2. Come già sappiamo dalla precedente
lezione, la luce è una radiazione
elettromagnetica dal punto di vista
fisico. In parole povere è un'onda che si
propaga nello spazio ad altissima
velocità, anzi alla massima velocità
possibile nell'universo, pari a circa
300.000 chilometri al secondo.
3. Com'è fatta quest'onda? Esattamente
come tutte le altre onde: ha delle creste
e degli avvallamenti, che ci consentono
di definirne le tre misure principali,
cioè lunghezza, ampiezza e frequenza.
4.
5. La lunghezza d'onda è la distanza tra
due creste successive.
L'ampiezza è la distanza tra una cresta
ed il piano mediano che interseca
l'onda.
La frequenza è la quantità di
oscillazioni che l'onda compie
nell'unità di tempo (la frequenza si
misura in Hertz).
6. Ai fini della visione dei colori,
l'ampiezza dell'onda influisce
sull'intensità luminosa dello stimolo
elaborato dal cervello, mentre la
lunghezza dell'onda influenza la
tonalità del colore percepito.
7. Il problema fondamentale per il nostro
occhio è quello di tradurre lunghezze
d'onda diverse in risposte neurali
diverse. Se l'occhio rispondesse in
modo identico a tutte le lunghezze
d'onda non sarebbe possibile alcuna
discriminazione cromatica e noi
vedremmo il mondo in bianco e nero.
8. Come già sappiamo dalla precedente
lezione, la retina contiene due classi
diverse di fotorecettori: i coni ed i
bastoncelli. In ogni occhio vi sono circa
6 milioni di coni e 120 milioni di
bastoncelli: un numero di elementi
fotosensibili di gran lunga maggiore di
quello presente nel più sofisticato dei
monitor in commercio!
9. I coni contengono un pigmento
denominato iodopsina.
Questo pigmento a contatto con la luce
dà l'avvio ad una serie di reazioni
chimiche e stimolazioni nervose, il cui
esito finale è la percezione della luce e
dei colori.
10. I coni sono responsabili della visione
diurna (detta fotopica). Questi
fotorecettori hanno la massima
concentrazione (fino a 160.000 per
millimetro quadrato) in una piccola
zona della retina, completamente priva
di bastoncelli, detta fovea, e presiedono
alla percezione del colore e alla
nitidezza dei contrasti.
11. Ciascun cono presente nella fovea è
collegato ad una cellula nervosa: a
questa via privilegiata di
comunicazione con il cervello si deve
la maggiore capacità di discriminazione
dei dettagli che è associata con la
stimolazione dei coni della fovea.
12. I bastoncelli contengono un pigmento
denominato rodopsina. Questo
pigmento a contatto con la luce dà
l'avvio ad una serie di reazioni
chimiche e stimolazioni nervose, il cui
esito finale è la percezione delle forme,
degli oggetti e del movimento ma che
non produce la percezione del colore.
13. I bastoncelli, benché molto più sensibili
dei coni alla stimolazione da parte della
luce, sono collegati alle cellule nervose
solo a gruppi e questo fa sì che
l'immagine che essi veicolano sia più
confusa. La visione resa possibile dai
bastoncelli è una visione non
cromatica; assume importanza primaria
in condizioni di scarsa luminosità ed è
detta scotopica.
14. La maggiore sensibilità che caratterizza
i bastoncelli permette all'occhio di
vedere anche in condizioni di scarsa
luminosità, quando ormai i coni non
riescono più a fornire informazioni utili
al cervello.
15. Per esempio, quando si entra nella sala
buia di un cinema, dopo un periodo di
cecità quasi completa nel corso del
quale avviene l'assuefazione degli
occhi all'oscurità, entrano
progressivamente in funzione i
bastoncelli, consentendoci di vedere
sufficientemente bene per trovare posto
senza problemi.
17. E’ un’osservazione molto antica e ben
nota ai pittori, in base alla quale
mescolando in varia proporzione tre
colori fondamentali, si possono
ottenere tutte le tonalità cromatiche. Per
lungo tempo si è creduto che questa
fosse una proprietà della luce.
18. Nel 1802, il fisico inglese Thomas
Young propose per primo l’idea che la
visione dei colori riflettesse l’esistenza
nella nostra retina di tre tipi di
fotorecettori. Secondo questa teoria
della visione si sosteneva la presenza di
tre differenti tipi di recettori, ognuno
dei quali in grado di assorbire le
lunghezze d’onda dello spettro in
maniera diversa.
19. Secondo Young dalla combinazione
delle sensazioni provenienti da
ciascuno di questi tre tipi di
fotorecettori, doveva risultare la
percezione dei colori nello spettro
visibile.
