3. Consiglio d’Europa
La Convenzione di Istanbul, 2011
Ratificata dall’Italia nel giugno 2013
Gli obiettivi della Convenzione di Istanbul, elencati nell’articolo 1, sono i seguenti:
• Proteggere le donne da ogni forma di violenza; prevenire ed eliminare la
violenza sulle donne e la violenza domestica;
• Contribuire ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne e
promuovere un’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini, conferendo maggior
potere alla donna;
• Prevedere una struttura di politiche e misure di protezione e assistenza a tutte
le vittime della violenza contro le donne e della violenza domestica;
• Promuovere una cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza
contro le donne e la violenza domestica;
• Fornire supporto ed assistenza alle organizzazioni e rinforzare i poteri legali per
cooperare in modo efficace per adottare un approccio unificato con lo scopo di
eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica.
3
4. La violenza di genere interroga direttamente la
nostra normalità, il nostro presente. Essa del
resto è profondamente intessuta nell’ordito
delle strutture archetipiche dell’immaginazione
e della cultura cui apparteniamo.
Fa parte della nostra narrazione delle origini –
basti pensare per un momento all’iterazione
dello stupro nella mitologia.
Sta nel racconto delle religioni, nelle
rappresentazioni dell’arte, nell’ordinamento
dello Stato, producendo realtà sociale e dando
senso a gesti e comportamenti.
Ancora oggi, l’idea di essere prede naturali del
desiderio maschile si forma e si consolida
presto nelle donne, che vengono gradualmente
educate a suscitarlo attraverso un complesso
codice di comportamenti. 4
5. Riccardo Iacona, giornalista:
È una guerra moderna, questa.
Non siamo di fronte a un’Italia in bianco e nero, non ci sono alibi,
non sono storie di una periferia culturale, economica o
morale del Paese. Non sono storie lontane da noi. Non
sono storie di pazzi. Sono storie nostre, questo ci racconta la
cronaca del loro martirio, 124 donne nel 2012 come se fossero
state uccise tutte da un solo uomo e tutte per lo stesso
motivo: la libertà.
Libertà di scegliere, di lasciare, di vivere da sola, voglia
di riprendersi la vita in mano, una vita dove lui non è previsto.
Sono morte non perché deboli ma perché forti, sono state uccise
quando si sono liberate del loro uomo, sono martiri della
libertà.
5
7. Perché diciamo che la violenza di genere è
un problema culturale?
I conflitti tra i sessi ruotano intorno alla disponibilità e
dipendenza reciproche, alla loro simmetria, alle regole che ne
definiscono contenuti e limiti.
Esso si svolge perciò entro la tensione permanente tra le
condizioni della libertà della persona e le forme di lealtà verso
la relazione.
Tale tensione, se non elaborata, in determinate condizioni
produce violenza, in particolare verso le donne e i bambini.
7
8. E’ merito del femminismo aver portato nel dibattito pubblico
e all’attenzione delle istituzioni una violenza che si colloca
all’interno del rapporto di potere tra i sessi, un dominio del
tutto particolare perché passa attraverso le vicende più
intime; averlo tolto dalla cronaca nera, aver fatto in modo
che non fosse attribuito alla patologia del singolo o ai
costumi barbari delle comunità straniere, fare in modo che
non lo si vedesse come emergenza o questione di sicurezza,
ma come problema culturale, sociale e politico di primo
piano.
Lea Melandri
8
9. Lo stupro e l’omicidio sono forme estreme del sessismo e
sarebbe un errore considerarle isolatamente, come se non
fossero situate in una linea di continuità con rapporti di potere
e culture patriarcali che, nonostante la costituzione, le leggi, i
«valori» sbandierati della democrazia, stentano a riconoscere
la donna come «persona». La donna resta - purtroppo anche
nel sentire e nel modo di pensare di molte donne, per ragioni
di adattamento e di sopravvivenza - una funzione sessuale e
procreativa. È il corpo che assicura piacere, cure, continuità
della specie. […] È importante perciò che si dica che la
violabilità del corpo femminile - la sua penetrabilità e
uccidibilità - non appartiene all’ordine delle pulsioni
«naturali», ai raptus momentanei di follia, o alla arretratezza
di costumi «barbari», stranieri, ma che sta dentro la nostra
storia, greca-romana-cristiana, a cui si torna oggi a fare
riferimento per differenziarla dalla presenza in Europa di altre
culture. Essa fa tutt’uno con la nascita della polis, con la
divisione sessuale del lavoro, con la separazione tra la casa
e la città, la famiglia e lo Stato. La cancellazione della donna
come persona, individualità, soggetto politico, produce
inevitabilmente lo svilimento del suo corpo, l’assimilazione
agli altri «corpi vili» - l’adolescente, il prigioniero, lo schiavo -
su cui l’uomo ha esercitato fino alle soglie della modernità un
potere sovrano di vita e di morte.
9
10. L’alternativa alla violenza è in primo luogo
la parola, che è il fondamento della
cultura.
Il significato intimo, profondo della parola,
l’immaginario cui rimanda, le suggestioni
che alimenta, i sogni che implementa, la
catena di sentimenti che sviluppa. Parole e
pratiche di scambio.
La violenza contro le donne, nel momento in
cui si manifesta, è dominata dall’afasia. Di
entrambi, dell’una e dell’altro, intrappolati
entrambi, vittima e carnefice, nel lato in
ombra dei sentimenti, di cui mai si riesce a
parlare. Urla, imprecazioni, farneticazioni e
lamenti, suppliche, pianto. Gesti brutali.
Lacrime. Silenzi. 10
11. Violenza simbolica
E’ quella violenza “dolce” - impercettibile a coloro che la subiscono - che ci
fa sentire, conoscere, riconoscere, comunicare, agire ed essere in un
certo modo e non in un altro.
Passa attraverso indicazioni sia esplicitamente che implicitamente
normative. Questa normatività appare ai nostri occhi come accettabile
e, quel che è peggio, naturale. Paradossalmente ciò che ha una nascita
storica si mostra come eterno, pertanto necessario e immobile.
Il lavoro delle istituzioni (famiglia, stato, chiesa, scuola) finisce per
neutralizzare la storia e fare sì che i risultati di questa possano apparire
come naturali: è questo il modo in cui le relazioni divengono
naturalizzate, perdendo la loro storicità, e i rapporti di potere si
perpetuano.
Per invertire questo processo è necessario denaturalizzare lo storico,
dubitare dell’ovvio, sospettare dell’evidente e mettere in discussione
sia le nostre azioni che il modo col quale ci relazioniamo con i generi.
Per essere produttori e non prodotti di cultura.
11
11
12. Dietro gli aspetti più evidenti del potere, sia privato
che pubblico, ce ne sono altri invisibili, che passano
attraverso l’educazione, la scuola, i saperi, la
comunicazione, il linguaggio, la conoscenza che
abbiamo di noi stessi e del mondo. In altre parole
siamo di fronte a una forma di dominio che è
inscritta in tutto l’ordine sociale e opera
nell’oscurità dei corpi: cioè attraverso
l’immaginario, i sentimenti, le emozioni, gli habitus
mentali di uomini e donne.
12
13. La violenza di genere non ha
passaporto, non ha residenza, né
fede religiosa: la violenza contro le
donne è una manifestazione delle
relazioni di potere storicamente
disuguali tra uomini e donne e
produce danni e sofferenze fisiche,
sessuali e/o psicologiche, ivi
compresa la minaccia di tali atti, la
coercizione e la privazione arbitraria
di qualunque forma di libertà, fino
ad arrivare al furto irreparabile della
vita stessa.
13
15. Serve sempre di più che lo sgomento provato di fronte
all’uccisione di una donna si accompagni alla volontà di ridurre
il numero delle vittime di violenza; serve che si conoscano e si
diffondano gli strumenti di protezione necessari.
Dobbiamo uscire da un approccio fatalista ed emergenziale per
attivare modificazioni culturali che trasformino in maniera
significativa i codici della violenza e gli equilibri di potere.
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16. Da una ricerca svolta nel 2010 nella provincia di Roma:
Gli adolescenti si dividono a metà tra i possibilisti e coloro
che non accettano la violenza di genere.
Uno su tre pensa sia lecito schiaffeggiare una donna e solo
poco meno di uno su due ritiene che la gelosia non giustifichi un
comportamento violento, continuando a vedere la gelosia come
qualcosa di positivo, espressione dell’amore e non della
possessività o della prevaricazione.
Quasi un adolescente su tre pensa che siano più a rischio le
donne «provocanti»: lo stereotipo sottostante è che queste
donne siano corresponsabili della violenza che subiscono.
Inoltre, l’uomo si deve far valere e deve sempre sapersi
imporre: due terzi degli adolescenti ha interiorizzato questa
virilità aggressiva.
16
19. Nella tradizione popolare …
• Picchia tua moglie ogni sera: tu
non sai perché lo fai, ma lei lo sa.
• Buono o cattivo che sia, al cavallo
si dà di sprone. Buona o cattiva
che sia, alla moglie si dà di
bastone.
• La donna è come la chitarra. Prima
la si suona e poi la si appende al
chiodo.
22. Lo stupro
Il termine latino stuprum, con cui si
definisce la violenza carnale, significa
anche “onta,disonore,vergogna”.
Disonore per chi? Per la donna
stuprata, non per lo stupratore.
In questo spostamento del disonore da
chi compie l’atto a chi lo subisce sta
l’operazione attuata dalla nostra
cultura, che vede la donna colpevole
delle violenze subite, sulla base della
doppia morale sessuale inventata
dall’uomo a proprio favore.
22
23. La cultura dello stupro
E’ un complesso di credenze che incoraggiano
l'aggressività sessuale maschile e supportano la
violenza contro le donne.
In una cultura dello stupro, le donne
percepiscono un continuum di violenza
minacciata che spazia dai commenti sessuali alle
molestie fisiche fino allo stupro stesso.
Una cultura dello stupro condona come
"normale" il terrorismo fisico ed emotivo contro
donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini
che le donne assumono che la violenza sessuale
sia "un fatto della vita", inevitabile come la
morte o gli uragani.
23
24. L’uomo è cacciatore
È da quando ho le orecchie che questo modo di dire ritorna inesorabile in
ogni discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l'attitudine
all’incostanza sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la
frustrazione di chi si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo
le regole del gioco di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto.
Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici
ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle
amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “che ci
vuoi fare ... L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. Magari dopo averla
detta sorridono.
Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra
seduzione e morte. Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda
la insegue per ucciderla.
L.Lipperini - M.Murgia, L’ho uccisa perché l’amavo: falso!
24
25. Una sottocultura che addossa alla donna un
concorso di colpa
nella perdita dell’autocontrollo maschile
Quante volte abbiamo sentito dire
"guarda quella come va in giro, poi si
lamenta se la stuprano"?
Quante volte abbiamo sentito dire "se
l'è cercata"?
Quanti commenti odiosi siamo
costrette ad ascoltare davanti ad
ogni gonna corta, ad ogni maglietta
scollata, ad ogni donna che rivendica
il suo diritto di vivere la propria vita
e la propria sessualità come meglio
crede?
26. Gallismo
In Italia non esiste nessuna riprovazione
sociale verso atteggiamenti come
fischiare a una passante per strada o
gridarle che cosa le si farebbe
avendone l’opportunità.
