Life strong - Dal cancro al master sport
Emanuele Conti
ANNO EDIZIONE: 2018
GENERE: Libro
CATEGORIE: Storie di sport
ISBN: 9788860285799
PAGINE: 128
Diario di un maratoneta del ferro
Una storia di "vita vissuta" che Emanuele Conti ha voluto mettere a disposizione di chi combatte ogni giorno con malattie più o meno gravi ma anche a chi, pur godendo di ottima salute, smette di credere nei propri mezzi o abbandona l'inseguimento del proprio sogno.
Un inno all'allenamento sportivo che non è solo tecnica, programmazione e alimentazione, ma soprattutto forza mentale, in forma di convinzione e determinazione, e sono queste qualità che nessuno potrà mai regalare e che non sono acquistabili: o si riesce a captarle fra le proprie risorse interne o non si potranno mai raggiungere i propri obiettivi e coronare i propri sogni.
Convinzione e determinazione necessarie nel caso specifico, non solo a raggiungere un importantissimo traguardo agonistico (ii titolo di Master Sport nel Kettlebell Lifting, la disciplina praticata da Emanuele Conti), ma a combattere ii cancro, che, quando insorge, è in grado di togliere tutto quello che viene dato per scontato nel quotidiano e che invece scontato non è.
Una sorta di esempio e invito a godere della semplicità nella vita quotidiana, prima e senza necessariamente dover affrontare per comprenderne la grande positiva valenza, prove estreme come quella affrontata dall'Autore.
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Pagine da insegnare il rugby in età scolastica.pdf
Pagine da Life strong, dal cancro al master sport
1. Diario di un Maratoneta del Ferro
Cap. 1 - LIFE STRONG: O SI È ALLA MODA O SI È FORTI
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L
ife Strong… tradotto in italiano “Vita forte”.
Questo è il motto/titolo della mia attività sportiva, il nome che ho messo al
centro operativo della Umbria KTC, associazione sportiva che ho fondato
nel 2010, una realtà sportiva di 400 persone in un piccolo centro abitato come
Avigliano Umbro di poco più di 2000 anime.
Qualcuno già potrebbe aver sentito qualcosa di simile.
Infatti il nome non è altro che una modifica di un altro brand molto più popolare
e conosciuto… LIVE STRONG, coniato e reso famoso dal campione di ciclismo
Lance Armstrong che in seguito alla sua malattia, il cancro al testicolo, creò que-
sta fondazione i cui proventi sono destinati proprio alla lotta al cancro.
Forse era destino, forse solo una semplice coincidenza… fatto sta che nel 2013
presi quel nome, cambiai una lettera e lo feci mio, perché mi piaceva e ammiravo
il fine e la motivazione che aveva portato uno sportivo di successo a dare vita a
quel progetto… due parole che però hanno un significato semplice, concreto e
diretto: LIVE STRONG, vivere forte… LIFE STRONG, vita forte… insomma cam-
biando un fattore il risultato, la sostanza non cambia: nella vita bisogna essere
forti, punto.
In una società in cui imperversano le mode ed il consumismo, in cui si guarda
all’apparenza delle cose e non alla sostanza, in cui l’abito fa il monaco bisogna
dare realmente peso alle cose che contano.
Ed ecco che si arriva alla frase/spot “o si è alla moda o si è forti” coniata da Pavel
Tsatsouline, l’istruttore russo che mi fece conoscere il kettlebell nel 2007, in uno
dei suoi articoli.
Tutti noi abbiamo delle idee, degli obiettivi, dei sogni.
Le parole non contano, contano solo i fatti che ognuno di noi fa nel concreto ogni
giorno per far si che quell’idea, sogno, desiderio si avveri… tanti dicono di volere
fortemente qualcosa, molti si fermano prima ancora di cominciare, la gran parte
abbandona a metà del percorso quando comincia la salita, alla prima difficoltà.
Quelli che arrivano al traguardo senza inganni si contano sulle dita di una mano…
ed in quello che racconto in queste pagine posso dire con orgoglio e fierezza che
io sono una di quelle dita.
