2. 1785: nasce a
Milano
1791-1800:
studia presso i
Somaschi e i
Barnabiti
1801-05: primi
componimenti
poetici di stile
neoclassico
1805-07:
soggiorno a
Parigi.
Amicizia con
gli idéologues
1808: sposa
Enrichetta Blondel
1810: conversione al
cattolicesimo
1811-15:
compone i
primi quattro
inni sacri.
1817-19: la
Pentecoste
1816-19: Il Conte
di Carmagnola
1820-21: Adelchi.
Nell’aprile 1821 inizia I
promessi sposi.
Scrive Il cinque
maggio
1827: prima
edizione a
stampa de I
promessi sposi
1840-42:
seconda
edizione de
I promessi
sposi
1868: interpellato
dal Ministro
Broglio scrive una
Relazione intorno
all’unità della
lingua e ai mezzi
per diffonderla
22
maggio
1873:
muore a
Milano
CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
3. L’IDEOLOGIA: le influenze culturali…
Classicismo giovanile
Inclinazione alla cultura illuministica e razionalista del tardo Settecento
milanese, filtrata anche da una memoria familiare
la madre era figlia di Cesare Beccaria,
autore del trattato giuridico Dei delitti e delle
pene e animatore della rivista “Il Caffè”.
Incontro con gli Idéologues durante il soggiorno parigino
Incontro con la cultura romantica
4. • valori umani di libertà e giustizia reinterpretati in chiave cristiana
• condanna dei pregiudizi
• funzione educativa dell’arte
L’IDEOLOGIA: le influenze culturali…
5. • interesse per le masse anonime, di cui la storia ufficiale non parla
• attenzione al carattere popolare e nazionale della letteratura
L’IDEOLOGIA: le influenze culturali…
6. • storicismo, ovvero interesse e attenzione ai fatti storici
• forte attenzione al dramma degli “umili” (non tanto in termini sociali o
economici, ma psicologici e interiori)
• adesione ad una letteratura civile e impegnata su più fronti, da quello
etico a quello storico
L’IDEOLOGIA: le influenze culturali…
demolizione dei pregiudizi estetici neoclassici
7. ..la concezione della storia
posizioni antilluministe: negazione della fiducia nel progresso
pessimismo storico: la vittoria del male e della violenza
fine provvidenziale della storia
indagine storica fondata sulla fusione tra ragione e cattolicesimo
8. LA POETICA
Nella Prefazione di Il conte di Carmagnola (1820) Manzoni argomenta i
cambiamenti più significativi che ha portato nella rappresentazione del dramma
storico, in particolare l'introduzione del Coro. Quest’ultimo permette all’autore di
esprimere idee e sentimenti propri senza immedesimarsi nei personaggi, vale a
dire come “cantuccio”; in questo modo la realtà storica (il “vero”) viene separata
dalla fantasia e dalle passioni del poeta, e quindi rispettata.
M’è parso che, se i Cori dei greci non sono combinabili col sistema tragico
moderno, si possa ottenerne in parte il loro fine, e rinnovarne lo spirito,
inserendo degli squarci lirici composti sull'idea di que’ Cori. Se l'essere questi
indipendenti dall'azione e non applicati a personaggi li priva d'una gran parte
dell'effetto che producevano quelli, può però, a mio credere, renderli
suscettibili d'uno slancio più lirico, più variato e più fantastico […] Hanno
finalmente un altro vantaggio per l'arte, in quanto, riserbando al poeta un
cantuccio dov'egli possa parlare in persona propria, gli diminuiscono la
tentazione d'introdursi nell'azione, e di prestare ai personaggi i suoi propri
sentimenti: difetto dei più notati negli scrittori drammatici.
9. Nella Lettera al signor Chauvet (1823) Manzoni analizza il rapporto che
intercorre tra poesia e storia.
• il compito del poeta è diverso da quello dello storico, perché è differente il modo in cui poesia e
storia affrontano il vero.
Lo storico L’artista
espone e precisa indaga e intuisce
i fatti la dimensione umana
dei protagonisti della
storia (grandi e umili)
ricavati da non si
ricava da è svelata da
le fonti ufficiali immaginazione e “simpatia”
testimoniano solo permettono di intuire
I grandi avvenimenti… i segreti più intimi
i grandi destini del cuore degli uomini
10. Dunque tra storia e poesia c’è una integrazione reciproca: il vero poetico completa e
interpreta il vero storico. Pertanto l’opera letteraria ha valore:
• etico, perché ricostruisce il significato morale della storia nell’intreccio tra dramma degli
individui e contraddizioni di un’epoca;
• religioso, perché interpreta la realtà storica alla luce del mistero dell’animo e della
presenzia di Dio nelle vicende umane (Tutto ciò che la volontà umana ha di forte e di
misterioso, tutto ciò che la sventura ha di religioso e di profondo, il poeta può intuire…)
11. Nella lettera a Cesare d’Azeglio “Sul Romanticismo” Manzoni distingue due aspetti del
romanticismo: la parte negativa, che consiste in tutto ciò che il movimento rifiuta; la parte
positiva, che comprende i principi essenziali della nuova concezione dell’arte.
