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News 28/A/2016
Lunedì, 11 Luglio 2016
Brutte notizie per il Ttip: il Ceta UE-Canada dovrà essere approvato dai Parlamenti
Nazionali.
La Commissione europea ha deciso di trasmettere il Comprehensive economic and
trade agreement Eu-Canada (Ceta) ai governi nazionali per la firma, una mossa
che potrebbe rallentare il cammino di questo contestato trattato e ostacolare
ancora di più quello del suo ancora più tribolato gemello: il Transatlantic trade and
investment partnership (Ttip).
Di fatto si tratta di un passo indietro e il presidente della Commissione Ue Jean-
Claude Juncker fa buon viso a cattivo gioco quando dice che «L’accordo
commerciale tra l’Ue e il Canada è il nostro migliore e più progressiva accordo
commerciale e voglio che entri in vigore il più presto possibile», perché sa bene che
ci sono governi e importanti fette di opinioni pubbliche nazionali che non
digeriscono proprio Ceta e Ttip.
Nell’annunciare la decisione anche la Commissaria Ue al commercio, Cecilia
Malmström, ha mostrato ottimismo: «Ceta è una pietra miliare nella politica
commerciale europea. Contribuirà a generare la crescita e l’occupazione tanto
necessarie, pur confermando pienamente elevati standard europei in settori come
la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente e dei diritti delle persone sul posto di
lavoro».
Le Malmström ha confermato che «La valutazione giuridica della Commissione è
che tutti i settori contemplati dal Ceta rientrano nella competenza dell’Ue. Anche se
da un punto di vista strettamente giuridico, la Commissione ritiene che questo
accordo ricarda sotto la competenza esclusiva dell’Ue, la Commissione ha deciso di
proporre Ceta alla firma come un accordo misto , che richiede il consenso del
Parlamento europeo e di tutti gli Stati membri attraverso le pertinenti procedure di
ratifica nazionali». Ma evidentemente i dubbi sulla “fedeltà al Ceta dei governi
nazionali – espressi oggi dal Sole 24 Ore per conto di Confindustria – sono forti, visto
che la Commissaria Ue ha chiesto agli Stati membri di approvare l’accordo e di «dar
prova di leadership difendendolo nei loro parlamenti e con i cittadini».
Chi non l’ha presa assolutamente bene è il ministro dello sviluppo economico
italiano Carlo Calenda, dichiarato sostenitore del Ttip, che ha dichiarato: «La
decisione, senza precedenti, della Commissione Europea di portare in approvazione
l’accordo con il Canada come accordo misto e pertanto sottoporlo alla ratifica di
circa 38 assemblee parlamentari degli Stati Membri rappresenta un ulteriore danno
alla costruzione europea e un decisivo passo verso lo stallo della politica
commerciale dell’Unione. L’Italia si era detta pronta ad appoggiare un processo di
approvazione europeo che avrebbe dovuto prevedere il voto favorevole del
Consiglio e del Parlamento Europeo. Un processo pienamente democratico,
previsto dai trattati. Le assemblee parlamentari nazionali sarebbero state, anche in
questo caso, pienamente legittimate a dibattere i contenuti del Ceta prima della
decisione del Consiglio e a dare indicazioni ai Governi circa la posizione da tenere
in quella sede. L’accordo con il Canada è il migliore mai siglato dall’Unione Europea
e contiene tra l’altro il riconoscimento delle più importanti Dop e Igp italiane e un
ampio accesso al mercato degli appalti pubblici e dei servizi; entrambi obiettivi non
ancora raggiunti nel negoziato con gli Usa. Ora il processo di ratifica dell’accordo
potrà prendere anni e basterà il voto negativo di una assemblea parlamentare
nazionale per farlo cadere. C’è da domandarsi come l’Europa potrà ancora essere
considerata un partner negoziale credibile. Ed è davvero un segnale preoccupante
che la Commissione ceda alle pressioni degli stati membri rinunciando alle proprie
prerogative e affermando, nello stesso momento, che la natura giuridica
dell’accordo è “Eu only” ma che non ha la forza di presentarlo come tale agli stati
membri».
Esultano invece a Stop Ttip, convinti che la decisione della Commissione Ue sul Ceta
sia un «Primo passo importante ma non sufficiente», anche se è «Una notizia
importante, che rende merito delle forti pressioni dei movimenti su Commissione
Europea e Governi nazionali» e che è arrivata proprio mentre sindacati, imprese e
le organizzazioni della Campagna Stop Ttip Italia – tra cui Coldiretti, Arci, Fairwatch,
Cgil, Legambiente e Movimento Consumatori – ribadivano alla Camera dei
deputati e al ministro Calenda e alla presidente della Camera Laura Boldrini la loro
«preoccupazione per l’impatto di queste trattative sul futuro del nostro Paese».
