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Università degli Studi di Firenze
Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali- DSPS
Dottorato in Sociologia XXVIII ciclo
Relazione sul seminario del dottorato in Scienze Storico Sociali
Anno Accademico 2014
La policy di higher education in Europa in prospettiva storico-comparata. Un catalogo
di opportunità e problemi.
Di
Alberto Nucciotti
1
Introduzione
Decido di aprire questa discussione con il tema della competizione nel settore dell'innovazione e della ricerca
dell'aggregato europeo in una prospettiva comparata con gli Stati Uniti, competitor diretto e modello di
sviluppo accademico, a cui può (e forse inevitabilmente, deve) essere confrontata la strategia lanciata negli
ultimi anni dalle istituzioni comunitarie.
Slaughter e Cantwell [2012] a tal proposito hanno sostenuto che UE e US seguono storicamente dei sentieri
molto diversi per portare l'higher education più a stretto contatto con il mercato.
Mentre gli Stati Uniti seguirebbero una traiettoria storicamente incrementale di avvicinamento tra accademia
e economia, trainata dal basso ed in modo più autonomo dal governo centrale, il percorso europeo mostra
una impostazione più dirigista nell'avvicinamento tra istituzioni accademiche e mercato dell'innovazione.
L'attivismo della Commissione Europea si configura secondo Slaughter e Cantwell [2012] come un tentativo
di reverse engineering sui modelli anglo-americani per tentare di ricostruire tecnologie di governance in
contesti europei distintivi, che incorporano la competizione entro frameworks e iniziative che si collocano a
livello di stati nazionali.
La Commissione tenta una strategia di competitività con l'obiettivo di fare (attraverso Bologna e Lisbona)
dell'EHEA (European Higher Education Area) l'area regionale più dinamica e competitiva nell'economia
della conoscenza a partire dal 2010.
La ridefinizione degli obiettivi di Lisbona del 2005 per creare una “Innovation Union” che sprigioni le
capacità innovative europee avrebbe dovuto condurre a una smart economy, capace di offrire ai propri
cittadini una larga fetta di mercati globali di innovazione, posti di lavoro altamente qualificati e retribuiti,
prosperità e benessere diffusi.
Al contrario questi autori vedono un'Europa perdente nella competizione globale per l'economia
dell'innovazione fondata sulla conoscenza.
Questa valutazione può trovare fondamento nella diversa (e minore) capacità manageriale osservata delle
università, nelle modalità di finanziamento per la ricerca applicata, nei nuovi circuiti di conoscenza che si
attivano dai sistemi di per review e valutazione professionale, quali arbitri di eccellenza nella ricerca, su cui
l'Europa è appare in affanno rispetto al Nord America.
A partire da questo articolato punto di vista vorrei portare alla discussione seminariale, alcuni spunti critici
legati a processi più o meno recenti, tra le politiche europee per l'istruzione superiore e il difficile processo di
costruzione europea.
1. Cicli di policy-making e imprenditori istituzionali nella costruzione di un'higher education europea
L'insufficiente capacità di azione della Comunità su diversi fronti, a cominciare dalla grandi scelte
economiche, vale anche per le politiche dell'higher education. Per capire tale problematica è necessario
ricostruire pur brevemente ma a più ampio raggio, le politiche per l'istruzione superiore nelle tappe che
intersecano il processo di costruzione europea, con l'interazione evolutiva tra idee, soggetti chiave e
istituzioni. Dall'intreccio cronologico di cicli di policy e ruolo degli imprenditori politici che si sono via via
2
cimentati nella strutturazione di politiche europee per l'istruzione e la ricerca, è possibile ricavare una chiave
interpretativa per il presente nel settore educativo.
Da un punto di vista diacronico di successione storica degli eventi Corbett [2003] si propone di mostrare che,
questo processo di policy è assolutamente non incrementale e coerente, ma al contrario caratterizzato dalle
dinamiche di integrazione europea in atto in momenti diversi, da scatti in avanti e momenti di stallo.
In luoghi e tempi diversi l'iniziativa di policy è stata presa da particolari figure di imprenditori politico-
isitituzionali, di volta in volta impegnati nel guidare in avanti una specifica idea di policy.
Gli eventi in tema di higher education seguono una successione in cui diversi imprenditori politico-
istituzionali, hanno preso un impegno di azione imprenditoriale per far avanzare una policy comunitaria nel
settore educativo.
A Messina nel 1955 per la prima volta i sei membri della CECA (ovvero i ministri degli esteri di Belgio,
Francia, Italia, Lussemburgo, Repubblica Federale di Germania e Paesi Bassi) si trovarono di fronte il
problema di come estendere i meccanismi di unità europea occidentale, anche nel settore dell'educazione
post-secondaria.
In quell'occasione fu il Ministro dell'Educazione della Repubblica Federale Tedesca, Walter Hallstein a
proporre – destando interesse ma non approvazione generale – la creazione da parte della Comunità, di una
istituzione accademica di rango specificamente europeo.
Tuttavia all'assemblea di Messina, fu vernalizzata una promessa verbale che tale issue avrebbe avuto
copertura nei trattati istitutivi del 1957. Se ne trova traccia nel Trattato istitutivo della Comunità per l'Energia
Atomica, firmato a Roma del marzo 19571
.
L'idea di fare una università europea non aveva però solide basi di consenso, infatti la Comunità dei Capi di
Stato e di Governo riunita a Bonn (Germania Ovest) nel 1961 ritenne che l'educazione superiore avrebbe
dovuto collocarsi al di fuori della competenza comunitaria diretta.
Sotto la presidenza di Etienne Hirsch dell'EAEC (1959 – 1962) si incluse in agenda il tema della creazione di
relazioni a livello comunitario tra i livelli più alti della formazione nazionale e grandi istituti di ricerca
scientifica europei, attraverso le pratiche della mobilità e del policy transfer2
.
Questa opposizione francese è illustrativa di come gli interessi nazionali e le tradizioni accademiche francesi
spingessero per dare una veste intergovernativa all'higher education, e quanto ciò fosse divergente rispetto
alle idee costituzionaliste di unione federale europea federalismo europeo. L'iniziativa di Hirsch non poteva
che scontrarsi con il punto di vista di Spinelli, quando si posero i problemi di completamento, estensione e
1 Article 9: After obtaining the opinion of the Economic and Social Committee the Commission may, within the framework of the
Joint Nuclear Research Centre, set up schools for the training of specialists particularly in the fields of […] nuclear engineering,
health and safety [...]. The Commission shall determine the details of such training. An institution of university status shall be
established; the way in which it will function shall be determined by the Council, acting by a qualified majority on a proposal from
the Commission.
Elaborazione su: http://europa.eu/eu-law/decision-making/treaties/pdf/ (enfasi aggiunta)
Article 216: The Commission proposals on the way in which the institution of university status referred to in Art 9 is to function
shall be submitted to the Council within one year of the entry into force of the Treaty.
[Corbett 2003, 318].
2La Francia era in linea di principio contraria anche a una contrattazione di una base legale comune per l'università in sede
comunitaria, che avrebbe logicamente aperto a una università di rango europeo, sancita dal Trattato di Roma. Contestualmente vi era
contrarietà francese anche in merito alle modalità di finanziamento del processo di europeizzazione dell'istruzione superiore.
3
approfondimento dell'integrazione comunitaria, dopo un momento di stallo.
Il secondo periodo comprende infatti gli anni dal 1969 al 1973, tra il summit dei ministri dell'educazione
dell'Aia e l'allargamento del 1973.
Olivier Guichard, (ministro francese dell'educazione) al summit tenuto all'Aia (Olanda) nel 1969 ebbe l'idea
di usare la Comunità come una risorsa di policy a livello nazionale, per un centro europeo di sviluppo
dell'educazione, come risorsa comune. Su questi temi le politiche educative si trovavano nella presa di una
crisi istituzionale fra la volontà tedesca, di tentare di costruire un'istruzione superiore più integrata a livello
europeo e quella francese, di difendere le proprie prerogative nazionali.
Questo portò all'agreement (Guichard-Spinelli) sotteso a due importanti decisioni del 1971 e interpretabile
come un rilevante momento di svolta per le politiche settoriali europee, nel corso di eventi esposti di seguito.
Altiero Spinelli, all'epoca commissario per l'Industria e la Tecnologia si offrì di guidare questa operazione,
determinato come era nel pensare che un tale meccanismo di policy, per rudimentale che fosse, avrebbe
avuto una capacità di formulazione di iniziative chiare perchè inserito nella competenza della Commissione
[Corbett 2003]3
.
La conseguenza più immediata fu l'atto formale atto dei ministri dell'educazione, che il 16 di novembre del
1971 aderivano alla cooperazione sulle issues educative. L'altra che precedette il meeting, fu l'istituzione per
via intergovernativa dell'università europea4
.
Come conseguenza vi fu una riorganizzazione del ruolo della Commissione Europea sulle tematiche
educative, dove Spinelli si incaricò di formare il Teaching and Education Group e un secondo gruppo di
coordinamento. Seguiti, nel 1974, dal Direttorato per l'educazione e la formazione della Commissione
Europea, presieduto da Ralph Dahrendorf, già commissario con delega alla ricerca, scienza e educazione
negli anni 1973-1974.
All'educazione fu data una sua propria divisione giuridica dentro un nuovo direttorato generale per la ricerca,
la scienza e l'educazione alle dipendenze di un nuovo commissario con la delega alla ricerca.
Il nuovo organigramma includeva fra gli altri Ralph Dahrendorf come nuovo commissario nel direttorato per
educazione e formazione, noto sociologo tedesco e Hywel Ceri Jones a capo della nuova Divisione
Education.
Quest'ultimo, da capo della Divisione Educazione della Commissione dal 1974, ebbe mandato di modificare
e rendere l'idea di Guichard-Spinelli più complessa e adeguata a soddisfare l'interesse della Comunità
Europea nell'higher education. In quel periodo sembrava che la Commissione Europea considerasse
l'educazione un dominio di policy legittimo e si impegnò per svilupparlo attivamente e in modo diretto.
Nello stesso momento la Corte Europea di Giustizia creava i futuri precedenti di una giurisprudenza che
riconosceva il diritto di studio su basi di uguaglianza anche ai non cittadini che risiedevano sul territorio
nazionale, provenienti da altri paesi della Comunità (es. sentenze Casagrande e Forcheri), che avrebbe poi
3 Si tratta di un punto molto importante perchè l'apporto di Spinelli in questa fase diede il via a un corso di eventi che costituiscono
una base storica certa delle politiche europee del settore fino ad oggi. Inoltre uno strategico turnover nel personale inserì nuove figure
nel policy making, personaggi che soprattutto non avevano sperimentato le difficoltà degli anni sessanta.
4 I ministri, seduti come rappresentanti dei loro rispettivi governi nazionali, annuirono a che si fosse istituito l'Istituto Universitario
Europeo a Firenze.
4
consentito alla Commissione di fare i molti programmi di mobilità inaugurati con l'Erasmus, agendo con gli
opportuni strumenti giuridici e politici.
Dahrendorf e Jones dissentirono fortemente all'idea di armonizzazione portata avanti da Spinelli, il quale
lavorò a una alternativa, che fu fissata nella comunicazione della Commissione denominata Education in the
European Community [COM (74)253)] [Corbett 2003].
Gli obiettivi che si poneva Altiero Spinelli incontrarono discussioni e resistenze nella Commissione sul
principio di estensione dei poteri della Comunità alle attività educative, che non dovevano irrompere nelle
prerogative nazionali, presagendo così molte dispute future sul tema della capacità di azione comunitaria in
tema di higher education.
Tuttavia una delle conseguenze dell'allargamento del 1973 (L'allargamento riguardava Regno Unito,
Danimarca e Irlanda) fu che la Commissione ebbe l'opportunità di giocare un ruolo maggiore del passato.
La struttura burocratica del settore higher education è stata rinforzata a seguito proprio della generale
riorganizzazione della Commissione a seguito dell'allargamento 1973 e indirettamente, anche dell'azione di
Altiero Spinelli del 1969 nel discutere la proposta di Guichard, che aveva condotto al nuovo assetto del
settore educativo in Commissione al meeting dei ministri del 1971.
La Comunicazione della Commissione al Consiglio,scritta da Spinelli, Education in the European
Community, fissava alcune priorità, come l'educazione dei figli di lavoratori migranti e l'impegno alla
promozione della mobilità di studenti, docenti, staff di ricerca.
Il Consiglio dei ministri del 1974 che produsse la Risoluzione sulla cooperazione nel campo educativo, ed
infine, nel 1976, una seconda Risoluzione dei ministri europei che comprendeva un Action Programme nel
campo educativo5
.
I risultati di questo processo deliberativo portarono all'istituzione dell'Eurydice Network per lo scambio di
informazioni, di progetti pilota nell'educazione dei figli di lavoratori migranti, misure transitorie nel
passaggio tra scuola e mondo del lavoro, ed infine, il varo del Joint Study Programme Scheme.
In un spazio temporale che corre dal 1977 al 1987, detto schema di studi viene descritto come una
programmazione di grants volti a incoraggiare la cooperazione fra le istituzioni di istruzione superiore
(HEIs) che in particolare prevedeva lo scambio di studenti, lo scambio di staff docente e corsi gestiti in
maniera congiunta6
[Corbett 2003].
Un terzo periodo chiave fu il 1984-85, il quale coincise con la partnership fra Helmut Kohl, Francois
Mitterrand mentre si preparava la creazione del mercato unico del 1986 e l'arrivo di Jacques Delors come
5 Nel giugno 1974 i ministri dell'educazione nazionali si accordarono sui temi prioritari su cui avrebbero dovuto cooperare e per i
quali avrebbero lavorato con una strategia di stadi progressivi e in accordo con una procedura che doveva essere stesa secondo alcune
priorità, le seguenti: - promozione di strette relazioni fra i sistemi educativi in Europa; - aumentata cooperazione fra istituzioni di
istruzione superiore; - migliori possibilità di riconoscimento accademico di diplomi e periodi di studi all'estero; - promozione della
libertà di movimento e mobilità di professori, studenti, ricercatori; - rimozione di ostacoli sociali e amministrativi alla libera
circolazione di queste persone attraverso un miglioramento della formazione linguistica [Corbett 2003].
