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CORSO DI TEORIA E TECNICA DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA
A.S 2017/2018
IS TECHNOLOGY GOOD OR BAD FOR DEMOCRACY?
INTRODUZIONE
Le nuove tecnologie sembrano essere la fine della politica. Utopia o realtà? I nuovi sistemi
mediatici, televisione commerciale e quindi Internet, avrebbero a poco a poco sostituito i
vecchi corpi intermedi politici mutando radicalmente il carattere della partecipazione
politica e contribuendo a ridefinirne le sue caratteristiche. La diffusione di internet ha
avuto e continuerà ad avere effetti dirompenti sulle forme della politica, non minori di
quelli avuti dall’invenzione della stampa all’inizio della modernità. Le democrazie europee,
sottoposte a sempre più nuove sfide, stanno attraversando mutamenti intensi in alcuni
ambiti fondamentali (crisi della rappresentanza, emersione dei populismi, leaderismi,
cattura oligarchica delle istituzioni, ecc…). L’uso dei media digitali evidenzia, infatti, gli
“effetti strutturali” della comunicazione politica (personalizzazione, spettacolarizzazione,
winnowing effects, ecc.) mentre non danno alcuna certezza che tutto ciò si tradurrà in un
incremento di intensità della voce e del potere di controllo dei cittadini e non, invece o
semplicemente, in una teatralizzazione spettatoriale della loro presenza, con il popolo che
da attore politico si fa audience. Ma è realmente così? La nostra ricerca ha avuto come
scopo principale quello di comprendere, attraverso il confronto con personalità illustri nel
mondo della e-democracy, le reali possibilità che il cittadino, in seguito all’evento di
internet abbia più potere e quali sono, in fin di conti, i vantaggi che le nuove tecnologie
forniscono alla democrazia.

RICERCHE
Le moderne tecnologie digitali e in particolare internet segnano l’inizio di una nuova era,
in cui tutto sarà migliore, un’epoca in cui la vera emancipazione dell’umanità non verrà
dalle filosofie, ma dalle tecnologie. Le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dal
web 2.0 consentono modificazioni nei rapporti sociali tra leadership e opinione pubblica.
Il web in effetti costituisce anche un utile strumento di organizzazione e azione; da una
parte, infatti, esso può favorire la democrazia interna, dentro la cornice di procedure
decisionali partecipative; dall’altra parte, esso può costituire uno strumento di
promozione, diffusione e consultazione dell’azione politica. Il processo di mediatizzazione
si accompagna anche all’incremento di competitività elettorale: partiti e candidati sono
costretti ad adottare profili strategici, puntando alla formazione di una “brand image” non
solo per rappresentare i valori del partito, ma anche con l’obiettivo di creare un
“personaggio”, un futuro leader, sfruttando ampiamente la visibilità dei media. Pur non
essendone direttamente responsabili, i media alimentano e in qualche modo supportano
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 1
la trasformazione dei partiti in organizzazioni liquide, contribuendo a spettacolarizzare il
sistema politico che, a sua volta, ha subìto un forte processo di personalizzazione.

Tuttavia è importante ricordare che la democrazia elettronica non è una forma di governo,
ma un sistema per governare, per rivitalizzare la relazione fra istituzioni e cittadini, per far
sì che questi ultimi siano inclusi nella vita politica e che partecipino con continuità a essa,
condividendo, nel rispetto dei ruoli, la responsabilità delle scelte e della gestione della
cosa pubblica. Il termine e-democracy (nato intorno agli anni Novanta del XX secolo)
introduce un concetto interessante, ma sin da subito di difficile definizione: la democrazia
elettronica, ossia l' utilizzo delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione
nell'ambito dei processi democratici. Una delle tematiche molto discusse al giorno d’oggi
è la possibilità che i cittadini possano, a qualunque livello (locale, nazionale,
internazionale), condizionare le scelte politiche dei governi, o per introdurre, addirittura,
forme innovative di democrazia diretta. A tal proposito, in effetti, non è infrequente il
ricorso a piattaforme di “democrazia partecipativa” come LiquidFeedback o Airesis, la
prima diventata mediaticamente nota grazie al Piratenpartei tedesco, la seconda resa
popolare in giornali e televisioni dalla sua parziale adozione da parte del MoVimento 5
Stelle. Vediamo in cosa consistono:

1) LiquidFeedback (abbreviato in LQFB) è un software studiato per raccogliere opinioni
condivise all'interno di una comunità, secondo i principi della democrazia liquida;
quest'ultima include contemporaneamente i concetti di democrazia rappresentativa e
democrazia diretta. Il software si ripropone di creare una rappresentazione accurata
delle opinioni espresse dai membri della comunità, senza che sia alterata da gerarchie
sociali e dalle disparità di conoscenze nei partecipanti. Ogni individuo è incoraggiato a
promuovere le sue iniziative, e il software è ampiamente configurabile per aderire alle
richieste di leggi e statuti associativi. 

2) Airesis è una piattaforma software libera, realizzata da un team italiano, per consentire
a diverse forme di comunità di organizzarsi in modo produttivo secondo i principi della
democrazia diretta e partecipativa. A tal scopo, la piattaforma è stata pensata come
un sistema multifunzionale, che integra tutti gli strumenti che possono servire allo
sviluppo di una comunità, in particolare strumenti social e ad orientamento
deliberativo. Gli strumenti social comprendono dei blog e un sistema di promozione
di eventi/incontri con annessa calendarizzazione. Gli strumenti deliberativi
comprendono aree per la raccolta e la delibera di proposte/iniziative e un sistema di
votazione di candidati. La piattaforma consente inoltre di creare gruppi ad accesso
regolamentato tramite policy e autorizzazioni personalizzabili. Poiché l'obiettivo di
Airesis è quello di stimolare la partecipazione, è stata prestata grande attenzione
all'intuitività. La filosofia di sviluppo è quella del miglioramento continuo, processo
evolutivo e virtuoso basato sui feedback ricevuti dagli utenti.

La palestra principale della partecipazione politica è diventata la rete, il mondo digitale,
dove si esprime il proprio consenso attraverso un “like” o un post su Facebook o Twitter.
Si tratta di un fenomeno che potrebbe avere esiti molto diversi e che oltre a porre molte
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 2
opportunità, mette in evidenza anche molte problematiche. Innanzitutto il problema è
dato dalla necessità di una condensazione della presenza delle opinioni politiche sulla
rete. Oggi il rischio dell'effluvio di post sulla rete non è tanto che siano tanti, magari
fossero di più, perché sarebbero indice di voglia di partecipare, di incidere nella realtà, ma
perché, oltre a non trovare sintesi, tendono ad avvitarsi su sé stessi, dando vita (la
maggior parte delle volte) a processi di cyber balcanizzazione.

Da un lato per chi scrive un post c'è la sensazione di avere potere: posso parlare con il
mio politico di riferimento; posso vedere la mia foto accanto al mio commento, in perfetta
parità di esposizione, a quella magari di un personaggio noto; posso far arrivare
potenzialmente la mia opinione a un numero infinito di gente. La logica a rete del web,
sarebbe capace di generare un nuovo spazio pubblico, di mettere finalmente in relazione,
attraverso legami orizzontali, i cittadini fra di loro e di "connettere", attraverso legami
verticali, la società civile con il mondo politico.

Dall’altro però, c'è la reale inconsistenza di questo fenomeno. Quelle opinioni raramente
mobilitano, raramente si trasformano in potere politico, al massimo suscitano altri "likes"
o altre opinioni, effimere come le prime, poiché non varcano la soglia dell'irrilevanza. Di
qui il fenomeno di narcisismo digitale, ovvero a quella sensazione di onnipotenza data
dalla semplice visibilità che strumenti del genere (come i social media) danno ad ognuno
di noi. Occorre tuttavia non demonizzare gli strumenti, i quali di per sé non hanno il potere
di nuocere, soprattutto fisicamente, a qualcuno, ma tutto dipende dall’utilizzo che se ne
fa, da quali opportunità decidiamo di sfruttare e quali no. Infatti, non dobbiamo
dimenticare che dietro l’ (apparente) ombra del mostro di internet si cela una grande
prospettiva per la politica: ovvero sfruttare la pervasività e la semplicità di utilizzo del web
2.0 per consentire una consultazione dei cittadini in maniera neutrale, con protocolli che
assicurano l'anonimità del voto, garantiscono la non ripetizione del voto della stessa
persona e precludono a manipolazioni ante/post voto, attraverso apposite piattaforme le
quali possono selezionare un campione di cittadini sulla base della regione, provincia,
comune o anche quartiere. È facile chiedere il parere dei cittadini su questioni su cui essi
hanno sufficiente consapevolezza e interesse nel dire la propria. Attraverso le nuove
tecnologie sarebbe anche possibile svolgere referendum nazionali, sondaggi, petizioni
che riducono i processi partecipativi a un insieme di domande a cui si può rispondere
direttamente dal proprio smartphone nel giro di pochi secondi. In tal mondo si evita
l’eccessivo passaggio di “mani” cartaceo dando vita ad un risultato che solo qualche
anno fa sarebbe stato impensabile. Infatti, un apparato informatico controllato dal basso,
incoraggerebbe la partecipazione dei “cittadini digitali”. Se invece è dominato dall’alto
esso permette controllo e manipolazione, relegando la democrazia partecipativa ad un
angolo. Come ogni altra innovazione richiede del tempo, necessario ad includere quella
parte di popolazione mondiale, che purtroppo, ancora oggi, non fa parte della banda
larga. Quanti secoli ci vorranno per “un computer a ogni umano”? Gli analfabeti e i “non
digitali” possono votare alzando la mano o tracciando una X su una scheda, Possono
partecipare a un partito o un sindacato veri. Ma sarebbero tagliati fuori da una politica del
tutto-digitale che prima o poi costituirà la realtà. Pian piano i partiti stessi si stanno
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 3
digitalizzando, ma è corretto parlare di “partito digitale”? Con questo termine si intende
movimenti e partiti che integrano nel loro modus operandi le tecnologie digitali e le nuove
forme di interazione e cooperazione che sono divenute il simbolo dell’era dei social, degli
smartphone, delle app, di Google, Facebook, Twitter e della generazione dei Millenial.
Tale carattere digitale è visibile a diversi livelli di profondità: nella loro comunicazione
esterna e nella loro organizzazione interna. Esternamente queste formazioni hanno
cavalcato la potenza comunicativa delle reti social come Facebook e Twitter o su canali
dedicati a YouTube per costruire una base attiva di sostenitori e simpatizzanti.
Internamente hanno sviluppato alcune piattaforme online per chiamare gli iscritti a
discutere e votare su politiche, cariche interne e candidati. Sebbene stiano nascendo
forme partitiche di questo tipo, anche in Italia, e che quelle già esistenti si stiano pian
piano adattando al cambiamento, non possiamo ancora affermare che sia nato un partito
digitale a tutti gli effetti, è necessario ancora del tempo, soprattutto per far si che internet
venga considerato più un “alleato” che un “nemico.”

