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I CAMBIAMENTI CLIMATICI E GLI EFFETTI SULL’ARTICO
Il clima globale sta cambiando. L’impatto del cambiamento climatico si sta osservando più
velocemente nell’Artico e con conseguenze più immediate e più gravi rispetto a qualsiasi altro posto
nel mondo.
L’Artico si sta surriscaldando due volte più velocemente della media globale e le riduzioni del
permafrost, del ghiaccio marino e delle condizioni metereologiche sono fortemente visibili.
Gli effetti fisici, chimici, biologici del riscaldamento dell’atmosfera sugli ecosistemi dell’Artico sono
numerosi, di vasta portata e stanno accelerando. Il riscaldamento globale ha portato a cambiamenti
fisici diretti come lo scioglimento del ghiaccio marino e l’innalzamento del livello dei mari, effetti
secondari come la diminuzione dell’Effetto Albedo e l’erosione costiera ed infine effetti terzi come
un accelerato riscaldamento degli oceani.
• A che velocità si stanno
sciogliendo i ghiacciai?
Il periodo tra il 1995 e il 2005 è stato
il decennio più caldo nell’Artico dal
17° secolo con temperature di 2°C
superiori alla media 1951-1990.
Alcune regioni dell’Artico poi si
sono riscaldate più velocemente
(come ad esempio l’Alaska e il
Canada) toccando punte di +4°C
rispetto alla media stagionale. Le
temperature registrate in queste
regioni non sono state mai così
elevate da oltre 40000 anni e forse anche 120000.
Il motivo principale per cui l’Artico si riscalda più velocemente rispetto alle altre zone del pianeta è
dovuto al fenomeno Albedo.
Secondo questo fenomeno il
ghiaccio funge da scudo e
riflette le radiazioni solari verso
l’atmosfera, funziona quindi
come uno specchio. Tuttavia a
causa dello scioglimento dei
ghiacci, si viene a scoprire la
terra più scura e l’oceano
sottostante che assorbono luce
solare e che quindi si riscaldano
più velocemente. A loro volta
porteranno allo scioglimento di
altro ghiaccio.
Il ghiaccio marino artico
attualmente è in declino per
2
quanto riguarda tre fattori: area, estensione e volume. In poche parole i ghiacciai stanno lentamente
(e neanche così troppo) scomparendo.
È previsto che il ghiaccio marino estivo artico potrebbe cessare di esistere entro la fine del 21° secolo.
La misurazione dei bordi dei ghiacciai marini è iniziata con accuratezza solo intorno agli anni ’70
grazie all’introduzione dei satelliti. Prima di allora ci si deve basare su ricostruzioni fatte grazie a
navi, boe e aerei, ovviamente molto meno precisi.
L’estensione del ghiaccio marino artico di settembre ha raggiunto dei minimi storici negli anni 2002,
2005, 2007 e 2012.
Quella del 2007 in
particolare ha
registrato una
riduzione dei ghiacciai
del 39% in meno
rispetto alla media
1979-2000.
Il record di estensione
minima del 2007 è
stato superato nel 2012
con 760000 kilometri
quadrati di ghiaccio in
meno rispetto al 2007 e
del 50% inferiore
rispetto al periodo 1970-2000. Il tasso di declino del ghiaccio artico sta accelerando e quindi nuovi
record si stanno verificando. Quest’anno ad esempio l’Artico registra circa 13,6 milioni di chilometri
quadrati di copertura di ghiaccio, una misura nettamente inferiore a qualsiasi altro anno nello stesso
periodo, e quasi due settimane in anticipo rispetto ai precedenti record di inizio aprile registrati nel
2017 e nel 2018. Mentre ci dirigiamo verso la stagione estiva di scioglimento, le implicazioni sono
preoccupanti.
Anche se l’estensione finale dei ghiacci marini estivi è in gran parte dettata dai modelli meteorologici,
siamo a più di un milione di chilometri quadrati sotto la misura rilevata a metà di aprile 2012; anno
in cui abbiamo sperimentato la più bassa estensione di ghiaccio marino estivo registrata fino ad oggi.