Infatti, durante il seminario “Il Trattato commerciale Ue-Usa (Ttip): Preoccupazioni e
proposte di parti sociali e imprese” che si è tenuto alla Camera è stata ribadita la
«necessità di fare maggiore chiarezza su alcuni nodi legati agli impatti sociali,
ambientali, ma anche economici sul sistema Italia che un trattato riguardante oltre il
50% del Pil globale potrebbe determinare. C’è, inoltre, un aspetto legato alla
ridefinizione della cooperazione regolatoria transatlantica che preoccupa molte
associazioni, parti sociali e imprese e che va approfondito».
Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop Ttip Italia, sottolinea: «Mentre
siamo riusciti grazie alle mobilitazioni a impedire alla Commissione Europea di
tagliare fuori i parlamenti nazionali dalla ratifica di trattati importanti per il futuro
dell’Europa come Ttip e Ceta, imprese, associazioni e sindacati hanno incontrato il
ministro Calenda e la presidente Boldrini per ribadire la loro contrarietà totale a ogni
ipotesi di scorciatoia istituzionale. La possibilità di far intervenire i nostri Parlamenti è
un passo fondamentale, ma è assolutamente insufficiente considerato il rischio che
l’accordo Ue-Canada venga, anche se in forma temporanea e in attesa delle
ratifiche, già reso operativo».
Stop Ttip Italia ha sempre visto il Ceta come un preludio del Ttip: «Oltre all’impianto
generale molto simile, vi è il fatto che le imprese statunitensi hanno oltre 40 mila
sussidiarie in Canada. L’accordo metterebbe su un piatto d’argento la possibilità di
aggredire mercati e legislazioni europee “per interposta nazione”». Per questo la
Campagna italiana chiede «Il blocco dei negoziati con gli Usa e la sospensione
dell’approvazione del Ceta, proponendo l’apertura di un ampio dibattito nel Paese
e una profonda revisione della politica commerciale europea e dei meccanismi
istituzionali che la governano».
Elena Mazzoni, una delle coordinatrici della campagna italiana anti-Ttip e Ceta,
aggiunge: «I movimenti hanno impedito che il Ceta fosse considerato un accordo a
competenza esclusiva dell’Unione europea. Ora il passo successivo è ampliare il
dibattito pubblico su questi trattati e aumentare le pressioni affinché il Ttip venga
fermato. C’è bisogno di una profonda revisione della politica commerciale
europea».
Per questo la Campagna Stop Ttip Italia, insieme alle oltre 600 organizzazioni
europee che si battono contro il Ttip e il Ceta, rilancia la settimana di mobilitazione
in occasione dell’apertura del 14 round negoziale sul Ttip, previsto a Bruxelles dal 12
luglio: «Le crescenti pressioni dell’opinione pubblica – dice Marco Bersani, della
Campagna Stop Ttip Italia – mostrano come la questione commerciale non sia più
specifico interesse delle lobby economiche. Un cambio di scenario che dovrebbe
mettere in guardia i decisori politici così da evitare ogni trattativa svolta sottotraccia
e da ogni ipotesi di scorciatoia che non coinvolga la società civile».
Greenpeace ricorda che «Uno degli aspetti più discussi del Ceta è il
cosiddetto Investment Court System (Ics), un trattamento privilegiato per gli
investitori stranieri che darebbe alle multinazionali il potere di citare in giudizio gli
Stati in corti speciali, al di fuori dei nostri sistemi giudiziari».
Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia,
conclude: «Chiediamo ai governi dell’Unione europea di opporsi ad accordi
commerciali come Ceta e Ttip. Gli interessi privati delle grandi aziende non possono
essere anteposti alla tutela della salute, dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori».
Fonte: greenreport.it
Acciaio e CO2, c’è la restituzione per le quote di emissione assegnate per errore.
La normativa nazionale può prevedere la restituzione delle quote di emissioni
assegnate a causa di un errore quando non è più possibile chiedere
all’amministratore centrale del registro l’annullamento: lo sostiene l’avvocato
generale europeo, che afferma la non contrarietà al diritto europeo della legge del
Lussemburgo.
