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VINO NELLA
CULTURA
ROMANA
L’IMPORTANZA DEL VINO
Il vino era parte essenziale di ogni
banchetto, per lo più diluito con
acqua calda o fredda, secondo i
gusti e la stagione. Berlo puro non
era considerato di buon gusto, sia
perchè le cene abbondavano di
brindisi e libagioni, sia perchè
all'epoca erano più alcolici, sia
perchè a volte si aromatizzava o
dolcificava il vino in vari modi,
anche se Plinio sosteneva la
superiorità del vino senza aggiunte.
Un'estrema raffinatezza era bere il vino raffreddato facendolo passare
attraverso una tela colma di neve, naturalmente raccolta sui monti.
Tenendo conto che il vino freddo si beveva nella stagione calda si può
capire cosa costasse arrivare sui monti e tornare a precipizio perchè la
neve non si liquefacesse. Il vino si mesceva in coppe larghe e quasi
piatte.
Prima di iniziare un
banchetto, vi era l'uso di
eleggere, sorteggiandolo
ai dadi, un "magister
bibendi". Costui, che
doveva astenersi dalla
bevanda, aveva il compito
di stabilire quante parti di
acqua, calda o fredda, vi si
mescolavano.
Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza e al suono
dei flauti. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse
pratiche religiose in onore di “Fufluns” (Bacco), il Dio del vino.
Questi riti segreti e strettamente riservati agli iniziati, grazie
all’ebbrezza provocata dalla bevanda, per la “possessione” da
parte del Dio.
La diffusione del culto di Bacco a Roma avvenne intorno al II
secolo a.C. Analogamente al culto di Dioniso in Grecia, da cui
deriva, si trattava di un culto misterico, ossia riservato ai soli
iniziati (originariamente solo donne, le baccanti) con finalità
mistiche. Ben presto i seguaci del culto di Bacco vennero in
scontro con la religione ufficiale di Roma in seguito al loro rifiuto
di riconoscere i valori culturali di questa, al punto che nel 186
a.C. il Senato, dietro iniziativa di Marco Porcio Catone, emise
un senatoconsulto, noto come Senatus consultum de
Bacchanalibus al fine di sciogliere il culto con distruzione dei
templi, confisca dei beni, arresto dei capi e persecuzione degli
adepti. In seguito i baccanali sopravvissero come feste
propiziatorie, ma senza più la componente misterica.
I BACCANALI
Spesso il baccanale coinvolgeva più popolazioni di un territorio che si riunivano per
diversi giorni in un luogo-simbolo, dove venivano praticati anche sacrifici animali;
sicuramente le pratiche sessuali che vi si svolgevano erano anch'esse finalizzate alla
propiziazione ma anche ai festeggiamenti per i pastori che ritornavano
dalla transumanza dopo un'intera stagione. Nella Roma del II secolo però tali aspetti
erano evidentemente assenti e una delle questioni che portò al senatoconsulto de
Bacchanalibus fu il fatto che durante tali riti gli adepti praticavano la violenza sessuale
reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò era in contrasto con le
leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini, pur permettendole nei confronti
degli schiavi.
Le donne romane, che in genere erano
abbastanza libere, non potevano
assolutamente gustare il frutto di Bacco
in quanto questo “diritto” era riservato
solo al sesso forte che aveva compiuto i
trenta anni di età. Guai alla matrona che
aveva segretamente bevuto poiché, se
baciata dal coniuge, veniva scoperta e
punita severamente per la sua
trasgressione.
LE DONNE E IL VINO
C’erano chiaramente delle eccezioni: Giulia Augusta (moglie di Augusto dopo
Livia la quale sosteneva che grazie al vino aveva raggiunto gli 86 anni), le donne
che frequentavano le palestre spesso per ritemprarsi dalle fatiche degli
allenamenti lo bevevano a stomaco vuoto o dopo aver mangiato il cosiddetto
“cibo dei gladiatori”. Frequenti erano pure le matrone che banchettando si
avvicinavano al vino dimostrando di essere buone bevitrici.
"Da dove potremmo cominciare –
scriveva Plinio il Vecchio - se non dalla
vite, rispetto alla quale l’Italia ha una
supremazia così incontestata, da dar
l’impressione di aver superato, con
questa sola risorsa, le ricchezze di ogni
altro paese, persino di quelli che
producono profumo? Del resto, non c’è
al mondo delizia maggiore del profumo
della vite in fiore".
Durante l'epoca repubblicana ed
imperiale i Romani diffusero la vite non
solo in Italia, ma in gran parte delle
province che man mano conquistavano
e che poi, in particolar la Gallia,
richiedevano vini in abbondanza. I vini
ricercati dai romani erano liquorosi per
poi annacquarli, mentre i Galli
bevevano il vino puro, non miscelato
con l'acqua, considerato incivile dai
romani perché portava all'ubriachezza.
