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Cristina Saottini
     Gruppo e banda
L’intervento con adolescenti che commettono reati.
Nell’attività condotta in questi anni come psicologi consulenti dei Servizi della
Giustizia Minorile di Milano, ciò a dire il servizio sociale per i minori, il centro di
prima accoglienza e il carcere minorile, ci siamo confrontati spesso con ragazzi che
hanno commesso reati in gruppo.
Vorrei quindi proporre alcune riflessioni su un certo tipo di gruppo di adolescenti
generalmente maschi, che commettono reati, in cui l’essere “banda” non ha ancora le
caratteristiche di un gruppo dedito ad atti organizzati di delinquenza, bensì è
composto da tre o quattro amici, a volte anche di più, che improvvisamente si
ritrovano all’interno del sistema penale, dopo aver commesso un’azione di cui in
molti casi ignoravano la gravità e le conseguenze.
E’, infatti, importante cercare di differenziare la qualità psichica delle diverse
aggregazioni giovanili che si presentano come gruppi devianti o dediti ad attività
delittuose. Per esempio la cronaca recente ci ha messo a confronto con un grave
delitto, una strage di coetanei commessa da due ragazzi allievi di una scuola
superiore degli Stati Uniti e conclusasi con la morte, che è parsa cercata, in un’orgia
di onnipotenza, degli assassini. In questo caso si trattava i due ragazzi uniti da un
legame folle e non quindi di un gruppo, ma questa dinamica talvolta può coinvolgere
anche un numero maggiore di ragazzi che stabiliscono un patto di follia, promosso da
uno di loro e condiviso ciecamente dagli altri, perché cieca può diventare nei gruppi
la fedeltà ad un capo se questi prende per i membri il posto dell’Ideale, come Freud
aveva descritto. Questa costruzione psicotica del gruppo non è specifica dei gruppi di
adolescenti poiché è riscontrabile, anche con maggior frequenza nei gruppi di adulti.
Talvolta gli adolescenti che fanno parte di sottoculture devianti, possono ritrovarsi in
bande organizzate e costruite gerarchicamente dedite a reati, dipendenti o autonome
dal controllo degli aduli o addirittura in concorrenza con loro. Al contrario in alcune
culture, in quella dei nomadi per esempio, il furto è prerogativa degli adolescenti che
definiscono il loro peso sociale attraverso l’abilità nell’organizzarsi in piccoli gruppi
di ladri, mentre dopo la maggiore età questa competenza non è più un valore ma un
segno di debolezza e di scarsa autorità.
I gruppi di cui vorrei parlare sono quelli che si costituiscono in un’area intermedia tra
espressività e devianza, che nascono come sostegno alle difficoltà della crescita e si
trasformano, anche accidentalmente, in vicoli chiusi.
Il gruppo in adolescenza, infatti, costituisce naturalmente, direi fisiologicamente,
un’esperienza fondamentale per la costruzione della propria identità.
    L’alleanza che si stabilisce tra i membri del gruppo, ha una funzione emancipativa,
sostiene il distacco dai genitori dell’infanzia e consente contemporaneamente di
sperimentare relazioni di dipendenza che aiutano l’attraversamento delle fasi di
regressione, di cui l’adolescenza è intessuta.
    Il gruppo chiede di essere amato e sostenuto e in cambio dà amore e sostegno in
una relazione di reciprocità che dà il coraggio di affrontare i lutti adolescenziali,
quello dai genitori idealizzati e dall’onnipotenza infantile in cui non esisteva l’idea
del limite e della morte.
     Per i singoli membri è reale e giusto ciò che il gruppo considera giusto, l’amicizia
con i pari serve a ri-nominarsi e a costruire un ambito in cui, attraverso relazioni
paritarie, emotivamente gratificanti e sottratte alla dipendenza dai genitori, i valori di
riferimento cambiano per costruire l’età adulta. Lo sguardo dei coetanei, la loro
approvazione, il riconoscersi uguali anche in una dimensione che può apparire agli
occhi degli adulti banalizzante e conformistica, all’interno di un gruppo d’amici,
assume una funzione di enorme importanza nel processo di crescita, di ridefinizione
di Sé e di costruzione dei modelli di ruolo sessuale e sociale. In questa dimensione
l’amicizia non è tanto la fonte del coraggio per affrontare l’eterosessualità, poiché
intorno ai sedici anni è il gruppo degli amici, più che le relazioni con l’altro sesso a
costituire l’oggetto affettivo centrale e il punto di riferimento privilegiato sia per la
costruzione di nuovi valori sia per l’esame di realtà.
    Tutto ciò porterà in condizioni di sviluppo “normali” alla compiuta
consapevolezza della propria capacità di desiderare, dei propri limiti e dell’esistenza
dell’altro, separato e differente da sé, che per questo può essere perso e che ha
bisogno d’attenzione per essere conservato.
    Ma se questa centralità della dimensione gruppale in adolescenza é generalmente
un fattore di crescita, può in alcuni casi trasformarsi in fattore di rischio per lo
sviluppo individuale. In situazioni di difficoltà evolutiva il gruppo può fallire il suo
compito di sostegno alla nascente identità dell’adolescente.
    Il gruppo, infatti, seduce verso la nuova nascita, come lo sguardo della madre
“seduce” il bambino alla vita, come efficacemente ci dice Winnicott. Il termine
sedurre condivide l’inquietudine che suscitano altri termini analoghi, per esempio
quello di trasgredire, così pertinente alla situazione adolescenziale, o quello di
colludere. Sed-ducere vuol dire far deviare dal proprio cammino, ma questo è anche
un compito per l’adolescente, come lo è trans-gredior, l’andare oltre, o colludere
cum-ludere, giocare insieme.
    La doppia e contrapposta accezione che questi termini suggeriscono, sottolinea
come il gruppo dei pari possa in generale aiutare ma in alcuni casi ostacolare
l’evoluzione della ricerca dell’identità in adolescenza, enfatizzare anziché sostenere
le difficoltà dei singoli membri. Il gruppo, infatti, assumendo per i suoi membri la
funzione di Io ideale può a volte costituire un ambito esclusivamente fusionale, in cui
non si sperimentano i rischi legati all’individuazione, ma si permane in una
dimensione non differenziata, che riproduce le caratteristiche della relazione con
l’oggetto arcaico e consente di continuare ad illudersi sulla propria onnipotenza e a
rimandare il lavoro del lutto. Il gruppo sembra in questi casi rappresentare
un’estensione quasi corporea di ogni soggetto in cui non trova spazio il pensiero che
scandisce le differenze.
