di forza
della rete, l’immediatezza e la pervasività, evitando i pericoli. Occorre quindi cautela
nella scelta e nell’utilizzo. Siamo dell’idea che non si debbano annullare, ma bisogna
fare ancora molto perché un sistema popolare come può essere qualunque rete sociale
con i suoi “mi piace” alla pagina di un’istituzione, valga anche come sistema
democratico.
Democrazia digitale

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Democrazia digitale

  • 1. Democrazia digitale: si può essere cittadini attivi e partecipi attraverso la rete? Il tema della cosiddetta democrazia digitale sta interessando molte persone per vari motivi. Proviamo a capire di cosa si tratta, e perché è importante. Visti il tipo di espressione e il suo uso recente, è opportuno dare un primo sguardo ad un’enciclopedia online come Wikipedia, che deve il suo successo proprio alla ricchezza di informazioni e al continuo aggiornamento garantiti, in linea di principio, dalla partecipazione diretta di tante persone e dalla collaborazione immediata tra gli utenti. Qui, per Electronic Democracy (e-democracy) si intende una “forma di democrazia diretta in cui vengono utilizzate le moderne tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle consultazioni popolari”. Proviamo a verificare quanto viene detto. Data la vastità dell’ambiente digitale, le domande che si pongono sono almeno due: quali tecnologie sono usate e quali sono i tipi di consultazione popolare? Prima di rispondere a questi interrogativi occorre però fare un passo indietro e soffermarci sul concetto di democrazia diretta. Cronologicamente, si fa coincidere l’inizio della democrazia diretta come forma di esercizio del potere da parte del popolo senza intermediari con l’esperienza e le vicende della città di Atene del V-IV sec. a.C. Tralasciando per un attimo la questione del se fu o meno vera democrazia diretta, è logico pensare che essa può essere realizzata in ambiti ristretti, con gruppi di poche persone come aventi diritto, perché, quando invece gli aventi diritto diventano numerosi, sorgono problemi pratici per riunirsi, proporre iniziative, fare dibattiti ed eseguire votazioni, con conseguenti allungamenti dei tempi previsti per risolvere i problemi. E così si può spiegare (in parte) perché tale forma di esercizio del potere debba essere trasformata nella più gestibile forma della democrazia rappresentativa, dove il popolo elegge propri candidati rappresentanti ai quali delega l’esercizio del potere sovrano. Anche se in alcuni stati democratici sono presenti entrambe le forme per ambiti diversi, storicamente essa non è mai esistita da sola, perché è sempre “degenerata” in altre forme, né ha mai riguardato tutti gli ambiti
  • 2. della vita politica, visto che già in Grecia il popolo riunito in assemblea non poteva esercitare tutti i suoi poteri e che l’elettorato non includeva donne e schiavi cioè buona parte della popolazione all’interno di una pur piccola città-stato. Ora, vista l’impossibilità (o forse dovremmo dire utopia?) di praticare in forma “pura” la democrazia diretta nell’ambito reale, resta da verificare se questa possa essere messa in atto o meno in ambito virtuale, ma prima di farlo, veniamo agli altri due quesiti. Per tecnologie dell’informazione e della comunicazione si intendono i metodi, le tecnologie ovvero i sistemi di invio o ricezione di informazioni (tecnologie digitali comprese). Queste sono numerose: si va dai siti internet, ai blog, ai social network, ai cellulari di nuova generazione ecc. Per mezzo di esse vengono svolte le consultazioni popolari, cioè si conoscono opinioni e volontà di utenti su determinati argomenti oggetto di dibattito sotto varie forme: questionari, sondaggi, referendum, ecc. Ora, secondo Gianfranco Pasquino (cfr. la voce democrazia del Dizionario di Storia della Treccani), “grazie a Internet sembra diventare possibile una sorta di agorà telematica nella quale i cittadini, con un minimo di digital divide, vale a dire di diseguaglianza fra categorie – giovani e anziani, istruiti e no, che hanno accesso e possibilità differenziate –, godono della enorme opportunità di comunicare fra loro, per es., con i blog, e, eventualmente, persino di decidere in tempo reale. Grandi sono i rischi per una democrazia che non sia soltanto diretta, ma anche «istantanea». E, anche chi voglia andare oltre ovvero, piuttosto, arricchire la democrazia rappresentativa, sente che si pone il problema: ma la democrazia è decisione oppure è «conversazione per la decisione»?” . In effetti la rete internet consente di comunicare rapidissimamente e in modo istantaneo annullando i confini spazio temporali che, come abbiamo detto, costituiscono uno dei problemi all’origine della scelta della democrazia rappresentativa. Internet stesso è probabilmente il mezzo di comunicazione con la diffusione più rapida della storia dell’umanità. Secondo i sostenitori della cosiddetta “intelligenza collettiva” (come il filosofo francese Peter Levy) alcune sue caratteristiche, come la dimensione reticolare e la convergenza al digitale di contenuti