20. Le tesi di Young furono riprese circa
mezzo secolo dopo da Hermann von
Helmholtz.
Da allora la cosiddetta teoria
tricromatica della visione, basata cioè
sull'azione combinata di tre diversi tipi
di recettori fotosensibili, è nota anche
come teoria di Young-Helmoltz.
21. Si dovette aspettare però circa un
secolo per avere la conferma
sperimentale dell'esistenza di questi tre
diversi tipi di recettori e delle loro
specifiche sensibilità nei confronti della
lunghezza d'onda della radiazione
elettromagnetica. Ciò avvenne grazie
alle rilevazioni effettuate nel 1964 con
sofisticate tecniche di
microspettrofotometria.
22. La tecnica della microspettrofotometria
consiste nel far passare attraverso un
singolo recettore un sottilissimo fascio
di luce monocromatica e poi nel
misurare la luce assorbita per ciscuna
lunghezza d’onda dello spettro di luce
visibile, determinando così le curve di
assorbimento spettrale.
23. Il diagramma, che descriveremo nella
prossima diapositiva, illustra appunto le
curve di assorbimento o sensibilità dei
tre tipi di coni sperimentalmente
individuati.
24.
25. Per percepire i colori abbiamo infatti
bisogno di tre classi di coni sensibili a
diverse lunghezze d'onda.
26. 1-Il primo tipo di coni dà una risposta
massima alle lunghezze d'onda corte
(450 nanometri).
2-Il secondo tipo di coni dà una
risposta massima alle lunghezze d'onda
medie (530 nanometri).
3-Il terzo tipo di coni dà una risposta
massima alle lunghezze d'onda lunghe
(570 nanometri).
27. Le differenti posizioni, rispetto alla
lunghezza d'onda, dei picchi di
assorbimento della luce da parte dei tre
tipi di coni dipende dalle differenti
caratteristiche del pigmento, la
iodopsina, in essi contenuto.
28. Iconi-S (in inglese S-cone, ovvero
short-wavelength sensitive cone) hanno
il loro picco di assorbimento intorno ai
437 nm; la loro massima sensibilità è
per il colore blu-violetto; il pigmento in
essi contenuto è detto cianolabile.
29. Il fatto che la loro curva di
assorbimento sia molto più bassa di
quella degli altri due tipi di coni
dipende dal ridotto numero di coni-S
presenti nella retina: costituiscono
meno del 10% del totale complessivo e
sono quasi del tutto assenti dalla fovea,
che è la parte della retina più sensibile
alla visione del colore.
30. I coni-M (in inglese M-cone: middle-
wavelength sensitive) hanno il loro
picco di assorbimento intorno ai 533
nm; sono sensibili principalmente al
colore verde; il pigmento in essi
contenuto è detto clorolabile.
31. I coni-L (L-cone: long-wavelength
sensitive) hanno il loro picco di
assorbimento intorno ai 564 nm; sono
sensibili principalmente nella gamma
dei rossi; il pigmento in essi contenuto
è detto eritrolabile.
32. Tutti i colori vengono percepiti per
elaborazione retinica dei segnali
elettrici provenienti da queste tre classi
di coni sensibili a lunghezze d’onda
diverse. Le altre classi di cellule della
retina (amacrine, bipolari, orizzontali,
gangliari) elaborano proprio questi
segnali e li inviano al Nucleo
Genicolato Laterale e all’ area visiva
17.
33. Dato il modello tricromatico di
percezione dei colori, la visione del
colore giallo è l'effetto di una
situazione in cui i coni-M (sensibili al
verde) ed i coni-L (sensibili al rosso)
sono massimamente stimolati, mentre
l'eccitazione dei coni-S (sensibili al
blu) è del tutto trascurabile.
34. La sensazione che ne risulta non è né di
verde né di rosso, ma di un qualche
cosa di cui non esiste riscontro fisico in
quanto è una creazione dei nostri sensi:
a questa sensazione diamo il nome di
giallo.
35. Una luce che provochi una risposta
massima nei coni maggiormente
sensibili al blu, una risposta media nei
coni del verde e una risposta minima
nei coni del rosso, susciterà la
percezione del blu.
La visione del bianco si avrà, invece,
quanto tutti e tre i tipi di coni risultano
massimamente stimolati.
36. Chi ha qualche esperienza dei modelli
di rappresentazione del colore su
computer avrà già capito che la teoria
tricromatica della visione è
l'antecedente fisiologico del modello di
colore RGB.
38. La teoria di Young-Helmholtz non è
però in grado di spiegare alcuni
importanti fenomeni che riguardano la
visione dei colori. In particolare non
può spiegare i seguenti fatti:
39. 1- L’'esistenza di due coppie di colori
complementari, una costituita dal giallo
e dal blu, l'altra dal rosso e dal verde.
