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Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà
forse la tribolazione, l'angoscia, la
persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la
spada? … Ma, in tutte queste cose, noi siamo
più che vincitori, in virtù di colui che ci ha
amati. Infatti sono persuaso che né morte, né
vita, né angeli, né principati, né cose presenti,
né cose future, né potenze, né altezza, né
profondità, né alcun'altra creatura potranno
separarci dall'amore di Dio che è in Cristo
Gesù, nostro Signore.
La speranza poi non delude, perché
l'amore di Dio è stato riversato nei
nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo che ci è stato dato.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al
mio grido.
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel
Signore
e non si volge verso chi segue gli idoli
né verso chi segue la menzogna.
La speranza nasce dalla vita prima ancora
che dalla morte. Questa non fa che riportarla
sul piano della coscienza. La chiama in causa,
perché la trova già presente. Non nasce
neppure con il messaggio cristiano, che
trovandola presente nella natura umana la
esplicita e determina con nuovi contenuti.
La speranza è propria dell'uomo che vive, tribola e
muore. Essa trova il suo posto in tutto il percorso della vita.
La storia va accumulando sconfitte su sconfitte.
L'uomo vi si trova dentro come protagonista.
Se trova la forza di ricominciare e accettare quanto di dolore
si scarica sulle sue spalle, è perché è sostenuto dalla
prospettiva d'un avvenire migliore. È la speranza che
rende accettabile la vita così com'è.
La speranza non è attività che ha in sé le sue
proprie origini, non si autogenera, ma nasce
altrove, nasce dalle convinzioni di base della
persona, dalla sua fede, di qualsiasi tipo essa sia.
O, più semplicemente, dallo stile di vita della persona; in
definitiva, uno spera in base a come vive.
Una persona potrebbe anche non sperare niente e,
invece di sperare, riempire cuore e mente di tensioni e
preoccupazioni eccessive, di affanni e paure per il
futuro; oppure sperare poco o in modo banale e appiattito, o
ripetitivo e incolore, o sperare quello che sperano tutti o entro
orizzonti molto meschini, o in base a una logica solo umana e
commisurata a sé, ai propri sforzi o alle proprie conquiste...
Quale rapporto esiste tra la condizione
umana e la speranza? Essa è qualcosa di
marginale per l’uomo o è
profondamente radicata nella sua
esperienza esistenziale e storica?
L'uomo è un essere in via,
è un viator che avanza verso
una meta ed è in fase di
continua crescita. L’uomo è un
essere aperto al futuro. Il suo
divenire indica una situazione
esistenziale dinamica. Ci sono
obiettivi da perseguire che
esigono capacità creative.
Tuttavia nel movimento dell'uomo c'è anche la precarietà,
l'instabilità, l'assenza d'una patria e la conseguente ricerca della
medesima.
In fondo vivere da uomini significa sperare. Se poi situazioni
estreme sfociano nella disperazione, si ha che il vivere perde una
connotazione umana. Lo testimonia lo stesso linguaggio popolare. Si
dice: in questa situazione non vale la pena vivere, la vita non
è più vita. Quando si disarma, si prende commiato dal mondo
anzitempo, la vita continua sì ma solo per forza d'inerzia. La
speranza mette in moto la vita, conferendole la forza
necessaria per affrontare le inevitabili difficoltà. Al contrario
la disperazione spegne ogni energia psichica e anticipa la morte,
fa dell'uomo un morto, vivo solo fisicamente.
Non è possibile scindere vita e speranza. I due
termini sono intimamente connessi. Non c'è espressione
più lucida che ne interpreti la loro appartenenza quanto il
detto di Pascal: «Noi non viviamo, ma speriamo di
vivere». Il nostro modo di essere è nella speranza, non è
definitivo, stabile, solido, autosufficiente e sicuro, è anzi
instabile e affidato all'altro, trova la sua base nella
speranza.
‘Sperare di vivere’ (o essere) si riferisce alla
condizione contingente dell'uomo che è in un modo
tale da non avere il fondamento in sé, ma in un altro.
È notevole la distanza che si frappone tra l'essere e
l'essere soltanto sulla base della speranza, per cui
mancando questa viene a mancare lo stesso essere.
Chi è in via è l'individuo senza dimora, deve spostarsi di
continuo e in questo emigrare da un'aspirazione all'altra,
dal presente al futuro è riposta la sua identità. La
speranza dice all'uomo quello che egli è, ma non
sempre lo vuole sapere: essere insicuro e mortale.
La sua vita s'iscrive in un destino di morte, non ha
alcun punto fermo in sé.
In realtà dall'orizzonte della speranza l'uomo non esce né alienato
né offeso, esce con il suo vero volto: essere umile e instabile. La
presa di coscienza della propria precarietà, malattia, povertà,
colpa, avvilimento morale e morte, tutt'altro che sfociare nella
depressione rispolvera le vecchie virtù dell'umiltà e dell'onestà,
L’uomo avverte pertanto che la sua
fondamentale aspirazione ad essere
sempre più se stesso non può essere
definitivamente appagata dentro
l’orizzonte del presente; egli non
coincide mai con la sua esistenza
concreta.
L’uomo ha l’impellente bisogno di
chiarire il contrasto tra una apertura
illimitata alla vita e il limite della morte.
Essa è presente alla coscienza come
un destino inevitabile ed una minaccia
perenne!
La chiamata alla speranza appartiene
anzitutto alla struttura fondamentale
dell’uomo come spirito incarnato.
La speranza appare come la scelta fondamentale nella quale
l’uomo interpreta il senso ultimo della sua esistenza.
Essa emerge come bisogno fondamentale dell’uomo tanto
all’orizzonte della sua coscienza personale quanto a quella della
sua relazione al mondo, agli altri e alla storia.