Per concludere, si tratta allora di raffinare la neutralità delle piattaforme già esistenti e di
crearne di nuove, dando la possibilità a migliaia e migliaia di persone che non chiedono
altro che partecipare e decidere insieme. Ma è importante ricordare che, come sottolinea
Rodotà, «convivono fianco a fianco le "tecnologie della libertà" e le "tecnologie del
controllo”»

DOMANDE DELL’INTERVISTA
1) Al giorno d’oggi abbiamo la possibilità di essere ovunque vogliamo in qualsiasi
momento, rimanendo nelle mura della propria casa. come se venissero abbattuti i
confini geografici e nazionali di ogni Paese. Per cui come si può affermare la
rappresentanza politica in una società senza confini? È necessario avere dei
rappresentanti quando ormai abbiamo la possibilità di rappresentarci da soli ed
esprimere la nostra opinione direttamente? 

2) Crede ancora che i partiti possano aver presa sull’opinione pubblica? Si può parlare di
“partito digitale”?

3) In una società in cui tutti possono dire la propria con un “click” e partecipano
attivamente ai social media come può reggere ancora il potere statuale?

4) In seguito agli eventi di Cambridge Analytica che hanno dominato la scena mediatica
nelle ultime settimane come si può gestire il concetto di privacy?

5) Si può considerare democratico che “pochi” abbiano accesso ai dati di “tutti” e li
possano utilizzare per influenzare il nostro pensiero?

6) Per cui possiamo considerarci una società più democratica rispetto agli anni in cui
internet non esisteva? Le nuove tecnologie e il web 2.0 hanno portato ad un’eguale
spartizione dei ruoli? Ora l’opinione pubblica ha più potere?

7) Possiamo considerare internet un luogo democratico realmente per tutti? E’ un bene o
un male per la democrazia?



INTERVISTE
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 4
MARCO MOROSINI
In certe comunità alcune decisioni sono prese in riunioni nelle quali votano tutti i
convenuti tra gli aventi diritto. Una pratica molto diffusa in Svizzera è l’utilizzo dei
referendum locali o nazionali, delle assemblee di cittadini adulti o altre in cui tutti i cittadini
possono votare in piazza (una volta all’anno) per alzata di mano e quindi, in qualche
modo, “si rappresentano da soli”. Tuttavia, non è possibile che i cittadini possano
“rappresentarsi da soli” nel processo decisionale (legislativo e deliberativo). Ammesso
che ognuno di loro abbia il tempo di studiare e votare ogni giorno per molteplici decisioni,
si porrebbe inoltre la questione di legittimità della tecnica di voto e a tal proposito è stato
ampiamente evocato il voto attraverso internet. Questo è a mio avviso improponibile su
larga scala, sia perché esclude dal diritto tutti coloro che non sono familiari all’uso delle
nuove tecniche informatiche (quasi metà degli adulti in Italia), sia perché non esistono
sistemi efficaci di controllo da parte di terzi per accertare l’assenza di errori,
manipolazioni, truffe. Per questo il voto sistematico in internet non esiste in nessun
paese.

Non dobbiamo dimenticare il fatto che anche laddove il popolo può votare più spesso, le
decisioni popolari sono solo una piccola parte delle decisioni. Pertanto l’espressione
“democrazia diretta” si presta a equivoci e a volte viene coscientemente o
incoscientemente abusata. 

La pubblicazione in internet espone gli attori politici e amministrativi più di prima e
diversamente, il che potrebbe generare relazioni nuove tra politici e utenti di internet, non
cambiando tuttavia nella sostanza lo Stato, anzi non vi è nesso tra il funzionamento del
potere statuale e l’espressione in internet di molti (non “tutti”. In Italia, circa la metà degli
adulti). Un conto è scrivere, un conto è gestire una realtà complessa come uno Stato.
Scrivere (o pubblicare immagini, suoni, video) in internet, specialmente nei social media,
ha sue caratteristiche, in parte diverse dal pubblicare su carta o diffondere con altri
media. 

Molti partiti in molti paesi perdono influenza. Ma, per quanto vasto, questo è un
fenomeno circoscritto nello spazio e nel tempo. Non è un fenomeno universale. E tanto
meno è determinato dall’avvento di internet, dato che la possibile presa sull’opinione
pubblica di un partito dipende da molti fattori ed è diversa in diversi Paesi.

Per quanto riguarda la digitalizzazione dei partiti, il M5S è l’unico grande “partito digitale”
al mondo, definendo con “partito digitale” un partito politico che esiste solo in internet,
che non ha luoghi o istanze di discussione, che permette la concentrazione del potere a
che detiene le piattaforme politiche digitali, i servizi e i molti dati che riguardano ognuno
degli iscritti e degli eletti del partito, grazie all’utilizzo delle moderne TIC (tecnologie
dell’informazione e della comunicazione). Infatti, si può ormai considerare internet come
uno strumento a scopo di lucro, il quale ha realizzato il più esteso e intrusivo sistema di
spionaggio della storia. Governi e Stati sono complici dello spionaggio privato in internet,
superando ogni tipo di aspettativa. A tal proposito sarebbe necessaria una legislazione
che impedisca a chiunque di prelevare anche un solo bit di informazione privata delle e
sulle persone che contattano qualunque attore in internet. Basterebbe una semplice
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 5
software in ogni computer, per impedirgli l’uscita di informazioni non volute dall’utente.
Anzi, non occorrerebbe una legge, ma un vero e proprio articolo nella Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo. E’ anche vero che i cittadini connessi in internet hanno
acquisito nuove possibilità di esprimersi, quindi di fatto alcuni nuovi poteri. Inoltre, tra gli
users (circa 2 miliardi di adulti), solo una piccola minoranza di essi usa internet per
accrescere la propria cultura e la propria influenza sulla società. La maggior parte dell’uso
di internet è, invece, in stato di sudditanza, in genere inconsapevole, verso gli attori
privati che ne lucrano.

DANIELE PITTERI
Innanzitutto non siamo in un mondo senza confini, i confini esistono perché esistono gli
Stati, ciascuno dei quali si è dato un insieme di regole condivise, Fra cui le norme che
regolano la rappresentanza, diverso da quello degli altri Stati. Per cui non ci si può
“rappresentare da soli”, in quanto se ciò accadesse non ci sarebbe società. Se si
rappresenta da sola una società, la libertà dei singoli è condizionata dalla libertà di tutti gli
altri che fanno parte della medesima società. E non si dovrebbe dimenticare che la libertà
di espressione è un diritto individuale e collettivo, la rappresentanza (anche da soli) è una
norma collettiva. Sono due cose diverse. Detto questo, credo ancora che i partiti hanno
presa sull'opinione pubblica perché incarnano visioni del mondo diverse in cui i cittadini
possano rispecchiarsi. 

Nelle democrazie, quanto più ampia è la possibilità di partecipazione, tanto più forte è lo
Stato, inteso come si diceva prima. Dopo di che: la possibilità di dire la propria con un
"click" o di partecipare ai social media ha poco a che fare con lo Stato e con le sue
regole. E' evidente che i social network aumentino i rischi per le libertà individuali perché
sono basati su un tacito patto: ti offro gratuitamente una piattaforma tecnologica (molto
costosa) per consentirti di dialogare con le persone e tu in cambio mi rendi disponibili le
informazioni che ti riguardano. Il caso di Cambridge Analytica è la conseguenza estrema
(e in parte evidentemente fraudolenta) di questo tacito patto. Ma la domanda da porsi è:
perché le piattaforme social ci chiedono di sottoscrivere questo patto? Perché ci
chiedono di rendere disponibili i nostri dati personali? La risposta è banale e terribile al
contempo: l'uso dei nostri dati consente alle piattaforme di ricavare il denaro necessario a
coprirne le spese di funzionamento. E ad andare molto oltre, visto i profitti esorbitanti
delle piattaforme stesse. Se guardati da questo punto di vista, social network e
salvaguardia della privacy sono in aperta contraddizione: salvaguardare la seconda
significa eliminare i primi nella loro forma attuale. D'altra parte, non vedo forme diverse di
possibilità di esistenza dei social network, a meno che, ovviamente, non si ragioni per
astratto di una società dalla quale scompare la relazione fra lavoro e denaro. Internet
quindi è come le ferrovie: mette a disposizione binari per raggiungere più luoghi possibili.
Il web è come i treni, ossia gli strumenti che mi consentono di raggiungere tutti i luoghi
collegati dai binari. Intesi in tal senso: internet è potenzialmente democratico perché
mette a disposizione la strada affinché tutti possano andare da un luogo in tutti gli altri
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 6
luoghi. I motori di ricerca, anche essi gratuiti, ma costosissimi, decidono i percorsi che noi
dobbiamo fare per raggiungere tutti i luoghi potenzialmente raggiungibili attraverso i
binari. E alcuni luoghi, che è troppo dispendioso raggiungere, non ce li fanno raggiungere,
proprio perché debbono comunque ricavare degli introiti per far funzionare i treni. I social,
lo abbiamo detto prima, funzionano su quel tacito patto volontario, che di per se stesso è
uno squilibrio. Per cui il web ci da l'illusione di una democrazia diffusa, ma di fatto è il più
alto esempio di mercato ultra liberista che l'essere umano abbia mia sviluppato. Siamo in
una società in cui, almeno sulla carta, uno dei capisaldi della democrazia (il diritto di
informazione, nella sua forma completa: ricevere, informazione; produrre informazione;
diffondere informazione) sembra essersi rafforzato. Esiste tuttavia il rovescio della
medaglia, che è parte integrante del concetto di informazione, ossia la veridicità della
fonte e la possibilità di poterla verificare. Sotto questo profilo, siamo di fronte, invece, ad
un forte indebolimento.

