3. Il monolinguismo e il monofunzionalismo sono due degli
aspetti piú criticabili dell’insegnamento tradizionale
dell’italiano.
• L’ educazione linguistica è identificata con
l’insegnamento della lingua nazionale; i dialetti e le lingue
delle minoranze sono ignorati o repressi come fonte di
‘errori’
• Il tipo di lingua italiana che viene insegnato è rigidamente
unitario, con la distinzione tra ciò che è ‘giusto’ e ciò che
è ‘sbagliato’ in assoluto, senza relativizzazioni.
• Il tipo di lingua proposto come parametro unico di
riferimento è di norma la lingua letteraria.
4. • È del tutto assente dalla prassi didattica tradizionale
la consapevolezza della plurifunzionalità della lingua.
La lingua serve, nella scuola, a trasmettere
informazioni, a raccontare, a descrivere, ecc.;
talvolta, ad `descrivere’ i sentimenti: predomina la
funzione referenziale. Nell’uso che gli allievi a scuola
sono chiamati a farne la lingua esce astratta,
‘diversa’, da quella che è la sua realtà quotidiana
nella società umana.
5. Plurifunzionalità
Ogni volta che un parlante usa la lingua, compie
un’azione: dà un’informazione, o un ordine, o
interroga, o punisce, o promette, o condanna, o
consola...;
ogni atto locutivo (l’usare la lingua, proferire un
enunciato) implica un
atto illocutivo (un’azione che si compie), cui
corrisponde anche un
atto perlocutivo , cioè un effetto sul ricevente.
6. Per es., una semplice frase quale Domani arriva Angelo
può essere pronunciata semplicemente per
informare l’interlocutore del fatto, ma anche per
spaventarlo, minacciarlo, costringerlo a fare
qualcosa; oppure per promettergli qualcosa,
incoraggiarlo, compensarlo, ecc.; o, ancora, per
esprimere i propri sentimenti in relazione al fatto
(allegria, rabbia, ecc.).
7. Sia per le varietà che per le funzioni della lingua, la
difficoltà maggiore è quella di elaborare una ‘lista’
chiusa: le une e le altre sono infinite, nel senso che è
possibile usare la lingua in infiniti modi diversi e con
infiniti scopi diversi.
Tuttavia, poiché è necessario per impostare un’attività
didattica coerente un quadro teorico di riferimento
tenteremo di dare sistematizzazione al problema.
8. Alcune variabili che condizionano l’uso della linguaAlcune variabili che condizionano l’uso della lingua
Una semplice classificazione delle varietà della lingua può
basarsi sulle variabili che influenzano l’uso che i parlanti
fanno della lingua.
La constatazione piú immediata che si può fare è quella
del variare della lingua attraverso il tempo.
Altrettanto evidente quanto la variazione nel tempo è il
fatto che l’uso della lingua varia a seconda della
provenienza geografica dei parlanti: lo spazio è un’altra
delle dimensioni attraverso cui la lingua cambia.
9. Tra le varietà sincroniche delle lingue, oltre alle varietà
geografiche, sono particolarmente importanti quelle
il cui impiego dipende dalla situazione in cui la lingua
viene usata, dalla funzione per la quale viene usata, e
dall’argomento di cui si parla.
Situazione, funzione e argomento sono variabili molto
importanti.
È per queste varietà che si esercita soprattutto
l’ampliamento delle capacità linguistiche dei parlanti.
10. Variabilità argomento e situazione
La pertinenza dell’ ‘argomento di cui si parla’ seleziona
varietà diverse della lingua : discorsi su argomenti
specifici richiedono termini ‘specifici’ di tali argomenti.
Ciò che determina l’uso di termini tecnici (invece di
meno comode perifrasi) è la situazione in cui si parla.
Per es., un medico può dire ad un collega Il paziente è affetto da
stenosi mitralica: ma se si rivolge ad una persona non
competente in materia, per farsi capire, dovrà dire Il malato ha
una valvola nel cuore che si è ristretta, e non lascia piú passare
bene il sangue: è la valvola che sta nel lato sinistro del cuore,
fra la parte piú alta e quella piú bassa...
11. Variabilità e funzione
La situazione in cui avviene lo scambio comunicativo (il
ruolo dell’emittente, quello del destinatario, le
circostanze esterne, ecc.) è dunque un elemento
fondamentale nel determinare usi diversi della lingua.
La lingua cambia anche col variare della sua funzione, cioè
dello scopo per cui è usata.
Il caporale che dà ordini ai suoi soldati, la maestra che spiega un
problema ai bambini, l’innamorata che rivolge parole affettuose
al suo uomo, parlano in modo diverso.
