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Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:04 Pagina 19

CAP 1 L’educazione questa… “sconosciuta”: un bisogno antico, una scoperta recente

Pur tra le incertezze del nostro tempo assistiamo ad una pressante
domanda di educazione e formazione da parte di una società sempre più preoccupata che il bambino piuttosto che un fine venga
considerato un semplice mezzo dato che in molte situazioni,
nelle quali interpreta un ruolo di primo piano, si presta poca attenzione alla sua identità come persona.
Anche se la ricerca pedagogica sembra battere il passo su temi che
pur le appartengono, non si può sottacere che a partire dagli anni ‘70,
con notevole, progressiva, accelerazione il profilo pedagogico ha via
via assunto nuovi connotati. Questo rinnovato fronte di interessi tende
ad allargare i suoi confini oltre la scuola, espandendosi a dismisura
nel campo dell’extra-scuola nel quale, con pieno diritto, può e deve annoverarsi il nostro mondo: quello delle piscine. È questo il momento
in cui si avverte la necessità, non più rinviabile, di arricchire l’attività
acquatica riguardante l’infanzia prendendo in più seria considerazione
gli aspetti metodologici e psico-pedagogici ad essa legati.
Lo scopo appare di grande rilievo e significato e ci coinvolge direttamente in quanto il nostro ambiente può aiutare grandemente a capire i problemi del bambino.

... il nostro
ambiente può
aiutare
grandemente a
capire i problemi
del bambino.

Può offrire ampie possibilità di interpretazione dei suoi autentici bisogni attraverso la sollecitazione delle molteplici e differenziate potenzialità che ognuno di loro possiede. È opportuno non sottovalutare
che nelle nostre piscine confluiscono diverse migliaia di fanciulli sempre più piccoli.
Per essi, il termine educazione non può essere negoziabile, sebbene
persista il sospetto che il bambino sia, ancora, all’inizio del terzo millennio, un “soggetto misterioso” in gran parte sconosciuto per molti
adulti. Infatti, l’esperienza maturata in piscina ci ha consentito di notare come non sia pienamente acquisita la consapevolezza della specificità del mondo infantile.
Va riconosciuto, tuttavia, che la Federazione Italiana Nuoto, organo
sportivo deputato per eccellenza alla organizzazione dell’attività acquatica, nell’intento di rivedere e migliorare i propri schemi che non
rispondevano più alle esigenze del fanciullo, ha rivisto più volte la
propria metodologia, ha adattato la propria didattica a favore di un
vero e proprio progetto educativo sostenendo e promuovendo l’iniziativa e la spontaneità dell’allievo. Avvalendosi di esperti in vari settori ha promosso numerosi corsi di aggiornamento e specializzazione,
ha ampliato i suoi interventi, rendendoli sempre più qualificati e pertinenti.

Giuseppe e Fabio BOVI

19
Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:05 Pagina 29

CAP 2 Costruire una educazione acquatica di qualità

“Io lo so come ti chiami… me lo ha detto la mia mamma! “Ah… sì,…rispondo” “Sì ti chiami Professore”. Una breve pausa e poi, continuando, “mi sai dire perché la tua mamma ti ha messo un nome…
così strano?”
Questo dialogo è uno dei tanti che intercorrono tra i fanciulli e il sottoscritto e dà la misura, se ancora ce ne fosse bisogno, di quale
spontaneità, di quale candore, di quale ricchezza interiore essi dispongano.
Che meraviglia, che stupore il loro mondo!
“Paolino” non sa galleggiare, non conosce la profondità, non muove
le gambe come dovrebbe, ma è capace di “far salpare” per mari sconosciuti, dal porto della sua fantasia, la piccola barchetta che stringe
tra le mani.
Quando sale “in groppa” ad un tubo flessibile conosce tutte le evoluzioni acquatiche del cavalluccio marino; sa scansare con delicatezza, senza far loro del male, tutti “quei pesciolini” che gli rendono
difficoltoso il passaggio e che riempiono ogni angolo della sua immaginazione.
Un quadro, quest’ultimo, molto diverso da ciò che si verifica in una
scuola di nuoto tradizionale dove prevale l’apprendimento il più veloce possibile delle tecniche di galleggiamento, del movimento di
gambe e braccia, e l’insegnamento della respirazione.
Eccoli qua invece i nostri cosiddetti…utenti, descritti nei loro atteggiamenti più veri!
Paolino, Marcellino, Chiara, Valeria… sono loro i destinatari delle nostre attenzioni!
Essi non si pongono di certo il problema nuoto, ma condizionati
dalla frenesia, dall’affanno di un mondo sempre più ansioso e pretenzioso,