In tutto questo turbinio di frivolezze e bombardamenti commerciali trovano spie-
gazione le pomate e bibite magiche per dimagrire, il doping per eccellere nello
sport, offerte miracolose per acquistare un determinato oggetto, le raccomanda-
zioni per ottenere un posto senza fare concorsi oppure fare soldi facili con attività
illegali e all’apparenza “facili” con due clic dal pc di casa comodamente seduto
mentre sorseggi una bevanda drenante…
2. Diario di un Maratoneta del Ferro
Cap. 2 - UMBRIA KTC: CRONOSTORIA DI UN SUCCESSO
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O
gnuno di noi ha una sua storia, fatta di piccoli - grandi avvenimenti che ne
determinano il corso. Nella prima fase della mia vita, fino ai 25 anni, a livel-
lo lavorativo e sportivo tutto è filato via secondo le linee guida che la mia
famiglia prevedeva. Nessuna forzatura, per carità, mi spiego meglio.
L’iscrizione alla scuola superiore è vincolata in molti casi a quello che un genitore
pensa sia meglio per il figlio per il suo futuro lavorativo. Nel mio caso iscriversi all’I-
stituto Tecnico per Geometri era una semplice conseguenza di avere un padre con
un’impresa edile ed uno zio con lo studio tecnico, tutto avviato e stabile.
Ti diplomi, fai il tirocinio, svolgi l’esame di stato per l’abilitazione alla libera profes-
sione, ritiri il timbro. Tutto scritto insomma, tutto come da “copione”.
A livello sportivo giochi a calcio, perché tutti fanno questo sport nel tuo paese,
anche perché non vi è offerta se non quella della “società sportiva” (così viene de-
finita ad Avigliano la squadra di calcio, almeno fino a quando non ho messo in piedi
la Umbria KTC, vera ed unica realtà sportiva a 360° che coinvolge davvero tutti).
Iniziai a 12 anni (fortunatamente prima mi fecero fare nuoto nella stagione estiva
e ju jitsu in quella invernale per 4 anni e da addetto ai lavori oggi posso dire che
quelle esperienze sportive siano state senza dubbio indispensabili e molto forma-
tive per il mio bagaglio motorio… le scuole calcio a 5 anni sono deleterie specie
se svolte da personale non qualificato, ovvero quelli che fanno “gli allenatori di
serie A” e non gli insegnanti di educazione motoria) fino ad arrivare alla juniores,
18 anni, in cui ebbi come purtroppo accade in molti altri casi un grave infortunio al
ginocchio (crociati e menischi) che praticamente segnò la fine della mia “carriera”
calcistica, salvo qualche tentativo più tardi nel corso degli anni di riprendere l’at-
tività calcistica, facendo calcetto due anni e un anno di prima squadra in seconda
categoria ma senza grandi soddisfazioni. Gli ortopedici non mi convincono a fare
l’intervento di ricostruzione dei legamenti, in quanto sentivo l’arto stabile, ma a
livello mentale ormai non c’ero più, voglia di fare contrasti zero e paura di farmi di
nuovo male alta.
Va anche detto che a quei tempi non ero un grosso appassionato di esercizio fisico,
mi allenavo poco e male e non conducevo propriamente una vita da “atleta”. In-
fatti nella mia “prima vita” da geometra / giocatore di calcetto occasionale metto
su chili su chili, non conoscendo nulla di quello che oggi è il mio ambito lavorativo,
ovvero nutrizione e preparazione fisica. Avevo anche il vizio del fumo al tempo,
oltre quello degli eccessi alimentari (mangiare una merendina o meglio due per
volta oppure patate e broccoli era la stessa cosa per me, acqua o vino erano la
stessa cosa).
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os’è un kettlebell?
È un’antica arma russa contro la debolezza, l’AK 47 delle attrezzature spor-
tive, l’Harley Dadvison dei pesi direbbe Pavel.
Non è di certo l’ultima moda del mondo del fitness, l’attrezzo miracoloso utilizzato
da qualche vip dello spettacolo per essere magri e belli… è una disciplina sportiva
a tutti gli effetti, una tipologia del sollevamenti pesi, la pesistica del popolo come
lo definii nel titolo del mio primo libro.