  Se per l’adolescente non è possibile uscire dalla seduzione dell’oggetto arcaico, il
gruppo se ne può fare portatore non consentendo il traghettamento verso nuovi
approdi.
In questo caso il gruppo non è più un campo di prova per la nascente identità, ma una
riedizione di uno spazio d’illusione infantile, che non consente l’ingresso alla naturale
de-illusione che porta alla consapevolezza delle proprie capacità e limiti.
I gruppi di coetanei, che costituiscono normalmente un potente aiuto alla crescita ed
alla separazione che rende autonomi dalla famiglia, possono diventare in situazioni
problematiche un’estensione dell’area della dipendenza infantile, segno di un Sé non
individuato, in cui l’isolamento sociale - inteso come non realizzazione degli obiettivi
di nascita sociale propri dell’adolescenza - si ripropone nella dimensione non
differenziata del gruppo.
In situazioni di questo genere, possono, per esempio, essere commessi reati diversi
per tipo e per gravità, accomunati dal fatto di nascere in modo all’apparenza
improvviso come se fossero prodotti dalla mente collettiva del gruppo. E’ come se in
un attimo un gruppo di amici di antica data o anche solo occasionali, riuniti per stare
insieme, senza il bisogno di alcuna particolare progettazione e senza alcuna
riflessione riguardo alle conseguenze dell’azione, fosse preso da un’idea che chiede
urgentemente di essere messa in atto. Sembra di intravedere il desiderio comune di
trionfare su un senso di noia, di impotenza, di insostenibile limite della propria
sfilacciata immagine di sé.
     Il reato avviene in questo particolare clima emotivo, come realizzazione di una
fantasia collettiva, in una dimensione di non pensiero che i ragazzi si trovano a
condividere, catturati da una fantasia affettiva di gruppo che è proposta ed agita da
chi per esempio, è più coinvolto in una dinamica conflittuale familiare, mentre altri
partecipano o assistono senza intervenire per impedirlo.
   Il clima condiviso su cui si costruisce l’alleanza estemporanea è caratterizzato
dallo sforzo di vincere la noia, cercando di evitare le responsabilità quotidiane o il
senso di frustrazione che il fallimento scolastico produce.
    I membri non costituiscono una banda in senso sociale, poiché non sono
gerarchicamente strutturati e non hanno ruoli definiti e riconosciuti. Sono piuttosto
un’aggregazione transitoria, accomunata dal prolungato evitamento dall’impegno
scolastico e dall’assenza di controllo adulto, composta in genere da tre o quattro
ragazzi, anche se vi sono casi di compagnie più numerose.
     Qualche volta si tratta di ex compagni di scuola, ragazzi cresciuti nello stesso
quartiere, che si frequentano abitualmente ciondolando negli stessi luoghi di incontro
senza trovare progetti realizzabili per passare il tempo e divertirsi. Qualcuno lavora
senza continuità, altri sono reduci da ripetuti fallimenti scolastici e cercano senza
troppa convinzione un impiego che sembra sempre troppo deludente.
    Sono accomunati, oltre che dall’età, da un senso di inutilità che dà la temperatura
delle loro difficoltà evolutive.
    E’ all’interno di questo clima di noia condivisa, di sospensione del fare quotidiano,
che nasce l’idea di un’azione, in cui sembra potersi magicamente coagulare una
fantasia che accomuna il gruppo, quella di trionfare senza pensiero sulla percezione
di un limite che viene sentito come insuperabile.
Anche quando si tratta di un’azione più volte ripetuta (ad esempio il "gioco" di
sottrarre il berretto griffato a coetanei colpevoli di possederlo) la decisione è ogni
volta improvvisa e sembra obbedire a un impulso irresistibile, più che essere
premeditata. Impulso quasi coatto che assomiglia ad un rituale di dipendenza che é
difficile interrompere. Non sono, infatti, i ragazzi a interrompere di solito questo
genere di imprese, ma un qualche evento esterno, in genere l’essere stati sorpresi in
flagrante da qualche adulto, qualche volta i genitori o gli insegnanti, qualche volta le
forze dell’ordine, oppure il determinarsi di conseguenze che superano largamente le
intenzioni dei "colpevoli", con danno grave ed imprevisto per altri o magari per uno
stesso membro del gruppo.
La gravità del reato progettato può essere diversa: dall’omicidio commesso senza
alcuna consapevolezza, quasi per gioco, dello sgradito frequentatore di un parco,
all’improvviso assalto sessuale ad una coetanea, all’estorsione di poche lire a
compagni di scuola più giovani.
    Guardando attentamente si è però in grado di scoprire sostanziali analogie,
motivazioni comuni e dinamiche di gruppo non dissimili fra gesti che parrebbero così
diversi per significato e gravità soggettiva e penale. La definizione giuridica e la
definizione psicologica dell’azione, infatti, raramente coincidono e la definizione
giuridica dei reati commessi da sola non basta a rispecchiare il senso di ciò che è
avvenuto nelle intenzioni e nel vissuto dei protagonisti. E’ importante che l’ascolto di
assistenti sociali, educatori e psicologi, aiuti gli autori di questi reati a ricostruire
vicende emotive e relazionali che spesso sono molto lontane da ciò che gli adulti
classificano attraverso le definizioni giuridiche di quegli stessi atti, atti che i ragazzi
spesso non negano di aver commesso, ma di cui hanno una visione che rivela una
diversa intenzionalità affettiva.
Un reato che frequentemente avviene in gruppo é l’estorsione, che viene operata su
oggetti "simbolo" del consumismo adolescenziale, berretti, orologi, motorini, walk-
man, da parte di ragazzi provenienti da ambienti affettivamente deprivati, a maggior
ragione se la deprivazione è anche sociale e culturale. Questi comportamenti possono
implicare il bisogno di riappropriarsi di qualcosa che é loro mancato, di cui sentono
di essere stati "ingiustamente" deprivati, sottraendolo a ragazzi più fortunati perché
meglio "nutriti" affettivamente dalle loro famiglie. Questa richiesta che non trova
traduzione simbolica, viene agita in modo violentemente diretto, consentendo di
nutrire per un attimo e magicamente un’immagine di sé povera e ferita attraverso la
forza dell’alleanza gruppale.