  • 3. di tipo diverso (suoni, immagini, testi), hanno modificato non solo i canoni di accesso alla conoscenza, ma anche quelli della comunicazione stessa, diventata globale proprio perché organizzata qui in forma reticolare. Nella rete telematica si può essere contemporaneamente destinatari ed emittenti di messaggi, e tutti possono raggiungere tutti con semplicità; in più, i social network come Facebook e Twitter sono visti da molti come strumenti decisionali orizzontali, per la partecipazione e le iniziative dal basso, che comportano il rifiuto di leadership designate e permamenti (cfr. Fabio Chiusi cap. 2). Oltre a questi che sembrerebbero essere innegabili punti validi per la realizzazione di una “democrazia diretta online”, esistono degli aspetti negativi? Per molte istituzioni pubbliche e private nonché per cittadini e politici finora sicuramente il pericolo, la difficoltà da affrontare e l’aspetto negativo sono consistiti essenzialmente nella disintermediazione, come fattore tipico di Internet, e nella distribuzione parziale, non uniforme e non sempre autorevole e “democratica” delle informazioni e della conoscenza, data dall’uso non corretto del medium. Il termine disintermediazione è di origine finanziaria e indica sostanzialmente la tendenza del pubblico ad occuparsi in prima persona del proprio denaro scavalcando la mediazione delle banche e di altre figure di consulenti. Nell’ambito di internet, sta ad indicare in generale la possibilità di interazione diretta tra due figure che nel mondo reale nella maggior parte dei casi si verifica grazie ad un intermediario: nelle professioni dell’informazione ad esempio, questo termine è stato usato per indicare il protagonismo dell’utente finale che in una certa fase è sembrato mettere in dubbio l’esistenza stessa dei bibliotecari, dei documentalisti, degli information broker ecc. É vero (almeno in teoria) che grazie alla rete il lettore non ha più bisogno del bibliotecario, né lo scrittore dell’editore, eppure biblioteche e case editrici continuano ad esistere grazie ai loro stessi sforzi per fronteggiare i problemi e le difficoltà che si sono venuti a determinare con l’avvento dei mezzi digitali, così come, volendo estendere il discorso, hanno fatto anche altre istituzioni: “il mondo accademico sta reagendo alla crisi della comunicazione scientifica attraverso la costituzione di consorzi per garantire l’accessibilità della letteratura specialistica; il mondo degli
  • 4. studi e delle professioni ha dato vita ai portali verticali per organizzare un accesso ordinato alle risorse presenti nel Web e pertinenti ai diversi ambiti specifici” (Cfr. Giovanni Solimine, La biblioteca. Scenari, culture, pratiche di servizio, Roma-Bari, Editori Laterza, 2005, 5). Si direbbe che chi finora ha svolto il ruolo di intermediario è stato costretto a rivedere l’utilità e gli scopi della sua funzione. E in politica che cosa accade? Si direbbe che tutti possono essere contemporaneamente elettori e politici, e la mediazione politica o la delega non sono più necessarie perché ciascuno può formarsi un’opinione e sostenere quelle che ritiene valide. La democrazia diretta, per definizione, mina la mediazione dei politici “di professione”. Ecco che alcuni, fra cui lo scrittore e giornalista Giampietro Berti, sostengono che l'idea che la democrazia elettronica possa essere democrazia diretta appare una speranza mal riposta in quanto “quest'ultima, per funzionare, richiede esattamente il contrario di quanto offre la «rete» stessa, perché il suo conseguimento può avvenire solo in piccole comunità, e solamente a patto che si dia un insieme di condizioni storiche, geografiche, culturali, politiche, religiose - financo antropologiche - del tutto specifiche. Esempio banale: nessuna democrazia diretta è in grado di risolvere i problemi di convivenza fra persone di fedi politiche e religiose opposte.” (http://www.ilgiornale.it/news/cultura/nome-web-sovrano-ecco-tutti- inganni-democrazia-digitale-991054.html). Quindi, tolto il problema dello spazio e del tempo per le decisioni da prendere, restano quelli della dimensione della comunità e delle tante opinioni inconciliabili. Tante di più, se si intende la rete come mezzo di democrazia diretta, dove chiunque può esprimere un proprio parere e non c’è mediazione politica. In realtà, non tutte le opinioni espresse sul web hanno seguito, ma solo alcune. Ecco che esperti giuristi come Fulco Lanchester, professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato all’università La Sapienza di Roma, mettono in luce i modi in cui le network technologies possono favorire nuove e inquietanti forme plebiscitarie, sottratte a ogni effettivo controllo democratico. Ciò accadrebbe, riprendendo il pensiero di Giampietro Berti, perché in rete il consenso è frutto non di scelte volontarie e perciò libere, ma di condizionamenti e di opere di