COMMERCIO DEL VINO
L'espansione della viticoltura nella Sicilia e nell'Italia meridionale ben presto
determinò, una contrazione delle importazioni di vino dall'Egeo e dalla Grecia e nel III
sec. a.c. l'Italia non si limitò più a produrre per i fabbisogni interni, ma anche per
l'esportazione e continuò a svilupparsi soprattutto nella prima metà del II sec a.c.
Nonostante siano trascorsi millenni e il mondo si sia completamente trasformato,
Roma rimane circondata da vigneti e caratterizzata da una produzione di vini che
continuano a essere richiesti e apprezzati soprattutto dai romani.
Per comprendere i prezzi ci basiamo su una
Taberna pompeiana, che nel 79 d.C.aveva inciso
sul muro che:
- un kg di pane costava 2 assi,
- un litro di vino 2 assi;
- un piatto di legumi o verdure: 1 asse;
-una tunica 12 sesterzi;
Un asse equivaleva dunque a 1,5euro; per cui
un litro di vino costava circa 3 euro.
Un sesterzio aveva un valore iniziale di 2 assi e
mezzo, in un secondo tempo assume il valore di
4 assi.
IL PREZZO DEL VINO
Il vino non si beveva solo nelle
case, perché c’era il thermopolium,
un luogo di ristoro dove era
possibile acquistare cibi pronti. Era
un locale di piccole dimensioni con
un bancone nel quale erano
incassate grosse anfore di
terracotta, atte a contenere le
vivande. I Pompeiani, come i
Romani, amavano mangiare
pasteggiando vino, o farsi un goccio
ogni tanto per rallegrarsi, come
nelle osterie romane che ancora
sopravvivono a Roma. Ce ne sono
ampi resti negli scavi di Pompei ed
Ercolano, ma Roma ne era piena.
IL VINO NEI THERMOPOLIUM
Del resto durante la giornata
ogni scusa era buona per bere
un buon bicchiere di vino. Si
brindava alla salute di un
amico, di un patronus, di una
persona importante o della
donna amata e in questo caso
l'usanza era che si bevessero
tante coppe quante erano le
lettere che ne componevano il
nome. Si brindava altresì per
onorare un defunto, o a una
divinità di cui si chiedeva la
benevolenza, o
semplicemente a un progetto
affinchè andasse in porto, ma
un accenno alla Dea Fortuna
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Vino nella cultura romana

  • 2. L’IMPORTANZA DEL VINO Il vino era parte essenziale di ogni banchetto, per lo più diluito con acqua calda o fredda, secondo i gusti e la stagione. Berlo puro non era considerato di buon gusto, sia perchè le cene abbondavano di brindisi e libagioni, sia perchè all'epoca erano più alcolici, sia perchè a volte si aromatizzava o dolcificava il vino in vari modi, anche se Plinio sosteneva la superiorità del vino senza aggiunte. Un'estrema raffinatezza era bere il vino raffreddato facendolo passare attraverso una tela colma di neve, naturalmente raccolta sui monti. Tenendo conto che il vino freddo si beveva nella stagione calda si può capire cosa costasse arrivare sui monti e tornare a precipizio perchè la neve non si liquefacesse. Il vino si mesceva in coppe larghe e quasi piatte.
  • 3. Prima di iniziare un banchetto, vi era l'uso di eleggere, sorteggiandolo ai dadi, un "magister bibendi". Costui, che doveva astenersi dalla bevanda, aveva il compito di stabilire quante parti di acqua, calda o fredda, vi si mescolavano. Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza e al suono dei flauti. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse pratiche religiose in onore di “Fufluns” (Bacco), il Dio del vino. Questi riti segreti e strettamente riservati agli iniziati, grazie all’ebbrezza provocata dalla bevanda, per la “possessione” da parte del Dio.