Infine, un’ultima distinzione da fare è sul significato dell'aggettivo democratico, che non
contiene in sé il significato di uguaglianza. Una cosa democratica, non è necessariamente
egualitaria. Penso che questo sia uno dei temi veri di riflessione.

NADIA URBINATI
La democrazia è una cosa complessa ed è caratterizzata da tre facce: 

- La prima, quella istituzionale è legata ad una dimensione territoriale della sovranità,
ma a meno che non si crei uno Stato mondiale, che ovviamente non può essere
democratico, per ora la democrazia sta dentro determinati confini e quindi confini
territoriali. Tuttavia, la dimensione della rappresentanza politica non è l’unica, ce ne
sono tante altre, come ad esempio la rappresentanza tramite claims, rivendicazioni,
che possono unire persone di diversi paesi. 

- La seconda è quella della rappresentanza simbolica: quando entriamo in un sito web o
su una piattaforma social come Twitter, non è che noi indistintamente parliamo con
tutti, noi ci riconosciamo simbolicamente in un gruppo piuttosto che in un altro, dando
vita ad una forma di rappresentanza simbolica, in quanto ci sentiamo simbolicamente
simili a coloro che fanno parte di quel gruppo. 

- La terza è quella dell’opinione, del giudizio, della valutazione, sia come cittadini, da soli
o anche da associati, nel momento in cui entriamo a far parte di un’associazione. Noi ci
affidiamo alla televisione, alla radio, ai giornali, per crearci un’idea su un qualcosa,
quando in realtà si tratta spesso di costruzioni: noi non conosciamo tutto, ma solo
quello che vogliono farci sapere, una piccolissima parte di informazioni ben presentate.
La costruzione del giudizio è sempre collettiva, generalmente ci facciamo un’idea
personale che poi aggiustiamo in base al pensiero degli altri, perché abbiamo bisogno
del consenso. 

Quindi è come se al giorno d’oggi, avessimo la possibilità di comunicare con tutto il
mondo, ma come cittadini abbiamo ancora bisogno della rappresentanza politica. Se
essa abbia ancora presa sull’opinione pubblica è un altro discorso, però il fatto è che
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 7
istituzionalmente ancora c’è. Ultimamente si registra un declino di attenzione, valutazione,
legittimità morale nell’opinione corrente, ma queste sono due cose diverse. Può anche
decidere di non andare a votare, dire che il voto non conta (e lo può dire se vuole), ma
non può negare il fatto che fondamentalmente si ha questo potere. E anche il potere
statuale cambierebbe perché ci potrebbe essere la possibilità di avere un Parlamento più
in diretto contatto con noi. Invece che chiedere l’opinione dei cittadini ogni 4 anni, lo si
potrebbe fare continuamente, ogni volta che si devono prendere decisioni in Parlamento.
Quindi è possibile che in un futuro, forse lontanissimo, cambi la rappresentanza.

Con il web e il digitale si può immaginare tutto questo, una maggiore interazione che col
tempo possa trasformarsi in comando: perché è importante che se io esprimo un mio
parere, esso venga subito registrato e che il rappresentante ne tenga conto. 

Sebbene ci siano già nuove forme di decisione digitale come quando compriamo un
qualcosa online, esprimendo una preferenza, o firmando una petizione internazionale su
internet e così via. Tuttavia non esiste ancora un partito digitale vero e proprio, lo stesso
Movimento 5 Stelle non è solo digitale, anche se viene presentato così: non credo che nel
sud del nostro Paese dove ha stravinto, tutte le persone (da 0 a 90 anni) usino internet, è
impossibile. Per cui c’è una parte del partito che è assolutamente tradizionale, è quindi un
partito misto, nato dal basso che ha comunque un leader, Beppe Grillo, che ha
cominciato con le manifestazioni di piazza e solo dopo con il blog. Quindi dal punto di
vista dell’opinione pubblica, siamo già approdati ad una forma di partito non
necessariamente tradizionale, tuttavia le due identità interagiscono ancora. 

E’ importante non demonizzare gli strumenti, non ha senso, gli strumenti non hanno vita,
intelletto, determinazione e volontà. Siamo noi che gli diamo tutto questo potere: è chiaro
che internet possa essere usato in tutti i modi, come anche il voto può essere usato in
tutti i modi. Non possiamo dire che internet è cattivo, ma dovremmo dire che lo usiamo
male, si ha possibilità di usarlo in modi molto negativi, ma anche molto positivi. Se lo si
usa in politica, occorre normare queste nuove tecnologie, le potenzialità del mezzo sono
molto più avanti rispetto alle nostre norme. Le nostre norme sulla privacy si basano sul
presupposto che ci sia una persona, un gruppo, che intenzionalmente entra nella nostra
posta elettronica, nella nostra casa, che compia dunque delle azioni fisiche, ma in realtà
internet non fa niente di tutto ciò. Eppure è in grado di ottenere una grande quantità di
dati e di distribuirli a chi vuole e si badi bene che questo non nasce da internet, bensì
dall’economia finanziaria. Uno dei problemi più importanti a riguardo è, infatti, tutelare i
nostri dati. Non è vero che non si può fare, Internet ha le risorse per farlo, ci sono tante
piattaforme con questo scopo, il vero problema è chi controlla i controllori. Noi siamo
corresponsabili, siamo direttamente esposti, contribuiamo alla violazione della nostra
privacy. Per cui, non si sa precisamente chi sia l’autore e chi la vittima, non è più il
vecchio concetto di privacy di un individuo contro un altro, si tratta di un’altra
dimensione. Si è creata una situazione in cui siamo costretti ad utilizzare questi mezzi
nelle quotidianità, ma allo stesso tempo si tratta di una nostra decisione. Colossi come
Google, Amazon, American Express, sono globali e sono soprattutto aziende private sulle
quali non abbiamo grande presa, non possiamo arginarli, altrimenti si spostano in un altro
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 8
paese e lo scandalo di Cambridge Analytica, ha fatto si che venissero fuori tutte le
preoccupazioni sul nostro uso di internet. Per concludere si può affermare che non è vero
che le tecnologie fanno del male alla democrazia. Basti pensare alla nascita della stampa,
grazie alla quale oggi viviamo nella pervasività ed estrema diffusione delle informazioni.
Inizialmente non era così, anzi si fece di tutto per impedire che i cittadini venissero a
conoscenza di tutto, attraverso la censura, i libri all’indice, la controriforma ecc… Sono
occorsi secoli affinché la stampa potesse godere della libertà, allo stesso modo, anche
internet debba compiere un percorso del genere. Anzi ci troviamo secondo me in una
fase molto interessante, veniamo da una fase in cui prevalevano i partiti e la democrazia
si fondava su di essi, ad una democrazia in cui il Parlamento può essere in diretto
contatto con i cittadini, cambiando la forma, lo scopo dei partiti e allo stesso modo la
funzione dell’eletto il quale diventa più vicino alle Istituzioni stesse.
ANDREA MICONI
Al giorno d’oggi esistono strumenti attraverso i quali è possibile informarsi e informare gli
altri, si può anche deliberare autonomamente, perciò si può pensare a una democrazia
diretta, una democrazia non più mediata. Tuttavia, sostituire l’attuale sistema con una
democrazia partecipativa fa acqua da tutte le parti, in quanto serve sempre qualcuno che
decida su che si vota. Chiunque e in qualsiasi momento potrebbe votare tramite il
cellulare “SI” o “NO”, ma è importante che ci sia qualcuno che stabilisca un ordine del
giorno. Non si chiamerebbe più Parlamento ma si chiamerebbe in un altro modo. Quindi è
inevitabile una struttura rappresentativa. Il problema però non è tanto sul funzionamento,
ma sulla legittimazione degli organi rappresentativi. Degli organi che devono adattarsi al
cambiamento portato dal web, un pò come stanno facendo i partiti, i quali si stanno
digitalizzando. Con il termine “partito digitale” infatti intendiamo un partito che è cresciuto
all’interno del web, i cosiddetti “nativi digitali”. 

Il potere dello stato rispetto ai cittadini, si fonda sul monopolio e la legittimità della forza
che c’è ancora: chiunque può essere arrestato per aver compiuto un reato. Ma tutti quegli
elementi simbolici (come Parlamento, Camera, Senato, i partiti, il Presidente della
Repubblica ecc…) hanno perso sicuramente autorevolezza per una serie di motivi
abbastanza evidenti, basti guardare lo scoppio della “Primavera Araba”, dove
probabilmente c’è stato un uso politico dei social più forte a causa della chiusura di tutti
gli altri canali, per cui non avendo altro modo per poter esprimere il proprio dissenso si
sono affidati alla potenza di internet e dei social, sfruttandolo a proprio vantaggio contro il
sistema istituzionale. Tutto dipende dal contento di riferimento e dalle motivazioni che
hanno portato all’insorgere di queste manifestazioni, sopratutto se dietro ci sono delle
motivazioni politiche. E’ un pò quello che è successo per Cambridge Analytica, il caso è
diventato “notizia” ed ha fatto si che scoppiasse lo scandalo perché i dati di 80 milioni di
persone sono stati “rubati" per fare proliferazione servita per la campagna elettorale di
Trump, quindi per un fattore politico. La privacy muore nel momento in qui noi ignoriamo
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 9
le regole. Quando si apre un account su Facebook, vengono mostrate tutte la normativa
sul trattamento dei dati non legge nessuno perché sono scritte in modo tale che uno non
le legga, ma attenzione: lì c’è scritto che dal momento in qui uno crea un proprio profilo, i
dati diventano immediatamente di proprietà del social network. Per cui noi ne dovevamo
essere consapevoli, non c’era niente di nuovo in quello che ha fatto Cambridge Analytica.
Uno scandalo del genere si è verificato precedentemente solo con il caso Snowden,
quella è stata la prima grande fiammata sul concetto di privacy, in quanto egli arrivò ad
affermare che l’NSA accede a tutto quello che chiunque nel mondo scrive su internet
registrando i dati, sconvolgendo l’opinione pubblica. Ma è un po' una medaglia con
doppia faccia: so che qualcuno si prende i miei dati, ma rimane un concetto a bassa
consapevolezza, non ci faccio particolarmente caso, dato che il “controllo” non è
evidente e fisico. E’ un processo che è tutt’ora studiato dai filosofi. 