Dal 1979 al 1996 il calo medio per decennio dell’intera copertura di ghiaccio è stato del 2,2%
nell’estensione e del 3% per l’area, nel decennio conclusosi nel 2008 questi valori sono aumentati
rispettivamente del 10,1% e 10,7%. Ancora più accelerato è la riduzione del volume dei ghiacciai che
dal 1979 si è ridotto dell’80% e solo nell’ultimo decennio del 36% in autunno e del 9% in inverno.
Si ipotizza che prima del 2100 l’oceano artico sarà totalmente privo del ghiaccio estivo. Altri studi
prevedono la fine entro il 2030.
Oltre ad amplificare l’Effetto Albedo, lo scioglimento del permafrost comporta anche il rilascio
nell’atmosfera di ingenti quantità di biossido di carbonio (CO2). In particolare il permafrost
sottomarino, cioè quello che si trova sotto le piattaforme continentali delle regioni polari rilascia
grandi quantità di metano. Dalle misurazioni effettuate con i sonar i ricercatori hanno quantificato il
gas che viene emesso dal permafrost sottomarino. Si stima una fuoriuscita di 100-630 mg di metano
per metro quadrato lungo la costa siberiana. È importante ricordare che il metano ha un impatto
venticinque volte maggiore della CO2 per quanto riguarda l’effetto serra.
3
• Gli effetti del cambiamento climatico sulla vegetazione nell’Artico
Gli effetti del cambiamento
climatico sono evidenti anche
sulla vegetazione. In Canada,
Russia e Scandinavia, arbusti
alti e alberi cominciano a
crescere in aree
precedentemente dominate da
erbe di tundra. La percentuale
di questi arbusti è aumentata
nell’ultimo decennio del 7-
10%.
Anche le foreste boreali
hanno mostrato una risposta al
cambiamento climatico. In
particolare quelle in Nord
America hanno sperimentato
il fenomeno della “doratura”
cioè minore attività fotosintetica.
Gli inverni meno rigidi nella tundra consentono ad ontani e betulle nane di sostituire la tipica
vegetazione di muschi e licheni. L’effetto della crescita di questi arbusti ancora non è chiaro. Tuttavia
durante la stagione invernale intrappolano maggior quantità di neve isolando quindi il permafrost e
in estate non permettono alla luce del sole di arrivare sul terreno. Poiché i muschi e i licheni svolgono
delle importanti attività a livello trofico e ricoprono dei ruoli rilevanti in questi ambienti difficili, la
loro progressiva perdita potrebbe causare degli effetti a cascata negli ecosistemi.
• Gli effetti del cambiamento climatico sui mammiferi nell’Artico
A quanto detto in precedenza si aggiunga che l’incremento di CO₂ nell’atmosfera è direttamente
collegato con l’aumento di CO₂ negli oceani e i suoi derivati chimici hanno causato un incremento
dell’acidità dell’acqua con tutte le conseguenze che ne derivano come ad esempio i cambiamenti nella
biodiversità marina.
La riduzione di ghiaccio marino ha aumentato la produttività del fitoplancton di circa il 20% negli
ultimi trenta anni. Tuttavia questo aumento è avvenuto principalmente per la tipologia di fitoplancton
di piccole dimensioni, mentre per quello di medie e grandi dimensioni (fonte alimentare preferita per
gli animali marini della zona artica) non ci sono stati cambiamenti evidenti. È certo però che grandi
quantità di queste specie sono state ritrovate in luoghi dove non esistevano fino allo scorso decennio.
Per migliaia di anni l’Artico è stato dominato da una calotta di ghiaccio e tutte le componenti che ne
derivano.
Durante il periodo invernale l’intero Oceano Artico e i suoi mari marginali sono stati (e tutt’ora lo
sono in parte) completamente coperti dal ghiaccio che si estende fino ai mari Sub Artici. Durante il
periodo estivo il ghiaccio scompare da tutta la zona sub artica ma rimane in tutto l’Oceano artico.
