1. Gabriele Cingolani
PICCOLI E GRANDI MAESTRI.
Note su Luigi Meneghello nella letteratura resistenziale
italiana
Università di Macerata, 10 dicembre 2014
Nell’ambito del corso di Sociologia della letturatura italiana contemporanea
Prof.ssa Costanza Geddes da Filicaia
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2. 1. Chi era Luigi Meneghello?
Partigiano, docente e scrittore italiano,
nato a Malo (VI) il 16 febbraio 1922, morto
a Thiene (VI) il 26 giugno 2007.
1922-1939: Infanzia e gioventù tipiche di
un giovane fascista, anche piuttosto
brillante.
1939-1947: Università a Padova, contatti
con ambienti antifascisti, Resistenza,
Partito d’Azione.
1947-1980: “Dispatrio” verso l’Inghilterra,
dove sarà docente e capodipartimento
presso l’Università di Reading.
1980-2007: scrittore a Londra e poi a
Thiene.
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3. I libri di Luigi Meneghello
Esordio in età matura:
Libera nos a malo, Feltrinelli 1963
I piccoli maestri, Feltrinelli 1964
Da questi due libri si sviluppano i due filoni
principali della scrittura di Meneghello,
entrambi fortemente legati all’esperienza
biografica: quello che ha il suo centro nella
lingua, e quello di impostazione storica e civile.
A questi due filoni dovremo aggiungere
l’attività di studioso, docente, recensore,
divulgatore…
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6. 2. I piccoli maestri
Il libro è stato pubblicato nel 1964, un anno
dopo Libera nos a malo e Una questione
privata di Beppe Fenoglio.
È la storia di un piccolo gruppo di studenti-
partigiani, preceduta da un resoconto dei fatti
vissuti da Meneghello dall’arruolamento con gli
alpini all’8 settembre.
I fatti si svolgono fra Vicenza, Padova e –
soprattutto – l’Altipiano di Asiago.
Due anni di resistenza: la guerriglia, le azioni
delle bande in montagna, i GAP in città, i
rastrellamenti, fino alla liberazione (gli inglesi
entrano a Padova il 28 aprile 1945).
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7. La Resistenza nei Piccoli maestri
“I piccoli maestri, uno dei pochi libri
sulla Resistenza che siano di alto valore
letterario, e che ne offrano una
interpretazione antiretorica (il che non
vuol dire riduttiva), e insieme del tutto
autentica”
Giulio Lepschy
“I piccoli maestri è stato scritto con un
esplicito proposito civile e culturale:
volevo esprimere un modo di vedere la
Resistenza assai diverso da quello
divulgato, e cioè in chiave anti-retorica
e anti-eroica. Sono convinto che solo
così si può rendere pieno giustizia agli
aspetti più originali e più interessanti
di ciò che è accaduto in quegli anni”
Luigi Meneghello7
8. Lo strumento principe dell’anti-
retorica: l’ironia
Che cos’è l’ironia?
Nella RETORICA è “la dissimulazione del proprio pensiero con
parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con
tono tuttavia che lascia intendere il vero sentimento”.
Nella FILOSOFIA è “finzione e insieme interrogazione” (Socrate)
o “un momento fondamentale dell’esistenza, in quanto,
attraverso di essa, l’uomo si distacca dal mondo in cui è
immerso l’esteta e si avvia verso lo stadio etico” (Kierkegaard).
Assumiamo – in linea teorica – che l’ironia sia uno strumento
che, attraverso il distacco, il distanziamento, svolga una funzione
conoscitiva, e un progresso/cambiamento sul piano etico.
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9. Mi sono arrischiato ad aggiungere un mio “piccolo supplemento” al
piccolo testamento letterario [di Calvino, ovvero le Lezioni americane]
[…] una modesta proposta di possibili aggiunte all’elenco: […]
specialmente l’Ironia, la cui funzione (dicevo) è di far sentire
l’ambiguità delle cose, ma con l’intesa che per funzionare appieno
anch’essa deve contenere una dose complementare di Serietà, un
tessuto connettivo di sostanze non ironiche…. (Quaggiù nella biosfera,
2004).
Ironia e Serietà
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10. Esempi di uso dell’ironia nei PM
a. (auto)ironia nei confronti della propria inesperienza bellica
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11. Esempi di uso dell’ironia nei PM
b. (auto)ironia verso la propria cultura libresca: la citazione
colta rovesciata. Tre esempi dal cap. IV:
Questo turno di guardia si faceva a un cento metri dalla malga, in
piedi tra le frasche, in mezzo alla neve, nel buio. In quelle ore di
solitudine assoluta, ghiacciata, uno si sentiva soldato, frate, fibra
dell’universo, e mona. Il freddo era schifoso.