La vicenda ha inizio quando il ministro dell’Ambiente di Lussemburgo assegna alla
ArcelorMittal Rodange et Schifflange SA, a titolo gratuito, per il suo impianto
siderurgico di Schifflange, un totale di 405 365 quote di emissioni di gas a effetto
serra, corrispondenti al periodo compreso tra il primo gennaio 2008 e il 31 dicembre
2012. Nell’ottobre 2011, l’assemblea generale della ArcelorMittal decideva di
sospendere l’attività dell’acciaieria. Decisione che però non viene notificata
all’amministrazione lussemburghese. E dunque nel 2012 la ArcelorMittal ha ricevuto
le quote assegnate per il 2012.
Poiché tra la data di tale richiesta (23 aprile 2012) e quella della ricezione delle
quote assegnate (22 febbraio 2012) sono trascorsi 61 giorni, le autorità nazionali non
hanno poturo presentare all’amministratore centrale del registro delle operazioni la
richiesta necessaria per l’annullamento dell’assegnazione di dette quote. Quindi il
ministro per lo Sviluppo sostenibile e le iInfrastrutture ha ordinato la restituzione delle
quote rilasciate per il 2012.
La ArcelorMittal ha promosso la questione al Tribunale amministrativo del
Lussemburgo sostenendo che il comportamento dell’amministrazione equivalga a
un atto espropriativo, soggetto quindi a indennizzo. Sostenendo anche che la
ArcelorMittal le quote di emissioni devono essere considerate beni e non
autorizzazioni amministrative.
Il sistema di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra istituito dalla direttiva
2003/87/CE costituisce un punto focale dell’iniziativa dell’Unione volta a ridurre la
presenza nell’atmosfera di questo tipo di gas. Gas ai quali è attribuito, in ampia
misura, il riscaldamento globale del pianeta. Con tale sistema l’Ue attribuisce un
valore economico alle quote e ne fa uno strumento di scambio di un vero e proprio
mercato. In tal modo cerca di incentivare la riduzione delle emissioni inquinanti.
L’affidabilità e la solvibilità di questo mercato richiedono un meccanismo rigoroso e
affidabile di assegnazione e distribuzione delle quote di emissioni, per il quale è
fondamentale l’azione coordinata dell’Unione e degli Stati membri.
La natura giuridica delle quote di emissioni è stata oggetto di un ampio dibattito
dottrinale. In mancanza di una loro definizione nel diritto dell’Unione, alcuni Stati
membri hanno deciso di configurarle come autorizzazioni amministrative, mentre
altri le classificano come beni che possono formare oggetto del diritto di proprietà.
Ma, comunque sia, la restituzione di una quota di emissioni non utilizzata, giustificata
dal fatto che la sua assegnazione è dipesa un errore, provocato dal suo titolare e al
quale non si può porre rimedio con l’annullamento della registrazione è una
conseguenza della direttiva 2003/87. In tal modo si garantisce il corretto
funzionamento del sistema di scambio di quote di emissioni istituito dall’Unione
come strumento chiave della sua politica di tutela dell’ambiente. La restituzione, in
tali circostanze, non implica l’espropriazione di un bene già acquisito al patrimonio
del titolare, bensì la revoca dell’atto di assegnazione della quota di emissioni a
motivo dell’inosservanza dei requisiti cui tale assegnazione doveva essere
subordinata.
Dunque, le quote di emissioni assegnate in violazione della direttiva non possono
essere qualificate come beni compresi nel patrimonio dei loro titolari, ai fini delle
garanzie connesse al diritto fondamentale di proprietà sancito dall’articolo 17 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. (Articolo di Eleonora Santucci)
Fonte: greenreport.it
Rifiuti. Procedure autorizzative semplificate e legittimazione degli impianti sotto il
profilo urbanistico.
TAR Toscana Sez. III n. 964 del 8 giugno 2016
Le procedure autorizzative semplificate previste dagli artt. 214 e seguenti del D.Lgs
152 del 2006 riguardano “l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti” (art. 216
comma 1) e non anche la legittimazione degli impianti attraverso cui tali attività
vengono svolte sotto il profilo edilizio.
Fonte: lexambiente.it
Aria. Getto pericoloso e momento consumativo del reato.
Cass. Pen. Sez. III n. 24817 del 15 giugno 2016 (Cc 6 apr 2016)
Pres. Amoresano Est. Gai Ric. PM in proc.Cipriani
Il reato di getto di cose pericolose, di cui all'art. 674 cod. pen., ha di regola
carattere istantaneo e solo eventualmente permanente. La permanenza va
ravvisata quando le illegittime emissioni sono connesse all'esercizio di attività
economiche e legate al ciclo produttivo, mentre, con riguardo specifico
all'emissione molesta di gas, di vapori o di fumo, la contravvenzione di cui all'art. 674
cod. pen., è un reato non necessariamente, ma solo eventualmente permanente, in
dipendenza cioè della durata, istantanea o continuativa, della condotta che
provoca le emissioni stesse.