LA PARTE NEGATIVA - Il poeta moderno e romantico:
• rifiuta la mitologia, perché culto idolatra, perché trasmette valori e passioni terrene non compatibili
con il pensiero religioso
• rifiuta le regole, perché sono di impaccio agli scrittori di genio e un’arma in mano ai “pedanti”; in
particolare Manzoni rifiuta le unità aristoteliche di luogo e di tempo perché tradiscono il vero della storia
umana e lo scopo morale dell’opera letteraria; esse infatti costringono l’autore a portare in scena azioni
e circostanze forzate, passioni eccessive e temi esasperati
• rifiuta l’imitazione banale dei classici ma non il loro studio
LA PARTE POSITIVA - Elementi essenziali della poesia
• L’interessante per mezzo. La poesia deve proporre materiali e motivi che aprono nuovi orizzonti
culturali e morali
• L’utile per scopo. La poesia deve avere un fine educativo e deve essere un ripensamento critico
sull’uomo e sul suo rapporto tra bene e male
• Il vero per oggetto. Manzoni rifiuta una concezione della poesia come invenzione dei fatti. Il fine di
quest’ultima è di completare la storia. Infatti alla storia (vero storico) è affidato l’esposizione obbiettiva
dei fatti, invece alla poesia (vero poetico) è delegata l’analisi dei sentimenti e dei pensieri.
12. “Quanto alla mitologia, i Romantici hanno detto, che era cosa assurda parlare del falso riconosciuto,
come si parla dei vero, per la sola ragione, che altri, altre volte, l'hanno tenuto per vero; cosa fredda
l'introdurre nella poesia ciò che non richiama alcuna memoria, alcun sentimento della vita reale; cosa
noiosa il ricantare sempre questo freddo e questo falso; cosa ridicola ricantarli con serietà, con un'aria
reverenziale, con delle invocazioni, si direbbe quasi ascetiche.
I Classicisti hanno opposto che, levando la mitologia, si spogliava la poesia d'immagini, le si levava la vita.
I Romantici risposero che le invenzioni mitologiche traevano, al loro tempo, dalla conformità con una
credenza comune, una spontaneità, una naturalezza, che non può rivivere nelle composizione moderne,
dove stanno a pigione.”
“Ma la ragione, per la quale io ritengo detestabile l’uso della mitologia, e utile quel sistema che tende ad
escluderla, non la direi certamente a chiunque, per non provocare delle risa, che precederebbero, e
impedirebbero ogni spiegazione; ma non lascerò di sottoporla a Lei, che, se la trovasse insussistente,
saprebbe addirizzarmi, senza ridere. Tale ragione per me è, che l’uso della favola è idolatria. Ella sa molto
meglio di me, che questa non consisteva soltanto nella credenza di alcuni fatti naturali e soprannaturali:
questi non erano che la parte storica; ma la parte morale era fondata nell’amore, nel rispetto, nel
desiderio delle cose terrene, delle passioni, de’ piaceri portato fino all’adorazione, nella fede in quelle
cose come se fossero il fine, come se potessero dare la felicità, salvare. L’idolatria in questo senso può
sussistere anche senza la credenza alla parte storica, senza il culto; può sussistere purtroppo anche negli
intelletti persuasi della vera Fede: dico l’idolatria, e non temo di abusare del vocabolo, quando San Paolo
l’ha applicato espressamente all’avarizia, come ha anche chiamato Dio de’ golosi il ventre.”
Diapositiva 11
13. “Quello che i Romantici combattevano, è il sistema d'imitazione, che consiste
nell'adottare e nel tentare di riprodurre il concetto generale, il punto di vista
dei classici, il sistema, che consiste nel ritenere in ciascun genere
d'invenzione il modulo, ch'essi hanno adoprato, i caratteri che ci hanno
impressi, la disposizione, e la relazione delle diverse parti; l'ordine e il
progresso de' fatti, ecc. Questo sistema d'imitazione, dei quale ho appena
toccati alcuni punti; questo sistema fondato sulla supposizione a priori, che i
classici abbiano trovati tutti i generi d'invenzione, e il tipo di ciascheduno,
esiste dal risorgimento delle lettere; forse non è stato mai ridotto in teoria
perfetta, ma è stato ed è tuttavia applicato in mille casi, sottinteso in mille
decisioni, e diffuso in tutta la letteratura.”