Radunai il reparto e feci una piccola orazione: “Vogliamo restar qua a
consumare polenta aspettando i rastrellamenti? Dobbiamo prendere
l’iniziativa [… ] impareremo andando avanti, sbagliando se occorre”.
Era gente già stata in guerra, mentre noi eravamo a Padova a suonare
l’oboe sommerso, che poi non si sa che suono possa fare, farà glu glu.
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12. Esempi di uso dell’ironia nei PM
b. (auto)ironia verso la propria cultura libresca: la citazione
colta rovesciata.
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13. Esempi di uso dell’ironia nei PM
b. (auto)ironia verso la propria cultura libresca: le parole vuote.
Volevo anche informarmi un po’ sul loro ethos, ma naturalmente c’è
lo svantaggio che in dialetto un termine così è sconosciuto. Non si può
domandare: “Ciò, che ethos gavìo vialtri?”. Non è che manchi una
parola per caso […] mi viene anche in mente che la deficienza non sta
nel dialetto ma proprio nell’ethos, che è una gran bella parola per fare
discorsi profondi, ma cosa voglia dire di preciso non si sa, e forse la
sua funzione è proprio questa, di non dir niente, ma in modo
profondo. Ce ne sono tante altre di questo tipo; la più frequente,
all’università, presso studenti e professori, era istanze. Adesso che ci
penso anche istanze in fondo vuol dire ethos, cioè niente. (Cap. V)
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14. L’ironia di fronte al tragico
c. Più controverso può essere l’uso che del distacco ironico
Meneghello fa di fronte a situazioni tragiche, ad esempio in
questa scena di bombardamento (cap. III):
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15. L’ironia di fronte al tragico
O in questa scena di fucilazione di due partigiani-ladri (IX):
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16. L’ironia di fronte al tragico
O in questa scena di fucilazione di due partigiani-ladri (IX):
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17. (un episodio simile: il “segreto brutto”
di Primo Levi)
…il divieto di comunicare fra noi. Questo divieto era doloroso, perché
fra noi, in ognuna delle nostre menti, pesava un segreto brutto: lo
stesso segreto che ci aveva esposti alla cattura, spegnendo in noi,
pochi giorni prima, ogni volontà di resistere, anzi di vivere. Eravamo
stati costretti dalla nostra coscienza ad eseguire una condanna, e
l’avevamo eseguita, ma ne eravamo usciti distrutti, destituiti,
desiderosi che tutto finisse e di finire noi stessi; ma desiderosi anche
di vederci fra noi, di parlarci, di aiutarci a vicenda ad esorcizzare
quella memoria ancora così recente. Adesso eravamo finiti, e lo
sapevamo: eravamo in trappola, ognuno nella sua trappola, non c’era
uscita se non all’in giù. (Primo Levi, Oro, in Il sistema periodico, 1975)
(il “segreto brutto” fa riferimento alla fucilazione, da parte della
banda partigiana di Primo Levi, di due giovani partigiani colpevoli di
furto e forse di vessazioni verso una donna ebrea sfollata nella zona;
cfr. Sergio Luzzatto, Partigia, Milano, Mondadori, 2013, e successive
polemiche…)
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18. L’ironia di fronte al tragico
Qualche altro esempio, fra ironia e pietas:
So che molti di questi ragazzi sono finiti male, ma non ho mai voluto
sapere i dettagli: da accenni uditi per caso so che c’entrano i ganci
usati dai tedeschi nella zona: e i cavalli che ci strascinavano, forse
dopo morti forse ancora vivi. […] Come si saranno comportati? E come
ci saremmo comportati noi signorini, io in particolare? Ma sono cose
marginali, come ci si comporta. (IV)
Mostravo lietamente a Lelio il mucchietto degli ossi da morto,
compresa la tibia su cui avevo scritto il mio messaggio. Oggi che so
quanta fame aveva, mi domando se è concepibile che gli sia venuto
l’impulso di rosicchiarseli. Sarebbe stato interessante vederlo
mangiare i caduti della grande guerra, lui che ha sempre avuto una
pietas particolare per tutto ciò che riguarda la grande guerra. (V)
Il nostro Conte, preso in settembre dai ceffi di San Vito, e interrogato
attraverso l’osso sacro, e in altri modi, riuscì a convertire uno dei