... in una scuola di
nuoto tradizionale
dove prevale
l’apprendimento il
più veloce possibile
delle tecniche... 

avvertono più di ogni altra cosa la necessità di un
riconoscimento come singoli individui.

Giuseppe e Fabio BOVI

29
Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:10 Pagina 58

TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia

Nell’accingerci ad affrontare un tema così impegnativo, così denso
di interrogativi, così complesso, non è possibile non tornare indietro
negli anni per riesaminare le caratteristiche del piano di lezione ritenuto la chiave di volta nello svolgimento di ogni argomento. Il rispetto dei suoi contenuti era, a qualsiasi livello d’insegnamento, la
condizione unica, la stella polare che consentisse una trattazione
efficace del compito affidato. Anche all’ I.S.E.F. è stato per decenni
l’incontrastato e irrinunciabile punto focale definito…“a denti stretti”,
da molti studenti, un buco nero nella loro carriera universitaria e giudicato con altrettanta perplessità da numerosi docenti.
Pur essendo la procedura ufficialmente riconosciuta per lo svolgimento della lezione, poneva l’insegnante quantomeno in un atteggiamento di distacco e di riflessione in quanto nascondeva
l’inquietante conflitto tra la rassicurante seduzione delle tecniche e la
problematica, difficile arte di educare. L’istruttore, infatti, da un lato
doveva “tirar fuori” dal fanciullo e da sé prospettive, proposte, progetti, emozioni; dall’altro doveva confrontarsi con la scelta di ciò che
andava favorito, privilegiato e ritenuto la regola di condotta più logica.Infine, doveva interrogarsi per constatare se il tutto potesse essere giusto, adeguato, e conveniente.
Nel nostro ambiente specifico il piano di lezione trova ancor oggi
completa e assoluta identificazione con l’organizzazione didattica
della singola lezione di scuola – nuoto che, mantenendo le sue abituali caratteristiche, si articola a grandi linee nella seguente ripartizione:

1) Fase introduttiva: è la fase che nello svolgimento della
singola lezione corrisponde al cosiddetto avviamento e riscaldamento. Si basa su esercizi già conosciuti e sperimentati dagli allievi; esercizi che vengono proposti quasi sempre
in progressione ( dal più semplice al più complesso ) adottando spesso una didattica meccanica e ripetitiva.
2) Fase di consolidamento: è la fase in cui si fa leva sulle abilità apprese nelle lezioni precedenti. Si cerca, in particolare,
di stimolare l’attenzione dei protagonisti insistendo sugli
aspetti tecnico – didattici degli esercizi che rivestono maggiore difficoltà.

58

Giuseppe e Fabio BOVI
Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:16 Pagina 108

TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia

“Ti insegnerò a nuotare
così il mare saprà chi sei
quando l’abbracci”
POVIA

... l’insegnante
professionista
consapevole non
improvvisa.

