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DALLA COSTITUZIONE AI GIORNI NOSTRI
Dopo l’approvazione della Costituzione, sul finire
degli anni Cinquanta si sviluppò sempre più in Italia
un significativo dibattito scolastico che portò alla
Legge n. 1859 del 31/12/1962, istitutiva della scuola
media unica. Per la prima volta nella storia italiana
una strategica riforma scolastica era il risultato di
una discussione e di una elaborazione parlamentare.
Sempre negli anni Sessanta, con la Legge n. 444 del
1968, venne istituita la scuola materna statale di
durata triennale per i bambini di età compresa fra i
tre e i sei anni.
A partire dal 1971 (Legge n. 118/1971) incominciarono le prime
esperienze di integrazione scolastica delle persone disabili. La
legge delega n. 477/1973 diede luogo ai significativi Decreti
Delegati del 1974, che segnarono in modo profondo e
determinante la vita e l’organizzazione delle scuole italiane8.
Strategico fu il D.P.R. n. 416/1974 che istituì gli organi collegiali
per la gestione delle singole scuole e dell’intero sistema
scolastico. Nel 1977 la Legge n. 517 abolì gli esami di
riparazione nelle scuole elementari e medie, e introdusse nuove
norme per la valutazione degli alunni ed attività integrative anche
a carattere interdisciplinare.
Questa legge, in riferimento all’integrazione degli
alunni disabili nelle classi della scuola dell’obbligo,
precisò che in esse sono assicurati insegnanti
specializzati e dovevano essere assicurati il servizio
socio-psicopedagogico e forme particolari di
sostegno (art.2). Negli anni Ottanta continuarono
senza esiti i tentativi di riforma della scuola
secondaria superiore. L’impossibilità di una riforma
incrementò il ricorso a diverse sperimentazioni quali
via di rinnovamento di questo ordine scolastico.
La scuola elementare, invece, riuscì a vivere un periodo
di significativa innovazione con i nuovi programmi del
1985 e con la riforma contenuta nella Legge n.148/1990,
che sostituì il maestro unico con un modulo di più
insegnanti su una stessa classe. Gli anni Novanta furono
attraversati da un lungo dibattito sulla riorganizzazione
della pubblica amministrazione, che portò
all’approvazione della Legge n. 59/1997 (riforma
Bassanini). L’art. 21 di questa Legge si occupò
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le cui
principali forme furono l’autonomia organizzativa,
l’autonomia didattica e l’autonomia di ricerca,
sperimentazione e sviluppo.
Ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 59 il Governo doveva
emanare i decreti legislativi applicativi. Con la
pubblicazione del D.P.R. n. 275/1999 fu emanato il
Regolamento dell’autonomia scolastica, che ne consentì
l’entrata in vigore a partire dal 1 settembre dell’anno
duemila. Le singole istituzioni scolastiche acquisirono
così il potere di definire la propria identità culturale e
progettuale attraverso il Piano dell’Offerta Formativa
(P.O.F.), che doveva raccogliere tutte le attività curricolari
ed extracurriculari proposte autonomamente dalle scuole
ai propri utenti .
Ciascuna scuola era chiamata a determinare nel
Piano dell’offerta formativa, il curricolo obbligatorio
per i propri alunni (DPR n. 275/1999, art. 8, comma
2). I curricoli, in base all’art. 9, comma 2 potevano
essere arricchiti con discipline e attività facoltative.
Questo implicava che l’articolo n. 3 del D.P.R. n.
275/1999 dovesse combinarsi con l’art. 8 del
medesimo Regolamento dove si precisavano i criteri
per la determinazione del curricolo.
L’autonomia delle singole istituzioni scolastiche, infatti,
doveva essere temperata da alcuni parametri fissati a
livello nazionale volti a tutelare da eventuali
allontanamenti dagli obiettivi istituzionali dell’intero
sistema nazionale. Ecco quindi che a norma dell’art. 8
del D.P.R. n. 275/1999 al Ministro dell’Istruzione spettava
definire, insieme ad altri basilari aspetti, gli obiettivi
generali del processo formativo, gli obiettivi specifici di
apprendimento relativi alle competenze degli alunni e le
discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei
curricoli e il relativo monte ore annuale.
Quanto fin qui detto a proposito di autonomia
scolastica fa balzare subito agli occhi come col
tempo sia mutato lo scenario educativo-
didattico italiano. Ogni docente, fino all’entrata
in vigore dell’autonomia, nella programmazione
del proprio insegnamento doveva riferirsi ai
Programmi ministeriali allora vigenti, che erano
un testo statico e prescrittivo emanato
dall’autorità centrale (Ministro).