Questo ghiaccio perenne è complesso, antico, spesso. Oltre ciò il clima artico è caratterizzato dalla
mancanza di luce e dal freddo che persiste gran parte dell’anno ed è associato ad una produttività
ambientale minima. Durante il periodo estivo più caldo e con più luce invece si stimola una forte
4
produttività delle specie che vi abitano. Grazie a queste condizioni climatiche si sono evoluti gli esseri
viventi che abitano queste zone. Ancora c’è una netta differenza tra inverno ed estate nel circolo
polare artico, ma sta diventando sempre meno pronunciata e questo rischia di mettere in serio pericolo
tutto il ciclo di vita.
I mammiferi Artici infatti si sono adattati alle condizioni climatiche estreme diventando fortemente
specializzati nell’utilizzare differenti habitat per la riproduzione, il nutrimento, la migrazione nelle
varie stagioni.
Per le specie animali che vivono prettamente nell’Artico, la presenza del ghiaccio marino rappresenta
sia una barriera per i movimenti sia una sorta di protezione dai predatori (balene killer ed orsi polari),
tempeste e freddo estremo.
Fino ad oggi gli organismi patogeni ed estranei alla vita dell’artico così come i rifiuti umani erano
limitati. Tuttavia il cambiamento delle condizioni climatiche e lo scioglimento dei ghiacciai, con le
conseguenti nuove rotte sia per il commercio sia per le migrazioni della fauna ittica, sta facendo
diventare alcuni mammiferi marini più vulnerabili. In particolare preoccupa la diffusione di malattie
infettive, come la brucellosi o il virus del cimurro a popolazioni precedentemente non toccate.
Il ghiaccio marino è cambiato sia in quantità (riduzione dell’estensione e volume) che in qualità
(frammentazione, deterioramento, alterata stagionalità) con delle inevitabili conseguenze sulle specie
marine. È ancora infatti sconosciuto il meccanismo per esempio che può permettere alle foche di
sopravvivere sulla terra ed utilizzare il suo substrato invece del ghiaccio marino. Nuove catene
alimentari, cambiamenti nel delicato equilibrio “animali prede vs animali cacciatori” che viene
turbato dall’arrivo di nuove
specie di mammiferi,
competitori e patogeni che
vengono da mari più temperati
e riescono ora ad adattarsi ai
mari artici a causa
dell’innalzamento della
temperatura delle acque, questi
sono solo alcuni degli effetti
del cambiamento climatico in
atto. Gli orsi polari ad esempio
potrebbero scomparire
dall’Alaska ma
continuerebbero ad esistere
nell’arcipelago artico canadese
e in Groenlandia. Questi mammiferi sono tra i più colpiti dal restringimento del ghiaccio marino. Agli
orsi polari infatti verrà negata la lunghezza storica della stagione di caccia alle foche a causa della
formazione tardiva e del disgelo anticipato del ghiaccio.
Tuttavia non tutti i mammiferi che vivono nell’artico soffrono di questo cambiamento climatico e del
conseguente scioglimento dei ghiacciai. Infatti, ad esempio, le condizioni di alcuni tipi di balene sono
migliorate con l’allungarsi della stagione in cui il mare di Beaufort è aperto e facilmente percorribile
da queste specie.
5
• Cosa sta succedendo alla Groenlandia?
Quando si parla di Artico viene spontaneo chiedersi gli effetti che i cambianti climatici possano avere
sulla calotta glaciale della Groenlandia. Gli attuali modelli prevedono che se la calotta si dovesse
sciogliere per intero, questa porterebbe un contributo all’innalzamento del livello del mare dai circa
5 ai 30 centimetri. Si prevede che la Groenlandia diventerà abbastanza calda entro il 2100 per iniziare
una fusione completa nel periodo estivo. Le misurazioni effettuate tra il 2002 e il 2009 certificano
che il processo
tuttavia sta
accelerando e che si è
passati da 137 Giga
tonnellate di ghiaccio
sciolto annuo a 286
Giga tonnellate con
un aumento medio
annuo di circa 30
Giga tonnellate. Il
record di
scioglimento è stato
toccato nell’anno
2012 con 290 Giga
tonnellate ma
quest’anno, il 2019 ha
visto un’ondata di caldo eccezionale che ha portato a raggiungere a fine luglio le 240 Giga tonnellate.