6 I punti di forza del Joint Study Programme Scheme riguardavano la creazione di network di università e strutture organizzative
accademiche, e il riconoscimento di esami, periodi di studio e titoli conseguiti in un paesi diverso da quello di nascita dei cittadini
europei. Mentre quanto alle debolezze dello schema congiunto, esse vengono valutate in un bias di partecipazione degli stati membri
a favore di Gran Bretagna, Francia e Germania., in una scarsa contribuzione alla mobilità degli studenti misurata in termini di
beneficiari raggiunti dai grants, che addirittura diminuiscono in termini assoluti dal 1967 al 1977 dello 0,5%.
(si veda: http://www.relazioni-internazionali-studi-europei.unifi.it/upload/sub/THE%20ERASMUS%20DREAM.pdf)
5
presidente della Commissione, che mise in moto una cooperazione sull'istruzione superiore, trasformandola
da un programma pilota a un programma pienamente fondato.
Questo passaggio ha condotto peraltro al varo del programma Erasmus del 1987 e poi a tutte le politiche di
mobilità e formazione che si sono succedute e rappresentano il vero modello politico della Comunità
Europea nel campo dell'istruzione superiore.
Sotto la presidenza della Commissione di Jacques Delors (1985-1995) vengono tuttavia apportati importanti
cambiamenti, derivanti da un clima più favorevole a misure più vicine ai cittadini europei, che condussero
alla decisione di stabilire un mercato comune europeo (Atto Unico Europeo del 1986) preceduto dalla
proposta del 1985, di dar vita al Programma Erasmus da parte del commissario con delega alla
Competizione, Affari Sociali e Educazione, Peter Sutherland (1985-1986). Il programma Erasmus viene
adottato a partire dal 1987, come European Community Action Scheme for the Mobility of University
Students.
Il primo programma Erasmus iniziava nel 1987 e durava fino al 1990, con un budget di 85 milioni di ECU,
mirava a costituire un network europeo di università, avviava uno schema di grant per gli studenti europei, il
riconoscimento di diplomi e periodi di studio maturati all'estero, misure complementari per la promozione
della mobilità studentesca.
Infine, il quarto periodo, fra il 1989 e il 1991, in cui le conferenze intergovernative portarono al trattato
dell'Unione Europea di Maastricht, che rese possibile formalizzare i progetti intergovernativi e comunitari
come operazioni complementari, come il programma Socrates del 1995.
2. Metà anni ottanta: mercato unico, riforma istituzionale della comunità e politica educativa
comunitaria
A metà anni ottanta le priorità educative degli stati membri delle Comunità Europee vennero trasformate
dalle nuove condizioni competitive e tecnologiche determinatesi a livello internazionale e soprattutto
vennero rilette alla luce di un mutato equilibrio tra le forze sociali e le politiche nazionali [Paoli 2010].
Vi erano dei segni di mutamento della percezione del valore dell'istruzione per il mercato e l'innovazione
tecnologica.
Prima di tutto nell'imprenditoria continentale ai livelli più alti, in cui la Tavola rotonda degli industriali
europei, creata nel 1983, mise al centro della propria analisi e azione, il concetto di politiche della
conoscenza associate all'imperativo di rafforzare il livello di competitività del sistema economico europeo e
alla volontà di restituire egemonia ai valori e agli interessi di impresa.
Allo stesso tempo anche nel sindacalismo europeo si verificò un riposizionamento dei vertici delle
organizzazioni. Dopo il programma in materia di istruzione e formazione della CES (Confederazione
Europea dei Sindacati o ETUC European Trade Union Confederation) in cui priorità era stata concessa
all'obiettivo di assistere e promuovere i soggetti svantaggiati.
Il Memorandum sulla politica di istruzione e formazione professionale in Europa Occidentale adottato dal
comitato esecutivo della Ces nel 1984 operò una ridefinizione dei propri assunti e finalità [Ibidem].
6
Per gli stessi sindacati, la competitività delle imprese, unita a una maggiore padronanza dei nuovi mezzi
tecnologici era l'orizzonte in cui le politiche educative e formative si sarebbero dovute necessariamente
muovere. In questa prospettiva gli obiettivi della promozione, mobilità e trasformazione sociale cedevano il
passo alla ricerca di una maggiore efficienza professionale e produttiva dei lavoratori occupati che si
rendesse funzionale alle esigenze di crescita e di ristrutturazione del sistema economico.
Anche nei sistemi politici veniva percepita questa tendenza. In Gran Bretagna che in Francia, rispettivamente
con i governi Thatcher e Fabius venne impressa una svolta modernizzatrice alla politica educativa, che si
focalizzava nel vedere l'istruzione non più come un fattore sociale, ma come un fattore economico, per creare
una manodopera qualificata e disciplinata [Paoli 2010].
Infine questa evidenza si impose gradualmente agli occhi degli stessi vertici della Cee, spingendo le
istituzioni comunitarie verso una ridefinizione dei concetti educativi e formativi più in linea con il nuovo
clima politico e ideologico, con i nuovi rapporti di forza con la nuova situazione economica internazionale e
con gli stessi obiettivi di rilancio del progetto comune.
La necessità di una politica educativa comunitaria fece la propria comparsa nel Trattato sull'Unione Europea
approvato dal Parlamento Europeo nella seduta del 14 febbraio 1984. Nato su impulso di un gruppo di
parlamentari raccolti attorno all'ex commissario Spinelli, il documento rappresentava un tentativo organico di
riorganizzazione in senso para-federale delle strutture gerarchiche, istituzionali e politiche delle Comunità
Europee [Ibidem]
Secondo Majocchi [1996] al contrario il tentativo che si stava compiendo (il secondo da parte di Spinelli7
) di
mettere mano alla fondazione di un nuovo stato europeo, senza una diretta richiesta di ratifica mediante
referendum dei popoli europei, fu giudicato da lui stesso, un ennesimo fallimento. Fallimento che avveniva
in una situazione – quella di metà anni ottanta – in cui le condizioni che avevano costituito una spinta
propulsiva alla federazione nell'immediato dopoguerra erano molto cambiate. Non c'era più la stessa spinta a
una Europa unita per garantire prima di tutto la pace che ispirava gli animi nell'immediato Dopoguerra.
Quel fallimento aveva molto da insegnare [Majocchi 1996] principalmente perchè il progetto costituzionale
di integrazione avrebbe dovuto evitare di passare al vaglio di alcuna conferenza diplomatica, come in effetti
accadde, ma essere trasmesso direttamente agli stati per la ratifica.
Dopo l'approvazione da parte del Parlamento del Trattato sull'UE il 14 febbraio 1984, il Consiglio Europeo
di Fontainbleu del mese di giugno dello stesso anno, sotto la presidenza Mitterrand, diede mandato a due
appositi comitati intergovernativi di trovare una concreta possibilità di definizione della strategia.
Il primo comitato, posto sotto la guida dell'irlandese John Dooge (ex ministro per gli affari esteri) doveva
formulare suggerimenti volti a migliorare il funzionamento politico e istituzionale della macchina
comunitaria.
Il rapporto Dooge venne presentato al Consiglio Europeo di Dublino nel dicembre 1984 e poi al Consiglio
Europeo di Bruxelles nel marzo 1985. Tuttavia più che proporre misure di riforma istituzionale il rapporto si
7 Il primo in occasione dell'istituzione della CED e dell'obiezione di Spinelli e De Gasperi intorno alla necessità di
avere un governo prima di un esercito che portò all'articolo 38 del trattato CED.
7
limitava a confermare obiettivi, precisare tappe e indicare politiche complementari.
Il secondo comitato (presieduto dall'italiano Pietro Adonnino) aveva invece l'incarico di proporre una serie di
misure per rilanciare l'immagine e l'identità stessa della Comunità, per mutare la percezione di un'istituzione
sentita come puramente economica e in grave crisi di risultati.
Venne convocata una nuova conferenza intergovernativa con il compito di negoziare il Trattato Istitutivo
dell'Unione che si tenne a Milano nel giugno 1985.
Lungi dal ripetere le solite riserve nei confronti della pratica intergovernativa, la critica federalista si muove
sui contenuti. Nelle parole di Majocchi [1996], il dissenso è a qualunque disegno istituzionale non in grado
di dotare la Comunità di una capacità di azione necessaria, senza cioè un governo efficace e democratico,
anche se in un primo momento limitato alle competenze economiche. Ovvero il minimo politico-istituzionale
previsto dal progetto di Trattato del febbraio 1984.
La politica educativa in questo contesto, non è rientrata formalmente dentro gli articoli dell'Atto Unico
Europeo, che Spinelli considerava una beffa nell'insieme, dato che l'Unione prevista dal Parlamento Europeo
era già la posta in gioco, mentre i governi in quell'Atto proponevano di raggiungere per il 1992 gli stessi
obiettivi che erano già nel Trattato istitutivo della CEE del 1957.
Nonostante tutte le giuste critiche da parte di Spinelli al contrastato progetto di una nuova statualità europea
democratica, bisogna anche però dire che per quanto attiene la politica del settore educativo, la
Commissione, grazie anche al ruolo fondamentale della Corte Europea di Giustizia, si rese conto di dover
superare le vecchie concezioni sul ruolo prevalente di inclusione sociale dell'istruzione, e allo stesso tempo
molte riserve nazionali di sovranità nel campo educativo.
Avendo la Cee preso atto dei mutamenti generali di percezione del ruolo dell'istruzione – nell'imprenditoria,
nel sindacalismo e nei sistemi nazionali – nel contesto della competizione scientifico tecnologica della
globalizzazione, pertanto, doveva superare l'ostacolo di una presunta mancanza di una base giuridica nei
Trattati che veniva trattata come un alibi ai paesi meno disposti a cedere sovranità in materia.
In questo punto entra in gioco la Corte Europea di Giustizia, che ha saputo svelare che una base giuridica
comune in fatto di istruzione superiore era stata già stabilita nel Trattato originario, e quindi la Commissione
ha poi saputo utilizzarla a proprio vantaggio [Paoli 2010].
Infatti come ricordano sia Paoli [2010] che Garben [2010] (per quanto riguarda ad esempio la sentenza
Casagrande sul diritto all'istruzione dei figli dei migranti da altro stato europeo) la ECJ durante gli anni
settanta ha sviluppato una giurisprudenza originale che tratta l'istruzione come una competenza trasversale
nell'ambito giuridico comunitario, tale da renderne possibile una sua inclusione nelle competenze
concorrenti, ma senza aver bisogno di mettere mano a una modifica dei Trattati [Paoli 2010].
Viene altresì rivista la vecchia distinzione fra istruzione e formazione professionale, l'una non inclusa e l'altra
invece inclusa nei trattati. Essa venne a cadere sulla base della considerazione che l'istruzione superiore, a
maggior ragione, deve essere considerata nient'altro che un tipo di formazione professionale.
Pertanto possiamo concludere questo paragrafo affermando che l'obiettivo del mercato unico europeo,
cambiò gli orientamenti e lo stesso livello di importanza attribuito alle cosiddette politiche della conoscenza.
8
L'azione della Corte Europea di Giustizia delle Comunità europee, infine, contribuì a forzare le resistenze
nazionali con una serie di interpretazioni che di fatto equipararono l'istruzione universitaria alla formazione
professionale già regolata dal Trattato Cee [Paoli 2010]. Fu da queste basi che l'Europa ha potuto realizzare
politiche per l'istruzione superiore che possono essere considerate di successo dall'Erasmus in poi. Malgrado
infatti tutte le critiche al processo di integrazione, un modello di azione originale di cooperazione a guida
della Commissione in campo educativo si era avviato, e ha dato buoni risultati. Il Processo di Bologna non è
però incluso in questa ciclo di policy.
3. Dopo Bologna: istituzioni europee, sovranità nazionali e politica educativa fra scetticismo e protesta
La situazione che si è determinata attraverso l'azione della Corte Europea di Giustizia e di conseguenza
l'agire della Commissione attraverso precisi atti di cui si parla poco sopra, è stata alla base di una successione
di programmi comunitari, che più delle direttive, dei proclami, sono stati in grado di cambiare la mentalità
dei decisori e la percezione del processo di integrazione nei cittadini [Paoli 2010] .
Le iniziative della Commissione a partire da Comett, a Erasmus, Tempus, Lingua ecc. che sono, come detto
molto rilevanti, hanno potuto essere generate da un comune framework di cooperazione ricavato proprio
dall'originaria azione congiunta della Commissione e della Corte Europea di Giustizia.
Nel ciclo di policy che Corbett [2003] identifica negli anni dal 1987 al 1991 nella successione presentata più
sopra, vi furono diverse sfide sul piano legale a carico della questione educativa. Quando l'opportunità di
ripensare la base legale della Comunità Europea nei termini dell'Unione Europea si presentò con la
conferenze intergovernative che portavano al Trattato di Maastricht, il Presidente della Commissione Delors
e molti membri dei governi nazionali, convennero che l'educazione necessitasse di fondarsi su un Trattato
ancorata a una cornice di sussidiarietà. Questo accordo conduceva agli artt. 126 sull'istruzione e 127 sulla
formazione (artt. 149 e 150 del Trattato di Amsterdam).
Invece le cose si muoveranno in maniera diversa per quanto riguarda le politiche centrate sulla dotazione di
capitale umano qualificato in Europa, cioè la 'dotazione' delle università europee.
Anche perchè, come giustamente ricorda Corbett [2003], la storia dell'higher education in Europa è sempre
stata influenzata da una dinamica di sviluppi mutuamente escludenti. Uno di questi fu l'iniziativa francese del
1998 in partnership con la Conferenza dei Rettori Europei, che venne denominata European University
Association (EUA), che costituì l'elemento centrale della futura Dichiarazione e del Processo di Bologna.