Fonte: lexambiente.it
Urbanistica. Abusivismo edilizio e stato di necessità.
Cass. Pen. Sez. III n. 25036 del 16 giugno 2016 (Ud 3 mar 2016)
Pres. Amoresano Est. Liberati Ric. Botticelli
Lo stato di necessità può essere invocato solo in relazione ad un pericolo attuale e
transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere
in via definitiva le esigenze abitative del proprio nucleo familiare, in quanto le
esigenze abitative delle famiglie sono salvaguardate dall'ordinamento mediante il
sistema dell'edilizia popolare o convenzionata e quelle di tutela della salute, ed in
particolare della gravidanza, attraverso l'assistenza sanitaria, e non consentono
dunque di ravvisare un pericolo attuale di danno grave alla persona tale da
legittimare la realizzazione di un immobile abusivo da destinare ad abitazione
familiare.
Ambiente in genere. Inquinamento del suolo e principio “chi inquina paga”.
TAR Marche Sez. I n. 347 del 3 giugno 2016
Conformemente al principio “chi inquina paga”, l'obbligo di riparazione incombe
agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi
dell'inquinamento o al rischio di inquinamento e che è possibile presumere
l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento
accertato attraverso indizi plausibili quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore
all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i
componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando
disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di
dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso
rilevato.
Fonte: lexambiente.it
Rifiuti. Smaltimento di rifiuti di imballaggio mediante incenerimento.
Cass. Pen. Sez. III n. 24415 del 13 giugno 2016 (Ud 3 mar 2016)
Pres. Amoresano Est. Andronio Ric. Capoccello
Lo smaltimento di rifiuti di imballaggio (nella specie: carta e plastica) mediante
incenerimento in assenza della prescritta autorizzazione integra il reato di cui all'art.
256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, senza necessità che sia verificata l'idoneità
della combustione a sprigionare sostanze tossiche o velenose. La fattispecie
incriminatrice punisce, infatti, l'abusivo smaltimento dei rifiuti e non la produzione di
inquinamento atmosferico, cosicché non assume alcun rilievo l'eventuale danno o
pericolo di danno per l'ambiente atmosferico.
Fonte: lexambiente.it
Raee, dal 22 luglio scatta ritiro “uno contro zero”.
Dal 22 luglio il ritiro “uno contro zero” gratuito dei rifiuti di apparecchiature elettriche
o elettroniche (Raee) di piccolissime dimensioni è obbligatorio per le grandi strutture
di vendita del nuovo.
Lo stabilisce il decreto Min. Ambiente 31 maggio 2016, n. 121, nuovo regolamento
attuativo del Dlgs 49/2014 che detta le modalità semplificate per lo svolgimento
delle attività di ritiro gratuito da parte dei distributori con superficie di vendita di
apparecchi elettronici (Aee) di almeno 400 mq.
I Raee professionali sono esclusi.
Il regolamento disciplina le caratteristiche dei contenitori per i Raee che devono
essere predisposti nei punti vendita dei distributori, gli obblighi periodici di
svuotamento, le informazioni al consumatore, le caratteristiche del deposito
preliminare alla raccolta e le modalità per il trasporto dei Raee ai centri accreditati
per la preparazione per il riutilizzo o ai centri di raccolta. (Articolo di Alessandro
Geremei)
Fonte: reteambiente.it
Residui vegetali, ok definitivo a Ddl che amplia deroghe a regime rifiuti.
Nella seduta del 6 luglio 2016 il Senato ha dato il via libera definitivo al Ddl 1328-B su
semplificazione nel settore agricolo che, tra l’altro, amplia il novero dei residui
vegetali esclusi dal regime dei rifiuti.
Il provvedimento che reca norme a tutto campo in materia di competitività del
settore agricolo, si occupa anche di rifiuti agricoli e modifica la lettera f) dell’articolo
185 del Dlgs 152/2006 escludendo dalla disciplina sui rifiuti paglia, sfalci e potature
derivati da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali o da attività agricole e
agro-industriali (articolo 184, comma 2 lettera e) e comma 3, lettera a). Sia il citato
materiale verde sia ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso
sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti solo se destinati alle normali pratiche agricole o
utilizzati in agricoltura anche fuori del luogo di produzione o con cessione a terzi,
mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in
pericolo la salute umana.