Basterebbe un viaggio nel resto
d’Europa per rendersi conto di quanto
questo comportamento sia raro e
malvisto.
L.Lipperini - M.Murgia, L’ho uccisa perché
l’amavo: falso!
26
28. Il femminicidio? Colpa delle donne. «Il nodo sta nel fatto che le
donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si
credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni».
Parola del parroco di san Terenzo, un piccolo paese che si affaccia
sul golfo della Spezia. In una lettera affissa nella bacheca della
Chiesa, don Piero Corsi si scaglia contro le donne e le loro
"responsabilità" nel caso di omicidi, stupri e violenze sessuali.
Il documento è un estratto da un articolo dell’editorialista del sito
Pontifex.it
28
33. Dire che gli uomini sono tutti uguali non solo è scorretto, ma
diffonde la falsa idea che la violenza sia insita nella natura
maschile.
Chi stupra non lo fa in quanto maschio, il maschilismo non si
trasmette per via genetica.
L’uomo può essere il miglior alleato delle donne nella lotta alla
violenza, soprattutto quando di fronte a messaggi come “in
fondo se l’è cercata, ma chissà come era vestita, le donne sono
tutte un po’ puttane”, non restano zitti offrendo l’idea di
essere conniventi.
33
34. Stupratori non si nasce, si diventa, e lo
stupro non è un ‘virus sociale’
inevitabile ma un’azione umana, frutto
di contesti e di volontà.
Uno stupratore non usa semplice violenza
contro un altro essere umano: lo invade,
lo marchia, imprime ferite che
diventeranno fonte di angoscia
permanente.
Lo stupro è un flagello che attraversa la
storia, sfugge alle notazioni statistiche, si
maschera dietro pregiudizi e
fraintendimenti, si trasforma insieme
alla società.
Ma non è un male endemico dell’umanità.
La violenza sessuale può essere
combattuta e vinta.
34
35. Lo stupro nella coppia: no significa no
2007: la Corte di Cassazione delibera che non esiste “diritto”
all’amplesso neppure all’interno di un rapporto di coppia
coniugale o paraconiugale: il marito (o il compagno) dunque
non ha il potere di esigere o imporre una prestazione
sessuale, se la partner non è consenziente.
La violenza sessuale perpetrata all’interno di una relazione
affettiva (stupro maritale) è tuttora poco riconosciuta: viene
spesso confusa e camuffata dalle rappresentazioni per cui
un tempo si parlava di “doveri coniugali”, di “diritto
dell’uomo”.
35
38. La violenza dei «bravi ragazzi»
Lo stupro non è impotenza. Il dominio assoluto di un altro corpo diventa una droga.
Si stupra, si tortura, si uccide per sentirsi padroni
del destino degli altri.
Angelo Izzo , l’assassino del Circeo
38
39. Processo per stupro
http://www.youtube.com/watch?v=RLurjfwjI4g
Processo per stupro (A Trial for Rape) è un film del 1979, diretto
da Loredana Rotondo. Fu il primo documentario su
un processo per stupro mandato in onda dalla Rai. Ebbe una
vastissima eco nell’opinione pubblica.
39
43. Parola di giudice
Il tribunale di Bolzano, chiamato nel 1992 a giudicare due giovani
che avevano violentato una ragazza, pur riconoscendo come
veri i fatti da lei denunciati, assolse i due con la motivazione
che
è tuttora convinzione assai diffusa, soprattutto tra la
popolazione di bassa estrazione sociale e di scarso livello
culturale, che la donna vuole essere conquistata al limite anche
con maniere rudi e che lei stessa, per crearsi una sorta di alibi
che possa giustificare il suo cedimento ai desideri dell’uomo,
non disdegna qualche iniziale atto di violenza da parte del
corteggiatore.
43
44. Esercitazione
Vis grata puellae
Dall’idea dell’insaziabilità sessuale della donna discende una delle
argomentazioni più turpi dell’antifemminismo: che la donna
violentata sia in qualche modo consenziente.
In un frammento di Varrone, la vittima gradirebbe lo stupro, anzi
parteciperebbe con tale foga che quasi s’inverte il rapporto
violentatore / violentata.
… violentata da non so quale mulattiere, fa scoppiare l’ernia allo
stupratore.
Hai mai avuto occasione di riscontrare, leggendo i giornali o
guardando la televisione, quanto sia ancora diffusa - nelle arringhe
dei difensori di uno stupratore in tribunale – l’affermazione che la
vittima sarebbe stata consenziente, quindi la violenza non ci
sarebbe stata? 44
45. I fondamenti nei miti
Il tema dell’inganno a fini di stupro è il leit motif che nella
storia dell’Olimpo accompagna l’agire dei maschi nei
confronti di ignare fanciulle.
Sono numerosi i miti greci e romani che presentano scene
di rapimenti seguiti da stupro. Una vera e propria
cronologia di violenze.
In Grecia il rapimento di Persefone da parte di Ade, di
Dafne e Leucotoe da parte di Apollo, di Cassandra da
parte di Aiace di Locride, di Auge da parte di Eracle, di
Andromaca da parte di Ettore, di Polissena da parte di
Achille, di Climene da parte di Acamante, senza contare la
lista di dee e donne mortali prese con la forza o con
l'inganno da Zeus: Antiope, Asteria, Clitennestra, Danae,
Egina, Elara, Elettra, Europa, Io, Taigete.
A Roma, si menzionano la violenza del dio Marte su Rea
Silvia e quella di Tarquinio Sestio su Lucrezia.
45
46. Come si comportava con le donne Zeus, il re degli
dei?
Quando veniva preso dal desiderio di un essere di
sesso femminile (divino, umano, o semiumano
che fosse), come spesso gli accadeva, non
ascoltava ragioni, non conosceva ostacoli,
soddisfaceva il suo istinto senza pensarci un
attimo.
Per riuscire a farlo non badava a mezzi. Ben poco
gli importava che la donna fosse o meno
consenziente, come le sue infinite avventure
amorose stanno a dimostrare.
Quella che più si avvicina a un corteggiamento
(sia pur molto particolare), e che meno di tutte
assomiglia a uno stupro è la storia con Europa,
la ragazza che ha dato il nome al nostro
continente. 46
47. I Centauri, esseri duali
Non soltanto erano insieme uomo e cavallo,
avevano una doppia natura: saggi e guaritori,
ma anche violenti e stupratori.
L’identità maschile è scissa in animale
(fecondatore) e civile (paternità) ben più di
quanto lo sia quella femminile.
La sua polarità sociale non è frutto di lunga
evoluzione, ma recente e culturale. Quindi, più
precaria. Con lo sprofondare del patriarcato
riemerge, nel pieno della postmodernità, il
polo “rimosso”: la natura animale,
simboleggiata dal cavallo.
Come nel mito, irrompono patologie quale lo
stupro di gruppo, sconosciuto alle specie
animali, testimone di un’incapacità di relazione
risolta con la violenza. 47
48. Filomela: dopo lo stupro,
l’alleanza tra donne
Venne violentata da Tereo, re della Tracia, marito
della sorella Procne.
Per impedirle di riferire le violenze le tagliò la lingua
(la donna è senza voce), ma Filomela riuscì ad
informare la sorella ricamando un messaggio su una
tela che le fece pervenire (simbolo della strategia
femminile di aggirare i divieti).
Saputo il fatto, Procne uccise il figlio Iti avuto con
Tereo e glielo diede in pasto di nascosto.
Quando Tereo capì quanto avvenuto si diede alla
ricerca delle due sorelle, che nel frattempo s’erano
rifugiate in Focide. Le due invocarono l'aiuto dagli
dei, e furono trasformate in uccelli (la metamorfosi
perpetua l’aggressione e la voce si riduce a canto).
48
49. Aracne, la punizione per chi parla
Aracne è brava tessitrice, e sfida
Atena a costruire un arazzo.
Ricama tutte le infedeltà di Giove,
ma la dea la punisce, afferra il suo
magnifico tappeto lacerandolo
completamente, e le getta
addosso la spola.
Aracne, vinta dal dispiacere, si toglie
la vita impiccandosi ma la dea,
ancora non paga, la trasforma in
ragno, condannandola a tessere
per l'eternità appesa ad un filo.
49
50. Rileggendo la storia
Il sesso è sempre stato usato come strumento di potere.
Dalla notte dei tempi non esiste manifestazione di
esercizio vittorioso più simbolico della violenza
maschile sui corpi femminili. I corpi delle donne
stuprate erano come le case e gli edifici distrutti ed
incendiati: una prova di forza, considerata accettabile.
Nel 753 a.C. fu fondata Roma; Romolo, dopo avere
ucciso il fratello Remo, ne divenne re incontrastato e la
rese forte. Per conquistare altri territori aveva però
l’esigenza di un esercito più numeroso di quello
esistente, e quindi la necessità di aumentare in breve
tempo il livello demografico; le donne romane in età
fertile non erano sufficienti a esaudirne il bisogno.
Col ratto delle Sabine (le sole vergini, ovviamente) il
problema venne risolto.
E’ insomma con uno stupro di massa che inizia la
“Civiltà romana”: lo certifica Tito Livio.
50
51. Nel secolo scorso questo è accaduto, ad esempio, nel 1917
ad opera delle truppe austro-tedesche dopo la disfatta di
Caporetto. È accaduto dopo il '43 ad opera dei tedeschi
nell'Italia occupata e nel '44 ad opera delle truppe alleate,
dalle cosiddette "marocchinate" immortalate nella
Ciociara da Moravia e poi da De Sica, alle 40.000 donne
italiane costrette dalla fame e spesso dalla violenza subita
a prostituirsi con gli angloamericani.
Ma non va taciuto il comportamento di tanti uomini italiani
nelle situazioni in cui questo è stato possibile.
Le cronache della conquista dell’Eritrea dal 1988, della
riconquista fascista della Libia fra il 1930 e il 1931, della
campagna di Grecia di un decennio dopo sono piene di
stupri feroci delle truppe italiane verso le donne dei popoli
oggetto di conquista. E tanti sono gli episodi accertati di
violenza sessuale contro donne partigiane da parte di
fascisti repubblichini dopo il '43.
51
53. Una pratica ancora diffusa: la violenza sui corpi femminili
viene esercitata in un conflitto per umiliare il nemico o
per attuare rappresaglie.
E’ accaduto spesso durante le due guerre mondiali;
ancora dieci anni fa, nella Jugoslavia in fiamme, le
truppe serbe stuprarono oltre 25mila musulmane
bosniache (organizzando addirittura i rape camps),
rompendo l’illusione di un’Europa democratica
fondata sul rispetto dei diritti umani. A queste donne
non è mai stato riconosciuto lo statuto di vittime di
guerra.
Le Nazioni Unite calcolano che più di 60mila donne siano
state stuprate durante la guerra civile in Sierra Leone
(1991-2002), più di 40mila in Liberia (1989-2003), e
almeno 200mila nella Repubblica del Congo durante gli
ultimi 12 anni di guerra.
Ricerche attuali confermano una situazione di violenza in
Ciad, dove si stuprano le rifugiate dal Darfur. Lo stesso è
accaduto in America Centrale. Si è calcolato che nel
genocidio del Rwanda (in tre mesi del 1994) siano state
violentate tra le 250 e le 500mila donne e bambine.
