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Aspetti della ricerca filosofica sulla natura della mente
Tesi di Specializzazione
SSIS a.a. 2006-2007
specializzanda: Catina Feresin
tutor: prof. Fabio Francescato
(Liceo Classico Petrarca, Trieste)
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Prefazione
Con il presente lavoro desideriamo delineare il dibattito sul problema della natura della mente che è
nato dalle riflessioni della filosofia Greca, passando attraverso gli studi di Cartesio e si è sviluppato
nel corso del XX secolo fino ai nostri giorni. Il tema risulta essere uno tra i più discussi nel pensiero
filosofico contemporaneo poiché ha portato e porta gli scienziati a riflettere sulla relazione fra
fenomeni “soggettivi” quali pensieri, immagini, emozioni e sentimenti ed i risultati delle ricerche
condotte su tale argomento.
Il problema della "natura della mente" è talmente complesso da richiedere un approccio
interdisciplinare che tenga conto dei risultati ottenuti da numerose discipline quali la filosofia, la
psicologia, le neuroscienze, la matematica e la fisica.
Prefazione
1-Introduzione storica: Platone, Aristotele, Cartesio, La Mettrie
2-Filosofia, Psicologia e Neuroscienze s'interrogano sulla natura della mente
3-La Filosofia, la Psicologia e la metafora mente-computer
4-Le neuroscienze e la metafora mente-cervello
5-Il connessionismo e la metafora di “Cervellopoli”
6-Breve storia dell'evoluzione delle reti neurali
7-La mente inserita nel mondo dell'esperienza: la Vita Artificiale
8-Esperienze mentali private ed input neurali auto-generati
9-Evoluzione, apprendimento, sopravvivenza e riproduzione di una rete neurale
10-Conclusioni: è' possibile considerare il connessionismo una nuova filosofia della mente?
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Capitolo I
"...Dirksen strinse forte le labbra e alzò il martello per il colpo di grazia. Ma mentre cominciava a
calarlo, dall'interno della bestia uscì un suono, un debole gemito lacrimoso che si alzava e si
abbassava come il piagnucolio di un bambino. Dirksen lasciò cadere il martello e arretrò, gli occhi
fissi sulla pozza rosso sangue di lubrificante che si allargava sul tavolo sotto la creatura. Guardò
Hunt con orrore. "E....è.....". "E' solo una macchina" disse Hunt, di nuovo serio. "Come queste, che
l'hanno preceduta nella storia evolutiva". Indicò con un gesto la schiera di macchine del laboratorio,
osservatori muti e minacciosi. "Ma questa, a differenza delle altre, è in grado di accorgersi del
proprio fato e di gridare per chiedere aiuto...".
Tratto da "L'anima dell'Animale Modello III" di Terrel Miedaner (Hofstadter & Dennett, 1985).
Introduzione storica
La mente dell’uomo è stata studiata per millenni dai filosofi attraverso un metodo costituito da
analisi concettuali, teorie speculative e discussioni tra esperti. In particolare, il tema della natura della
mente ha sempre appassionato l’umanità in tutte le culture e in tutti i tempi per le molteplici
implicazioni che tale problematica ha, non ultima quella religiosa e quell'esistenziale (Parisi, 1989;
1999).
Varie sono state le teorie che l’uomo ha elaborato nel corso dei secoli, riguardo al problema
mente (allora anima), deputando la sede dell’anima in diverse regioni anatomiche.
Nella visione platonica anima e corpo costituiscono due componenti non solo distinte ma
opposte tra di loro. Platone (428 a. C.) distingue da una parte il corpo, che agisce sotto la spinta dei
bisogni e degli impulsi sensibili, sede di passioni e moti irragionevoli; dall'altra l'anima. L'anima è per
Platone la parte migliore e più preziosa degli esseri umani; essa si trova chiusa nel carcere corporeo
per il tempo della vita terrena, ma, dopo la morte del corpo, continua a vivere, finalmente libera di
realizzarsi secondo la sua vera natura che è quella del bene. Secondo Platone non solo l'anima
sopravvive, ma anche preesiste al corpo secondo la teoria della metempsicosi, infatti l'anima ricorda,
in questa vita, nozioni apprese in una vita precedente (Platone, da "Fedone").
3
Nel 384 a.C., al contrario di ciò che affermava Platone, per Aristotele l'anima non è un
qualcosa d'indipendente dal corpo: l'anima è piuttosto il principio organizzativo del corpo. Un corpo
senz'anima non è un corpo vivente, ma un cadavere. L'anima, infatti, opera sempre attraverso il corpo
e non sussiste separata da esso (Aristotele, da "L'anima").
Nel 129 d. C., Galeno ipotizzò la presenza di tre pneumi: naturale, vitale e animale. Il primo
era elaborato nel fegato e veniva distribuito ai tessuti dal sangue attraverso il flusso ed il riflusso nei
vasi; il secondo (quello vitale) si formava nel ventricolo sinistro del cuore, mescolando il sangue con
l’aria dei polmoni; ed infine quello animale, distillato del sangue che dal cuore saliva ai ventricoli
cerebrali (al cervello). Galeno, inoltre, attribuiva particolari funzioni a ciascuno dei tre pneumi: il
pneuma naturale era necessario per lo sviluppo dei desideri terreni, sensuali, quello vitale era deputato
allo sviluppo delle più elevate qualità umane come il coraggio e la fermezza di carattere, ed infine il
pneuma animale era esclusivamente connesso con le attività intellettuali.
Nel sedicesimo secolo, Vesalio introdusse concezioni più moderne nel De corporis Humani
fabrica. Fermo restando sull’esistenza dei tre pneumi, egli ragionò in termini strettamente fisiologici
facendo riferimento alle proprietà specifiche del tessuto nervoso e deputando al sistema nervoso tutti i
fenomeni neurologici.
Un gran passo in avanti si ebbe con Cartesio (1569-1650), il quale nell'opera Discorso sul
metodo fu il primo studioso a suddividere chiaramente la realtà in due entità separate ed opposte tra
loro: la res cogitans e la res extensa. La prima venne identificata con la realtà psichica cui Cartesio
attribuiva il principio di libertà, in estensione e consapevolezza. Il colore, il sapore, l’odore ed il
suono non esistevano nella realtà corporea ed appartenevano alla res cogitans. La seconda
rappresentava invece la realtà fisica, estesa, inconsapevole e limitata: la grandezza, la figura, il
movimento, la situazione, la durata, il numero erano qualità appartenenti alla res extensa. Cartesio si
trovò dinanzi al problema di riunire o spiegare il rapporto scambievole fra questa due res rendendo
intelligibile la relazione fra anima e corpo. Egli pensò di risolvere tale problema affermando che
l’uomo possedeva un’anima razionale situata nella ghiandola pineale. Tale anima avrebbe posseduto
la capacità di pensiero, la sensibilità, la coscienza e l'unificazione delle sensazioni.
Spezzando la realtà in maniera duale (dualismo) e creando due zone distinte ed eterogenee: la
res cogitans e la res extensa, Cartesio ebbe sicuramente il gran merito di aver iniziato il processo di
separazione tra ciò che poteva essere considerato corpo (appartenente quindi alla res extensa) da ciò
che non rientrava in tale ambito, come la mente, dominio della res cogitans.
Filosofia, Psicologia e Neuroscienze s'interrogano sulla natura della mente
4
Verso la fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento, gli studiosi di numerose discipline quali
Filosofia, Psicologia, Neuroscienze analizzarono con accuratezza metodologica il problema mente-
corpo. La filosofia applicò il metodo della verifica concettuale, mentre le neuroscienze e la psicologia
cercarono di estendere allo studio della mente l’approccio quantitativo e sperimentale che altre
scienze già applicavano con successo allo studio della natura. In campo psicologico e
neuroscientifico, la mente cominciò ad essere studiata facendo esperimenti, vale a dire creando delle
condizioni controllate e manipolate intenzionalmente dal ricercatore.
La Filosofia, la Psicologia e la metafora mente-computer
Recentemente, alcuni studiosi hanno osservato che la psicologia, pur avendo adottato i metodi
della scienza, ha continuato la tradizione filosofica cartesiana: la realtà fisica della natura e la realtà
"spirituale" della mente. In questo senso il dualismo di Cartesio ha influenzato profondamente la
storia della cultura occidentale contemporanea. La suddivisione tra scienze della mente, che si
occupano della struttura cerebrale e dei meccanismi fisiologici, e scienze della mente che si occupano
dei processi cognitivi, è una logica conseguenza di questo modo di pensare.
Il programma di ricerca del cognitivismo psicologico è interamente permeato da questo
dualismo. Il cognitivismo è stato profondamente influenzato dal linguaggio e dalle teorie
dell’intelligenza artificiale (A.I.). Il modello di riferimento per spiegare i processi cognitivi si basa su
una semplice metafora: la mente come programma di un computer, vale a dire la mente come
elaboratore delle informazioni provenienti dall’ambiente esterno (Varela et al., 1991). Queste
informazioni vengono tradotte in simboli che si organizzano secondo relazioni sintattiche formali.
L’uso della metafora mente = software ha alcune conseguenze importanti:
-1. L’hardware non conta nulla. Dato che possiamo implementare un programma in qualsiasi
tipo di computer, il tipo di hardware è irrilevante per comprendere le caratteristiche funzionali del
programma. Analogamente, la conoscenza della struttura del cervello e del corpo (hardware) è
irrilevante per comprendere il funzionamento dei processi cognitivi. Secondo i filosofi della mente
Fodor e Putnam, il pensiero è una sorta di linguaggio interno, il "Mentalese", composto di simboli
arbitrari e formali che si organizzano in proposizioni secondo regole sintattiche (Fodor, 1983). Come
scrive Putnam (1975): “Potremmo essere fatti di formaggio svizzero e non cambierebbe nulla”.
Queste concezioni di filosofia della mente portarono quindi all’avvento dell’approccio human
information processing della psicologia cognitiva, per cui il computer con la sua architettura e
funzionamento divenne il modello-metafora di riferimento per lo studio delle funzioni cognitive.
Anche se riformulato in termini moderni, ritorna quindi il dualismo cartesiano.
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-2. L’hardware ha una struttura modulare. I computer durante e poco dopo la seconda guerra
mondiale erano creati con una struttura modulare per facilitare l’intervento degli operatori in caso
d'errori o difetti. I moduli erano strutture distinte dotate di funzioni specifiche: in questo modo il
danneggiamento di uno di essi non avrebbe compromesso l’intero sistema. Dall’uso della metafora
mente = software deriva che, se il computer è modulare, anche la mente lo sarà. In antitesi con la
visione di Cartesio, la mente non è indifferenziata ma viene scissa in un insieme di funzioni altamente
specifiche, isolate le une dalle altre. Ad esempio Chomsky (1991) parla di un organo del linguaggio
che è innato, universale, specifico della specie umana e che non è il risultato dell’evoluzione. L’unica
differenza da Cartesio è che la mente ha una struttura modulare, non è qualcosa d'indivisibile e
indifferenziato.
Dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, i computer sino diventati sempre più veloci e potenti.
Negli anni ’60 si assiste al boom dell’intelligenza artificiale simbolica (A.I.) basata sulla
manipolazione di simboli qualitativi con regole della logica. Alan Turing aveva inventato a tal
proposito "il gioco dell’imitazione", conosciuto in seguito come Test di Turing (Turing, 1950).
Durante il test, un individuo definito da Turing come "interrogante" doveva porre domande a due
interlocutori, un uomo ed una donna e, comunicando con loro senza vederli né ascoltarli (magari
attraverso una telescrivente), cercare di capire chi dei due fosse il maschio e chi la femmina. Gli
interrogati, da parte loro, potevano dare risposte ambigue in modo da tentare di ingannare
l’interrogante ed indurlo a sbagliare. Cosa poteva accadere, si domandava Turing, se in questo gioco
una macchina avesse occupato il posto di uno dei due interrogati? Sarebbe riuscita ad eludere le
domande senza farsi scoprire? O, in altre parole, avrebbe potuto simulare un comportamento umano,
simulando quindi di pensare? Sicuramente questo "gioco" stimolò diversi scienziati e filosofi a
produrre programmi che, seppur non in grado di ingannare l’interlocutore, simulavano tuttavia un
comportamento pensante e intelligente riuscendo a "conversare" per un certo periodo con un essere
umano prima di essere scoperti.
Successivamente dagli anni '70 agli anni '90 si vide un continuo proliferare di programmi
intelligenti in grado di partecipare a giochi da tavolo, di risolvere problemi, di pianificare sequenze
d'azioni, di fornire pareri ed indicazioni in campi precisi della conoscenza (sistemi esperti). Il
successo di questi programmi creò entusiasmo anche all’interno della psicologia e contribuì a
diffonderne l’uso come modelli dei processi cognitivi umani d'alto livello. Si sviluppò pertanto il
campo dell’intelligenza artificiale come diretta conseguenza di questa visione e ben presto la
letteratura si riempì d'affermazioni esagerate sull'intelligenza dei computer. L’entusiasmo che suscitò
il computer come metafora della mente umana aveva un curioso parallelo nell’entusiasmo di Cartesio
e dei suoi contemporanei per l’orologio come metafora del corpo, come macchina straordinaria che
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funzionava autonomamente, governandosi da sé una volta caricata. Il modello di mente = computer fu
all’inizio un’utile cornice concettuale per una nuova interpretazione scientifica della cognizione, ma a
metà degli anni Settanta il modello s'irrigidì sempre più in dogma. In più gli informatici davano un
contributo al consolidamento del dogma usando espressioni come “intelligenza”, “memoria” e
“linguaggio” per descrivere i computer; il che ha portò molte persone, scienziati compresi, a ritenere
che tali termini si riferissero alle corrispondenti caratteristiche dell’uomo.
Come già rilevava Dario Floreano verso la fine degli anni '90: "E' ancora molto difficile utilizzare
dei sistemi esperti per risolvere alcuni problemi che per gli esseri umani sono tutto sommato banali"
(Floreano, 1996). Per esempio localizzare un oggetto su una scena, riconoscere una voce in condizioni
reali, coordinare fluidamente e velocemente i movimenti per prendere un piccolo oggetto o per
spostarsi da una stanza ad un’altra, valutare un insieme di circostanze per prendere una decisione:
sono tutti esempi di possibilità che non richiedono all’uomo alcuno sforzo particolare. Eppure non
esiste computer che a tutt’oggi sia in grado di svolgere perfettamente tali attività. Sebbene un
computer possa battere il campione del mondo di scacchi, esso non è in grado di competere con un
bambino di 3 anni nel costruire con il Lego, nel riconoscere il volto di una persona o nel riconoscere
la voce dei genitori.
Una delle possibili cause di questo limite consiste nel fatto che il modo in cui i programmi
tradizionali elaborano l’informazione è radicalmente diverso dal modo in cui funzionano i sistemi
nervosi biologici. Per svolgere una qualsiasi compito i calcolatori tradizionali necessitano di un
programma che è costituito da un insieme d'istruzioni organizzate in modo gerarchico e da tabelle di
consultazione dove vengono allocate le conoscenze. Il funzionamento del computer consiste nel
leggere sequenzialmente i dati e nell’applicare su di essi determinate operazioni in base a regole e
conoscenze predefinite. La “forza” del computer sta comunque nel fatto di riuscire a compiere, a
differenza dell’uomo, miliardi d'operazioni in un secondo e di eseguire simulazioni d'eventi che, se
calcolati a mano richiederebbero all’uomo tempi impensabili.
Com'è noto, il computer è una macchina abbastanza semplice: è costituito di un'unità di calcolo (o
processore) che esegue le operazioni, da una memoria che contiene le istruzioni necessarie a svolgere
l’attività di quel momento, da una memoria temporanea da cui vengono letti i dati del momento e
depositati i risultati dei calcoli e da una memoria permanente in cui i dati significativi rimangono
registrati per un tempo indeterminato. Esso ha un funzionamento modulare, nel senso che al suo
interno vi possono essere diversi programmi che svolgono ciascuno specifiche operazioni e i risultati
dell’elaborazione di un programma vengono utilizzati come dati d'ingresso da alti programmi e così
via. Per la sua semplicità non stupisce quindi che il computer, fin dai suoi esordi agli inizi del ‘900 ad
opera di Von Neumann, sia stato la metafora prediletta dagli studiosi della mente.
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A partire dagli anni '90, il successo dei programmi d'intelligenza artificiale portò alla creazione di
una branca di ricerca interdisciplinare che coinvolge ancora al giorno d'oggi la psicologia, la filosofia,
l'ingegneria elettronica ed altre discipline, appellata nel suo insieme come scienza cognitiva.
Le neuroscienze e la metafora mente-cervello
Una forte spinta a superare la visione dualistica della psicologia e della filosofia venne dai
progressi delle scienze biologiche. Già secoli prima gli ideologi francesi avevano proposto una
soluzione al dualismo cartesiano. Essi concepivano il corpo come organismo animale e non più come
macchina idraulica. Gli esseri umani venivano così reinseriti nel mondo animale e ne rappresentavano
il vertice. Cambiava anche il concetto di mente in quanto proprietà del corpo. Si affermava
chiaramente l’idea che il cervello fosse la sede del pensiero. Così scriveva La Mettrie: “Il cervello ha
i suoi muscoli per pensare, come le gambe hanno i loro per camminare”.