108

In qualsiasi processo di insegnamento, la fase di apprendimento diviene quella essenziale, quella significativa, quella nella quale l’insegnante mette in gioco un suo aspetto vitale: la professionalità.
Anche nelle nostre piscine non si rincorre più come un tempo un atto
dell’apprendere impegnato “sul che cosa” e “sul come” si insegna, ma
il problema vero, grazie alla rinnovata trasformazione pedagogica
della didattica tradizionale, è diventato un altro: capire come creare
le condizioni affinché ciascun allievo, secondo le proprie caratteristiche, possa essere capace di costruire competenze.
A simili prospettive così nuove ed incisive, e nello stesso tempo così
particolari, si può dare risposta solo se gli istruttori optano per una
scelta di responsabilità. È loro compito esclusivo assumersi la libertà
di mediare, di distribuire, organizzare gli obiettivi specifici di apprendimento assegnando ad essi significati e priorità che scaturiscono
dalla loro comprovata sensibilità ed esperienza.
Se questo intento assume un ruolo di spicco, di preminenza, rispetto
ad altri sistemi, il modo con cui si insegna l’educazione acquatica
nella scuola per l’infanzia non può che essere la derivazione di una
“trasposizione didattica”.
Per meglio chiarire il concetto, intendiamo far notare la necessità che
prenda forma un vero e proprio processo di scambio per mezzo del
quale l’istruttore trasforma un sapere tecnico - didattico fortemente
impersonale in un sapere “da insegnare”, un sapere più adeguato
alla portata reale dei singoli allievi che si hanno di fronte.
D’ altronde, l’insegnante professionista consapevole non improvvisa;
prima valuta la situazione, e poi decide che tipo di operazione compiere. Dopo, solo dopo, partendo dalla centralità del fanciullo, si avvale di una strategia didattica che ritiene possa avere successo.

Giuseppe e Fabio BOVI
Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:18 Pagina 124

TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia

A) Concetto di multilateralità
Le fasi di ambientamento in acqua, la confidenza con l’acqua e con
l’ambiente si ottengono, come più volte ribadito, affinando le capacità senso-percettive che esercitano un ruolo tanto importante nella
ricerca di autonomia da parte del fanciullo. L’acquisizione di autonomia rappresenta la chiave di volta su cui si innesta lo sviluppo delle
capacità coordinative speciali che, come sappiamo, costituiscono i
presupposti irrinunciabili del movimento. Far lavorare l’allievo affinché si costruisca i prerequisiti necessari alla sua maturazione, per
giunta in una età (5 - 11 anni) definita un arco di “tempo magico” ai
fini del loro apprendimento, sottintende la realizzazione di interventi
essenzialmente interdisciplinari.L’esperienza insegna che la capacità
di apprendimento tende ad affievolirsi se al centro della attività vengono a mancare gli stimoli ad apprendere sempre qualcosa di nuovo.
La comparsa del tipico “Plateau” di rendimento con relativa stasi nel
processo di apprendimento rappresenta il segnale inequivocabile di
un mancato ricorso al rinnovo di un vasto repertorio di movimenti.
In linea con tale teoria, padroneggiare il proprio corpo in acqua
con disinvoltura, con la massima serenità, senza turbamenti e apprensioni rimane il primo, vero, grande obiettivo. L’azione, dunque,
non può che essere polivalente. Deve investire tutti gli schemi motori di base e non, tutte le parti del corpo, sperimentando atteggiamenti e posizioni tra le più inconsuete e originali perseguendo tutti
gli obiettivi educativi.
Il lavoro acquatico è sempre indirizzato verso l’apprendimento degli
stili natatori, ma la strada per raggiungere tale meta va modificata,
integrata, arricchita, resa più motivante. Le cosiddette “parti difficili”
dei movimenti vanno apprese in modi differenti, in condizioni non rigidamente standardizzate, facendo ricorso a varie combinazioni tendenti a favorire, più di ogni altra cosa, la scoperta personale per ogni
singolo fanciullo.

Per ognuno dei protagonisti una pluralità di sollecitazioni
così concepita agevola non solo la riuscita delle situazioni–stimolo che si presentano e il conseguente successo
che ne deriva, ma permette anche di controllare
con maggiore precisione, e più a fondo, qualsiasi gesto
che si intraprende in acqua.

124

Giuseppe e Fabio BOVI
Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:18 Pagina 130

TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia

Uno studio particolarmente scrupoloso di tutti gli innumerevoli quesiti che suscita l’incontro del fanciullo con la scuola-nuoto ci condizionerebbe fino al punto che dare inizio ad un simile proposito
potrebbe sembrare un atto di pura presunzione. A nostro parere, tuttavia, nel rapporto fanciullo/scuola-nuoto non si può prescindere da
un punto di partenza preciso che si presenta come sostanziale prima
di ogni azione ulteriore: una ferma adesione agli orientamenti valoriali. Ciò significa che, prima di tutto, va rispettata la insopprimibile
esigenza di conferire ad ogni attività (la nostra, non fa eccezione)
una prioritaria finalizzazione educativa.