53
57. Ci si deve attrezzare a livello legale per punire questi reati e per
prevenirli, ma non riusciremo a entrare fino in fondo nel nodo
che si stringe tra un uomo e una donna, di qualsiasi età, ceto
sociale o provenienza geografica, prima dell’uccisione, se non
afferriamo il dato culturale profondo, la novità terribile che si
nasconde dietro ognuno di questi delitti.
Questa realtà riguarda prima di tutto gli uomini, i ragazzi, la loro
formazione, la loro sessualità, in un mondo in cui la posizione e
i sentimenti delle donne cambiano rapidamente e sono, per la
prima volta nella storia, espressi, raccontati, vissuti.
La sessualità degli uomini deve trasformarsi di fronte alla nuova
libertà delle donne, è una grande occasione, non è una perdita
anche se come ogni cosa nuova fa paura.
Cristina Comencini, maggio 2013
57
58. Imparare a problematizzare la propria identità di
genere nel periodo dell’adolescenza è un fattore
determinante per poter progettare il proprio futuro -
esistenziale, affettivo e lavorativo - al di fuori delle
aspettative dominanti sulla maschilità e la
femminilità.
In questo processo, il mondo della scuola e quello della
formazione giocano un ruolo cruciale e sono chiamati
a introdurre una prospettiva di genere all’interno
delle proprie pratiche educative: un fare educazione
che sia in grado di disfare i modelli dominanti di
genere offrendo a studenti e studentesse gli
strumenti teorici e relazionali necessari a diventare gli
uomini e le donne che desiderano. 58
59. In premessa è bene ricordare alcune date italiane che forse
non tutti conoscono:
solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha deciso che al marito non spettava nei
confronti della moglie e dei figli lo jus corrigendi, ossia il potere educativo e
correttivo del pater familias, che comprendeva anche la coazione fisica
1962 - l’abolizione del licenziamento per matrimonio
1963 - la possibilità per le donne di accedere alla carriera di magistrato
solo tra il 1968 e il 1969 la Corte Costituzionale ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 559 del codice penale che puniva
unicamente l’adulterio della moglie
1975 - il nuovo diritto di famiglia e l’abolizione del concetto di capofamiglia (e
con esso il diritto del marito di picchiare la moglie laddove, a sua discrezione,
questa aveva sbagliato)
1977 - la parità di trattamento sul lavoro
Ritardi che sono espressione evidente delle resistenze e della difficoltà di
estirpare nel nostro Paese le radici delle asimmetrie tra i sessi e, di
conseguenza, della violenza di genere. 59
60. Comparazioni impietose
Nel Gender Gap Index 2012 del World Economic
Forum, che misura la parità di genere in 135 Paesi,
siamo all’80°posto, dopo l’Uruguay, il Botswana, il
Perù e Cipro. Si noti che i risultati nel Gender Gap
Report sono correlati sia con la competitività globale
dei Paesi, sia con il loro indice di sviluppo umano:
dove le donne stanno peggio, l’intero Paese sta
peggio.
60
62. 1996:
l’inclusione della violenza sessuale tra i reati
contro la persona
Prima, la violenza sessuale non era considerata un reato contro
la persona, ma un reato contro la morale, perciò aveva un
certo valore se la donna era ancora vergine (avendo provocato
un danno irreparabile nei confronti del futuro marito), ma
valeva ben poco se non lo era.
Certe cose non accadono alle donne “perbene”, ma a “quelle
che se la vanno a cercare»: questa era la filosofia di base.
Il 26 aprile 1979 rappresentò una data storica per la televisione italiana, ma
anche per l’intera società: alle 22 andò in onda, sulla RAI, Processo per
stupro. La trasmissione del documentario fu sconvolgente perché rendeva
visibile quanto gli avvocati che difendevano gli accusati di stupro potessero
essere violenti nei confronti delle vittime. 62
63. In questo quadro si inserisce il tema della violenza
sulle donne.
Fare informazione su questo non è una scelta neutra:
tocca tabù sociali, molti antichi e alcuni - purtroppo
- anche nuovi.
La reazione misogina e la violenza verbale di singoli e
di gruppi si manifestano con evidenza sui social
network e nei commenti ai siti che trattano questi
argomenti.
63
66. Nel mondo oltre 600 milioni di donne subiscono
violenze
sono 6 milioni 743.000 le donne italiane tra i 16 e i
70 anni che hanno subìto almeno una violenza fisica
o sessuale nel corso della vita
3 milioni 961.000 donne sono state vittime di
violenze fisiche (pugni, schiaffi ecc.)
5 milioni (il 23,7%) hanno subìto violenze sessuali
le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le
classi e a tutti i ceti
66
67. Sono triplicati in un anno, dal 2011 al
2012, i reati di atti sessuali con
minorenni.
Il 78% dei 505 bambini che li hanno
subiti (166 nel 2011) è femmina.
In Italia le bambine e le ragazze
risultano più vulnerabili, di fronte
alla violenza, rispetto ai loro coetanei
maschi: in 6 casi su 10 la vittima di
reati commessi e denunciati su
minori nel 2012 è una giovanissima
donna.
67
68. Le dimensioni della violenza domestica
Ogni minuto una donna subisce una violenza domestica. E non
in paesi del Terzo Mondo, ma nella civilissima Europa. Le
donne subiscono violenze soprattutto tra le mura
domestiche, dal marito o compagno, proprio nel luogo in cui
dovrebbero sentirsi maggiormente protette.
“Una donna su quattro è stata vittima di maltrattamenti
durante la propria vita” - afferma il segretario del Consiglio
d'Europa, Terry Davis - “mentre una su dieci ha subito una
violenza sessuale. Molte di queste donne non sono
sopravvissute alla violenza domestica, che è ancora uno dei
killer più spietati per le donne tra i 18 e i 44 anni”.
68
69. I costi sociali
Le violenze domestiche hanno conseguenze sia sulla vita delle
vittime che per la società. Attacchi di panico, paura,
depressione, incapacità di relazionarsi con l’esterno e di
contribuire all’educazione dei figli sono solo alcuni dei sintomi
più frequenti cui vanno incontro le donne violentate.
Alla sofferenza umana si aggiungono poi gli effetti negativi sulla
società, con una crescita delle spese per sanità, polizia e
giustizia, e una riduzione della produttività.
Ad esempio, la Svizzera spende ogni anno 260 milioni di euro
mentre in Inghilterra e in Galles il costo è di 34 miliardi di euro.
Tutti i paesi europei sono colpiti da questa piaga: il governo
spagnolo paga 2,4 miliardi di euro, nei Paesi Bassi 151 milioni di
euro e in Finlandia 101 milioni.
69
70. In Italia ogni giorno ogni 12 secondi una
donna viene colpita da atti di violenza
di genere (fisica, verbale e
psicologica).
Nell’ultimo anno con dati disponibili (il
2010) si sono contati oltre 105mila
reati di genere, pari ad oltre 290 al
giorno.
Più in dettaglio, ogni giorno 95 donne
denunciano di aver subito minacce e
87 di aver subito ingiurie; 64 donne al
giorno sono vittime di lesioni dolose,
19 di percosse, 14 di stalking, 10 di
violenze sessuali. 70
72. E’una recente categoria di analisi socio-criminologica delle
violenze perpetrate nei confronti delle donne entro un rapporto
di coppia.
E’ un neologismo per indicare ogni forma di violenza posta in
essere contro la donna in quanto donna.
Inventare nuove parole serve: finché non hanno
72
un nome, le cose sono invisibili.
Dare un nome a un problema è essenziale sia per far sorgere
consapevolezza della sua esistenza, sia per agire.
Iniziare a chiamare gli omicidi misogini con il termine
femminicidio serve a rimuovere la generalizzazione che deriva
dall’uso di parole quali “omicidio” e “uccisione” e comprendere
invece i fattori di rischio specifici, la loro diffusione, le modalità
per effettuare le indagini.
72
73. Si parla finalmente di femminicidio.
Si parla ancora troppo poco delle diverse forme che la
violenza sulle donne assume, delle sue dinamiche
spesso invisibili.
Troppo poco delle diverse strade che tante donne
coraggiose intraprendono, riuscendo a reagire
interrompendo la spirale della violenza, e
riconoscendola al primo apparire.
Troppo poco di come dovremmo collettivamente
reagire di fronte a questa barbarie. Perché c’è bisogno
di un cambiamento culturale profondo, che attraversi
tutta la società.
73
76. Scrive l’Accademia della Crusca
E' genericamente omicidio qualsiasi azione che abbia
come conseguenza la morte di un soggetto da parte
di un altro soggetto.
E' uxoricidio il provocare la morte della propria moglie,
è infanticidio provocare la morte di un bambino.
E' femminicidio provocare la morte di una donna,
bambina o adulta, da parte del proprio compagno,
marito, padre o di un uomo qualsiasi, conseguente al
mancato assoggettamento fisico e psicologico della
vittima.
76
77. E’ l’adeguamento - stentato - della lingua a una
stortura di millenni
77
79. Il termine ‘femminicidio’ si è diffuso dopo il
film-denuncia diretto da Gregory Nava e
interpretato da Jennifer Lopez e Antonio
Banderas, che racconta 14 anni di omicidi di
donne in Messico.
Dal 1993, più di 400 donne sono state
barbaramente assassinate a Ciudad Juárez e
in altre città dello Stato messicano di
Chihuahua, e più di 650 stuprate.
Le indagini locali sono risultate inadeguate, tra
omertà, depistaggi, colpevoli ritardi,
falsificazione delle prove.
Grazie alla tenacia delle donne messicane, il
Messico è stato condannato dalla Corte
interamericana per i diritti umani per i
femminicidi avvenuti sul suo territorio. 79
92. Bollettino di guerra
Menna era al lavoro, alla guida di uno scuolabus. Giustiziata.
Francesca dormiva nel suo letto, come Rosanna. Giustiziate.
Gabriella era in macchina accanto al suo assassino, Antonia aveva appuntamento con
lui per strada ... giustiziate.
Stefania, brillante studentessa di psicologia, battagliera nel movimento degli studenti.
Il ragazzo che la uccise, dopo un amore finito, non seppe dire altro che una frase
assurda: «L’amavo più della sua vita».
Carmela, liceale palermitana, si frappone fra la sorella e il suo omicida. Cerca di
salvarla dal furore dell’ex fidanzato respinto. Le hanno trovate una accanto
all’altra, le ragazze, riverse nell’androne di casa al ritorno da scuola.
Silvia è stata fatta a pezzi e poi messa dentro un congelatore.
Donne diversissime tra loro per provenienza, mestiere, classe sociale. Ma con vicende
simili.
Il dopo si assomiglia: l’ospedale, la questura, la paura, i processi. Ma si assomiglia
anche il prima. Il colpo di fulmine, l’innamoramento, il sentimento assoluto, la
vita in comune, le botte, i primi abusi, l’isolamento, la denigrazione, le minacce
sui figli quando ci sono, la segregazione.
Prima: quando si poteva ancora fare qualcosa. 92
95. 95
Un triste primato
Ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa per
mano del proprio partner
Un fenomeno allarmante per le Nazioni Unite: eppure in
Italia è trattato come un reato di scarsa pericolosità sociale,
quasi fisiologico e inevitabile. Basti pensare che violenze e
percosse alle donne, spesso preludio del delitto, sono
perseguite solo su querela della vittima.