Verso la fine dell'ottocento e per tutto il ventesimo secolo, le neuroscienze e altri settori della
biologia come la biologia evoluzionistica e la biologia dello sviluppo, si avvicinarono sempre di più a
dare loro stesse una spiegazione dei fenomeni della mente. Numerosi ricercatori concordarono che:
“La biologia della mente è la grande frontiera delle scienze del XXI secolo” (Kandel, Schwartz,
Jessel, 2003). I progressi delle neuroscienze favorirono un ritorno ad una concezione dell’essere
umano come «io unitario» per certi versi affine a quella della Grecia antica. Prima del quinto secolo
a.C., infatti, l’uomo era concepito come entità sensibile ed unitaria destinata a scomparire con la
morte. L'unica distinzione tra psyche e soma riguardava esclusivamente il post mortem. Nei poemi
omerici si trovano quasi esclusivamente termini al plurale per indicare il corpo, come melea o gyia
(membra), e la parola soma indica non l’organismo vivente, ma quello morto, il cadavere.
Analogamente, psyche indica l’anima del defunto, il “fantasma del Morto”, l’esser stato uomo (Reale,
1999).
La funzione mentale non poteva più essere indipendente dalla struttura, e, a dimostrazione di ciò,
intervenne nell’indagine scientifica lo studio dell’anomalia, della malattia, del caso clinico. Come
spiegare il trauma in un’ottica dualista, quando lesioni fisiche cerebrali causano perdita dell’uso del
linguaggio, del ragionamento, delle emozioni? O quando causano sorprendenti mutamenti di
personalità? Che dire delle persone autistiche o della demenza d'Alzheimer? È possibile agire a livello
farmacologico o chirurgico sull’immateriale?
Tuttavia da più parti cominciarono a sollevarsi dei dubbi sulla reale possibilità che le scienze
biologiche disponessero di tutti gli strumenti necessari per studiare la mente. Una prima ragione era di
tipo metodologico e aveva a che fare con la distinzione tra sistemi semplici e sistemi complessi. Una
seconda ragione stava nel fatto che nello studio della mente non si poteva prescindere dal fatto che
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essa fosse incarnata in un corpo che si relazionava con l’ambiente esterno e in particolare, per quanto
riguarda il genere umano, con altre menti che costruiscono la mente stessa attraverso l’instaurarsi di
reciproche relazioni. Una terza ragione era d'ordine formale. Nello studio d'ogni realtà complessa, la
mente umana, in quanto limitata, ha bisogno di formulare modelli interpretativi, vale a dire
rappresentazioni semplificate della realtà utili a comprenderne il funzionamento. Una delle critiche
più feroci al riduzionismo neuroscientifico fu che, se il punto di partenza dello studio della mente era
fornito dalle caratteristiche fisiche del cervello, non si riusciva a cavare un ragno dal buco quando si
prendevano in analisi i processi mentali più complessi. Le neuroscienze che studiano il cervello con i
metodi classici di registrazione dell'attività neurale avrebbero dovuto creare modelli di funzionamento
del cervello che avessero una portata più ampia rispetto a quei micro-modelli fino ad allora progettati.
Non bastava registrare la singola attività di un neurone o di più neuroni per capire come funzionasse il
cervello, e le neuroscienze erano ancora povere di modelli globali. Si venne a creare paradossalmente
quella che Damasio chiama la metafora mente/cervello; in sostanza il cervello aveva sostituito il
computer nella metafora mente-computer della filosofia e della psicologia Damasio definisce “mitica”
la separazione tra mente e cervello, e altrettanto sostiene riguardo alla distinzione tra mente e corpo:
«la mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello» (Damasio,
1998).
Il connessionismo e la metafora di Cervellopoli
Come accennato nel paragrafo precedente, il modello più utilizzato per spiegare la mente fu quello
che utilizzava l’architettura e i principi di funzionamento del computer seriale oppure del cervello
come metafora. Emerse quindi la necessità di un nuovo paradigma interpretativo del funzionamento
cerebrale che prese corpo negli anni '90 del secolo XX: il connessionismo.
Parliamo ora al presente, perché le ricerche sono attuali. Fino ad oggi le scienze biologiche hanno
interpretato la realtà come costituita essenzialmente da sistemi semplici. Con sistema s'intende un
insieme composto da più elementi che funziona come un’entità singola. I sistemi possono essere
semplici o complessi. Un sistema semplice è un sistema formato da pochi elementi che instaurano tra
loro poche relazioni per lo più lineari, e in cui è possibile: isolare il sistema dal contesto; individuare
una serie di relazioni causa-effetto al suo interno, prevedere con precisione gli effetti in relazione alle
cause rilevate.
Il metodo sperimentale è quello più appropriato per studiare i sistemi semplici poiché in
laboratorio lo sperimentatore isola il fenomeno dal contesto, elimina tutte le possibili interferenze
esterne, e manipola una singola variabile per determinare se è veramente la causa responsabile del
fenomeno studiato.
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Oggi la ricerca sta scoprendo che la realtà è fatta in buona parte non da sistemi semplici ma da
sistemi complessi, che hanno proprietà opposte a quelle dei sistemi semplici.
I sistemi complessi sono formati da un grandissimo numero d'elementi. Tali elementi interagiscono
tra loro localmente, il che vuol dire che ogni elemento interagisce solo con un numero limitato d'altri
elementi con cui è collegato. Le numerose interazioni locali determinano le proprietà globali del
sistema che non sono prevedibili o deducibili anche conoscendo alla perfezione gli elementi e il modo
in cui interagiscono tra loro (Capra, 1996). Ciò significa che, a differenza dei sistemi semplici, i
sistemi complessi sono composti da numerosi costituenti che interagiscono in modo non lineare. Per
questa ragione non è possibile prevedere un comportamento globale del sistema a partire dal
contributo dei singoli elementi e delle loro interazioni locali. Ciò vuol dire anche che la metafora
mente-cervello proposta dalle neuroscienze è inadeguata a descrivere i processi cerebrali, poiché
assume che l’output è prodotto in maniera causale e diretta a partire dall’input. In questo senso, il
rapporto tra input e output risulta una relazione lineare che permette la previsione analitica
dell’output. Il modo in cui funziona il cervello, invece, produce output che non sono prevedibili a
partire dall’input. Il pattern d'attivazione del cervello si colloca e si costituisce su un piano differente
rispetto a quello degli input che esso riceve. In questo caso il rapporto tra input ed output cerebrali è
una relazione non lineare, causalmente indiretta, che non permette previsioni analitiche. In altre
parole, l’emergenza di un certo pattern mentale a partire dall’attivazione cerebrale è una funzione
non-lineare degli input elaborati dal cervello (Castelfranchi, 2000).
Se il sistema non è lineare si sviluppa in modo discontinuo e non costante, ma può raggiungere
una stabilità che va intesa come una sorta di soluzione preferita. Le soluzioni preferite sono i punti
d'equilibrio. Questi punti d'equilibrio possono essere punti fissi o nodi, che una volta raggiunti portano
alla stabilità del sistema, possono essere cicli limite, in altre parole soluzioni periodiche cui un
insieme di condizioni iniziali tende, oppure possono essere attrattori caotici, quindi il sistema non
ritorna più allo stato precedente (Luccio, 2002).
Un sistema complesso, dunque, può essere vicino o lontano dall’equilibrio. Ad esempio, se mettiamo
un cucchiaino di zucchero nell’acqua dopo un po’ di tempo, si scioglie; il sistema resta stabile se non
inseriamo nuovi elementi. Questo è un esempio di sistema chiuso, che ha raggiunto l’equilibrio
termodinamico. L’equilibrio termodinamico si ha quando l’energia è distribuita in modo uniforme tra
gli elementi del sistema e non ci sono più flussi d'energia che vanno da una parte all’altra. La tendenza
naturale dei sistemi è di raggiungere l’equilibrio. Esistono, però, anche sistemi aperti, lontani
dall’equilibrio termodinamico. Questa condizione può essere mantenuta stabilmente perché il flusso
d'energia e materia tra le varie parti del sistema e tra sistemi diversi non si arresta mai.
1
I sistemi biologici sono esempi di sistemi complessi, dinamici ed aperti. Sono sistemi
complessi in quanto sono dati da elementi molteplici ed eterogenei e dalle loro reciproche interazioni.
Sono anche sistemi dinamici e aperti perché cambiano nel tempo e perché intrattengono scambi
d'energia con gli altri sistemi. Consideriamo per esempio l’interazione che stabiliamo con l’ambiente:
essa dura nel tempo ma si modifica continuamente. Dall’ambiente siamo influenzati e traiamo energia
vitale; a nostra volta influiamo sull’ambiente modificandone la struttura. Nel tempo la complessità e
l’ordine dei sistemi aperti aumentano senza che si raggiunga un punto d'arresto. Basta pensare allo
sviluppo mentale: la complessità del sistema aumenta grazie all’influenza dei fattori genetici e alle
interazioni complesse con l’ambiente fisico e sociale.
Lo studio dei sistemi dinamici complessi è cruciale per comprendere che dall’interazione tra elementi
semplici possano emergere proprietà complesse che non sono riducibili alla somma dei singoli effetti.
Si parla, infatti, d'emergentismo quando in un sistema il grado di complessità supera una certa soglia
e si ha la comparsa di una serie di proprietà di tipo globale e collettivo che non sono riducibili a quelle
dei singoli elementi da cui emergono. In questo senso la mente può essere concepita come un sistema
emergente in quanto emerge da una lunga storia d'interazioni tra organismo e ambiente. Inoltre, le
proprietà mentali emergono a partire da reti neurali composte di neuroni e sinapsi che non sono dotate
di proprietà cognitive, ma il cui comportamento globale è interpretabile come cognitivo.
Il sistema nervoso è un tipico esempio di sistema complesso, essendo formato da un
grandissimo numero di neuroni che interagiscono tra loro localmente attraverso le sinapsi che
collegano tra loro ogni neurone con un ristretto (seppure elevatissimo) numero d'altri neuroni. In
questa visione, quindi, quello che chiamiamo “mente” non è altro che l’insieme delle proprietà globali
di tale sistema complesso. Secondo Searle: "Tutti i nostri stati coscienti sono caratteristiche superiori
o sistemiche del cervello, essendo causati, nello stesso tempo, da micro-processi inferiori che si
producono nel cervello. Al livello del sistema abbiamo la coscienza, l'intenzionalità, le decisioni e le
intenzioni. Al micro-livello abbiamo i neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. Il comportamento dei
microelementi, che compongono il sistema determina le caratteristiche del sistema» (Searle, 2005).
Una rete neurale è un insieme di neuroni biologici tra loro interconnessi. In quasi tutti gli
organismi viventi sono presenti complesse organizzazioni di cellule nervose, con compiti di
riconoscimento delle configurazioni assunte dall'ambiente esterno, memorizzazione e reazione agli
stimoli provenienti dallo stesso. Tra queste organizzazioni complesse il cervello umano rappresenta
probabilmente il più notevole esempio. Al fine di compiere tali operazioni, le reti biologiche si
servono di un numero imponente di semplici elementi computazionali (neuroni), ciascuno in grado di
compiere operazioni elementari d'integrazione. I neuroni sono fortemente interconnessi tra loro e, nel
loro complesso, dotati delle proprietà di variare la configurazione collettiva delle interconnessioni
1
come risposta agli stimoli esterni, di mantenere traccia di queste variazioni e di rispondere
successivamente a nuovi stimoli sulla base di queste stesse variazioni (concetto di sinapsi).
Nell'uso moderno s'intende però di solito con rete neurale una rete di neuroni artificiali, cioè un
modello che cerca di simulare il funzionamento di una rete neurale biologica ricostruendolo per lo più
attraverso programmi all’interno di un sistema informatico. Una rete neurale è perciò un modello
semplificato del sistema nervoso che controlla il comportamento degli organismi. E’ un modello
simulativo, nel senso che un modello espresso come programma di computer e che consente di fare
simulazioni. Il programma gira nel computer e la rete neurale si comporta nel computer come se fosse
il sistema nervoso che controlla il comportamento di un organismo in un ambiente fisico - tutto
simulato.
Una rete neurale artificiale è composta da unità simili ai neuroni (le cellule nervose) collegate tra loro
da connessioni unidirezionali simili alle sinapsi tra neuroni. La rete è formata fondamentalmente da
unità d'input, unità interne e unità d'output. Le unità d'input sono collegate con le unità interne e le
unità interne sono collegate con le unità d'output. In ogni dato momento ciascun'unità ha un suo
livello d'attivazione che simula il firing rate di un neurone, cioè la velocità con cui il neurone produce
impulsi nervosi che vanno ad influenzare altri neuroni. Il livello d'attivazione dell’unità è determinato
dalle eccitazioni e inibizioni che giungono all’unità dalle altre unità con cui è collegata. Le
connessioni tra unità possono essere eccitatorie o inibitorie, quelle eccitatorie aumentano il livello
d'attivazione dell’unità d'arrivo mentre quelle inibitorie tendono a ridurlo e possono avere diverso
“peso”, un valore quantitativo che simula il numero e l’efficacia dei contatti sinaptici tra due neuroni.
Quanta eccitazione o inibizione arriva ad un'unità da un’altra unità collegata e dipende dalla natura
eccitatoria o inibitoria della connessione e dal “peso” della connessione. L’unità integra tutte le
eccitazioni e inibizioni in arrivo e il risultato di quest'integrazione determina il livello d'attivazione
dell’unità. L’attivazione si propaga dalle unità d'input alle unità interne e da queste alle unità d'output.
L’insieme dei livelli d'attivazione delle unità d'output (pattern d'output) rappresenta la risposta della
rete all’input.
Il modo in cui la rete risponde all’input dipende dai pesi delle connessioni, oltre che
dall’architettura generale d'interconnessione della rete che, almeno nelle sue linee generali, è uguale in
tutti gli individui ed è codificata nel corredo genetico. Invece i pesi possono variare parecchio da
individuo ad individuo e soprattutto possono modificarsi nel corso della vita dell’individuo. Dati certi
pesi, una rete risponde in un certo modo all’input, cioè genera un certo output, ma se i pesi cambiano,
il comportamento della rete cambia. Dato uno stesso input, la rete risponde con un output diverso da
quello con cui rispondeva in passato. Se il cambiamento è vantaggioso per l’individuo, esso si chiama
apprendimento.
1
Che cos'è che determina l’attivazione delle unità d'input di una rete neurale? Per rispondere a
questa domanda bisogna tener presente che una rete neurale, cioè il sistema nervoso di un organismo,
sta dentro al corpo dell’organismo e che a sua volta il corpo dell’organismo sta dentro ad un ambiente
fisico. Quello che determina l’attivazione delle unità d'input della rete neurale può essere una causa
situata fuori del corpo dell’organismo, nell’ambiente esterno, oppure una causa situata dentro al corpo
dell’organismo, in altri organi e sistemi che esistono all’interno del corpo. Nel primo caso si tratta di
recettori esterni che registrano energie luminose, sonore, meccaniche, termiche (producendo stimoli
visivi, acustici, tattili, di caldo o freddo) oppure la presenza di molecole chimiche emesse da sostanze
esterne (stimoli olfattivi e del gusto). Nel secondo caso si tratta di recettori interni che registrano
contrazioni di muscoli (stimoli propriocettivi) o l’azione di molecole chimiche prodotte in varie parti
del corpo.
Anche la risposta della rete neurale all’input ha questo carattere duplice. In certi casi l’attivazione
delle unità d'output ha come effetto la contrazione di muscoli (movimenti di parti del corpo come le
mani, la testa, gli occhi, le gambe, movimenti dell’apparato fono-articolatorio che produce suoni) ed è
rivolta verso l’ambiente esterno, in altri casi è rivolta verso l’interno del corpo e ha come effetto una
modificazione dello stato interno del corpo (contrazione di muscoli dello stomaco, modificazione del
battito cardiaco, emissione di molecole che vanno ad influenzare varie parti del corpo).
Da un punto di vista metodologico la ricerca ha evidenziato che per i sistemi complessi sono più
appropriate le simulazioni al computer e non gli esperimenti di laboratorio. In una simulazione è
possibile fare interagire moltissimi elementi tra loro e osservare le proprietà globali del sistema che
emergono dalle loro interazioni, manipolando condizioni e parametri della simulazione come in un
laboratorio sperimentale virtuale.
Dal ragionamento fatto si comprende che per cercare di "capire" la mente è necessario avvalersi di
concetti e metodi di ricerca che siano applicabili ai sistemi complessi. La mente umana è innanzi tutto
una mente che si deve relazionare con l'ambiente esterno (Varela, Thompson & Rosch, 1991). Per il
genere umano, in particolare, non si tratta semplicemente del fatto che un individuo assorbe le
caratteristiche dell’ambiente esterno attraverso l’apprendimento, come avviene in quasi tutti gli
animali. Nel caso degli esseri umani l’ambiente esterno è un ambiente spesso creato “collettivamente”
dagli stessi esseri umani: il comportamento e la vita psichica degli uomini hanno un'origine sociale e
culturale nel senso che sono quasi interamente appresi dagli altri e gli effetti del comportamento di un
individuo sono condizionati dai comportamenti degli altri individui.