Chi vive di speranza si riconosce debole perché sa che la sua
storia non dipende dalle misure precauzionali della ragione, ma
dal gratuito. Non è nell'astuzia che viene costruita la salvezza,
né sul terreno del fare, né nelle imprese della tecnica.
La speranza «attraversa i mondi», sospinge lo sguardo oltre i
confini terreni, il suo punto di riferimento si colloca al di sopra
della mischia.
La speranza non si
esaurisce dentro il
destino
individuale
dell’uomo,
coinvolge il
destino
dell’umanità
e del mondo.
Essa non è più un'attività promanante da me, una semplicità di
adesione alla mia origine, da me stesso ottenuta; non è una mia
iniziativa di cammino verso l'infinito, non più uno slancio fiero e
forte di me stesso, per evadere dal mio limite presente. Questa
speranza mi viene da fuori di me, me la trovo all'esterno e mi
penetra dentro, mi riecheggia all'orecchio, anche se mi colpisce
il cuore, mi condiziona di fuori e libera dentro.
È lo sperare «in» Dio. Al
punto di identificare Dio
con la speranza stessa:
«Sei tu, Signore, la mia
speranza» (Sal 71,5; cfr.
Ger 14,8; 17,13).
Sperare nasce dal desiderare, è voce del verbo desiderare; lo
esprime al punto quasi di identificarsi con esso, fluisce dal
desiderio e ne ha la forza. Chi desidera poco, infatti, spera poco. La
speranza è desiderio che diventa coraggioso e paziente, tenace
nell'attendere e nel tener fisso lo sguardo verso l'oggetto sperato e
resistente alla tentazione di accontentarsi di qualcosa di inferiore
ad esso o alla persona attesa.
La speranza che desidera e attende diventa atteggiamento
interiore che coinvolge l'intera sensibilità, che è presente in ogni
decisione, ma si ritrova anche nel modo di immaginare il futuro,
nella fantasia. Ci si potrebbe chiedere: se la mente crede, il cuore
ama e la volontà decide, qual è la facoltà che spera? La risposta è
che tutte e tre le facoltà sperano... Sperare è attività o facoltà
cumulativa, riassume e dice tutto l'essere umano, in un'attività che
è tipicamente umana.
Una realtà culturale del “tutto e subito” che non ammette
alcuna dilazione dei desideri, non conosce nemmeno alcuna
speranza e vanifica pure l'idea di futuro.
Utopia è una presa di coscienza che l’uomo può e deve
essere sufficiente a se stesso. La coscienza utopica va
incontro a due tendenze profondamente radicate nello
spirito umano: la curiosità dell’avvenire e il bisogno di
sperare.
E. BLOCH, pensatore tedesco,
afferma che il marxismo è
scienza della speranza, “prassi
dell’utopia completa”,
anticipazione di un dover-essere
che sarà realtà, nonostante gli
ostacoli che si frapporranno alla
sua realizzazione.
Tuttavia egli, nei suoi tre
volumi dal titolo: Il
principio speranza, tra le
diverse culle della speranza
pone un particolare rilievo
di fecondità proprio alla
religione.
Vivere nella speranza significa collocarsi “tra il già e il non-
ancora”: tenendo i piedi piantati nella storia ma con la
testa e le mani protese verso l’alto.
Basta l’utopia per l’emancipazione efficace e totale?
No, essa si rivela insufficiente di fronte alla doppia morte:
personale e collettiva. La ragione dell’inconsistenza dell’utopia
sta nell’infondatezza del suo contenuto oggettivo, fatto di desideri
presenti e di aspirazioni umane.
Il primato del futuro è ontologico fondato in se stesso.
Dice PANNENBERG: “Solo se l’utopia si apre al ‘mistero’
come evento di libera e sorprendente iniziativa di Dio, allora il
primato ontologico del futuro coprirà tutto il reale presente ed
anche il presente psichico”. Per il credente il non-senso si
riscatta nel senso arcano che proviene dalle risorse di Dio. Ci
si apre così alla escatologia.
L’escatologia cristiana distrugge la presunzione dell’utopia,
ponendosi in rapporto critico con i diversi progetti storici elaborati
in nome di essa. Chi spera in Cristo non si identifica mai con
nessuna situazione acquisita o acquisibile; egli è uno
straniero, perché il futuro verso il quale tende è
trascendente che viene soltanto dalla potenza di Dio.
Alla precarietà del mondo dove dilaga il dolore e
trionfa il male, si fa incontro la speranza, che apre gli
occhi al disordine della storia senza arrendersi.
Il malato vive positivamente la sua sofferenza quando si
lascia guidare e sostenere dalla spinta della speranza, anzi
da questa trae delle risorse efficaci agli effetti della
guarigione.
Si distinguono diverse forme di speranza, in particolare
una comune e una fondamentale.
Nella prima l'uomo si rapporta ad obiettivi immediati, si
accontenta di beni modesti che si presentano nella
storia quotidiana.
Nella seconda entra in alta quota, puntando
all'acquisizione di valori spirituali: l'assenso al proprio
essere, accettato così come è, la dignità della persona
e la sua realizzazione.
Un morente che fonda la sua speranza esclusivamente sulle
possibilità di guarigione, precipita nella disperazione non appena
s'accorge d'essere spacciato.
C'è però un'altra alternativa, quella del morente la cui speranza
non si limita al bene della salute, si rivolge ad una sfera superiore
dischiudendo lo sguardo verso un orizzonte ultraterreno. Proprio
dove si chiude la scena terrena, si fa avanti la vera speranza.
È il caso di citare l'espressione dell'apostolo: «in spe contra
spem».
Questo tipo di speranza è chiamata, da Plugge,
«fondamentale», perché va alla radice stessa
dell'essere, di cui esplicita la vocazione trascendente.