Vale a dire che sembra inutile prefissare obiettivi, strategie didattiche, metodologie miracolose se prima non si
favorisce la ricerca della qualità che si trova nello stretto
rapporto con le relazioni educative che si stabiliscono tra
i fanciulli e i loro istruttori.

... famiglia e scuola
devono muoversi
in direzione di una
comune
responsabilità...

130

È proprio da questa considerazione che nasce il bisogno di una collaborazione genitori-istruttori che, se avviene nel rispetto della dignità del soggetto protagonista, è tutt’altro che formale.
Gli allievi devono avvertire di essere amati in quanto persone e scoprire tutte le indicazioni utili che servono per la loro crescita, aiutati
dagli adulti a vivere la loro età come un percorso in continua esplorazione. Per raggiungere un simile obiettivo, la comune responsabilità educativa di genitori e insegnanti deve mirare a rimuovere e
superare l’idea di utenza che da sempre ha caratterizzato il rapporto
bambino/scuola-nuoto.
Capita spesso che la famiglia si comporti da utente delegando la società sportiva prescelta a far fronte a compiti educativi particolari che
appartengono esclusivamente al padre e alla madre. Di rimando,
anche la nostra scuola è chiamata ad accogliere, integrare, educare
il fanciullo come destinatario di ogni cura ed interesse e non presentarsi unicamente come centro di erogazione di servizi e prestazioni. Forse, famiglia e scuola devono muoversi in direzione di una
comune responsabilità e recuperare una capacità di dialogo mai
sfruttata interamente.

Giuseppe e Fabio BOVI
Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:20 Pagina 146

TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia

La specificità di questa nuova funzione nell’ambito delle scuole-nuoto
del nostro paese ha dato adito a numerosi interrogativi circa l’irrinunciabile competenza di tipo psico-pedagogico che tali persone devono possedere in quanto responsabili del coordinamento di servizi
particolari rivolti all’infanzia.
Tale qualità assume una funzione preminente rispetto alle altre,
anche se il compito viene esercitato con metodologie differenti da
una città all’altra e condotto con responsabilità e poteri a volte molto
dissimili. Il ruolo di mediazione tra esigenze diverse appartiene a questa figura e contraddistingue in maniera inequivocabile la sua azione
che, se inserita in un contesto educativo, non dovrebbe essere
limitata a dirigere e prescrivere, ma soprattutto a sostenere e
promuovere.
Non è facile comprendere come si combinino le molteplicità dei compiti a cui il coordinatore è chiamato a rispondere durante il proprio
lavoro quotidiano, ma è indispensabile che egli possegga la necessaria conoscenza di ciò che unisce il teorico al pratico per far sì che
l’attività a cui è destinato funzioni nel migliore dei modi.
In termini più chiari, il coordinatore deve conoscere non solo ciò che
sta facendo il singolo istruttore, ma anche le operazioni di segreteria, nonché l’attività del personale di assistenza, oltre a sapere ciò che
“bolle” nell’amministrazione generale dei servizi.

Solo facendosi carico direttamente di tutti gli aspetti
funzionali inerenti all’impianto natatorio, egli è in grado di
rendere operativi in maniera più pertinente gli aspetti
didattici, progettuali, pedagogici del servizio.