È difficile pensare perciò che si possa capire a fondo la mente umana restando solamente dentro al
corpo o peggio ancora dentro al solo sistema nervoso. Le scienze biologiche sono attrezzate per
1
studiare quello che succede dentro al corpo ma non per studiare l’ambiente esterno e i processi di
trasmissione ed evoluzione culturale che creano tale ambiente esterno.
Accanto al modello cognitivistico però si è sviluppato con alterne vicende un altro modello
interpretativo secondo cui il sistema nervoso umano non elabora alcuna informazione (nel senso di
elementi distinti che esistono preconfezionati nel mondo esterno, pronti per essere raccolti dal sistema
cognitivo), ma interagisce con l’ambiente modificando di continuo la propria struttura. Alla metafora
del cervello come un computer o della mente come computer, se ne sostituiscono altre, forse più
complesse ma più efficaci a stilizzare un quanto più reale funzionamento cerebrale. Particolarmente
efficace è la metafora di Cervellopoli proposta da Dario Floreano in “Manuale sulle reti neurali”:
“Il sistema nervoso può essere paragonato ad un'immensa società – Cervellopoli – che possiede un numero
d'individui venti volte più grande del numero di esseri umani che vivono sulla terra. ciascuno degli abitanti di
Cervellopoli conosce quasi tutti gli abitanti del proprio paese o quartiere e passa il proprio tempo a parlare con
tutti loro. Alcuni di questi abitanti possiedono anche delle relazioni con individui che vivono in zone più distanti e
mantengono così la propria comunità continuamente aggiornata su quello che succede. Come accade nella nostra
società, la comunicazione è spesso caratterizzata da ripetizioni, rumore e interruzioni; inoltre gli abitanti di
Cervellopoli nascono, muoiono e spesso allacciano nuove amicizie rafforzano e indeboliscono vecchie relazioni.
[…] Compito delle neuroscienze e della psicologia consiste nel comprendere com’è organizzata questa società,
qual è il compito svolto da ciascun abitante, che tipo di linguaggio viene utilizzato e che cosa gli abitanti dicono
tra di loro” (Floreano, 1996).
L’evoluzione di questo nuovo modello interpretativo raggiunge la sua strutturazione formale nel
connessionismo ossia in quel movimento all'interno delle “scienze cognitive” che s'ispira alla
struttura del cervello in quanto costituito da reti di neuroni e, per spiegare il funzionamento della
mente, cerca di simularne il funzionamento utilizzando modelli matematici conosciuti con il nome di
“reti neurali”. Il connessionismo, a differenza del cognitivismo, rifiuta l’analogia mente-computer e
interpreta il comportamento e le abilità cognitive utilizzando modelli teorici che sono direttamente
ispirati alla struttura fisica e al modo di funzionare del sistema nervoso. Il connessionismo afferma
perciò una nuova concezione del computer non più utilizzato quale “modello” per la scienza della
mente, ma efficace mezzo di simulazione.
Breve storia dell'evoluzione delle reti neurali
Da un punto di vista storico, un passo importante nella storia delle reti neurali avviene nel 1958
quando lo psicologo Rosenblatt costruisce il Perceptrone, una rete neurale in grado di apprendere dai
propri errori sulla base di un apprendimento supervisionato. L’apprendimento supervisionato
comporta che un insegnante esterno alla rete fornisca ad essa il pattern di output corretto (o
“desiderato”) che la rete dovrebbe emettere in corrispondenza di ogni particolare pattern di input. La
rete, sulla base delle differenze tra l’output desiderato e l’output che essa ha emesso (queste differenze
1
si chiamano errori), cambia i propri pesi sulla base di una regola chiamata Regola Delta, in modo da
diminuire queste differenze stesse. Il perceptrone consente di modellare processi cognitivi di
classificazione, riconoscimento, comportamenti senso-motori, processi d'associazione e di
memorizzazione. Nonostante molti altri importanti lavori, il boom dell’interesse per le reti neurali si
ha comunque con la pubblicazione di due volumi da parte di un gruppo di ricercatori statunitensi
chiamato Parallel Distributed Processing group, o PDP group (Rumelhart, McClelland and the PDP
Research Group, 1986; McClelland, Rumelhart and the PDP Research Group, 1986), che presentano
un'ampia gamma di ricerche atte mostrare le proprietà generali delle reti neurali, alcuni algoritmi
specifici di apprendimento, e una serie di modelli dei processi psicologici. Uno degli algoritmi
proposti, l’algoritmo di apprendimento Error-Back Propagation, costituisce l’algoritmo più potente
ed usato nelle applicazioni che utilizzano le reti neurali.
La mente “disegnata” dal connessionismo non è un elaboratore di simboli, che cataloga e
distingue - ma una cosa più vicina a quello che sembra essere il reale funzionamento del cervello: un
sistema dinamico, costituito di unità completamente e continuamente in relazione tra loro, e capace di
modificarsi strutturalmente in funzione dei suoi rapporti con l’ambiente.
La mente è quindi il risultato globale di moltissime interazioni che avvengono nella rete di neuroni
che formano il sistema nervoso e consiste esclusivamente in processi quantitativi in cui cause fisico-
chimiche producono effetti fisico-chimici.
Mentre il cognitivismo è fortemente modularista (per cui, semplificando, la mente sarebbe formata
da moduli distinti che sono specializzati a elaborare tipi di informazioni diverse) al contrario il
connessionismo tende a essere anti-modularista. Nelle reti neurali, infatti, l’informazione è
rappresentata da pattern di attivazione distribuiti in grandi gruppi di neuroni e il modo di funzionare
delle reti neurali consiste nella trasformazione di pattern di attivazioni in altri pattern di attivazione, e
si realizza lungo le connessioni che collegano i diversi neuroni artificiali.
La mente, dunque, dipende dall’esistenza di reti nervose che si auto-organizzano, in quanto ogni
unità della rete (i neuroni) è caratterizzata da un livello numerico d'attività che cambia nel tempo in
funzione dell’attività cui è connessa e della “forza” (o “peso”) delle sue connessioni (o sinapsi). Da
questi cambiamenti della rete neurale deriva l’apprendimento di una risposta selettiva da parte della
rete stessa. Ne deriva che il reale grado di connettività della rete (ossia la mappatura dei pesi delle
connessioni tra i suoi neuroni) può cambiare in seguito all’esperienza.
Quelle che abbiamo descritto sono reti neurali d'organismi semplici, in cui la propagazione
dell’attivazione segue fondamentalmente la via in avanti che va dall’input all’output. In organismi più
complessi come gli esseri umani la rete neurale è dotata di una ricca architettura di connessioni
ricorrenti, cioè di connessioni che vanno all’indietro collegando strati di unità vicine all’output a strati
1
di unità vicine all’input. Queste connessioni ricorrenti permettono alla rete di generare internamente il
suo stesso input. La rete non risponde più soltanto ad input provenienti dall’esterno della rete, sia esso
l’ambiente esterno o l’interno del corpo, ma risponde ad input che essa stessa ha generato. E quando si
tratta di rispondere all’input, la rete non risponde soltanto con output che hanno gli effetti che
abbiamo visto fuori della rete, movimenti di muscoli o modifiche dello stato interno del corpo, ma
può rispondere anche con output che hanno effetti all’interno della stessa rete, cioè autogenerano degli
input per la rete stessa. E’ questa capacità del sistema nervoso di produrre input autogenerati e di
rispondere a input autogenerati che in buona misura costituisce la vita psichica interna degli organismi
che ce l’hanno, come gli esseri umani: immagini, ricordi, pensieri, ragionamenti, e così via.
La mente inserita nel mondo dell'esperienza: la Vita Artificiale
La ricerca che utilizza le reti neurali si è concentrata fino ad oggi sulle reti neurali prese
isolatamente, cioè ignorando il corpo dell’organismo in cui la rete neurale (il sistema nervoso) è
inclusa come una sua parte fisica e ignorando anche l’ambiente fisico in cui l’organismo vive e con
cui interagisce. Questo ha consentito di riprodurre nelle simulazioni e di capire meglio in termini
matematici una serie di capacità di base del sistema nervoso, capacità d'analisi percettiva degli
stimoli, di memoria a breve e a lungo termine, di categorizzazione delle esperienze, e soprattutto
capacità di apprendimento sulla base dell’esperienza.
Più recentemente tuttavia una parte della ricerca sulle reti neurali ha allargato il suo raggio di
azione ed è diventata un capitolo della Vita Artificiale, un'impresa più ambiziosa che mira a capire
ogni tipo di fenomeno biologico attraverso la sua riproduzione in un computer. Nella Vita Artificiale
le reti neurali non sono più viste come astratti sistemi di elaborazione dell’informazione che
trasformano input in output ma come modelli del qualcosa di fisico come è il sistema nervoso. Inoltre
le simulazioni non si limitano più a simulare il sistema nervoso isolandolo da tutto il resto, ma
simulano anche il corpo dell’organismo (con le sue dimensioni, la sua forma, possibilmente con altri
organi e sistemi interni oltre al sistema nervoso), l’ambiente in cui l’organismo vive (un ambiente che
può contenere oggetti inanimati, altri membri della stessa specie, altri animali e, nel caso degli esseri
umani, anche artefatti tecnologici), e il materiale genetico che l’individuo eredita dai suoi genitori
(che influenza tutto lo sviluppo e il funzionamento dell’individuo è a sua volta il risultato di una lunga
storia evolutiva della popolazione di cui l’individuo è membro). Queste simulazioni più complesse
hanno permesso di affrontare tutta una serie di altri fenomeni che sono cruciali per capire la natura
della mente in generale e quelli umana in particolare.
Vedere le reti neurali non come astratti sistemi di elaborazione dell’informazione ma come
modelli di un sistema fisico qual è il sistema nervoso permette di spiegare come sia possibile che
1
cause così diverse come le parole di uno psicoterapeuta e uno psicofarmaco abbiano effetti in qualche
modo simili su una persona che ha dei disturbi psichici. Vi sono due tipi distinti d'azione fisico-
chimiche che possono essere esercitate dall’esterno su una rete neurale vista come un modello di un
sistema fisico, influenzando il comportamento e la vita mentale che sono prodotti dalla rete neurale. Il
primo tipo d'azione è quello che abbiamo già descritto. Cause presenti nell’ambiente esterno o
all’interno del corpo producono determinati pattern di attivazione nelle unità di input della rete
neurale, l’attivazione si propaga nella rete e alla fine produce determinati pattern di attivazione nelle
unità di output. Quest'attività lascia delle tracce più o meno permanenti nella rete in quanto modifica i
pesi sulle connessioni producendo apprendimento e memoria. Gli effetti di questo primo tipo d'azione
corrispondono agli aspetti cognitivi dell’attività che si svolge nel sistema nervoso. Il secondo tipo di
azione è causato da sostanze prodotte spontaneamente dentro al corpo ma talvolta anche a sostanze
ingerite o iniettate dall’esterno. Si tratta di un'azione che causa effetti diffusi su tutta la rete o su sue
porzioni, ad esempio determinando un innalzamento o un abbassamento collettivo delle soglie di
attivazione delle unità o una aumento o diminuzione complessiva dell'eccitazione o inibizione che da
un'unità passa a un’altra. Questo secondo tipo d'azione ha anch’essa effetti sul funzionamento della
rete ma si tratta di effetti diversi da quelli del primo tipo di azione. Non si tratta di effetti di
elaborazione di un certo output in risposta all’input ma di effetti di modulazione del modo in cui la
rete risponde agli input. Gli effetti di questo secondo tipo d'azione che si esercita sulla rete neurale
hanno a che fare con lo stato di vigilanza dell’organismo, con il suo livello di motivazione, con i suoi
stati emotivi, con l’efficienza o inefficienza delle sue attività cognitive.
In sintesi e semplificando molto, una psicoterapia è un'azione del primo tipo su un sistema nervoso
mentre uno psicofarmaco è un'azione del secondo tipo. La psicoterapia consiste nel fatto che le unità
di input della rete neurale del paziente (o cliente) ricevono una serie di pattern di input nel corso della
seduta di psicoterapia, pattern di input causati (a) dalle parole e dal comportamento non verbale dello
psicoterapeuta, (b) dalla situazione fisica e interpersonale di una seduta di psicoterapia (parlare di sé
ad altri o almeno in presenza di altri, sentire di essere presi in cura da altri, lo stesso ritualismo della
seduta psicoterapeutica), e (c) dalla stessa attività interna della rete neurale del paziente che, durante
la seduta psicoterapeutica, continuamente invia input autogenerati a se stessa. Quello che accade è
che questi input producono modificazioni nei pesi delle connessioni della rete neurale del paziente, e
queste modificazioni dei pesi rappresentano gli effetti (possibili e possibilmente benefici) della
psicoterapia.
Nel caso degli psicofarmaci siamo invece in presenza di un'azione del secondo tipo sulla rete neurale
del paziente. Il paziente ingerisce uno psicofarmaco che contiene sostanze chimiche capaci di
modificare nel modo che abbiamo visto il funzionamento della rete neurale. L’azione è diffusa e,
1
invece di essere, come un pattern di input, il punto di partenza di un processo cognitivo
(trasformazione progressiva dei pattern di input nei pattern di output), determina una modulazione del
modo in cui la rete neurale risponde agli input. Questi effetti di modulazione sono gli effetti possibili
e possibilmente benefici dell’azione dello psicofarmaco.
Questa diversa azione che si può esercitare dall’esterno su una rete neurale come sistema fisico spiega
perché gli effetti degli psicofarmaci e quelli di una psicoterapia tendano ad essere diversi. Uno
psicofarmaco tende ad avere effetti aspecifici, rapidi, temporanei, e incapaci di rimuovere le cause di
fondo del disturbo psicologico. Gli effetti di una psicoterapia tendono ad avere le caratteristiche
opposte, cioè ad essere specifici, ottenibili solo dopo molto tempo (le psicoterapie sono tipicamente
lunghe), più a lungo termine, e capaci, se la psicoterapia ha successo, di rimuovere le cause di fondo
del disagio psicologico. Uno psicofarmaco agisce su meccanismi diffusi (ad esempio le soglie
d'attivazione dei neuroni) e in modo relativamente indipendente dal particolare individuo, meccanismi
che vengono direttamente e immediatamente modificati dallo psicofarmaco e che però tendono a
tornare dopo breve tempo allo stato precedente e che comunque non costituiscono la causa profonda
del malessere. Una psicoterapia tende a modificare in modo permanente e specifico i pesi delle
connessioni della rete neurale del paziente, pesi che si sono assestati in base a tutta la vita precedente
del paziente costituendo la causa profonda del disagio psichico. Questa modificazione è più difficile e
lunga da ottenere, poiché si tratta di un vero e proprio ri-apprendimento; ma, una volta ottenuta,
rappresenta un cambiamento più stabile e permanente.
Come sostiene Parisi (2000), nella Vita Artificiale non solo la rete neurale è vista come un
modello di un sistema fisico ma tale sistema fisico è collocato in un ambiente fisico che viene
anch’esso simulato. Studiare un organismo all’interno di un ambiente e non in modo isolato
dall’ambiente permette di scoprire in che modo la rete neurale di un organismo controlla essa stessa
l’input che gli arriva dall’esterno. Nelle reti neurali "classiche" l’ambiente della rete neurale è il
ricercatore, nel senso che è il ricercatore che decide quale input arriva alla rete neurale e decide se
l’output con cui la rete risponde all’input va premiato o punito. Invece nelle reti neurali della Vita
Artificiale viene simulato anche l’ambiente in cui l’organismo vive ed è tale ambiente, a seconda di
come è fatto, che "decide" quali sono di volta in volta gli input che arrivano alla rete neurale. Ma
siccome, in natura, è l’organismo con le sue azioni a modificare la relazione fisica che c’è tra il suo
corpo e l’ambiente esterno, o, addirittura, a modificare lo stesso ambiente esterno, questo significa che
è la rete neurale che in buona parte "decide" quali sono i suoi stessi input.
Questo punto è molto importante perché si può affermare che gli organismi conoscono
l’ambiente in cui vivono scoprendo in che modo l’ambiente reagisce alle loro azioni. Ciò è certamente
vero per gli esseri umani, i quali imparano anche a prevedere come l’ambiente reagirà alle loro azioni,
1
cioè quali saranno le conseguenze per l’ambiente esterno di azioni pianificate ma non ancora
compiute, a valutare queste conseguenze prima che si realizzino, e a decidere se agire o no a seconda
di queste valutazioni.
Esperienze mentali private ed input neurali auto-generati
Altrettanto importante è simulare il sistema nervoso all’interno di un corpo. Simulare una rete
neurale dentro a un corpo e nello stesso tempo simulare il corpo dentro a un ambiente permette di
capire perché gli esseri umani vivono in due mondi distinti, un mondo pubblico e condiviso con gli
altri e un mondo privato a cui ha accesso, almeno accesso diretto, solo il particolare individuo.
Abbiamo già visto che gli input che arrivano dall’esterno alla rete neurale di un organismo possono
avere origine nell’ambiente esterno oppure dentro al corpo stesso dell’organismo. Questo significa
che, nel primo caso, la causa fisica o chimica dell’input (l’oggetto visto, l’odore sentito) è collocata
fisicamente nell’ambiente esterno e questo può far sì che tale causa produca un input analogo anche
nella rete neurale di un altro organismo (situato lì vicino). Invece nel secondo caso la causa dell’input
(ciò che produce la sensazione della fame o le contrazioni dei muscoli che producono stimoli
propriocettivi) è situata dentro al corpo dell’organismo, e questo per ragioni puramente fisiche
impedisce che essa produca un input analogo in un altro organismo (anche se sta lì vicino).