Aggiungendo i dati di agosto e settembre sembra che il record potrà essere superato facilmente. Tanto
per capire la vastità del fenomeno ad una Giga tonnellata di ghiaccio corrisponde la quantità d’acqua
contenuta in 400000 piscine olimpioniche. Solo nel giorno mercoledì 31 luglio 2019 si sono sciolte
circa 10 Giga tonnellate. Ogni anno dell’ultimo decennio, lo scioglimento del ghiaccio della
Groenlandia ha contribuito all’innalzamento dei mari di circa un millimetro. Quest’anno si potrebbero
toccare i due.
Altro aspetto negativo a livello ambientale è che lo scioglimento dei ghiacciai ha provocato l’apertura
di nuove rotte commerciali per gli umani e questo significa nuovi traffici marittimi e nuove forme di
inquinamento in questa zona del mondo che fino a qualche anno fa non esistevano.
• Ultimi dati sul permafrost.
Abbiamo meno tempo di
quanto immaginiamo
Malgrado le previsioni sostenevano che
lo scioglimento del ghiaccio sarebbe
avvenuto fra 50-100 anni Serghei
Zimov, uno dei massimi esperti russi di
permafrost e condirettore, insieme al
figlio Nikita, della stazione di ricerca
nord-orientale della Yakutia ha
recentemente dichiarato che la
6
situazione è più critica di quello che si poteva pensare. Infatti negli ultimi due anni il permafrost
siberiano ha iniziato a sciogliersi rapidamente e secondo gli studi effettuati potrebbe scomparire entro
10 anni. Questo comporterebbe un enorme impatto ambientale anche per quanto riguarda il rilascio
del metano contenuto nel sottosuolo della regione siberiana, il quale a sua volta contribuirebbe ad
amplificare l’effetto serra già in atto.
In conclusione possiamo certamente affermare che il cambiamento climatico è in atto e sta portando
delle drastiche modifiche a livello ecologico ambientale nell’artico con delle ripercussioni che si
avranno a livello globale. I modelli sui quali ci siamo basati per anni, benché abbiano sempre
anticipato lo scenario drastico in arrivo, ci dimostrano che non è facile prevedere gli effetti a lungo
termine e che in genere questi si dimostrano sempre più drastici rispetto al previsto. Abbiamo poco
tempo per rimediare ad una situazione già in atto e che forse è già irreversibile e abbiamo bisogno di
uno sforzo comune globale per evitare di distruggere definitivamente l’ecosistema artico di così
fondamentale importanza per il Pianeta tutto.
GIORDANO PIACENTI
Bibliografia e Sitografia
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Retrieved 4 November 2012.
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https://www.mmc.gov/priority-topics/arctic/climate-change/
https://news.mongabay.com/2019/04/arctic-in-trouble-sea-ice-melt-falls-to-record-lows-for-early-april/
http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/clima/2019/09/03/esperto-artico-russo-permafrost-rischia-di-sparire-in-
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Cambiamenti climatici nell'Artico

  • 1. 1 I CAMBIAMENTI CLIMATICI E GLI EFFETTI SULL’ARTICO Il clima globale sta cambiando. L’impatto del cambiamento climatico si sta osservando più velocemente nell’Artico e con conseguenze più immediate e più gravi rispetto a qualsiasi altro posto nel mondo. L’Artico si sta surriscaldando due volte più velocemente della media globale e le riduzioni del permafrost, del ghiaccio marino e delle condizioni metereologiche sono fortemente visibili. Gli effetti fisici, chimici, biologici del riscaldamento dell’atmosfera sugli ecosistemi dell’Artico sono numerosi, di vasta portata e stanno accelerando. Il riscaldamento globale ha portato a cambiamenti fisici diretti come lo scioglimento del ghiaccio marino e l’innalzamento del livello dei mari, effetti secondari come la diminuzione dell’Effetto Albedo e l’erosione costiera ed infine effetti terzi come un accelerato riscaldamento degli oceani. • A che velocità si stanno sciogliendo i ghiacciai? Il periodo tra il 1995 e il 2005 