Altre novità la ridefinizione dal 2017 del contributo al Conoe (Consorzio Nazionale di
raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti) ex articolo
233, Dlgs 152/2006 e semplificazioni per l’adesione da parte delle imprese agricole ai
consorzi e sistemi per la raccolta dei rifiuti previsti dalla Parte IV del dlgs. 152/2006.
(Articolo di Francesco Petrucci)
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News A 28 2016

  • 1. News 28/A/2016 Lunedì, 11 Luglio 2016 Brutte notizie per il Ttip: il Ceta UE-Canada dovrà essere approvato dai Parlamenti Nazionali. La Commissione europea ha deciso di trasmettere il Comprehensive economic and trade agreement Eu-Canada (Ceta) ai governi nazionali per la firma, una mossa che potrebbe rallentare il cammino di questo contestato trattato e ostacolare ancora di più quello del suo ancora più tribolato gemello: il Transatlantic trade and investment partnership (Ttip). Di fatto si tratta di un passo indietro e il presidente della Commissione Ue Jean- Claude Juncker fa buon viso a cattivo gioco quando dice che «L’accordo commerciale tra l’Ue e il Canada è il nostro migliore e più progressiva accordo commerciale e voglio che entri in vigore il più presto possibile», perché sa bene che ci sono governi e importanti fette di opinioni pubbliche nazionali che non digeriscono proprio Ceta e Ttip. Nell’annunciare la decisione anche la Commissaria Ue al commercio, Cecilia Malmström, ha mostrato ottimismo: «Ceta è una pietra miliare nella politica commerciale europea. Contribuirà a generare la crescita e l’occupazione tanto necessarie, pur confermando pienamente elevati standard europei in settori come la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente e dei diritti delle persone sul posto di lavoro». Le Malmström ha confermato che «La valutazione giuridica della Commissione è che tutti i settori contemplati dal Ceta rientrano nella competenza dell’Ue. Anche se da un punto di vista strettamente giuridico, la Commissione ritiene che questo accordo ricarda sotto la competenza esclusiva dell’Ue, la Commissione ha deciso di proporre Ceta alla firma come un accordo misto , che richiede il consenso del Parlamento europeo e di tutti gli Stati membri attraverso le pertinenti procedure di ratifica nazionali». Ma evidentemente i dubbi sulla “fedeltà al Ceta dei governi nazionali – espressi oggi dal Sole 24 Ore per conto di Confindustria – sono forti, visto che la Commissaria Ue ha chiesto agli Stati membri di approvare l’accordo e di «dar prova di leadership difendendolo nei loro parlamenti e con i cittadini». Chi non l’ha presa assolutamente bene è il ministro dello sviluppo economico italiano Carlo Calenda, dichiarato sostenitore del Ttip, che ha dichiarato: «La
  • 2. decisione, senza precedenti, della Commissione Europea di portare in approvazione l’accordo con il Canada come accordo misto e pertanto sottoporlo alla ratifica di circa 38 assemblee parlamentari degli Stati Membri rappresenta un ulteriore danno alla costruzione europea e un decisivo passo verso lo stallo della politica commerciale dell’Unione. L’Italia si era detta pronta ad appoggiare un processo di approvazione europeo che avrebbe dovuto prevedere il voto favorevole del Consiglio e del Parlamento Europeo. Un processo pienamente democratico, previsto dai trattati. Le assemblee parlamentari nazionali sarebbero state, anche in questo caso, pienamente legittimate a dibattere i contenuti del Ceta prima della decisione del Consiglio e a dare indicazioni ai Governi circa la posizione da tenere in quella sede. L’accordo con il Canada è il migliore mai siglato dall’Unione Europea e contiene tra l’altro il riconoscimento delle più importanti Dop e Igp italiane e un ampio accesso al mercato degli appalti pubblici e dei servizi; entrambi obiettivi non ancora raggiunti nel negoziato con gli Usa. Ora il processo di ratifica dell’accordo potrà prendere anni e basterà il voto negativo di una assemblea parlamentare nazionale per farlo cadere. C’è da domandarsi come l’Europa potrà ancora essere considerata un partner negoziale credibile. Ed è davvero un segnale preoccupante che la Commissione ceda alle pressioni degli stati membri rinunciando alle proprie prerogative e affermando, nello stesso momento, che la natura giuridica dell’accordo è “Eu only” ma che non ha la forza di presentarlo come tale agli stati membri». Esultano invece a Stop Ttip, convinti che la decisione della Commissione Ue sul Ceta sia un «Primo passo importante ma non sufficiente», anche