Nel primo caso l’esperienza è pubblica. Se c’è una mela sul tavolo, sia tu sia io vediamo la stessa
mela. Non solo, ma sia tu sia io possiamo agire sulla mela, ad esempio afferrarla con la mano,
provocando in questo modo determinati cambiamenti nell’ambiente esterno che tutti e due possiamo
vedere (vediamo che la mela, afferrata, si sposta nello spazio). O ancora, avendo io pianificato una
certa azione sulla mela, oppure accorgendomi che tu stai pianificando tale azione, posso prevedere
cosa succederà quando l’azione, mia o tua, sarà stata eseguita, e poi controllare se la mia previsione
era corretta. E lo stesso puoi fare tu. Infine, se prevedo che la tua azione porterà a risultati per me
indesiderati (tu prendi la mela), posso fare qualcosa per impedire che questo avvenga. E lo stesso puoi
fare tu. Questo è il mondo pubblico, il mondo delle esperienze pubbliche.
In altri casi le cose non stanno così. Le unità di input della mia rete neurale sono sempre
attivate da cause fisico-chimiche, ma questa volta le cause fisico-chimiche sono dentro al mio corpo
e, per semplici ragioni fisiche, possono produrre una certa attivazione nelle unità di input della mia
rete neurale ma non nelle unità di input della tua rete neurale. Così, se io ho fame, questo dipende dal
fatto che certi stati del mio corpo - poco zucchero nel sangue, certi stati dei muscoli dello stomaco -
producono determinati input per il mio sistema nervoso. Se io sento dove sta in questo momento la
mia mano, anche se non la vedo, questo dipende dal fatto che certi stati di tensione o rilasciamento dei
muscoli che controllano il mio braccio inviano determinati stimoli propriocettivi al mio sistema
1
nervoso. Ma la catena delle cause e degli effetti che alla fine produce l’input per il mio sistema
nervoso è confinata dentro al mio corpo e non può produrre input analoghi per il tuo sistema nervoso.
La controprova è che se riuscissimo a collegare fisicamente nel modo appropriato i nostri due corpi -
ma questa allo stato attuale è fantascienza, o quasi - potremmo sentire fame nello stesso momento o
sapremmo tutti e due dove sta sia la mia sia la tua mano anche quando non le vediamo.
Se gli input che provengono da dentro al corpo danno luogo a esperienze private per le
semplici ragioni fisiche che abbiamo detto, tanto più questo avviene per gli input auto-generati
all’interno della stessa rete neurale. In questo caso la rete neurale non risponde ad input esterni ma
risponde ad input che essa stessa genera al suo interno. Anche in questo caso gli input sono causati da
cause fisico-chimiche (e da cosa potrebbero essere causati?) ma queste cause fisico-chimiche non
stanno né nell’ambiente esterno né dentro al corpo, ma fuori dal sistema nervoso. Stanno dentro al
sistema nervoso, sono ciò che determina la sua attività, il propagarsi dell’attivazione al suo interno.
Tanto più quindi le cause fisico-chimiche che producono gli input auto-generati nelle reti neurali
dotate degli appropriati circuiti ricorrenti sono impossibilitate a produrre input auto-generati nelle reti
neurali di altri individui e quindi di dar luogo a esperienze pubbliche. La vita psichica interna è
necessariamente privata.
Tutti gli animali hanno necessariamente input privati oltre che input pubblici, cioè input che
provengono da dentro al corpo oltre che input che provengono dall’ambiente esterno. Ma non tutti gli
input privati sono vita psichica. Una vita psichica ce l’hanno solo gli animali che hanno un sistema
nervoso abbastanza complesso da includere circuiti che permettono la generazione puramente
interna di input a cui lo stesso sistema nervoso risponde. Anche se forme embrionali di circuiti
ricorrenti di questo tipo ci sono in altre specie animali, in particolari nei primati non umani, sono gli
esseri umani che hanno un sistema nervoso tipicamente capace di auto-generare i propri input e di
rispondere a tali input auto-generati.
In effetti, la vita psichica contiene in sé un elemento di coscienza che sembra dipendere
proprio da questo meccanismo di auto-generazione degli input. Nessuna causa che attivi le unità di
input di una rete neurale, di qualunque animale, produce di per sé coscienza. La coscienza comincia
ad esistere quando tale input attiva a sua volta circuiti ricorrenti che producono input auto-generati e
la rete neurale risponde a questi input auto-generati. Per questo la coscienza ce l’hanno solo gli
animali che hanno circuiti ricorrenti che producono input auto-generati, che sono spesso, ma non
sempre, di natura linguistica.
Questo spiega anche perché, come la filosofia della mente ha da tempo sottolineato, ogni
esperienza, cioè non solo le esperienze provocate da cause interne al corpo ma anche quelle provocate
da cause esistenti nell’ambiente esterno, possiede un elemento di privatezza e di soggettività. Questo
2
può sembrare in contraddizione con quanto abbiamo detto finora, ma in realtà non lo è. Quando tu ed
io vediamo la mela sul tavolo, la nostra esperienza è pubblica perché vediamo tutti e due la stessa
mela, e questo è spiegabile perché la mela, essendo fisicamente collocata nello spazio esterno sia al
mio sia al tuo corpo, invia lo stesso input visivo sia alla mia rete neurale sia alla tua. Ma, come
sostiene la filosofia, la particolare esperienza soggettiva che ho io del colore rosso della mela, o anche
dell’intera mela (ad esempio con quello che essa mi ricorda), è privata perché è diversa da quella che
hai tu. Questo può essere vero, ma è vero solo se l’input visivo proveniente dall’ambiente esterno
attiva circuiti ricorrenti nella mia rete neurale e nella tua rete neurale e questi circuiti ricorrenti
producono input auto-generati diversi, e privati, nel mio caso e nel tuo. Un input proveniente
dall’ambiente esterno dà luogo a un esperienza pubblica ma, se è arricchito da input auto-generati
all’interno della rete neurale del singolo individuo, l’esperienza può diventare privata, dato che gli
input auto-generati sono privati.
Evoluzione, apprendimento, sopravvivenza e riproduzione di una rete neurale
Le simulazioni della Vita Artificiale considerano l'individuo non solo dotato di un corpo e
di un sistema nervoso ma anche di un corredo genetico ereditato dai genitori. Il corredo genetico
influenza tutte le caratteristiche dell’individuo, incluso il suo sistema nervoso e quindi il suo
comportamento. Le simulazioni non simulano un singolo individuo ma un'intera popolazione di
individui, uno diverso dall’altro. Gli individui nascono, si sviluppano, si riproducono e muoiono.
Riprodursi significa generare una o più copie del proprio corredo genetico a partire dalle quali si
sviluppano nuovi individui. La riproduzione è selettiva, nel senso che alcuni individui si riproducono
più di altri e alcuni individui non si riproducono affatto. Oltre a essere selettiva la riproduzione è
accompagnata da aggiunta di nuove varianti al pool genetico della popolazione. I singoli corredi
genetici si riproducono con l’aggiunta di qualche variazione casuale (mutazioni genetiche) e la
riproduzione sessuale fa sì che un figlio costituisca una nuova variante rispetto ai propri genitori in
quanto il suo corredo genetico è una nuova ricombinazione di parti del corredo genetico di un genitore
e di parti del corredo genetico dell’altro genitore. La riproduzione selettiva e l’aggiunta costante di
nuove varianti determinano l’evoluzione, cioè la trasformazione delle caratteristiche del pool genetico
e quindi delle caratteristiche fenotipiche (incluso il sistema nervoso e il comportamento) della
popolazione nel succedersi delle generazioni.
Con le simulazioni della Vita Artificiale si può studiare come l’evoluzione (nella
popolazione) e l’apprendimento (nel singolo individuo) possono cooperare tra loro per assicurare un
miglior livello d'adattamento all'ambiente. Poniamo ad esempio che il genotipo codifichi il pattern
d'interconnessione che collega le diverse unità della rete neurale dell’individuo. A causa della
2
variabilità inter-individuale, ogni individuo sarà in possesso di un pattern d'interconnessione diverso
da quello di ogni altro individuo. Gli individui con un pattern d'interconnessione che favorisce
l’apprendimento durante la vita di capacità critiche per la sopravvivenza, tenderanno a riprodursi di
più e in questo modo i pattern di interconnessione neurale migliori si diffonderanno nella
popolazione. Ad esempio, se un individuo per sopravvivere deve riconoscere percettivamente sia
“dove” stanno gli oggetti (sulla destra o sulla sinistra?) sia di “che” oggetti si tratta (si tratta di una
preda oppure di un predatore?), le simulazioni mostrano che si riprodurranno di più le reti neurali che,
invece di essere internamente tutte omogenee, come i sistemi nervosi reali sono divise in moduli (vie
nervose separate), con un modulo che riconosce dove sta un certo oggetto e un altro modulo, separato
dal primo, che riconosce di che oggetto si tratta, dato che reti modulari di questo tipo apprendono
meglio a riconoscere il “dove” e il “che” degli oggetti.
I modelli che simulano i processi di evoluzione in popolazioni di individui si chiamano
algoritmi genetici. Gli algoritmi genetici possono essere applicati non solo all’evoluzione biologica
ma anche all’evoluzione culturale e tecnologica. In tutti e due i casi si tratta di popolazioni di
varianti che evolvono come conseguenza della riproduzione selettiva delle varianti e dell’aggiunta
costante di nuove varianti. Nel caso dell’evoluzione biologica le varianti sono i corredi genetici e gli
individui che si sviluppano sulla base dei corredi genetici individuali, la riproduzione è la
riproduzione biologica, e le nuove varianti vengono introdotte dalle mutazioni genetiche e dalla
ricombinazione sessuale. Nel caso dell’evoluzione culturale e tecnologica le varianti sono i diversi
comportamenti e i diversi artefatti tecnologici, la riproduzione è l’apprendimento di un
comportamento per trasmissione da altri individui e la produzione di copie di artefatti esistenti, e le
nuove varianti sono dovute a “errori” nella riproduzione e alla creazione di nuovi comportamenti e
artefatti che sono nuove combinazioni di tratti di comportamenti e artefatti esistenti.
Le simulazioni della Vita Artificiale permettono di studiare all’interno di una stessa
simulazione l’evoluzione biologica, il funzionamento del sistema nervoso, il comportamento degli
individui, eventualmente nelle loro interazioni con altri individui e con artefatti presenti
nell’ambiente, e l’evoluzione culturale dei comportamenti e degli artefatti. Tuttavia interpretare le
dinamiche evolutive naturali seguendo una logica ottimizzatrice di tipo artificiale sarebbe un errore:
gli organismi biologici non sono degli ottimizzatori. L’ambiente in cui essi operano cambia e si
evolve continuamente, e quelle che risulterebbero caratteristiche comportamentali ottimali in un
determinato ambiente, potrebbero risultare incompatibili, perché troppo specializzate, nello stesso
contesto leggermente modificato. Nella maggior parte dei casi gli organismi biologici non tendono
all’ottimizzazione, ma conservano margini d'elasticità su vari livelli e riserve che potrebbero rivelarsi
vitali nel caso si verificasse la necessità di un rapido riadattamento ambientale. Occorre pensare ad
2
artefatti e strutture che non risolvano i problemi in modo perfetto, ma che lascino un margine di
riadattamento alle variazioni più o meno significative delle condizioni iniziali. Questo è uno dei
principali punti di forza del connessionismo.
Conclusioni: E' possibile considerare il connessionismo una nuova filosofia della
mente?
In quest'unità didattica si è descritto la mente come sistema complesso, emergente da una
lunga storia evolutiva e da una struttura cerebrale complessa. Per studiare la mente come sistema
complesso è importante mettere insieme competenze diverse. Già il programma della scienza
cognitiva classica era interdisciplinare, ma riproponeva la divisione tra scienze della mente e scienze
della natura (dualismo). Una nuova scienza della mente deve superare questa divisione per trovare un
linguaggio e dei modelli unificati. Oggi, nonostante tanti tentativi e progetti, le scienze della mente
interagiscono ancora troppo poco. Non c’è un linguaggio comune a scienze della mente e scienze
della natura, e ogni singola disciplina studia un aspetto particolare della mente senza confrontarsi con
le altre. Questo ha il vantaggio di consentire una forte specializzazione in un campo di studio, ma non
riesce a cogliere la complessità della mente (Parisi 2000).
Ad esempio chi studia il comportamento sa molto bene come funzionano i processi cognitivi degli
umani occidentali adulti, ma non sa come si sono evoluti nella storia delle specie, come cambiano
nelle diverse fasi della vita e tra le diverse culture, né conosce i meccanismi neurali che ne sono alla
base. In Italia negli ultimi anni l’etichetta "scienza cognitiva" è diventata molto popolare. A differenza
che in altri paesi, però, le collaborazioni tra studiosi di discipline diverse (filosofia, psicologia,
biologia, informatica ecc.) non sono molto frequenti.
E' necessario, invece, cercare metodi unificanti per studiare la mente, come per esempio la
simulazione; nel contempo è importante comprendere che lo studio della mente implica lo studio
dell'interazione corporea con l’ambiente e l’azione. Ancora più essenziale è capire che la mente si è
evoluta nel tempo, e come le menti umane interagiscono e producono culture e norme sociali che si
trasmettono di generazione in generazione. Per studiare la mente occorre superare vari tipi di
separazioni: tra la mente e la storia, tra la mente e il cervello, tra la mente e il corpo, tra la mente e
l’ambiente, tra la mente e la cultura (Moravia, 1986).
Lo studio della mente che voglia integrarsi concettualmente con il resto della ricerca
scientifica, seguirà da una parte le scienze della natura nello spiegare i fenomeni mentali, quali effetti
fisici quantitativi di cause fisiche; ma allargherà la prospettiva delle tradizionali scienze della natura
includendovi il metodo qualitativo tipico di molte scienze umane, prendendo in considerazione la
complessa dinamica culturale e sociale in cui la mente umana è inserita.
2
Come sottolinea Parisi (2000): "Negli ultimi due decenni del secolo scorso si è cominciato a
sospettare che la filosofia e la psicologia, così come si sono sviluppate storicamente, sono state
soltanto una rivoluzione a metà per comprendere la natura del mentale. Tuttavia, negli ultimi decenni
sono apparsi i primi strumenti e le prime ricerche che stanno apportando nuovi cambiamenti ed
interessanti risultati. Una nuova filosofia della mente mira a completare la parziale rivoluzione, cioè
ad unificare la filosofia e la psicologia con le scienze della natura non solo dal punto di vista
metodologico ma anche dal punto di vista concettuale".
Secondo il parere di molti ricercatori, è questa la grande sfida del connessionismo.
PS questa tesi di specializzazione è caratterizzata da una bibliografia piuttosto vecchia che arriva fino
all’anno 2005. Oggi il problema della natura della mente fa riferimento soprattutto all’embodiment.
2
BIBLIOGRAFIA
Aristotele, da "L'anima", II in Logos. Autori e testi della filosofia. Einaudi Scuola (2005) Volume 1, 30-303
Capra F. (1996), La rete della vita, RCS Libri S.p.A., Milano.
Castelfranchi C. (2000), Come studiare la mente (per quello che è) in Sistemi intelligenti, 1, pp. 39–66.
Chomsky, N. (1991), Linguaggio e problemi della conoscenza, Bologna, Il Mulino.
Damasio A., (1998), L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano.
Fodor J. (1983), Modularity of Mind, Cambridge Mass., MIT Press, trad. it. La mente modulare, Bologna, Il Mulino, 1988.
Floreano D. (1996), Manuale sulle reti neurali, Il Mulino, Milano.
Hofstadter, D., Dennett, D. (1985) L’Io della Mente, Adelphi, Milano.
Kandel E.R., Schwartz J.H., Jessell M.J. (2003), Principi di neuroscienze, Terza Edizione, Casa Editrice Ambrosiana,
Milano.
Luccio R. (2002), Psicologia generale. Le frontiere della ricerca. Editori Laterza, Roma, Bari.
McClelland, J.L., D.E. Rumelhart and the PDP Research Group (1986), Parallel Distributed Processing: Explorations in the
Microstructure of Cognition. Volume 2: Psychological and Biological Models, Cambridge, MA: MIT Press.
Moravia, S. (1986), L'enigma della mente, Editori Laterza, Roma, Bari.
Parisi D (1989) Intervista sulle reti neurali. Cervello e macchine intelligenti. Universale Paperbacks, Il Mulino, Bologna.
Parisi D. (1999) Mente. I nuovi modelli della Vita Artificiale, Il Mulino, Milano.
Parisi D. (2000) Nuovi modelli per studiare la mente. In Le nuove frontiere della mente, Calissano, P a cura di, (2000), Il
Melangolo, Genova.
Platone, da "Fedone", in Logos. Autori e testi della filosofia. Einaudi Scuola (2005) Volume 1, 196-198.
Putnam H. (1975) Philosophy and our Mental Life. In Mind, Language and Reality: Philosophical Papers, Vol 2. Cambridge
University Press: London.