Anche per l’informazione, il reiterarsi di questo crimine fa sì
che scenda la soglia di attenzione e che il trattamento della
notizia sia ormai scaduto in un racconto di routine. E colpisce la
frequenza con cui si usano, per raccontare questi crimini,
categorie come "delitto passionale", "raptus di follia", o che si
leggano titoli come: "l’ex confessa: l’amavo più della mia vita".
"Gelosia", "passione", "amore" diventano facile movente e
persino attenuante, che abbassa la soglia dell’allarme sociale,
nel silenzio delle famiglie “normali”.
95
97. 97
Una mattanza sotto traccia
E’ difficile conoscere il fenomeno
della violenza dai dati delle
statistiche amministrative,
essendo le denunce scarsissime.
Solo circa il 7% delle violenze, sia
fisiche che sessuali da partner o
ex-partner sono state denunciate,
nel 33% dei casi le vittime non
hanno parlato con nessuno della
violenza subìta, e soltanto nel
2,8% si sono rivolte ad un Centro
antiviolenza.
Ricerche nazionali e
internazionali hanno
evidenziato che 7-8 donne su
10 prima di essere uccise dal
loro partner o ex partner
avevano subìto
maltrattamenti o erano state
perseguitate.
97
98. Chi lavora stabilmente sui casi di violenza spiega come sia
indiscutibile che gli uomini che “condividono la subcultura
della superiorità maschile” siano più inclini a diventare
“partner abusanti”.
Così come è dimostrato dai fatti che “le donne portate a
concepire per sé un ruolo subalterno” nella coppia/famiglia
siano più inclini a subirla e a non denunciarla.
L’85% degli uomini che agiscono violenza l’hanno vista
perpetrata dai propri padri o familiari.
98
107. Su dieci uccisioni di donne, 7,5 sono
precedute da maltrattamenti, violenza
107
fisica o psicologica
In Italia
sono 250 al giorno …
… le donne che vengono
aggredite e picchiate dal loro
partner o dal loro ex partner.
Nel tempo che avete impiegato
a leggere questa diapositiva,
è successo, da qualche parte,
almeno una volta.
107
108. Barbablù sposava le ragazze e le uccideva, poi
nascondeva i loro corpi in cantina. Così, in
serie.
Il primo serial killer delle favole. Marito
omicida seriale, impunito.
Perché lo facesse, la storia non lo spiega: non
per i soldi, era ricco e viveva in un castello.
Non per gelosia, le sue mogli non lo
tradivano né potevano avere la tentazione di
farlo: vivevano isolate nel maniero, sole con
lui.
Non per rabbia, non per reazione a qualche
episodio che potesse scatenarla: niente di
tutto questo dice la storia. Solo che lui le
uccideva.
Concita De Gregorio, Malamore 108
109. Santa Monica
Allevata così nella pudicizia e nella temperanza… quando ebbe raggiunta l’età
conveniente andò a marito, e lo servì come un padrone, studiandosi di
guadagnarlo a te (Dio, ndr)… ne tollerò le infedeltà tanto di non farne mai
motivo di litigio, ma attendeva la tua misericordia su lui…
In realtà egli era molto affettuoso, ma anche molto irascibile. Ella però aveva
imparato a non opporsi alle sue sfuriate né con i fatti né con le parole: quando
poi, sbollita la collera, lo vedeva quieto e ben disposto, gli spiegava i motivi
della sua condotta, se le pareva che egli si fosse adirato troppo a torto.
Molte altre mogli, dai mariti meno furiosi, portavano sulla faccia sfigurata i
segni delle percosse; parlando con le amiche, esse inveivano contro la condotta
dei mariti, ed ella contro la loro lingua… E poiché esse, ben sapendo quale
marito violento dovesse sopportare, si maravigliavano che non si era mai
sentito né constatato che Patrizio (il marito, ndr) avesse battuto la moglie o
che vi fosse stata un solo giorno domestica discussione tra loro e, in via di
amicizia, gliene domandavano come fosse possibile, ella esponeva loro il suo
metodo, quello che ho sopra ricordato.
Quelle che ne facevano la prova, dopo l’esperimento ne la ringraziavano; quelle
che non volevano farla, continuavano a essere schiave e malmenate.
109
da Sant’Agostino, “Le confessioni”.
110. Isabella Morra
Lucana, figlia del barone di Favale, poetessa petrarchista
del Rinascimento; fu prima reclusa e poi uccisa - a 26
anni - dai suoi stessi fratelli, per via di una presunta
relazione clandestina.
I fieri assalti di crudel Fortuna
scrivo, piangendo la mia verde etate,
me che 'n si vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
Degno il sepolcro, se fu vil la cuna,
vo procacciando con le Muse amate,
e spero ritrovar qualche pietate
malgrado de la cieca aspra importuna.
110
111. Carmen, la gitana che voleva vivere libera
Poco prima di essere barbaramente assassinata dà
un bacio sulla guancia a Don José. Non lo
percepisce come un pericolo, lo considera una
vecchia fiamma alla quale è ancora affezionata.
Non ha desideri di vendetta o di rivalsa nei suoi
confronti: desidera solo vivere la vita che si è
scelta. Gli restituisce l’anello di fidanzamento con
un gesto semplice, quasi con pudore, con
tenerezza.
Per questo tanti uomini sorprendono le donne con
la violenza, perché le donne non credono che si
possa arrivare a uccidere per qualcosa – glielo
dice, a José: c’est fini, je ne t’aime plus – che non
esiste più.
E si sbaglia Carmen, si sbagliano le donne,
purtroppo.
111
112. Un fatto di cronaca del 1785
Francesco Ferdinando II, Principe di Palagonia,
pretore a Palermo, brutto e deforme,
sposato all’età di sessant’anni con una
giovinetta, ne era a tal punto geloso da
applicare specchi ai soffitti della sua
residenza, la famosa "Villa dei Mostri" di
Bagheria, al fine di controllare meglio la
consorte.
Quando la scoprì in compagnia di un
falegname, la fece legare con una fune ad un
cavallo e trascinare fino alla morte, mentre il
falegname fu murato vivo nella villa.
Delitti impuniti, ovviamente.
112
113. L’ «onore» come attenuante
Riporto - in onore della memoria - l’articolo del codice penale
che è stato in vigore in Italia fino al 1981:
art. 587: Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o
della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione
carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata
all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a
sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette
circostanze, cagiona la morte della persona che sia in
illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la
sorella.
Queste disposizioni sono state abrogate con la L.442/1981.
113
114. 114
Identikit della violenza
Le tipologie principali della violenza
- sessuale (stupro, tentato stupro, molestie, rapporto imposto,
sfruttamento)
- fisica (percosse, ferite, mutilazioni, uccisioni)
- economica ( privazione di fondi e risorse)
- psicologica e verbale (minacce, ricatti, umiliazioni, denigrazioni,
insulti).
La violenza ha come autori uomini molto diversi
Nessuna ricerca ha rilevato specifici fattori come indicatori di
rischio: né la razza, né l’età, né le condizioni socio-economiche
e culturali, né una specifica condizione psico-patologica.
114
117. 117
Ti amo,
perciò ti uccido
L’analisi storica e sociologica aiuta a comprendere.
Non è perché gli uomini sono malvagi che alcuni di loro umiliano
o uccidono le loro compagne, ma perché la società nel corso dei
secoli ha creato in loro la convinzione di essere i legittimi
proprietari del corpo femminile e che il loro desiderio fosse il
solo a contare.
Questa convinzione, costruita socialmente e culturalmente e
radicata nella legge, nella letteratura e nei media, crea quello
squilibrio di genere che è all’origine della violenza e che deve
cambiare.
117
118. L’amavo più della sua vita
http://www.youtube.co
m/watch?v=jqNoBva
wLk4
Video della regista Cristina
Comencini
118
120. Non è un destino ineluttabile
Il punto non è «donne contro uomini».
In tutto il mondo lo scontro in atto è di
mentalità.
Coloro che vogliono conservare regole e
abitudini del passato «devono»
umiliare le donne. Ai loro occhi è il solo
modo per evitare che lo status quo sia
messo in pericolo.
Le persone moderne invece non
avvertono questa necessità, perché
sono in grado di adattarsi a una società
retta da princìpi nuovi.
120
122. E invece …
Mai stare zitte davanti alle espressioni di questa cultura, di
questo controllo, di questa violenza, cui assistiamo o che
vengono esercitate su di noi nel quotidiano.
Non reagire a un comportamento sessista significa legittimare la
cultura che è alla base del femminicidio.
122
123. A lungo mi sono chiesta come fosse possibile che persone
intelligenti, il più delle volte colte, spesso autonome
economicamente, accettassero di essere oggetto di violenza
all’interno della propria relazione.
Adesso so che contano l’educazione femminile, frutto di secoli di
addestramento alla subordinazione, e anche la parallela
formazione maschile, imbevuta di proiezioni dominanti e
possessive.
Contano i modelli sociali patriarcali, e conta moltissimo la
sensibilità popolare educata all’idea che uno schiaffo sia solo
una carezza veloce, nella convinzione diffusa che l’amore sia
tale anche quando procura occhi pesti, zigomi lividi e sospette
cadute dalle scale.
Michela Murgia
123
124. La violenza si può fermare
Brutali e fragili: non c’è mix più micidiale.
Se scartiamo l’infondata ipotesi di una connaturata malvagità
del sesso maschile, possiamo pensare, più
ragionevolmente, che un cambiamento - nel senso di
relazioni più umane tra uomini e donne - venga dalla
cultura, dall’educazione, dalle leggi, da una conoscenza di
sé e dell’altra più consapevole della barbarie che ci
portiamo dentro, nostro malgrado.
Non è una questione per sole donne, ma la condizione
fondamentale per dar vita a una società libera
dall’oppressione. 124
126. Stereotipi sulla violenza di genere
(1)
Sulle donne …
• “Va in giro vestita in un modo tale che se l’è cercata!”
• “Se lui la picchia ci sarà un motivo, no?”
• “Se lei proprio non voleva, non sarebbe successo”
• “Si è ricordata di andare dalla polizia troppo tardi, di
sicuro non è vero”
127. Stereotipi sulla violenza di genere
(2)
Sugli uomini …
• “Un uomo di fronte ad una donna provocante non può
resistere all’istinto”
• “Gli stupratori sono uomini stranieri oppure
tossicodipendenti”
• “Gli ha fatto violenza perché è malato, un uomo normale
non farebbe una cosa così”
• “Gli uomini sono fatti così, la violenza e la forza sono una
loro caratteristica, anche se ogni tanto si lasciano andare”
128. Stereotipi sulla violenza di genere
(3)
Sui luoghi …
• “Le violenze avvengono in strada o in luoghi bui e
isolati”
• “Casa mia è il luogo più sicuro del mondo, non mi può
succedere niente”
• “Sono cose che ti possono succedere con gli estranei,
non con le persone che conosci”
129. Stereotipi sulla violenza di genere
(4)
Nella tradizione popolare …
• Picchia tua moglie ogni sera: tu non sai perché lo fai, ma
lei lo sa.
• Buono o cattivo che sia, al cavallo si dà di sprone. Buona o
cattiva che sia alla moglie si dà con il bastone.
• La donna è come la chitarra. Prima la si suona e poi la si
appende al chiodo.
130. La ricerca - a partire da un'indagine in
ambito piacentino - intende dar voce alla
percezione che gli adolescenti hanno nei
confronti della violenza di genere.