Questa prima iniziativa fa il paio con un parallelo impegno dell'UE per creare, a fianco di una EHEA
(Europea Higher Education Area, scaturita dal Processo di Bologna), una European Research Area, entrambe
con deadline nel 2010. Questa ha le sue radici nel Libro Bianco sulla Crescita, Competitività e Occupazione
di Delors che sfocia nell'Agenda di Lisbona.
Si riproduce così uno sdoppiamento che poteva (e forse doveva) essere forse superato, ma che aveva salde
radici nel passato della Comunità, in cui come si è visto prima non era stato mai facile discutere
dell'integrazione sui sistemi educativi. Come che sia è una realtà che le due politiche (Bologna e Lisbona) si
intersecano e sovrappongono in numerosi punti, come è inevitabile che sia per la stretta correlazione logica
9
fra insegnamento, offerta formativa, qualità della ricerca e sua attivazione sul mercato.
Nel giugno 19998
, i ministri di 29 paesi firmarono la Dichiarazione di Bologna, esprimendo il loro impegno a
coordinare le rispettive policies nazionali sulla base di sei obiettivi comuni, soggiacenti alla creazione di una
area comune europea per l'Istruzione Superiore dal 2010 [Ravinet 2008].
La Policy include la Commissione Europea come membro stabile, assieme a vari altri stakeholders in veste
di membri consultivi9
.
Nella Dichiarazione i Ministri formalizzano la loro intenzione di: a. adottare un sistema di titoli di laurea di
facile lettura e comparazione; b. implementare un sistema di higher education essenzialmente fondato su due
cicli principali; c. stabilire un sistema comune di trasferimento dei crediti universitari (ECTS); d. supportare
la mobilità di studenti, docenti, ricercatori e staff amministrativi fra gli stati aderenti; e. promuovere una
cooperazione europea nelle garanzie di qualità (Quality Assurance), f. promuovere una dimensione europea
dell'istruzione superiore, soprattutto in termini di sviluppo curricolare e cooperazione fra istituzioni.
Tutto fa ritenere che gli stati (e in particolare la Francia) abbiano esattamente nell'intento di bloccare la
Commissione dall'avere un ruolo diretto e consistente, ma hanno poi finito per dar vita a un meccanismo che,
istituzionalizzandosi, è diventato ugualmente vincolante di fatto, anche se formalmente volontario ancora
oggi, con l'aggravante che però non è in grado di dare i risultati sperati in termini di competitività della
dotazione europea di capitale umano ai massimi livelli.
Ravinet [2008] si chiede, in tal senso, per quale ragione gli stati abbiano autonomamente vincolato la
coordinazione delle proprie politiche agli obiettivi di Bologna, suscitando più avanti la tacita impressione di
percepirli come sempre più cogenti e inevitabili: appare infatti evidente che ad oggi i paesi partecipanti non
possano (più) immaginare policies nazionali di higher education che siano in aperta contraddizione con i
principi di Bologna.
La mancanza iniziale di una struttura e di vincoli formali hanno incoraggiato una larga partecipazione alla
Dichiarazione perchè essa sembrava implicare un basso livello di impegno. Tuttavia le regole iniziarono a
formalizzarsi e attraverso una necessaria formalizzazione iniziale poi esplicitamente istituzionalizzata,
Bologna ha acquisito legittimità formale [Ravinet 2006].
Il Processo di Bologna è guidato da un gruppo direttivo a rotazione (Bologna Follow-Up Group) con obbligo
di rappresentanza verso la conferenza intergovernativa e di redigere un report generale che raccoglie i report
nazionali che i paesi sono richiesti (ma non formalmente obbligati) di produrre prima di ogni conferenza
intergovernativa, come stati di avanzamento nelle indicazioni del Processo.
Il meccanismo di follow-up venne progressivamente formalizzato e iniziò ad asserire una propria legittimità
8 Per ricostruzioni ragionate degli eventi che portarono alla Dichiarazione di Bologna si vedano S. Garben [2010] The
Bologna Process from a European law Perspective; European Law Journal Vol. 16, No.2, March 2010; V. Tomusk
[2004] Three Bolognas and a Pizza Pie: Notes on institutionalization of the European higher education system;
International Studies in Sociology of Education, 14:1, 75-96
9 Quali European University Association (EUA), European Association of Institutions in Higher education (EURASHE), European
Students' Union (ESU), Education International (in rappresentanza degli accademici) (EI), oltre alla European Association for
Quality Assurance in Higher Education (ENQA) e Business Europe in rappresentanza di organizzazioni datoriali a livello europeo
Alla firma iniziale del 1999 sono seguiti diversi rounds di incontri e conferenze, nell'ordine: Praga (2001), Berlino (2003), Bergen
(2005), Londra (2007), Leuven/Louvain-la-Neuve (2009), Budapest-Vienna (2010), Bucarest (2012).[Ravinet 2008]
10
già nella conferenza di Praga (2001), standardizzando la forma dei report attraverso un template comune che
ha reso più semplice controllare l'implementazione degli obiettivi e mediante la standardizzazione, più facile
fare comparazioni tra paesi10
.
Dato che il Processo di Bologna è fondamentalmente intergovernativo, il suo decision -making è non
vincolante per definizione, almeno formalmente. Al contrario il suo scopo è di cambiare i prodotti dell'higher
education (titoli, curricola, offerta formativa ecc) trasformando il processo di creazione di una dotazione di
capitale umano più armonica e comparabile.
Tale modello di cambiamento è stato imposto in un dominio in cui vi è già una significativa attività di policy
sotto l'egida dell'UE [Corbett 2003, 2012]. Qual'è allora la novità che ha introdotto Bologna, nella policy
educativa in Europa; è cioè concepibile che un Processo che coinvolge 45 paesi, con dieci linee d'azione e
batterie di procedure per sviluppare, monitorare e valutare, possa avere qualcosa in comune con le iniziative
più limitate del passato? [si veda Corbett 2003 nel paragrafo 1]. Secondo questa angolazione il Processo può
essere interpretato come l'ultimo tentativo messo in campo per trovare una soluzione su come agire su scala
europea in maniera compatibile con il controllo nazionale dei sistemi accademici [Ibidem].
Tuttavia si può discutere intorno alla capacità istituzionale del Processo in un contesto in cui l'UE ha un
progetto rivale e sovrapposto attraverso le attività che spillano fuori dalla Strategia di Lisbona. Dove si parli
di higher education, sia gli attori di Bologna che la Commissione possono utilizzare procedure volontarie,
consensuali e deliberative. Tuttavia è lecito chiedersi quanto può durare una co-esistenza parallela di
Bologna e Lisbona, ovvero fra processi intergovernativi e competenza diretta su temi sovrapposti, in perenne
debito di risultati [Corbett 2012].
Ora, su questo tema convivono visioni contraria le une con le altre, le quali danno luogo a un dibattito in cui i
fronti opposti ancora oggi non riescono a conciliarsi in una visione più matura.
In merito all'istituzionalizzazione del Processo di Bologna Tomusk [2004] esprime serie criticità in merito
alla legittimità della Commissione Europea nel suo ruolo di istituzionalizzazione dell'higher education in
Europa, soprattutto per il modo in cui la Commissione avrebbe cercato in modo surrettizio di crearsi una
propria competenza in tema senza un reale mandato da parte degli stati membri.
Al contrario, secondo Garben [2010] il Processo di Bologna come momento intergovernativo di convergenza
volontaria in vista di una struttura comune di higher education, pone molti problemi da una prospettiva
giuridica europea. Esso prende avvio al di fuori dal framework istituzionale della Comunità Europea, mentre
avrebbe potuto ben esservi una competenza legale per agire i contenuti del Processo di Bologna come un
insieme di misure interne al processo legislativo ordinario della Comunità Europea, sottraendola alla
sovranità Stati Membri.
In Three Bolognas and a Pizza Pie [Tomusk 2004] si parla di un Cultural Bologna che prende le mosse dalle
radici più profonde del processo di costruzione europea, dal Consiglio d'Europa fino alla Magna Charta
10 Valutazione ex-post e in itinere della performance e crescente managerializzazione della governance accademica, sembrano
incardinarne la visione prospettica ai dettami del new public management mentre pare venire meno il principio cardine della libertà
accademica tradizionale. In particolare il concetto di autonomia istituzionale delle università, perseguito mediante interventi di
privatizzazione e managerializzazione, mira a fare delle università degli attori organizzativi completi [De Boer et al. 2007] nei
rapporti con l'amministrazione pubblica, più simili alle imprese e al business nell'essere specifici destinatari di politiche.
11
Universitatum del 1988. Vi è un Political Bologna connesso al progetto federalista di costruzione europea,
mirato a pervenire a una nuova statualità europea per via costituzionale, che ha dovuto soccombere al più
pragmatico ma anche meno ambizioso modo di procedere per conferenze intergovernative, definito anche
'politica dei piccoli passi' o gradualismo funzionale11
[Majocchi 1996].
Infine, vi è un Economic Bologna, inteso come scivolamento del Processo di Bologna da un intento di
integrazione culturale a uno scenario di competizione economica. In questo avrebbero pesato le azioni
dell'European Universities Association e del Bologna Follow-Up Group e in particolare dei loro
rappresentanti, i quali si sarebbero presi la libertà di rivedere gli obiettivi di Bologna per caricarlo del
compito di generare profitti per le università europee
Il peccato originale della Commissione secondo Tomusk [2004], sarebbe di aver dirottato e abusato il
Processo di Bologna come un surrogato di una policy per l'higher education su cui in realtà non aveva (e
continua a non avere) voce in capitolo.
In altre parole, il tema dell'istituzionalizzazione della EHEA sconta una non legittimità delle iniziative della
Commissione Europea nel piegare gli obiettivi di un Cultural Bologna verso finalità economiche di
competizione delle università sul mercato (Economic Bologna) non tenendo in ultima analisi, nella dovuta
considerazione, una costruzione politica che poteva reggere il Processo, o il Political Bologna del progetto
federalista di costruzione europea nel settore dell'higher education.
Garben [2010] afferma al contrario che, anche se la Commissione ha sempre rispettato il paradigma di non
armonizzazione (art. 149 EC) gli stati hanno sospettato che essa si muovesse in quella direzione
indipendentemente dalla loro volontà e mandato.
Pertanto il problema secondo Garben [2010] è che gli stati hanno forzato i principi di leale cooperazione per
come sono espressi nell'articolo 10 del Trattato istitutivo, imbarcandosi in una cooperazione intergovernativa
nel contesto di Bologna.
Al di là della querelle fra sovranità nazionale e competenza dell'UE, che in questa sede non può essere
approfondito oltre questo superficiale livello, resta da dire qualcosa sulla fusione tra Processo di Bologna e
Agenda di Lisbona sotto l'azione della Commissione. Si può infatti sostenere che quanto di positivo e
aggiuntivo rispetto alle politiche nei sistemi nazionali dalla fine degli anni ottanta, deve essere ascritto alla
Commissione Europea, la quale ha mostrato un certo attivismo anche nel Processo di Bologna nel fonderne
gli obiettivi con la sua politica di Lisbona, ed in questo ha inciso di più delle conferenze intergovernative che
sono arrivate ultimamente a includere 46 diversi paesi.
Ruth Keeling [2006] tratta in parallelo le politiche sotto le insegne del Processo di Bologna per l'istruzione
superiore e dell'Agenda di Lisbona per la ricerca, osservando contestualmente l'espandersi del ruolo della
Commissione Europea nel discorso sull'Higher Education.
Sottoponendo la policy educativa di Bologna agli ideali ed ai conseguenti principi organizzativi dell'Agenda
11 Più ancora secondo Tomusk, la costruzione di una decision-making europeo nell'educazione e non solo, rappresenta una strategia
progettuale che applica il principio di garbage can come unico approccio sistematico di costruzione europea. Si tratta della capacità
di riciclare pezzi di politiche scartate e 'ripresi dal cestino', in ordine a un loro creativo utilizzo in vista dell'obiettivo finale di una
integrazione politica [Tomusk 2004].
12
di Lisbona rivisitata nel 2005 [Borràs e Radaelli 2011] viene modificata la sostanza di tale politica
comunitaria.
Rispondendo all'interrogativo intorno alla possibile co-esistenza delle due piattaforme di policy espresso da
Corbett [2012], la loro combinazione costituisce la base espansiva di una cornice nuova per l'UE nel settore
delle politiche di higher education.
Il dialogo fra le due iniziative e gli sviluppi susseguentisi nel tempo hanno confermato un ruolo sempre più
centrale per la Commissione ed in particolare dei suoi policy texts nel dare forma al discorso educativo in
Europa. Ovvero il parallelismo fra Bologna e Lisbona può essere unicamente superato in un modo o
nell'altro con una azione della Commissione Europea, perchè essa è riuscita nel tempo, facendo sponda con
la Corte Europea di Giustizia e le policy per la competitività e la crescita, a ritagliarsi competenze sempre più
dirette nella formulazione di policies nel settore dell'istruzione superiore.
Ma l'attivismo della Commissione si scontra sia contro le resistenze degli stati a cedere sovranità in questo
settore, sia con la fallacia del processo di co-decisione come processo legislativo ordinario dell'Unione.
Infatti non vi può essere vera co-decisione (fra Parlamento e Consiglio europei) fintantoché il Consiglio si
riunisce in segreto e può controllare in ogni momento il processo deliberativo del Parlamento Europeo.
Nel Consiglio si riuniscono i capi di governo dei paesi membri, pertanto è logico aspettarsi che senza una
tale innovazione, al netto dell'aumento delle competenze e del budget delle politiche, non potrà esservi una
reale Europa federale con decisioni autonome anche nel settore dell'higher education.