Reale, G., (1999) Corpo, anima e salute. Il concetto di uomo da Omero a Platone, Raffaello Cortina Editore, Milano, pp. 15,
35.
Rumelhart, D.E., J.L. McClelland and the PDP Research Group (1986), Parallel Distributed Processing: Explorations in the
Microstructure of Cognition. Volume 1: Foundations, Cambridge, MA: MIT Press
Searle, S. (2005), Libero arbitrio e neurobiologia, in Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il
potere politico, Mondadori, Milano, pp. 3-60.
Turing, A. M. (1950) Computer machinery and intelligence, Mind vol. LIX n.236
Varela F. J.Thompson E., Rosch E. (1991), La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli, Milano
2

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Filosofia della mente

  • 1. Aspetti della ricerca filosofica sulla natura della mente Tesi di Specializzazione SSIS a.a. 2006-2007 specializzanda: Catina Feresin tutor: prof. Fabio Francescato (Liceo Classico Petrarca, Trieste) 1
  • 2. Prefazione Con il presente lavoro desideriamo delineare il dibattito sul problema della natura della mente che è nato dalle riflessioni della filosofia Greca, passando attraverso gli studi di Cartesio e si è sviluppato nel corso del XX secolo fino ai nostri giorni. Il tema risulta essere uno tra i più discussi nel pensiero filosofico contemporaneo poiché ha portato e porta gli scienziati a riflettere sulla relazione fra fenomeni “soggettivi” quali pensieri, immagini, emozioni e sentimenti ed i risultati delle ricerche condotte su tale argomento. Il problema della "natura della mente" è talmente complesso da richiedere un approccio interdisciplinare che tenga conto dei risultati ottenuti da numerose discipline quali la filosofia, la psicologia, le neuroscienze, la matematica e la fisica. Prefazione 1-Introduzione storica: Platone, Aristotele, Cartesio, La Mettrie 2-Filosofia, Psicologia e Neuroscienze s'interrogano sulla natura della mente 3-La Filosofia, la Psicologia e la metafora mente-computer 4-Le neuroscienze e la metafora mente-cervello 5-Il connessionismo e la metafora di “Cervellopoli” 6-Breve storia dell'evoluzione delle reti neurali 7-La mente inserita nel mondo dell'esperienza: la Vita Artificiale 8-Esperienze mentali private ed input neurali auto-generati 9-Evoluzione, apprendimento, sopravvivenza e riproduzione di una rete neurale 10-Conclusioni: è' possibile considerare il connessionismo una nuova filosofia della mente? 2
  • 3. Capitolo I "...Dirksen strinse forte le labbra e alzò il martello per il colpo di grazia. Ma mentre cominciava a calarlo, dall'interno della bestia uscì un suono, un debole gemito lacrimoso che si alzava e si abbassava come il piagnucolio di un bambino. Dirksen lasciò cadere il martello e arretrò, gli occhi fissi sulla pozza rosso sangue di lubrificante che si allargava sul tavolo sotto la creatura. Guardò Hunt con orrore. "E....è.....". "E' solo una macchina" disse Hunt, di nuovo serio. "Come queste, che l'hanno preceduta nella storia evolutiva". Indicò con un gesto la schiera di macchine del laboratorio, osservatori muti e minacciosi. "Ma questa, a differenza delle altre, è in grado di accorgersi del proprio fato e di gridare per chiedere aiuto...". Tratto da "L'anima dell'Animale Modello III" di Terrel Miedaner (Hofstadter & Dennett, 1985). Introduzione storica La mente dell’uomo è stata studiata per millenni dai filosofi attraverso un metodo costituito da analisi concettuali, teorie speculative e discussioni tra esperti. In particolare, il tema della natura della mente ha sempre appassionato l’umanità in tutte le culture e in tutti i tempi per le molteplici implicazioni che tale problematica ha, non ultima quella religiosa e quell'esistenziale (Parisi, 1989; 1999). Varie sono state le teorie che l’uomo ha elaborato nel corso dei secoli, riguardo al problema mente (allora anima), deputando la sede dell’anima in diverse regioni anatomiche. Nella visione platonica anima e corpo costituiscono due componenti non solo distinte ma opposte tra di loro. Platone (428 a. C.) distingue da una parte il corpo, che agisce sotto la spinta dei bisogni e degli impulsi sensibili, sede di passioni e moti irragionevoli; dall'altra l'anima. L'anima è per Platone la parte migliore e più preziosa degli esseri umani; essa si trova chiusa nel carcere corporeo per il tempo della vita terrena, ma, dopo la morte del corpo, continua a vivere, finalmente libera di realizzarsi secondo la sua vera natura che è quella del bene. Secondo Platone non solo l'anima sopravvive, ma anche preesiste al corpo secondo la teoria della metempsicosi, infatti l'anima ricorda, in questa vita, nozioni apprese in una vita precedente (Platone, da "Fedone"). 3
  • 4. Nel 384 a.C., al contrario di ciò che affermava Platone, per Aristotele l'anima non è un qualcosa d'indipendente dal corpo: l'anima è piuttosto il principio organizzativo del corpo. Un corpo senz'anima non è un corpo vivente, ma un cadavere. L'anima, infatti, opera sempre attraverso il corpo e non sussiste separata da esso (Aristotele, da "L'anima"). Nel 129 d. C., Galeno ipotizzò la presenza di tre pneumi: naturale, vitale e animale. Il primo era elaborato nel fegato e veniva distribuito ai tessuti dal sangue attraverso il flusso ed il riflusso nei vasi; il secondo (quello vitale) si formava nel ventricolo sinistro del cuore, mescolando il sangue con l’aria dei polmoni; ed infine quello animale, distillato del sangue che dal cuore saliva ai ventricoli cerebrali (al cervello). Galeno, inoltre, attribuiva particolari funzioni a ciascuno dei tre pneumi: il pneuma naturale era necessario per lo sviluppo dei desideri terreni, sensuali, quello vitale era deputato allo sviluppo delle più elevate qualità umane come il coraggio e la fermezza di carattere, ed infine il pneuma animale era esclusivamente connesso con le attività intellettuali. Nel sedicesimo secolo, Vesalio introdusse concezioni più moderne nel De corporis Humani fabrica. Fermo restando sull’esistenza dei tre pneumi, egli ragionò in termini strettamente fisiologici facendo riferimento alle proprietà specifiche del tessuto nervoso e deputando al sistema nervoso tutti i fenomeni neurologici. Un gran passo in avanti si ebbe con Cartesio (1569-1650), il quale nell'opera Discorso sul metodo fu il primo studioso a suddividere chiaramente la realtà in due entità separate ed opposte tra loro: la res cogitans e la res extensa. La prima venne identificata con la realtà psichica cui Cartesio attribuiva il principio di libertà, in estensione e consapevolezza. Il colore, il sapore, l’odore ed il suono non esistevano nella realtà corporea ed appartenevano alla res cogitans. La seconda rappresentava invece la realtà fisica, estesa, inconsapevole e limitata: la grandezza, la figura, il movimento, la situazione, la durata, il numero erano qualità appartenenti alla res extensa. Cartesio si trovò dinanzi al problema di riunire o spiegare il rapporto scambievole fra questa due res rendendo intelligibile la relazione fra anima e corpo. Egli pensò di risolvere tale problema affermando che l’uomo possedeva un’anima razionale situata nella ghiandola pineale. Tale anima avrebbe posseduto la capacità di pensiero, la sensibilità, la coscienza e l'unificazione delle sensazioni. Spezzando la realtà in maniera duale (dualismo) e creando due zone distinte ed eterogenee: la res cogitans e la res extensa, Cartesio ebbe sicuramente il gran merito di aver iniziato il processo di separazione tra ciò che poteva essere considerato corpo (appartenente quindi alla res extensa) da ciò che non rientrava in tale ambito, come la mente, dominio della res cogitans. Filosofia, Psicologia e Neuroscienze s'interrogano sulla natura della mente 4
  • 5. Verso la fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento, gli studiosi di numerose discipline quali Filosofia, Psicologia, Neuroscienze analizzarono con accuratezza metodologica il problema mente- corpo. La filosofia applicò il metodo della verifica concettuale, mentre le neuroscienze e la psicologia cercarono di estendere allo studio della mente l’approccio quantitativo e sperimentale che altre scienze già applicavano con successo allo studio della natura. In campo psicologico e neuroscientifico, la mente cominciò ad essere studiata facendo esperimenti, vale a dire creando delle condizioni controllate e manipolate intenzionalmente dal ricercatore. La Filosofia, la Psicologia e la metafora mente-computer Recentemente, alcuni studiosi hanno osservato che la psicologia, pur avendo adottato i metodi della scienza, ha continuato la tradizione filosofica cartesiana: la realtà fisica della natura e la realtà "spirituale" della mente. In questo senso il dualismo di Cartesio ha influenzato profondamente la storia della cultura occidentale contemporanea. La suddivisione tra scienze della mente, che si occupano della struttura cerebrale e dei meccanismi fisiologici, e scienze della mente che si occupano dei processi cognitivi, è una logica conseguenza di questo modo di pensare. Il programma di ricerca del cognitivismo psicologico è interamente permeato da questo dualismo. Il cognitivismo è stato profondamente influenzato dal linguaggio e dalle teorie dell’intelligenza artificiale (A.I.). Il modello di riferimento per spiegare i processi cognitivi si basa su una semplice metafora: la mente come programma di un computer, vale a dire la mente come elaboratore delle informazioni provenienti dall’ambiente esterno (Varela et al., 1991). Queste informazioni vengono tradotte in simboli che si organizzano secondo relazioni sintattiche formali. L’uso della metafora mente = software ha alcune conseguenze importanti: -1. L’hardware non conta nulla. Dato che possiamo implementare un programma in qualsiasi tipo di computer, il tipo di hardware è irrilevante per comprendere le caratteristiche funzionali del programma. Analogamente, la conoscenza della struttura del cervello e del corpo (hardware) è irrilevante per comprendere il funzionamento dei processi cognitivi. Secondo i filosofi della mente Fodor e Putnam, il pensiero è una sorta di linguaggio interno, il "Mentalese", composto di simboli arbitrari e formali che si organizzano in proposizioni secondo regole sintattiche (Fodor, 1983). Come scrive Putnam (1975): “Potremmo essere fatti di formaggio svizzero e non cambierebbe nulla”. Queste concezioni di filosofia della mente portarono quindi all’avvento dell’approccio human information processing della psicologia cognitiva, per cui il computer con la sua architettura e funzionamento divenne il modello-metafora di riferimento per lo studio delle funzioni cognitive. Anche se riformulato in termini moderni, ritorna quindi il dualismo cartesiano. 5
  • 6. -2. L’hardware ha una struttura modulare. I computer durante e poco dopo la seconda guerra mondiale erano creati con una struttura modulare per facilitare l’intervento degli operatori in caso d'errori o difetti. I moduli erano strutture distinte dotate di funzioni specifiche: in questo modo il danneggiamento di uno di essi non avrebbe compromesso l’intero sistema. Dall’uso della metafora mente = software deriva che, se il computer è modulare, anche la mente lo sarà. In antitesi con la visione di Cartesio, la mente non è indifferenziata ma viene scissa in un insieme di funzioni altamente specifiche, isolate le une dalle altre. Ad esempio Chomsky (1991) parla di un organo del linguaggio che è innato, universale, specifico della specie umana e che non è il risultato dell’evoluzione. L’unica differenza da Cartesio è che la mente ha una struttura modulare, non è qualcosa d'indivisibile e indifferenziato. Dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, i computer sino diventati sempre più veloci e potenti. Negli anni ’60 si assiste al boom dell’intelligenza artificiale simbolica (A.I.) basata sulla manipolazione di simboli qualitativi con regole della logica. Alan Turing aveva inventato a tal proposito "il gioco dell’imitazione", conosciuto in seguito come Test di Turing (Turing, 1950). Durante il test, un individuo definito da Turing come "interrogante" doveva porre domande a due interlocutori, un uomo ed una donna e, comunicando con loro senza vederli né ascoltarli (magari attraverso una telescrivente), cercare di capire chi dei due fosse il maschio e chi la femmina. Gli interrogati, da parte loro, potevano dare risposte ambigue in modo da tentare di ingannare l’interrogante ed indurlo a sbagliare. Cosa poteva accadere, si domandava Turing, se in questo gioco una macchina avesse occupato il posto di uno dei due interrogati? Sarebbe riuscita ad eludere le domande senza farsi scoprire? O, in altre parole, avrebbe potuto simulare un comportamento umano, simulando quindi di pensare? Sicuramente questo "gioco" stimolò diversi scienziati e filosofi a produrre programmi che, seppur non in grado di ingannare l’interlocutore, simulavano tuttavia un comportamento pensante e intelligente riuscendo a "conversare" per un certo periodo con un essere umano prima di essere scoperti. Successivamente dagli anni '70 agli anni '90 si vide un continuo proliferare di programmi intelligenti in grado di partecipare a giochi da tavolo, di risolvere problemi, di pianificare sequenze d'azioni, di fornire pareri ed indicazioni in campi precisi della conoscenza (sistemi esperti). Il successo di questi programmi creò entusiasmo anche all’interno della psicologia e contribuì a diffonderne l’uso come modelli dei processi cognitivi umani d'alto livello. Si sviluppò pertanto il campo dell’intelligenza artificiale come diretta conseguenza di questa visione e ben presto la letteratura si riempì d'affermazioni esagerate sull'intelligenza dei computer. L’entusiasmo che suscitò il computer come metafora della mente umana aveva un curioso parallelo nell’entusiasmo di Cartesio e dei suoi contemporanei per l’orologio come metafora del corpo, come macchina straordinaria che 6
  • 7. funzionava autonomamente, governandosi da sé una volta caricata. Il modello di mente = computer fu all’inizio un’utile cornice concettuale per una nuova interpretazione scientifica della cognizione, ma a metà degli anni Settanta il modello s'irrigidì sempre più in dogma. In più gli informatici davano un contributo al consolidamento del dogma usando espressioni come “intelligenza”, “memoria” e “linguaggio” per descrivere i computer; il che ha portò molte persone, scienziati compresi, a ritenere che tali termini si riferissero alle corrispondenti caratteristiche dell’uomo. Come già rilevava Dario Floreano verso la fine degli anni '90: "E' ancora molto difficile utilizzare dei sistemi esperti per risolvere alcuni problemi che per gli esseri umani sono tutto sommato banali" (Floreano, 1996). Per esempio localizzare un oggetto su una scena, riconoscere una voce in condizioni reali, coordinare fluidamente e velocemente i movimenti per prendere un piccolo oggetto o per spostarsi da una stanza ad un’altra, valutare un insieme di circostanze per prendere una decisione: sono tutti esempi di possibilità che non richiedono all’uomo alcuno sforzo particolare. Eppure non esiste computer che a tutt’oggi sia in grado di svolgere perfettamente tali attività. Sebbene un computer possa battere il campione del mondo di scacchi, esso non è in grado di competere con un bambino di 3 anni nel costruire con il Lego, nel riconoscere il volto di una persona o nel riconoscere la voce dei genitori. Una delle possibili cause di questo limite consiste nel fatto che il modo in cui i programmi tradizionali elaborano l’informazione è radicalmente diverso dal modo in cui funzionano i sistemi nervosi biologici. Per svolgere una qualsiasi compito i calcolatori tradizionali necessitano di un programma che è costituito da un insieme d'istruzioni organizzate in modo gerarchico e da tabelle di consultazione dove vengono allocate le conoscenze. Il funzionamento del computer consiste nel leggere sequenzialmente i dati e nell’applicare su di essi determinate operazioni in base a regole e conoscenze predefinite. La “forza” del computer sta comunque nel fatto di riuscire a compiere, a differenza dell’uomo, miliardi d'operazioni in un secondo e di eseguire simulazioni d'eventi che, se calcolati a mano richiederebbero all’uomo tempi impensabili. Com'è noto, il computer è una macchina abbastanza semplice: è costituito di un'unità di calcolo (o processore) che esegue le operazioni, da una memoria che contiene le istruzioni necessarie a svolgere l’attività di quel momento, da una memoria temporanea da cui vengono letti i dati del momento e depositati i risultati dei calcoli e da una memoria permanente in cui i dati significativi rimangono registrati per un tempo indeterminato. Esso ha un funzionamento modulare, nel senso che al suo interno vi possono essere diversi programmi che svolgono ciascuno specifiche operazioni e i risultati dell’elaborazione di un programma vengono utilizzati come dati d'ingresso da alti programmi e così via. Per la sua semplicità non stupisce quindi che il computer, fin dai suoi esordi agli inizi del ‘900 ad opera di Von Neumann, sia stato la metafora prediletta dagli studiosi della mente. 7