Per un simile professionista, lavorare contemporaneamente sugli
aspetti gestionali, sugli aspetti tecnici, e sul coordinamento pedagogico comporta un impegno piuttosto elevato e un dispendio di energie considerevole ma, in compenso, aumenta il prestigio del suo
ruolo, e l’incidenza della sua opera.
La funzione di sostegno al personale educativo rimane comunque il suo compito fondamentale.
Non è di poco conto far sentire il gruppo degli istruttori come il vero
protagonista del progetto educativo sostenendone gli intenti, facili-

146

Giuseppe e Fabio BOVI

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Pagine da bovi tutti in acqua

  • 1. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:04 Pagina 19 CAP 1 L’educazione questa… “sconosciuta”: un bisogno antico, una scoperta recente Pur tra le incertezze del nostro tempo assistiamo ad una pressante domanda di educazione e formazione da parte di una società sempre più preoccupata che il bambino piuttosto che un fine venga considerato un semplice mezzo dato che in molte situazioni, nelle quali interpreta un ruolo di primo piano, si presta poca attenzione alla sua identità come persona. Anche se la ricerca pedagogica sembra battere il passo su temi che pur le appartengono, non si può sottacere che a partire dagli anni ‘70, con notevole, progressiva, accelerazione il profilo pedagogico ha via via assunto nuovi connotati. Questo rinnovato fronte di interessi tende ad allargare i suoi confini oltre la scuola, espandendosi a dismisura nel campo dell’extra-scuola nel quale, con pieno diritto, può e deve annoverarsi il nostro mondo: quello delle piscine. È questo il momento in cui si avverte la necessità, non più rinviabile, di arricchire l’attività acquatica riguardante l’infanzia prendendo in più seria considerazione gli aspetti metodologici e psico-pedagogici ad essa legati. Lo scopo appare di grande rilievo e significato e ci coinvolge direttamente in quanto il nostro ambiente può aiutare grandemente a capire i problemi del bambino. ... il nostro ambiente può aiutare grandemente a capire i problemi del bambino. Può offrire ampie possibilità di interpretazione dei suoi autentici bisogni attraverso la sollecitazione delle molteplici e differenziate potenzialità che ognuno di loro possiede. È opportuno non sottovalutare che nelle nostre piscine confluiscono diverse migliaia di fanciulli sempre più piccoli. Per essi, il termine educazione non può essere negoziabile, sebbene persista il sospetto che il bambino sia, ancora, all’inizio del terzo millennio, un “soggetto misterioso” in gran parte sconosciuto per molti adulti. Infatti, l’esperienza maturata in piscina ci ha consentito di notare come non sia pienamente acquisita la consapevolezza della specificità del mondo infantile. Va riconosciuto, tuttavia, che la Federazione Italiana Nuoto, organo sportivo deputato per eccellenza alla organizzazione dell’attività acquatica, nell’intento di rivedere e migliorare i propri schemi che non rispondevano più alle esigenze del fanciullo, ha rivisto più volte la propria metodologia, ha adattato la propria didattica a favore di un vero e proprio progetto educativo sostenendo e promuovendo l’iniziativa e la spontaneità dell’allievo. Avvalendosi di esperti in vari settori ha promosso numerosi corsi di aggiornamento e specializzazione, ha ampliato i suoi interventi, rendendoli sempre più qualificati e pertinenti. Giuseppe e Fabio BOVI 19
  • 2. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:05 Pagina 29 CAP 2 Costruire una educazione acquatica di qualità “Io lo so come ti chiami… me lo ha detto la mia mamma! “Ah… sì,…rispondo” “Sì ti chiami Professore”. Una breve pausa e poi, continuando, “mi sai dire perché la tua mamma ti ha messo un nome… così strano?” Questo dialogo è uno dei tanti che intercorrono tra i fanciulli e il sottoscritto e dà la misura, se ancora ce ne fosse bisogno, di quale spontaneità, di quale candore, di quale ricchezza interiore essi dispongano. Che meraviglia, che stupore il loro mondo! “Paolino” non sa galleggiare, non conosce la profondità, non muove le gambe come dovrebbe, ma è capace di “far salpare” per mari sconosciuti, dal porto della sua fantasia, la piccola barchetta che stringe