Wätcher [2004] avverte che il Processo corre pericoli di diluizione e perdita di efficacia nell'intento iniziale
di istituire un convergenza fra i sistemi accademici. Infatti sostiene che la direzione di marcia non è più
chiara come nel 1999 e l'agenda iniziale con un limitato numero di obiettivi concreti, ampliandosi e
differenziandosi nel tempo così come il numero di paesi coinvolti, può portare un indebolimento dei risultati.
In particolare si indebolisce la finalità di convergenza (se non di tacita armonizzazione) perchè coesiste con
molteplici strategie di convertibilità che non sono state sistemate in una distinta struttura, ma ricordano
approcci pre-Bologna che non erano ritenuti adeguati per costruire l'European Higher Education Area.
Infine il Processo di Bologna viene messo in pericolo da un certo numero di contraddizioni, la più importante
delle quali secondo Wätcher [2004] è quella fra agenda di competitività e agenda di inclusione sociale, di
fronte a movimenti internazionali di protesta studentesca che hanno preso di mira proprio il Processo di
Bologna. Il punto della contesa è la paventata e temuta penetrazione di logiche neoliberiste imposte su scala
internazionale nel settore dell'educazione.
Nell'European Call per un contro-summit12
il 28 e 29 aprile 2009 a Leuven/Louvain-la-Neuve (Belgio)
contro il Processo di Bologna nell'anniversario del suo decennale (1999-2009), si legge: «stiamo assistendo
a una selvaggia privatizzazione delle istituzioni educative e all'asservimento dell'istruzione superiore alla
mentalità ed al potere economico correnti […] le barriere mentali, fisiche e tecniche che i governi
costruiscono coscientemente […] sono mezzi per trattenere le nostre libertà, emancipazione e aspirazioni.
Per una radicale opposizione alla svendita del bene pubblico. Le misure politiche ci imbrigliano in un
12 http://www.indymedia.ie/article/91631?userlanguage=ga&save_prefs=true;
13
progetto che mira a uno sfruttare fino a esaurire le risorse umane in società, attraverso le trasformazioni e
riforme al sistema educativo che vengono descritte, pianificate e ordinate dal Processo di Bologna, adottato
dal 1999 da 46 paesi prevalentemente europei»
Nell'occasione viene ricordato che l'appuntamento biennale della conferenza intergovernativa del Processo di
Bologna si riunisce a Louvain per valutare i progressi conseguiti e i nuovi passi da intraprendere, oltre che
per dare feedback sulle riforme universitarie già avviate.
Viene mossa l'accusa di non aver realmente mai coinvolto studenti, insegnanti e ricercatori, lavoratori
europei nel processo. Nell'invitare a unirsi al contro-summit in qualità di coloro che vivono e costruiscono
quotidianamente questa società europea, il movimento European Anomalous Wave rivendica una visione che
supera le frontiere nazionali per costruire e condividere una conoscenza oltre ogni logica economica, libera e
accessibile a ognuno.
Scorrendo il programma si intuisce in qualche modo una speculare istituzionalizzazione della protesta al
Processo di Bologna, fino alla stesura di una Dichiarazione Alternativa.
Il movimento combatte una serie di effetti e di scelte che possono essere ricondotti alla più generale crisi
economica attuale, nella quale si sviluppa la protesta contro la razionalità neoliberista. Quest'ultima fa propri,
semplificandoli, gli assunti della critica filosofica della razionalità neoliberista, la quale certamente permea il
contesto economico e politico europeo.
Se si vuole valutare quindi il Processo di Bologna in termini di risultati, si deve dire con onestà che esso ha
raggiunto senz'altro quello di risultare distante, incomprensibile e inviso a molti giovani europei, che lo
contestano (a torto o a ragione) come il simbolo e la radice dei problemi dell'educazione nel Nostro
Continente.
Al di là dell'ottica movimentista giovanile odierna sui temi dell'educazione (che rappresenta un aggregato
molto vasto ed articolato) comunque, è vero che la filosofia sociale ha riconosciuto una costruzione
ordoliberale nell'archeologia dei principi della costruzione europea. Questa si basa sostanzialmente sulla
costituzione di un ordine giuridico di difesa della concorrenza.
Secondo Dardot e Laval [2013] il neoliberalismo europeo si è formato e diffuso attraverso il progetto
costituente europeo (la c.d. Convenzione Europea) fallito nell'iter di ratifica con la vittoria dei 'no' nei
referendum di Francia e Irlanda. Questo progetto costituente viene letto come vero e proprio laboratorio su
vasta scala dell'ordoliberalismo degli anni trenta, che a poco a poco ha avuto la meglio, con il suo tentativo
di costituzionalizzare, in Europa, l'economia di mercato. In ultima analisi, fallimento della ratifica
costituzionale a parte, si tratta di un obiettivo raggiunto dato che quasi tutte le innovazioni della Costituzione
Europea, sopravvivono anche nel Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, di riforma della struttura
istituzionale, depurato però da ogni riferimento costituzionale nei simboli, nella nomenclatura e nella
struttura del testo.
L'influenza del modello ordoliberale è particolarmente evidente in materia di politica monetaria, in
connessione con i criteri di Maastricht, la cui linea adottata vieta qualsiasi regolazione della congiuntura
mediante gli strumenti della moneta e della politica di bilancio, ovvero il policy mix di ispirazione
14
keynesiana.
Da questo punto di vista anche l'istruzione superiore è evidentemente interessata da un processo che spinge
sugli aspetti della competizione e del ruolo delle istituzioni educative nell'economia della conoscenza, in
quella che sembra una rincorsa ad acquisire i tratti costitutivi dell'higher education nel mondo anglosassone,
ai quali vengono sacrificate le tradizionali prerogative di libertà associate alla figura dell'accademico nella
sua professione di studioso e di insegnante, a favore di una più stretta connessione fra mondo del business e
della scuola, dell'università e della formazione [Laval et al. 2012].
Queste ultime considerazioni che introducono il tema della razionalità neoliberista rispetto alla costruzione
europea non hanno trovato spazio in questa rassegna. Tuttavia questo corpus di riflessione, a mio modesto
avviso, deve essere anch'esso tenuto presente, per conferire profondità e senso storico al processo di
integrazione europea nel settore educativo di cui si è parlato in queste pagine.
Considerazioni conclusive
Abbiamo iniziato con una ricostruzione delle vicende della policy di istruzione superiore in Europa, a partire
dagli ani del trattato Euratom fino agli anni novanta.
Questa riguarda cicli di policy e imprenditori politico istituzionali nel settore higher education e attinge dal
lavoro di Anne Corbett [Corbett 2003] la quale cerca di ragionare per idee, istituzioni ed eventi. In tal senso
il suo contributo ha rappresentato dal mio punto di vista un imprescindibile fonte di chiarezza e
comprensione di eventi e processi da cui partire per questo excursus sulle contraddizioni molteplici delle
politiche di istruzione superiore in Europa.
In secondo luogo le politiche in questione hanno seguito un percorso parallelo al più generale processo di
costruzione europea, a cui volevo guardare da una prospettiva federalista, come viene articolata in Majocchi
[1996]. Anche quest'ultima in qualche modo allinea eventi, processi e personaggi, fondandosi sul punto di
vista del federalismo britannico, secondo cui il progetto comune europeo è il primo passo per una futura
federazione mondiale, che sia il verbo e la carne di una umanità liberata dall'anarchia e la politica di potenza.
In particolare emerge prima di tutto con l'obiettivo di concretizzare a livello costituzionale, una nuova
statualità sovranazionale, subordinata alla volontà di dare alle future generazioni un mondo senza la guerra,
all'indomani della fine del Secondo Conflitto Mondiale.
La realizzazione del concetto di pace passa necessariamente per la comunità politica, la quale all'alba
dell'uscita dal Conflitto non ha più ragione di fondarsi - secondo i federalisti – sugli stati nazionali. Questi
sono stati assegnati a sfere di influenza o blocchi sovranazionali che li ha resi, senza mezzi termini, dei ferri
vecchi. Il progetto così impone degli atti di costruzione che devono uscire dalla logica e dagli strumenti
tradizionali dell'anarchia internazionale degli stati, preferendo cioè, per quanto possibile, la competenza
comunitaria diretta alla diplomazia internazionale e al sistema delle conferenze intergovernative [Majocchi
1996].
A tal proposito l'interrogativo – peraltro non risolto in gran parte in questa sede – verteva sul fatto che mentre
alcuni ambiti di policy fondamentali come il mercato comune e la moneta, la libera mobilità delle persone e
15
delle merci sono inclusi all'interno dei trattati, ad altri ambiti di riconosciuta centralità non è [stato] associato
un chiaro ritaglio di competenze fra stati e Unione.
Questo determina oggi una situazione di scarsa trasparenza e diversificata capacità di azione nella policy
europea di higher education, e come sempre una crisi di risultati che mette una seria ipoteca sulla credibilità
delle istituzioni comunitarie.
Subordinato al precedente vi è poi un terzo spunto di dibattito, più interno al Processo di Bologna, legato sia
alle modalità con cui esso è stato istituzionalizzato [Ravinet 2006, 2008; Keeling 2006] sia ai diversi pareri e
interpretazioni che possono discendere dalla questione dell'inclusione o meno delle politiche del Processo di
Bologna nell'area dei Trattati e del ruolo della Commissione rispetto alla sovranità nazionale [Corbett;
Tomusk 2004; Garben 2010].
Pur iniziando come processo volontario e non vincolante di partecipazione degli stati, esso ha
progressivamente cambiato pelle, imponendosi invece come realtà di fatto, e con esso i meccanismi tecnici
imposti e istituzionalizzati per parteciparvi, quali i report nazionali e gli stocktacking exercises in occorrenza
degli incontri a cadenza biennale [Keeling 2006].
L'allargamento delle competenze della Commissione e l'inclusione di nuovi paesi partecipanti al Processo di
Bologna con metodo intergovernativo, stimolano un dibattito fra le posizioni di chi sostiene che l'UE abbia
violato i principi di leale collaborazione con gli stati invadendo la sovranità nazionale in ambiti su cui non
aveva competenza [Tomusk 2004] e chi viceversa ritiene che siano stati gli stati ad aver 'giocato sporco' per
impedire una competenza comunitaria possibile e auspicabile in punta di diritto [Garben 2010].
Sono stati discussi questi temi senza velleità di fornire una risposta esaustiva. Comunque si è tentato di
ampliarne i termini all'outcome di questi processi in termini di performance del sistema accademico europeo
nell'economia della conoscenza con cui si è aperta questa parte introduttiva.
Premesso che non dobbiamo indulgere a giudizi precostituiti a sfavore dell'integrazione europea dei sistemi
accademici, sembra però un fatto che la competitività in aggregato della ricerca e dell'istruzione superiore
europea, rispetto agli Stati Uniti, non venga premiata dai risultati che ci si attendevano all'inizio del nuovo
millennio.
In conclusione, il punto di vista di partenza era il gap negativo di competitività per l'Europa nel confronto
con gli Stati Uniti per livello quantitativo e qualitativo della produzione di ricerca scientifica attivabile sul
mercato. Questo argomento non è stato al centro dei discorsi e delle ricostruzioni fatte sin qui. Alla luce del
percorso svolto però emerge che i tentativi di modificare l'output educativo e di ricerca delle università
europee, non sono riusciti a porre le basi di una competitività nella dimensione della governance accademica,
nei nuovi circuiti di produzione della conoscenza caratteristici della knowledge economy.
A questo fine, è necessario che l'Europa comprenda che per essere nel suo complesso competitiva con gli
Stati Uniti nella produzione di conoscenza scientifica e nella sua trasformazione sul mercato
dell'innovazione, deve trovare una via originale per mantenere in vita i tradizionali valori di libertà
accademica slegata da interessi economici e l'inclusione sociale tipica delle democrazie europee, con le
nuove forme di integrazione fra conoscenza scientifica e innovazione di mercato.
16
Tuttavia per poter intraprendere un'efficace politica di competitività globale nel mercato della conoscenza,
l'Europa dell'higher education deve farsi sistema, valorizzando meglio i valori comuni che possono riuscire a
renderla chiaramente riconoscibile dall'esterno e condivisa al suo interno.
Riferimenti bibliografici
Borràs, S., Radaelli, C., [2010] Recalibrating the Open Method of Coordination: Towards diverse and more
effective usages, Stockholm:SIEPS, Svenska institutet for europapolitiska studier;
Capano, G., Piattoni, S. [2011] From Bologna to Lisbon: the political uses of the Lisbon 'script' in European
higher education policy, Journal of European Public Policy 18:4, 584-606;
Corbett, A., [2012] Higher Education as a Form of European Integration: How novel is the Bologna
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Corbett, A., [2003] Ideas, Institutions and Policy Entrepreneurs: toward a new history of higher education in
the European Community, European Journal of Education, Vol. 38, No.3;
Dardot, P., Laval, C., [2013] La nuova ragione del Mondo, Derive Approdi;
De Boer, H.F., Enders, J., Leisyte, L., [2007] Public sector reform in Dutch higher education: the
organizational transformation of the university, Public Administration, Vol. 85 No.1, 27-46;
Garben S., [2010] The Bologna Process: From a European Law Perspective, European Law Journal, Vol. 16,
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Keeling, R., [2006] The Bologna Process and the Lisbon Research Agenda: The European Commission's
expanding role in higher education discourse; European Jpurnal of Education, Vol. 41, No. 2, 2006;
Laval, C., Vergne, F., Clément, P., Dreux, G., [2012] La nouvelle école capitaliste, La Découverte/
Poche;
Paoli, S., [2010] Il sogno di Erasmo. La questione educativa nel processo di integrazione europea, Franco
Angeli, Storia Internazionale dell'Epoca Contemporanea
Ravinet, P. [2006] When constraining links emerge from loose cooperation: mechanisms of involvement and
building of a follow-up structure in the Bologna Process. Paper presented at the third international Euredocs
Conference, Centre for Higher Education Research, University of Kassel, 16–18 June.