Dovevano essere eseguiti dagli insegnanti che
nel concreto non avevano molto spazio per
un’autonoma iniziativa. L’impianto dei
Programmi corrispondeva ad un sistema
scolastico di tipo centralistico e rispecchiava
una concezione autoritaria della scuola, cui
faceva eco principalmente una didattica
nozionistica. Di fatto con i Programmi lo Stato
stabiliva quali erano i contenuti della
formazione ai quali tutte le scuole dovevano
uniformarsi.
Con l’autonomia scolastica non poteva più essere così. La “logica dei
Programmi”, tipica espressione di un sistema scolastico centralizzato,
imperniata sull’omogeneità dei traguardi formativi, dovette fare i conti
da una parte con gli impulsi socio-culturali che progressivamente
portarono alla materializzazione dei dispositivi normativi connessi
all’autonomia delle istituzioni scolastiche, dall’altra con le innovative
spinte pedagogico-didattiche offerte dalle riflessioni internazionali
centrate sul tema del curricolo, le quali investirono la scuola italiana
soprattutto a partire dagli anni Settanta, determinando una profonda e
significativa influenza nei programmi stessi, per poi avere espressione
nel Regolamento dell’autonomia scolastica (D.P.R. 275/1999) e non
trovare smentita immediatamente dopo nella Legge n. 30/2000 sul
riordino dei cicli (detta anche Legge Berlinguer-De Mauro).
Questa legge, in riferimento all’integrazione degli
alunni disabili nelle classi della scuola dell’obbligo,
precisò che in esse sono assicurati insegnanti
specializzati e dovevano essere assicurati il servizio
socio-psicopedagogico e forme particolari di
sostegno (art.2). Negli anni Ottanta continuarono
senza esiti i tentativi di riforma della scuola
secondaria superiore. L’impossibilità di una riforma
incrementò il ricorso a diverse sperimentazioni quali
via di rinnovamento di questo ordine scolastico.
Come si può notare al sostantivo programmazione
venne associato l’aggettivo curricolare in riferimento
al percorso da compiere per realizzare gli obiettivi
formativi desiderati. Cambiò dunque il paradigma
scolastico. Da una scuola preoccupata
burocraticamente dall’esecuzione del programma si
passò ad una scuola preoccupata dell’effettivo
raggiungimento degli obiettivi, che coincidevano con
l’apprendimento dell’allievo. Di conseguenza cambiò
anche il paradigma professionale del docente, il
quale da esecutore meccanico diventava interprete
libero e responsabile dell’efficacia della sua azione.
La “logica dei Programmi” lasciò
inesorabilmente il passo alla “logica del
curricolo”, mettendo progressivamente in
risalto il passaggio da un centralismo
burocratico-statale ad una forma di
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67+68 M5C2 Lezione 2. dalla costituzione ai giorni nostri

  • 1. DALLA COSTITUZIONE AI GIORNI NOSTRI Dopo l’approvazione della Costituzione, sul finire degli anni Cinquanta si sviluppò sempre più in Italia un significativo dibattito scolastico che portò alla Legge n. 1859 del 31/12/1962, istitutiva della scuola media unica. Per la prima volta nella storia italiana una strategica riforma scolastica era il risultato di una discussione e di una elaborazione parlamentare. Sempre negli anni Sessanta, con la Legge n. 444 del 1968, venne istituita la scuola materna statale di durata triennale per i bambini di età compresa fra i tre e i sei anni.
  • 2. A partire dal 1971 (Legge n. 118/1971) incominciarono le prime esperienze di integrazione scolastica delle persone disabili. La legge delega n. 477/1973 diede luogo ai significativi Decreti Delegati del 1974, che segnarono in modo profondo e determinante la vita e l’organizzazione delle scuole italiane8. Strategico fu il D.P.R. n. 416/1974 che istituì gli organi collegiali per la gestione delle singole scuole e dell’intero sistema scolastico. Nel 1977 la Legge n. 517 abolì gli esami di riparazione nelle scuole elementari e medie, e introdusse nuove norme per la valutazione degli alunni ed attività integrative anche a carattere interdisciplinare.
  • 3. Questa legge, in riferimento all’integrazione degli alunni disabili nelle classi della scuola dell’obbligo, precisò che in esse sono assicurati insegnanti specializzati e dovevano essere assicurati il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno (art.2). Negli anni Ottanta continuarono senza esiti i tentativi di riforma della scuola secondaria superiore. L’impossibilità di una riforma incrementò il ricorso a diverse sperimentazioni quali via di rinnovamento di questo ordine scolastico.
  • 4. La scuola elementare, invece, riuscì a vivere un periodo di significativa innovazione con i nuovi programmi del 1985 e con la riforma contenuta nella Legge n.148/1990, che sostituì il maestro unico con un modulo di più insegnanti su una stessa classe. Gli anni Novanta furono attraversati da un lungo dibattito sulla riorganizzazione della pubblica amministrazione, che portò all’approvazione della Legge n. 59/1997 (riforma Bassanini). L’art. 21 di questa Legge si occupò dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le cui principali forme furono l’autonomia organizzativa, l’autonomia didattica e l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo.