    Un gruppo di ragazzi per esempio spaventa per lungo tempo coetanei o ragazzini
più giovani rubando loro i berretti firmati con il simbolo di squadre di basket o di
scuderie di macchine sportive, i raid sono interrotti dall’arrivo delle forze dell’ordine
che li blocca sul fatto, dando il coraggio ad altre vittime di denunciare i soprusi.
Ricostruendo la storia personale dei partecipanti a questo gruppo, che si sgretola nel
momento della denuncia rivelando la fragilità dei legami tra i membri, si può cogliere
il significato affettivo di questo reato: il capo é un ragazzo adottivo che attraversa una
grave crisi adolescenziale in cui é centrale il suo sentirsi senza origine, senza nome.
E’ pieno di rabbia e di risentimento nei confronti di chi più piccolo e più fortunato di
lui, ancora gode della sicurezza di appartenere legittimamente ad una famiglia, che ha
un nome di prestigio, rappresentato dal cappellino firmato, che allude anche alla
disponibilità economica dei genitori. Quello che fa in queste condizioni, in cui non
riesce a dare senso al suo disagio, é quello di riunirsi ad altri che lo ammirano per la
sua spavalderia e mortificare i più fortunati trasformando la loro “bandiera” in un
motivo di umiliazione mentre il suo senso di anomia viene trasformato in trionfo
fallico, nel possesso di mille nomi. La tematica della nominazione sociale, che
implica anche il passaggio dal mondo delle madri a quello dei padri, da cui si
desidera essere riconosciuti in un’appartenenza fondata non più sul bisogno infantile
ma sull’eredità generazionale, é comune a tutti gli adolescenti maschi e viene giocata
in condizioni di “normalità” nella costruzione di un Ideale dell’Io che fa i conti con il
desiderio paterno oscillando tra contrapposizione e condivisione fino a definirsi
contemporaneamente come “figlio di” e “diverso da”. Ma se per ragioni che possono
essere molto differenti tra loro, il padre e la sua garanzia di confronto e di modello, é
assente dalla scena, può essere sostituito dalla dimensione di definizione eccitata di
sé che il gruppo promuove e rinforza.
    In un altro caso un gruppo di ragazzi é accusato di aggressione e tentato omicidio
nei confronti di un vagabondo che frequentava occasionalmente un parco che i
ragazzi avevano scelto quale loro luogo di ritrovo. Dai colloqui emergeva come
fossero accomunati dal progetto di "ripulire il parco da frequentatori sporchi e
indesiderati", che rivelava l’assunzione in forma paradossale di un’istanza paterna di
ordine e disciplina, istanza gravemente carente nella loro storia infantile familiare.
   La mancanza di presenza paterna nella vita emotiva dei propri membri, era
compensata da un’ideologia fortemente ostile ad ogni manifestazione di "disordine e
sporcizia". L’assenza di oggetti di identificazione paterna adeguati rischia di
consegnare per sempre alla madre e costringe ad assumere una funzione paterna
caricaturale, militarizzando il codice paterno.
   Il disordine e la sporcizia, rappresentanti deteriorati dell’universo infantile,
vengono allontanati da sé e dal proprio ambiente e collocati altrove, in altri individui
e in altri gruppi, che diventano con ciò automaticamente nemici. Paradossalmente,
dal punto di vista affettivo l’aggressione al vagabondo nel parco non rappresentava
per i ragazzi una violazione della norma ma al contrario il sostituirsi alle forze
dell’ordine che avrebbero dovuto farla rispettare. Questa strategia sembrava avere nel
profondo la funzione di richiamo e rimprovero rivolto ai Padri, quelli simbolici oltre
che quelli reali, accusati di non svolgere il proprio ruolo paterno, di non fare
rispettare le leggi, di non proteggere le donne e i bambini e di costringere dunque i
figli adolescenti a sostituirli in tale compito.
   In modo analogo, una drammatica vicenda di molestia sessuale può essere vissuta
da un gruppo di giovanissimi come un tentativo di condividere in gruppo l’esperienza
di iniziazione alla sessualità, che i ragazzi si sentono precocemente spinti ad
affrontare a causa di modelli "educativi" e di socializzazione distorti o male
interpretati, o al contrario, come un modo per “liberarsi” dalla pressione eccitatoria
impossibile da elaborare sul piano intrapsichico.
   Nel gruppo i maschi possono trasformare l’angoscia per il contatto emotivo con
una ragazza, in prova volta a dimostrare la propria virilità Questa costellazione
emotiva, in cui prevalgono fantasie pregenitali, si tradurrà in comportamenti violenti
carichi di esibizionismo fallico, che riducono l’altro al rango di puro oggetto
d’esercizio di una sessualità non integrata nella personalità in cui l’eccitazione non si
lega ai sentimenti. Quello che mi pare fondamentale da sottolineare é come l’oggetto
di desiderio per i membri del gruppo sia soprattutto l’alleanza maschile e come ciò
manifesti quanto la tematica conflittuale in cui i ragazzi sono inseriti, abbia a che fare
con problematiche legate alla ricerca dell’identità.
   In casi come questi la consapevolezza del significato reale e della gravità del
comportamento deviante da parte dei componenti del gruppo è spesso molto bassa,
qualche volta addirittura assente. Questo soprattutto per quanto riguarda i reati
sessuali, che vengono considerati appartenenti ad una sfera di comportamenti e di
relazioni private, che nulla hanno a che fare con la trasgressione della legge.
   In tali condizioni è evidente come l’intervento della Giustizia, Forze dell’ordine
prima e Magistratura poi, sia inatteso e dunque inevitabilmente traumatico, e come
possa essere dunque lungo e faticoso il processo di presa di coscienza del significato
soggettivo e sociale dell’azione commessa.
I comportamenti trasgressivi che trovano il loro terreno d’esibizione nel gruppo, sono
alimentati dalla presenza degli altri e trovano solo qui il loro contesto espressivo,
fuori dal gruppo molte manifestazioni perdono consistenza.
I ragazzi, visti individualmente, sembrano, infatti, sottovalutare quanto è loro
accaduto in occasione del reato e si trincerano dietro un diniego che non è solo frutto
della difesa opportunistica dall’indagine penale. La mancata integrazione di aspetti di
sé per esempio ha portato alla proiezione sugli altri di quanto risulta inaccettabile e
vergognoso e quindi a negare la propria responsabilità che è spesso rigettata su chi
nel gruppo ha per esempio manifestato in modo più esibito l'aggressività, anche se in
realtà l’ha generalmente agita anche su delega, conscia o inconscia, degli altri.