Ravinet, P., [2008] From Volountary Participation to Monitored Coordination: why European countries felle
increasingly bond by their commitment to the Bologna Process, European Journal of Education, Vol. 43,
Slaughter, S., Cantwell, B., [2012] Transatlantic moves to the market: The United States and the European
Union; Higher Education, 63 (5), pp. 583-606;
Tomusk, V., [2004] Three bolognas and a pizza pie: Notes on institutionalization of the European
higher education system, International Studies in Sociology of Education, 14:1, 75-96;
Wätcher, B., [2004] The Bologna Process: Development and Prospects; European Journal of Education,
Vol.39, No.3;
17

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La Policy di Higher Education in Europa

  • 1. Università degli Studi di Firenze Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali- DSPS Dottorato in Sociologia XXVIII ciclo Relazione sul seminario del dottorato in Scienze Storico Sociali Anno Accademico 2014 La policy di higher education in Europa in prospettiva storico-comparata. Un catalogo di opportunità e problemi. Di Alberto Nucciotti 1
  • 2. Introduzione Decido di aprire questa discussione con il tema della competizione nel settore dell'innovazione e della ricerca dell'aggregato europeo in una prospettiva comparata con gli Stati Uniti, competitor diretto e modello di sviluppo accademico, a cui può (e forse inevitabilmente, deve) essere confrontata la strategia lanciata negli ultimi anni dalle istituzioni comunitarie. Slaughter e Cantwell [2012] a tal proposito hanno sostenuto che UE e US seguono storicamente dei sentieri molto diversi per portare l'higher education più a stretto contatto con il mercato. Mentre gli Stati Uniti seguirebbero una traiettoria storicamente incrementale di avvicinamento tra accademia e economia, trainata dal basso ed in modo più autonomo dal governo centrale, il percorso europeo mostra una impostazione più dirigista nell'avvicinamento tra istituzioni accademiche e mercato dell'innovazione. L'attivismo della Commissione Europea si configura secondo Slaughter e Cantwell [2012] come un tentativo di reverse engineering sui modelli anglo-americani per tentare di ricostruire tecnologie di governance in contesti europei distintivi, che incorporano la competizione entro frameworks e iniziative che si collocano a livello di stati nazionali. La Commissione tenta una strategia di competitività con l'obiettivo di fare (attraverso Bologna e Lisbona) dell'EHEA (European Higher Education Area) l'area regionale più dinamica e competitiva nell'economia della conoscenza a partire dal 2010. La ridefinizione degli obiettivi di Lisbona del 2005 per creare una “Innovation Union” che sprigioni le capacità innovative europee avrebbe dovuto condurre a una smart economy, capace di offrire ai propri cittadini una larga fetta di mercati globali di innovazione, posti di lavoro altamente qualificati e retribuiti, prosperità e benessere diffusi. Al contrario questi autori vedono un'Europa perdente nella competizione globale per l'economia dell'innovazione fondata sulla conoscenza. Questa valutazione può trovare fondamento nella diversa (e minore) capacità manageriale osservata delle università, nelle modalità di finanziamento per la ricerca applicata, nei nuovi circuiti di conoscenza che si attivano dai sistemi di per review e valutazione professionale, quali arbitri di eccellenza nella ricerca, su cui l'Europa è appare in affanno rispetto al Nord America. A partire da questo articolato punto di vista vorrei portare alla discussione seminariale, alcuni spunti critici legati a processi più o meno recenti, tra le politiche europee per l'istruzione superiore e il difficile processo di costruzione europea. 1. Cicli di policy-making e imprenditori istituzionali nella costruzione di un'higher education europea L'insufficiente capacità di azione della Comunità su diversi fronti, a cominciare dalla grandi scelte economiche, vale anche per le politiche dell'higher education. Per capire tale problematica è necessario ricostruire pur brevemente ma a più ampio raggio, le politiche per l'istruzione superiore nelle tappe che intersecano il processo di costruzione europea, con l'interazione evolutiva tra idee, soggetti chiave e istituzioni. Dall'intreccio cronologico di cicli di policy e ruolo degli imprenditori politici che si sono via via 2
  • 3. cimentati nella strutturazione di politiche europee per l'istruzione e la ricerca, è possibile ricavare una chiave interpretativa per il presente nel settore educativo. Da un punto di vista diacronico di successione storica degli eventi Corbett [2003] si propone di mostrare che, questo processo di policy è assolutamente non incrementale e coerente, ma al contrario caratterizzato dalle dinamiche di integrazione europea in atto in momenti diversi, da scatti in avanti e momenti di stallo. In luoghi e tempi diversi l'iniziativa di policy è stata presa da particolari figure di imprenditori politico- isitituzionali, di volta in volta impegnati nel guidare in avanti una specifica idea di policy. Gli eventi in tema di higher education seguono una successione in cui diversi imprenditori politico- istituzionali, hanno preso un impegno di azione imprenditoriale per far avanzare una policy comunitaria nel settore educativo. A Messina nel 1955 per la prima volta i sei membri della CECA (ovvero i ministri degli esteri di Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Repubblica Federale di Germania e Paesi Bassi) si trovarono di fronte il problema di come estendere i meccanismi di unità europea occidentale, anche nel settore dell'educazione post-secondaria. In quell'occasione fu il Ministro dell'Educazione della Repubblica Federale Tedesca, Walter Hallstein a proporre – destando interesse ma non approvazione generale – la creazione da parte della Comunità, di una istituzione accademica di rango specificamente europeo. Tuttavia all'assemblea di Messina, fu vernalizzata una promessa verbale che tale issue avrebbe avuto copertura nei trattati istitutivi del 1957. Se ne trova traccia nel Trattato istitutivo della Comunità per l'Energia Atomica, firmato a Roma del marzo 19571 . L'idea di fare una università europea non aveva però solide basi di consenso, infatti la Comunità dei Capi di Stato e di Governo riunita a Bonn (Germania Ovest) nel 1961 ritenne che l'educazione superiore avrebbe dovuto collocarsi al di fuori della competenza comunitaria diretta. Sotto la presidenza di Etienne Hirsch dell'EAEC (1959 – 1962) si incluse in agenda il tema della creazione di relazioni a livello comunitario tra i livelli più alti della formazione nazionale e grandi istituti di ricerca scientifica europei, attraverso le pratiche della mobilità e del policy transfer2 . Questa opposizione francese è illustrativa di come gli interessi nazionali e le tradizioni accademiche francesi spingessero per dare una veste intergovernativa all'higher education, e quanto ciò fosse divergente rispetto alle idee costituzionaliste di unione federale europea federalismo europeo. L'iniziativa di Hirsch non poteva che scontrarsi con il punto di vista di Spinelli, quando si posero i problemi di completamento, estensione e 1 Article 9: After obtaining the opinion of the Economic and Social Committee the Commission may, within the framework of the Joint Nuclear Research Centre, set up schools for the training of specialists particularly in the fields of […] nuclear engineering, health and safety [...]. The Commission shall determine the details of such training. An institution of university status shall be established; the way in which it will function shall be determined by the Council, acting by a qualified majority on a proposal from the Commission. Elaborazione su: http://europa.eu/eu-law/decision-making/treaties/pdf/ (enfasi aggiunta) Article 216: The Commission proposals on the way in which the institution of university status referred to in Art 9 is to function shall be submitted to the Council within one year of the entry into force of the Treaty. [Corbett 2003, 318]. 2La Francia era in linea di principio contraria anche a una contrattazione di una base legale comune per l'università in sede comunitaria, che avrebbe logicamente aperto a una università di rango europeo, sancita dal Trattato di Roma. Contestualmente vi era contrarietà francese anche in merito alle modalità di finanziamento del processo di europeizzazione dell'istruzione superiore. 3
  • 4. approfondimento dell'integrazione comunitaria, dopo un momento di stallo. Il secondo periodo comprende infatti gli anni dal 1969 al 1973, tra il summit dei ministri dell'educazione dell'Aia e l'allargamento del 1973. Olivier Guichard, (ministro francese dell'educazione) al summit tenuto all'Aia (Olanda) nel 1969 ebbe l'idea di usare la Comunità come una risorsa di policy a livello nazionale, per un centro europeo di sviluppo dell'educazione, come risorsa comune. Su questi temi le politiche educative si trovavano nella presa di una crisi istituzionale fra la volontà tedesca, di tentare di costruire un'istruzione superiore più integrata a livello europeo e quella francese, di difendere le proprie prerogative nazionali. Questo portò all'agreement (Guichard-Spinelli) sotteso a due importanti decisioni del 1971 e interpretabile come un rilevante momento di svolta per le politiche settoriali europee, nel corso di eventi esposti di seguito. Altiero Spinelli, all'epoca commissario per l'Industria e la Tecnologia si offrì di guidare questa operazione, determinato come era nel pensare che un tale meccanismo di policy, per rudimentale che fosse, avrebbe avuto una capacità di formulazione di iniziative chiare perchè inserito nella competenza della Commissione [Corbett 2003]3 . La conseguenza più immediata fu l'atto formale atto dei ministri dell'educazione, che il 16 di novembre del 1971 aderivano alla cooperazione sulle issues educative. L'altra che precedette il meeting, fu l'istituzione per via intergovernativa dell'università europea4 . Come conseguenza vi fu una riorganizzazione del ruolo della Commissione Europea sulle tematiche educative, dove Spinelli si incaricò di formare il Teaching and Education Group e un secondo gruppo di coordinamento. Seguiti, nel 1974, dal Direttorato per l'educazione e la formazione della Commissione Europea, presieduto da Ralph Dahrendorf, già commissario con delega alla ricerca, scienza e educazione negli anni 1973-1974. All'educazione fu data una sua propria divisione giuridica dentro un nuovo direttorato generale per la ricerca, la scienza e l'educazione alle dipendenze di un nuovo commissario con la delega alla ricerca. Il nuovo organigramma includeva fra gli altri Ralph Dahrendorf come nuovo commissario nel direttorato per educazione e formazione, noto sociologo tedesco e Hywel Ceri Jones a capo della nuova Divisione Education. Quest'ultimo, da capo della Divisione Educazione della Commissione dal 1974, ebbe mandato di modificare e rendere l'idea di Guichard-Spinelli più complessa e adeguata a soddisfare l'interesse della Comunità Europea nell'higher education. In quel periodo sembrava che la Commissione Europea considerasse l'educazione un dominio di policy legittimo e si impegnò per svilupparlo attivamente e in modo diretto. Nello stesso momento la Corte Europea di Giustizia creava i futuri precedenti di una giurisprudenza che riconosceva il diritto di studio su basi di uguaglianza anche ai non cittadini che risiedevano sul territorio nazionale, provenienti da altri paesi della Comunità (es. sentenze Casagrande e Forcheri), che avrebbe poi 3 Si tratta di un punto molto importante perchè l'apporto di Spinelli in questa fase diede il via a un corso di eventi che costituiscono una base storica certa delle politiche europee del settore fino ad oggi. Inoltre uno strategico turnover nel personale inserì nuove figure nel policy making, personaggi che soprattutto non avevano sperimentato le difficoltà degli anni sessanta. 4 I ministri, seduti come rappresentanti dei loro rispettivi governi nazionali, annuirono a che si fosse istituito l'Istituto Universitario Europeo a Firenze. 4
  • 5. consentito alla Commissione di fare i molti programmi di mobilità inaugurati con l'Erasmus, agendo con gli opportuni strumenti giuridici e politici. Dahrendorf e Jones dissentirono fortemente all'idea di armonizzazione portata avanti da Spinelli, il quale lavorò a una alternativa, che fu fissata nella comunicazione della Commissione denominata Education in the European Community [COM (74)253)] [Corbett 2003]. Gli obiettivi che si poneva Altiero Spinelli incontrarono discussioni e resistenze nella Commissione sul principio di estensione dei poteri della Comunità alle attività educative, che non dovevano irrompere nelle prerogative nazionali, presagendo così molte dispute future sul tema della capacità di azione comunitaria in tema di higher education. Tuttavia una delle conseguenze dell'allargamento del 1973 (L'allargamento riguardava Regno Unito, Danimarca e Irlanda) fu che la Commissione ebbe l'opportunità di giocare un ruolo maggiore del passato. La struttura burocratica del settore higher education è stata rinforzata a seguito proprio della generale riorganizzazione della Commissione a seguito dell'allargamento 1973 e indirettamente, anche dell'azione di Altiero Spinelli del 1969 nel discutere la proposta di Guichard, che aveva condotto al nuovo assetto del settore educativo in Commissione al meeting dei ministri del 1971. La Comunicazione della Commissione al Consiglio,scritta da Spinelli, Education in the European Community, fissava alcune priorità, come l'educazione dei figli di lavoratori migranti e l'impegno alla promozione della mobilità di studenti, docenti, staff di ricerca. Il Consiglio dei ministri del 1974 che produsse la Risoluzione sulla cooperazione nel campo educativo, ed infine, nel 1976, una seconda Risoluzione dei ministri europei che comprendeva un Action Programme nel campo educativo5 . I risultati di questo processo deliberativo portarono all'istituzione dell'Eurydice Network per lo scambio di informazioni, di progetti pilota nell'educazione dei figli di lavoratori migranti, misure transitorie nel passaggio tra scuola e mondo del lavoro, ed infine, il varo del Joint Study Programme Scheme. In un spazio temporale che corre dal 1977 al 1987, detto schema di studi viene descritto come una programmazione di grants volti a incoraggiare la cooperazione fra le istituzioni di istruzione superiore (HEIs) che in particolare prevedeva lo scambio di studenti, lo scambio di staff docente e corsi gestiti in maniera congiunta6 [Corbett 2003]. Un terzo periodo chiave fu il 1984-85, il quale coincise con la partnership fra Helmut Kohl, Francois Mitterrand mentre si preparava la creazione del mercato unico del 1986 e l'arrivo di Jacques Delors come 5 Nel giugno 1974 i ministri dell'educazione nazionali si accordarono sui temi prioritari su cui avrebbero dovuto cooperare e per i quali avrebbero lavorato con una strategia di stadi progressivi e in accordo con una procedura che doveva essere stesa secondo alcune priorità, le seguenti: - promozione di strette relazioni fra i sistemi educativi in Europa; - aumentata cooperazione fra istituzioni di istruzione superiore; - migliori possibilità di riconoscimento accademico di diplomi e periodi di studi all'estero; - promozione della libertà di movimento e mobilità di professori, studenti, ricercatori; - rimozione di ostacoli sociali e amministrativi alla libera circolazione di queste persone attraverso un miglioramento della formazione linguistica [Corbett 2003]. 6 I punti di forza del Joint Study Programme Scheme riguardavano la creazione di network di università e strutture organizzative accademiche, e il riconoscimento di esami, periodi di studio e titoli conseguiti in un paesi diverso da quello di nascita dei cittadini europei. Mentre quanto alle debolezze dello schema congiunto, esse vengono valutate in un bias di partecipazione degli stati membri a favore di Gran Bretagna, Francia e Germania., in una scarsa contribuzione alla mobilità degli studenti misurata in termini di beneficiari raggiunti dai grants, che addirittura diminuiscono in termini assoluti dal 1967 al 1977 dello 0,5%. (si veda: http://www.relazioni-internazionali-studi-europei.unifi.it/upload/sub/THE%20ERASMUS%20DREAM.pdf) 5