E’ noto che la presenza di uno dei due
colori in una zona (ad esempio il blu),
rende più vivo il colore complementare
(il giallo) nelle zone circostanti.
40. 2- L'osservazione di alcuni fenomeni
percettivi quali le immagini
consecutive. E’ noto che l'osservazione
di una superficie colorata per un intero
minuto dà luogo, una volta che si
sposta lo sguardo su di uno sfondo
chiaro, alla visione di un'immagine che
possiede il colore complementare a
quello della superficie.
41. Una superficie rossa dà un'immagine
verde ed una verde la dà rossa; una
superficie gialla dà un'immagine blu,
ed una blu la dà gialla.
Proviamo un semplice esperimento:
42. Fissate lo sguardo per circa un minuto
sul rettangolo rosso e poi spostate lo
sguardo a destra proiettando
l’immagine. Di che colore è?
43. Per spiegare simili fenomeni, il
fisiologo tedesco Ewald Hering
propose nel 1878 una teoria, definita
dell’opponenza cromatica, che
postulava, ad un livello di elaborazione
successivo rispetto ai coni, la presenza
di tre canali percettivi.
44. 1- Un canale specializzato nella visione
alternativa del giallo e del blu. Quando
l'eccitazione combinata dei tre tipi di
coni produce la visione del blu in una
certa zona, è inibita in quella stessa
zona la visione del giallo, e viceversa.
45. 2- Un canale specializzato nella visione
alternativa del rosso e del verde.
Quando l'eccitazione combinata dei tre
tipi di coni produce la visione del rosso
in una certa zona, è inibita in quella
stessa zona la visione del verde e
viceversa.
46. 3- Un canale specializzato nella visione
della componente di bianco o di nero.
Questo canale non è basato su
meccanismi antagonisti, come i due
precedenti, ma sul presupposto di
un'eguale stimolazione dei tre tipi di
coni: a stimolazioni di bassa intensità
corrispondono grigi molto scuri; a
stimolazioni della massima intensità
corrisponde la visione del bianco.
47.
48. Negli anni '50 due ricercatori presso la
Eastman Kodak, Leo Hurvich e
Dorothea Jameson, trovarono delle
evidenze sperimentali, in grado di
confermare in buona misura la teoria
dei processi opposti di Hering.
49. Questa rilevazione sperimentale è di
grande importanza: essa dimostra che
è possibile riprodurre qualsiasi colore
dello spettro visibile, utilizzando tre
sole misure:
50. 1- una che identifica il colore sull'asse
rosso-verde;
2- una che identifica il colore sull'asse
blu-giallo;
3- una che identifica il livello di
luminosità sull'asse nero-bianco.
51. E’ oggi generalmente accettato un
modello della visione dei colori basato
su due stadi, che concorrono entrambi
alla determinazione finale del colore
percepito:
52. 1- Il primo stadio, definito dalla teoria
tricromatica, secondo il quale vi sono
tre tipi di coni, dalla cui azione
combinata dipende la determinazione
del colore in base alla lunghezza d'onda
della radiazione incidente.
53. 2- Il secondo stadio, definito dalla
teoria dei processi opposti, secondo il
quale la visione di un colore dipende
dall'azione combinata di due canali
cromatici, costituiti ciascuno da una
coppia di colori complementari
antagonisti, più un canale dedicato alla
luminosità.
54. Sembra che le cellule gangliari della
retina e le cellule del nucleo genicolato
laterale siano caratterizzate da un
campo recettivo ad opponenza
cromatica. Ciò significa che il loro
campo recettivo risponde ad un colore
con un’eccitazione della scarica e al
colore opponente con un’inibizione.
55. In altre parole i neuroni ad opponenza
cromatica sono in grado di aumentare
la propria attività di scarica in presenza
di certe lunghezze d'onda e di
diminuirla in presenza di altre.
56. Questo processo spiega il fenomeno
delle immagini consecutive
complementari. Osservare a lungo una
superficie rossa corrisponde ad
"affaticare" (cioè a rendere meno
sensibili) tali cellule che aumentano la
propria attività di base al rosso e la
diminuiscono al verde.
57. Non appena la stimolazione rossa
cessa, il livello di attività di queste
cellule scende al di sotto del livello di
attività di base, e dal momento che la
diminuzione dell'attività di base dà
luogo alla percezione del verde,
vedremo un'immagine verde.
58. Le cellule dell’area visiva primaria
(area 17) sono invece caratterizzate da
un processo più complicato definito a
doppia opponenza. Ci sono poi altre
aree visive nel cervello in grado di
codificare il “colore”.