se è «Una notizia importante, che rende merito delle forti pressioni dei movimenti su Commissione Europea e Governi nazionali» e che è arrivata proprio mentre sindacati, imprese e le organizzazioni della Campagna Stop Ttip Italia – tra cui Coldiretti, Arci, Fairwatch, Cgil, Legambiente e Movimento Consumatori – ribadivano alla Camera dei deputati e al ministro Calenda e alla presidente della Camera Laura Boldrini la loro «preoccupazione per l’impatto di queste trattative sul futuro del nostro Paese». Infatti, durante il seminario “Il Trattato commerciale Ue-Usa (Ttip): Preoccupazioni e proposte di parti sociali e imprese” che si è tenuto alla Camera è stata ribadita la «necessità di fare maggiore chiarezza su alcuni nodi legati agli impatti sociali, ambientali, ma anche economici sul sistema Italia che un trattato riguardante oltre il 50% del Pil globale potrebbe determinare. C’è, inoltre, un aspetto legato alla ridefinizione della cooperazione regolatoria transatlantica che preoccupa molte associazioni, parti sociali e imprese e che va approfondito». Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop Ttip Italia, sottolinea: «Mentre
  • 3. siamo riusciti grazie alle mobilitazioni a impedire alla Commissione Europea di tagliare fuori i parlamenti nazionali dalla ratifica di trattati importanti per il futuro dell’Europa come Ttip e Ceta, imprese, associazioni e sindacati hanno incontrato il ministro Calenda e la presidente Boldrini per ribadire la loro contrarietà totale a ogni ipotesi di scorciatoia istituzionale. La possibilità di far intervenire i nostri Parlamenti è un passo fondamentale, ma è assolutamente insufficiente considerato il rischio che l’accordo Ue-Canada venga, anche se in forma temporanea e in attesa delle ratifiche, già reso operativo». Stop Ttip Italia ha sempre visto il Ceta come un preludio del Ttip: «Oltre all’impianto generale molto simile, vi è il fatto che le imprese statunitensi hanno oltre 40 mila sussidiarie in Canada. L’accordo metterebbe su un piatto d’argento la possibilità di aggredire mercati e legislazioni europee “per interposta nazione”». Per questo la Campagna italiana chiede «Il blocco dei negoziati con gli Usa e la sospensione dell’approvazione del Ceta, proponendo l’apertura di un ampio dibattito nel Paese e una profonda revisione della politica commerciale europea e dei meccanismi istituzionali che la governano». Elena Mazzoni, una delle coordinatrici della campagna italiana anti-Ttip e Ceta, aggiunge: «I movimenti hanno impedito che il Ceta fosse considerato un accordo a competenza esclusiva dell’Unione europea. Ora il passo successivo è ampliare il dibattito pubblico su questi trattati e aumentare le pressioni affinché il Ttip venga fermato. C’è bisogno di una profonda revisione della politica commerciale europea». Per questo la Campagna Stop Ttip Italia, insieme alle oltre 600 organizzazioni europee che si battono contro il Ttip e il Ceta, rilancia la settimana di mobilitazione in occasione dell’apertura del 14 round negoziale sul Ttip, previsto a Bruxelles dal 12 luglio: «Le crescenti pressioni dell’opinione pubblica – dice Marco Bersani, della Campagna Stop Ttip Italia – mostrano come la questione commerciale non sia più specifico interesse delle lobby economiche. Un cambio di scenario che dovrebbe mettere in guardia i decisori politici così da evitare ogni trattativa svolta sottotraccia e da ogni ipotesi di scorciatoia che non coinvolga la società civile». Greenpeace ricorda che «Uno degli aspetti più discussi del Ceta è il cosiddetto Investment Court System (Ics), un trattamento privilegiato per gli investitori stranieri che darebbe alle multinazionali il potere di citare in giudizio gli Stati in corti speciali, al di fuori dei nostri sistemi giudiziari». Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, conclude: «Chiediamo ai governi dell’Unione europea di opporsi ad accordi commerciali come Ceta e Ttip. Gli interessi privati delle grandi aziende non possono