tra le mani. Quando sale “in groppa” ad un tubo flessibile conosce tutte le evoluzioni acquatiche del cavalluccio marino; sa scansare con delicatezza, senza far loro del male, tutti “quei pesciolini” che gli rendono difficoltoso il passaggio e che riempiono ogni angolo della sua immaginazione. Un quadro, quest’ultimo, molto diverso da ciò che si verifica in una scuola di nuoto tradizionale dove prevale l’apprendimento il più veloce possibile delle tecniche di galleggiamento, del movimento di gambe e braccia, e l’insegnamento della respirazione. Eccoli qua invece i nostri cosiddetti…utenti, descritti nei loro atteggiamenti più veri! Paolino, Marcellino, Chiara, Valeria… sono loro i destinatari delle nostre attenzioni! Essi non si pongono di certo il problema nuoto, ma condizionati dalla frenesia, dall’affanno di un mondo sempre più ansioso e pretenzioso, ... in una scuola di nuoto tradizionale dove prevale l’apprendimento il più veloce possibile delle tecniche...  avvertono più di ogni altra cosa la necessità di un riconoscimento come singoli individui. Giuseppe e Fabio BOVI 29
  • 3. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:10 Pagina 58 TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia Nell’accingerci ad affrontare un tema così impegnativo, così denso di interrogativi, così complesso, non è possibile non tornare indietro negli anni per riesaminare le caratteristiche del piano di lezione ritenuto la chiave di volta nello svolgimento di ogni argomento. Il rispetto dei suoi contenuti era, a qualsiasi livello d’insegnamento, la condizione unica, la stella polare che consentisse una trattazione efficace del compito affidato. Anche all’ I.S.E.F. è stato per decenni l’incontrastato e irrinunciabile punto focale definito…“a denti stretti”, da molti studenti, un buco nero nella loro carriera universitaria e giudicato con altrettanta perplessità da numerosi docenti. Pur essendo la procedura ufficialmente riconosciuta per lo svolgimento della lezione, poneva l’insegnante quantomeno in un atteggiamento di distacco e di riflessione in quanto nascondeva l’inquietante conflitto tra la rassicurante seduzione delle tecniche e la problematica, difficile arte di educare. L’istruttore, infatti, da un lato doveva “tirar fuori” dal fanciullo e da sé prospettive, proposte, progetti, emozioni; dall’altro doveva confrontarsi con la scelta di ciò che andava favorito, privilegiato e ritenuto la regola di condotta più logica.Infine, doveva interrogarsi per constatare se il tutto potesse essere giusto, adeguato, e conveniente. Nel nostro ambiente specifico il piano di lezione trova ancor oggi completa e assoluta identificazione con l’organizzazione didattica della singola lezione di scuola – nuoto che, mantenendo le sue abituali caratteristiche, si articola a grandi linee nella seguente ripartizione: 1) Fase introduttiva: è la fase che nello svolgimento della singola lezione corrisponde al cosiddetto avviamento e riscaldamento. Si basa su esercizi già conosciuti e sperimentati dagli allievi; esercizi che vengono proposti quasi sempre in progressione ( dal più semplice al più complesso ) adottando spesso una didattica meccanica e ripetitiva. 2) Fase di consolidamento: è la fase in cui si fa leva sulle abilità apprese nelle lezioni precedenti. Si cerca, in particolare, di stimolare l’attenzione dei protagonisti insistendo sugli aspetti tecnico – didattici degli esercizi che rivestono maggiore difficoltà. 58 Giuseppe e Fabio BOVI
  • 4. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:16 Pagina 108 TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia “Ti insegnerò a nuotare così il mare saprà chi sei quando l’abbracci” POVIA ... l’insegnante professionista consapevole non improvvisa. 