  • 6. presidente della Commissione, che mise in moto una cooperazione sull'istruzione superiore, trasformandola da un programma pilota a un programma pienamente fondato. Questo passaggio ha condotto peraltro al varo del programma Erasmus del 1987 e poi a tutte le politiche di mobilità e formazione che si sono succedute e rappresentano il vero modello politico della Comunità Europea nel campo dell'istruzione superiore. Sotto la presidenza della Commissione di Jacques Delors (1985-1995) vengono tuttavia apportati importanti cambiamenti, derivanti da un clima più favorevole a misure più vicine ai cittadini europei, che condussero alla decisione di stabilire un mercato comune europeo (Atto Unico Europeo del 1986) preceduto dalla proposta del 1985, di dar vita al Programma Erasmus da parte del commissario con delega alla Competizione, Affari Sociali e Educazione, Peter Sutherland (1985-1986). Il programma Erasmus viene adottato a partire dal 1987, come European Community Action Scheme for the Mobility of University Students. Il primo programma Erasmus iniziava nel 1987 e durava fino al 1990, con un budget di 85 milioni di ECU, mirava a costituire un network europeo di università, avviava uno schema di grant per gli studenti europei, il riconoscimento di diplomi e periodi di studio maturati all'estero, misure complementari per la promozione della mobilità studentesca. Infine, il quarto periodo, fra il 1989 e il 1991, in cui le conferenze intergovernative portarono al trattato dell'Unione Europea di Maastricht, che rese possibile formalizzare i progetti intergovernativi e comunitari come operazioni complementari, come il programma Socrates del 1995. 2. Metà anni ottanta: mercato unico, riforma istituzionale della comunità e politica educativa comunitaria A metà anni ottanta le priorità educative degli stati membri delle Comunità Europee vennero trasformate dalle nuove condizioni competitive e tecnologiche determinatesi a livello internazionale e soprattutto vennero rilette alla luce di un mutato equilibrio tra le forze sociali e le politiche nazionali [Paoli 2010]. Vi erano dei segni di mutamento della percezione del valore dell'istruzione per il mercato e l'innovazione tecnologica. Prima di tutto nell'imprenditoria continentale ai livelli più alti, in cui la Tavola rotonda degli industriali europei, creata nel 1983, mise al centro della propria analisi e azione, il concetto di politiche della conoscenza associate all'imperativo di rafforzare il livello di competitività del sistema economico europeo e alla volontà di restituire egemonia ai valori e agli interessi di impresa. Allo stesso tempo anche nel sindacalismo europeo si verificò un riposizionamento dei vertici delle organizzazioni. Dopo il programma in materia di istruzione e formazione della CES (Confederazione Europea dei Sindacati o ETUC European Trade Union Confederation) in cui priorità era stata concessa all'obiettivo di assistere e promuovere i soggetti svantaggiati. Il Memorandum sulla politica di istruzione e formazione professionale in Europa Occidentale adottato dal comitato esecutivo della Ces nel 1984 operò una ridefinizione dei propri assunti e finalità [Ibidem]. 6
  • 7. Per gli stessi sindacati, la competitività delle imprese, unita a una maggiore padronanza dei nuovi mezzi tecnologici era l'orizzonte in cui le politiche educative e formative si sarebbero dovute necessariamente muovere. In questa prospettiva gli obiettivi della promozione, mobilità e trasformazione sociale cedevano il passo alla ricerca di una maggiore efficienza professionale e produttiva dei lavoratori occupati che si rendesse funzionale alle esigenze di crescita e di ristrutturazione del sistema economico. Anche nei sistemi politici veniva percepita questa tendenza. In Gran Bretagna che in Francia, rispettivamente con i governi Thatcher e Fabius venne impressa una svolta modernizzatrice alla politica educativa, che si focalizzava nel vedere l'istruzione non più come un fattore sociale, ma come un fattore economico, per creare una manodopera qualificata e disciplinata [Paoli 2010]. Infine questa evidenza si impose gradualmente agli occhi degli stessi vertici della Cee, spingendo le istituzioni comunitarie verso una ridefinizione dei concetti educativi e formativi più in linea con il nuovo clima politico e ideologico, con i nuovi rapporti di forza con la nuova situazione economica internazionale e con gli stessi obiettivi di rilancio del progetto comune. La necessità di una politica educativa comunitaria fece la propria comparsa nel Trattato sull'Unione Europea approvato dal Parlamento Europeo nella seduta del 14 febbraio 1984. Nato su impulso di un gruppo di parlamentari raccolti attorno all'ex commissario Spinelli, il documento rappresentava un tentativo organico di riorganizzazione in senso para-federale delle strutture gerarchiche, istituzionali e politiche delle Comunità Europee [Ibidem] Secondo Majocchi [1996] al contrario il tentativo che si stava compiendo (il secondo da parte di Spinelli7 ) di mettere mano alla fondazione di un nuovo stato europeo, senza una diretta richiesta di ratifica mediante referendum dei popoli europei, fu giudicato da lui stesso, un ennesimo fallimento. Fallimento che avveniva in una situazione – quella di metà anni ottanta – in cui le condizioni che avevano costituito una spinta propulsiva alla federazione nell'immediato dopoguerra erano molto cambiate. Non c'era più la stessa spinta a una Europa unita per garantire prima di tutto la pace che ispirava gli animi nell'immediato Dopoguerra. Quel fallimento aveva molto da insegnare [Majocchi 1996] principalmente perchè il progetto costituzionale di integrazione avrebbe dovuto evitare di passare al vaglio di alcuna conferenza diplomatica, come in effetti accadde, ma essere trasmesso direttamente agli stati per la ratifica. Dopo l'approvazione da parte del Parlamento del Trattato sull'UE il 14 febbraio 1984, il Consiglio Europeo di Fontainbleu del mese di giugno dello stesso anno, sotto la presidenza Mitterrand, diede mandato a due appositi comitati intergovernativi di trovare una concreta possibilità di definizione della strategia. Il primo comitato, posto sotto la guida dell'irlandese John Dooge (ex ministro per gli affari esteri) doveva formulare suggerimenti volti a migliorare il funzionamento politico e istituzionale della macchina comunitaria. Il rapporto Dooge venne presentato al Consiglio Europeo di Dublino nel dicembre 1984 e poi al Consiglio Europeo di Bruxelles nel marzo 1985. Tuttavia più che proporre misure di riforma istituzionale il rapporto si 7 Il primo in occasione dell'istituzione della CED e dell'obiezione di Spinelli e De Gasperi intorno alla necessità di avere un governo prima di un esercito che portò all'articolo 38 del trattato CED. 7
  • 8. limitava a confermare obiettivi, precisare tappe e indicare politiche complementari. Il secondo comitato (presieduto dall'italiano Pietro Adonnino) aveva invece l'incarico di proporre una serie di misure per rilanciare l'immagine e l'identità stessa della Comunità, per mutare la percezione di un'istituzione sentita come puramente economica e in grave crisi di risultati. Venne convocata una nuova conferenza intergovernativa con il compito di negoziare il Trattato Istitutivo dell'Unione che si tenne a Milano nel giugno 1985. Lungi dal ripetere le solite riserve nei confronti della pratica intergovernativa, la critica federalista si muove sui contenuti. Nelle parole di Majocchi [1996], il dissenso è a qualunque disegno istituzionale non in grado di dotare la Comunità di una capacità di azione necessaria, senza cioè un governo efficace e democratico, anche se in un primo momento limitato alle competenze economiche. Ovvero il minimo politico-istituzionale previsto dal progetto di Trattato del febbraio 1984. La politica educativa in questo contesto, non è rientrata formalmente dentro gli articoli dell'Atto Unico Europeo, che Spinelli considerava una beffa nell'insieme, dato che l'Unione prevista dal Parlamento Europeo era già la posta in gioco, mentre i governi in quell'Atto proponevano di raggiungere per il 1992 gli stessi obiettivi che erano già nel Trattato istitutivo della CEE del 1957. Nonostante tutte le giuste critiche da parte di Spinelli al contrastato progetto di una nuova statualità europea democratica, bisogna anche però dire che per quanto attiene la politica del settore educativo, la Commissione, grazie anche al ruolo fondamentale della Corte Europea di Giustizia, si rese conto di dover superare le vecchie concezioni sul ruolo prevalente di inclusione sociale dell'istruzione, e allo stesso tempo molte riserve nazionali di sovranità nel campo educativo. Avendo la Cee preso atto dei mutamenti generali di percezione del ruolo dell'istruzione – nell'imprenditoria, nel sindacalismo e nei sistemi nazionali – nel contesto della competizione scientifico tecnologica della globalizzazione, pertanto, doveva superare l'ostacolo di una presunta mancanza di una base giuridica nei Trattati che veniva trattata come un alibi ai paesi meno disposti a cedere sovranità in materia. In questo punto entra in gioco la Corte Europea di Giustizia, che ha saputo svelare che una base giuridica comune in fatto di istruzione superiore era stata già stabilita nel Trattato originario, e quindi la Commissione ha poi saputo utilizzarla a proprio vantaggio [Paoli 2010]. Infatti come ricordano sia Paoli [2010] che Garben [2010] (per quanto riguarda ad esempio la sentenza Casagrande sul diritto all'istruzione dei figli dei migranti da altro stato europeo) la ECJ durante gli anni settanta ha sviluppato una giurisprudenza originale che tratta l'istruzione come una competenza trasversale nell'ambito giuridico comunitario, tale da renderne possibile una sua inclusione nelle competenze concorrenti, ma senza aver bisogno di mettere mano a una modifica dei Trattati [Paoli 2010]. Viene altresì rivista la vecchia distinzione fra istruzione e formazione professionale, l'una non inclusa e l'altra invece inclusa nei trattati. Essa venne a cadere sulla base della considerazione che l'istruzione superiore, a maggior ragione, deve essere considerata nient'altro che un tipo di formazione professionale. Pertanto possiamo concludere questo paragrafo affermando che l'obiettivo del mercato unico europeo, cambiò gli orientamenti e lo stesso livello di importanza attribuito alle cosiddette politiche della conoscenza. 8
  • 9. L'azione della Corte Europea di Giustizia delle Comunità europee, infine, contribuì a forzare le resistenze nazionali con una serie di interpretazioni che di fatto equipararono l'istruzione universitaria alla formazione professionale già regolata dal Trattato Cee [Paoli 2010]. Fu da queste basi che l'Europa ha potuto realizzare politiche per l'istruzione superiore che possono essere considerate di successo dall'Erasmus in poi. Malgrado infatti tutte le critiche al processo di integrazione, un modello di azione originale di cooperazione a guida della Commissione in campo educativo si era avviato, e ha dato buoni risultati. Il Processo di Bologna non è però incluso in questa ciclo di policy. 3. Dopo Bologna: istituzioni europee, sovranità nazionali e politica educativa fra scetticismo e protesta La situazione che si è determinata attraverso l'azione della Corte Europea di Giustizia e di conseguenza l'agire della Commissione attraverso precisi atti di cui si parla poco sopra, è stata alla base di una successione di programmi comunitari, che più delle direttive, dei proclami, sono stati in grado di cambiare la mentalità dei decisori e la percezione del processo di integrazione nei cittadini [Paoli 2010] . Le iniziative della Commissione a partire da Comett, a Erasmus, Tempus, Lingua ecc. che sono, come detto molto rilevanti, hanno potuto essere generate da un comune framework di cooperazione ricavato proprio dall'originaria azione congiunta della Commissione e della Corte Europea di Giustizia. Nel ciclo di policy che Corbett [2003] identifica negli anni dal 1987 al 1991 nella successione presentata più sopra, vi furono diverse sfide sul piano legale a carico della questione educativa. Quando l'opportunità di ripensare la base legale della Comunità Europea nei termini dell'Unione Europea si presentò con la conferenze intergovernative che portavano al Trattato di Maastricht, il Presidente della Commissione Delors e molti membri dei governi nazionali, convennero che l'educazione necessitasse di fondarsi su un Trattato ancorata a una cornice di sussidiarietà. Questo accordo conduceva agli artt. 126 sull'istruzione e 127 sulla formazione (artt. 149 e 150 del Trattato di Amsterdam). Invece le cose si muoveranno in maniera diversa per quanto riguarda le politiche centrate sulla dotazione di capitale umano qualificato in Europa, cioè la 'dotazione' delle università europee. Anche perchè, come giustamente ricorda Corbett [2003], la storia dell'higher education in Europa è sempre stata influenzata da una dinamica di sviluppi mutuamente escludenti. Uno di questi fu l'iniziativa francese del 1998 in partnership con la Conferenza dei Rettori Europei, che venne denominata European University Association (EUA), che costituì l'elemento centrale della futura Dichiarazione e del Processo di Bologna. Questa prima iniziativa fa il paio con un parallelo impegno dell'UE per creare, a fianco di una EHEA (Europea Higher Education Area, scaturita dal Processo di Bologna), una European Research Area, entrambe con deadline nel 2010. Questa ha le sue radici nel Libro Bianco sulla Crescita, Competitività e Occupazione di Delors che sfocia nell'Agenda di Lisbona. Si riproduce così uno sdoppiamento che poteva (e forse doveva) essere forse superato, ma che aveva salde radici nel passato della Comunità, in cui come si è visto prima non era stato mai facile discutere dell'integrazione sui sistemi educativi. Come che sia è una realtà che le due politiche (Bologna e Lisbona) si intersecano e sovrappongono in numerosi punti, come è inevitabile che sia per la stretta correlazione logica 9