  • 4. La diffusione del culto di Bacco a Roma avvenne intorno al II secolo a.C. Analogamente al culto di Dioniso in Grecia, da cui deriva, si trattava di un culto misterico, ossia riservato ai soli iniziati (originariamente solo donne, le baccanti) con finalità mistiche. Ben presto i seguaci del culto di Bacco vennero in scontro con la religione ufficiale di Roma in seguito al loro rifiuto di riconoscere i valori culturali di questa, al punto che nel 186 a.C. il Senato, dietro iniziativa di Marco Porcio Catone, emise un senatoconsulto, noto come Senatus consultum de Bacchanalibus al fine di sciogliere il culto con distruzione dei templi, confisca dei beni, arresto dei capi e persecuzione degli adepti. In seguito i baccanali sopravvissero come feste propiziatorie, ma senza più la componente misterica. I BACCANALI
  • 5. Spesso il baccanale coinvolgeva più popolazioni di un territorio che si riunivano per diversi giorni in un luogo-simbolo, dove venivano praticati anche sacrifici animali; sicuramente le pratiche sessuali che vi si svolgevano erano anch'esse finalizzate alla propiziazione ma anche ai festeggiamenti per i pastori che ritornavano dalla transumanza dopo un'intera stagione. Nella Roma del II secolo però tali aspetti erano evidentemente assenti e una delle questioni che portò al senatoconsulto de Bacchanalibus fu il fatto che durante tali riti gli adepti praticavano la violenza sessuale reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò era in contrasto con le leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini, pur permettendole nei confronti degli schiavi.
  • 6. Le donne romane, che in genere erano abbastanza libere, non potevano assolutamente gustare il frutto di Bacco in quanto questo “diritto” era riservato solo al sesso forte che aveva compiuto i trenta anni di età. Guai alla matrona che aveva segretamente bevuto poiché, se baciata dal coniuge, veniva scoperta e punita severamente per la sua trasgressione. LE DONNE E IL VINO C’erano chiaramente delle eccezioni: Giulia Augusta (moglie di Augusto dopo Livia la quale sosteneva che grazie al vino aveva raggiunto gli 86 anni), le donne che frequentavano le palestre spesso per ritemprarsi dalle fatiche degli allenamenti lo bevevano a stomaco vuoto o dopo aver mangiato il cosiddetto “cibo dei gladiatori”. Frequenti erano pure le matrone che banchettando si avvicinavano al vino dimostrando di essere buone bevitrici.
  • 7. "Da dove potremmo cominciare – scriveva Plinio il Vecchio - se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo? Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore".
  • 8. Durante l'epoca repubblicana ed imperiale i Romani diffusero la vite non solo in Italia, ma in gran parte delle province che man mano conquistavano e che poi, in particolar la Gallia, richiedevano vini in abbondanza. I vini ricercati dai romani erano liquorosi per poi annacquarli, mentre i Galli bevevano il vino puro, non miscelato con l'acqua, considerato incivile dai romani perché portava all'ubriachezza. COMMERCIO DEL VINO L'espansione della viticoltura nella Sicilia e nell'Italia meridionale ben presto determinò, una contrazione delle importazioni di vino dall'Egeo e dalla Grecia e nel III sec. a.c. l'Italia non si limitò più a produrre per i fabbisogni interni, ma anche per l'esportazione e continuò a svilupparsi soprattutto nella prima metà del II sec a.c. Nonostante siano trascorsi millenni e il mondo si sia completamente trasformato, Roma rimane circondata da vigneti e caratterizzata da una produzione di vini che continuano a essere richiesti e apprezzati soprattutto dai romani.
  • 9. Per comprendere i prezzi ci basiamo su una Taberna pompeiana, che nel 79 d.C.aveva inciso sul muro che: - un kg di pane costava 2 assi, - un litro di vino 2 assi; - un piatto di legumi o verdure: 1 asse; -una tunica 12 sesterzi; Un asse equivaleva dunque a 1,5euro; per cui un litro di vino costava circa 3 euro. Un sesterzio aveva un valore iniziale di 2 assi e mezzo, in un secondo tempo assume il valore di 4 assi. IL PREZZO DEL VINO
  • 10. Il vino non si beveva solo nelle case, perché c’era il thermopolium, un luogo di ristoro dove era possibile acquistare cibi pronti. Era un locale di piccole dimensioni con un bancone nel quale erano incassate grosse anfore di terracotta, atte a contenere le vivande. I Pompeiani, come i Romani, amavano mangiare pasteggiando vino, o farsi un goccio ogni tanto per rallegrarsi, come nelle osterie romane che ancora sopravvivono a Roma. Ce ne sono ampi resti negli scavi di Pompei ed Ercolano, ma Roma ne era piena. IL VINO NEI THERMOPOLIUM
  • 11. Del resto durante la giornata ogni scusa era buona per bere un buon bicchiere di vino. Si brindava alla salute di un amico, di un patronus, di una persona importante o della donna amata e in questo caso l'usanza era che si bevessero tante coppe quante erano le lettere che ne componevano il nome. Si brindava altresì per onorare un defunto, o a una divinità di cui si chiedeva la benevolenza, o semplicemente a un progetto affinchè andasse in porto, ma un accenno alla Dea Fortuna c'era sempre.
  • 12. Realizzato da: Matteo Chisari Rebecca Fazio Andrea Rubino Ludovica Zappalà