è stato il decennio più caldo nell’Artico dal 17° secolo con temperature di 2°C superiori alla media 1951-1990. Alcune regioni dell’Artico poi si sono riscaldate più velocemente (come ad esempio l’Alaska e il Canada) toccando punte di +4°C rispetto alla media stagionale. Le temperature registrate in queste regioni non sono state mai così elevate da oltre 40000 anni e forse anche 120000. Il motivo principale per cui l’Artico si riscalda più velocemente rispetto alle altre zone del pianeta è dovuto al fenomeno Albedo. Secondo questo fenomeno il ghiaccio funge da scudo e riflette le radiazioni solari verso l’atmosfera, funziona quindi come uno specchio. Tuttavia a causa dello scioglimento dei ghiacci, si viene a scoprire la terra più scura e l’oceano sottostante che assorbono luce solare e che quindi si riscaldano più velocemente. A loro volta porteranno allo scioglimento di altro ghiaccio. Il ghiaccio marino artico attualmente è in declino per
  • 2. 2 quanto riguarda tre fattori: area, estensione e volume. In poche parole i ghiacciai stanno lentamente (e neanche così troppo) scomparendo. È previsto che il ghiaccio marino estivo artico potrebbe cessare di esistere entro la fine del 21° secolo. La misurazione dei bordi dei ghiacciai marini è iniziata con accuratezza solo intorno agli anni ’70 grazie all’introduzione dei satelliti. Prima di allora ci si deve basare su ricostruzioni fatte grazie a navi, boe e aerei, ovviamente molto meno precisi. L’estensione del ghiaccio marino artico di settembre ha raggiunto dei minimi storici negli anni 2002, 2005, 2007 e 2012. Quella del 2007 in particolare ha registrato una riduzione dei ghiacciai del 39% in meno rispetto alla media 1979-2000. Il record di estensione minima del 2007 è stato superato nel 2012 con 760000 kilometri quadrati di ghiaccio in meno rispetto al 2007 e del 50% inferiore rispetto al periodo 1970-2000. Il tasso di declino del ghiaccio artico sta accelerando e quindi nuovi record si stanno verificando. Quest’anno ad esempio l’Artico registra circa 13,6 milioni di chilometri quadrati di copertura di ghiaccio, una misura nettamente inferiore a qualsiasi altro anno nello stesso periodo, e quasi due settimane in anticipo rispetto ai precedenti record di inizio aprile registrati nel 2017 e nel 2018. Mentre ci dirigiamo verso la stagione estiva di scioglimento, le implicazioni sono preoccupanti. Anche se l’estensione finale dei ghiacci marini estivi è in gran parte dettata dai modelli meteorologici, siamo a più di un milione di chilometri quadrati sotto la misura rilevata a metà di aprile 2012; anno in cui abbiamo sperimentato la più bassa estensione di ghiaccio marino estivo registrata fino ad oggi. Dal 1979 al 1996 il calo medio per decennio dell’intera copertura di ghiaccio è stato del 2,2% nell’estensione e del 3% per l’area, nel decennio conclusosi nel 2008 questi valori sono aumentati rispettivamente del 10,1% e 10,7%. Ancora più accelerato è la riduzione del volume dei ghiacciai che dal 1979 si è ridotto dell’80% e solo nell’ultimo decennio del 36% in autunno e del 9% in inverno. Si ipotizza che prima del 2100 l’oceano artico sarà totalmente privo del ghiaccio estivo. Altri studi prevedono la fine entro il 2030. Oltre ad amplificare l’Effetto Albedo, lo scioglimento del permafrost comporta anche il rilascio nell’atmosfera di ingenti quantità di biossido di carbonio (CO2). In particolare il permafrost sottomarino, cioè quello che si trova sotto le piattaforme continentali delle regioni polari rilascia grandi quantità di metano. Dalle misurazioni effettuate con i sonar i ricercatori hanno quantificato il gas che viene emesso dal permafrost sottomarino. Si stima una fuoriuscita di 100-630 mg di metano per metro quadrato lungo la costa siberiana. È importante ricordare che il metano ha un impatto venticinque volte maggiore della CO2 per quanto riguarda l’effetto serra.