Riporto di seguito la storia di questa antica forma di sovraccarico, un articolo che
ho tratto dal web (pagina Facebook del Team Mattera “la vera storia del kettle-
bell”) e che ne descrive molto bene l’origine e l’evoluzione storica del suo impiego.
Il kettlebell o girya (per dirlo alla russa) così come lo conosciamo oggi, si sviluppa
nella seconda metà del XX secolo ma il suo utilizzo e gli esercizi più famosi sono
in realtà patrimonio dell’umanità sin dall’antichità.
I primi kettlebell non nascono in Russia, perché i suoi natali risiedono nell’antica
Grecia, dove venivano assemblati veri e propri blocchi di pietra e ferro, utilizzati
per lo sviluppo ed il miglioramento delle qualità atletiche e belliche dei giovani
elleni.
Oggi, non a caso, proprio un museo in Grecia ospita il più grande kettlebell mai
realizzato: 143,5 kg e ben 68 cm di diametro, su cui è incisa la scritta “Bibon mi
sollevò sopra la sua testa con una mano”.
Purtroppo però ignoro chi sia Bibon e, anche se questo è sicuramente un record
impressionante, nessuno storico ci riporta con che gesto e quante volte questo
incredibile atleta abbia compiuto l’impresa.
Per farvi un’idea considerate però che ancora oggi esistono pochissimi record,
nel mondo, paragonabili a quello di Bibon e tutti eseguiti da vere leggende della
forza.
Nel 1913, ad esempio, il sollevatore russo George Lurihu esegue un Jerk ad una
sola mano con 121 kg.
Il mitico Paul Anderson ha un record personale di 10 Jerk ad una mano con 136 kg.
Infine è necessario ricordare il tedesco Arthur Saxon, non a caso noto come The
Iron Master, che nei primi anni del ‘900 scrisse il suo record personale sollevando,
in Windmill, un bilanciere da 159 kg.
I Kettlebell insomma hanno sempre fatto parte della preparazione atletica della
maggior parte degli sportivi d’élite, ma soprattutto hanno sempre fatto parte della
vita sociale e popolare di molte nazioni.
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l Girevoy Sport o Kettlebell Lifting è la disciplina sportiva, l’aspetto agoni-
stico di questo attrezzo.
È uno sport duro nel vero senso della parola, in cui per primeggiare non
basta essere molto forti o molto tecnici; a parità di abilità tecnica e forza vince
chi è più determinato mentalmente.’
È necessario possedere una certa dote: la RESILIENZA.
Wikipedia testualmente recita:
“la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento:
in ingegneria, la resilienza è la capacità di un materiale di assorbire energia di
deformazione elastica; in informatica, la resilienza è la capacità di un sistema
di adattarsi alle condizioni d’uso e di resistere all’usura in modo da garantire la
disponibilità dei servizi erogati; in ecologia e biologia, la resilienza è la capacità
di una materia vivente di autoripararsi dopo un danno, o quella di una comuni-
tà o di un sistema ecologico di ritornare al suo stato iniziale, dopo essere stata
sottoposta a una perturbazione che ha modificato quello stato; in psicologia,
la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici,
di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
La persona resiliente reagisce con tolleranza alla sofferenza e, invece di soc-
combere o lamentarsi con enfasi amplificando il problema, la sfida e trae forza
dalla sua impresa direzionando le sue energie verso cambiamenti risolutivi e
praticabili. Nell’arte la resilienza è la capacità dell’opera di conservare attra-
verso l’estetica la sua particolarità, nonostante la crescente soggettivazione.”
Personalmente credo che nello sport, che è la cartina al tornasole della vita
quotidiana, la resilienza sta nello spingere il corpo oltre il suo limite, senza farsi
fermare da contrattempi, sconfitte; nello spingersi oltre la fatica, il dolore ed i
sacrifici che l’allenamento e l’agonismo richiede.
E se esiste uno sport che incarna perfettamente questo spirito, questa peculia-
rità è senza dubbio il Girevoy o Kettlebell Sport.