  • 5. persuasione da parte di demagoghi (cfr. http://www.ilgiornale.it/news/cultura/nome- web-sovrano-ecco-tutti-inganni-democrazia-digitale-991054.html ). In effetti il consenso è correttamente espresso, come dice Giuseppe Schiavone, docente di filosofia politica all’università del Salento, solo quando viene dato dopo un’attenta riflessione che ha fatto maturare una determinata convinzione , e non risulta autentico negli altri casi, o quando “dato in forma emotiva in una condizione di coazione esplicita od occulta, finemente manipolata, o come adesione servile al potere, all’uomo forte, nella speranza – peraltro spesso improbabile - di poterne avere dei favori.”. Verrebbe da dire: figurarsi se in un posto come Internet, dove l’istantaneità la fa da padrona, si può parlare di consenso! Tocca senza dubbio riconoscere che in una società in cui i cittadini votano ogni sera per eliminare i concorrenti di un programma televisivo, e ogni mattina firmano petizioni online, il processo elettorale parlamentare ad esempio, può risultare, se non rigido, quantomeno anacronistico. Se si riflette ancora un po’, sorgono altre domande: quanto uno dei social media come Facebook o Twitter aiuta i cittadini a decidere con la propria testa, e quanto fa da aggregatore e da spinta verso il conformismo per chi vuole fare propaganda? E già, banalmente la questione è tutta qui. Chi riesce a influenzare chi all’interno della rete? Chi e quanti sono davvero attivi e partecipi? Sicuramente non bisogna dimenticare che internet dovrebbe garantire, solo in quanto medium e per le potenzialità che ha, il libero accesso alle informazioni e il diritto di esprimere la propria opinione in uguale misura per tutti gli utenti. Si sa però, che la sua incidenza sociale e politica dipende da come viene usato e infatti non sembra essere un “luogo” neutro, perché condizionato a sua volta da logiche di potere economico, di potenza degli Stati e di omologazione. Cosa c'è dunque di così democratico e orizzontale, o quantomeno, di oggettivo, nell'ecosistema di internet e dei nuovi media, se tutto è filtrato da interessi economici e di potere? Cosa c’è di libero se i nostri dati personali sono oggetto di mercato e se, come sostiene il giornalista Benedetto Vecchi, i contenuti sono espropriati da parte di imprese economiche, e quelli politici sono “l’esito di un processo produttivo che vede la
  • 6. dimensione politica ridotta a macchina organizzativa di quel processo produttivo ?” (http://ilmanifesto.it/una-democrazia-a-colpi-di-mouse/ ). Sostanzialmente nulla di più o di meno rispetto a quanto è possibile riscontrare in pratiche politiche, associative, comunitarie di tipo tradizionale e piramidale: il rischio che l’opinione delle persone venga strumentalizzata, se non si conosce bene il funzionamento della rete, è pressoché identico a quello di un vecchio medium come la tv. Alcuni problemi che si pongono sono gli stessi di sempre: evitare che il mezzo, invece di aumentare gli spazi di informazione e quindi di autonomia dei cittadini, venga usato in modo inappropriato, fomentando il populismo, favorendo le decisioni affrettate e dettate da emozioni momentanee, l’enfatizzazione mediatica motivata spesso da interessi poco trasparenti. A fianco a questi però, sorgono altri problemi dettati proprio dalle caratteristiche di internet. Se si deve votare, come garantire la trasparenza della votazione senza violare la privacy degli utenti elettori? Visto che la decisione è solo una fase del “policy making”, in un processo legislativo, come fare per allineare modalità e tempi virtuali con quelli reali? Come sapere se la questione alla quale si partecipa con un click non faccia parte di ben più profonde discussioni e non implichi ben altri risultati? L’Estonia sarà l’unico Paese ad esprimersi con il voto elettronico alle elezioni europee 2014. Come essere sicuri che i voti dati non verranno manipolati? Al momento i dubbi sono più delle certezze, in quanto nessuna istituzione è ancora riuscita, già a qualche anno di distanza dall’introduzione in diversi stati di metodi di consultazione popolare online, a servirsi dei punti di forza della rete, l’immediatezza e la pervasività, evitando i pericoli. Occorre quindi cautela nella scelta e nell’utilizzo. Siamo dell’idea che non si debbano annullare, ma bisogna fare ancora molto perché un sistema popolare come può essere qualunque rete sociale con i suoi “mi piace” alla pagina di un’istituzione, valga anche come sistema democratico.