  • 4. essere anteposti alla tutela della salute, dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori». Fonte: greenreport.it Acciaio e CO2, c’è la restituzione per le quote di emissione assegnate per errore. La normativa nazionale può prevedere la restituzione delle quote di emissioni assegnate a causa di un errore quando non è più possibile chiedere all’amministratore centrale del registro l’annullamento: lo sostiene l’avvocato generale europeo, che afferma la non contrarietà al diritto europeo della legge del Lussemburgo. La vicenda ha inizio quando il ministro dell’Ambiente di Lussemburgo assegna alla ArcelorMittal Rodange et Schifflange SA, a titolo gratuito, per il suo impianto siderurgico di Schifflange, un totale di 405 365 quote di emissioni di gas a effetto serra, corrispondenti al periodo compreso tra il primo gennaio 2008 e il 31 dicembre 2012. Nell’ottobre 2011, l’assemblea generale della ArcelorMittal decideva di sospendere l’attività dell’acciaieria. Decisione che però non viene notificata all’amministrazione lussemburghese. E dunque nel 2012 la ArcelorMittal ha ricevuto le quote assegnate per il 2012. Poiché tra la data di tale richiesta (23 aprile 2012) e quella della ricezione delle quote assegnate (22 febbraio 2012) sono trascorsi 61 giorni, le autorità nazionali non hanno poturo presentare all’amministratore centrale del registro delle operazioni la richiesta necessaria per l’annullamento dell’assegnazione di dette quote. Quindi il ministro per lo Sviluppo sostenibile e le iInfrastrutture ha ordinato la restituzione delle quote rilasciate per il 2012. La ArcelorMittal ha promosso la questione al Tribunale amministrativo del Lussemburgo sostenendo che il comportamento dell’amministrazione equivalga a un atto espropriativo, soggetto quindi a indennizzo. Sostenendo anche che la ArcelorMittal le quote di emissioni devono essere considerate beni e non autorizzazioni amministrative. Il sistema di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra istituito dalla direttiva 2003/87/CE costituisce un punto focale dell’iniziativa dell’Unione volta a ridurre la presenza nell’atmosfera di questo tipo di gas. Gas ai quali è attribuito, in ampia misura, il riscaldamento globale del pianeta. Con tale sistema l’Ue attribuisce un valore economico alle quote e ne fa uno strumento di scambio di un vero e proprio mercato. In tal modo cerca di incentivare la riduzione delle emissioni inquinanti. L’affidabilità e la solvibilità di questo mercato richiedono un meccanismo rigoroso e affidabile di assegnazione e distribuzione delle quote di emissioni, per il quale è
  • 5. fondamentale l’azione coordinata dell’Unione e degli Stati membri. La natura giuridica delle quote di emissioni è stata oggetto di un ampio dibattito dottrinale. In mancanza di una loro definizione nel diritto dell’Unione, alcuni Stati membri hanno deciso di configurarle come autorizzazioni amministrative, mentre altri le classificano come beni che possono formare oggetto del diritto di proprietà. Ma, comunque sia, la restituzione di una quota di emissioni non utilizzata, giustificata dal fatto che la sua assegnazione è dipesa un errore, provocato dal suo titolare e al quale non si può porre rimedio con l’annullamento della registrazione è una conseguenza della direttiva 2003/87. In tal modo si garantisce il corretto funzionamento del sistema di scambio di quote di emissioni istituito dall’Unione come strumento chiave della sua politica di tutela dell’ambiente. La restituzione, in tali circostanze, non implica l’espropriazione di un bene già acquisito al patrimonio del titolare, bensì la revoca dell’atto di assegnazione della quota di emissioni a motivo dell’inosservanza dei requisiti cui tale assegnazione doveva essere subordinata. Dunque, le quote di emissioni assegnate in violazione della direttiva non possono essere qualificate come beni compresi nel patrimonio dei loro titolari, ai fini delle garanzie connesse al diritto fondamentale di proprietà sancito dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte: greenreport.it Rifiuti. Procedure autorizzative semplificate e legittimazione degli impianti sotto il profilo urbanistico. TAR Toscana Sez. III n. 964 del 8 giugno 2016 Le procedure autorizzative semplificate previste dagli artt. 214 e seguenti del D.Lgs 152 del 2006 riguardano “l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti” (art. 216 comma 1) e non anche la legittimazione degli impianti attraverso cui tali attività vengono svolte sotto il profilo edilizio. Fonte: lexambiente.it Aria. Getto pericoloso e momento consumativo del reato. Cass. Pen. Sez. III n. 24817 del 15 giugno 2016 (Cc 6 apr 2016) Pres. Amoresano Est. Gai Ric. PM in proc.Cipriani