Sentire il cuore che scoppia sotto il carico di due grosse ghirie, il respiro pe-
sante, i muscoli in fiamme, le ossa dolenti ed il cervello che dice di poggiare
in terra i pesi… ma quello significa arrendersi, fallire ed in definitiva perdere.
Ecco perché ai miei allievi dico sempre che quello che conta è in primis portare
a termine la gara, indipendentemente dal numero di ripetizioni fatte.
Entrando nell’aspetto tecnico, sportivamente parlando è di una completezza
quasi unica, per certi versi un po’ assurda: è un po’ come se mischiate una gara
di mezzofondo su pista al sollevamento pesi tradizionale.
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“N
on c’ è mai un motivo per quello che accade.
La vita è fatta di giorni come questo in mezzo agli altri”.
Con queste parole cercava di trovare una spiegazione Mar-
cus all’amico John in merito alla morte improvvisa della moglie a causa di
una malattia.
In questa citazione tratta dal film “John Wick” trovo la semplice spiegazio-
ne sul perché ognuno di noi si ritrovi ad affrontare nel corso della propria
vita momenti felici ed altri meno, alcuni drammatici.
Qualcuno ne fa un discorso legato al destino, chi alla fortuna, chi alla volon-
tà divina… tenendo in conto che l’essere umano deve sempre trovare un
nesso causale agli avvenimenti credo sia comprensibile che uno si affidi alle
divinità o a qualcosa di superiore quando non riesce a spiegarsi qualcosa.
A me piace pensarla come Marcus, non c’è sempre un perché a quello che
succede.
Accade e basta.
Comunque per me il giorno diverso è il 28 febbraio 2015… fino ad allora
tutto bene, soddisfazioni lavorative, una vita familiare ed affettiva stabile e
serena, e allenamenti pesanti per raggiungere nuovi risultati e due lettere,
MS ovvero Master Sport, il mio pallino sportivo.
Il 28 febbraio 2015 dicevo… vado a farmi una ecografia ad un ginocchio
dolorante da tempo per una caduta accidentale… dinanzi il dottore mi dico
che forse è il caso di fare un’esame ai testicoli per verificare un varicocele
diagnosticato qualche anno prima, dietro non pochi solleciti della mia ra-
gazza e mia madre, ma sempre trascurati perché si è sempre troppo indaf-
farati a fare qualcosa di più importante (o almeno si pensa).
L’espressione scura in volto del medico fece il resto… mi ritrovai a fare ulte-
riori accertamenti e visite specialistiche fino alla diagnosi unanime: semino-
ma classico al testicolo sinistro, un tumore maligno insomma.
Cosa si pensa quando ti dicono che hai un tumore? Tutto e niente… non
mi ha mai fatto paura l’idea di morire, quindi se non ti preoccupi di quello
che è il peggiore dei mali non rimane che essere concentrato sul da farsi,
non su quello che potrebbe essere e poi magari non è… non lascio tempo
ai pensieri, quelli non curano nulla, ma solo alle cose da fare per rimediare,
fare il possibile per lasciarsi tutto alle spalle o perlomeno provarci per non
avere mai rimorsi.
Nel giro di 15 giorni intervento a Pisa con il Prof. Mariani, dopodiché un
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ipresa l’attività agonistica il passo successivo sul percorso che portava
al titolo di Master Sport nelle maratone era quello di ottenere lo step
precedente, il Candidato Master Sport, ovvero effettuare 750 ripetizio-
ni di slancio con la ghiria da 24 kg.
Prefissai il raggiungimento di quell’obiettivo per la gara di fine anno, prevista
a Castano Primo il 12 dicembre.
Su indicazione del Maestro Ilika la gara ad Avigliano servì pure come prima
prova della Ultimate Girevik Cup, competizione internazionale di mezza mara-
tona che prevedeva tre fasi, la terza della quale da svolgersi in Danimarca nel
mese di dicembre.
Ricordo ancora che questa nuova esperienza all’orizzonte, ovvero la partecipa-
zione ad una gara internazionale, la prima per me, si sommò al già grande en-
tusiasmo per l’essere tornato in pedana generando una grande spinta interiore
ad affrontare con rinnovata fiducia e convinzione la vita quotidiana, lasciando
definitivamente alle spalle le vicissitudini dei mesi appena trascorsi.