carcerieri, negli intervalli dell’interrogatorio, e fuggì con lui: e
stranamente fu poi il carceriere, in veste di partigiano, a restare ucciso
dai fascisti. (IX)
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19. Un distacco necessario per sopportare
È difficile oggi ricordare quanta parte aveva il caso, l’improvvisazione,
in ciò che facevamo in quei mesi. (IX)
(VIII)
I trentuno martiri di Bassano del Grappa, 26 settembre 1944) >
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20. Un distacco necessario per ricordare
So che la Marta, quando arrivarono al primo piano davanti alla
porta dello studio chiuso a chiave, disse che la chiave non
l’aveva, che era poi vero, perché l’avevo io in tasca; così le
fecero un po’ di elettroshock (avevano la macchinetta
portatile), poi buttarono giù la porta. Per la sciarpa di seta
azzurra le fecero un altro po’ di elettroshock, e qualche
scottatina con le sigarette. Lei però non disse nemmeno il mio
nome. Era brava, la Marta: disse le prime due sillabe e cambiò
le altre. Così aveva l’impressione di averlo detto, e non lo disse
più. Purtroppo le peggio torture gliele fecero poi in prigione,
quei bastardi sifilitici impotenti. (IX)
Nella realtà Marta è Maria Setti (Vicenza, 1899-1996), che si
finse pazza per mettere fine alle sue torture, e dopo la guerra fu
insegnante di francese al liceo di Vicenza.
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21. “…le cose da esorcizzare…”
È risultato che anche questa materia, come quella della mia
infanzia a Malo, aveva radici profonde; estrarle ed esporle alla
luce è stato ugualmente lungo e difficile, ma più doloroso; i
veleni non erano quelli di un bambino, ma di un giovane uomo,
veleni più adulti; e le cose da esorcizzare più inquietanti. (Nota)
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23. …eravamo senza humour…
A sinistra c’era il grado militare o la funzione civile, a destra
l’annotazione relativa alla pena. L’Italia sarebbe uscita dalle
nostre mani veramente snellita. […] “a morte o all’ergastolo?”
[…] “A morte, sai”. […] “Non credi che sarebbe opportuno
uccidere i famigliari?” Per motivi umanitari e pratici forse sì. Si
potrebbe istituire delle tavole di consanguineità: il primo grado
si fucila senza processo, il secondo ha facoltà di chiedere la
fucilazione. Sarebbe oltre che il metodo più pietoso, anche il
più sicuro: per chiudere questo orrore a catena della guerra
fratricida, e non lasciare uno strascico di lutti. […] Si vede che
eravamo semplicemente impazziti per eccesso di fervore;
eravamo buoni ragazzi, eravamo stati bravi studenti,
appartenevamo a famiglie onorate, laboriose, pacifiche. […]
Quando in seguito lessi la Modesta proposta di Swift di far
mangiare agli irlandesi affamati i loro propri bambini, vidi
immediatamente che cosa mancava alla nostra nostra, cioè
l’umorismo. Eravamo senza humour, io e Marietto, soli e
imbacuccati nella nostra camera fredda, due filosofi, due
storicisti, due robespierrini in una casa di Padova (X).
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24. 2. Piccoli e grandi maestri: Antonio Giuriolo
“Che cos’è una una patria se
non un ambiente culturale?”
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26. 2. Piccoli e grandi maestri: Beppe Fenoglio
(intervento di L.M. ad
un convegno su
Beppe Fenoglio nel
2003, ad Alba, poi in
Quaggiù nella
biosfera, 2004)
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27. Riferimenti bibliografici
Luigi Meneghello, Opere scelte, a
cura di G. Lepschy, Milano,
Mondadori (I Meridiani), 2007.
Su/Per Meneghello, a cura di G.
Lepschy, Milano, Edizioni di
Comunità, 1983.
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28. Riferimenti bibliografici
Anti-Eroi. Prospettive e
retrospettive sui “Piccoli maestri”
di Luigi Meneghello, Bergamo,
Pierluigi Lubrina Editore, 1987
Antonio Trentin, Antonio Giuriolo.
Un maestro sconosciuto, Vicenza,
Neri Pozza, 1984.
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29. Riferimenti filmici
I piccoli maestri, un film di
Daniele Luchetti, 1997.
Ritratti. Luigi Meneghello, un
film di Carlo Mazzacurati e
Marco Paolini, 2002.
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