108 In qualsiasi processo di insegnamento, la fase di apprendimento diviene quella essenziale, quella significativa, quella nella quale l’insegnante mette in gioco un suo aspetto vitale: la professionalità. Anche nelle nostre piscine non si rincorre più come un tempo un atto dell’apprendere impegnato “sul che cosa” e “sul come” si insegna, ma il problema vero, grazie alla rinnovata trasformazione pedagogica della didattica tradizionale, è diventato un altro: capire come creare le condizioni affinché ciascun allievo, secondo le proprie caratteristiche, possa essere capace di costruire competenze. A simili prospettive così nuove ed incisive, e nello stesso tempo così particolari, si può dare risposta solo se gli istruttori optano per una scelta di responsabilità. È loro compito esclusivo assumersi la libertà di mediare, di distribuire, organizzare gli obiettivi specifici di apprendimento assegnando ad essi significati e priorità che scaturiscono dalla loro comprovata sensibilità ed esperienza. Se questo intento assume un ruolo di spicco, di preminenza, rispetto ad altri sistemi, il modo con cui si insegna l’educazione acquatica nella scuola per l’infanzia non può che essere la derivazione di una “trasposizione didattica”. Per meglio chiarire il concetto, intendiamo far notare la necessità che prenda forma un vero e proprio processo di scambio per mezzo del quale l’istruttore trasforma un sapere tecnico - didattico fortemente impersonale in un sapere “da insegnare”, un sapere più adeguato alla portata reale dei singoli allievi che si hanno di fronte. D’ altronde, l’insegnante professionista consapevole non improvvisa; prima valuta la situazione, e poi decide che tipo di operazione compiere. Dopo, solo dopo, partendo dalla centralità del fanciullo, si avvale di una strategia didattica che ritiene possa avere successo. Giuseppe e Fabio BOVI
  • 5. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:18 Pagina 124 TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia A) Concetto di multilateralità Le fasi di ambientamento in acqua, la confidenza con l’acqua e con l’ambiente si ottengono, come più volte ribadito, affinando le capacità senso-percettive che esercitano un ruolo tanto importante nella ricerca di autonomia da parte del fanciullo. L’acquisizione di autonomia rappresenta la chiave di volta su cui si innesta lo sviluppo delle capacità coordinative speciali che, come sappiamo, costituiscono i presupposti irrinunciabili del movimento. Far lavorare l’allievo affinché si costruisca i prerequisiti necessari alla sua maturazione, per giunta in una età (5 - 11 anni) definita un arco di “tempo magico” ai fini del loro apprendimento, sottintende la realizzazione di interventi essenzialmente interdisciplinari.L’esperienza insegna che la capacità di apprendimento tende ad affievolirsi se al centro della attività vengono a mancare gli stimoli ad apprendere sempre qualcosa di nuovo. La comparsa del tipico “Plateau” di rendimento con relativa stasi nel processo di apprendimento rappresenta il segnale inequivocabile di un mancato ricorso al rinnovo di un vasto repertorio di movimenti. In linea con tale teoria, padroneggiare il proprio corpo in acqua con disinvoltura, con la massima serenità, senza turbamenti e apprensioni rimane il primo, vero, grande obiettivo. L’azione, dunque, non può che essere polivalente. Deve investire tutti gli schemi motori di base e non, tutte le parti del corpo, sperimentando atteggiamenti e posizioni tra le più inconsuete e originali perseguendo tutti gli obiettivi educativi. Il lavoro acquatico è sempre indirizzato verso l’apprendimento degli stili natatori, ma la strada per raggiungere tale meta va modificata, integrata, arricchita, resa più motivante. Le cosiddette “parti difficili” dei movimenti vanno apprese in modi differenti, in condizioni non rigidamente standardizzate, facendo ricorso a varie combinazioni tendenti a favorire, più di ogni altra cosa, la scoperta personale per ogni singolo fanciullo. Per ognuno dei protagonisti una pluralità di sollecitazioni così concepita agevola non solo la riuscita delle situazioni–stimolo che si presentano e il conseguente successo che ne deriva, ma permette anche di controllare con maggiore precisione, e più a fondo, qualsiasi gesto che si intraprende in acqua. 124 Giuseppe e Fabio BOVI