Vera disperazione è dove si sperimenta il vuoto, il tedio,
la noia, la malinconia, come al contrario vera speranza si
ha quando, nonostante i rovesci e la cosciente
impossibilità superarli, si nutre fiducia che in ogni
evenienza tutto si volgerà al meglio. La speranza
fondamentale è un «aver fiducia nonostante». In fondo è
la vita a vincere, anche nelle contrarietà.
FINCHÈ C’È VITA, C’È SPERANZA
FINCHÈ
C’È FEDE,
C’È SPERANZA
FINCHÈ C’È MORTE C’È SPERANZA
Diceva Cicerone scrivendo ad Attico
Principe Fabrizio nel film ‘Il Gattopardo’
C'è la vera e la falsa speranza.
Chi vive negli agi e va incontro alla fortuna
passando da un successo all'altro, è probabile
passi alcune stagioni della vita senza sapere cosa
voglia dire speranza.
Si comincia a sperare quando ci si accorge
d'essere in prigionia: nella povertà,
sofferenza, malattia e morte.
Il filosofo G. MARCEL collega la speranza
all'esperienza della sofferenza e della prova.
«Quanto meno la vita sarà vissuta come
schiavitù, tanto meno l'anima sarà suscettibile di
veder brillare questa luce velata, misteriosa che
[...] sta al fondo della speranza»".
L'uomo è costitutivamente dotato di speranza perché di natura
sua è mortale. Quanto più si fa maturo adeguandosi alla sua
condizione storica e prende atto della sua mortalità, tanto più
s'imbatte nella speranza. È la fedeltà al proprio essere e alla
propria condizione esistenziale ad esigerlo. «È speranza
vissuta, concreta, indispensabile e necessaria, senza la
quale l'uomo non riuscirebbe a vivere».
Perdere la speranza significa tradire l'umano e la vita,
«annientarsi [... ] di fronte all'inevitabile [...] rinunciare in
fondo ad essere se stesso [...] restare affascinati dall'idea
della propria distruzione fino al punto di anticiparla».
L'uomo messo alle corde e arrivato all'ultima data del
suo calendario si rende conto della sua totale
impotenza. Non può fare affidamento né sulle le sue forze né
sui rimedi della scienza. Quello che si dischiude al suo sguardo
non può essere se non qualcosa di disperato e, dal momento
che non si può attendere niente entro l'ambito temporale, la
speranza interviene come, forza che rimanda ad una
realtà trascendente.
La speranza fondamentale
è semplicemente la certezza che
non tutto finisce con la morte,
lasciando però imprecisata la meta.
Plugge dice:
«Muoio ma ho fiducia in una
salvezza».
Nel cristianesimo la speranza si concretizza in un annuncio di
risurrezione; è un dato gratuito, salvezza promessa e donata.
La speranza dà il via ad un rapporto interpersonale.
Spero che l'amico mantenga la parola data, che Cristo, il
salvatore, corregga destino della morte.
Chi ama dice sì
all'essere della persona
amata, la vuole
esistente, ha la forza di
farla essere. Avere
fiducia in questa forza
equivale a sperare.
L'atto di speranza si
esplica
nel rapporto con un
tu,
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Sostenuto dalla promessa di
chi lo ama, il credente
muore sperando, rivolto
all'al di là. «La speranza è
per sua natura, e non in
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è speranza di
risurrezione; [...] non c'è
speranza che nella
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La speranza cristiana
diventa autentica
quando si dispera di
tutta
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e, slegati da essa,
si fa affidamento
ad un Tu
che si pone al di sopra
del flusso temporale
Se il contenuto della salvezza resta
indeterminato, non è però
indeterminato il tu, che l'annuncia.
È quanto viene proposto al
cristiano, che da Cristo si sente
ripetere la parola della vita senza
fine.
“L’ora” e “l’oggi” sono incompleti e richiedono una trasformazione
e trasfigurazione che può compiersi solo nel futuro, nel ‘poi’ di Dio.
Solo così è possibile vivere un impegno nelle strutture attuali, ma
con la certezza che esse tendono e si inverano nella speranza
del futuro di Dio (escatologia) la realtà ultima attesa che germoglia
nella nostra opera presente e che la speranza ci fa raggiungere.
Un ruolo importante l’ha avuto anche
J. MOLTMANN con il suo scritto
“Teologia della speranza” (1964).
Egli lancia un appello a riscoprire il
Dio della speranza; un Dio non più
relegato solo nel suo passato storico
di Salvatore o ‘irrigidito’ in un eterno
presente, bensì un Dio che fosse
‘assoluto futuro’ dell’umanità.
La speranza, invece, come virtù teologale è certezza di
attesa.
“La fede è sostanza delle cose che si sperano”.
Le cose che si sperano sono fondate dalla fede. Essa è il
fondamento della speranza, quindi la speranza è attesa
certa, sicura, fondata sulla fede sulla rivelazione di Dio, sulla
parola da Lui data, sulla sua promessa.
Se speriamo in una bella
giornata, non c’è nessuna
certezza. Questa sera
facciamo un incontro con i
genitori, speriamo ne vengano
tanti, nel senso che lo
desideriamo, ma non sappiamo
quanti ne verranno.
Viene logico che la speranza,
usata in questo modo, è
banale, inconsistente,
ipotetica, non dice
certezza.
Purificare il linguaggio:
‘credo’ ma non sono sicuro;
‘spero’ ma non sono sicuro.
Quando uso ‘spero’ perché
non sono sicuro, faccio un
uso negativo che rovina il
verbo.
La speranza cristiana non è fatta di idee belle per il futuro
dell’uomo o di progetti per rendere migliore la vita delle persone
e della società.
La speranza è riposta in un Uomo, che si chiama Gesù.
Egli è il Figlio di Dio Padre, Dio stesso che ci è venuto incontro. A
lui credo e in lui spero perché con l’amore del suo Cuore ha vinto
il male e la morte per diventare il mio rifugio sicuro.