Emerge un quadro preoccupante, fatto di
pregiudizi e stereotipi che finiscono per
legittimare la violenza, soprattutto
quand’essa occupa le mura domestiche
e laddove essa non raggiunge le
conseguenze estreme; gli intervistati
esprimono infatti un giudizio perlopiù
negativo sulle donne che subiscono
violenza, dibattendosi in una particolare
difficoltà nel distinguere tra il volere, nel
senso del desiderio, e il violare, a causa
di quel desiderio; sembra mancare in
loro la distinzione fra conflitto e sopruso,
fra pericolo reale e insicurezza sociale.
131. Ascoltare i campanelli d’allarme
Anna Costanza Baldry, ricercatrice specializzata in
criminologia:
Ho studiato 479 fascicoli processuali di altrettanti omicidi di
donne per cercare di capire se, prima dell'uccisione, ci
fossero stati campanelli d’allarme. Nel 70% dei casi erano
suonati eccome, ma nessuno li aveva sentiti.
In 9 casi su 10, se si valuta il rischio correttamente, è
possibile capire se ci sarà un’escalation della violenza.
131
132. Ragazze: continuiamo pure a credere all’amore
eterno e continuiamo a raccontare alle nostre
amiche tutte le romanticherie che ci
piacciono, ma non tralasciamo mai di
chiederci e di chiedere “Ti rispetta?”
Ficchiamoci in testa che questa domanda è
essenziale.
Ficchiamoci in testa che il solo vero amore è
quello che ti rispetta.
132
136. Nessuna donna dovrebbe accettare un rapporto in cui è
sempre il compagno a dettare le regole.
Uno dei segnali da “allarme rosso”, ad esempio, è se l’uomo
cerca progressivamente di isolare la compagna dal mondo
esterno, quindi le impedisce di vedere gli amici, di avere
attività di vario genere che la portino a trascorrere del
tempo senza di lui.
L’uomo manipolatore e lo psicopatico tentano con tutti i
mezzi di costruire un rapporto “fusionale” con la donna e
non perché siano realmente innamorati di lei, ma solo
perché vogliono mantenerla sotto controllo.
136
137. Riconoscere la violenza
I maltrattanti si comportano tutti in maniera molto simile.
Considerano la compagna una cosa di proprietà, ne sono gelosi al
punto da impedirle progressivamente di uscire, di avere una
propria vita sociale, spesso la inducono a lasciare il lavoro per
badare ai figli, la umiliano verbalmente fino a distruggere la sua
autostima.
A questi comportamenti, poi, alternano periodi di docilità e
tranquillità. Questo crea confusione e sensi di colpa nella donna,
ed è questa la ragione per cui le donne portano avanti relazioni
violente così a lungo, rivolgendosi mediamente ai centri
antiviolenza dopo 7 anni di maltrattamenti.
Lo scopo per tutti è lo stesso: ridurre la donna in condizione di
isolamento e quindi di dipendenza, economica e psicologica. La
soggezione psicologica è tale che molte subiscono
sistematicamente anche violenza sessuale, ma accettano la cosa
137
come normale.
138. Valutazione dei livelli di negazione
Non è vero Non ero in me
Negazione dei fatti Negazione della
consapevolezza
Mi ha istigato Non mi pare così
grave !
Negazione della responsabilità Negazione dell’impatto
139. Alcuni piccoli consigli da seguire se sei oggetto di
violenza:
•reagisci subito, al primo schiaffo: la tua passività rafforzerebbe
nell’uomo la convinzione del suo diritto alla violenza su di te;
•se hai un fidanzato manesco, lascialo subito: con il matrimonio non
cambierà;
•non giustificare la tua incapacità a lasciare un marito violento con l’alibi
dei figli: loro soffrono a vivere in un clima di violenza. Inoltre, le statistiche
dicono che un bambino che vive in una famiglia violenta ha ottime
possibilità di diventare un violento, e una bambina quella di diventare
oggetto passivo di violenze;
•non perdere la stima di te stessa solo per quello che un uomo può dire di
te;
•se vieni picchiata, vai in ospedale, fatti rilasciare un certificato che attesti
le tue condizioni e sporgi denuncia, dopo aver contattato un centro
antiviolenza o il telefono rosa perché ti affianchino e ti aiutino nell’iter
della denuncia e ti informino sui tuoi diritti, onde evitare errori per
potrebbero ritorcersi contro di te. 139
140. Saper riconoscere i sintomi
Chiari sono i tre indicatori fondamentali perché una donna
possa riconoscere una situazione di maltrattamento: la
sofferenza, la confusione e la paura.
Quando si è in una situazione di maltrattamento
psicologico c’è sofferenza e ci si sente responsabili, come se
essere trattate male sia propria colpa.
C’è confusione, non si capisce più chi ha torto o ragione nelle
discussioni, non si riesce a seguire il proprio punto di vista e
ci si sente indecise e insicure su ogni cosa.
C’è paura, si sente un disagio forte perché si è continuamente
in ansia per le oscillazioni di umore del proprio compagno.
140
143. Le storie violente cominciano sempre con uno schiaffo: un
“piccolo“ episodio che spesso viene sottovalutato nella
speranza che non accadrà ancora. E invece lo schiaffo si ripete,
più forte. Sempre.
Di solito una vittima non reagisce alle prime avvisaglie di un
comportamento violento con comportamenti di fuga,
allontanamento o ribellione: è portata piuttosto a perdonarlo o
comunque a trascurarlo, confidando che non si presenti più.
Un ceffone è già troppo. Anche se è la prima volta, anche se
l’uomo si pente e promette di non usare più le mani, in quel
momento il limite è stato superato e può andare soltanto
peggio. 143
144. Stai attenta a chi ti dice troppo spesso cosa fare, senza
chiedersi cosa vorresti fare tu.
Stai attenta a chi ti promette amore per qualcosa in
cambio.
Stai attenta a chi ti tratta male e giustifica il suo
comportamento come necessario.
Stai attenta a chi non ti fa mai un apprezzamento.
Stai attenta a chi non ha fiducia in te.
Stai attenta a chi ti fa sentire in colpa, come se tu fossi
sbagliata.
Stai attenta a chi ti vuole "troppo bella", "troppo
gentile", "troppo buona", "troppo disponibile".
Stai attenta a chi non ti vuole per quello che sei e cerca
di modificarti in un'altra.
144
145. Assumiti la responsabilità di aiutare te stessa e il tuo
compagno (che deve essere curato e incarcerato nei casi più
gravi) riconoscendo il problema. Se hai un tumore far finta di
non averlo non ti guarirà: morirai lo stesso. I dati ci
suggeriscono da dove viene il problema. Dal nostro tipo di
attaccamento relazionale che è disfunzionale. Se abbiamo
avuto traumi affettivi e un attaccamento insicuro con i nostri
genitori ci riteniamo indegne, ci identifichiamo nel nostro
carnefice e giustifichiamo le sue manchevolezze.
Ammettere di non essere amate ci fa profondamente soffrire
ma negarlo non ci restituisce quell’amore che stiamo
mendicando.
Giustificare il tuo compagno addossandoti la colpa di averlo
provocato fa parte di un retroterra culturale retrivo e
violento.
145
154. Nella storia della nostra
specie deumanizzare serve a
pensare l’altro essere
umano incompleto, animale,
oggetto. Serve a compiere
su di lui azioni inaccettabili
in un contesto normale.
Queste sottrazioni di umanità
accompagnano la nostra vita
senza che spesso ne
abbiamo consapevolezza.
154
155. Fin da una giovane età, ai ragazzi vengono messe camicie di forza
emozionali da un ristretto codice di comportamento che definisce
falsamente la mascolinità.
Aderire a questo codice lascia molti uomini dissociati dai loro
sentimenti ed impossibilitati ad accedere, nominare, condividere o
accettare molte delle loro emozioni.
Quando gli uomini non comprendono le loro stesse emozioni
diventa impossibile comprendere i sentimenti di un’altra persona.
Questo crea un “disordine da deficit di empatia” che è
fondamentale per bullismo, abusi e violenza di genere.
Ai ragazzi viene insegnato ad essere tosti, indipendenti e ad evitare
ad ogni costo qualunque cosa considerata femminile per paura di
essere associati con le donne. Questo porta molti uomini a
rinunciare alla comune umanità con le donne in modo da sentire
una disconnessione emozionale con loro. Le donne diventano così
oggetti, usati per validare l’insicurezza mascolina o per soddisfare
155
bisogni fisici.
156. Possesso
Il rapporto con la donna è fortemente segnato dal verbo
avere: “ho un moglie”, “ho una ragazza”, “farò di tutto per
riaverti”, “sei mia”, “l’ho posseduta” sono forme linguistiche che
chiariscono molto più di tante analisi a quale tipo di rapporto
siamo stati/e educati/e.
La donna “si ha”, e se è negata
è legittimo toglierle la vita,
romperla come un oggetto.
156
162. Tanto dagli uomini maltrattanti quanto da quelli “buoni”,
spesso è considerato normale un controllo pressante sulla
vita e le libertà della partner.
Vietare facebook alla fidanzata, leggere la sua posta,
impedirle di lavorare o seguirla ogni giorno per controllare
che il rivale in amore non si faccia vedere, è considerato un
modo normale di essere uomini e innamorati, anche per
molte donne.
Ma è solo una questione di possesso e dominio.
162
169. Che cos’è la gelosia?
L' "amore geloso" si attiva quando predomina una tensione
determinata da insoddisfazione, scarsa autostima, frustrazione: un
vuoto che il partner dovrebbe colmare.
In questa modalità di relazione si tende al possesso del partner. E’ un
rapporto di potere. C'è un bisogno esasperato di essere amati,
ammirati e scelti come unici destinatari dell'investimento affettivo
del partner, da cui si esige una presenza e una disponibilità continua
e totale.
Il partner geloso, con la sua pretesa di possesso esclusivo dell'altro da
cui ricevere un amore incondizionato e una soddisfazione totale,
non riesce ad identificare il partner come "altro da sé", ma come
specchio di se stesso.
E' un amore a metà, dove predomina l'illusoria convinzione delle
donne di essere ricercate, amate, desiderate intensamente da un
uomo che dice di non poter vivere senza il loro amore, ma che in
realtà sta pensando solo a se stesso.
Per amare è necessario riconoscere il partner come altro da noi, con la
sua personalità, il suo modo di essere, i suoi spazi di libertà. 169
170. Per quale motivo – nel XXI secolo – la gelosia di un
uomo viene considerata da alcune donne un elemento
a suo favore, quasi un pregio, una virtù?
“Il mio ragazzo è molto geloso, non vuole che esca da sola la sera con le
amiche”; “ Non mi posso vestire troppo scollata, o con una mini, perché
sai, poi lui si arrabbia”; “Io controllo sempre di nascosto i messaggi sul
cellulare del mio ragazzo, e anche lui lo fa sempre … se mi arriva un
messaggio di un altro, anche se non c’è niente tra di noi, diventa
gelosissimo e spesso minaccia di lasciarmi o di farmela pagare. Allora io sto
zitta e faccio quello che vuole, perché non voglio perderlo”.
La violenza sulle donne non è solo stupro, è anche pressione psicologica, è
anche l’essere costretta a fare cose che non si vorrebbero fare, è anche l’’
ssere ostacolata nel prendere decisioni individuali o l’essere
psicologicamente costretta a non essere indipendente, è essere controllata
costantemente.