  • 10. fra insegnamento, offerta formativa, qualità della ricerca e sua attivazione sul mercato. Nel giugno 19998 , i ministri di 29 paesi firmarono la Dichiarazione di Bologna, esprimendo il loro impegno a coordinare le rispettive policies nazionali sulla base di sei obiettivi comuni, soggiacenti alla creazione di una area comune europea per l'Istruzione Superiore dal 2010 [Ravinet 2008]. La Policy include la Commissione Europea come membro stabile, assieme a vari altri stakeholders in veste di membri consultivi9 . Nella Dichiarazione i Ministri formalizzano la loro intenzione di: a. adottare un sistema di titoli di laurea di facile lettura e comparazione; b. implementare un sistema di higher education essenzialmente fondato su due cicli principali; c. stabilire un sistema comune di trasferimento dei crediti universitari (ECTS); d. supportare la mobilità di studenti, docenti, ricercatori e staff amministrativi fra gli stati aderenti; e. promuovere una cooperazione europea nelle garanzie di qualità (Quality Assurance), f. promuovere una dimensione europea dell'istruzione superiore, soprattutto in termini di sviluppo curricolare e cooperazione fra istituzioni. Tutto fa ritenere che gli stati (e in particolare la Francia) abbiano esattamente nell'intento di bloccare la Commissione dall'avere un ruolo diretto e consistente, ma hanno poi finito per dar vita a un meccanismo che, istituzionalizzandosi, è diventato ugualmente vincolante di fatto, anche se formalmente volontario ancora oggi, con l'aggravante che però non è in grado di dare i risultati sperati in termini di competitività della dotazione europea di capitale umano ai massimi livelli. Ravinet [2008] si chiede, in tal senso, per quale ragione gli stati abbiano autonomamente vincolato la coordinazione delle proprie politiche agli obiettivi di Bologna, suscitando più avanti la tacita impressione di percepirli come sempre più cogenti e inevitabili: appare infatti evidente che ad oggi i paesi partecipanti non possano (più) immaginare policies nazionali di higher education che siano in aperta contraddizione con i principi di Bologna. La mancanza iniziale di una struttura e di vincoli formali hanno incoraggiato una larga partecipazione alla Dichiarazione perchè essa sembrava implicare un basso livello di impegno. Tuttavia le regole iniziarono a formalizzarsi e attraverso una necessaria formalizzazione iniziale poi esplicitamente istituzionalizzata, Bologna ha acquisito legittimità formale [Ravinet 2006]. Il Processo di Bologna è guidato da un gruppo direttivo a rotazione (Bologna Follow-Up Group) con obbligo di rappresentanza verso la conferenza intergovernativa e di redigere un report generale che raccoglie i report nazionali che i paesi sono richiesti (ma non formalmente obbligati) di produrre prima di ogni conferenza intergovernativa, come stati di avanzamento nelle indicazioni del Processo. Il meccanismo di follow-up venne progressivamente formalizzato e iniziò ad asserire una propria legittimità 8 Per ricostruzioni ragionate degli eventi che portarono alla Dichiarazione di Bologna si vedano S. Garben [2010] The Bologna Process from a European law Perspective; European Law Journal Vol. 16, No.2, March 2010; V. Tomusk [2004] Three Bolognas and a Pizza Pie: Notes on institutionalization of the European higher education system; International Studies in Sociology of Education, 14:1, 75-96 9 Quali European University Association (EUA), European Association of Institutions in Higher education (EURASHE), European Students' Union (ESU), Education International (in rappresentanza degli accademici) (EI), oltre alla European Association for Quality Assurance in Higher Education (ENQA) e Business Europe in rappresentanza di organizzazioni datoriali a livello europeo Alla firma iniziale del 1999 sono seguiti diversi rounds di incontri e conferenze, nell'ordine: Praga (2001), Berlino (2003), Bergen (2005), Londra (2007), Leuven/Louvain-la-Neuve (2009), Budapest-Vienna (2010), Bucarest (2012).[Ravinet 2008] 10
  • 11. già nella conferenza di Praga (2001), standardizzando la forma dei report attraverso un template comune che ha reso più semplice controllare l'implementazione degli obiettivi e mediante la standardizzazione, più facile fare comparazioni tra paesi10 . Dato che il Processo di Bologna è fondamentalmente intergovernativo, il suo decision -making è non vincolante per definizione, almeno formalmente. Al contrario il suo scopo è di cambiare i prodotti dell'higher education (titoli, curricola, offerta formativa ecc) trasformando il processo di creazione di una dotazione di capitale umano più armonica e comparabile. Tale modello di cambiamento è stato imposto in un dominio in cui vi è già una significativa attività di policy sotto l'egida dell'UE [Corbett 2003, 2012]. Qual'è allora la novità che ha introdotto Bologna, nella policy educativa in Europa; è cioè concepibile che un Processo che coinvolge 45 paesi, con dieci linee d'azione e batterie di procedure per sviluppare, monitorare e valutare, possa avere qualcosa in comune con le iniziative più limitate del passato? [si veda Corbett 2003 nel paragrafo 1]. Secondo questa angolazione il Processo può essere interpretato come l'ultimo tentativo messo in campo per trovare una soluzione su come agire su scala europea in maniera compatibile con il controllo nazionale dei sistemi accademici [Ibidem]. Tuttavia si può discutere intorno alla capacità istituzionale del Processo in un contesto in cui l'UE ha un progetto rivale e sovrapposto attraverso le attività che spillano fuori dalla Strategia di Lisbona. Dove si parli di higher education, sia gli attori di Bologna che la Commissione possono utilizzare procedure volontarie, consensuali e deliberative. Tuttavia è lecito chiedersi quanto può durare una co-esistenza parallela di Bologna e Lisbona, ovvero fra processi intergovernativi e competenza diretta su temi sovrapposti, in perenne debito di risultati [Corbett 2012]. Ora, su questo tema convivono visioni contraria le une con le altre, le quali danno luogo a un dibattito in cui i fronti opposti ancora oggi non riescono a conciliarsi in una visione più matura. In merito all'istituzionalizzazione del Processo di Bologna Tomusk [2004] esprime serie criticità in merito alla legittimità della Commissione Europea nel suo ruolo di istituzionalizzazione dell'higher education in Europa, soprattutto per il modo in cui la Commissione avrebbe cercato in modo surrettizio di crearsi una propria competenza in tema senza un reale mandato da parte degli stati membri. Al contrario, secondo Garben [2010] il Processo di Bologna come momento intergovernativo di convergenza volontaria in vista di una struttura comune di higher education, pone molti problemi da una prospettiva giuridica europea. Esso prende avvio al di fuori dal framework istituzionale della Comunità Europea, mentre avrebbe potuto ben esservi una competenza legale per agire i contenuti del Processo di Bologna come un insieme di misure interne al processo legislativo ordinario della Comunità Europea, sottraendola alla sovranità Stati Membri. In Three Bolognas and a Pizza Pie [Tomusk 2004] si parla di un Cultural Bologna che prende le mosse dalle radici più profonde del processo di costruzione europea, dal Consiglio d'Europa fino alla Magna Charta 10 Valutazione ex-post e in itinere della performance e crescente managerializzazione della governance accademica, sembrano incardinarne la visione prospettica ai dettami del new public management mentre pare venire meno il principio cardine della libertà accademica tradizionale. In particolare il concetto di autonomia istituzionale delle università, perseguito mediante interventi di privatizzazione e managerializzazione, mira a fare delle università degli attori organizzativi completi [De Boer et al. 2007] nei rapporti con l'amministrazione pubblica, più simili alle imprese e al business nell'essere specifici destinatari di politiche. 11
  • 12. Universitatum del 1988. Vi è un Political Bologna connesso al progetto federalista di costruzione europea, mirato a pervenire a una nuova statualità europea per via costituzionale, che ha dovuto soccombere al più pragmatico ma anche meno ambizioso modo di procedere per conferenze intergovernative, definito anche 'politica dei piccoli passi' o gradualismo funzionale11 [Majocchi 1996]. Infine, vi è un Economic Bologna, inteso come scivolamento del Processo di Bologna da un intento di integrazione culturale a uno scenario di competizione economica. In questo avrebbero pesato le azioni dell'European Universities Association e del Bologna Follow-Up Group e in particolare dei loro rappresentanti, i quali si sarebbero presi la libertà di rivedere gli obiettivi di Bologna per caricarlo del compito di generare profitti per le università europee Il peccato originale della Commissione secondo Tomusk [2004], sarebbe di aver dirottato e abusato il Processo di Bologna come un surrogato di una policy per l'higher education su cui in realtà non aveva (e continua a non avere) voce in capitolo. In altre parole, il tema dell'istituzionalizzazione della EHEA sconta una non legittimità delle iniziative della Commissione Europea nel piegare gli obiettivi di un Cultural Bologna verso finalità economiche di competizione delle università sul mercato (Economic Bologna) non tenendo in ultima analisi, nella dovuta considerazione, una costruzione politica che poteva reggere il Processo, o il Political Bologna del progetto federalista di costruzione europea nel settore dell'higher education. Garben [2010] afferma al contrario che, anche se la Commissione ha sempre rispettato il paradigma di non armonizzazione (art. 149 EC) gli stati hanno sospettato che essa si muovesse in quella direzione indipendentemente dalla loro volontà e mandato. Pertanto il problema secondo Garben [2010] è che gli stati hanno forzato i principi di leale cooperazione per come sono espressi nell'articolo 10 del Trattato istitutivo, imbarcandosi in una cooperazione intergovernativa nel contesto di Bologna. Al di là della querelle fra sovranità nazionale e competenza dell'UE, che in questa sede non può essere approfondito oltre questo superficiale livello, resta da dire qualcosa sulla fusione tra Processo di Bologna e Agenda di Lisbona sotto l'azione della Commissione. Si può infatti sostenere che quanto di positivo e aggiuntivo rispetto alle politiche nei sistemi nazionali dalla fine degli anni ottanta, deve essere ascritto alla Commissione Europea, la quale ha mostrato un certo attivismo anche nel Processo di Bologna nel fonderne gli obiettivi con la sua politica di Lisbona, ed in questo ha inciso di più delle conferenze intergovernative che sono arrivate ultimamente a includere 46 diversi paesi. Ruth Keeling [2006] tratta in parallelo le politiche sotto le insegne del Processo di Bologna per l'istruzione superiore e dell'Agenda di Lisbona per la ricerca, osservando contestualmente l'espandersi del ruolo della Commissione Europea nel discorso sull'Higher Education. Sottoponendo la policy educativa di Bologna agli ideali ed ai conseguenti principi organizzativi dell'Agenda 11 Più ancora secondo Tomusk, la costruzione di una decision-making europeo nell'educazione e non solo, rappresenta una strategia progettuale che applica il principio di garbage can come unico approccio sistematico di costruzione europea. Si tratta della capacità di riciclare pezzi di politiche scartate e 'ripresi dal cestino', in ordine a un loro creativo utilizzo in vista dell'obiettivo finale di una integrazione politica [Tomusk 2004]. 12
  • 13. di Lisbona rivisitata nel 2005 [Borràs e Radaelli 2011] viene modificata la sostanza di tale politica comunitaria. Rispondendo all'interrogativo intorno alla possibile co-esistenza delle due piattaforme di policy espresso da Corbett [2012], la loro combinazione costituisce la base espansiva di una cornice nuova per l'UE nel settore delle politiche di higher education. Il dialogo fra le due iniziative e gli sviluppi susseguentisi nel tempo hanno confermato un ruolo sempre più centrale per la Commissione ed in particolare dei suoi policy texts nel dare forma al discorso educativo in Europa. Ovvero il parallelismo fra Bologna e Lisbona può essere unicamente superato in un modo o nell'altro con una azione della Commissione Europea, perchè essa è riuscita nel tempo, facendo sponda con la Corte Europea di Giustizia e le policy per la competitività e la crescita, a ritagliarsi competenze sempre più dirette nella formulazione di policies nel settore dell'istruzione superiore. Ma l'attivismo della Commissione si scontra sia contro le resistenze degli stati a cedere sovranità in questo settore, sia con la fallacia del processo di co-decisione come processo legislativo ordinario dell'Unione. Infatti non vi può essere vera co-decisione (fra Parlamento e Consiglio europei) fintantoché il Consiglio si riunisce in segreto e può controllare in ogni momento il processo deliberativo del Parlamento Europeo. Nel Consiglio si riuniscono i capi di governo dei paesi membri, pertanto è logico aspettarsi che senza una tale innovazione, al netto dell'aumento delle competenze e del budget delle politiche, non potrà esservi una reale Europa federale con decisioni autonome anche nel settore dell'higher education. Wätcher [2004] avverte che il Processo corre pericoli di diluizione e perdita di efficacia nell'intento iniziale di istituire un convergenza fra i sistemi accademici. Infatti sostiene che la direzione di marcia non è più chiara come nel 1999 e l'agenda iniziale con un limitato numero di obiettivi concreti, ampliandosi e differenziandosi nel tempo così come il numero di paesi coinvolti, può portare un indebolimento dei risultati. In particolare si indebolisce la finalità di convergenza (se non di tacita armonizzazione) perchè coesiste con molteplici strategie di convertibilità che non sono state sistemate in una distinta struttura, ma ricordano approcci pre-Bologna che non erano ritenuti adeguati per costruire l'European Higher Education Area. Infine il Processo di Bologna viene messo in pericolo da un certo numero di contraddizioni, la più importante delle quali secondo Wätcher [2004] è quella fra agenda di competitività e agenda di inclusione sociale, di fronte a movimenti internazionali di protesta studentesca che hanno preso di mira proprio il Processo di Bologna. Il punto della contesa è la paventata e temuta penetrazione di logiche neoliberiste imposte su scala internazionale nel settore dell'educazione. Nell'European Call per un contro-summit12 il 28 e 29 aprile 2009 a Leuven/Louvain-la-Neuve (Belgio) contro il Processo di Bologna nell'anniversario del suo decennale (1999-2009), si legge: «stiamo assistendo a una selvaggia privatizzazione delle istituzioni educative e all'asservimento dell'istruzione superiore alla mentalità ed al potere economico correnti […] le barriere mentali, fisiche e tecniche che i governi costruiscono coscientemente […] sono mezzi per trattenere le nostre libertà, emancipazione e aspirazioni. Per una radicale opposizione alla svendita del bene pubblico. Le misure politiche ci imbrigliano in un 12 http://www.indymedia.ie/article/91631?userlanguage=ga&save_prefs=true; 13