  • 8. A partire dagli anni '90, il successo dei programmi d'intelligenza artificiale portò alla creazione di una branca di ricerca interdisciplinare che coinvolge ancora al giorno d'oggi la psicologia, la filosofia, l'ingegneria elettronica ed altre discipline, appellata nel suo insieme come scienza cognitiva. Le neuroscienze e la metafora mente-cervello Una forte spinta a superare la visione dualistica della psicologia e della filosofia venne dai progressi delle scienze biologiche. Già secoli prima gli ideologi francesi avevano proposto una soluzione al dualismo cartesiano. Essi concepivano il corpo come organismo animale e non più come macchina idraulica. Gli esseri umani venivano così reinseriti nel mondo animale e ne rappresentavano il vertice. Cambiava anche il concetto di mente in quanto proprietà del corpo. Si affermava chiaramente l’idea che il cervello fosse la sede del pensiero. Così scriveva La Mettrie: “Il cervello ha i suoi muscoli per pensare, come le gambe hanno i loro per camminare”. Verso la fine dell'ottocento e per tutto il ventesimo secolo, le neuroscienze e altri settori della biologia come la biologia evoluzionistica e la biologia dello sviluppo, si avvicinarono sempre di più a dare loro stesse una spiegazione dei fenomeni della mente. Numerosi ricercatori concordarono che: “La biologia della mente è la grande frontiera delle scienze del XXI secolo” (Kandel, Schwartz, Jessel, 2003). I progressi delle neuroscienze favorirono un ritorno ad una concezione dell’essere umano come «io unitario» per certi versi affine a quella della Grecia antica. Prima del quinto secolo a.C., infatti, l’uomo era concepito come entità sensibile ed unitaria destinata a scomparire con la morte. L'unica distinzione tra psyche e soma riguardava esclusivamente il post mortem. Nei poemi omerici si trovano quasi esclusivamente termini al plurale per indicare il corpo, come melea o gyia (membra), e la parola soma indica non l’organismo vivente, ma quello morto, il cadavere. Analogamente, psyche indica l’anima del defunto, il “fantasma del Morto”, l’esser stato uomo (Reale, 1999). La funzione mentale non poteva più essere indipendente dalla struttura, e, a dimostrazione di ciò, intervenne nell’indagine scientifica lo studio dell’anomalia, della malattia, del caso clinico. Come spiegare il trauma in un’ottica dualista, quando lesioni fisiche cerebrali causano perdita dell’uso del linguaggio, del ragionamento, delle emozioni? O quando causano sorprendenti mutamenti di personalità? Che dire delle persone autistiche o della demenza d'Alzheimer? È possibile agire a livello farmacologico o chirurgico sull’immateriale? Tuttavia da più parti cominciarono a sollevarsi dei dubbi sulla reale possibilità che le scienze biologiche disponessero di tutti gli strumenti necessari per studiare la mente. Una prima ragione era di tipo metodologico e aveva a che fare con la distinzione tra sistemi semplici e sistemi complessi. Una seconda ragione stava nel fatto che nello studio della mente non si poteva prescindere dal fatto che 8
  • 9. essa fosse incarnata in un corpo che si relazionava con l’ambiente esterno e in particolare, per quanto riguarda il genere umano, con altre menti che costruiscono la mente stessa attraverso l’instaurarsi di reciproche relazioni. Una terza ragione era d'ordine formale. Nello studio d'ogni realtà complessa, la mente umana, in quanto limitata, ha bisogno di formulare modelli interpretativi, vale a dire rappresentazioni semplificate della realtà utili a comprenderne il funzionamento. Una delle critiche più feroci al riduzionismo neuroscientifico fu che, se il punto di partenza dello studio della mente era fornito dalle caratteristiche fisiche del cervello, non si riusciva a cavare un ragno dal buco quando si prendevano in analisi i processi mentali più complessi. Le neuroscienze che studiano il cervello con i metodi classici di registrazione dell'attività neurale avrebbero dovuto creare modelli di funzionamento del cervello che avessero una portata più ampia rispetto a quei micro-modelli fino ad allora progettati. Non bastava registrare la singola attività di un neurone o di più neuroni per capire come funzionasse il cervello, e le neuroscienze erano ancora povere di modelli globali. Si venne a creare paradossalmente quella che Damasio chiama la metafora mente/cervello; in sostanza il cervello aveva sostituito il computer nella metafora mente-computer della filosofia e della psicologia Damasio definisce “mitica” la separazione tra mente e cervello, e altrettanto sostiene riguardo alla distinzione tra mente e corpo: «la mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello» (Damasio, 1998). Il connessionismo e la metafora di Cervellopoli Come accennato nel paragrafo precedente, il modello più utilizzato per spiegare la mente fu quello che utilizzava l’architettura e i principi di funzionamento del computer seriale oppure del cervello come metafora. Emerse quindi la necessità di un nuovo paradigma interpretativo del funzionamento cerebrale che prese corpo negli anni '90 del secolo XX: il connessionismo. Parliamo ora al presente, perché le ricerche sono attuali. Fino ad oggi le scienze biologiche hanno interpretato la realtà come costituita essenzialmente da sistemi semplici. Con sistema s'intende un insieme composto da più elementi che funziona come un’entità singola. I sistemi possono essere semplici o complessi. Un sistema semplice è un sistema formato da pochi elementi che instaurano tra loro poche relazioni per lo più lineari, e in cui è possibile: isolare il sistema dal contesto; individuare una serie di relazioni causa-effetto al suo interno, prevedere con precisione gli effetti in relazione alle cause rilevate. Il metodo sperimentale è quello più appropriato per studiare i sistemi semplici poiché in laboratorio lo sperimentatore isola il fenomeno dal contesto, elimina tutte le possibili interferenze esterne, e manipola una singola variabile per determinare se è veramente la causa responsabile del fenomeno studiato. 9
  • 10. Oggi la ricerca sta scoprendo che la realtà è fatta in buona parte non da sistemi semplici ma da sistemi complessi, che hanno proprietà opposte a quelle dei sistemi semplici. I sistemi complessi sono formati da un grandissimo numero d'elementi. Tali elementi interagiscono tra loro localmente, il che vuol dire che ogni elemento interagisce solo con un numero limitato d'altri elementi con cui è collegato. Le numerose interazioni locali determinano le proprietà globali del sistema che non sono prevedibili o deducibili anche conoscendo alla perfezione gli elementi e il modo in cui interagiscono tra loro (Capra, 1996). Ciò significa che, a differenza dei sistemi semplici, i sistemi complessi sono composti da numerosi costituenti che interagiscono in modo non lineare. Per questa ragione non è possibile prevedere un comportamento globale del sistema a partire dal contributo dei singoli elementi e delle loro interazioni locali. Ciò vuol dire anche che la metafora mente-cervello proposta dalle neuroscienze è inadeguata a descrivere i processi cerebrali, poiché assume che l’output è prodotto in maniera causale e diretta a partire dall’input. In questo senso, il rapporto tra input e output risulta una relazione lineare che permette la previsione analitica dell’output. Il modo in cui funziona il cervello, invece, produce output che non sono prevedibili a partire dall’input. Il pattern d'attivazione del cervello si colloca e si costituisce su un piano differente rispetto a quello degli input che esso riceve. In questo caso il rapporto tra input ed output cerebrali è una relazione non lineare, causalmente indiretta, che non permette previsioni analitiche. In altre parole, l’emergenza di un certo pattern mentale a partire dall’attivazione cerebrale è una funzione non-lineare degli input elaborati dal cervello (Castelfranchi, 2000). Se il sistema non è lineare si sviluppa in modo discontinuo e non costante, ma può raggiungere una stabilità che va intesa come una sorta di soluzione preferita. Le soluzioni preferite sono i punti d'equilibrio. Questi punti d'equilibrio possono essere punti fissi o nodi, che una volta raggiunti portano alla stabilità del sistema, possono essere cicli limite, in altre parole soluzioni periodiche cui un insieme di condizioni iniziali tende, oppure possono essere attrattori caotici, quindi il sistema non ritorna più allo stato precedente (Luccio, 2002). Un sistema complesso, dunque, può essere vicino o lontano dall’equilibrio. Ad esempio, se mettiamo un cucchiaino di zucchero nell’acqua dopo un po’ di tempo, si scioglie; il sistema resta stabile se non inseriamo nuovi elementi. Questo è un esempio di sistema chiuso, che ha raggiunto l’equilibrio termodinamico. L’equilibrio termodinamico si ha quando l’energia è distribuita in modo uniforme tra gli elementi del sistema e non ci sono più flussi d'energia che vanno da una parte all’altra. La tendenza naturale dei sistemi è di raggiungere l’equilibrio. Esistono, però, anche sistemi aperti, lontani dall’equilibrio termodinamico. Questa condizione può essere mantenuta stabilmente perché il flusso d'energia e materia tra le varie parti del sistema e tra sistemi diversi non si arresta mai. 1
  • 11. I sistemi biologici sono esempi di sistemi complessi, dinamici ed aperti. Sono sistemi complessi in quanto sono dati da elementi molteplici ed eterogenei e dalle loro reciproche interazioni. Sono anche sistemi dinamici e aperti perché cambiano nel tempo e perché intrattengono scambi d'energia con gli altri sistemi. Consideriamo per esempio l’interazione che stabiliamo con l’ambiente: essa dura nel tempo ma si modifica continuamente. Dall’ambiente siamo influenzati e traiamo energia vitale; a nostra volta influiamo sull’ambiente modificandone la struttura. Nel tempo la complessità e l’ordine dei sistemi aperti aumentano senza che si raggiunga un punto d'arresto. Basta pensare allo sviluppo mentale: la complessità del sistema aumenta grazie all’influenza dei fattori genetici e alle interazioni complesse con l’ambiente fisico e sociale. Lo studio dei sistemi dinamici complessi è cruciale per comprendere che dall’interazione tra elementi semplici possano emergere proprietà complesse che non sono riducibili alla somma dei singoli effetti. Si parla, infatti, d'emergentismo quando in un sistema il grado di complessità supera una certa soglia e si ha la comparsa di una serie di proprietà di tipo globale e collettivo che non sono riducibili a quelle dei singoli elementi da cui emergono. In questo senso la mente può essere concepita come un sistema emergente in quanto emerge da una lunga storia d'interazioni tra organismo e ambiente. Inoltre, le proprietà mentali emergono a partire da reti neurali composte di neuroni e sinapsi che non sono dotate di proprietà cognitive, ma il cui comportamento globale è interpretabile come cognitivo. Il sistema nervoso è un tipico esempio di sistema complesso, essendo formato da un grandissimo numero di neuroni che interagiscono tra loro localmente attraverso le sinapsi che collegano tra loro ogni neurone con un ristretto (seppure elevatissimo) numero d'altri neuroni. In questa visione, quindi, quello che chiamiamo “mente” non è altro che l’insieme delle proprietà globali di tale sistema complesso. Secondo Searle: "Tutti i nostri stati coscienti sono caratteristiche superiori o sistemiche del cervello, essendo causati, nello stesso tempo, da micro-processi inferiori che si producono nel cervello. Al livello del sistema abbiamo la coscienza, l'intenzionalità, le decisioni e le intenzioni. Al micro-livello abbiamo i neuroni, le sinapsi e i neurotrasmettitori. Il comportamento dei microelementi, che compongono il sistema determina le caratteristiche del sistema» (Searle, 2005). Una rete neurale è un insieme di neuroni biologici tra loro interconnessi. In quasi tutti gli organismi viventi sono presenti complesse organizzazioni di cellule nervose, con compiti di riconoscimento delle configurazioni assunte dall'ambiente esterno, memorizzazione e reazione agli stimoli provenienti dallo stesso. Tra queste organizzazioni complesse il cervello umano rappresenta probabilmente il più notevole esempio. Al fine di compiere tali operazioni, le reti biologiche si servono di un numero imponente di semplici elementi computazionali (neuroni), ciascuno in grado di compiere operazioni elementari d'integrazione. I neuroni sono fortemente interconnessi tra loro e, nel loro complesso, dotati delle proprietà di variare la configurazione collettiva delle interconnessioni 1
  • 12. come risposta agli stimoli esterni, di mantenere traccia di queste variazioni e di rispondere successivamente a nuovi stimoli sulla base di queste stesse variazioni (concetto di sinapsi). Nell'uso moderno s'intende però di solito con rete neurale una rete di neuroni artificiali, cioè un modello che cerca di simulare il funzionamento di una rete neurale biologica ricostruendolo per lo più attraverso programmi all’interno di un sistema informatico. Una rete neurale è perciò un modello semplificato del sistema nervoso che controlla il comportamento degli organismi. E’ un modello simulativo, nel senso che un modello espresso come programma di computer e che consente di fare simulazioni. Il programma gira nel computer e la rete neurale si comporta nel computer come se fosse il sistema nervoso che controlla il comportamento di un organismo in un ambiente fisico - tutto simulato. Una rete neurale artificiale è composta da unità simili ai neuroni (le cellule nervose) collegate tra loro da connessioni unidirezionali simili alle sinapsi tra neuroni. La rete è formata fondamentalmente da unità d'input, unità interne e unità d'output. Le unità d'input sono collegate con le unità interne e le unità interne sono collegate con le unità d'output. In ogni dato momento ciascun'unità ha un suo livello d'attivazione che simula il firing rate di un neurone, cioè la velocità con cui il neurone produce impulsi nervosi che vanno ad influenzare altri neuroni. Il livello d'attivazione dell’unità è determinato dalle eccitazioni e inibizioni che giungono all’unità dalle altre unità con cui è collegata. Le connessioni tra unità possono essere eccitatorie o inibitorie, quelle eccitatorie aumentano il livello d'attivazione dell’unità d'arrivo mentre quelle inibitorie tendono a ridurlo e possono avere diverso “peso”, un valore quantitativo che simula il numero e l’efficacia dei contatti sinaptici tra due neuroni. Quanta eccitazione o inibizione arriva ad un'unità da un’altra unità collegata e dipende dalla natura eccitatoria o inibitoria della connessione e dal “peso” della connessione. L’unità integra tutte le eccitazioni e inibizioni in arrivo e il risultato di quest'integrazione determina il livello d'attivazione dell’unità. L’attivazione si propaga dalle unità d'input alle unità interne e da queste alle unità d'output. L’insieme dei livelli d'attivazione delle unità d'output (pattern d'output) rappresenta la risposta della rete all’input. Il modo in cui la rete risponde all’input dipende dai pesi delle connessioni, oltre che dall’architettura generale d'interconnessione della rete che, almeno nelle sue linee generali, è uguale in tutti gli individui ed è codificata nel corredo genetico. Invece i pesi possono variare parecchio da individuo ad individuo e soprattutto possono modificarsi nel corso della vita dell’individuo. Dati certi pesi, una rete risponde in un certo modo all’input, cioè genera un certo output, ma se i pesi cambiano, il comportamento della rete cambia. Dato uno stesso input, la rete risponde con un output diverso da quello con cui rispondeva in passato. Se il cambiamento è vantaggioso per l’individuo, esso si chiama apprendimento. 1
  • 13. Che cos'è che determina l’attivazione delle unità d'input di una rete neurale? Per rispondere a questa domanda bisogna tener presente che una rete neurale, cioè il sistema nervoso di un organismo, sta dentro al corpo dell’organismo e che a sua volta il corpo dell’organismo sta dentro ad un ambiente fisico. Quello che determina l’attivazione delle unità d'input della rete neurale può essere una causa situata fuori del corpo dell’organismo, nell’ambiente esterno, oppure una causa situata dentro al corpo dell’organismo, in altri organi e sistemi che esistono all’interno del corpo. Nel primo caso si tratta di recettori esterni che registrano energie luminose, sonore, meccaniche, termiche (producendo stimoli visivi, acustici, tattili, di caldo o freddo) oppure la presenza di molecole chimiche emesse da sostanze esterne (stimoli olfattivi e del gusto). Nel secondo caso si tratta di recettori interni che registrano contrazioni di muscoli (stimoli propriocettivi) o l’azione di molecole chimiche prodotte in varie parti del corpo. Anche la risposta della rete neurale all’input ha questo carattere duplice. In certi casi l’attivazione delle unità d'output ha come effetto la contrazione di muscoli (movimenti di parti del corpo come le mani, la testa, gli occhi, le gambe, movimenti dell’apparato fono-articolatorio che produce suoni) ed è rivolta verso l’ambiente esterno, in altri casi è rivolta verso l’interno del corpo e ha come effetto una modificazione dello stato interno del corpo (contrazione di muscoli dello stomaco, modificazione del battito cardiaco, emissione di molecole che vanno ad influenzare varie parti del corpo). Da un punto di vista metodologico la ricerca ha evidenziato che per i sistemi complessi sono più appropriate le simulazioni al computer e non gli esperimenti di laboratorio. In una simulazione è possibile fare interagire moltissimi elementi tra loro e osservare le proprietà globali del sistema che emergono dalle loro interazioni, manipolando condizioni e parametri della simulazione come in un laboratorio sperimentale virtuale. Dal ragionamento fatto si comprende che per cercare di "capire" la mente è necessario avvalersi di concetti e metodi di ricerca che siano applicabili ai sistemi complessi. La mente umana è innanzi tutto una mente che si deve relazionare con l'ambiente esterno (Varela, Thompson & Rosch, 1991). Per il genere umano, in particolare, non si tratta semplicemente del fatto che un individuo assorbe le caratteristiche dell’ambiente esterno attraverso l’apprendimento, come avviene in quasi tutti gli animali. Nel caso degli esseri umani l’ambiente esterno è un ambiente spesso creato “collettivamente” dagli stessi esseri umani: il comportamento e la vita psichica degli uomini hanno un'origine sociale e culturale nel senso che sono quasi interamente appresi dagli altri e gli effetti del comportamento di un individuo sono condizionati dai comportamenti degli altri individui. È difficile pensare perciò che si possa capire a fondo la mente umana restando solamente dentro al corpo o peggio ancora dentro al solo sistema nervoso. Le scienze biologiche sono attrezzate per 1