Questo può valere anche se l’argomento rimane lo stesso: per
es. si può scrivere, su un medesimo fatto di cronaca, in modi
diversi a seconda che si voglia semplicemente informare il
lettore, o spaventarlo, o rassicurarlo, o commuoverlo...
12. Situazione
Ancora una volta, però, possiamo constatare l’importanza
della situazione, nel senso che, dato un argomento, e
data una funzione, anche se queste rimangono fisse, è
sufficiente il variare della situazione perché cambi l’uso
della lingua.
Per es., se dobbiamo chiedere una certa informazione, il modo in cui
ci rivolgeremo all’interlocutore sarà diverso a seconda della
situazione, per cui potremo dire:
a) Di’, spiegami un po’ dov’è quel posto dove ti prendono il sangue
per i malati, ad un amico;
b) Mi scusi, vorrebbe essere cosí gentile, per favore, da indicarmi
come raggiungere il centro di raccolta per donatori di sangue?, ad
un passante sconosciuto;
c) Per favore, in che via è il centro di raccolta dei donatori di
sangue?, allo sportello di un ufficio informazioni.
13. Le tre variabili ‘argomento’, ‘funzione’ e ‘situazione’
determinano l’uso che i parlanti fanno della lingua, i
tre punti sono così strettamente connessi, nei
messaggi reali, da non poter ricavare schemi di
varietà della lingua legate a ciascuno di essi
singolarmente.
Chiameremo funzionali-contestuali , nell’insieme, le
varietà della lingua legate a questi fattori.
14. Sottocodici e registri
È necessario fare un’ulteriore distinzione tra
sottocodici e registri.
Il sottocodice indica le varietà della lingua
caratterizzate da un vocabolario specifico, diverso da
quello della lingua comune (lingua della medicina,
lingue degli sport, ecc.);
il registro indica le varietà legate soprattutto alle
situazioni, e caratterizzate da un uso diverso — più o
meno formale ed accurato — di elementi lessicali e
di regole morfosintattiche della lingua comune.
15. Abbiamo così individuato quattro ‘tipi’ di varietà della
lingua:
le varietà nel tempo, o diacroniche,
le varietà nello spazio, o geografiche,
Le varietà funzionali-contestuali,
i registri e i sottocodici.
Ma tutti questi tipi possono essere in intersezione tra
loro, sia nel senso che, come abbiamo già visto, nei
testi in realtà si sovrappongono spesso, sia nel senso
che una data varietà può tal-volta assumere le
funzioni di un’altra.
16. La classe sociale
Un’ultima variabile importante che influisce sull’uso della
lingua è la classe sociale di appartenenza dell’utente.
La lingua cambia anche attraverso le classi sociali e i
gruppi sociali;
un esempio ne è l’ `italiano popolare’; un altro possono
essere i gerghi, cioè i sottocodici " usati da particolari
gruppi sociali e socioprofessionali (gergo studentesco,
gerghi di mestieri particolari, ecc.) a fini criptici e/o di
sottolineatura della solidarietà interna al gruppo.
18. Applicazioni didattiche della nozione di varietà della linguaApplicazioni didattiche della nozione di varietà della lingua
La nozione di varietà della lingua dovrebbe ispirare
l’insegnamento delle lingue. È il momento concreto di
stacco tra la pedagogia linguistica tradizionale e una
proposta didattica innovativa.
L’insegnante di lingua, ad ogni livello di scolarità,
dovrebbe porsi come scopi principali del suo lavoro i
seguenti obiettivi:
19. 1) sviluppare negli allievi la capacità di utilizzare il sistema
linguistico e/o la varietà della lingua piú adeguati alla
situazione, all’argomento, allo scopo dell’atto di
comunicazione;
2) rendere gli allievi consapevoli degli usi diversificati
della lingua di cui essi stessi sono autori o a cui sono
esposti;
3) rendere gli allievi consapevoli dell’esistenza di varietà
diverse, all’interno della lingua, legate a variabili che
entrano negli atti di comunicazione, e dell’eguale
valore semiologico di tali varietà, come anche
dell’uguale valore semiologico dei sistemi linguistici
diversi dalla lingua nazionale.
20. Lo scopo principale resta sempre quello di espandere le
capacità di espressione e comprensione dell’allievo:
e il punto di partenza per tale lavoro di arricchimento
non può che essere il pieno rispetto per le varietà
della lingua (o il diverso sistema linguistico),
padroneggiate dal bambino prima e al di fuori del
suo contatto con l’istituzione scolastica.