CRISTO
È
LA NOSTRA
SPERANZA
Gesù non era venuto a dare
attimi di speranza, porta la
“speranza che non delude”,
l’Amore che ha sconfitto il peccato
e la Vita che ha vinto la morte.
A chi credeva in Lui chiedeva di
purificare le proprie speranze
e di non cercare il senso della
propria vita in sicurezze illusorie.
Insegnava che la vita vale più del
cibo e il corpo più del vestito e noi
abbiamo bisogno di una speranza
che salvi la nostra vita e anche il
nostro corpo dal male e dalla
morte.
Cristo, crocifisso e risorto
è questa la speranza
La speranza è la virtù
teologale per la quale
desideriamo il Regno dei cieli e
la vita eterna come nostra
felicità, riponendo la nostra
fiducia nelle promesse di Cristo
e appoggiandoci non sulle
nostre forze, ma sull'aiuto della
grazia dello Spirito Santo.
La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla
felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa
assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le
purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda dallo
scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono;
dilata il cuore nell'attesa della beatitudine eterna. Lo
slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla
gioia della carità.
Cos’è la speranza per un cristiano?
“La speranza non è un ottimismo,
non è quella capacità di guardare
le cose con buon animo e andare
avanti. No, quello è ottimismo, non è
speranza. Né la speranza è un
atteggiamento positivo davanti alle
cose.
Per avvicinarci un po’, possiamo dire in
primo che la speranza è un rischio,
è una virtù rischiosa, è una virtù,
come dice San Paolo ‘di un’ardente
aspettativa verso la rivelazione
del Figlio di Dio’. Non è
un’illusione”.
“Una cosa è vivere nella speranza, perché nella
speranza siamo salvati e un’altra cosa è vivere come
buoni cristiani, non di più. Vivere in attesa della
rivelazione o vivere bene con i comandamenti, essere
ancorati nella riva di là o parcheggiati nella laguna
artificiale. Penso a Maria, una ragazza giovane, quando,
dopo che lei ha sentito che era mamma è cambiato il suo
atteggiamento e va, aiuta e canta quel cantico di lode. La
speranza ci cambia l’atteggiamento: siamo noi, ma
non siamo noi; siamo noi, cercando là, ancorati là”.
In che cosa consiste la speranza cristiana? In una battuta, tanto semplice
quanto densa di significato, lo dice l'apostolo Paolo: “Cristo in voi, speranza
della gloria” (Col 1,27; 1 Tim 1,1: “Cristo Gesù nostra speranza). La presenza
di Cristo nella vita di ogni credente è il mistero pieno e totale che Dio ha
voluto rivelare e questo è fonte e oggetto della speranza.
All'origine della speranza cristiana vi è un atto pieno e totale, quanto
gratuito, dell'amore di Dio; esso consiste nella chiamata alla salvezza
mediante la partecipazione alla sua stessa vita.
La speranza nella prospettiva cristiana non nasce dall'uomo. Essa
non è primariamente intesa come un desiderio che si apre al futuro,
frutto della coscienza che tende ad andare sempre oltre se stessa in
attesa di un compimento; al contrario, è intesa come una chiamata
gratuita che parte dalla rivelazione di Dio.
E' qui che si percepisce la novità della nostra concezione e si compie il
discernimento su ogni altra forma di speranza che appartiene
all'umanità come suo sforzo peculiare di tendere verso il futuro.
Tutti possono sperare, ma è il
contenuto della speranza che qualifica
l'atto e lo fa comprendere diverso dal
sentimento o dall'utopia. Anche il
suicida - scriveva il filosofo Kierkegaard
nei suoi Diari - spera in una vita migliore e
in forza di questa speranza compie la follia
del suo gesto; ma è davvero speranza
quell'atto?
La speranza cristiana non sorge nel
momento del bisogno, della sofferenza
o dello sconforto determinato da
diverse motivazioni; se così fosse in
nulla si distinguerebbe dal generico
sentimento o dal desiderio di aggrapparsi
a qualcosa come soluzione estrema al
male. La speranza cristiana ha come
compagne di viaggio che non
l'abbandonano mai la fede e la carità.
Percorriamo insieme “il cammino della speranza” che ha
come meta e continuo punto di riferimento “Cristo, nostra
speranza”.
Diciamo: “tre sguardi per crescere nella speranza”.
Per essere Chiesa che crede in
“Cristo, nostra Speranza”,
e lo testimonia in modo convincente,
dobbiamo:
a. guardare, con gli occhi di Gesù, la realtà in cui ci
troviamo
a vivere e ad agire per riconoscere le luci di speranza, per
ascoltare le attese di speranza e per smascherare le
speranze illusorie.
b. Guardare il Volto di
Gesù, nostra speranza.
Le contraddizioni
della realtà in cui
viviamo ci spingono a
guardare verso Colui
che è la nostra
Speranza cercando
nella sua Parola la luce
che orienti le nostre
scelte
c. Essere segni di speranza agli occhi del mondo. Tante
persone guardano verso il vescovo, i sacerdoti, i
diaconi, i consacrati, le famiglie e le comunità cristiane
per vedere nella loro vita i segni della speranza che
confermano la nostra fede in Gesù Cristo.
Questi segni convincono chi è lontano ad accostarsi alla
Chiesa e alla fede e, contemporaneamente, rafforzano la
speranza nei cristiani e nelle comunità che li mostrano
Preghiera corale
 
Padre dei cieli,
tutti guardiamo con attesa al futuro:
abbiamo bisogno della tua luce!
Attorno a noi vediamo solo problemi
nelle persone, nelle famiglie,
nella vita sociale e politica;
a volte abbiamo l’impressione
che il male sia più forte del bene,
che l’egoismo sia più forte dell’amore,
che la discordia prevalga sulla pace.