   Proprio per queste caratteristiche dei ragazzi che commettono reati in gruppo, è
utile affiancare, fin dalla fase di chiarimento del significato simbolico dell’azione
delittuosa, l’intervento di gruppo a quello individuale, con la finalità di consentire
un’elaborazione collettiva del significato dell’agire impulsivo.
   Questo è possibile poiché nella nuova legislazione minorile, la pena viene
considerata un momento per riprendere le fila di una crescita interrotta, attraverso la
misura della messa alla prova che prevede tra l'altro l'intervento psicoterapeutico
integrato con interventi educativi e psicosociali.
   Le ragioni per cui l’intervento in gruppo può essere utile ed efficace, risiedono
proprio nelle stesse motivazioni adolescenziali che hanno promosso la costruzione
della “banda”.
Ci si deve chiedere, infatti, quale sia il rapporto tra espressività e devianza nei gruppi
adolescenziali.
La prima inevitabile considerazione è che si tratta di gruppi e ragazzi che non hanno
vere capacità di espressione, bensì hanno difficoltà a pensare, sono portati ad agire i
conflitti che vivono poiché hanno difficoltà a mentalizzare le sensazioni e i
sentimenti che provano e la soglia della tolleranza alla frustrazione è molto bassa.
Spesso non hanno nessuna prospettiva culturale, nemmeno all’interno delle
elaborazioni della cultura giovanile o di sue frange trasgressive. Non si esprimono
nemmeno con la musica o i graffiti ma hanno spesso un solo interesse che é un
feticcio: il motorino, oggetto carico di ogni significato simbolico. Non rubano per
bisogno di soldi, ma per qualcosa in più, per poter offrire agli amici, per apparire
grandi, per darsi valore e ancora di più, per difendere, attraverso la violenza la
propria identità che sentono molto fragile e sempre in pericolo di essere aggredita
dall’esterno.
Non sempre sono ragazzi particolarmente arrabbiati o aggressivi. Sono sempre però
piuttosto annoiati o tristi, con un senso di non futuro.
Nelle caratteristiche elencate riconosciamo caratteristiche universali del gruppo di
adolescenti.
Sappiamo che molti ragazzi che non entrano in contatto con il sistema penale hanno
comportamenti trasgressivi che sarebbero penalmente perseguibili.
    La possibilità di affrontare in gruppo le tematiche legate ai comportamenti
trasgressivi, in primo luogo consente di mobilitare la pressione dei pari età per
agevolare una discussione onesta sul reato, grazie alla capacità che i coetanei hanno
nel sottolineare i reciproci tentativi di manipolazione o di negazione. Soprattutto per
quanto riguarda i reati sessuali, la sessualità sulla quale gli adolescenti sono molto
evasivi (e a maggior ragione quelli che hanno problemi specifici in quest’area o
hanno commesso reati) é più facilmente trattata in gruppo. L’alleggerimento
dell’ansia e la condivisione del proprio disagio con altri, in un clima in cui si può
sperimentare come l’onestà emotiva non porti al rifiuto, sono elementi che facilitano
una maggiore capacità di contatto con i propri problemi.
    Le dinamiche che si mettono in atto in un gruppo, infatti, quali per esempio la
possibilità di vedere nell’altro aspetti di se stessi di cui non si è consapevoli, possono
mobilitare una maggiore capacità di condivisione fino a poter parlare di sentimenti
prima completamente negati.
    La funzione del gruppo terapeutico non si limita ai gruppi con gli adolescenti. Se,
infatti, nei ragazzi è scarsa la consapevolezza della gravità dei propri comportamenti
dal punto di vista etico e penale, lo stesso atteggiamento è spesso condiviso dai
genitori e dal contesto sociale d’appartenenza. L’opinione degli adulti significativi
finisce frequentemente per confermare loro l’idea che l’imputazione costituisca
un’ingiustizia, alimentando in questo modo un’elaborazione persecutoria
dell’intervento della Giustizia, senza trasmettere il senso delle regole sociali e l’idea
del giusto e dell’ingiusto come dimensione etica pubblica.
    Per questo è utile offrire anche ai genitori incontri di gruppo in cui elaborare
l’esperienza, allo scopo di aiutarli: ad individuare eventuali elementi di crisi nella
storia evolutiva del figlio, a riflettere sulle proprie reazioni emotive all’evento e sulle
proprie risposte educative.
    L’obiettivo iniziale é anche quello di informarli sul significato del percorso penale,
sottolineandone il senso pedagogico e socializzante più che punitivo, così da ribadire
il significato di supporto alla funzione parentale dell’intervento in corso.
    Nel piccolo gruppo il confronto fra le reazioni emotive e le strategie pedagogiche
delle diverse famiglie consente di introdurre punti di vista alternativi, attenuando la
rigidità d’opinioni e scelte educative, integrandole e articolandole.
    L’intervento aumenta la consapevolezza dei genitori sia della gravità dei fatti sia
dell’impatto traumatico che i reati possono avere sulla vita emotiva di adolescenti ma
anche sulla propria.
Per concludere, credo che, nell’intervento psicologico a sostegno dei ragazzi
imputati di reati, sia fondamentale porsi come adulti interessati a capire in modo non
collusivo, ma apertamente disponibile, le loro ragioni anche in merito alla dinamica
dei fatti. L’ascolto empatico da parte di un adulto è il primo passo per sperimentare
una modalità di relazione senza sopraffazione. Successivamente, sarà possibile
aiutarli a considerare anche l’esistenza della vittima nella sua realtà emotiva. Aiutare
un ragazzo in questa condizione significa allearsi con lo sviluppo, aiutandolo a
rimuoverne i blocchi evolutivi e a formulare un progetto sia sul versante
psicoterapico sia su quello educativo. L’intervento previsto dal sistema penale è
quindi integrato, con funzioni di sostegno psicologico, educativo e sociale, all’interno
di un progetto che si pone non solo obiettivi di controllo, ma che vuole essere di aiuto
all’adolescente per raggiungere un cambiamento soggettivo.
   Il significato del lavoro psicoterapico, è inizialmente quindi quello di offrire un
aiuto nell’elaborare il senso dell’intervento della giustizia, anche per evitare che
l’adolescente costruisca o rinforzi un’identità delinquenziale difensiva o si appiattisca
in un’immagine di sé in cui il reato e la violenza siano un elemento centrale.