Questo fu fondamentale in quanto la fase successiva alla chemio, quella del
follw up, fu piena di controlli, esami diagnostici e visite.
Fare ogni volta una risonanza ed aspettare una risposta che si spera negativa
non è di certo piacevole, però avere la mente occupata dagli impegni lavorati-
vi e dagli allenamenti aiuta, come già detto a non pensare troppo.
Ed è così che il 6 dicembre 2015 si vola in Danimarca, a Sondeborg, per la fase
finale della Ultimate Girevik Cup.
Nazionale Italiana Maratone Ultimate Girevik Cup 2015
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imane quindi l’ultimo gradino, quello che porta in cima alla montagna,
ovvero il tentativo nella maratona di slancio con il 32 kg.
È arrivato il momento del “Massimo sforzo” come direbbe il supe-
reroe della Marvel, Deadpool, anch’esso divenuto invincibile dopo il cancro
(motivo per cui indosso la maglietta con il suo logo nelle gare).
Per raggiungere il Master Sport occorrono 700 ripetizioni per gli atleti fino a 80
kg e 750 per quelli fino a 90 kg.
Io oscillo sempre intorno alla soglia, 79-81 kg, quindi spesso mi sono ritrovato
a fare i conti con la bilancia per evitare di cadere nella categoria con atleti più
pesanti di me.
Comincio a familiarizzare con la “rossa” da 32 kg partecipando alla mia prima
mezza maratona di slancio con la ghiria da due pud a Torino il 31 gennaio
2016, chiudendo i 30 minuti con 314 ripetizioni.
Per le 700 ripetizioni la strada è ancora molto lunga penso, ma come primo
approccio va bene così.
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E
ccoci quindi alla conclusione di questo che non definirei né un romanzo,
né una autobiografia, né un manuale tecnico, né di mental coaching…
ma un po’ di tutto questo.
È rivolto a tutti e nessuno in particolare, ma credo che chiunque può trovare
qualche spunto in una delle sue tante sfaccettature.
Una storia di sport e di vita che non ha la pretesa di insegnare niente a nessuno
ma che, dopo non poche riflessioni, ho deciso di mettere nero su bianco per
cercare di dare una mano a tutte quelle che persone che affollano gli ospedali
ed in particolare i reparti di oncologia.
E vi posso garantire che sono davvero tante… basta farci un giro in un giorno
qualsiasi.
Ognuna con una sua storia, una sua vita.
La mia è questa, ed è una storia con il lieto fine come nelle favole, una di quelle
“e vissero felici e contenti”, almeno per ora.
Molti si chiedono perché succede… non c’è risposta a questo quesito; di cer-
to bisogna fare in modo di ridurre i rischi e prevenire per quanto è possibile
quanto si è in salute.
Due fattori fondamentali quanto risaputi sono l’ambiente in cui viviamo e l’ali-
mentazione con la quale ci nutriamo.
Sul primo aspetto, nonostante si viva in un mondo inquinato, si sta cercando
di fare qualche passo in avanti rispetto al passato; perlomeno vi è una mag-
giore sensibilità sul problema, che innegabilmente esiste e tutti noi nel nostro
piccolo dobbiamo contribuire affinché la situazione migliori, anche nei piccoli
gesti quotidiani.
Da quanto posso vedere anche nella mia attività lavorativa è sul secondo pun-
to, quello alimentare, che manca ancora una presa di coscienza e una consa-
pevolezza del problema.
La qualità della nostra alimentazione in Occidente negli ultimi decenni è net-
tamente peggiorata, per via del proliferare del consumo di cibo spazzatura,
sia per i tempi frenetici che non ci lascia più neanche il tempo di fare un pasto
equilibrato e sano a tavola.
Ovviamente poi ci sono i vizi, come il fumo e l’alcol, che fanno il resto.
Quando si parla di prevenzione si parla di questo, evitare quello che è concla-
mato faccia male.
L’attività fisica poi è il principale fattore di prevenzione, tutti devono muoversi
di più visto che la società moderna, ipertecnologia e multimediale, sin dall’in-
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