  • 5. Ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 59 il Governo doveva emanare i decreti legislativi applicativi. Con la pubblicazione del D.P.R. n. 275/1999 fu emanato il Regolamento dell’autonomia scolastica, che ne consentì l’entrata in vigore a partire dal 1 settembre dell’anno duemila. Le singole istituzioni scolastiche acquisirono così il potere di definire la propria identità culturale e progettuale attraverso il Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.), che doveva raccogliere tutte le attività curricolari ed extracurriculari proposte autonomamente dalle scuole ai propri utenti .
  • 6. Ciascuna scuola era chiamata a determinare nel Piano dell’offerta formativa, il curricolo obbligatorio per i propri alunni (DPR n. 275/1999, art. 8, comma 2). I curricoli, in base all’art. 9, comma 2 potevano essere arricchiti con discipline e attività facoltative. Questo implicava che l’articolo n. 3 del D.P.R. n. 275/1999 dovesse combinarsi con l’art. 8 del medesimo Regolamento dove si precisavano i criteri per la determinazione del curricolo.
  • 7. L’autonomia delle singole istituzioni scolastiche, infatti, doveva essere temperata da alcuni parametri fissati a livello nazionale volti a tutelare da eventuali allontanamenti dagli obiettivi istituzionali dell’intero sistema nazionale. Ecco quindi che a norma dell’art. 8 del D.P.R. n. 275/1999 al Ministro dell’Istruzione spettava definire, insieme ad altri basilari aspetti, gli obiettivi generali del processo formativo, gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni e le discipline e le attività costituenti la quota nazionale dei curricoli e il relativo monte ore annuale.
  • 8. Quanto fin qui detto a proposito di autonomia scolastica fa balzare subito agli occhi come col tempo sia mutato lo scenario educativo- didattico italiano. Ogni docente, fino all’entrata in vigore dell’autonomia, nella programmazione del proprio insegnamento doveva riferirsi ai Programmi ministeriali allora vigenti, che erano un testo statico e prescrittivo emanato dall’autorità centrale (Ministro).
  • 9. Dovevano essere eseguiti dagli insegnanti che nel concreto non avevano molto spazio per un’autonoma iniziativa. L’impianto dei Programmi corrispondeva ad un sistema scolastico di tipo centralistico e rispecchiava una concezione autoritaria della scuola, cui faceva eco principalmente una didattica nozionistica. Di fatto con i Programmi lo Stato stabiliva quali erano i contenuti della formazione ai quali tutte le scuole dovevano uniformarsi.
  • 10. Con l’autonomia scolastica non poteva più essere così. La “logica dei Programmi”, tipica espressione di un sistema scolastico centralizzato, imperniata sull’omogeneità dei traguardi formativi, dovette fare i conti da una parte con gli impulsi socio-culturali che progressivamente portarono alla materializzazione dei dispositivi normativi connessi all’autonomia delle istituzioni scolastiche, dall’altra con le innovative spinte pedagogico-didattiche offerte dalle riflessioni internazionali centrate sul tema del curricolo, le quali investirono la scuola italiana soprattutto a partire dagli anni Settanta, determinando una profonda e significativa influenza nei programmi stessi, per poi avere espressione nel Regolamento dell’autonomia scolastica (D.P.R. 275/1999) e non trovare smentita immediatamente dopo nella Legge n. 30/2000 sul riordino dei cicli (detta anche Legge Berlinguer-De Mauro).
  • 11. Questa legge, in riferimento all’integrazione degli alunni disabili nelle classi della scuola dell’obbligo, precisò che in esse sono assicurati insegnanti specializzati e dovevano essere assicurati il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno (art.2). Negli anni Ottanta continuarono senza esiti i tentativi di riforma della scuola secondaria superiore. L’impossibilità di una riforma incrementò il ricorso a diverse sperimentazioni quali via di rinnovamento di questo ordine scolastico.
  • 12. Come si può notare al sostantivo programmazione venne associato l’aggettivo curricolare in riferimento al percorso da compiere per realizzare gli obiettivi formativi desiderati. Cambiò dunque il paradigma scolastico. Da una scuola preoccupata burocraticamente dall’esecuzione del programma si passò ad una scuola preoccupata dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi, che coincidevano con l’apprendimento dell’allievo. Di conseguenza cambiò anche il paradigma professionale del docente, il quale da esecutore meccanico diventava interprete libero e responsabile dell’efficacia della sua azione.
  • 13. La “logica dei Programmi” lasciò inesorabilmente il passo alla “logica del curricolo”, mettendo progressivamente in risalto il passaggio da un centralismo burocratico-statale ad una forma di decentramento-autonomo con cui le scuole dovevano misurarsi per sviluppare le propria progettualità nei confronti del territorio.