  • 14. progetto che mira a uno sfruttare fino a esaurire le risorse umane in società, attraverso le trasformazioni e riforme al sistema educativo che vengono descritte, pianificate e ordinate dal Processo di Bologna, adottato dal 1999 da 46 paesi prevalentemente europei» Nell'occasione viene ricordato che l'appuntamento biennale della conferenza intergovernativa del Processo di Bologna si riunisce a Louvain per valutare i progressi conseguiti e i nuovi passi da intraprendere, oltre che per dare feedback sulle riforme universitarie già avviate. Viene mossa l'accusa di non aver realmente mai coinvolto studenti, insegnanti e ricercatori, lavoratori europei nel processo. Nell'invitare a unirsi al contro-summit in qualità di coloro che vivono e costruiscono quotidianamente questa società europea, il movimento European Anomalous Wave rivendica una visione che supera le frontiere nazionali per costruire e condividere una conoscenza oltre ogni logica economica, libera e accessibile a ognuno. Scorrendo il programma si intuisce in qualche modo una speculare istituzionalizzazione della protesta al Processo di Bologna, fino alla stesura di una Dichiarazione Alternativa. Il movimento combatte una serie di effetti e di scelte che possono essere ricondotti alla più generale crisi economica attuale, nella quale si sviluppa la protesta contro la razionalità neoliberista. Quest'ultima fa propri, semplificandoli, gli assunti della critica filosofica della razionalità neoliberista, la quale certamente permea il contesto economico e politico europeo. Se si vuole valutare quindi il Processo di Bologna in termini di risultati, si deve dire con onestà che esso ha raggiunto senz'altro quello di risultare distante, incomprensibile e inviso a molti giovani europei, che lo contestano (a torto o a ragione) come il simbolo e la radice dei problemi dell'educazione nel Nostro Continente. Al di là dell'ottica movimentista giovanile odierna sui temi dell'educazione (che rappresenta un aggregato molto vasto ed articolato) comunque, è vero che la filosofia sociale ha riconosciuto una costruzione ordoliberale nell'archeologia dei principi della costruzione europea. Questa si basa sostanzialmente sulla costituzione di un ordine giuridico di difesa della concorrenza. Secondo Dardot e Laval [2013] il neoliberalismo europeo si è formato e diffuso attraverso il progetto costituente europeo (la c.d. Convenzione Europea) fallito nell'iter di ratifica con la vittoria dei 'no' nei referendum di Francia e Irlanda. Questo progetto costituente viene letto come vero e proprio laboratorio su vasta scala dell'ordoliberalismo degli anni trenta, che a poco a poco ha avuto la meglio, con il suo tentativo di costituzionalizzare, in Europa, l'economia di mercato. In ultima analisi, fallimento della ratifica costituzionale a parte, si tratta di un obiettivo raggiunto dato che quasi tutte le innovazioni della Costituzione Europea, sopravvivono anche nel Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, di riforma della struttura istituzionale, depurato però da ogni riferimento costituzionale nei simboli, nella nomenclatura e nella struttura del testo. L'influenza del modello ordoliberale è particolarmente evidente in materia di politica monetaria, in connessione con i criteri di Maastricht, la cui linea adottata vieta qualsiasi regolazione della congiuntura mediante gli strumenti della moneta e della politica di bilancio, ovvero il policy mix di ispirazione 14
  • 15. keynesiana. Da questo punto di vista anche l'istruzione superiore è evidentemente interessata da un processo che spinge sugli aspetti della competizione e del ruolo delle istituzioni educative nell'economia della conoscenza, in quella che sembra una rincorsa ad acquisire i tratti costitutivi dell'higher education nel mondo anglosassone, ai quali vengono sacrificate le tradizionali prerogative di libertà associate alla figura dell'accademico nella sua professione di studioso e di insegnante, a favore di una più stretta connessione fra mondo del business e della scuola, dell'università e della formazione [Laval et al. 2012]. Queste ultime considerazioni che introducono il tema della razionalità neoliberista rispetto alla costruzione europea non hanno trovato spazio in questa rassegna. Tuttavia questo corpus di riflessione, a mio modesto avviso, deve essere anch'esso tenuto presente, per conferire profondità e senso storico al processo di integrazione europea nel settore educativo di cui si è parlato in queste pagine. Considerazioni conclusive Abbiamo iniziato con una ricostruzione delle vicende della policy di istruzione superiore in Europa, a partire dagli ani del trattato Euratom fino agli anni novanta. Questa riguarda cicli di policy e imprenditori politico istituzionali nel settore higher education e attinge dal lavoro di Anne Corbett [Corbett 2003] la quale cerca di ragionare per idee, istituzioni ed eventi. In tal senso il suo contributo ha rappresentato dal mio punto di vista un imprescindibile fonte di chiarezza e comprensione di eventi e processi da cui partire per questo excursus sulle contraddizioni molteplici delle politiche di istruzione superiore in Europa. In secondo luogo le politiche in questione hanno seguito un percorso parallelo al più generale processo di costruzione europea, a cui volevo guardare da una prospettiva federalista, come viene articolata in Majocchi [1996]. Anche quest'ultima in qualche modo allinea eventi, processi e personaggi, fondandosi sul punto di vista del federalismo britannico, secondo cui il progetto comune europeo è il primo passo per una futura federazione mondiale, che sia il verbo e la carne di una umanità liberata dall'anarchia e la politica di potenza. In particolare emerge prima di tutto con l'obiettivo di concretizzare a livello costituzionale, una nuova statualità sovranazionale, subordinata alla volontà di dare alle future generazioni un mondo senza la guerra, all'indomani della fine del Secondo Conflitto Mondiale. La realizzazione del concetto di pace passa necessariamente per la comunità politica, la quale all'alba dell'uscita dal Conflitto non ha più ragione di fondarsi - secondo i federalisti – sugli stati nazionali. Questi sono stati assegnati a sfere di influenza o blocchi sovranazionali che li ha resi, senza mezzi termini, dei ferri vecchi. Il progetto così impone degli atti di costruzione che devono uscire dalla logica e dagli strumenti tradizionali dell'anarchia internazionale degli stati, preferendo cioè, per quanto possibile, la competenza comunitaria diretta alla diplomazia internazionale e al sistema delle conferenze intergovernative [Majocchi 1996]. A tal proposito l'interrogativo – peraltro non risolto in gran parte in questa sede – verteva sul fatto che mentre alcuni ambiti di policy fondamentali come il mercato comune e la moneta, la libera mobilità delle persone e 15
  • 16. delle merci sono inclusi all'interno dei trattati, ad altri ambiti di riconosciuta centralità non è [stato] associato un chiaro ritaglio di competenze fra stati e Unione. Questo determina oggi una situazione di scarsa trasparenza e diversificata capacità di azione nella policy europea di higher education, e come sempre una crisi di risultati che mette una seria ipoteca sulla credibilità delle istituzioni comunitarie. Subordinato al precedente vi è poi un terzo spunto di dibattito, più interno al Processo di Bologna, legato sia alle modalità con cui esso è stato istituzionalizzato [Ravinet 2006, 2008; Keeling 2006] sia ai diversi pareri e interpretazioni che possono discendere dalla questione dell'inclusione o meno delle politiche del Processo di Bologna nell'area dei Trattati e del ruolo della Commissione rispetto alla sovranità nazionale [Corbett; Tomusk 2004; Garben 2010]. Pur iniziando come processo volontario e non vincolante di partecipazione degli stati, esso ha progressivamente cambiato pelle, imponendosi invece come realtà di fatto, e con esso i meccanismi tecnici imposti e istituzionalizzati per parteciparvi, quali i report nazionali e gli stocktacking exercises in occorrenza degli incontri a cadenza biennale [Keeling 2006]. L'allargamento delle competenze della Commissione e l'inclusione di nuovi paesi partecipanti al Processo di Bologna con metodo intergovernativo, stimolano un dibattito fra le posizioni di chi sostiene che l'UE abbia violato i principi di leale collaborazione con gli stati invadendo la sovranità nazionale in ambiti su cui non aveva competenza [Tomusk 2004] e chi viceversa ritiene che siano stati gli stati ad aver 'giocato sporco' per impedire una competenza comunitaria possibile e auspicabile in punta di diritto [Garben 2010]. Sono stati discussi questi temi senza velleità di fornire una risposta esaustiva. Comunque si è tentato di ampliarne i termini all'outcome di questi processi in termini di performance del sistema accademico europeo nell'economia della conoscenza con cui si è aperta questa parte introduttiva. Premesso che non dobbiamo indulgere a giudizi precostituiti a sfavore dell'integrazione europea dei sistemi accademici, sembra però un fatto che la competitività in aggregato della ricerca e dell'istruzione superiore europea, rispetto agli Stati Uniti, non venga premiata dai risultati che ci si attendevano all'inizio del nuovo millennio. In conclusione, il punto di vista di partenza era il gap negativo di competitività per l'Europa nel confronto con gli Stati Uniti per livello quantitativo e qualitativo della produzione di ricerca scientifica attivabile sul mercato. Questo argomento non è stato al centro dei discorsi e delle ricostruzioni fatte sin qui. Alla luce del percorso svolto però emerge che i tentativi di modificare l'output educativo e di ricerca delle università europee, non sono riusciti a porre le basi di una competitività nella dimensione della governance accademica, nei nuovi circuiti di produzione della conoscenza caratteristici della knowledge economy. A questo fine, è necessario che l'Europa comprenda che per essere nel suo complesso competitiva con gli Stati Uniti nella produzione di conoscenza scientifica e nella sua trasformazione sul mercato dell'innovazione, deve trovare una via originale per mantenere in vita i tradizionali valori di libertà accademica slegata da interessi economici e l'inclusione sociale tipica delle democrazie europee, con le nuove forme di integrazione fra conoscenza scientifica e innovazione di mercato. 16
  • 17. Tuttavia per poter intraprendere un'efficace politica di competitività globale nel mercato della conoscenza, l'Europa dell'higher education deve farsi sistema, valorizzando meglio i valori comuni che possono riuscire a renderla chiaramente riconoscibile dall'esterno e condivisa al suo interno. Riferimenti bibliografici Borràs, S., Radaelli, C., [2010] Recalibrating the Open Method of Coordination: Towards diverse and more effective usages, Stockholm:SIEPS, Svenska institutet for europapolitiska studier; Capano, G., Piattoni, S. [2011] From Bologna to Lisbon: the political uses of the Lisbon 'script' in European higher education policy, Journal of European Public Policy 18:4, 584-606; Corbett, A., [2012] Higher Education as a Form of European Integration: How novel is the Bologna Process?, Working Paper No. 15, December 2006; Anne Corbett, http://www.arena.uio.no Corbett, A., [2003] Ideas, Institutions and Policy Entrepreneurs: toward a new history of higher education in the European Community, European Journal of Education, Vol. 38, No.3; Dardot, P., Laval, C., [2013] La nuova ragione del Mondo, Derive Approdi; De Boer, H.F., Enders, J., Leisyte, L., [2007] Public sector reform in Dutch higher education: the organizational transformation of the university, Public Administration, Vol. 85 No.1, 27-46; Garben S., [2010] The Bologna Process: From a European Law Perspective, European Law Journal, Vol. 16, No.2, pp 186-210; Keeling, R., [2006] The Bologna Process and the Lisbon Research Agenda: The European Commission's expanding role in higher education discourse; European Jpurnal of Education, Vol. 41, No. 2, 2006; Laval, C., Vergne, F., Clément, P., Dreux, G., [2012] La nouvelle école capitaliste, La Découverte/ Poche; Paoli, S., [2010] Il sogno di Erasmo. La questione educativa nel processo di integrazione europea, Franco Angeli, Storia Internazionale dell'Epoca Contemporanea Ravinet, P. [2006] When constraining links emerge from loose cooperation: mechanisms of involvement and building of a follow-up structure in the Bologna Process. Paper presented at the third international Euredocs Conference, Centre for Higher Education Research, University of Kassel, 16–18 June. Ravinet, P., [2008] From Volountary Participation to Monitored Coordination: why European countries felle increasingly bond by their commitment to the Bologna Process, European Journal of Education, Vol. 43, Slaughter, S., Cantwell, B., [2012] Transatlantic moves to the market: The United States and the European Union; Higher Education, 63 (5), pp. 583-606; Tomusk, V., [2004] Three bolognas and a pizza pie: Notes on institutionalization of the European higher education system, International Studies in Sociology of Education, 14:1, 75-96; Wätcher, B., [2004] The Bologna Process: Development and Prospects; European Journal of Education, Vol.39, No.3; 17