21. È praticamente impossibile, fin dall’inizio, separare il
momento dello ‘sviluppo delle capacità’ dal momento
della ‘riflessione’: in particolare, questo primo momento
di `autocoscienza’ del proprio comportamento verbale e
del suo valore semiologico sembra indispensabile come
base per una educazione alla ‘verbalizzazione
differenziata’ centrata sull’allievo.
In effetti, è sempre presente il rischio, nel programmare
curricoli scolastici pur basati sui nuovi principi, di costruire
piani astratti dalla realtà umana cui sono destinati,
andando a riprodurre modelli di educazione linguistica
discriminanti e selettivi come quello tradizionale (anche se
piú moderni ed ‘efficientistici’ nei contenuti).
22. Il ‘salto’ nella gerarchia è fra questi primi due punti —
sviluppo delle capacità e riflessione — e il momento
successivo di organizzazione e sistematizzazione dei
dati, a livello di ‘conoscenza’: in questo ambito
possiamo collocare, per es., tutti i tentativi di dare
agli allievi quadri generali delle varietà della lingua,
dei `tipi di testo’, e così via.
Si tratta di un momento successivo, se pur importante,
sia nella scala dell’importanza sia nella cronologia del
curricolo: poiché è chiaro che tale momento teorico,
privo del suo retroterra di ‘saper fare’ e di riflessione,
non sarebbe per gli allievi che un insieme di nozioni
astratte e probabilmente inutili.
23. Per questo non è facile dire se vi può essere un momento di
‘approccio teorico’ già nella scuola dell’obbligo, o se questo
deve essere rimandato alle secondarie: tutto dipende dalla
formazione precedente e dal grado di maturazione raggiunto
dagli allievi.
«Parlare bene una lingua significa non solo conoscerne il
vocabolario e la grammatica, ma conoscerne le principali
caratteristiche d’uso, gli stili piú abituali e diffusi. [...]
Sapersi fare capire nel modo migliore e piú adatto e, prima
ancora, capire senza subire passivamente, ma, al contrario,
dominando la molteplicità degli stili e dei linguaggi, è un
diritto civile primordiale». (De Mauro)
24. Fra le tecniche didattiche destinate specificatamente ad
arricchire la competenza, attiva e passiva, degli allievi
nelle diverse varietà dell’italiano si possono elencare
alcuni tipi di esercizi, ormai frequenti nei libri di testo
sensibili al problema.
— Il tipo piú semplice è quello centrato sul lessico ‘fuori
contesto’, costruito in genere sulla base di rapporti
sinonimici (per es., fra termini ‘tecnici’ e termini
corrispondenti della lingua ‘comune’: raffreddore/rinite,
morte/decesso, vinicolo/enologico; multa/ammenda,
pagamento/oblazione; ecc. ecc.) o comunque sulla
‘decodificazione’, traduzione in ‘lingua comune’, di
parole appartenenti a sottocodici tecnici, scientifici,
burocratici, ecc., o a registri formali, o a varietà
diacroniche (arcaismi, neologismi).
25. — Piú ricco e complesso è il tipo di lavoro basato non su termini isolati,
ma su testi interi; si sceglieranno brani appartenenti a varietà
‘tecniche’ della lingua (per es., la lingua dei giornali: «L’inflazione sta
falcidiando i nostri redditi, il costo della vita sale a tassi vertiginosi,
la disoccupazione è una realtà sempre piú presente»; la lingua della
medicina; ecc.), a registri formali («Chi deteriora o insudicia le
carrozze ferroviarie e i loro arredi è punito con l’ammenda...» ecc.),
agli usi che della lingua fa la pubblicità, e così via.
L’obiettivo di tali esercizi è in effetti quello di ampliare la
competenza passiva degli allievi: e, volendo collegare tale lavoro
agli effettivi bisogni del ragazzo, è del tutto corretto che si cerchi di
metterlo in grado, in primo luogo, di comprendere la lingua dei
mass-media, della burocrazia, della politica, ecc., nonché la lingua
formale e tecnica dei libri di testo, delle enciclopedie, delle
‘istruzioni d’uso’ di macchine, apparecchiature, medicinali, oggetti
di consumo piú diversi.
26. — Lo sviluppo della competenza attiva sarà centrato, invece,
soprattutto sul variare dell’uso della lingua in relazione a
diverse situazioni sociali (situazione in cui avviene
l’interazione, rapporti interpersonali e ruoli di emittente e
destinatario, ecc.): cioè, soprattutto sui registri dell’italiano.