   Questo non è solo fondamentale ai fini dell’elaborazione di un senso di
responsabilità nel reato, uno degli obiettivi del percorso penale, ma è indispensabile
per riprendere le fila di una crescita interrotta: la soppressione nella propria vita
emotiva dell’esistenza dell’altro, si traduce, infatti, in una soppressione delle parti di
sé più vive e capaci di relazione e di fiducia nella crescita e nella possibilità d’amare.

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  • 1. Cristina Saottini Gruppo e banda L’intervento con adolescenti che commettono reati.
  • 2. Nell’attività condotta in questi anni come psicologi consulenti dei Servizi della Giustizia Minorile di Milano, ciò a dire il servizio sociale per i minori, il centro di prima accoglienza e il carcere minorile, ci siamo confrontati spesso con ragazzi che hanno commesso reati in gruppo. Vorrei quindi proporre alcune riflessioni su un certo tipo di gruppo di adolescenti generalmente maschi, che commettono reati, in cui l’essere “banda” non ha ancora le caratteristiche di un gruppo dedito ad atti organizzati di delinquenza, bensì è composto da tre o quattro amici, a volte anche di più, che improvvisamente si ritrovano all’interno del sistema penale, dopo aver commesso un’azione di cui in molti casi ignoravano la gravità e le conseguenze. E’, infatti, importante cercare di differenziare la qualità psichica delle diverse aggregazioni giovanili che si presentano come gruppi devianti o dediti ad attività delittuose. Per esempio la cronaca recente ci ha messo a confronto con un grave delitto, una strage di coetanei commessa da due ragazzi allievi di una scuola superiore degli Stati Uniti e conclusasi con la morte, che è parsa cercata, in un’orgia di onnipotenza, degli assassini. In questo caso si trattava i due ragazzi uniti da un legame folle e non quindi di un gruppo, ma questa dinamica talvolta può coinvolgere anche un numero maggiore di ragazzi che stabiliscono un patto di follia, promosso da uno di loro e condiviso ciecamente dagli altri, perché cieca può diventare nei gruppi la fedeltà ad un capo se questi prende per i membri il posto dell’Ideale, come Freud aveva descritto. Questa costruzione psicotica del gruppo non è specifica dei gruppi di adolescenti poiché è riscontrabile, anche con maggior frequenza nei gruppi di adulti. Talvolta gli adolescenti che fanno parte di sottoculture devianti, possono ritrovarsi in bande organizzate e costruite gerarchicamente dedite a reati, dipendenti o autonome dal controllo degli aduli o addirittura in concorrenza con loro. Al contrario in alcune culture, in quella dei nomadi per esempio, il furto è prerogativa degli adolescenti che definiscono il loro peso sociale attraverso l’abilità nell’organizzarsi in piccoli gruppi di ladri, mentre dopo la maggiore età questa competenza non è più un valore ma un segno di debolezza e di scarsa autorità. I gruppi di cui vorrei parlare sono quelli che si costituiscono in un’area intermedia tra espressività e devianza, che nascono come sostegno alle difficoltà della crescita e si trasformano, anche accidentalmente, in vicoli chiusi. Il gruppo in adolescenza, infatti, costituisce naturalmente, direi fisiologicamente, un’esperienza fondamentale per la costruzione della propria identità. L’alleanza che si stabilisce tra i membri del gruppo, ha una funzione emancipativa, sostiene il distacco dai genitori dell’infanzia e consente contemporaneamente di sperimentare relazioni di dipendenza che aiutano l’attraversamento delle fasi di regressione, di cui l’adolescenza è intessuta. Il gruppo chiede di essere amato e sostenuto e in cambio dà amore e sostegno in una relazione di reciprocità che dà il coraggio di affrontare i lutti adolescenziali, quello dai genitori idealizzati e dall’onnipotenza infantile in cui non esisteva l’idea del limite e della morte. Per i singoli membri è reale e giusto ciò che il gruppo considera giusto, l’amicizia con i pari serve a ri-nominarsi e a costruire un ambito in cui, attraverso relazioni
  • 3. paritarie, emotivamente gratificanti e sottratte alla dipendenza dai genitori, i valori di riferimento cambiano per costruire l’età adulta. Lo sguardo dei coetanei, la loro approvazione, il riconoscersi uguali anche in una dimensione che può apparire agli occhi degli adulti banalizzante e conformistica, all’interno di un gruppo d’amici, assume una funzione di enorme importanza nel processo di crescita, di ridefinizione di Sé e di costruzione dei modelli di ruolo sessuale e sociale. In questa dimensione l’amicizia non è tanto la fonte del coraggio per affrontare l’eterosessualità, poiché intorno ai sedici anni è il gruppo degli amici, più che le relazioni con l’altro sesso a costituire l’oggetto affettivo centrale e il punto di riferimento privilegiato sia per la costruzione di nuovi valori sia per l’esame di realtà. Tutto ciò porterà in condizioni di sviluppo “normali” alla compiuta consapevolezza della propria capacità di desiderare, dei propri limiti e dell’esistenza dell’altro, separato e differente da sé, che per questo può essere perso e che ha bisogno d’attenzione per essere conservato. Ma se questa centralità della dimensione gruppale in adolescenza é generalmente un fattore di crescita, può in alcuni casi trasformarsi in fattore di rischio per lo sviluppo individuale. In situazioni di difficoltà evolutiva il gruppo può fallire il suo compito di sostegno alla nascente identità dell’adolescente. Il gruppo, infatti, seduce verso la nuova nascita, come lo sguardo della madre “seduce” il bambino alla vita, come efficacemente ci dice Winnicott. Il termine sedurre condivide l’inquietudine che suscitano altri termini analoghi, per esempio quello di trasgredire, così pertinente alla situazione adolescenziale, o quello di colludere. Sed-ducere vuol dire far deviare dal proprio cammino, ma questo è anche un compito per l’adolescente, come lo è trans-gredior, l’andare oltre, o colludere cum-ludere, giocare insieme. La doppia e contrapposta accezione che questi termini suggeriscono, sottolinea come il gruppo dei pari possa in generale aiutare ma in alcuni casi ostacolare l’evoluzione della ricerca dell’identità in adolescenza, enfatizzare anziché sostenere le difficoltà dei singoli membri. Il gruppo, infatti, assumendo per i suoi membri la funzione di Io ideale può a volte costituire un ambito esclusivamente fusionale, in cui non si sperimentano i rischi legati all’individuazione, ma si permane in una dimensione non differenziata, che riproduce le caratteristiche della relazione con l’oggetto arcaico e consente di continuare ad illudersi sulla propria onnipotenza e a rimandare il lavoro del lutto. Il gruppo sembra in questi casi rappresentare un’estensione quasi corporea di ogni soggetto in cui non trova spazio il pensiero che scandisce le differenze. Se per l’adolescente non è possibile uscire dalla seduzione dell’oggetto arcaico, il gruppo se ne può fare portatore non consentendo il traghettamento verso nuovi approdi. In questo caso il gruppo non è più un campo di prova per la nascente identità, ma una riedizione di uno spazio d’illusione infantile, che non consente l’ingresso alla naturale de-illusione che porta alla consapevolezza delle proprie capacità e limiti. I gruppi di coetanei, che costituiscono normalmente un potente aiuto alla crescita ed alla separazione che rende autonomi dalla famiglia, possono diventare in situazioni