  • 3. 3 • Gli effetti del cambiamento climatico sulla vegetazione nell’Artico Gli effetti del cambiamento climatico sono evidenti anche sulla vegetazione. In Canada, Russia e Scandinavia, arbusti alti e alberi cominciano a crescere in aree precedentemente dominate da erbe di tundra. La percentuale di questi arbusti è aumentata nell’ultimo decennio del 7- 10%. Anche le foreste boreali hanno mostrato una risposta al cambiamento climatico. In particolare quelle in Nord America hanno sperimentato il fenomeno della “doratura” cioè minore attività fotosintetica. Gli inverni meno rigidi nella tundra consentono ad ontani e betulle nane di sostituire la tipica vegetazione di muschi e licheni. L’effetto della crescita di questi arbusti ancora non è chiaro. Tuttavia durante la stagione invernale intrappolano maggior quantità di neve isolando quindi il permafrost e in estate non permettono alla luce del sole di arrivare sul terreno. Poiché i muschi e i licheni svolgono delle importanti attività a livello trofico e ricoprono dei ruoli rilevanti in questi ambienti difficili, la loro progressiva perdita potrebbe causare degli effetti a cascata negli ecosistemi. • Gli effetti del cambiamento climatico sui mammiferi nell’Artico A quanto detto in precedenza si aggiunga che l’incremento di CO₂ nell’atmosfera è direttamente collegato con l’aumento di CO₂ negli oceani e i suoi derivati chimici hanno causato un incremento dell’acidità dell’acqua con tutte le conseguenze che ne derivano come ad esempio i cambiamenti nella biodiversità marina. La riduzione di ghiaccio marino ha aumentato la produttività del fitoplancton di circa il 20% negli ultimi trenta anni. Tuttavia questo aumento è avvenuto principalmente per la tipologia di fitoplancton di piccole dimensioni, mentre per quello di medie e grandi dimensioni (fonte alimentare preferita per gli animali marini della zona artica) non ci sono stati cambiamenti evidenti. È certo però che grandi quantità di queste specie sono state ritrovate in luoghi dove non esistevano fino allo scorso decennio. Per migliaia di anni l’Artico è stato dominato da una calotta di ghiaccio e tutte le componenti che ne derivano. Durante il periodo invernale l’intero Oceano Artico e i suoi mari marginali sono stati (e tutt’ora lo sono in parte) completamente coperti dal ghiaccio che si estende fino ai mari Sub Artici. Durante il periodo estivo il ghiaccio scompare da tutta la zona sub artica ma rimane in tutto l’Oceano artico. Questo ghiaccio perenne è complesso, antico, spesso. Oltre ciò il clima artico è caratterizzato dalla mancanza di luce e dal freddo che persiste gran parte dell’anno ed è associato ad una produttività ambientale minima. Durante il periodo estivo più caldo e con più luce invece si stimola una forte
  • 4. 4 produttività delle specie che vi abitano. Grazie a queste condizioni climatiche si sono evoluti gli esseri viventi che abitano queste zone. Ancora c’è una netta differenza tra inverno ed estate nel circolo polare artico, ma sta diventando sempre meno pronunciata e questo rischia di mettere in serio pericolo tutto il ciclo di vita. I mammiferi Artici infatti si sono adattati alle condizioni climatiche estreme diventando fortemente specializzati nell’utilizzare differenti habitat per la riproduzione, il nutrimento, la migrazione nelle varie stagioni. Per le specie animali che vivono prettamente nell’Artico, la presenza del ghiaccio marino rappresenta sia una barriera per i movimenti sia una sorta di protezione dai predatori (balene killer ed orsi polari), tempeste e freddo estremo. Fino ad oggi gli organismi patogeni ed estranei alla vita dell’artico così come i rifiuti umani erano limitati. Tuttavia il cambiamento delle condizioni climatiche e lo scioglimento dei ghiacciai, con le conseguenti nuove rotte sia per il commercio sia per le migrazioni della fauna ittica, sta facendo diventare