A tal proposito, c’è un intero ambito di ricerca che evidenzia che una volta che le persone
accedono alla rete non sono tutte sullo stesso piano, in quanto non hanno le stesse
possibilità. Se per democrazia si intende parità di opportunità, il web non la garantisce. La
democrazia è comunque un dispositivo che controlla e consente attraverso le forme di
mediazione un governo ai cittadini ed essa stessa non è perfettamente democratica: ad
esempio ti da il diritto di voto, ma dopo di che chi ha perso ha perso. Non credo quindi
che sia cambiato più di tanto in seguito all’avvento di internet per l’opinino pubblica, si
hanno sicuramente più modi per dire la propria, ci è stato dato più spazio, ma
fondamentalmente il potere è detenuto da Facebook e dai governi. Credo sia necessari
creare più consapevolezza tra gli utenti e far si che fenomeni come le cascate d’opinione,
ovvero la generazione di commenti appunto a cascata riguardo un determinato
argomento che sembra venga dal “basso” ed è difficile controllarlo perché sembra
spontaneo. 

VALENTINA CHIMENTI
Una domanda simile se l’è posta anche Simon Anholt, che ha ideato il Global Vote. Alla
base del Global Vote c’è un principio semplice: non soltanto internet ma anche
l’economia, l’industria, il turismo abbattono sempre più le barriere, rendendoci sempre più
“cittadini del mondo”. Esso è una piattaforma che abilita chiunque in qualsiasi parte del
mondo con una connessione Internet a votare nelle elezioni di altri paesi. La ragione per
fare questo è colmare un enorme deficit democratico. La globalizzazione significa che
prima o poi tutte le elezioni vengono influenzate da ogni elezione e decisione politica
presa in ogni altro paese, ma non abbiamo voce in capitolo su chi prende tali decisioni.
Questo però, non vuol dire che ci possiamo rappresentare da soli.

I singoli cittadini, considerate le dinamiche di Internet, non avranno mai la stessa visibilità
di un rappresentante (che comunque aderisce al nostro pensiero). Anzi, tanto più
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 10
l’audience è vasta tanto più si sente il bisogno di una guida, di riaggregarsi a un singolo
che emerge dalla massa.   

I partiti possano ancora avere presa sull’opinione pubblica, anzi possono sfruttare a loro
vantaggio l’incredibile potenza di internet. Tant’è che oggi alcuni politici diventano delle
vere e proprie icone pop, entrando a far parte dell’immaginario collettivo. Il “personal
brand” del singolo politico influisce sulla “brand image” del partito e, di conseguenza,
anche sulle opinioni e le scelte civiche dei cittadini. I partiti così continuano ad aver presa
sull’opinione pubblica grazie ai cari e vecchi slogan che oggi echeggiano ancora di più e
più velocemente grazie al web. Non credo sia ancora possibile parlare di “partito digitale”,
se tale termine si intende un partito che esiste solo in internet. In Italia, il “Movimento 5
stelle”, avrà sicuramente investito, in termini di risorse, nel Blog ma non per questo, per
esempio, sono stati eliminati i comizi nelle piazze ed altre forme di propaganda politica
tradizionale. 

Il concetto di privacy si può gestire semplicemente con sincerità e trasparenza, quindi
informare i cittadini della possibilità che tutto ciò che viene postato sui propri account può 

essere utilizzato dalle aziende private per la raccolta di dati. In questo modo saranno loro
a decidere cosa e come postare i loro contenuti, nella completa consapevolezza delle
“conseguenze”. Molto spesso gli utenti sono ignari di ciò che accade nel momento in cui
sfoglio un determinato sito online e metto like ad un post, per cui una maggiore
sensibilizzazione a riguardo potrebbe contribuire a proteggere la privacy di ogni utente.

Quando è il “popolo”, l’opinione pubblica, ad avere il “potere”, allora sì che si parla di
democrazia. E l’opinione pubblica, in teoria, ha questo potere da secoli (almeno
dall’Illuminismo quando ha scoperto che il potere non viene conferito ai sovrani
direttamente da Dio) ma non direi che ne ha di più rispetto a prima. Infatti è importante
ricordare che quello che è cambiato con il web 2.0 non è la quantità di potere nelle mani
dell’opinione pubblica, ma al contrario il modo di esercitarlo. Questo però non vuol dire
che vi sia un’eguale spartizione di ruoli perché il web stesso non è “democratico”.
L’algoritmo dei motori di ricerca privilegia alcune pagine (e quindi alcune opinioni)
piuttosto che altre, ha la capacità di ricalcare e rendere più evidenti le dinamiche sociali
offline e lo ha dimostrato anche, in termini di adesione al voto: il modello tutto-digitale del
Blog del M5S. Solo una piccola percentuale degli iscritti vota regolarmente sul Blog,
proprio come accade negli ultimi anni con le “votazioni offline”.

CONCLUSIONE
A seguito delle ricerche e delle interviste svolte abbiamo sviluppato una nostra personale
conclusione: le tecnologie e internet non sono di per sé un male per la democrazia. Al
contrario le forniscono strumenti (blog, post, siti, articoli, approfondimenti) in grado di
accorciare le distanze tra classe dirigente e cittadini. Considerato che, tramite i social
media, ognuno di noi ha la possibilità di dire la propria e di catturare in qualche modo
l’attenzione dei rappresentanti politici e di instaurare un dialogo con loro accorciando le
distanze, non è poi così difficile vedere internet come uno strumento utile allo sviluppo
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 11
della democrazia. Importante ricordare che internet ha comunque due facce: una
negativa legata al suo uso eccessivo, alla violazione dei diritti sulla privacy, alle attività di
concentrazione e massificazione dell’informazione, e una positiva legata invece alla libera
circolazione dei dati, al fatto che chiunque può accedervi e dire la sua indipendentemente
dal suo pensiero, dalla sua provenienza sociale ecc. Dipende dall’utilizzo che se ne fa.
Sicuramente col passare degli anni, questo “nuovo” mezzo subirà grande evoluzioni.
Difficile oggi dire quali, ma sicuramente internet sarà maggiormente regolamentato, per
impedire che venga utilizzato ai danni degli utenti e per proteggerne sempre più la
privacy. Insomma, così come tutte le invenzioni, anche internet richiede tempo. Si
commetteranno molti errori, è inevitabile, ma è normale per una grande risorsa che non
può essere arginata proprio per le sue grandi potenzialità, quale è internet. La certezza è
che un giorno risolverà questioni complesse e scottanti ancora irrisolte. Si può
concludere che attualmente internet, a causa della sua struttura attuale, non possa
essere definito come un ambiente democratico, sebbene costituisca una straordinaria
fonte di innovazione. Con le nostre ricerche e le interviste abbiamo constato una forte
fiducia e positività, internet potrà essere uno strumento che in futuro porterà dei benefici
alla democrazia.

BIBLIOGRAFIA
1. http://temi.repubblica.it/micromega-online/un-partito-digitale-speranza-o-minaccia-per-la-
democrazia-il-caso-del-movimento-5-stelle/

2. https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/29/internet-garantisce-davvero-la-democrazia/
546005/

3. https://www.huffingtonpost.it/antonio-preiti/il-digitale-salvera-la-democrazia_b_4100378.html

4. http://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2016/06/Democrazie-in-transizione-A-cura-di-Nadia-
Urbinati-1.pdf

5. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/01/22/la-democrazia-ai-tempi-
di-internet.html

6. http://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2018/02/Il-partito-piattaforma.-Paolo-Gerbaudo.pdf

PERSONAGGI INTERVISTATI
MARCO MOROSINI
- Insegna politica ambientale e decision making   al Politecnico
federale di Zurigo. 

- Autore di documentari, film e spettacoli televisivi per la Televisione
svizzera e RAI Uno (Piero Angela), reportage fotogiornalistici, testi e
scene per il teatro e la televisione. 

- Ha un blog sulle edizioni dell’Huffington Post in otto paesi.

- Con Wolfgang Sachs, ha curato la versione italiana dei due studi
del WuppertalInstitut  “Futuro sostenibile – Le risposte eco-sociali
alle crisi in Europa” (Edizioni ambiente, 2011, download) e “Futuro
sostenibile - Riconversione ecologica - Nord Sud - Nuovi stili di vita
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 12
(EMI, 1997), versione italiana di   “Greening the North - A Post-
Industrial Blueprint for Ecology and Equity” (1997, Zed Books).



DANIELE PITTERI
- Saggista e giornalista italiano.
- Esperto di comunicazione, dai primi anni Ottanta si occupa di
pubblicità, comunicazione strategica, industria culturale e media
events.
- Ha insegnato comunicazione alla Sapienza (1997-2004) e
successivamente alla Luiss-Guido Carli, alla Federico II di Napoli e
allo Iulm di Milano.
- Autore di numerose pubblicazioni tra cui “Democrazia Elettronica”.
- Si occupa di comunicazione d'impresa, collaborando con numerose
aziende ed enti pubblici, dall'altro ad impegnarsi nella ricerca universitaria.
NADIA URBINATI
- Accademica, politologa e giornalista italiana naturalizzata
statunitense.

- Si è laureata in filosofia a Bologna.

- Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia
University di New York e visiting professor presso l'Università
Bocconi. 

- Ricercatrice e membro nel Comitato Scientifico dell'Associazione
Reset. 

- Come autrice ha pubblicato saggi sul liberalismo, su John Stuart
Mill, sull'individualismo, sui fondamenti della democrazia
rappresentativa, su Carlo Rosselli.

- Collabora con i quotidiani L'Unità, La Repubblica, Il Fatto
Quotidiano e con Il sole 24 ore e con il settimanale Left. Negli Stati
Uniti è stata condirettrice della rivista Constellations.

- Dal 2016 al 2017 è stata presidente di Libertà e Giustizia.



ANDREA MICONI
- Laurea in Sociologia, presso l’Università “la Sapienza” di Roma
[1997].

- Dottorato di ricerca: Scienze della Comunicazione. Ricerca
avanzata, gestione delle risorse e processi formativi 

- Docente di Sociologia dei Media presso il Corso di Laurea in -
Comunicazione, Media e Pubblicità

- Membro del Collegio Docenti del Dottorato in Comunicazione e
Mercati: economia, marketing e creatività (2013-).

- Coordinatore del master di I livello in Management dei Processi
Creativi (2007-2010).

- Adjunct Professor, Università della Svizzera Italiana (2013-2017).

Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 13
- Visiting Lecturer, Università USP, San Paolo (2008, 2009, 2011).

VALENTINA CHIMENTI
- Laurea in Comunicazione Media e Pubblicità presso l’università
IULM di Milano.

- Laurea Magistrale in Marketing Consumi e Comunicazione
presso l’Università IULM di Milano.

- Tesi triennale su “Diritto all’informazione e responsabilità sociale
dei media: il caso del brand ISIS”

- Tesi Magistrale in “Brands vs Trump: esternazione politica nella
comunicazione d’impresa”

- Stage pesto Europa Donna Italia e Vodafone.
Cristina Torsello & 

Nicole Denise Schiavon 14

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ICT GOOD OR BAD FOR DEMOCRACY? - Text

  • 1. CORSO DI TEORIA E TECNICA DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICA A.S 2017/2018 IS TECHNOLOGY GOOD OR BAD FOR DEMOCRACY? INTRODUZIONE Le nuove tecnologie sembrano essere la fine della politica. Utopia o realtà? I nuovi sistemi mediatici, televisione commerciale e quindi Internet, avrebbero a poco a poco sostituito i vecchi corpi intermedi politici mutando radicalmente il carattere della partecipazione politica e contribuendo a ridefinirne le sue caratteristiche. La diffusione di internet ha avuto e continuerà ad avere effetti dirompenti sulle forme della politica, non minori di quelli avuti dall’invenzione della stampa all’inizio della modernità. Le democrazie europee, sottoposte a sempre più nuove sfide, stanno attraversando mutamenti intensi in alcuni ambiti fondamentali (crisi della rappresentanza, emersione dei populismi, leaderismi, cattura oligarchica delle istituzioni, ecc…). L’uso dei media digitali evidenzia, infatti, gli “effetti strutturali” della comunicazione politica (personalizzazione, spettacolarizzazione, winnowing effects, ecc.) mentre non danno alcuna certezza che tutto ciò si tradurrà in un incremento di intensità della voce e del potere di controllo dei cittadini e non, invece o semplicemente, in una teatralizzazione spettatoriale della loro presenza, con il popolo che da attore politico si fa audience. Ma è realmente così? La nostra ricerca ha avuto come scopo principale quello di comprendere, attraverso il confronto con personalità illustri nel mondo della e-democracy, le reali possibilità che il cittadino, in seguito all’evento di internet abbia più potere e quali sono, in fin di conti, i vantaggi che le nuove tecnologie forniscono alla democrazia. RICERCHE Le moderne tecnologie digitali e in particolare internet segnano l’inizio di una nuova era, in cui tutto sarà migliore, un’epoca in cui la vera emancipazione dell’umanità non verrà dalle filosofie, ma dalle tecnologie. Le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dal web 2.0 consentono modificazioni nei rapporti sociali tra leadership e opinione pubblica. Il web in effetti costituisce anche un utile strumento di organizzazione e azione; da una parte, infatti, esso può favorire la democrazia interna, dentro la cornice di procedure decisionali partecipative; dall’altra parte, esso può costituire uno strumento di promozione, diffusione e consultazione dell’azione politica. Il processo di mediatizzazione si accompagna anche all’incremento di competitività elettorale: partiti e candidati sono costretti ad adottare profili strategici, puntando alla formazione di una “brand image” non solo per rappresentare i valori del partito, ma anche con l’obiettivo di creare un “personaggio”, un futuro leader, sfruttando ampiamente la visibilità dei media. Pur non essendone direttamente responsabili, i media alimentano e in qualche modo supportano Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 1
  • 2. la trasformazione dei partiti in organizzazioni liquide, contribuendo a spettacolarizzare il sistema politico che, a sua volta, ha subìto un forte processo di personalizzazione. Tuttavia è importante ricordare che la democrazia elettronica non è una forma di governo, ma un sistema per governare, per rivitalizzare la relazione fra istituzioni e cittadini, per far sì che questi ultimi siano inclusi nella vita politica e che partecipino con continuità a essa, condividendo, nel rispetto dei ruoli, la responsabilità delle scelte e della gestione della cosa pubblica. Il termine e-democracy (nato intorno agli anni Novanta del XX secolo) introduce un concetto interessante, ma sin da subito di difficile definizione: la democrazia elettronica, ossia l' utilizzo delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'ambito dei processi democratici. Una delle tematiche molto discusse al giorno d’oggi è la possibilità che i cittadini possano, a qualunque livello (locale, nazionale, internazionale), condizionare le scelte politiche dei governi, o per introdurre, addirittura, forme innovative di democrazia diretta. A tal proposito, in effetti, non è infrequente il ricorso a piattaforme di “democrazia partecipativa” come LiquidFeedback o Airesis, la prima diventata mediaticamente nota grazie al Piratenpartei tedesco, la seconda resa popolare in giornali e televisioni dalla sua parziale adozione da parte del MoVimento 5 Stelle. Vediamo in cosa consistono: 1) LiquidFeedback (abbreviato in LQFB) è un software studiato per raccogliere opinioni condivise all'interno di una comunità, secondo i principi della democrazia liquida; quest'ultima include contemporaneamente i concetti di democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Il software si ripropone di creare una rappresentazione accurata delle opinioni espresse dai membri della comunità, senza che sia alterata da gerarchie sociali e dalle disparità di conoscenze nei partecipanti. Ogni individuo è incoraggiato a promuovere le sue iniziative, e il software è ampiamente configurabile per aderire alle richieste di leggi e statuti associativi. 2) Airesis è una piattaforma software libera, realizzata da un team italiano, per consentire a diverse forme di comunità di organizzarsi in modo produttivo secondo i principi della democrazia diretta e partecipativa. A tal scopo, la piattaforma è stata pensata come un sistema multifunzionale, che integra tutti gli strumenti che possono servire allo sviluppo di una comunità, in particolare strumenti social e ad orientamento deliberativo. Gli strumenti social comprendono dei blog e un sistema di promozione di eventi/incontri con annessa calendarizzazione. Gli strumenti deliberativi comprendono aree per la raccolta e la delibera di proposte/iniziative e un sistema di votazione di candidati. La piattaforma consente inoltre di creare gruppi ad accesso regolamentato tramite policy e autorizzazioni personalizzabili. Poiché l'obiettivo di Airesis è quello di stimolare la partecipazione, è stata prestata grande attenzione all'intuitività. La filosofia di sviluppo è quella del miglioramento continuo, processo evolutivo e virtuoso basato sui feedback ricevuti dagli utenti. La palestra principale della partecipazione politica è diventata la rete, il mondo digitale, dove si esprime il proprio consenso attraverso un “like” o un post su Facebook o Twitter. Si tratta di un fenomeno che potrebbe avere esiti molto diversi e che oltre a porre molte Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 2
  • 3. opportunità, mette in evidenza anche molte problematiche. Innanzitutto il problema è dato dalla necessità di una condensazione della presenza delle opinioni politiche sulla rete. Oggi il rischio dell'effluvio di post sulla rete non è tanto che siano tanti, magari fossero di più, perché sarebbero indice di voglia di partecipare, di incidere nella realtà, ma perché, oltre a non trovare sintesi, tendono ad avvitarsi su sé stessi, dando vita (la maggior parte delle volte) a processi di cyber balcanizzazione. Da un lato per chi scrive un post c'è la sensazione di avere potere: posso parlare con il mio politico di riferimento; posso vedere la mia foto accanto al mio commento, in perfetta parità di esposizione, a quella magari di un personaggio noto; posso far arrivare potenzialmente la mia opinione a un numero infinito di gente. La logica a rete del web, sarebbe capace di generare un nuovo spazio pubblico, di mettere finalmente in relazione, attraverso legami orizzontali, i cittadini fra di loro e di "connettere", attraverso legami verticali, la società civile con il mondo politico. Dall’altro però, c'è la reale inconsistenza di questo fenomeno. Quelle opinioni raramente mobilitano, raramente si trasformano in potere politico, al massimo suscitano altri "likes" o altre opinioni, effimere come le prime, poiché non varcano la soglia dell'irrilevanza. Di qui il fenomeno di narcisismo digitale, ovvero a quella sensazione di onnipotenza data dalla semplice visibilità che strumenti del genere (come i social media) danno ad ognuno di noi. Occorre tuttavia non demonizzare gli strumenti, i quali di per sé non hanno il potere di nuocere, soprattutto fisicamente, a qualcuno, ma tutto dipende dall’utilizzo che se ne fa, da quali opportunità decidiamo di sfruttare e quali no. Infatti, non dobbiamo dimenticare che dietro l’ (apparente) ombra del mostro di internet si cela una grande prospettiva per la politica: ovvero sfruttare la pervasività e la semplicità di utilizzo del web 2.0 per consentire una consultazione dei cittadini in maniera neutrale, con protocolli che assicurano l'anonimità del voto, garantiscono la non ripetizione del voto della stessa persona e precludono a manipolazioni ante/post voto, attraverso apposite piattaforme le quali possono selezionare un campione di cittadini sulla base della regione, provincia, comune o anche quartiere. È facile chiedere il parere dei cittadini su questioni su cui essi hanno sufficiente consapevolezza e interesse nel dire la propria. Attraverso le nuove tecnologie sarebbe anche possibile svolgere referendum nazionali, sondaggi, petizioni che riducono i processi partecipativi a un insieme di domande a cui si può rispondere direttamente dal proprio smartphone nel giro di pochi secondi. In tal mondo si evita l’eccessivo passaggio di “mani” cartaceo dando vita ad un risultato che solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Infatti, un apparato informatico controllato dal basso, incoraggerebbe la partecipazione dei “cittadini digitali”. Se invece è dominato dall’alto esso permette controllo e manipolazione, relegando la democrazia partecipativa ad un angolo. Come ogni altra innovazione richiede del tempo, necessario ad includere quella parte di popolazione mondiale, che purtroppo, ancora oggi, non fa parte della banda larga. Quanti secoli ci vorranno per “un computer a ogni umano”? Gli analfabeti e i “non digitali” possono votare alzando la mano o tracciando una X su una scheda, Possono partecipare a un partito o un sindacato veri. Ma sarebbero tagliati fuori da una politica del tutto-digitale che prima o poi costituirà la realtà. Pian piano i partiti stessi si stanno Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 3