Abbiamo bisogno di cercare la tua luce altrove
e non solo nelle nostre chiese, nelle nostre liturgie …
Abbiamo bisogno di incontrarti veramente
e scoprire che la tua luce è dentro di noi,
nel cuore dei figli che si amano da fratelli.
Slide di p.Aldo Magni
Incontro organizzato dagli Associati al:
Istituto Secolare
Missionarie degli Infermi “Cristo Speranza”,
Milano, 31 gennaio 2015
Casa di Cura S. Camillo
Cristo nostra Speranza... “Alle radici della virtù
cristiana della Speranza”
giornate di riflessione e preghiera sul tema della
Speranza, una proposta per conoscere, vivere,
testimoniare la Speranza Cristiana.
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Cristo nostra Speranza... “Alle radici della virtù cristiana della Speranza”

  • 1.
  • 2. Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
  • 3. Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio. Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore. Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel Signore e non si volge verso chi segue gli idoli né verso chi segue la menzogna.
  • 4. La speranza nasce dalla vita prima ancora che dalla morte. Questa non fa che riportarla sul piano della coscienza. La chiama in causa, perché la trova già presente. Non nasce neppure con il messaggio cristiano, che trovandola presente nella natura umana la esplicita e determina con nuovi contenuti. La speranza è propria dell'uomo che vive, tribola e muore. Essa trova il suo posto in tutto il percorso della vita. La storia va accumulando sconfitte su sconfitte. L'uomo vi si trova dentro come protagonista. Se trova la forza di ricominciare e accettare quanto di dolore si scarica sulle sue spalle, è perché è sostenuto dalla prospettiva d'un avvenire migliore. È la speranza che rende accettabile la vita così com'è.
  • 5. La speranza non è attività che ha in sé le sue proprie origini, non si autogenera, ma nasce altrove, nasce dalle convinzioni di base della persona, dalla sua fede, di qualsiasi tipo essa sia. O, più semplicemente, dallo stile di vita della persona; in definitiva, uno spera in base a come vive. Una persona potrebbe anche non sperare niente e, invece di sperare, riempire cuore e mente di tensioni e preoccupazioni eccessive, di affanni e paure per il futuro; oppure sperare poco o in modo banale e appiattito, o ripetitivo e incolore, o sperare quello che sperano tutti o entro orizzonti molto meschini, o in base a una logica solo umana e commisurata a sé, ai propri sforzi o alle proprie conquiste... Quale rapporto esiste tra la condizione umana e la speranza? Essa è qualcosa di marginale per l’uomo o è profondamente radicata nella sua esperienza esistenziale e storica?
  • 6. L'uomo è un essere in via, è un viator che avanza verso una meta ed è in fase di continua crescita. L’uomo è un essere aperto al futuro. Il suo divenire indica una situazione esistenziale dinamica. Ci sono obiettivi da perseguire che esigono capacità creative. Tuttavia nel movimento dell'uomo c'è anche la precarietà, l'instabilità, l'assenza d'una patria e la conseguente ricerca della medesima. In fondo vivere da uomini significa sperare. Se poi situazioni estreme sfociano nella disperazione, si ha che il vivere perde una connotazione umana. Lo testimonia lo stesso linguaggio popolare. Si dice: in questa situazione non vale la pena vivere, la vita non è più vita. Quando si disarma, si prende commiato dal mondo anzitempo, la vita continua sì ma solo per forza d'inerzia. La speranza mette in moto la vita, conferendole la forza necessaria per affrontare le inevitabili difficoltà. Al contrario la disperazione spegne ogni energia psichica e anticipa la morte, fa dell'uomo un morto, vivo solo fisicamente.
  • 7. Non è possibile scindere vita e speranza. I due termini sono intimamente connessi. Non c'è espressione più lucida che ne interpreti la loro appartenenza quanto il detto di Pascal: «Noi non viviamo, ma speriamo di vivere». Il nostro modo di essere è nella speranza, non è definitivo, stabile, solido, autosufficiente e sicuro, è anzi instabile e affidato all'altro, trova la sua base nella speranza. ‘Sperare di vivere’ (o essere) si riferisce alla condizione contingente dell'uomo che è in un modo tale da non avere il fondamento in sé, ma in un altro. È notevole la distanza che si frappone tra l'essere e l'essere soltanto sulla base della speranza, per cui mancando questa viene a mancare lo stesso essere. Chi è in via è l'individuo senza dimora, deve spostarsi di continuo e in questo emigrare da un'aspirazione all'altra, dal presente al futuro è riposta la sua identità. La speranza dice all'uomo quello che egli è, ma non sempre lo vuole sapere: essere insicuro e mortale. La sua vita s'iscrive in un destino di morte, non ha alcun punto fermo in sé.
  • 8. In realtà dall'orizzonte della speranza l'uomo non esce né alienato né offeso, esce con il suo vero volto: essere umile e instabile. La presa di coscienza della propria precarietà, malattia, povertà, colpa, avvilimento morale e morte, tutt'altro che sfociare nella depressione rispolvera le vecchie virtù dell'umiltà e dell'onestà, L’uomo avverte pertanto che la sua fondamentale aspirazione ad essere sempre più se stesso non può essere definitivamente appagata dentro l’orizzonte del presente; egli non coincide mai con la sua esistenza concreta.
  • 9. L’uomo ha l’impellente bisogno di chiarire il contrasto tra una apertura illimitata alla vita e il limite della morte. Essa è presente alla coscienza come un destino inevitabile ed una minaccia perenne! La chiamata alla speranza appartiene anzitutto alla struttura fondamentale dell’uomo come spirito incarnato. La speranza appare come la scelta fondamentale nella quale l’uomo interpreta il senso ultimo della sua esistenza. Essa emerge come bisogno fondamentale dell’uomo tanto all’orizzonte della sua coscienza personale quanto a quella della sua relazione al mondo, agli altri e alla storia.