170
173. Il sommerso resterà sommerso?
Emergerà quando almeno i medici e gli operatori
psico-sociali impareranno a cogliere le richieste
d’aiuto non esplicite
174. Troppo spesso gli stereotipi e i pregiudizi,
ancora sottesi in tradizioni, istituti, ruoli e
realtà sociali attuali, trovano la donna
incapace di quella consapevolezza che la
condurrebbe a percepirsi nel suo ruolo di
vittima quando questo fosse.
E’ soggiogata troppe volte anche da una
fragilità psicologica che la mantiene passiva,
indulgente e tollerante, incline a
sopportazione e oblatività come
caratteristiche materne e quindi confacenti
con il suo ruolo di donna.
E’ soggiogata troppo spesso da una sudditanza
economica, quando non possa contare
sull’efficienza di una rete istituzionale
sistemica e coordinata che la protegga e la
difenda. 174
175. 175
Nelle storie di piccola e di grande
violenza mancano sempre
le parole da dire
Non ci sono le parole della vittima che subisce, si percepisce
impotente e si arrende a un potere che diventa sopraffazione.
Non ci sono le parole di chi utilizza la violenza perché non sa
raccontare in altro modo la sua paura di vivere ai margini, la
sua vulnerabilità che è spesso il risultato di storie di vita
dall’avvio problematico e dalle poche risorse educative ed
emotive.
Non ci sono nemmeno le parole di coloro che dovrebbero
presidiare il campo della crescita e dell ’educazione, che
dovrebbero prendere posizione rispetto alle prepotenze e alle
ingiustizie. 175
179. Nella violenza domestica
le conseguenze sulle vittime si possono descrivere così:
•perdita del valore di sé e della sicurezza sino alla perdita dell’autostima
•perdita del senso di gestione autonoma della propria vita e del proprio
corpo
•senso di impotenza e isolamento.
La violenza può provocare conseguenze traumatiche. Spesso le donne
trovano delle strategie per convivere con il dolore e i sentimenti feriti. Queste
donne investono un’enorme energia per sopravvivere e affrontare la
quotidianità. Ma la violenza continua aumenta il peso, le tensioni e ansie
determinano le giornate rendendole insopportabili. A volte si ricorre all’alcol
o alle droghe per calmare la tensione, l’ansia, nei casi di situazioni
particolarmente pesanti alcune donne ricorrono agli psicofarmaci. Con il
tempo però ciò porta ad un calo dell’energia e delle forze che servono alla
donna per affrontare la vita quotidiana e quella della famiglia.
Per uscire dal ciclo della violenza un aiuto adeguato dall’esterno è
assolutamente necessario. 179
180. Lesioni quotidiane all’autostima
Mi diceva che sono grassa, che
sono stupida, che sono
brutta: e io andavo davanti
allo specchio, mi guardavo
con gli occhi suoi e mi
dicevo che forse aveva
ragione
180
181. Che cosa prova la donna
• massima VULNERABILITA’
• pervasivi sentimenti di COLPA e VERGOGNA
• paura
• ansia/angoscia
• solitudine
• diffidenza
• disorientamento/confusione
• disperazione
• disvalore/incompetenza
• … rabbia
182. Il giudizio degli altri
In molti casi, una donna in condizione di fragilità
psicologica subisce l’ulteriore carico del giudizio dei
familiari, che sminuiscono la sua condizione di
sofferenza con frasi come "Te lo sei sposato e te lo
tieni", e delle forze dell’ordine, che spesso
scoraggiano quelle che vanno a denunciare:
"Signora, è il padre dei suoi figli: ci pensi bene".
Per aiutarle a uscire dall’isolamento è dunque
importante avvicinarsi loro con cautela e istruire in
modo adeguato forze dell’ordine e operatori sociali.
182
188. I bisogni delle donne che subiscono
violenza
BISOGNI INIZIALI
USCIRE DALLA CONFUSIONE
ESSERE ASCOLTATE
RACCONTARE LA PROPRIA STORIA E LE
PROPRIE EMOZIONI
ESSERE CREDUTE E NON GIUDICATE
RICONOSCERE LA VIOLENZA COME TALE
VEDERE LEGITTIMATE LE PROPRIE EMOZIONI
RACCOGLIERE INFORMAZIONI
189. CONOSCERE LA RETE DEI SERVIZI
consente alla vittima, informata sulle
motivazioni di un accompagnamento o invio ad
altro servizio, di essere
UN SOGGETTO ATTIVO CONSAPEVOLE
190. 190
Incolpare la vittima è ucciderla due volte
Sminuire la portata della violenza, ritenendo fisiologica
l’episodica aggressione nella sfera del privato di
coppia,
definire genericamente conflittualità di coppia l’agire
violento del partner maschile, o
ricercare nella vittima, nel suo comportamento e/o nella
sua psicologia, le cause della violenza,
dà luogo a un processo che è stato definito di
vittimizzazione secondaria, che consiste nel cercare la
causa della violenza in tratti di personalità, in
particolari comportamenti delle donne o
caratteristiche morali di queste ultime.
190
195. «Non è vero»
«Non sta succedendo a me». Luisa, 38 anni, toscana, dice di
essere andata avanti per mesi con quel pensiero fisso.
Mesi durante i quali il fidanzato, da cui attendeva un figlio,
alternava momenti di tenerezza a scatti di ira, carezze a
botte.
Chi lavora con le donne maltrattate spiega che dalla fase
«non sta succedendo a me» passano quasi tutte.
Se si avessero le chiavi per decodificare i segnali, imboccare
il tunnel che porta a diventare vittime di violenza sarebbe
meno semplice. Capire significa salvarsi.
195
199. Se si prova a cercare la parola “femminicidio” negli archivi
dei giornali si scopre che essa fa la sua prima comparsa
intorno al 2006-2007, per poi diffondersi sensibilmente solo
negli ultimi anni.
Non che prima, ovviamente, non si consumassero
femminicidi: semplicemente non c’era una parola per
indicare il fenomeno e i singoli episodi venivano raccontati
slegati l’uno dall’altro.
Da qualche tempo, molto lentamente e con grandi lacune,
alcuni mezzi di comunicazione hanno deciso di tirar fuori
dal flusso indistinto degli avvenimenti i casi di donne uccise
per aver osato mettere in discussione il loro ruolo e hanno
iniziato a dare a questi fenomeni il nome di femminicidio
(anche se qualcuno ancora storce il naso di fronte a questa
parola).
199
200. Alla luce del crescente
risalto dato dai media e
dalla politica ai
femminicidi e, più in
generale, alla violenza
contro le donne, è
importante valutare la
qualità dei messaggi che
riceviamo sul tema.
200
201. Al centro della violenza maschile c’è il nodo della
soggettività e della libertà delle donne: il
riconoscimento del desiderio femminile, il
riconoscimento della propria compagna come
interlocutrice, il misurarsi con la libertà di scelta di
una donna che se ne va.
Ma nella comunicazione pubblica e nelle iniziative
sulla violenza questo nodo emerge di rado: gli
uomini restano invisibili e le donne sono
rappresentate come soggetti deboli, da
proteggere, magari da controllare.
Non è possibile la progettazione di servizi, la
costruzione di campagne di sensibilizzazione
senza sviluppare una riflessione critica sui modelli
dominanti di mascolinità.
201
202. Le parole per raccontarlo
Il femminicidio nei media viene generalmente legato a due motivi,
ambedue fuorvianti: l’amore o la malattia.
Quando il movente viene identificato nel delitto passionale, quello
per «troppo amore»: si confonde l’amore con la rabbia o
l’incapacità di affrontare solitudine e abbandono.
Quando è identificato con la malattia, si lega l’atto omicida ad una
patologia. La violenza viene quasi sempre spiegata come un
“raptus” o una “follia omicida”, anche se l’uccisione della donna
avviene dopo anni di violenze familiari o stalking, e le indagini
rivelano che il delitto era stato organizzato precedentemente .
Con l’uso di queste parole i giornalisti e le giornaliste hanno la
responsabilità più o meno consapevole di confermare la cultura
che giustifica la violenza nei confronti delle donne.
202
203. Negli articoli di nera o nei servizi televisivi si sottintende o si
esplicita che a scatenare la “follia” sia stato un
comportamento “sbagliato” della donna che ha scatenato
la reazione distruttiva dell’ex compagno.
Al femminicida vengono attribuite quasi sempre buone qualità
(più raramente se è straniero): “buon padre”, “bravo
ragazzo”, o viene messa in luce l’infelicità.
La donna invece viene spesso descritta come una portatrice di
disordine che aveva (o aveva avuto) molte relazioni”, o non
accudente, o infedele. Una donna che non rispettava le
aspettative sociali e quelle del compagno, di essere una
“buona moglie”.
203
204. È a lui che, incredibilmente, tutte le storie sono rivolte. A morire è una donna
ma chi si impadronisce della scena è l’uomo che l’ha uccisa, restando
comunque entro una costellazione di tipo passionale.
Il maschio agisce il dominio sull’oggetto di sua proprietà fino a liberarsene,
sopprimendolo nel momento in cui si rende conto che gli si palesa dinanzi
un soggetto.
Dunque questo amore imperituro e furioso, che porta alla morte dell’oggetto
amato, diviene il leitmotiv di ogni narrazione: c’è una soggettività maschile
che o è malata o è tradita, della donna poco e nulla si sa.
C’è bisogno di un nuovo baricentro rispetto al tema, posizionarsi al centro e
aprire lo sguardo, smascherando le consuetudini che vorrebbero le donne
imprigionate nel preconcetto vittimizzante di eterne vestali o surrogate
mamme cattive.
204
205. Ricordati di me, che son la Pia
«Non svelo il nome del mio assassino –
dice Pia de’ Tolomei quando incontra
Dante in Purgatorio – altrimenti vi
ricorderete solo di lui e non di me».
Andata in sposa a Nello dei Pannocchieschi,
podestà di Volterra e capitano della Taglia guelfa
nel 1284, fu fatta uccidere dal marito che la fece
precipitare dal balcone del suo castello della
Pietra, in Maremma.
La causa del delitto sarebbe, secondo alcuni, la
punizione di un’infedeltà, secondo altri la
volontà di lui di passare a seconde nozze.
205
207. Dramma della gelosia
Otello è solo un elemento di una coppia fatale:
l’altro è Desdemona (in greco ‘sfortunata’), la
bionda patrizia veneziana che il Moro ama,
sposa e poi strangola sul letto nuziale,
convinto che lei lo tradisca.
Shakespeare, che da questa vicenda
immaginaria ha tratto una delle sue tragedie
più intense e famose, illumina a tutto tondo
la figura di Otello, ma lascia in ombra quella
di Desdemona, della quale presenta solo gli
aspetti funzionali al progredire della passione
del Moro, all’acuirsi ed esasperarsi di essa
sotto il pungolo del perfido Jago.
207
209. Un “amore criminale” è
un ossimoro,
un “omicidio passionale”
è una giustificazione,
un “raptus di follia” è una
menzogna.
209
210. 210
1 marzo 2012: “Fracassa il cranio del figlio per
vendicarsi dell’abbandono della moglie”
Come poteva essere un “uomo mite”, “buono come il pane”,
padre “amorevole”, come lo hanno descritto la maggior parte
dei giornali ostentando profili psicologici di un uomo “distrutto
dal dolore” per la separazione dalla moglie, quello che ha
fracassato a martellate il cranio del figlio di 17 anni che
dormiva nel letto di casa sua per vendicarsi della donna che lo
aveva messo di fronte all’inevitabilità della separazione dopo
l’ennesima lite?