  • 4. digitalizzando, ma è corretto parlare di “partito digitale”? Con questo termine si intende movimenti e partiti che integrano nel loro modus operandi le tecnologie digitali e le nuove forme di interazione e cooperazione che sono divenute il simbolo dell’era dei social, degli smartphone, delle app, di Google, Facebook, Twitter e della generazione dei Millenial. Tale carattere digitale è visibile a diversi livelli di profondità: nella loro comunicazione esterna e nella loro organizzazione interna. Esternamente queste formazioni hanno cavalcato la potenza comunicativa delle reti social come Facebook e Twitter o su canali dedicati a YouTube per costruire una base attiva di sostenitori e simpatizzanti. Internamente hanno sviluppato alcune piattaforme online per chiamare gli iscritti a discutere e votare su politiche, cariche interne e candidati. Sebbene stiano nascendo forme partitiche di questo tipo, anche in Italia, e che quelle già esistenti si stiano pian piano adattando al cambiamento, non possiamo ancora affermare che sia nato un partito digitale a tutti gli effetti, è necessario ancora del tempo, soprattutto per far si che internet venga considerato più un “alleato” che un “nemico.” Per concludere, si tratta allora di raffinare la neutralità delle piattaforme già esistenti e di crearne di nuove, dando la possibilità a migliaia e migliaia di persone che non chiedono altro che partecipare e decidere insieme. Ma è importante ricordare che, come sottolinea Rodotà, «convivono fianco a fianco le "tecnologie della libertà" e le "tecnologie del controllo”» DOMANDE DELL’INTERVISTA 1) Al giorno d’oggi abbiamo la possibilità di essere ovunque vogliamo in qualsiasi momento, rimanendo nelle mura della propria casa. come se venissero abbattuti i confini geografici e nazionali di ogni Paese. Per cui come si può affermare la rappresentanza politica in una società senza confini? È necessario avere dei rappresentanti quando ormai abbiamo la possibilità di rappresentarci da soli ed esprimere la nostra opinione direttamente? 2) Crede ancora che i partiti possano aver presa sull’opinione pubblica? Si può parlare di “partito digitale”? 3) In una società in cui tutti possono dire la propria con un “click” e partecipano attivamente ai social media come può reggere ancora il potere statuale? 4) In seguito agli eventi di Cambridge Analytica che hanno dominato la scena mediatica nelle ultime settimane come si può gestire il concetto di privacy? 5) Si può considerare democratico che “pochi” abbiano accesso ai dati di “tutti” e li possano utilizzare per influenzare il nostro pensiero? 6) Per cui possiamo considerarci una società più democratica rispetto agli anni in cui internet non esisteva? Le nuove tecnologie e il web 2.0 hanno portato ad un’eguale spartizione dei ruoli? Ora l’opinione pubblica ha più potere? 7) Possiamo considerare internet un luogo democratico realmente per tutti? E’ un bene o un male per la democrazia? INTERVISTE Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 4
  • 5. MARCO MOROSINI In certe comunità alcune decisioni sono prese in riunioni nelle quali votano tutti i convenuti tra gli aventi diritto. Una pratica molto diffusa in Svizzera è l’utilizzo dei referendum locali o nazionali, delle assemblee di cittadini adulti o altre in cui tutti i cittadini possono votare in piazza (una volta all’anno) per alzata di mano e quindi, in qualche modo, “si rappresentano da soli”. Tuttavia, non è possibile che i cittadini possano “rappresentarsi da soli” nel processo decisionale (legislativo e deliberativo). Ammesso che ognuno di loro abbia il tempo di studiare e votare ogni giorno per molteplici decisioni, si porrebbe inoltre la questione di legittimità della tecnica di voto e a tal proposito è stato ampiamente evocato il voto attraverso internet. Questo è a mio avviso improponibile su larga scala, sia perché esclude dal diritto tutti coloro che non sono familiari all’uso delle nuove tecniche informatiche (quasi metà degli adulti in Italia), sia perché non esistono sistemi efficaci di controllo da parte di terzi per accertare l’assenza di errori, manipolazioni, truffe. Per questo il voto sistematico in internet non esiste in nessun paese. Non dobbiamo dimenticare il fatto che anche laddove il popolo può votare più spesso, le decisioni popolari sono solo una piccola parte delle decisioni. Pertanto l’espressione “democrazia diretta” si presta a equivoci e a volte viene coscientemente o incoscientemente abusata. La pubblicazione in internet espone gli attori politici e amministrativi più di prima e diversamente, il che potrebbe generare relazioni nuove tra politici e utenti di internet, non cambiando tuttavia nella sostanza lo Stato, anzi non vi è nesso tra il funzionamento del potere statuale e l’espressione in internet di molti (non “tutti”. In Italia, circa la metà degli adulti). Un conto è scrivere, un conto è gestire una realtà complessa come uno Stato. Scrivere (o pubblicare immagini, suoni, video) in internet, specialmente nei social media, ha sue caratteristiche, in parte diverse dal pubblicare su carta o diffondere con altri media. Molti partiti in molti paesi perdono influenza. Ma, per quanto vasto, questo è un fenomeno circoscritto nello spazio e nel tempo. Non è un fenomeno universale. E tanto meno è determinato dall’avvento di internet, dato che la possibile presa sull’opinione pubblica di un partito dipende da molti fattori ed è diversa in diversi Paesi. Per quanto riguarda la digitalizzazione dei partiti, il M5S è l’unico grande “partito digitale” al mondo, definendo con “partito digitale” un partito politico che esiste solo in internet, che non ha luoghi o istanze di discussione, che permette la concentrazione del potere a che detiene le piattaforme politiche digitali, i servizi e i molti dati che riguardano ognuno degli iscritti e degli eletti del partito, grazie all’utilizzo delle moderne TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Infatti, si può ormai considerare internet come uno strumento a scopo di lucro, il quale ha realizzato il più esteso e intrusivo sistema di spionaggio della storia. Governi e Stati sono complici dello spionaggio privato in internet, superando ogni tipo di aspettativa. A tal proposito sarebbe necessaria una legislazione che impedisca a chiunque di prelevare anche un solo bit di informazione privata delle e sulle persone che contattano qualunque attore in internet. Basterebbe una semplice Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 5
  • 6. software in ogni computer, per impedirgli l’uscita di informazioni non volute dall’utente. Anzi, non occorrerebbe una legge, ma un vero e proprio articolo nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. E’ anche vero che i cittadini connessi in internet hanno acquisito nuove possibilità di esprimersi, quindi di fatto alcuni nuovi poteri. Inoltre, tra gli users (circa 2 miliardi di adulti), solo una piccola minoranza di essi usa internet per accrescere la propria cultura e la propria influenza sulla società. La maggior parte dell’uso di internet è, invece, in stato di sudditanza, in genere inconsapevole, verso gli attori privati che ne lucrano. DANIELE PITTERI Innanzitutto non siamo in un mondo senza confini, i confini esistono perché esistono gli Stati, ciascuno dei quali si è dato un insieme di regole condivise, Fra cui le norme che regolano la rappresentanza, diverso da quello degli altri Stati. Per cui non ci si può “rappresentare da soli”, in quanto se ciò accadesse non ci sarebbe società. Se si rappresenta da sola una società, la libertà dei singoli è condizionata dalla libertà di tutti gli altri che fanno parte della medesima società. E non si dovrebbe dimenticare che la libertà di espressione è un diritto individuale e collettivo, la rappresentanza (anche da soli) è una norma collettiva. Sono due cose diverse. Detto questo, credo ancora che i partiti hanno presa sull'opinione pubblica perché incarnano visioni del mondo diverse in cui i cittadini possano rispecchiarsi. Nelle democrazie, quanto più ampia è la possibilità di partecipazione, tanto più forte è lo Stato, inteso come si diceva prima. Dopo di che: la possibilità di dire la propria con un "click" o di partecipare ai social media ha poco a che fare con lo Stato e con le sue regole. E' evidente che i social network aumentino i rischi per le libertà individuali perché sono basati su un tacito patto: ti offro gratuitamente una piattaforma tecnologica (molto costosa) per consentirti di dialogare con le persone e tu in cambio mi rendi disponibili le informazioni che ti riguardano. Il caso di Cambridge Analytica è la conseguenza estrema (e in parte evidentemente fraudolenta) di questo tacito patto. Ma la domanda da porsi è: perché le piattaforme social ci chiedono di sottoscrivere questo patto? Perché ci chiedono di rendere disponibili i nostri dati personali? La risposta è banale e terribile al contempo: l'uso dei nostri dati consente alle piattaforme di ricavare il denaro necessario a coprirne le spese di funzionamento. E ad andare molto oltre, visto i profitti esorbitanti delle piattaforme stesse. Se guardati da questo punto di vista, social network e salvaguardia della privacy sono in aperta contraddizione: salvaguardare la seconda significa eliminare i primi nella loro forma attuale. D'altra parte, non vedo forme diverse di possibilità di esistenza dei social network, a meno che, ovviamente, non si ragioni per astratto di una società dalla quale scompare la relazione fra lavoro e denaro. Internet quindi è come le ferrovie: mette a disposizione binari per raggiungere più luoghi possibili. Il web è come i treni, ossia gli strumenti che mi consentono di raggiungere tutti i luoghi collegati dai binari. Intesi in tal senso: internet è potenzialmente democratico perché mette a disposizione la strada affinché tutti possano andare da un luogo in tutti gli altri Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 6