  • 6. Il reato di getto di cose pericolose, di cui all'art. 674 cod. pen., ha di regola carattere istantaneo e solo eventualmente permanente. La permanenza va ravvisata quando le illegittime emissioni sono connesse all'esercizio di attività economiche e legate al ciclo produttivo, mentre, con riguardo specifico all'emissione molesta di gas, di vapori o di fumo, la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen., è un reato non necessariamente, ma solo eventualmente permanente, in dipendenza cioè della durata, istantanea o continuativa, della condotta che provoca le emissioni stesse. Fonte: lexambiente.it Urbanistica. Abusivismo edilizio e stato di necessità. Cass. Pen. Sez. III n. 25036 del 16 giugno 2016 (Ud 3 mar 2016) Pres. Amoresano Est. Liberati Ric. Botticelli Lo stato di necessità può essere invocato solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva le esigenze abitative del proprio nucleo familiare, in quanto le esigenze abitative delle famiglie sono salvaguardate dall'ordinamento mediante il sistema dell'edilizia popolare o convenzionata e quelle di tutela della salute, ed in particolare della gravidanza, attraverso l'assistenza sanitaria, e non consentono dunque di ravvisare un pericolo attuale di danno grave alla persona tale da legittimare la realizzazione di un immobile abusivo da destinare ad abitazione familiare. Ambiente in genere. Inquinamento del suolo e principio “chi inquina paga”. TAR Marche Sez. I n. 347 del 3 giugno 2016 Conformemente al principio “chi inquina paga”, l'obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento e che è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso
  • 7. rilevato. Fonte: lexambiente.it Rifiuti. Smaltimento di rifiuti di imballaggio mediante incenerimento. Cass. Pen. Sez. III n. 24415 del 13 giugno 2016 (Ud 3 mar 2016) Pres. Amoresano Est. Andronio Ric. Capoccello Lo smaltimento di rifiuti di imballaggio (nella specie: carta e plastica) mediante incenerimento in assenza della prescritta autorizzazione integra il reato di cui all'art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, senza necessità che sia verificata l'idoneità della combustione a sprigionare sostanze tossiche o velenose. La fattispecie incriminatrice punisce, infatti, l'abusivo smaltimento dei rifiuti e non la produzione di inquinamento atmosferico, cosicché non assume alcun rilievo l'eventuale danno o pericolo di danno per l'ambiente atmosferico. Fonte: lexambiente.it Raee, dal 22 luglio scatta ritiro “uno contro zero”. Dal 22 luglio il ritiro “uno contro zero” gratuito dei rifiuti di apparecchiature elettriche o elettroniche (Raee) di piccolissime dimensioni è obbligatorio per le grandi strutture di vendita del nuovo. Lo stabilisce il decreto Min. Ambiente 31 maggio 2016, n. 121, nuovo regolamento attuativo del Dlgs 49/2014 che detta le modalità semplificate per lo svolgimento delle attività di ritiro gratuito da parte dei distributori con superficie di vendita di apparecchi elettronici (Aee) di almeno 400 mq. I Raee professionali sono esclusi. Il regolamento disciplina le caratteristiche dei contenitori per i Raee che devono essere predisposti nei punti vendita dei distributori, gli obblighi periodici di svuotamento, le informazioni al consumatore, le caratteristiche del deposito preliminare alla raccolta e le modalità per il trasporto dei Raee ai centri accreditati per la preparazione per il riutilizzo o ai centri di raccolta. (Articolo di Alessandro Geremei) Fonte: reteambiente.it
  • 8. Residui vegetali, ok definitivo a Ddl che amplia deroghe a regime rifiuti. Nella seduta del 6 luglio 2016 il Senato ha dato il via libera definitivo al Ddl 1328-B su semplificazione nel settore agricolo che, tra l’altro, amplia il novero dei residui vegetali esclusi dal regime dei rifiuti. Il provvedimento che reca norme a tutto campo in materia di competitività del settore agricolo, si occupa anche di rifiuti agricoli e modifica la lettera f) dell’articolo 185 del Dlgs 152/2006 escludendo dalla disciplina sui rifiuti paglia, sfalci e potature derivati da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali o da attività agricole e agro-industriali (articolo 184, comma 2 lettera e) e comma 3, lettera a). Sia il citato materiale verde sia ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti solo se destinati alle normali pratiche agricole o utilizzati in agricoltura anche fuori del luogo di produzione o con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Altre novità la ridefinizione dal 2017 del contributo al Conoe (Consorzio Nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti) ex articolo 233, Dlgs 152/2006 e semplificazioni per l’adesione da parte delle imprese agricole ai consorzi e sistemi per la raccolta dei rifiuti previsti dalla Parte IV del dlgs. 152/2006. (Articolo di Francesco Petrucci) Fonte: reteambiente.it