  • 4. problematiche un’estensione dell’area della dipendenza infantile, segno di un Sé non individuato, in cui l’isolamento sociale - inteso come non realizzazione degli obiettivi di nascita sociale propri dell’adolescenza - si ripropone nella dimensione non differenziata del gruppo. In situazioni di questo genere, possono, per esempio, essere commessi reati diversi per tipo e per gravità, accomunati dal fatto di nascere in modo all’apparenza improvviso come se fossero prodotti dalla mente collettiva del gruppo. E’ come se in un attimo un gruppo di amici di antica data o anche solo occasionali, riuniti per stare insieme, senza il bisogno di alcuna particolare progettazione e senza alcuna riflessione riguardo alle conseguenze dell’azione, fosse preso da un’idea che chiede urgentemente di essere messa in atto. Sembra di intravedere il desiderio comune di trionfare su un senso di noia, di impotenza, di insostenibile limite della propria sfilacciata immagine di sé. Il reato avviene in questo particolare clima emotivo, come realizzazione di una fantasia collettiva, in una dimensione di non pensiero che i ragazzi si trovano a condividere, catturati da una fantasia affettiva di gruppo che è proposta ed agita da chi per esempio, è più coinvolto in una dinamica conflittuale familiare, mentre altri partecipano o assistono senza intervenire per impedirlo. Il clima condiviso su cui si costruisce l’alleanza estemporanea è caratterizzato dallo sforzo di vincere la noia, cercando di evitare le responsabilità quotidiane o il senso di frustrazione che il fallimento scolastico produce. I membri non costituiscono una banda in senso sociale, poiché non sono gerarchicamente strutturati e non hanno ruoli definiti e riconosciuti. Sono piuttosto un’aggregazione transitoria, accomunata dal prolungato evitamento dall’impegno scolastico e dall’assenza di controllo adulto, composta in genere da tre o quattro ragazzi, anche se vi sono casi di compagnie più numerose. Qualche volta si tratta di ex compagni di scuola, ragazzi cresciuti nello stesso quartiere, che si frequentano abitualmente ciondolando negli stessi luoghi di incontro senza trovare progetti realizzabili per passare il tempo e divertirsi. Qualcuno lavora senza continuità, altri sono reduci da ripetuti fallimenti scolastici e cercano senza troppa convinzione un impiego che sembra sempre troppo deludente. Sono accomunati, oltre che dall’età, da un senso di inutilità che dà la temperatura delle loro difficoltà evolutive. E’ all’interno di questo clima di noia condivisa, di sospensione del fare quotidiano, che nasce l’idea di un’azione, in cui sembra potersi magicamente coagulare una fantasia che accomuna il gruppo, quella di trionfare senza pensiero sulla percezione di un limite che viene sentito come insuperabile. Anche quando si tratta di un’azione più volte ripetuta (ad esempio il "gioco" di sottrarre il berretto griffato a coetanei colpevoli di possederlo) la decisione è ogni volta improvvisa e sembra obbedire a un impulso irresistibile, più che essere premeditata. Impulso quasi coatto che assomiglia ad un rituale di dipendenza che é difficile interrompere. Non sono, infatti, i ragazzi a interrompere di solito questo genere di imprese, ma un qualche evento esterno, in genere l’essere stati sorpresi in flagrante da qualche adulto, qualche volta i genitori o gli insegnanti, qualche volta le
  • 5. forze dell’ordine, oppure il determinarsi di conseguenze che superano largamente le intenzioni dei "colpevoli", con danno grave ed imprevisto per altri o magari per uno stesso membro del gruppo. La gravità del reato progettato può essere diversa: dall’omicidio commesso senza alcuna consapevolezza, quasi per gioco, dello sgradito frequentatore di un parco, all’improvviso assalto sessuale ad una coetanea, all’estorsione di poche lire a compagni di scuola più giovani. Guardando attentamente si è però in grado di scoprire sostanziali analogie, motivazioni comuni e dinamiche di gruppo non dissimili fra gesti che parrebbero così diversi per significato e gravità soggettiva e penale. La definizione giuridica e la definizione psicologica dell’azione, infatti, raramente coincidono e la definizione giuridica dei reati commessi da sola non basta a rispecchiare il senso di ciò che è avvenuto nelle intenzioni e nel vissuto dei protagonisti. E’ importante che l’ascolto di assistenti sociali, educatori e psicologi, aiuti gli autori di questi reati a ricostruire vicende emotive e relazionali che spesso sono molto lontane da ciò che gli adulti classificano attraverso le definizioni giuridiche di quegli stessi atti, atti che i ragazzi spesso non negano di aver commesso, ma di cui hanno una visione che rivela una diversa intenzionalità affettiva. Un reato che frequentemente avviene in gruppo é l’estorsione, che viene operata su oggetti "simbolo" del consumismo adolescenziale, berretti, orologi, motorini, walk- man, da parte di ragazzi provenienti da ambienti affettivamente deprivati, a maggior ragione se la deprivazione è anche sociale e culturale. Questi comportamenti possono implicare il bisogno di riappropriarsi di qualcosa che é loro mancato, di cui sentono di essere stati "ingiustamente" deprivati, sottraendolo a ragazzi più fortunati perché meglio "nutriti" affettivamente dalle loro famiglie. Questa richiesta che non trova traduzione simbolica, viene agita in modo violentemente diretto, consentendo di nutrire per un attimo e magicamente un’immagine di sé povera e ferita attraverso la forza dell’alleanza gruppale. Un gruppo di ragazzi per esempio spaventa per lungo tempo coetanei o ragazzini più giovani rubando