  • 10. Chi vive di speranza si riconosce debole perché sa che la sua storia non dipende dalle misure precauzionali della ragione, ma dal gratuito. Non è nell'astuzia che viene costruita la salvezza, né sul terreno del fare, né nelle imprese della tecnica. La speranza «attraversa i mondi», sospinge lo sguardo oltre i confini terreni, il suo punto di riferimento si colloca al di sopra della mischia. La speranza non si esaurisce dentro il destino individuale dell’uomo, coinvolge il destino dell’umanità e del mondo.
  • 11. Essa non è più un'attività promanante da me, una semplicità di adesione alla mia origine, da me stesso ottenuta; non è una mia iniziativa di cammino verso l'infinito, non più uno slancio fiero e forte di me stesso, per evadere dal mio limite presente. Questa speranza mi viene da fuori di me, me la trovo all'esterno e mi penetra dentro, mi riecheggia all'orecchio, anche se mi colpisce il cuore, mi condiziona di fuori e libera dentro. È lo sperare «in» Dio. Al punto di identificare Dio con la speranza stessa: «Sei tu, Signore, la mia speranza» (Sal 71,5; cfr. Ger 14,8; 17,13).
  • 12. Sperare nasce dal desiderare, è voce del verbo desiderare; lo esprime al punto quasi di identificarsi con esso, fluisce dal desiderio e ne ha la forza. Chi desidera poco, infatti, spera poco. La speranza è desiderio che diventa coraggioso e paziente, tenace nell'attendere e nel tener fisso lo sguardo verso l'oggetto sperato e resistente alla tentazione di accontentarsi di qualcosa di inferiore ad esso o alla persona attesa. La speranza che desidera e attende diventa atteggiamento interiore che coinvolge l'intera sensibilità, che è presente in ogni decisione, ma si ritrova anche nel modo di immaginare il futuro, nella fantasia. Ci si potrebbe chiedere: se la mente crede, il cuore ama e la volontà decide, qual è la facoltà che spera? La risposta è che tutte e tre le facoltà sperano... Sperare è attività o facoltà cumulativa, riassume e dice tutto l'essere umano, in un'attività che è tipicamente umana. Una realtà culturale del “tutto e subito” che non ammette alcuna dilazione dei desideri, non conosce nemmeno alcuna speranza e vanifica pure l'idea di futuro.
  • 13. Utopia è una presa di coscienza che l’uomo può e deve essere sufficiente a se stesso. La coscienza utopica va incontro a due tendenze profondamente radicate nello spirito umano: la curiosità dell’avvenire e il bisogno di sperare. E. BLOCH, pensatore tedesco, afferma che il marxismo è scienza della speranza, “prassi dell’utopia completa”, anticipazione di un dover-essere che sarà realtà, nonostante gli ostacoli che si frapporranno alla sua realizzazione. Tuttavia egli, nei suoi tre volumi dal titolo: Il principio speranza, tra le diverse culle della speranza pone un particolare rilievo di fecondità proprio alla religione. Vivere nella speranza significa collocarsi “tra il già e il non- ancora”: tenendo i piedi piantati nella storia ma con la testa e le mani protese verso l’alto.
  • 14. Basta l’utopia per l’emancipazione efficace e totale? No, essa si rivela insufficiente di fronte alla doppia morte: personale e collettiva. La ragione dell’inconsistenza dell’utopia sta nell’infondatezza del suo contenuto oggettivo, fatto di desideri presenti e di aspirazioni umane. Il primato del futuro è ontologico fondato in se stesso. Dice PANNENBERG: “Solo se l’utopia si apre al ‘mistero’ come evento di libera e sorprendente iniziativa di Dio, allora il primato ontologico del futuro coprirà tutto il reale presente ed anche il presente psichico”. Per il credente il non-senso si riscatta nel senso arcano che proviene dalle risorse di Dio. Ci si apre così alla escatologia. L’escatologia cristiana distrugge la presunzione dell’utopia, ponendosi in rapporto critico con i diversi progetti storici elaborati in nome di essa. Chi spera in Cristo non si identifica mai con nessuna situazione acquisita o acquisibile; egli è uno straniero, perché il futuro verso il quale tende è trascendente che viene soltanto dalla potenza di Dio.
  • 15. Alla precarietà del mondo dove dilaga il dolore e trionfa il male, si fa incontro la speranza, che apre gli occhi al disordine della storia senza arrendersi. Il malato vive positivamente la sua sofferenza quando si lascia guidare e sostenere dalla spinta della speranza, anzi da questa trae delle risorse efficaci agli effetti della guarigione. Si distinguono diverse forme di speranza, in particolare una comune e una fondamentale. Nella prima l'uomo si rapporta ad obiettivi immediati, si accontenta di beni modesti che si presentano nella storia quotidiana. Nella seconda entra in alta quota, puntando all'acquisizione di valori spirituali: l'assenso al proprio essere, accettato così come è, la dignità della persona e la sua realizzazione.
  • 16. Un morente che fonda la sua speranza esclusivamente sulle possibilità di guarigione, precipita nella disperazione non appena s'accorge d'essere spacciato. C'è però un'altra alternativa, quella del morente la cui speranza non si limita al bene della salute, si rivolge ad una sfera superiore dischiudendo lo sguardo verso un orizzonte ultraterreno. Proprio dove si chiude la scena terrena, si fa avanti la vera speranza. È il caso di citare l'espressione dell'apostolo: «in spe contra spem». Questo tipo di speranza è chiamata, da Plugge, «fondamentale», perché va alla radice stessa dell'essere, di cui esplicita la vocazione trascendente. Vera disperazione è dove si sperimenta il vuoto, il tedio, la noia, la malinconia, come al contrario vera speranza si ha quando, nonostante i rovesci e la cosciente impossibilità superarli, si nutre fiducia che in ogni evenienza tutto si volgerà al meglio. La speranza fondamentale è un «aver fiducia nonostante». In fondo è la vita a vincere, anche nelle contrarietà.