alcuni mammiferi marini più vulnerabili. In particolare preoccupa la diffusione di malattie infettive, come la brucellosi o il virus del cimurro a popolazioni precedentemente non toccate. Il ghiaccio marino è cambiato sia in quantità (riduzione dell’estensione e volume) che in qualità (frammentazione, deterioramento, alterata stagionalità) con delle inevitabili conseguenze sulle specie marine. È ancora infatti sconosciuto il meccanismo per esempio che può permettere alle foche di sopravvivere sulla terra ed utilizzare il suo substrato invece del ghiaccio marino. Nuove catene alimentari, cambiamenti nel delicato equilibrio “animali prede vs animali cacciatori” che viene turbato dall’arrivo di nuove specie di mammiferi, competitori e patogeni che vengono da mari più temperati e riescono ora ad adattarsi ai mari artici a causa dell’innalzamento della temperatura delle acque, questi sono solo alcuni degli effetti del cambiamento climatico in atto. Gli orsi polari ad esempio potrebbero scomparire dall’Alaska ma continuerebbero ad esistere nell’arcipelago artico canadese e in Groenlandia. Questi mammiferi sono tra i più colpiti dal restringimento del ghiaccio marino. Agli orsi polari infatti verrà negata la lunghezza storica della stagione di caccia alle foche a causa della formazione tardiva e del disgelo anticipato del ghiaccio. Tuttavia non tutti i mammiferi che vivono nell’artico soffrono di questo cambiamento climatico e del conseguente scioglimento dei ghiacciai. Infatti, ad esempio, le condizioni di alcuni tipi di balene sono migliorate con l’allungarsi della stagione in cui il mare di Beaufort è aperto e facilmente percorribile da queste specie.
  • 5. 5 • Cosa sta succedendo alla Groenlandia? Quando si parla di Artico viene spontaneo chiedersi gli effetti che i cambianti climatici possano avere sulla calotta glaciale della Groenlandia. Gli attuali modelli prevedono che se la calotta si dovesse sciogliere per intero, questa porterebbe un contributo all’innalzamento del livello del mare dai circa 5 ai 30 centimetri. Si prevede che la Groenlandia diventerà abbastanza calda entro il 2100 per iniziare una fusione completa nel periodo estivo. Le misurazioni effettuate tra il 2002 e il 2009 certificano che il processo tuttavia sta accelerando e che si è passati da 137 Giga tonnellate di ghiaccio sciolto annuo a 286 Giga tonnellate con un aumento medio annuo di circa 30 Giga tonnellate. Il record di scioglimento è stato toccato nell’anno 2012 con 290 Giga tonnellate ma quest’anno, il 2019 ha visto un’ondata di caldo eccezionale che ha portato a raggiungere a fine luglio le 240 Giga tonnellate. Aggiungendo i dati di agosto e settembre sembra che il record potrà essere superato facilmente. Tanto per capire la vastità del fenomeno ad una Giga tonnellata di ghiaccio corrisponde la quantità d’acqua contenuta in 400000 piscine olimpioniche. Solo nel giorno mercoledì 31 luglio 2019 si sono sciolte circa 10 Giga tonnellate. Ogni anno dell’ultimo decennio, lo scioglimento del ghiaccio della Groenlandia ha contribuito all’innalzamento dei mari di circa un millimetro. Quest’anno si potrebbero toccare i due. Altro aspetto negativo a livello ambientale è che lo scioglimento dei ghiacciai ha provocato l’apertura di nuove rotte commerciali per gli umani e questo significa nuovi traffici marittimi e nuove forme di inquinamento in questa zona del mondo che fino a qualche anno fa non esistevano. • Ultimi dati sul permafrost. Abbiamo meno tempo di quanto immaginiamo Malgrado le previsioni sostenevano che lo scioglimento del ghiaccio sarebbe avvenuto fra 50-100 anni Serghei Zimov, uno dei massimi esperti russi di permafrost e condirettore, insieme al figlio Nikita, della stazione di ricerca nord-orientale della Yakutia ha recentemente dichiarato che la