loro i berretti firmati con il simbolo di squadre di basket o di scuderie di macchine sportive, i raid sono interrotti dall’arrivo delle forze dell’ordine che li blocca sul fatto, dando il coraggio ad altre vittime di denunciare i soprusi. Ricostruendo la storia personale dei partecipanti a questo gruppo, che si sgretola nel momento della denuncia rivelando la fragilità dei legami tra i membri, si può cogliere il significato affettivo di questo reato: il capo é un ragazzo adottivo che attraversa una grave crisi adolescenziale in cui é centrale il suo sentirsi senza origine, senza nome. E’ pieno di rabbia e di risentimento nei confronti di chi più piccolo e più fortunato di lui, ancora gode della sicurezza di appartenere legittimamente ad una famiglia, che ha un nome di prestigio, rappresentato dal cappellino firmato, che allude anche alla disponibilità economica dei genitori. Quello che fa in queste condizioni, in cui non riesce a dare senso al suo disagio, é quello di riunirsi ad altri che lo ammirano per la sua spavalderia e mortificare i più fortunati trasformando la loro “bandiera” in un motivo di umiliazione mentre il suo senso di anomia viene trasformato in trionfo fallico, nel possesso di mille nomi. La tematica della nominazione sociale, che
  • 6. implica anche il passaggio dal mondo delle madri a quello dei padri, da cui si desidera essere riconosciuti in un’appartenenza fondata non più sul bisogno infantile ma sull’eredità generazionale, é comune a tutti gli adolescenti maschi e viene giocata in condizioni di “normalità” nella costruzione di un Ideale dell’Io che fa i conti con il desiderio paterno oscillando tra contrapposizione e condivisione fino a definirsi contemporaneamente come “figlio di” e “diverso da”. Ma se per ragioni che possono essere molto differenti tra loro, il padre e la sua garanzia di confronto e di modello, é assente dalla scena, può essere sostituito dalla dimensione di definizione eccitata di sé che il gruppo promuove e rinforza. In un altro caso un gruppo di ragazzi é accusato di aggressione e tentato omicidio nei confronti di un vagabondo che frequentava occasionalmente un parco che i ragazzi avevano scelto quale loro luogo di ritrovo. Dai colloqui emergeva come fossero accomunati dal progetto di "ripulire il parco da frequentatori sporchi e indesiderati", che rivelava l’assunzione in forma paradossale di un’istanza paterna di ordine e disciplina, istanza gravemente carente nella loro storia infantile familiare. La mancanza di presenza paterna nella vita emotiva dei propri membri, era compensata da un’ideologia fortemente ostile ad ogni manifestazione di "disordine e sporcizia". L’assenza di oggetti di identificazione paterna adeguati rischia di consegnare per sempre alla madre e costringe ad assumere una funzione paterna caricaturale, militarizzando il codice paterno. Il disordine e la sporcizia, rappresentanti deteriorati dell’universo infantile, vengono allontanati da sé e dal proprio ambiente e collocati altrove, in altri individui e in altri gruppi, che diventano con ciò automaticamente nemici. Paradossalmente, dal punto di vista affettivo l’aggressione al vagabondo nel parco non rappresentava per i ragazzi una violazione della norma ma al contrario il sostituirsi alle forze dell’ordine che avrebbero dovuto farla rispettare. Questa strategia sembrava avere nel profondo la funzione di richiamo e rimprovero rivolto ai Padri, quelli simbolici oltre che quelli reali, accusati di non svolgere il proprio ruolo paterno, di non fare rispettare le leggi, di non proteggere le donne e i bambini e di costringere dunque i figli adolescenti a sostituirli in tale compito. In modo analogo, una drammatica vicenda di molestia sessuale può essere vissuta da un gruppo di giovanissimi come un tentativo di condividere in gruppo l’esperienza di iniziazione alla sessualità, che i ragazzi si sentono precocemente spinti ad affrontare a causa di modelli "educativi" e di socializzazione distorti o male interpretati, o al contrario, come un modo per “liberarsi” dalla pressione eccitatoria impossibile da elaborare sul piano intrapsichico. Nel gruppo i maschi possono trasformare l’angoscia per il contatto emotivo con una ragazza, in prova volta a dimostrare la propria virilità Questa costellazione emotiva, in cui prevalgono fantasie pregenitali, si tradurrà in comportamenti violenti carichi di esibizionismo fallico, che riducono l’altro al rango di puro oggetto d’esercizio di una sessualità non integrata nella personalità in cui l’eccitazione non si lega ai sentimenti. Quello che mi pare fondamentale da sottolineare é come l’oggetto di desiderio per i membri del gruppo sia soprattutto l’alleanza maschile e come ciò
  • 7. manifesti quanto la tematica conflittuale in cui i ragazzi sono inseriti, abbia a che fare con problematiche legate alla ricerca dell’identità. In casi come questi la consapevolezza del significato reale e della gravità del comportamento deviante da parte dei componenti del gruppo è spesso molto bassa, qualche volta addirittura assente. Questo soprattutto per quanto riguarda i reati sessuali, che vengono considerati appartenenti ad una sfera di comportamenti e di relazioni private, che nulla hanno a che fare con la trasgressione della legge. In tali condizioni è evidente come l’intervento della Giustizia, Forze dell’ordine prima e Magistratura poi, sia inatteso e dunque inevitabilmente traumatico, e come possa essere dunque lungo e faticoso il processo di presa di coscienza del significato soggettivo e sociale dell’azione commessa. I comportamenti trasgressivi che trovano il loro terreno d’esibizione nel gruppo, sono alimentati dalla presenza degli altri e trovano solo qui il loro contesto espressivo, fuori dal gruppo molte manifestazioni perdono consistenza. I ragazzi, visti individualmente, sembrano, infatti, sottovalutare quanto è loro accaduto in occasione del reato e si trincerano dietro un diniego che non è solo frutto della difesa opportunistica dall’indagine penale. La mancata integrazione di aspetti di sé per esempio ha portato alla proiezione sugli altri di quanto risulta inaccettabile e vergognoso e quindi a negare la propria responsabilità che è spesso rigettata su chi nel gruppo ha per esempio manifestato in modo più esibito l'aggressività, anche se in realtà l’ha generalmente agita anche su delega, conscia o inconscia, degli altri. Proprio per queste caratteristiche dei ragazzi che commettono reati in gruppo, è utile affiancare, fin dalla fase di chiarimento del