  • 17. FINCHÈ C’È VITA, C’È SPERANZA FINCHÈ C’È FEDE, C’È SPERANZA FINCHÈ C’È MORTE C’È SPERANZA Diceva Cicerone scrivendo ad Attico Principe Fabrizio nel film ‘Il Gattopardo’
  • 18. C'è la vera e la falsa speranza. Chi vive negli agi e va incontro alla fortuna passando da un successo all'altro, è probabile passi alcune stagioni della vita senza sapere cosa voglia dire speranza. Si comincia a sperare quando ci si accorge d'essere in prigionia: nella povertà, sofferenza, malattia e morte. Il filosofo G. MARCEL collega la speranza all'esperienza della sofferenza e della prova. «Quanto meno la vita sarà vissuta come schiavitù, tanto meno l'anima sarà suscettibile di veder brillare questa luce velata, misteriosa che [...] sta al fondo della speranza»".
  • 19. L'uomo è costitutivamente dotato di speranza perché di natura sua è mortale. Quanto più si fa maturo adeguandosi alla sua condizione storica e prende atto della sua mortalità, tanto più s'imbatte nella speranza. È la fedeltà al proprio essere e alla propria condizione esistenziale ad esigerlo. «È speranza vissuta, concreta, indispensabile e necessaria, senza la quale l'uomo non riuscirebbe a vivere». Perdere la speranza significa tradire l'umano e la vita, «annientarsi [... ] di fronte all'inevitabile [...] rinunciare in fondo ad essere se stesso [...] restare affascinati dall'idea della propria distruzione fino al punto di anticiparla». L'uomo messo alle corde e arrivato all'ultima data del suo calendario si rende conto della sua totale impotenza. Non può fare affidamento né sulle le sue forze né sui rimedi della scienza. Quello che si dischiude al suo sguardo non può essere se non qualcosa di disperato e, dal momento che non si può attendere niente entro l'ambito temporale, la speranza interviene come, forza che rimanda ad una realtà trascendente.
  • 20. La speranza fondamentale è semplicemente la certezza che non tutto finisce con la morte, lasciando però imprecisata la meta. Plugge dice: «Muoio ma ho fiducia in una salvezza». Nel cristianesimo la speranza si concretizza in un annuncio di risurrezione; è un dato gratuito, salvezza promessa e donata. La speranza dà il via ad un rapporto interpersonale. Spero che l'amico mantenga la parola data, che Cristo, il salvatore, corregga destino della morte. Chi ama dice sì all'essere della persona amata, la vuole esistente, ha la forza di farla essere. Avere fiducia in questa forza equivale a sperare. L'atto di speranza si esplica nel rapporto con un tu, dice: io spero in te.
  • 21. Sostenuto dalla promessa di chi lo ama, il credente muore sperando, rivolto all'al di là. «La speranza è per sua natura, e non in maniera accidentale, in un al di là. Ogni speranza è speranza di risurrezione; [...] non c'è speranza che nella risurrezione». La speranza cristiana diventa autentica quando si dispera di tutta la realtà terrena, e, slegati da essa, si fa affidamento ad un Tu che si pone al di sopra del flusso temporale Se il contenuto della salvezza resta indeterminato, non è però indeterminato il tu, che l'annuncia. È quanto viene proposto al cristiano, che da Cristo si sente ripetere la parola della vita senza fine.
  • 22. “L’ora” e “l’oggi” sono incompleti e richiedono una trasformazione e trasfigurazione che può compiersi solo nel futuro, nel ‘poi’ di Dio. Solo così è possibile vivere un impegno nelle strutture attuali, ma con la certezza che esse tendono e si inverano nella speranza del futuro di Dio (escatologia) la realtà ultima attesa che germoglia nella nostra opera presente e che la speranza ci fa raggiungere. Un ruolo importante l’ha avuto anche J. MOLTMANN con il suo scritto “Teologia della speranza” (1964). Egli lancia un appello a riscoprire il Dio della speranza; un Dio non più relegato solo nel suo passato storico di Salvatore o ‘irrigidito’ in un eterno presente, bensì un Dio che fosse ‘assoluto futuro’ dell’umanità.
  • 23. La speranza, invece, come virtù teologale è certezza di attesa. “La fede è sostanza delle cose che si sperano”. Le cose che si sperano sono fondate dalla fede. Essa è il fondamento della speranza, quindi la speranza è attesa certa, sicura, fondata sulla fede sulla rivelazione di Dio, sulla parola da Lui data, sulla sua promessa. Se speriamo in una bella giornata, non c’è nessuna certezza. Questa sera facciamo un incontro con i genitori, speriamo ne vengano tanti, nel senso che lo desideriamo, ma non sappiamo quanti ne verranno. Viene logico che la speranza, usata in questo modo, è banale, inconsistente, ipotetica, non dice certezza. Purificare il linguaggio: ‘credo’ ma non sono sicuro; ‘spero’ ma non sono sicuro. Quando uso ‘spero’ perché non sono sicuro, faccio un uso negativo che rovina il verbo.