  • 7. luoghi. I motori di ricerca, anche essi gratuiti, ma costosissimi, decidono i percorsi che noi dobbiamo fare per raggiungere tutti i luoghi potenzialmente raggiungibili attraverso i binari. E alcuni luoghi, che è troppo dispendioso raggiungere, non ce li fanno raggiungere, proprio perché debbono comunque ricavare degli introiti per far funzionare i treni. I social, lo abbiamo detto prima, funzionano su quel tacito patto volontario, che di per se stesso è uno squilibrio. Per cui il web ci da l'illusione di una democrazia diffusa, ma di fatto è il più alto esempio di mercato ultra liberista che l'essere umano abbia mia sviluppato. Siamo in una società in cui, almeno sulla carta, uno dei capisaldi della democrazia (il diritto di informazione, nella sua forma completa: ricevere, informazione; produrre informazione; diffondere informazione) sembra essersi rafforzato. Esiste tuttavia il rovescio della medaglia, che è parte integrante del concetto di informazione, ossia la veridicità della fonte e la possibilità di poterla verificare. Sotto questo profilo, siamo di fronte, invece, ad un forte indebolimento. Infine, un’ultima distinzione da fare è sul significato dell'aggettivo democratico, che non contiene in sé il significato di uguaglianza. Una cosa democratica, non è necessariamente egualitaria. Penso che questo sia uno dei temi veri di riflessione. NADIA URBINATI La democrazia è una cosa complessa ed è caratterizzata da tre facce: - La prima, quella istituzionale è legata ad una dimensione territoriale della sovranità, ma a meno che non si crei uno Stato mondiale, che ovviamente non può essere democratico, per ora la democrazia sta dentro determinati confini e quindi confini territoriali. Tuttavia, la dimensione della rappresentanza politica non è l’unica, ce ne sono tante altre, come ad esempio la rappresentanza tramite claims, rivendicazioni, che possono unire persone di diversi paesi. - La seconda è quella della rappresentanza simbolica: quando entriamo in un sito web o su una piattaforma social come Twitter, non è che noi indistintamente parliamo con tutti, noi ci riconosciamo simbolicamente in un gruppo piuttosto che in un altro, dando vita ad una forma di rappresentanza simbolica, in quanto ci sentiamo simbolicamente simili a coloro che fanno parte di quel gruppo. - La terza è quella dell’opinione, del giudizio, della valutazione, sia come cittadini, da soli o anche da associati, nel momento in cui entriamo a far parte di un’associazione. Noi ci affidiamo alla televisione, alla radio, ai giornali, per crearci un’idea su un qualcosa, quando in realtà si tratta spesso di costruzioni: noi non conosciamo tutto, ma solo quello che vogliono farci sapere, una piccolissima parte di informazioni ben presentate. La costruzione del giudizio è sempre collettiva, generalmente ci facciamo un’idea personale che poi aggiustiamo in base al pensiero degli altri, perché abbiamo bisogno del consenso. Quindi è come se al giorno d’oggi, avessimo la possibilità di comunicare con tutto il mondo, ma come cittadini abbiamo ancora bisogno della rappresentanza politica. Se essa abbia ancora presa sull’opinione pubblica è un altro discorso, però il fatto è che Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 7
  • 8. istituzionalmente ancora c’è. Ultimamente si registra un declino di attenzione, valutazione, legittimità morale nell’opinione corrente, ma queste sono due cose diverse. Può anche decidere di non andare a votare, dire che il voto non conta (e lo può dire se vuole), ma non può negare il fatto che fondamentalmente si ha questo potere. E anche il potere statuale cambierebbe perché ci potrebbe essere la possibilità di avere un Parlamento più in diretto contatto con noi. Invece che chiedere l’opinione dei cittadini ogni 4 anni, lo si potrebbe fare continuamente, ogni volta che si devono prendere decisioni in Parlamento. Quindi è possibile che in un futuro, forse lontanissimo, cambi la rappresentanza. Con il web e il digitale si può immaginare tutto questo, una maggiore interazione che col tempo possa trasformarsi in comando: perché è importante che se io esprimo un mio parere, esso venga subito registrato e che il rappresentante ne tenga conto. Sebbene ci siano già nuove forme di decisione digitale come quando compriamo un qualcosa online, esprimendo una preferenza, o firmando una petizione internazionale su internet e così via. Tuttavia non esiste ancora un partito digitale vero e proprio, lo stesso Movimento 5 Stelle non è solo digitale, anche se viene presentato così: non credo che nel sud del nostro Paese dove ha stravinto, tutte le persone (da 0 a 90 anni) usino internet, è impossibile. Per cui c’è una parte del partito che è assolutamente tradizionale, è quindi un partito misto, nato dal basso che ha comunque un leader, Beppe Grillo, che ha cominciato con le manifestazioni di piazza e solo dopo con il blog. Quindi dal punto di vista dell’opinione pubblica, siamo già approdati ad una forma di partito non necessariamente tradizionale, tuttavia le due identità interagiscono ancora. E’ importante non demonizzare gli strumenti, non ha senso, gli strumenti non hanno vita, intelletto, determinazione e volontà. Siamo noi che gli diamo tutto questo potere: è chiaro che internet possa essere usato in tutti i modi, come anche il voto può essere usato in tutti i modi. Non possiamo dire che internet è cattivo, ma dovremmo dire che lo usiamo male, si ha possibilità di usarlo in modi molto negativi, ma anche molto positivi. Se lo si usa in politica, occorre normare queste nuove tecnologie, le potenzialità del mezzo sono molto più avanti rispetto alle nostre norme. Le nostre norme sulla privacy si basano sul presupposto che ci sia una persona, un gruppo, che intenzionalmente entra nella nostra posta elettronica, nella nostra casa, che compia dunque delle azioni fisiche, ma in realtà internet non fa niente di tutto ciò. Eppure è in grado di ottenere una grande quantità di dati e di distribuirli a chi vuole e si badi bene che questo non nasce da internet, bensì dall’economia finanziaria. Uno dei problemi più importanti a riguardo è, infatti, tutelare i nostri dati. Non è vero che non si può fare, Internet ha le risorse per farlo, ci sono tante piattaforme con questo scopo, il vero problema è chi controlla i controllori. Noi siamo corresponsabili, siamo direttamente esposti, contribuiamo alla violazione della nostra privacy. Per cui, non si sa precisamente chi sia l’autore e chi la vittima, non è più il vecchio concetto di privacy di un individuo contro un altro, si tratta di un’altra dimensione. Si è creata una situazione in cui siamo costretti ad utilizzare questi mezzi nelle quotidianità, ma allo stesso tempo si tratta di una nostra decisione. Colossi come Google, Amazon, American Express, sono globali e sono soprattutto aziende private sulle quali non abbiamo grande presa, non possiamo arginarli, altrimenti si spostano in un altro Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 8
  • 9. paese e lo scandalo di Cambridge Analytica, ha fatto si che venissero fuori tutte le preoccupazioni sul nostro uso di internet. Per concludere si può affermare che non è vero che le tecnologie fanno del male alla democrazia. Basti pensare alla nascita della stampa, grazie alla quale oggi viviamo nella pervasività ed estrema diffusione delle informazioni. Inizialmente non era così, anzi si fece di tutto per impedire che i cittadini venissero a conoscenza di tutto, attraverso la censura, i libri all’indice, la controriforma ecc… Sono occorsi secoli affinché la stampa potesse godere della libertà, allo stesso modo, anche internet debba compiere un percorso del genere. Anzi ci troviamo secondo me in una fase molto interessante, veniamo da una fase in cui prevalevano i partiti e la democrazia si fondava su di essi, ad una democrazia in cui il Parlamento può essere in diretto contatto con i cittadini, cambiando la forma, lo scopo dei partiti e allo stesso modo la funzione dell’eletto il quale diventa più vicino alle Istituzioni stesse. ANDREA MICONI Al giorno d’oggi esistono strumenti attraverso i quali è possibile informarsi e informare gli altri, si può anche deliberare autonomamente, perciò si può pensare a una democrazia diretta, una democrazia non più mediata. Tuttavia, sostituire l’attuale sistema con una democrazia partecipativa fa acqua da tutte le parti, in quanto serve sempre qualcuno che decida su che si vota. Chiunque e in qualsiasi momento potrebbe votare tramite il cellulare “SI” o “NO”, ma è importante che ci sia qualcuno che stabilisca un ordine del giorno. Non si chiamerebbe più Parlamento ma si chiamerebbe in un altro modo. Quindi è inevitabile una struttura rappresentativa. Il problema però non è tanto sul funzionamento, ma sulla legittimazione degli organi rappresentativi. Degli organi che devono adattarsi al cambiamento portato dal web, un pò come stanno facendo i partiti, i quali si stanno digitalizzando. Con il termine “partito digitale” infatti intendiamo un partito che è cresciuto all’interno del web, i cosiddetti “nativi digitali”. Il potere dello stato rispetto ai cittadini, si fonda sul monopolio e la legittimità della forza che c’è ancora: chiunque può essere arrestato per aver compiuto un reato. Ma tutti quegli elementi simbolici (come Parlamento, Camera, Senato, i partiti, il Presidente della Repubblica ecc…) hanno perso sicuramente autorevolezza per una serie di motivi abbastanza evidenti, basti guardare lo scoppio della “Primavera Araba”, dove probabilmente c’è stato un uso politico dei social più forte a causa della chiusura di tutti gli altri canali, per cui non avendo altro modo per poter esprimere il proprio dissenso si sono affidati alla potenza di internet e dei social, sfruttandolo a proprio vantaggio contro il sistema istituzionale. Tutto dipende dal contento di riferimento e dalle motivazioni che hanno portato all’insorgere di queste manifestazioni, sopratutto se dietro ci sono delle motivazioni politiche. E’ un pò quello che è successo per Cambridge Analytica, il caso è diventato “notizia” ed ha fatto si che scoppiasse lo scandalo perché i dati di 80 milioni di persone sono stati “rubati" per fare proliferazione servita per la campagna elettorale di Trump, quindi per un fattore politico. La privacy muore nel momento in qui noi ignoriamo Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 9