significato simbolico dell’azione delittuosa, l’intervento di gruppo a quello individuale, con la finalità di consentire un’elaborazione collettiva del significato dell’agire impulsivo. Questo è possibile poiché nella nuova legislazione minorile, la pena viene considerata un momento per riprendere le fila di una crescita interrotta, attraverso la misura della messa alla prova che prevede tra l'altro l'intervento psicoterapeutico integrato con interventi educativi e psicosociali. Le ragioni per cui l’intervento in gruppo può essere utile ed efficace, risiedono proprio nelle stesse motivazioni adolescenziali che hanno promosso la costruzione della “banda”. Ci si deve chiedere, infatti, quale sia il rapporto tra espressività e devianza nei gruppi adolescenziali. La prima inevitabile considerazione è che si tratta di gruppi e ragazzi che non hanno vere capacità di espressione, bensì hanno difficoltà a pensare, sono portati ad agire i conflitti che vivono poiché hanno difficoltà a mentalizzare le sensazioni e i sentimenti che provano e la soglia della tolleranza alla frustrazione è molto bassa. Spesso non hanno nessuna prospettiva culturale, nemmeno all’interno delle elaborazioni della cultura giovanile o di sue frange trasgressive. Non si esprimono nemmeno con la musica o i graffiti ma hanno spesso un solo interesse che é un feticcio: il motorino, oggetto carico di ogni significato simbolico. Non rubano per bisogno di soldi, ma per qualcosa in più, per poter offrire agli amici, per apparire grandi, per darsi valore e ancora di più, per difendere, attraverso la violenza la
  • 8. propria identità che sentono molto fragile e sempre in pericolo di essere aggredita dall’esterno. Non sempre sono ragazzi particolarmente arrabbiati o aggressivi. Sono sempre però piuttosto annoiati o tristi, con un senso di non futuro. Nelle caratteristiche elencate riconosciamo caratteristiche universali del gruppo di adolescenti. Sappiamo che molti ragazzi che non entrano in contatto con il sistema penale hanno comportamenti trasgressivi che sarebbero penalmente perseguibili. La possibilità di affrontare in gruppo le tematiche legate ai comportamenti trasgressivi, in primo luogo consente di mobilitare la pressione dei pari età per agevolare una discussione onesta sul reato, grazie alla capacità che i coetanei hanno nel sottolineare i reciproci tentativi di manipolazione o di negazione. Soprattutto per quanto riguarda i reati sessuali, la sessualità sulla quale gli adolescenti sono molto evasivi (e a maggior ragione quelli che hanno problemi specifici in quest’area o hanno commesso reati) é più facilmente trattata in gruppo. L’alleggerimento dell’ansia e la condivisione del proprio disagio con altri, in un clima in cui si può sperimentare come l’onestà emotiva non porti al rifiuto, sono elementi che facilitano una maggiore capacità di contatto con i propri problemi. Le dinamiche che si mettono in atto in un gruppo, infatti, quali per esempio la possibilità di vedere nell’altro aspetti di se stessi di cui non si è consapevoli, possono mobilitare una maggiore capacità di condivisione fino a poter parlare di sentimenti prima completamente negati. La funzione del gruppo terapeutico non si limita ai gruppi con gli adolescenti. Se, infatti, nei ragazzi è scarsa la consapevolezza della gravità dei propri comportamenti dal punto di vista etico e penale, lo stesso atteggiamento è spesso condiviso dai genitori e dal contesto sociale d’appartenenza. L’opinione degli adulti significativi finisce frequentemente per confermare loro l’idea che l’imputazione costituisca un’ingiustizia, alimentando in questo modo un’elaborazione persecutoria dell’intervento della Giustizia, senza trasmettere il senso delle regole sociali e l’idea del giusto e dell’ingiusto come dimensione etica pubblica. Per questo è utile offrire anche ai genitori incontri di gruppo in cui elaborare l’esperienza, allo scopo di aiutarli: ad individuare eventuali elementi di crisi nella storia evolutiva del figlio, a riflettere sulle proprie reazioni emotive all’evento e sulle proprie risposte educative. L’obiettivo iniziale é anche quello di informarli sul significato del percorso penale, sottolineandone il senso pedagogico e socializzante più che punitivo, così da ribadire il significato di supporto alla funzione parentale dell’intervento in corso. Nel piccolo gruppo il confronto fra le reazioni emotive e le strategie pedagogiche delle diverse famiglie consente di introdurre punti di vista alternativi, attenuando la rigidità d’opinioni e scelte educative, integrandole e articolandole. L’intervento aumenta la consapevolezza dei genitori sia della gravità dei fatti sia dell’impatto traumatico che i reati possono avere sulla vita emotiva di adolescenti ma anche sulla propria.
  • 9. Per concludere, credo che, nell’intervento psicologico a sostegno dei ragazzi imputati di reati, sia fondamentale porsi come adulti interessati a capire in modo non collusivo, ma apertamente disponibile, le loro ragioni anche in merito alla dinamica dei fatti. L’ascolto empatico da parte di un adulto è il primo passo per sperimentare una modalità di relazione senza sopraffazione. Successivamente, sarà possibile aiutarli a considerare anche l’esistenza della vittima nella sua realtà emotiva. Aiutare un ragazzo in questa condizione significa allearsi con lo sviluppo, aiutandolo a rimuoverne i blocchi evolutivi e a formulare un progetto sia sul versante psicoterapico sia su quello educativo. L’intervento previsto dal sistema penale è quindi integrato, con funzioni di sostegno psicologico, educativo e sociale, all’interno di un progetto che si pone non solo obiettivi di controllo, ma che vuole essere di aiuto all’adolescente per raggiungere un cambiamento soggettivo. Il significato del lavoro psicoterapico, è inizialmente quindi quello di offrire un aiuto nell’elaborare il senso dell’intervento della giustizia, anche per evitare che l’adolescente costruisca o rinforzi un’identità delinquenziale difensiva o si appiattisca in un’immagine di sé in cui il reato e la violenza siano un elemento centrale. Questo non è solo fondamentale ai fini dell’elaborazione di un senso di responsabilità nel reato, uno degli obiettivi del percorso penale, ma è indispensabile per riprendere le fila di una crescita interrotta: la soppressione nella propria vita emotiva dell’esistenza dell’altro, si traduce, infatti, in una soppressione delle parti di sé più vive e capaci di relazione e di fiducia nella crescita e nella possibilità d’amare.