Diapositiva 11
14. “E quale in fatti, aggiungevano i Romantici, è l’effetto più naturale del dominio di
queste regole? Di distrarre l’ingegno inventore dalla contemplazione del soggetto,
dalla ricerca dei caratteri propri e organici di quello, per rivolgerlo e legarlo alla
ricerca e all’adempimento di alcune condizioni affatto estranee al soggetto, e quindi
d’impedimento a ben trattarlo. E un tale effetto non è forse troppo manifesto? Queste
regole non sono forse state per lo più un inciampo a quelli, che tutto il mondo chiama
scrittori di genio, e un’arme in mano di quelli, che tutto il mondo chiama pedanti?
[…] Il fine di quelle proposizioni era di sbandire ogni regola dalle cose letterarie,
d'autorizzare, di promuovere tutte le stravaganze, di riporre il bello nel disordinato. “
Diapositiva 11
15. “Mi limiterò ad esporle quello che a me sembra il principio generale a cui si possano
ridurre tutti i sentimenti particolari sul positivo romantico. Il principio, di necessità tanto
più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter esser questo: che la poesia e la
letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante
per mezzo. Debba per conseguenza scegliere gli argomenti pei quali la massa dei lettori ha
o avrà, a misura che diverrà più colta, una disposizione di curiosità e di affezione, nata da
rapporti reali, a preferenza degli argomenti, pei quali una classe sola di lettori ha una
affezione nata da abitudini scolastiche, e la moltitudine una riverenza non sentita né
ragionata, ma ricevuta ciecamente. E che in ogni argomento debba cercare di scoprire e di
esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e
perpetua sorgente del bello: giacché e nell’uno e nell’altro ordine di cose, il falso può bensì
dilettare, ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione del vero; è quindi
temporario e accidentale. Il diletto mentale non è prodotto che dall’assentimento ad una
idea; l’interesse, dalla speranza di trovare in quella idea, contemplandola, altri punti di
assentimento e di riposo: ora quando un nuovo e vivo lume ci fa scoprire in quella idea il
falso e quindi l’impossibilità che la mente vi riposi e vi si compiaccia, vi faccia scoperte, il
diletto e l’interesse spariscono. Ma il vero storico e il vero morale generano pure un diletto,
e questo diletto è tanto più vivo e tanto più stabile, quanto più la mente che lo gusta è
avanzata nella cognizione del vero: questo diletto adunque debbe la poesia e la letteratura
proporsi di far nascere.”
Diapositiva 11
16. “Ma, obietterà qualcuno, se si toglie al poeta ciò che lo distingue dallo
storico, cioè il diritto di inventare fatti, cosa gli resta? Cosa gli resta? la
poesia; sì, la poesia. Perché, in sostanza, cosa ci dà la storia?
avvenimenti noti, per così dire, solo esteriormente; ciò che gli uomini
hanno fatto; ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno
accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e
insuccessi, i discorsi con i quali hanno fatto e cercato di far prevalere
le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e altre volontà, con i
quali hanno espresso la loro collera, effuso la loro tristezza, con i quali
in una parola, hanno manifestato la loro individualità, tutto ciò, tranne
pochissimo, è passato sotto silenzio dalla storia, e tutto ciò forma il
dominio della poesia.”
Diapositiva 11
17. Anche la “questione della lingua” riveste un ruolo centrale nell’opera manzoniana,
come testimoniano numerosi saggi e lettere e la rielaborazione quasi ventennale
dei Promessi sposi. Manzoni aveva una concezione popolare della letteratura: il
pubblico al quale intendeva rivolgersi non era solo quello degli intellettuali e dei
letterati ma quello, più vasto, medio-borghese. Di qui sorge l’esigenza di una lingua
viva e comprensibile a tutti, constatata la differenza tea le parlate regionali e la
lingua scritta.
Concezione popolare della letteratura (Berchet e “Il Conciliatore”)
La questione Lettera a Giacinto Sulla lingua italiana (1850) e Dell’unità della
linguistica lingua (1868):necessità di una lingua unitaria per rafforzare il
processo di unificazione
Fermo e Lucia (1821-23): lingua mista,
Le soluzioni letteraria e d’uso
linguistiche nei
Promessi sposi I Promessi sposi(1827): toscanizzazione
“libresca”(autori del Trecento e del Cinquecento)
I Promessi sposi (1840): impiego del toscano
parlato