  • 10. le regole. Quando si apre un account su Facebook, vengono mostrate tutte la normativa sul trattamento dei dati non legge nessuno perché sono scritte in modo tale che uno non le legga, ma attenzione: lì c’è scritto che dal momento in qui uno crea un proprio profilo, i dati diventano immediatamente di proprietà del social network. Per cui noi ne dovevamo essere consapevoli, non c’era niente di nuovo in quello che ha fatto Cambridge Analytica. Uno scandalo del genere si è verificato precedentemente solo con il caso Snowden, quella è stata la prima grande fiammata sul concetto di privacy, in quanto egli arrivò ad affermare che l’NSA accede a tutto quello che chiunque nel mondo scrive su internet registrando i dati, sconvolgendo l’opinione pubblica. Ma è un po' una medaglia con doppia faccia: so che qualcuno si prende i miei dati, ma rimane un concetto a bassa consapevolezza, non ci faccio particolarmente caso, dato che il “controllo” non è evidente e fisico. E’ un processo che è tutt’ora studiato dai filosofi. A tal proposito, c’è un intero ambito di ricerca che evidenzia che una volta che le persone accedono alla rete non sono tutte sullo stesso piano, in quanto non hanno le stesse possibilità. Se per democrazia si intende parità di opportunità, il web non la garantisce. La democrazia è comunque un dispositivo che controlla e consente attraverso le forme di mediazione un governo ai cittadini ed essa stessa non è perfettamente democratica: ad esempio ti da il diritto di voto, ma dopo di che chi ha perso ha perso. Non credo quindi che sia cambiato più di tanto in seguito all’avvento di internet per l’opinino pubblica, si hanno sicuramente più modi per dire la propria, ci è stato dato più spazio, ma fondamentalmente il potere è detenuto da Facebook e dai governi. Credo sia necessari creare più consapevolezza tra gli utenti e far si che fenomeni come le cascate d’opinione, ovvero la generazione di commenti appunto a cascata riguardo un determinato argomento che sembra venga dal “basso” ed è difficile controllarlo perché sembra spontaneo. VALENTINA CHIMENTI Una domanda simile se l’è posta anche Simon Anholt, che ha ideato il Global Vote. Alla base del Global Vote c’è un principio semplice: non soltanto internet ma anche l’economia, l’industria, il turismo abbattono sempre più le barriere, rendendoci sempre più “cittadini del mondo”. Esso è una piattaforma che abilita chiunque in qualsiasi parte del mondo con una connessione Internet a votare nelle elezioni di altri paesi. La ragione per fare questo è colmare un enorme deficit democratico. La globalizzazione significa che prima o poi tutte le elezioni vengono influenzate da ogni elezione e decisione politica presa in ogni altro paese, ma non abbiamo voce in capitolo su chi prende tali decisioni. Questo però, non vuol dire che ci possiamo rappresentare da soli. I singoli cittadini, considerate le dinamiche di Internet, non avranno mai la stessa visibilità di un rappresentante (che comunque aderisce al nostro pensiero). Anzi, tanto più Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 10
  • 11. l’audience è vasta tanto più si sente il bisogno di una guida, di riaggregarsi a un singolo che emerge dalla massa.    I partiti possano ancora avere presa sull’opinione pubblica, anzi possono sfruttare a loro vantaggio l’incredibile potenza di internet. Tant’è che oggi alcuni politici diventano delle vere e proprie icone pop, entrando a far parte dell’immaginario collettivo. Il “personal brand” del singolo politico influisce sulla “brand image” del partito e, di conseguenza, anche sulle opinioni e le scelte civiche dei cittadini. I partiti così continuano ad aver presa sull’opinione pubblica grazie ai cari e vecchi slogan che oggi echeggiano ancora di più e più velocemente grazie al web. Non credo sia ancora possibile parlare di “partito digitale”, se tale termine si intende un partito che esiste solo in internet. In Italia, il “Movimento 5 stelle”, avrà sicuramente investito, in termini di risorse, nel Blog ma non per questo, per esempio, sono stati eliminati i comizi nelle piazze ed altre forme di propaganda politica tradizionale. Il concetto di privacy si può gestire semplicemente con sincerità e trasparenza, quindi informare i cittadini della possibilità che tutto ciò che viene postato sui propri account può essere utilizzato dalle aziende private per la raccolta di dati. In questo modo saranno loro a decidere cosa e come postare i loro contenuti, nella completa consapevolezza delle “conseguenze”. Molto spesso gli utenti sono ignari di ciò che accade nel momento in cui sfoglio un determinato sito online e metto like ad un post, per cui una maggiore sensibilizzazione a riguardo potrebbe contribuire a proteggere la privacy di ogni utente. Quando è il “popolo”, l’opinione pubblica, ad avere il “potere”, allora sì che si parla di democrazia. E l’opinione pubblica, in teoria, ha questo potere da secoli (almeno dall’Illuminismo quando ha scoperto che il potere non viene conferito ai sovrani direttamente da Dio) ma non direi che ne ha di più rispetto a prima. Infatti è importante ricordare che quello che è cambiato con il web 2.0 non è la quantità di potere nelle mani dell’opinione pubblica, ma al contrario il modo di esercitarlo. Questo però non vuol dire che vi sia un’eguale spartizione di ruoli perché il web stesso non è “democratico”. L’algoritmo dei motori di ricerca privilegia alcune pagine (e quindi alcune opinioni) piuttosto che altre, ha la capacità di ricalcare e rendere più evidenti le dinamiche sociali offline e lo ha dimostrato anche, in termini di adesione al voto: il modello tutto-digitale del Blog del M5S. Solo una piccola percentuale degli iscritti vota regolarmente sul Blog, proprio come accade negli ultimi anni con le “votazioni offline”. CONCLUSIONE A seguito delle ricerche e delle interviste svolte abbiamo sviluppato una nostra personale conclusione: le tecnologie e internet non sono di per sé un male per la democrazia. Al contrario le forniscono strumenti (blog, post, siti, articoli, approfondimenti) in grado di accorciare le distanze tra classe dirigente e cittadini. Considerato che, tramite i social media, ognuno di noi ha la possibilità di dire la propria e di catturare in qualche modo l’attenzione dei rappresentanti politici e di instaurare un dialogo con loro accorciando le distanze, non è poi così difficile vedere internet come uno strumento utile allo sviluppo Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 11
  • 12. della democrazia. Importante ricordare che internet ha comunque due facce: una negativa legata al suo uso eccessivo, alla violazione dei diritti sulla privacy, alle attività di concentrazione e massificazione dell’informazione, e una positiva legata invece alla libera circolazione dei dati, al fatto che chiunque può accedervi e dire la sua indipendentemente dal suo pensiero, dalla sua provenienza sociale ecc. Dipende dall’utilizzo che se ne fa. Sicuramente col passare degli anni, questo “nuovo” mezzo subirà grande evoluzioni. Difficile oggi dire quali, ma sicuramente internet sarà maggiormente regolamentato, per impedire che venga utilizzato ai danni degli utenti e per proteggerne sempre più la privacy. Insomma, così come tutte le invenzioni, anche internet richiede tempo. Si commetteranno molti errori, è inevitabile, ma è normale per una grande risorsa che non può essere arginata proprio per le sue grandi potenzialità, quale è internet. La certezza è che un giorno risolverà questioni complesse e scottanti ancora irrisolte. Si può concludere che attualmente internet, a causa della sua struttura attuale, non possa essere definito come un ambiente democratico, sebbene costituisca una straordinaria fonte di innovazione. Con le nostre ricerche e le interviste abbiamo constato una forte fiducia e positività, internet potrà essere uno strumento che in futuro porterà dei benefici alla democrazia. BIBLIOGRAFIA 1. http://temi.repubblica.it/micromega-online/un-partito-digitale-speranza-o-minaccia-per-la- democrazia-il-caso-del-movimento-5-stelle/ 2. https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/29/internet-garantisce-davvero-la-democrazia/ 546005/ 3. https://www.huffingtonpost.it/antonio-preiti/il-digitale-salvera-la-democrazia_b_4100378.html 4. http://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2016/06/Democrazie-in-transizione-A-cura-di-Nadia- Urbinati-1.pdf 5. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/01/22/la-democrazia-ai-tempi- di-internet.html 6. http://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2018/02/Il-partito-piattaforma.-Paolo-Gerbaudo.pdf PERSONAGGI INTERVISTATI MARCO MOROSINI - Insegna politica ambientale e decision making   al Politecnico federale di Zurigo. - Autore di documentari, film e spettacoli televisivi per la Televisione svizzera e RAI Uno (Piero Angela), reportage fotogiornalistici, testi e scene per il teatro e la televisione. - Ha un blog sulle edizioni dell’Huffington Post in otto paesi. - Con Wolfgang Sachs, ha curato la versione italiana dei due studi del WuppertalInstitut  “Futuro sostenibile – Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa” (Edizioni ambiente, 2011, download) e “Futuro sostenibile - Riconversione ecologica - Nord Sud - Nuovi stili di vita Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 12
  • 13. (EMI, 1997), versione italiana di   “Greening the North - A Post- Industrial Blueprint for Ecology and Equity” (1997, Zed Books). DANIELE PITTERI - Saggista e giornalista italiano. - Esperto di comunicazione, dai primi anni Ottanta si occupa di pubblicità, comunicazione strategica, industria culturale e media events. - Ha insegnato comunicazione alla Sapienza (1997-2004) e successivamente alla Luiss-Guido Carli, alla Federico II di Napoli e allo Iulm di Milano. - Autore di numerose pubblicazioni tra cui “Democrazia Elettronica”. - Si occupa di comunicazione d'impresa, collaborando con numerose aziende ed enti pubblici, dall'altro ad impegnarsi nella ricerca universitaria. NADIA URBINATI - Accademica, politologa e giornalista italiana naturalizzata statunitense. - Si è laureata in filosofia a Bologna. - Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York e visiting professor presso l'Università Bocconi. - Ricercatrice e membro nel Comitato Scientifico dell'Associazione Reset. - Come autrice ha pubblicato saggi sul liberalismo, su John Stuart Mill, sull'individualismo, sui fondamenti della democrazia rappresentativa, su Carlo Rosselli. - Collabora con i quotidiani L'Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il sole 24 ore e con il settimanale Left. Negli Stati Uniti è stata condirettrice della rivista Constellations. - Dal 2016 al 2017 è stata presidente di Libertà e Giustizia. ANDREA MICONI - Laurea in Sociologia, presso l’Università “la Sapienza” di Roma [1997]. - Dottorato di ricerca: Scienze della Comunicazione. Ricerca avanzata, gestione delle risorse e processi formativi - Docente di Sociologia dei Media presso il Corso di Laurea in - Comunicazione, Media e Pubblicità - Membro del Collegio Docenti del Dottorato in Comunicazione e Mercati: economia, marketing e creatività (2013-). - Coordinatore del master di I livello in Management dei Processi Creativi (2007-2010). - Adjunct Professor, Università della Svizzera Italiana (2013-2017). Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 13
  • 14. - Visiting Lecturer, Università USP, San Paolo (2008, 2009, 2011). VALENTINA CHIMENTI - Laurea in Comunicazione Media e Pubblicità presso l’università IULM di Milano. - Laurea Magistrale in Marketing Consumi e Comunicazione presso l’Università IULM di Milano. - Tesi triennale su “Diritto all’informazione e responsabilità sociale dei media: il caso del brand ISIS” - Tesi Magistrale in “Brands vs Trump: esternazione politica nella comunicazione d’impresa” - Stage pesto Europa Donna Italia e Vodafone. Cristina Torsello & Nicole Denise Schiavon 14