  • 14. studiare quello che succede dentro al corpo ma non per studiare l’ambiente esterno e i processi di trasmissione ed evoluzione culturale che creano tale ambiente esterno. Accanto al modello cognitivistico però si è sviluppato con alterne vicende un altro modello interpretativo secondo cui il sistema nervoso umano non elabora alcuna informazione (nel senso di elementi distinti che esistono preconfezionati nel mondo esterno, pronti per essere raccolti dal sistema cognitivo), ma interagisce con l’ambiente modificando di continuo la propria struttura. Alla metafora del cervello come un computer o della mente come computer, se ne sostituiscono altre, forse più complesse ma più efficaci a stilizzare un quanto più reale funzionamento cerebrale. Particolarmente efficace è la metafora di Cervellopoli proposta da Dario Floreano in “Manuale sulle reti neurali”: “Il sistema nervoso può essere paragonato ad un'immensa società – Cervellopoli – che possiede un numero d'individui venti volte più grande del numero di esseri umani che vivono sulla terra. ciascuno degli abitanti di Cervellopoli conosce quasi tutti gli abitanti del proprio paese o quartiere e passa il proprio tempo a parlare con tutti loro. Alcuni di questi abitanti possiedono anche delle relazioni con individui che vivono in zone più distanti e mantengono così la propria comunità continuamente aggiornata su quello che succede. Come accade nella nostra società, la comunicazione è spesso caratterizzata da ripetizioni, rumore e interruzioni; inoltre gli abitanti di Cervellopoli nascono, muoiono e spesso allacciano nuove amicizie rafforzano e indeboliscono vecchie relazioni. […] Compito delle neuroscienze e della psicologia consiste nel comprendere com’è organizzata questa società, qual è il compito svolto da ciascun abitante, che tipo di linguaggio viene utilizzato e che cosa gli abitanti dicono tra di loro” (Floreano, 1996). L’evoluzione di questo nuovo modello interpretativo raggiunge la sua strutturazione formale nel connessionismo ossia in quel movimento all'interno delle “scienze cognitive” che s'ispira alla struttura del cervello in quanto costituito da reti di neuroni e, per spiegare il funzionamento della mente, cerca di simularne il funzionamento utilizzando modelli matematici conosciuti con il nome di “reti neurali”. Il connessionismo, a differenza del cognitivismo, rifiuta l’analogia mente-computer e interpreta il comportamento e le abilità cognitive utilizzando modelli teorici che sono direttamente ispirati alla struttura fisica e al modo di funzionare del sistema nervoso. Il connessionismo afferma perciò una nuova concezione del computer non più utilizzato quale “modello” per la scienza della mente, ma efficace mezzo di simulazione. Breve storia dell'evoluzione delle reti neurali Da un punto di vista storico, un passo importante nella storia delle reti neurali avviene nel 1958 quando lo psicologo Rosenblatt costruisce il Perceptrone, una rete neurale in grado di apprendere dai propri errori sulla base di un apprendimento supervisionato. L’apprendimento supervisionato comporta che un insegnante esterno alla rete fornisca ad essa il pattern di output corretto (o “desiderato”) che la rete dovrebbe emettere in corrispondenza di ogni particolare pattern di input. La rete, sulla base delle differenze tra l’output desiderato e l’output che essa ha emesso (queste differenze 1
  • 15. si chiamano errori), cambia i propri pesi sulla base di una regola chiamata Regola Delta, in modo da diminuire queste differenze stesse. Il perceptrone consente di modellare processi cognitivi di classificazione, riconoscimento, comportamenti senso-motori, processi d'associazione e di memorizzazione. Nonostante molti altri importanti lavori, il boom dell’interesse per le reti neurali si ha comunque con la pubblicazione di due volumi da parte di un gruppo di ricercatori statunitensi chiamato Parallel Distributed Processing group, o PDP group (Rumelhart, McClelland and the PDP Research Group, 1986; McClelland, Rumelhart and the PDP Research Group, 1986), che presentano un'ampia gamma di ricerche atte mostrare le proprietà generali delle reti neurali, alcuni algoritmi specifici di apprendimento, e una serie di modelli dei processi psicologici. Uno degli algoritmi proposti, l’algoritmo di apprendimento Error-Back Propagation, costituisce l’algoritmo più potente ed usato nelle applicazioni che utilizzano le reti neurali. La mente “disegnata” dal connessionismo non è un elaboratore di simboli, che cataloga e distingue - ma una cosa più vicina a quello che sembra essere il reale funzionamento del cervello: un sistema dinamico, costituito di unità completamente e continuamente in relazione tra loro, e capace di modificarsi strutturalmente in funzione dei suoi rapporti con l’ambiente. La mente è quindi il risultato globale di moltissime interazioni che avvengono nella rete di neuroni che formano il sistema nervoso e consiste esclusivamente in processi quantitativi in cui cause fisico- chimiche producono effetti fisico-chimici. Mentre il cognitivismo è fortemente modularista (per cui, semplificando, la mente sarebbe formata da moduli distinti che sono specializzati a elaborare tipi di informazioni diverse) al contrario il connessionismo tende a essere anti-modularista. Nelle reti neurali, infatti, l’informazione è rappresentata da pattern di attivazione distribuiti in grandi gruppi di neuroni e il modo di funzionare delle reti neurali consiste nella trasformazione di pattern di attivazioni in altri pattern di attivazione, e si realizza lungo le connessioni che collegano i diversi neuroni artificiali. La mente, dunque, dipende dall’esistenza di reti nervose che si auto-organizzano, in quanto ogni unità della rete (i neuroni) è caratterizzata da un livello numerico d'attività che cambia nel tempo in funzione dell’attività cui è connessa e della “forza” (o “peso”) delle sue connessioni (o sinapsi). Da questi cambiamenti della rete neurale deriva l’apprendimento di una risposta selettiva da parte della rete stessa. Ne deriva che il reale grado di connettività della rete (ossia la mappatura dei pesi delle connessioni tra i suoi neuroni) può cambiare in seguito all’esperienza. Quelle che abbiamo descritto sono reti neurali d'organismi semplici, in cui la propagazione dell’attivazione segue fondamentalmente la via in avanti che va dall’input all’output. In organismi più complessi come gli esseri umani la rete neurale è dotata di una ricca architettura di connessioni ricorrenti, cioè di connessioni che vanno all’indietro collegando strati di unità vicine all’output a strati 1
  • 16. di unità vicine all’input. Queste connessioni ricorrenti permettono alla rete di generare internamente il suo stesso input. La rete non risponde più soltanto ad input provenienti dall’esterno della rete, sia esso l’ambiente esterno o l’interno del corpo, ma risponde ad input che essa stessa ha generato. E quando si tratta di rispondere all’input, la rete non risponde soltanto con output che hanno gli effetti che abbiamo visto fuori della rete, movimenti di muscoli o modifiche dello stato interno del corpo, ma può rispondere anche con output che hanno effetti all’interno della stessa rete, cioè autogenerano degli input per la rete stessa. E’ questa capacità del sistema nervoso di produrre input autogenerati e di rispondere a input autogenerati che in buona misura costituisce la vita psichica interna degli organismi che ce l’hanno, come gli esseri umani: immagini, ricordi, pensieri, ragionamenti, e così via. La mente inserita nel mondo dell'esperienza: la Vita Artificiale La ricerca che utilizza le reti neurali si è concentrata fino ad oggi sulle reti neurali prese isolatamente, cioè ignorando il corpo dell’organismo in cui la rete neurale (il sistema nervoso) è inclusa come una sua parte fisica e ignorando anche l’ambiente fisico in cui l’organismo vive e con cui interagisce. Questo ha consentito di riprodurre nelle simulazioni e di capire meglio in termini matematici una serie di capacità di base del sistema nervoso, capacità d'analisi percettiva degli stimoli, di memoria a breve e a lungo termine, di categorizzazione delle esperienze, e soprattutto capacità di apprendimento sulla base dell’esperienza. Più recentemente tuttavia una parte della ricerca sulle reti neurali ha allargato il suo raggio di azione ed è diventata un capitolo della Vita Artificiale, un'impresa più ambiziosa che mira a capire ogni tipo di fenomeno biologico attraverso la sua riproduzione in un computer. Nella Vita Artificiale le reti neurali non sono più viste come astratti sistemi di elaborazione dell’informazione che trasformano input in output ma come modelli del qualcosa di fisico come è il sistema nervoso. Inoltre le simulazioni non si limitano più a simulare il sistema nervoso isolandolo da tutto il resto, ma simulano anche il corpo dell’organismo (con le sue dimensioni, la sua forma, possibilmente con altri organi e sistemi interni oltre al sistema nervoso), l’ambiente in cui l’organismo vive (un ambiente che può contenere oggetti inanimati, altri membri della stessa specie, altri animali e, nel caso degli esseri umani, anche artefatti tecnologici), e il materiale genetico che l’individuo eredita dai suoi genitori (che influenza tutto lo sviluppo e il funzionamento dell’individuo è a sua volta il risultato di una lunga storia evolutiva della popolazione di cui l’individuo è membro). Queste simulazioni più complesse hanno permesso di affrontare tutta una serie di altri fenomeni che sono cruciali per capire la natura della mente in generale e quelli umana in particolare. Vedere le reti neurali non come astratti sistemi di elaborazione dell’informazione ma come modelli di un sistema fisico qual è il sistema nervoso permette di spiegare come sia possibile che 1
  • 17. cause così diverse come le parole di uno psicoterapeuta e uno psicofarmaco abbiano effetti in qualche modo simili su una persona che ha dei disturbi psichici. Vi sono due tipi distinti d'azione fisico- chimiche che possono essere esercitate dall’esterno su una rete neurale vista come un modello di un sistema fisico, influenzando il comportamento e la vita mentale che sono prodotti dalla rete neurale. Il primo tipo d'azione è quello che abbiamo già descritto. Cause presenti nell’ambiente esterno o all’interno del corpo producono determinati pattern di attivazione nelle unità di input della rete neurale, l’attivazione si propaga nella rete e alla fine produce determinati pattern di attivazione nelle unità di output. Quest'attività lascia delle tracce più o meno permanenti nella rete in quanto modifica i pesi sulle connessioni producendo apprendimento e memoria. Gli effetti di questo primo tipo d'azione corrispondono agli aspetti cognitivi dell’attività che si svolge nel sistema nervoso. Il secondo tipo di azione è causato da sostanze prodotte spontaneamente dentro al corpo ma talvolta anche a sostanze ingerite o iniettate dall’esterno. Si tratta di un'azione che causa effetti diffusi su tutta la rete o su sue porzioni, ad esempio determinando un innalzamento o un abbassamento collettivo delle soglie di attivazione delle unità o una aumento o diminuzione complessiva dell'eccitazione o inibizione che da un'unità passa a un’altra. Questo secondo tipo d'azione ha anch’essa effetti sul funzionamento della rete ma si tratta di effetti diversi da quelli del primo tipo di azione. Non si tratta di effetti di elaborazione di un certo output in risposta all’input ma di effetti di modulazione del modo in cui la rete risponde agli input. Gli effetti di questo secondo tipo d'azione che si esercita sulla rete neurale hanno a che fare con lo stato di vigilanza dell’organismo, con il suo livello di motivazione, con i suoi stati emotivi, con l’efficienza o inefficienza delle sue attività cognitive. In sintesi e semplificando molto, una psicoterapia è un'azione del primo tipo su un sistema nervoso mentre uno psicofarmaco è un'azione del secondo tipo. La psicoterapia consiste nel fatto che le unità di input della rete neurale del paziente (o cliente) ricevono una serie di pattern di input nel corso della seduta di psicoterapia, pattern di input causati (a) dalle parole e dal comportamento non verbale dello psicoterapeuta, (b) dalla situazione fisica e interpersonale di una seduta di psicoterapia (parlare di sé ad altri o almeno in presenza di altri, sentire di essere presi in cura da altri, lo stesso ritualismo della seduta psicoterapeutica), e (c) dalla stessa attività interna della rete neurale del paziente che, durante la seduta psicoterapeutica, continuamente invia input autogenerati a se stessa. Quello che accade è che questi input producono modificazioni nei pesi delle connessioni della rete neurale del paziente, e queste modificazioni dei pesi rappresentano gli effetti (possibili e possibilmente benefici) della psicoterapia. Nel caso degli psicofarmaci siamo invece in presenza di un'azione del secondo tipo sulla rete neurale del paziente. Il paziente ingerisce uno psicofarmaco che contiene sostanze chimiche capaci di modificare nel modo che abbiamo visto il funzionamento della rete neurale. L’azione è diffusa e, 1
  • 18. invece di essere, come un pattern di input, il punto di partenza di un processo cognitivo (trasformazione progressiva dei pattern di input nei pattern di output), determina una modulazione del modo in cui la rete neurale risponde agli input. Questi effetti di modulazione sono gli effetti possibili e possibilmente benefici dell’azione dello psicofarmaco. Questa diversa azione che si può esercitare dall’esterno su una rete neurale come sistema fisico spiega perché gli effetti degli psicofarmaci e quelli di una psicoterapia tendano ad essere diversi. Uno psicofarmaco tende ad avere effetti aspecifici, rapidi, temporanei, e incapaci di rimuovere le cause di fondo del disturbo psicologico. Gli effetti di una psicoterapia tendono ad avere le caratteristiche opposte, cioè ad essere specifici, ottenibili solo dopo molto tempo (le psicoterapie sono tipicamente lunghe), più a lungo termine, e capaci, se la psicoterapia ha successo, di rimuovere le cause di fondo del disagio psicologico. Uno psicofarmaco agisce su meccanismi diffusi (ad esempio le soglie d'attivazione dei neuroni) e in modo relativamente indipendente dal particolare individuo, meccanismi che vengono direttamente e immediatamente modificati dallo psicofarmaco e che però tendono a tornare dopo breve tempo allo stato precedente e che comunque non costituiscono la causa profonda del malessere. Una psicoterapia tende a modificare in modo permanente e specifico i pesi delle connessioni della rete neurale del paziente, pesi che si sono assestati in base a tutta la vita precedente del paziente costituendo la causa profonda del disagio psichico. Questa modificazione è più difficile e lunga da ottenere, poiché si tratta di un vero e proprio ri-apprendimento; ma, una volta ottenuta, rappresenta un cambiamento più stabile e permanente. Come sostiene Parisi (2000), nella Vita Artificiale non solo la rete neurale è vista come un modello di un sistema fisico ma tale sistema fisico è collocato in un ambiente fisico che viene anch’esso simulato. Studiare un organismo all’interno di un ambiente e non in modo isolato dall’ambiente permette di scoprire in che modo la rete neurale di un organismo controlla essa stessa l’input che gli arriva dall’esterno. Nelle reti neurali "classiche" l’ambiente della rete neurale è il ricercatore, nel senso che è il ricercatore che decide quale input arriva alla rete neurale e decide se l’output con cui la rete risponde all’input va premiato o punito. Invece nelle reti neurali della Vita Artificiale viene simulato anche l’ambiente in cui l’organismo vive ed è tale ambiente, a seconda di come è fatto, che "decide" quali sono di volta in volta gli input che arrivano alla rete neurale. Ma siccome, in natura, è l’organismo con le sue azioni a modificare la relazione fisica che c’è tra il suo corpo e l’ambiente esterno, o, addirittura, a modificare lo stesso ambiente esterno, questo significa che è la rete neurale che in buona parte "decide" quali sono i suoi stessi input. Questo punto è molto importante perché si può affermare che gli organismi conoscono l’ambiente in cui vivono scoprendo in che modo l’ambiente reagisce alle loro azioni. Ciò è certamente vero per gli esseri umani, i quali imparano anche a prevedere come l’ambiente reagirà alle loro azioni, 1