Come poteva essere un uomo “pacifico”, uno che decide
scientemente di uccidere il figlio, prima di togliersi lui stesso la
vita lasciando alla moglie la scoperta dell’orrendo delitto
consumato in casa sua?
Quale concezione aveva dei rapporti, dell’amore, della paternità?
Quale maturità, quale autonomia, se a tal punto non
sopportava un abbandono?
Quale pace mai potrà trovare questa madre, rosa dal rimorso di
aver lasciato il figlio in mano al suo aguzzino travestito da
padre amoroso?
210
211. Vittoria, giugno 2013
Un bidello uccide un’insegnante.
Si scrive che l'assassino era "ferito" dall'"indifferenza" e
"freddezza" dell'insegnante, quasi la colpa fosse di
quest'ultima.
211
222. Il racconto della violenza nei mass media è spettacolarizzato.
La volontà tenace di mostrare la donna vittima è così reiterata
da diventare una sorta di perversa pedagogia.
Non servono raccomandazioni, né consigli, né prediche, né
racconti pietosi: questo vale per tutti i mezzi di
comunicazione.
Noi pensiamo che solo la stima di sé possa salvare le donne
dalla violenza, perché le renderà capaci di riconoscere la
violenza prima che accada, le aiuterà a non affidarsi
ciecamente e a contare sulle proprie forze. Il resto, le leggi, i
provvedimenti, l’ascolto possono aiutare, ma la stima di sé è
l’essenziale.
La società in cui viviamo è ancora profondamente impreparata
alla libertà delle donne. Quando diciamo società intendiamo
dire che anche noi donne siamo impreparate alla nostra
libertà e alle sue conseguenze. Può sembrare un paradosso ma
non lo è. 222
223. Libere dalla paura di essere punite
Vorrei un Paese che non rappresenti più
la donna come la vittima con l'occhio
nero coperta di lividi, ma che sia chiara
l'immagine di un soggetto, e non di un
oggetto, che si alza in piedi e dice forte
e chiaro: "Non osare mai più".
Le donne non si rendono conto
pienamente della loro forza, perché
non riconoscono il guinzaglio con cui
sono tenute a bada.
223
229. Non basta essere bravi
professionisti, e non basta
essere cittadini sensibili;
bisogna essere preparati,
studiare.
Per dare corretta informazione su
questa realtà e in generale sui
diritti e le discriminazioni di
genere, oltre ai pur utilissimi
blog, bisognerebbe entrare a
pieno titolo nel tessuto del
giornale, avviando un processo
di trasformazione dentro le
redazioni.
229
233. Secondo dati del 2006 sono state
690mila in Italia le donne che
hanno subìto violenze ripetute dal
partner e avevano figli al momento
della violenza.
Il 62,4% ha dichiarato che i figli
hanno assistito ad uno o più
episodi di violenza.
Le piccole vittime di violenza assistita
apprendono che l’uso della
violenza è normale nelle relazioni
affettive.
L’aver subìto e/o assistito a
maltrattamenti intrafamiliari è tra i
maggiori fattori di rischio per lo
sviluppo di comportamenti violenti
nella vita adulta. 233
237. IL BAMBINO CHE VIVE IN UNA SITUAZIONE DI
MALTRATTAMENTO E/O ABUSO FAMILIARE E'
MESSO DI FRONTE AD UN PROBLEMA
INSOLUBILE; IL TERRORE, LA DISPERAZIONE, LA
MORTIFICAZIONE LO PORTANO A RIVOLGERSI,
PER CHIEDERE AIUTO, ALL'ADULTO PROTETTIVO
CHE, IN QUESTO CASO, E' PROPRIO COLUI DAL
QUALE DIPENDE LA SUA SOFFERENZA.
243. LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA
CONIUGALE SUI FIGLI
• Psicologiche: Senso di colpa e
d’impotenza, Aggressività, Insicurezza,
Paura, Dipendenza dalla madre, Sentirsi
diviso fra la madre ed il padre
• Fisiche: Insonnia, Iperattività
• Sociali: Stigmatizzazione, Assenteismo
scolastico
244. Emozioni
• Paura (per sé e i familiari)
• Orrore
• Impotenza
• Vergogna
• Umiliazione
• Rabbia (per l’ingiustizia percepita e vissuta)
• Aggressività (apprendono che l’uso della violenza è
normale nelle relazioni affettive, e che l’espressione di
pensieri ed emozioni è pericolosa)
• Mancanza di empatia
• Sfiducia
• Senso di colpa (si sentono privilegiati se non vittimizzati
direttamente;si sentono responsabili della violenza perché
cattivi)
245. Gli esiti dannosi dovuti alla violenza familiare si
riscontrano anche a lungo termine nella vita
adulta:
paura, impotenza, colpa, vergogna, bassa
autostima, distacco emotivo, depressione,
disturbi d’ansia, aggressività, impulsività,
passività, dipendenza, somatizzazioni, sintomi
dissociativi, suicidio, abuso di sostanze, difficoltà
di autoprotezione e tendenza ad essere
vittimizzati, difficoltà genitoriali, trascuratezza,
violenza fisica, psicologica e sessuale, disturbi di
personalità.
246. L’intensità e la qualità degli esiti dannosi derivano dal
bilancio tra le caratteristiche dell’evento (precocità,
frequenza, durata ecc...) e i fattori di protezione (risorse
individuali della vittima e del suo ambiente familiare,
interventi attivati nell’ambito psico-sociale, sanitario e
giudiziario.
Il danno è tanto maggiore quanto più:
- il fenomeno resta nascosto e non viene riconosciuto
- non viene attivata protezione nel contesto primario e
sociale
- l’esperienza resta non verbalizzata e non elaborata
- viene mantenuta la relazione di dipendenza con chi nega
l’abuso.
247. Che fare?
Attivare interventi di sostegno a favore del nucleo
familiare, laddove sussistano sufficienti risorse, è la
strada maggiormente auspicabile.
Riuscire a salvare il legame con le figure genitoriali, o con
almeno una di esse, rappresenta un aspetto
fondamentale per la resilienza e per il processo di
elaborazione del trauma nei bambini/e.
Uno dei principali fattori di riparazione del danno subito dai
minori vittime di violenza familiare è la consapevolezza,
che permett e l’attivazione delle capacità protettive di
almeno una delle figure genitoriali.
251. La più lenta a cambiare è la giustizia. In alcune
procure esistono pool specializzati, ma nella
maggior parte d’Italia l’argomento è ancora tabù
251
252. 252
La “Dichiarazione sull’eliminazione della
violenza contro le donne” dell’Onu, del
1993, fornisce per la prima volta una
definizione della violenza contro le donne,
intesa come “qualsiasi atto di violenza per
motivi di genere che provochi o possa
verosimilmente provocare danno fisico,
sessuale o psicologico, comprese le
minacce di violenza, la coercizione o la
privazione arbitraria della libertà personale,
sia nella vita pubblica che privata”.
256. Telefono Rosa nacque nel febbraio 1988 a Roma come
strumento temporaneo di ricerca volto a far emergere,
attraverso la voce diretta delle donne, la violenza sommersa
di cui non si trovava traccia nei verbali degli operatori
sanitari o delle forze dell'ordine.
In una stanza cinque volontarie con l’ausilio di un quaderno e
di una penna si alternano nell’ascolto di donne che chiamano
da tutta Italia.
Oggi l’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa
onlus è una rete di associazioni territoriali.
256
256
258. I centri antiviolenza
sono luoghi in cui vengono accolte le donne che hanno subìto
violenza.
Grazie all’accoglienza telefonica, ai colloqui personali,
all’ospitalità in case rifugio e ai numerosi altri servizi offerti, le
donne sono coadiuvate nel loro percorso di uscita dalla violenza.
Le Case rifugio, spesso ad indirizzo segreto, ospitano le donne e i
loro figli minorenni per un periodo di emergenza.
Per maggiori informazioni D.i.Re: donne in rete contro la violenza
258
262. Lo storico centro antiviolenza di Bologna e provincia
gestisce: 3 appartamenti rifugio che hanno accolto, al
31 ottobre 2013, 24 donne e 22 minori; il nuovo
servizio SAVE, casa d’accoglienza per donne ad alto
rischio violenza, che nel primo anno di attività ha
accolto 33 donne e 37 minori; 7 alloggi di transizione
per il reinserimento abitativo e lavorativo delle donne e
tanti altri servizi e attività.
La grande rilevanza che il tema della violenza ha avuto
quest’anno ha spinto a chiedere aiuto alla Casa ben
100 donne in più dello scorso anno: finora i casi sono
561, di queste il 20% hanno sporto denuncia delle
violenze subìte (il dato nazionale è il 7%).
262
264. Un ritardo colpevole
Il Consiglio d'Europa raccomanda un centro antiviolenza ogni
10.000 persone e un centro d’accoglienza ogni 50.000 abitanti:
in Italia dovrebbero esserci dunque 5700 posti letto ma ce ne
sono solo 500, contro i 1100 della Francia, i 7000 della
Germania, i 4500 della Spagna e i 3890 dell'Inghilterra.
Anche la Turchia è più avanti di noi, con 1478 posti a
disposizione.
Gli studi dell’associazione Women Against Violence (www.
womenagainstviolence. org) dicono che al 30 giugno 2011 il
nostro Paese aveva 54 case rifugio per donne in pericolo.
In Inghilterra sono 685, in Germania 346, in Spagna 148, in
Svezia 180, nel Paesi Bassi 100.
264
265. Le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza
aumentano di anno in anno, ma le capacità di ospitalità ed
accoglienza diminuiscono a causa della riduzione dei fondi
messi a disposizione dagli enti locali per la protezione delle
vittime.
Diversi centri antiviolenza hanno già chiuso e altri sono a rischio
chiusura.
265
266. Nella manovra finanziaria
sono previste spese per la
costruzione di nuove navi
da guerra per 340 milioni
l'anno x 15 anni. Totale 5
miliardi e 100.
Per le case rifugio e i centri
antiviolenza 10 milioni
l’anno (7 per il 2014).
266
267. Legge 119/2013 su
violenza di genere e sicurezza
Nel contrastato decreto,
diventato legge l’11 ottobre,
5 articoli su 11 riguardano il
contrasto al femminicidio,
con inasprimento delle
pene, nuove aggravanti,
misure di repressione,
misure di tutela.
C’è poco spazio per la
prevenzione e per
l’educazione.
267
269. Quelle che ce l’hanno fatta
In tutta Italia, per fortuna, le storie di donne riuscite a liberarsi
dai maltrattamenti sono migliaia.
Ad accoglierle e accompagnarle, le operatrici dei Centri, che
riconoscono i loro problemi prima ancora di sentire i loro
racconti.
Le donne che riescono a liberarsi non hanno una marcia in più di
quelle che non ce la fanno. Hanno solo deciso, una volta per
tutte, di averne abbastanza.