Gli esercizi potranno essere formulati in modo ‘chiuso’
(date diverse formulazioni di un significato, si chiede di
correlarle con situazioni diverse, anch’esse date), o, meglio,
‘aperto’ (data una situazione ed un significato da veicolare,
si chiede di trovare la formulazione piú adeguata; o,
viceversa, dato un enunciato, si chiede di trovare una
‘situazione’ comunicativa in cui possa essere adeguato;
ecc.): l’obiettivo comune resta l’arricchimento della gamma
di registri a disposizione dell’allievo.
27. Problema comune è quello della relativa artificialità di
questi esercizi, soprattutto se limitati all’interno
dell’uso scritto della lingua: è ovvio che gli schemi di
lavoro e le schede forniti anche dai libri di testo piú
avanzati non possono costituire che uno stimolo, un
suggerimento a tipi di lavoro assai piú ‘aperti’, il piú
possibile legati a situazioni comunicative reali, e
all’uso orale della lingua.
29. Il modello di Jakobson
Perché si abbia un atto di comunicazione, sono necessari: un
emittente, un ricevente, e un codice, che deve esseri
almeno parzialmente comune ad entrambi; vi sarà poi il
messaggio, che, costruito sulla base delle associazioni
fornite dal codice, passa dall’emittente al ricevente.
Aggiungiamo ancora due elementi:
il ‘canale’ o ‘contatto’ tra emittente ricevente, permette al
messaggio di passare dall’uno all’altro (insieme il ‘canale’
fisico, per es. l’aria attraverso cui passano le onde sonore, e
il ‘contatto’, eminentemente psichico — fatto di attenzione
reciproca, disposizione d’animo positiva, ecc.— tra gli
interlocutori)
il ‘contesto’ o ‘referente’, l’argomento di cui si parla.
30. Ciascuno di questi sei elementi può divenire, secondo
Jakobson, il centro, il ‘fuoco’ di un atto di comunicazione,
e a seconda appunto di qual è il fuoco di ciascun atto di
comunicazione, si dirà che in esso la lingua ha l’una o
l’altra funzione.
31. Le funzioni secondo Jakobson
Funzione ‘informativa’, o ‘referenziale’ o anche ‘denotativa’
(secondo la terminologia jakobsoniana): l’interesse degli
interlocutori è incentrato sull’argomento di cui si parla
(`contesto’). La prosa scientifica, i libri di testo, ecc.
Funzione imperativa o ‘conativa’ (secondo Jakobson): l’atto
di comunicazione è incentrato sul ricevente, «usare la
lingua affinché l’interlocutore agisca, faccia qualcosa». È il
caso degli ordini, della persuasione, degli inviti, ecc.
Funzione ‘fàtica’: la lingua è usata per stabilire o consolidare
il contatto tra emittente e ricevente. È il caso dei saluti,
dei convenevoli, del Pronto, mi senti? al telefono.
32. Funzione `metalinguistica’: il fuoco dell’atto di comunicazione è il
codice stesso. Quando si fa un discorso attorno alla lingua
medesima, come quando si chiede o si spiega il significato di
una parola, o si parla di grammatica.
Funzione ‘emotiva’: il fuoco è l’emittente medesimo. L’emittente
si limita ad esprimere una qualche emozione, un sentimento
(per cui è detta anche ‘funzione espressiva’), come nel caso
delle interiezioni, delle imprecazioni, e simili.
Funzione ‘poetica’: l’attenzione è incentrata non tanto
sull’argomento di cui si parla, né sul ricevente, quanto sul
messaggio in quanto tale, sulla sua forma (funzione che
appunto sarebbe tipica della poesia).
34. Chiarimenti terminologici
Dal punto di vista terminologico, i due concetti di
‘messaggio’ e di ‘contesto’ sono un po’ diversi da quelli
correnti in linguistica: normalmente, per messaggio si
intende un segno, cioè un’associazione di significato e
significante, utilizzato in un atto di comunicazione; e
per contesto si intende la situazione (contesto
extralinguistico) e/o il contesto verbale (co-testo).
In Jakobson invece il primo termine pare indicare solo
soprattutto il significante; il secondo indica il significato
dei segni usati nell’atto di comunicazione.
35. In un medesimo atto di comunicazione non solo si ha,
di regola (come afferma Jakobson stesso ),
compresenza di piú d’una funzione, ma talvolta è
anche difficile individuare una funzione ‘prevalente’.
Vi sono messaggi che hanno una funzione apparente,
ed una reale: per es. un testo pubblicitario può
presentarsi in apparenza come solo ‘informativo’
(funzione referenziale), mentre la sua funzione reale
non può essere che ‘conativa’.