  • 6. 6 situazione è più critica di quello che si poteva pensare. Infatti negli ultimi due anni il permafrost siberiano ha iniziato a sciogliersi rapidamente e secondo gli studi effettuati potrebbe scomparire entro 10 anni. Questo comporterebbe un enorme impatto ambientale anche per quanto riguarda il rilascio del metano contenuto nel sottosuolo della regione siberiana, il quale a sua volta contribuirebbe ad amplificare l’effetto serra già in atto. In conclusione possiamo certamente affermare che il cambiamento climatico è in atto e sta portando delle drastiche modifiche a livello ecologico ambientale nell’artico con delle ripercussioni che si avranno a livello globale. I modelli sui quali ci siamo basati per anni, benché abbiano sempre anticipato lo scenario drastico in arrivo, ci dimostrano che non è facile prevedere gli effetti a lungo termine e che in genere questi si dimostrano sempre più drastici rispetto al previsto. Abbiamo poco tempo per rimediare ad una situazione già in atto e che forse è già irreversibile e abbiamo bisogno di uno sforzo comune globale per evitare di distruggere definitivamente l’ecosistema artico di così fondamentale importanza per il Pianeta tutto. GIORDANO PIACENTI Bibliografia e Sitografia Goldenberg S (24 July 2012). "Greenland ice sheet melted at unprecedented rate during July". The Guardian. London. Retrieved 4 November 2012. Rabe, B.; et al. (2011). "An assessment of Arctic Ocean freshwater content changes from the 1990s to the 2006–2008 period". Deep Sea Res. Pt I. 56 (2): 173. Schuur, E.A.G.; et al. (2015). "Climate change and the permafrost carbon feedback". Nature. 520 (7546): 171–179 Acosta Navarro, J. C; Varma, V; Riipinen, I; Seland, Ø; Kirkevåg, A; Struthers, H; Iversen, T; Hansson, H. -C; Ekman, A. M. L (2016). "Amplification of Arctic warming by past airpollution reductions in Europe". Nature Geoscience. 9 (4): 277 Przybylak, Rajmund (2007). "Recent air-temperature changes in the Arctic". Annals of Glaciology. 46: 316–324 Screen, J. A.; Simmonds, I. (2010). "The central role of diminishing sea ice in recent Arctic temperature amplification". Nature. 464 (7293): 1334–1337. Lawrence, D. M.; Slater, A. (2005). "A projection of severe near-surface permafrost degradation during the 21st century". Geophysical Research Letters. 32 Fyfe, J.C; G.J. Boer; G.M. Flato (1 June 1999). "The Arctic and Antarctic Oscillations and their Projected Changes Under Global Warming". Geophysical Research Letters. 26 Stroeve, J.; Holland, M. M.; Meier, W.; Scambos, T.; Serreze, M. (2007). "Arctic sea ice decline: Faster than forecast". Geophysical Research Letters. 34 Richard A. Kerr (28 September 2012). "Ice-Free Arctic Sea May be Years, Not Decades, Away". Science. 337 (6102): 1591 Overland, James E; Wang, Muyin (2013). "When will the summer Arctic be nearly sea ice free?". Geophysical Research Letters. J. E. Vonk, L. Sánchez-García, B. E. van Dongen, V. Alling, D. Kosmach, A. Charkin, I. P. Semiletov, O. V. Dudarev, N. Shakhova, P. Roos, T. I. Eglinton, A. Andersson & Ö. Gustafsson (29 August 2012). "Activation of old carbon by erosion of coastal and subsea permafrost in Arctic Siberia". Nature. 489 (7414): 137–140
  • 7. 7 Alatalo, J.M.; Jägerbrand, A.K.; Molau, U. (2014). "Climate change and climatic events: community-, functional- and species level responses of bryophytes and lichens to constant, stepwise and pulse experimental warming in an alpine tundra". Alpine Botany. 124 (2): 81–91 Velicogna, I. (2009). "Increasing rates of ice mass loss from the Greenland and Antarctic ice sheets revealed by GRACE". Geophysical Research Letters. 36 (19) https://www.mmc.gov/priority-topics/arctic/climate-change/ https://news.mongabay.com/2019/04/arctic-in-trouble-sea-ice-melt-falls-to-record-lows-for-early-april/ http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/clima/2019/09/03/esperto-artico-russo-permafrost-rischia-di-sparire-in- 10-anni_33e618d7-ac1e-4abd-8001-db69f32f11de.html