A volte la decisione scatta per paura di morire, a volte dopo aver
visto picchiare o violentare i figli, a volte dopo un colloquio con
un centro antiviolenza o con un'amica. Ogni percorso è
diverso, ma tutti conducono allo stesso traguardo:
la libertà 269
270. 270
Per saperne di più
www2.units.it/noallaviolenza
Un sito dedicato alle ragazze e ai ragazzi sulla violenza sessuale,
fisica e psicologica
Troverete anche esercizi di
autoanalisi
270
272. Argomenti per donne?
Dice Serena Dandini:
Comincio a stancarmi nel vedere le battaglie portate avanti
sempre e solo da donne, come se fosse solo un problema
nostro. Gli uomini, soprattutto quelli non violenti, devono
farsi carico della loro parte di problema, perché a produrlo
è il loro genere. Invece in tutto il mondo, nei servizi
sociali, nell’avvocatura, nel volontariato, nei centri
antiviolenza, trovi solo donne. Come se fosse un
argomento di serie B.
272
273. Oggi, più che l’affermazione di una forza e di un dominio,
più che retaggio di incultura e degrado, questa violenza
pare nascere dalla disperata opposizione a un
cambiamento femminile, dall’incapacità di accettarlo e
comprenderlo; dal panico provocato dalla nuova libertà e
autonomia delle donne.
Quanto più cresce la capacità di affermazione femminile,
tanto più vengono denudate la fragilità o la dipendenza o
l’inadeguatezza maschile.
Il gesto violento diviene l’estremo atto di un potere
morente, la resa dinanzi all’impossibilità di sottomettere,
lo sfregio di un’altrimenti incancellabile alterità. La
negazione e, insieme, la massima affermazione della
propria vulnerabilità e parzialità.
273
275. Che la violenza sulle donne sia in realtà un problema degli
uomini è fatto ovvio, ma che, nell’attuale discorso pubblico
sulla violenza, può apparire rivoluzionario. Basta pensare
all’immaginario delle campagne contro la violenza di genere,
che di solito si limitano a raffigurare le donne come vittime
passive e a lasciare totalmente fuori dalla rappresentazione i
responsabili della violenza, ovvero gli uomini che la
perpetrano.
L’inadeguatezza e l’inefficacia di questo tipo di approccio sono
ben chiare ad alcuni autori di campagne contro la violenza di
genere che, per contrastarla, hanno scelto di rivolgere i propri
sforzi esplicitamente a un pubblico maschile.
275
276. Nel 2012 ha preso piede una nuova
campagna contro la violenza sulle donne
che vede protagonisti gli uomini.
Qualcosa sta cambiando poiché non tutti
vogliono essere identificati come i
carnefici dei quali troppo spesso si sente
parlare in tv; esiste una grandissima fetta
che vuole schierarsi apertamente dalla
parte delle donne.
Ci fa capire la consapevolezza che sta
nascendo: l’opera di sensibilizzazione
sta avendo, anche se lentamente e con
qualche difficoltà, i suoi frutti.
Riconoscere la violenza è un passo avanti
molto importante affinché si ottengano
risultati positivi.
276
279. L’originaria angoscia maschile, legata anche al fatto di avere un corpo che
non può generare, è stata fonte di insicurezza e paura, e ha prodotto ansie
di controllo del corpo altrui. Tracce di quell’angoscia le ritroviamo nella
sessualità, pensata e vissuta, nella cultura del dominio maschile, come
strumento di controllo delle donne e di negazione dei diversi orientamenti
sessuali. Questo ha schiacciato la nostra sessualità nell’ansia della
prestazione, della verifica di una virilità associata al dominio, e ha ristretto
la nostra socialità nella percezione del corpo maschile come minaccia, oltre
che nell’ansia omofoba.
Incontrare la libertà e l’autonomia femminile ci mette di fronte al nostro
limite e alla nostra parzialità. Quest’esperienza, invece di essere motivo di
frustrazione, può dare inizio alla ricerca di una relazione libera, di uno
scambio sessuale e affettivo nella differenza. Si tratta, per noi, di seguire
un’altra idea di felicità, liberando la nostra capacità di cura e il piacere
dell’incontro, mettendoci in gioco fino in fondo nella relazione con l’altro/a.
Stefano Ciccone
279
280. Essere amati per piacere e non per dovere: ecco la nostra
rieducazione sentimentale - Michele Serra (2013)
A volte provo a ragionare, da maschio, sulla bruta ostinazione con la quale alcuni uomini
pretendono di possedere e controllare la “loro” donna, relegarla in casa, costringerla a un
amore non sentito, a una devozione non sincera. Qualcosa di ancestrale — di bestiale —
abita in quei maschi: l’istinto di trasmettere i propri geni tenendo a distanza quelli altrui. Ma
al di là di quell’impulso da tricheco, da orango, e dunque comprensibile e rispettabile nel
tricheco e nell’orango, che cosa c’è di gratificante, di eccitante nella sottomissione della
femmina? Essere amati per dovere, non per piacere, come può non essere umiliante? A
parte le perversioni erotiche, che hanno i loro bravi luoghi e tempi di esercizio, come si fa
nella vita vera, e tutta intera, a perseguire una forma così minore e minorata di amore,
incatenare qualcuna perché non fugga, farsene carceriere, e se tenta la fuga ucciderla?
A parte questo, e restando più in superficie: come è noiosa l’idea della femmina
addomesticata e possibilmente domestica. Com’è mediocre l’uomo che non solo se ne
accontenta, ma se ne vanta. Com’è migliore — più vario, più stimolante, più luminoso — il
confronto con una tua pari, che ha vita da raccontarti, che ti fronteggia, che oltre ad
ascoltarti ti parla, e sei tu che l’ascolti. Come è più vero, più simile alla vita, il “pericolo” di
un rapporto esposto al mondo, alle scelte soggettive, al mutamento, perfino al dolore
dell’abbandono, che è di gran lunga preferibile alla mortificazione dell’obbligo. Quando ogni
maschio capirà, sentirà che cosa perde, perdendo la libertà della “sua” donna, finalmente il
mondo potrà cominciare a cambiare. 280
281. Che cosa ha domandato?
Ho chiesto che cosa è per loro la sessualità, se la
violenza ne è una componente, che cosa provano
quando leggono di uomini che violentano le donne, se
si sentono coinvolti e come quando si parla di calo del
desiderio, che significa essere virili e che rapporto
hanno con la pornografia.
Che cosa è emerso dall’indagine?
Agli uomini con cui ho dialogato non piacciono gli
stereotipi in cui sono imprigionati, non si riconoscono
nell’immagine virile e maschilista che la società e i
media attribuiscono loro. Ma non sanno come
esprimere questo malessere, principalmente per tre
motivi: non hanno luoghi di riferimento per potere
condividere questi loro pensieri; se dismettono le
armature “virili” perdono potere; rischiano di essere
risucchiati nelle categorie “non veri uomini” oppure
“omosessuali”. Questa loro incapacità di nominare un
disagio si riflette anche nel rifiuto di considerare il
corpo maschile come capace di compiere violenza.
Non riescono ad ammettere una responsabilità come
genere rispetto alla violenza.
281
282. Possibili interpretazioni
della violenza maschile
come effetto e riproposizione di un’esperienza traumatica, o
come espressione di una patologia individuale;
come forma di comportamento appreso e interiorizzato,
attraverso la socializzazione;
come espressione identitaria, in quanto modalità espressiva
socioculturale della maschilità o virilità;
(come adesione a dinamiche collettive o di gruppo);
come strumento di controllo e potere sugli altri ed in
particolare sulle persone importanti.
come reazione distruttiva ad un senso di inadeguatezza nel
mutamento delle relazioni e di impotenza a fronte di
scacchi relazionali.
283. DUE QUADERNI PER
APPROFONDIRE
Anche gli uomini possono
cambiare. Il percorso del
centro LDV di Modena
A cura di M. Deriu
Pubblicato da Regione Emilia
Romagna, Servizio Sanitario
Il continente sconosciuto.
Gli uomini e la violenza
maschile
A cura di M. Deriu
Pubblicato da Regione Emilia
Romagna, Servizio Sanitario
Scaricabili da: http://sociale.regione.emilia-romagna.
it/documentazione/pubblicazioni/guide/altre-pubblicazioni-
servizio-politiche-familiari/2012/
284. Azioni necessarie per contrastare la
violenza sulle donne nel nostro Paese
1) Formazione e sensibilizzazione delle forze dell’ordine. Devono stabilire protocolli
chiari riguardo ai passi da seguire nei casi di violenza domestica, affinché le
vittime siano immediatamente incamminate verso i centri d’accoglimento e le
cliniche specializzate per appoggio psicologico e medico (inclusa la pillola del
giorno, nei casi di violenza sessuale).
2) Media e dignità femminile. E’necessario che i media assumano la responsabilità
che risulta dal loro ruolo di creatori di opinioni. C’è bisogno di un organo che
garantisca il rispetto della dignità degli uomini e delle donne nelle loro
rappresentazioni nei media, in particolare la televisione, il medium di riferimento
per la maggior parte degli italiani.
3) Educazione di genere nelle scuole. Come in Francia, bisogna varare una legge per
l’insegnamento obbligatorio dei temi di genere. Il valore di questo lavoro di
sensibilizzazione di maestri e alunni al tema di violenza di genere non può più
essere lasciato alla buona volontà di qualche regione, scuola o città, come lo è
stato fino ad adesso, ma va promosso a livello nazionale, senza ulteriori indugi, a
prescindere dai tagli di bilancio.
284
286. Un video di
Donne in rete contro la violenza
http://www.sosdonna.co
m/2012/11/23/un-video-per-
raccontare-il-percorso-
antiviolenza/
Il filmato, intitolato
“Potenziare i Centri,
Rafforzare le
Donne”, ripercorre il
percorso che la donna
intraprende dal momento
della presa di coscienza della
violenza di cui è vittima.
286
288. Filmografia
La moglie del poliziotto (Germania, 2013) di Philip Gröning
Miss Violence (Grecia, 2013) di Alexandros Avranas
Ti do i miei occhi (Spagna, 2013) di Iciar Bollain
La casa di Ester (Italia, 2012) di Stefano Chiodini
Come pietra paziente (Afghanistan, 2012) di Atiq Rahimi
La bicicletta verde (Arabia Saudita, 2012) di Haifaa Al-Mansour
Il mio primo schiaffo (Italia, 2010) di Corrado Ceroni
Un giorno perfetto (Italia, 2008) di Ferzan Ozpetek
Bordertown (USA, 2006) di Gregory Nava
La bestia nel cuore (Italia, 2005) di Cristina Comencini
Il vestito da sposa (Italia, 2004) di Fiorella Infascelli
A letto con il nemico (USA, 1991) di Joseph Ruben
Sotto accusa (Canada, 1988) di Jonathan Kaplan 288
289. http://www.youtube.com/wa
tch?v=FAHHSypOe3I
Prima che faccia buio: il primo
cortometraggio realizzato in
Italia contro il femminicidio.
Ispirato a una storia vera e ideato dal
centro antiviolenza Linea Rosa di
Ravenna.
Con la regia di Gerardo Lamattina,
verrà usato per la formazione alle
forze dell’ordine, degli assistenti
sociali, degli avvocati e degli
operatori sanitari.
La pellicola racconta una
storia vera, un fatto di
cronaca accaduto a
Ravenna che le operatrici di
Linea Rosa hanno potuto
seguire da vicino,
assistendo una donna in
fuga da quel mostro che,
alla fine, è riuscito ad avere
la meglio.
289