36. LimitiLimiti
Lo schema di Jakobson risulta riduttivo: non tiene
conto della possibilità di intersecarsi delle funzioni
sul piano linguistico e non linguistico; né,
soprattutto, a livello teorico, rende conto
dell’importanza relativa delle diverse ‘funzioni’, che
appaiono collocate tutte allo stesso livello.
38. Al momento attuale, la tematica delle funzioni della della lingua
sta iniziando a sensibilizzare il settore dell’insegnamento
dell’italiano.
Da un lato troviamo infatti ancora, nei libri di testo pur piú
recenti e innovatori, concezioni estremamente ‘ingenue’
delle funzioni della lingua, ridotte talvolta due (comunicativa
e espressiva o emotiva) talvolta a tre (informativa, espressiva,
conativa o imperativa).
D’altro lato c’è una penetrazione piuttosto rilevante dello
schema jakobsoniano delle funzioni, soprattutto nei testi
destinati alle scuole medie superiori (Marchese-Sartori, Altieri
Biagi e Vanoye riprendono lo schema delle sei funzioni: i
primi due solo per introdurre il concetto della funzione
poetica come ‘specifico letterario’, il terzo, anche per tentare
una piú generale classificazione dei ‘tipi di testo’.
39. In tutte queste grammatiche l’attenzione al tema delle
funzioni della lingua non va al di là del livello teorico: i
diversi casi vengono presentati e illustrati con esempi,
ma non entrano in alcun modo in esercizi, attività, lavori
proposti per lo sviluppo della competenza comunicativa
degli allievi.
Rimangono cenni astratti, nozioni relativamente separate
dalla ‘grammatica’ vera e propria (per la quale gli esercizi
ovviamente non mancano) e, per quanto riguarda lo
schema jakobsoniano, rientrano in una tendenza
abbastanza diffusa, ma fuorviante, ad utilizzare «la
linguistica» come preparazione allo studio e all’analisi
del testo letterario.
40. Una impostazione del tutto diversa è quella di Simone e
Berruto, per la quale l’accenno alle funzioni della
lingua è funzionale allo sviluppo della competenza
comunicativa degli allievi. Secondo questa
prospettiva il quadro teorico non ha grande
importanza, e non si tenta infatti di dare liste ‘chiuse’
di funzioni; ciò che è essenziale è far percepire la
possibilità di utilizzare la lingua con molti obiettivi
diversi ed esercitare questa possibilità.
41. Tecniche didattiche specificatamente destinate ad esercitare funzioni
diverse della lingua non sono sviluppate forse ancora a sufficienza;
ma non è difficile immaginare attività che, a diversi livelli di
difficoltà, possono essere proposte agli allievi:
• costruire testi diversi, con funzioni diverse, con il medesimo
contenuto (per es., data una notizia di cronaca, costruire un articolo
mirante semplicemente ad informare il lettore, uno mirante ad
‘attirare’ e ‘colpire’ il lettore, uno mirante a commuoverlo, o
scandalizzarlo, o incitarlo alla protesta, ecc.);
• dato un contenuto ed uno scopo, costruire testi diversi adeguati a
situazioni diverse (per es., chiedere un’informazione ad un amico,
un estraneo, un ufficio pubblico, ecc.); ecc.; e, viceversa, individuare
la o le funzioni di testi dati, conoscendo la situazione dell’atto di
comunicazione (emittente, destinatario, ecc.).
• Le possibilità sono innumerevoli, e in generale tutti questi tipi di
lavoro rientrano, in stretta intersezione con i lavori sulle varietà
della lingua nello sviluppo del settore ‘pragmatico’ della
competenza dell’allievo.
42. È interessante ricordare che in questa direzione si lavora da
diversi anni anche per l’insegnamento delle lingue
straniere: il concetto di ‘competenza comunicativa’ e di
‘atti linguistici’ va mutando la teoria e la prassi nella
didattica delle lingue seconde.
Accantonato lo studio meccanico delle ‘strutture’,
rimandata la componente cognitiva (la ‘riflessione’,
possiamo dire), alcuni autori tentano di rifondare
l’insegnamento delle lingue straniere, partendo non più
da strutture sintattiche o grammaticali, ma da situazioni
comunicative e ‘scopi’, o ‘funzioni’, comunicativi. Si tende
cosí a costruire metodi situazionali ‘puri’, cioè basati su
interazioni motivate, non artificiali: ovviamente, con
tutte le difficoltà immaginabili.