  • 6. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:18 Pagina 130 TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia Uno studio particolarmente scrupoloso di tutti gli innumerevoli quesiti che suscita l’incontro del fanciullo con la scuola-nuoto ci condizionerebbe fino al punto che dare inizio ad un simile proposito potrebbe sembrare un atto di pura presunzione. A nostro parere, tuttavia, nel rapporto fanciullo/scuola-nuoto non si può prescindere da un punto di partenza preciso che si presenta come sostanziale prima di ogni azione ulteriore: una ferma adesione agli orientamenti valoriali. Ciò significa che, prima di tutto, va rispettata la insopprimibile esigenza di conferire ad ogni attività (la nostra, non fa eccezione) una prioritaria finalizzazione educativa. Vale a dire che sembra inutile prefissare obiettivi, strategie didattiche, metodologie miracolose se prima non si favorisce la ricerca della qualità che si trova nello stretto rapporto con le relazioni educative che si stabiliscono tra i fanciulli e i loro istruttori. ... famiglia e scuola devono muoversi in direzione di una comune responsabilità... 130 È proprio da questa considerazione che nasce il bisogno di una collaborazione genitori-istruttori che, se avviene nel rispetto della dignità del soggetto protagonista, è tutt’altro che formale. Gli allievi devono avvertire di essere amati in quanto persone e scoprire tutte le indicazioni utili che servono per la loro crescita, aiutati dagli adulti a vivere la loro età come un percorso in continua esplorazione. Per raggiungere un simile obiettivo, la comune responsabilità educativa di genitori e insegnanti deve mirare a rimuovere e superare l’idea di utenza che da sempre ha caratterizzato il rapporto bambino/scuola-nuoto. Capita spesso che la famiglia si comporti da utente delegando la società sportiva prescelta a far fronte a compiti educativi particolari che appartengono esclusivamente al padre e alla madre. Di rimando, anche la nostra scuola è chiamata ad accogliere, integrare, educare il fanciullo come destinatario di ogni cura ed interesse e non presentarsi unicamente come centro di erogazione di servizi e prestazioni. Forse, famiglia e scuola devono muoversi in direzione di una comune responsabilità e recuperare una capacità di dialogo mai sfruttata interamente. Giuseppe e Fabio BOVI
  • 7. Bovi:Tutti_in_acqua 10/09/09 13:20 Pagina 146 TUTTI IN ACQUA! Ed è subito magia La specificità di questa nuova funzione nell’ambito delle scuole-nuoto del nostro paese ha dato adito a numerosi interrogativi circa l’irrinunciabile competenza di tipo psico-pedagogico che tali persone devono possedere in quanto responsabili del coordinamento di servizi particolari rivolti all’infanzia. Tale qualità assume una funzione preminente rispetto alle altre, anche se il compito viene esercitato con metodologie differenti da una città all’altra e condotto con responsabilità e poteri a volte molto dissimili. Il ruolo di mediazione tra esigenze diverse appartiene a questa figura e contraddistingue in maniera inequivocabile la sua azione che, se inserita in un contesto educativo, non dovrebbe essere limitata a dirigere e prescrivere, ma soprattutto a sostenere e promuovere. Non è facile comprendere come si combinino le molteplicità dei compiti a cui il coordinatore è chiamato a rispondere durante il proprio lavoro quotidiano, ma è indispensabile che egli possegga la necessaria conoscenza di ciò che unisce il teorico al pratico per far sì che l’attività a cui è destinato funzioni nel migliore dei modi. In termini più chiari, il coordinatore deve conoscere non solo ciò che sta facendo il singolo istruttore, ma anche le operazioni di segreteria, nonché l’attività del personale di assistenza, oltre a sapere ciò che “bolle” nell’amministrazione generale dei servizi. Solo facendosi carico direttamente di tutti gli aspetti funzionali inerenti all’impianto natatorio, egli è in grado di rendere operativi in maniera più pertinente gli aspetti didattici, progettuali, pedagogici del servizio. Per un simile professionista, lavorare contemporaneamente sugli aspetti gestionali, sugli aspetti tecnici, e sul coordinamento pedagogico comporta un impegno piuttosto elevato e un dispendio di energie considerevole ma, in compenso, aumenta il prestigio del suo ruolo, e l’incidenza della sua opera. La funzione di sostegno al personale educativo rimane comunque il suo compito fondamentale. Non è di poco conto far sentire il gruppo degli istruttori come il vero protagonista del progetto educativo sostenendone gli intenti, facili- 146 Giuseppe e Fabio BOVI