  • 19. cioè quali saranno le conseguenze per l’ambiente esterno di azioni pianificate ma non ancora compiute, a valutare queste conseguenze prima che si realizzino, e a decidere se agire o no a seconda di queste valutazioni. Esperienze mentali private ed input neurali auto-generati Altrettanto importante è simulare il sistema nervoso all’interno di un corpo. Simulare una rete neurale dentro a un corpo e nello stesso tempo simulare il corpo dentro a un ambiente permette di capire perché gli esseri umani vivono in due mondi distinti, un mondo pubblico e condiviso con gli altri e un mondo privato a cui ha accesso, almeno accesso diretto, solo il particolare individuo. Abbiamo già visto che gli input che arrivano dall’esterno alla rete neurale di un organismo possono avere origine nell’ambiente esterno oppure dentro al corpo stesso dell’organismo. Questo significa che, nel primo caso, la causa fisica o chimica dell’input (l’oggetto visto, l’odore sentito) è collocata fisicamente nell’ambiente esterno e questo può far sì che tale causa produca un input analogo anche nella rete neurale di un altro organismo (situato lì vicino). Invece nel secondo caso la causa dell’input (ciò che produce la sensazione della fame o le contrazioni dei muscoli che producono stimoli propriocettivi) è situata dentro al corpo dell’organismo, e questo per ragioni puramente fisiche impedisce che essa produca un input analogo in un altro organismo (anche se sta lì vicino). Nel primo caso l’esperienza è pubblica. Se c’è una mela sul tavolo, sia tu sia io vediamo la stessa mela. Non solo, ma sia tu sia io possiamo agire sulla mela, ad esempio afferrarla con la mano, provocando in questo modo determinati cambiamenti nell’ambiente esterno che tutti e due possiamo vedere (vediamo che la mela, afferrata, si sposta nello spazio). O ancora, avendo io pianificato una certa azione sulla mela, oppure accorgendomi che tu stai pianificando tale azione, posso prevedere cosa succederà quando l’azione, mia o tua, sarà stata eseguita, e poi controllare se la mia previsione era corretta. E lo stesso puoi fare tu. Infine, se prevedo che la tua azione porterà a risultati per me indesiderati (tu prendi la mela), posso fare qualcosa per impedire che questo avvenga. E lo stesso puoi fare tu. Questo è il mondo pubblico, il mondo delle esperienze pubbliche. In altri casi le cose non stanno così. Le unità di input della mia rete neurale sono sempre attivate da cause fisico-chimiche, ma questa volta le cause fisico-chimiche sono dentro al mio corpo e, per semplici ragioni fisiche, possono produrre una certa attivazione nelle unità di input della mia rete neurale ma non nelle unità di input della tua rete neurale. Così, se io ho fame, questo dipende dal fatto che certi stati del mio corpo - poco zucchero nel sangue, certi stati dei muscoli dello stomaco - producono determinati input per il mio sistema nervoso. Se io sento dove sta in questo momento la mia mano, anche se non la vedo, questo dipende dal fatto che certi stati di tensione o rilasciamento dei muscoli che controllano il mio braccio inviano determinati stimoli propriocettivi al mio sistema 1
  • 20. nervoso. Ma la catena delle cause e degli effetti che alla fine produce l’input per il mio sistema nervoso è confinata dentro al mio corpo e non può produrre input analoghi per il tuo sistema nervoso. La controprova è che se riuscissimo a collegare fisicamente nel modo appropriato i nostri due corpi - ma questa allo stato attuale è fantascienza, o quasi - potremmo sentire fame nello stesso momento o sapremmo tutti e due dove sta sia la mia sia la tua mano anche quando non le vediamo. Se gli input che provengono da dentro al corpo danno luogo a esperienze private per le semplici ragioni fisiche che abbiamo detto, tanto più questo avviene per gli input auto-generati all’interno della stessa rete neurale. In questo caso la rete neurale non risponde ad input esterni ma risponde ad input che essa stessa genera al suo interno. Anche in questo caso gli input sono causati da cause fisico-chimiche (e da cosa potrebbero essere causati?) ma queste cause fisico-chimiche non stanno né nell’ambiente esterno né dentro al corpo, ma fuori dal sistema nervoso. Stanno dentro al sistema nervoso, sono ciò che determina la sua attività, il propagarsi dell’attivazione al suo interno. Tanto più quindi le cause fisico-chimiche che producono gli input auto-generati nelle reti neurali dotate degli appropriati circuiti ricorrenti sono impossibilitate a produrre input auto-generati nelle reti neurali di altri individui e quindi di dar luogo a esperienze pubbliche. La vita psichica interna è necessariamente privata. Tutti gli animali hanno necessariamente input privati oltre che input pubblici, cioè input che provengono da dentro al corpo oltre che input che provengono dall’ambiente esterno. Ma non tutti gli input privati sono vita psichica. Una vita psichica ce l’hanno solo gli animali che hanno un sistema nervoso abbastanza complesso da includere circuiti che permettono la generazione puramente interna di input a cui lo stesso sistema nervoso risponde. Anche se forme embrionali di circuiti ricorrenti di questo tipo ci sono in altre specie animali, in particolari nei primati non umani, sono gli esseri umani che hanno un sistema nervoso tipicamente capace di auto-generare i propri input e di rispondere a tali input auto-generati. In effetti, la vita psichica contiene in sé un elemento di coscienza che sembra dipendere proprio da questo meccanismo di auto-generazione degli input. Nessuna causa che attivi le unità di input di una rete neurale, di qualunque animale, produce di per sé coscienza. La coscienza comincia ad esistere quando tale input attiva a sua volta circuiti ricorrenti che producono input auto-generati e la rete neurale risponde a questi input auto-generati. Per questo la coscienza ce l’hanno solo gli animali che hanno circuiti ricorrenti che producono input auto-generati, che sono spesso, ma non sempre, di natura linguistica. Questo spiega anche perché, come la filosofia della mente ha da tempo sottolineato, ogni esperienza, cioè non solo le esperienze provocate da cause interne al corpo ma anche quelle provocate da cause esistenti nell’ambiente esterno, possiede un elemento di privatezza e di soggettività. Questo 2
  • 21. può sembrare in contraddizione con quanto abbiamo detto finora, ma in realtà non lo è. Quando tu ed io vediamo la mela sul tavolo, la nostra esperienza è pubblica perché vediamo tutti e due la stessa mela, e questo è spiegabile perché la mela, essendo fisicamente collocata nello spazio esterno sia al mio sia al tuo corpo, invia lo stesso input visivo sia alla mia rete neurale sia alla tua. Ma, come sostiene la filosofia, la particolare esperienza soggettiva che ho io del colore rosso della mela, o anche dell’intera mela (ad esempio con quello che essa mi ricorda), è privata perché è diversa da quella che hai tu. Questo può essere vero, ma è vero solo se l’input visivo proveniente dall’ambiente esterno attiva circuiti ricorrenti nella mia rete neurale e nella tua rete neurale e questi circuiti ricorrenti producono input auto-generati diversi, e privati, nel mio caso e nel tuo. Un input proveniente dall’ambiente esterno dà luogo a un esperienza pubblica ma, se è arricchito da input auto-generati all’interno della rete neurale del singolo individuo, l’esperienza può diventare privata, dato che gli input auto-generati sono privati. Evoluzione, apprendimento, sopravvivenza e riproduzione di una rete neurale Le simulazioni della Vita Artificiale considerano l'individuo non solo dotato di un corpo e di un sistema nervoso ma anche di un corredo genetico ereditato dai genitori. Il corredo genetico influenza tutte le caratteristiche dell’individuo, incluso il suo sistema nervoso e quindi il suo comportamento. Le simulazioni non simulano un singolo individuo ma un'intera popolazione di individui, uno diverso dall’altro. Gli individui nascono, si sviluppano, si riproducono e muoiono. Riprodursi significa generare una o più copie del proprio corredo genetico a partire dalle quali si sviluppano nuovi individui. La riproduzione è selettiva, nel senso che alcuni individui si riproducono più di altri e alcuni individui non si riproducono affatto. Oltre a essere selettiva la riproduzione è accompagnata da aggiunta di nuove varianti al pool genetico della popolazione. I singoli corredi genetici si riproducono con l’aggiunta di qualche variazione casuale (mutazioni genetiche) e la riproduzione sessuale fa sì che un figlio costituisca una nuova variante rispetto ai propri genitori in quanto il suo corredo genetico è una nuova ricombinazione di parti del corredo genetico di un genitore e di parti del corredo genetico dell’altro genitore. La riproduzione selettiva e l’aggiunta costante di nuove varianti determinano l’evoluzione, cioè la trasformazione delle caratteristiche del pool genetico e quindi delle caratteristiche fenotipiche (incluso il sistema nervoso e il comportamento) della popolazione nel succedersi delle generazioni. Con le simulazioni della Vita Artificiale si può studiare come l’evoluzione (nella popolazione) e l’apprendimento (nel singolo individuo) possono cooperare tra loro per assicurare un miglior livello d'adattamento all'ambiente. Poniamo ad esempio che il genotipo codifichi il pattern d'interconnessione che collega le diverse unità della rete neurale dell’individuo. A causa della 2
  • 22. variabilità inter-individuale, ogni individuo sarà in possesso di un pattern d'interconnessione diverso da quello di ogni altro individuo. Gli individui con un pattern d'interconnessione che favorisce l’apprendimento durante la vita di capacità critiche per la sopravvivenza, tenderanno a riprodursi di più e in questo modo i pattern di interconnessione neurale migliori si diffonderanno nella popolazione. Ad esempio, se un individuo per sopravvivere deve riconoscere percettivamente sia “dove” stanno gli oggetti (sulla destra o sulla sinistra?) sia di “che” oggetti si tratta (si tratta di una preda oppure di un predatore?), le simulazioni mostrano che si riprodurranno di più le reti neurali che, invece di essere internamente tutte omogenee, come i sistemi nervosi reali sono divise in moduli (vie nervose separate), con un modulo che riconosce dove sta un certo oggetto e un altro modulo, separato dal primo, che riconosce di che oggetto si tratta, dato che reti modulari di questo tipo apprendono meglio a riconoscere il “dove” e il “che” degli oggetti. I modelli che simulano i processi di evoluzione in popolazioni di individui si chiamano algoritmi genetici. Gli algoritmi genetici possono essere applicati non solo all’evoluzione biologica ma anche all’evoluzione culturale e tecnologica. In tutti e due i casi si tratta di popolazioni di varianti che evolvono come conseguenza della riproduzione selettiva delle varianti e dell’aggiunta costante di nuove varianti. Nel caso dell’evoluzione biologica le varianti sono i corredi genetici e gli individui che si sviluppano sulla base dei corredi genetici individuali, la riproduzione è la riproduzione biologica, e le nuove varianti vengono introdotte dalle mutazioni genetiche e dalla ricombinazione sessuale. Nel caso dell’evoluzione culturale e tecnologica le varianti sono i diversi comportamenti e i diversi artefatti tecnologici, la riproduzione è l’apprendimento di un comportamento per trasmissione da altri individui e la produzione di copie di artefatti esistenti, e le nuove varianti sono dovute a “errori” nella riproduzione e alla creazione di nuovi comportamenti e artefatti che sono nuove combinazioni di tratti di comportamenti e artefatti esistenti. Le simulazioni della Vita Artificiale permettono di studiare all’interno di una stessa simulazione l’evoluzione biologica, il funzionamento del sistema nervoso, il comportamento degli individui, eventualmente nelle loro interazioni con altri individui e con artefatti presenti nell’ambiente, e l’evoluzione culturale dei comportamenti e degli artefatti. Tuttavia interpretare le dinamiche evolutive naturali seguendo una logica ottimizzatrice di tipo artificiale sarebbe un errore: gli organismi biologici non sono degli ottimizzatori. L’ambiente in cui essi operano cambia e si evolve continuamente, e quelle che risulterebbero caratteristiche comportamentali ottimali in un determinato ambiente, potrebbero risultare incompatibili, perché troppo specializzate, nello stesso contesto leggermente modificato. Nella maggior parte dei casi gli organismi biologici non tendono all’ottimizzazione, ma conservano margini d'elasticità su vari livelli e riserve che potrebbero rivelarsi vitali nel caso si verificasse la necessità di un rapido riadattamento ambientale. Occorre pensare ad 2
  • 23. artefatti e strutture che non risolvano i problemi in modo perfetto, ma che lascino un margine di riadattamento alle variazioni più o meno significative delle condizioni iniziali. Questo è uno dei principali punti di forza del connessionismo. Conclusioni: E' possibile considerare il connessionismo una nuova filosofia della mente? In quest'unità didattica si è descritto la mente come sistema complesso, emergente da una lunga storia evolutiva e da una struttura cerebrale complessa. Per studiare la mente come sistema complesso è importante mettere insieme competenze diverse. Già il programma della scienza cognitiva classica era interdisciplinare, ma riproponeva la divisione tra scienze della mente e scienze della natura (dualismo). Una nuova scienza della mente deve superare questa divisione per trovare un linguaggio e dei modelli unificati. Oggi, nonostante tanti tentativi e progetti, le scienze della mente interagiscono ancora troppo poco. Non c’è un linguaggio comune a scienze della mente e scienze della natura, e ogni singola disciplina studia un aspetto particolare della mente senza confrontarsi con le altre. Questo ha il vantaggio di consentire una forte specializzazione in un campo di studio, ma non riesce a cogliere la complessità della mente (Parisi 2000). Ad esempio chi studia il comportamento sa molto bene come funzionano i processi cognitivi degli umani occidentali adulti, ma non sa come si sono evoluti nella storia delle specie, come cambiano nelle diverse fasi della vita e tra le diverse culture, né conosce i meccanismi neurali che ne sono alla base. In Italia negli ultimi anni l’etichetta "scienza cognitiva" è diventata molto popolare. A differenza che in altri paesi, però, le collaborazioni tra studiosi di discipline diverse (filosofia, psicologia, biologia, informatica ecc.) non sono molto frequenti. E' necessario, invece, cercare metodi unificanti per studiare la mente, come per esempio la simulazione; nel contempo è importante comprendere che lo studio della mente implica lo studio dell'interazione corporea con l’ambiente e l’azione. Ancora più essenziale è capire che la mente si è evoluta nel tempo, e come le menti umane interagiscono e producono culture e norme sociali che si trasmettono di generazione in generazione. Per studiare la mente occorre superare vari tipi di separazioni: tra la mente e la storia, tra la mente e il cervello, tra la mente e il corpo, tra la mente e l’ambiente, tra la mente e la cultura (Moravia, 1986). Lo studio della mente che voglia integrarsi concettualmente con il resto della ricerca scientifica, seguirà da una parte le scienze della natura nello spiegare i fenomeni mentali, quali effetti fisici quantitativi di cause fisiche; ma allargherà la prospettiva delle tradizionali scienze della natura includendovi il metodo qualitativo tipico di molte scienze umane, prendendo in considerazione la complessa dinamica culturale e sociale in cui la mente umana è inserita. 2
  • 24. Come sottolinea Parisi (2000): "Negli ultimi due decenni del secolo scorso si è cominciato a sospettare che la filosofia e la psicologia, così come si sono sviluppate storicamente, sono state soltanto una rivoluzione a metà per comprendere la natura del mentale. Tuttavia, negli ultimi decenni sono apparsi i primi strumenti e le prime ricerche che stanno apportando nuovi cambiamenti ed interessanti risultati. Una nuova filosofia della mente mira a completare la parziale rivoluzione, cioè ad unificare la filosofia e la psicologia con le scienze della natura non solo dal punto di vista metodologico ma anche dal punto di vista concettuale". Secondo il parere di molti ricercatori, è questa la grande sfida del connessionismo. PS questa tesi di specializzazione è caratterizzata da una bibliografia piuttosto vecchia che arriva fino all’anno 2005. Oggi il problema della natura della mente fa riferimento soprattutto all’embodiment. 2
  • 25. BIBLIOGRAFIA Aristotele, da "L'anima", II in Logos. Autori e testi della filosofia. Einaudi Scuola (2005) Volume 1, 30-303 Capra F. (1996), La rete della vita, RCS Libri S.p.A., Milano. Castelfranchi C. (2000), Come studiare la mente (per quello che è) in Sistemi intelligenti, 1, pp. 39–66. Chomsky, N. (1991), Linguaggio e problemi della conoscenza, Bologna, Il Mulino. Damasio A., (1998), L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano. Fodor J. (1983), Modularity of Mind, Cambridge Mass., MIT Press, trad. it. La mente modulare, Bologna, Il Mulino, 1988. Floreano D. (1996), Manuale sulle reti neurali, Il Mulino, Milano. Hofstadter, D., Dennett, D. (1985) L’Io della Mente, Adelphi, Milano. Kandel E.R., Schwartz J.H., Jessell M.J. (2003), Principi di neuroscienze, Terza Edizione, Casa Editrice Ambrosiana, Milano. Luccio R. (2002), Psicologia generale. Le frontiere della ricerca. Editori Laterza, Roma, Bari. McClelland, J.L., D.E. Rumelhart and the PDP Research Group (1986), Parallel Distributed Processing: Explorations in the Microstructure of Cognition. Volume 2: Psychological and Biological Models, Cambridge, MA: MIT Press. Moravia, S. (1986), L'enigma della mente, Editori Laterza, Roma, Bari. Parisi D (1989) Intervista sulle reti neurali. Cervello e macchine intelligenti. Universale Paperbacks, Il Mulino, Bologna. Parisi D. (1999) Mente. I nuovi modelli della Vita Artificiale, Il Mulino, Milano. Parisi D. (2000) Nuovi modelli per studiare la mente. In Le nuove frontiere della mente, Calissano, P a cura di, (2000), Il Melangolo, Genova. Platone, da "Fedone", in Logos. Autori e testi della filosofia. Einaudi Scuola (2005) Volume 1, 196-198. Putnam H. (1975) Philosophy and our Mental Life. In Mind, Language and Reality: Philosophical Papers, Vol 2. Cambridge University Press: London. Reale, G., (1999) Corpo, anima e salute. Il concetto di uomo da Omero a Platone, Raffaello Cortina Editore, Milano, pp. 15, 35. Rumelhart, D.E., J.L. McClelland and the PDP Research Group (1986), Parallel Distributed Processing: Explorations in the Microstructure of Cognition. Volume 1: Foundations, Cambridge, MA: MIT Press Searle, S. (2005), Libero arbitrio e neurobiologia, in Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il potere politico, Mondadori, Milano, pp. 3-60. Turing, A. M. (1950) Computer machinery and intelligence, Mind vol. LIX n.236 Varela F. J.Thompson E., Rosch E. (1991), La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli, Milano 2