  • 24. La speranza cristiana non è fatta di idee belle per il futuro dell’uomo o di progetti per rendere migliore la vita delle persone e della società. La speranza è riposta in un Uomo, che si chiama Gesù. Egli è il Figlio di Dio Padre, Dio stesso che ci è venuto incontro. A lui credo e in lui spero perché con l’amore del suo Cuore ha vinto il male e la morte per diventare il mio rifugio sicuro. CRISTO È LA NOSTRA SPERANZA
  • 25. Gesù non era venuto a dare attimi di speranza, porta la “speranza che non delude”, l’Amore che ha sconfitto il peccato e la Vita che ha vinto la morte. A chi credeva in Lui chiedeva di purificare le proprie speranze e di non cercare il senso della propria vita in sicurezze illusorie. Insegnava che la vita vale più del cibo e il corpo più del vestito e noi abbiamo bisogno di una speranza che salvi la nostra vita e anche il nostro corpo dal male e dalla morte. Cristo, crocifisso e risorto è questa la speranza
  • 26. La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il Regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo. La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell'attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della carità.
  • 27. Cos’è la speranza per un cristiano? “La speranza non è un ottimismo, non è quella capacità di guardare le cose con buon animo e andare avanti. No, quello è ottimismo, non è speranza. Né la speranza è un atteggiamento positivo davanti alle cose. Per avvicinarci un po’, possiamo dire in primo che la speranza è un rischio, è una virtù rischiosa, è una virtù, come dice San Paolo ‘di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio’. Non è un’illusione”.
  • 28. “Una cosa è vivere nella speranza, perché nella speranza siamo salvati e un’altra cosa è vivere come buoni cristiani, non di più. Vivere in attesa della rivelazione o vivere bene con i comandamenti, essere ancorati nella riva di là o parcheggiati nella laguna artificiale. Penso a Maria, una ragazza giovane, quando, dopo che lei ha sentito che era mamma è cambiato il suo atteggiamento e va, aiuta e canta quel cantico di lode. La speranza ci cambia l’atteggiamento: siamo noi, ma non siamo noi; siamo noi, cercando là, ancorati là”.
  • 29. In che cosa consiste la speranza cristiana? In una battuta, tanto semplice quanto densa di significato, lo dice l'apostolo Paolo: “Cristo in voi, speranza della gloria” (Col 1,27; 1 Tim 1,1: “Cristo Gesù nostra speranza). La presenza di Cristo nella vita di ogni credente è il mistero pieno e totale che Dio ha voluto rivelare e questo è fonte e oggetto della speranza. All'origine della speranza cristiana vi è un atto pieno e totale, quanto gratuito, dell'amore di Dio; esso consiste nella chiamata alla salvezza mediante la partecipazione alla sua stessa vita. La speranza nella prospettiva cristiana non nasce dall'uomo. Essa non è primariamente intesa come un desiderio che si apre al futuro, frutto della coscienza che tende ad andare sempre oltre se stessa in attesa di un compimento; al contrario, è intesa come una chiamata gratuita che parte dalla rivelazione di Dio. E' qui che si percepisce la novità della nostra concezione e si compie il discernimento su ogni altra forma di speranza che appartiene all'umanità come suo sforzo peculiare di tendere verso il futuro.
  • 30. Tutti possono sperare, ma è il contenuto della speranza che qualifica l'atto e lo fa comprendere diverso dal sentimento o dall'utopia. Anche il suicida - scriveva il filosofo Kierkegaard nei suoi Diari - spera in una vita migliore e in forza di questa speranza compie la follia del suo gesto; ma è davvero speranza quell'atto? La speranza cristiana non sorge nel momento del bisogno, della sofferenza o dello sconforto determinato da diverse motivazioni; se così fosse in nulla si distinguerebbe dal generico sentimento o dal desiderio di aggrapparsi a qualcosa come soluzione estrema al male. La speranza cristiana ha come compagne di viaggio che non l'abbandonano mai la fede e la carità.
  • 31. Percorriamo insieme “il cammino della speranza” che ha come meta e continuo punto di riferimento “Cristo, nostra speranza”. Diciamo: “tre sguardi per crescere nella speranza”. Per essere Chiesa che crede in “Cristo, nostra Speranza”, e lo testimonia in modo convincente, dobbiamo: a. guardare, con gli occhi di Gesù, la realtà in cui ci troviamo a vivere e ad agire per riconoscere le luci di speranza, per ascoltare le attese di speranza e per smascherare le speranze illusorie.
  • 32. b. Guardare il Volto di Gesù, nostra speranza. Le contraddizioni della realtà in cui viviamo ci spingono a guardare verso Colui che è la nostra Speranza cercando nella sua Parola la luce che orienti le nostre scelte c. Essere segni di speranza agli occhi del mondo. Tante persone guardano verso il vescovo, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le famiglie e le comunità cristiane per vedere nella loro vita i segni della speranza che confermano la nostra fede in Gesù Cristo. Questi segni convincono chi è lontano ad accostarsi alla Chiesa e alla fede e, contemporaneamente, rafforzano la speranza nei cristiani e nelle comunità che li mostrano
  • 33. Preghiera corale   Padre dei cieli, tutti guardiamo con attesa al futuro: abbiamo bisogno della tua luce! Attorno a noi vediamo solo problemi nelle persone, nelle famiglie, nella vita sociale e politica; a volte abbiamo l’impressione che il male sia più forte del bene, che l’egoismo sia più forte dell’amore, che la discordia prevalga sulla pace. Abbiamo bisogno di cercare la tua luce altrove e non solo nelle nostre chiese, nelle nostre liturgie … Abbiamo bisogno di incontrarti veramente e scoprire che la tua luce è dentro di noi, nel cuore dei figli che si amano da fratelli.
  • 34. Slide di p.Aldo Magni Incontro organizzato dagli Associati al: Istituto Secolare Missionarie degli Infermi “Cristo Speranza”, Milano, 31 gennaio 2015 Casa di Cura S. Camillo Cristo nostra Speranza... “Alle radici della virtù cristiana della Speranza” giornate di riflessione e preghiera sul tema della Speranza, una proposta per conoscere, vivere, testimoniare la Speranza Cristiana. Fine