Maria Natalia Bardi Liceo Classico "E.Montale" Roma, Italie
1. COLOSSEO di George BYRON
Scintillano le stelle in ogni seno
Del firmamento e s'alza al bianco giogo
Di quel monte la Luna. Oh, com'è bello
Quanto vegg'io! Produr colla natura
Amo il mio conversar, perché l'aspetto
Dell'uomo è più straniero alla mia vista
Che il volto oscuro della notte. Appreso
Nella muta beltà della stellata
Ombra, di cui si veste, ho l'idioma
D'un altro mondo... Allor che ne' miei freschi
Anni pellegrinava, in una notte
Simile a questa, mi trovai nel circo
Del Colosseo, mirabile reliquia
Del romano poter. Le folte piante,
Lungo quei minati archi cresciute,
Piegavano, ondulando i foschi rami
Sul cupo azzurro della notte, e gli astri
Splendevano ad or ad or per li ampi fori
Di quei ruderi illustri. Udia dal monco
Lato del Tebro l'abbaiar dei cani;
Ed a me più vicino il prolungato
Gemito delle strigi abitatrici
Del cesareo Palagio; ed un leggiero
Venticel mi recava ad intervalli
La uniforme canzon delle lontane
Scolte. Qualche funereo cipresso
Traverso le ruine, opera di molti
Secoli s'elevava, ed i confini
Parca segnar dell'orizzonte, e forse
Era da me discosto un trar di pietra
Ove la reggia imperiai sorgea,
Or vagola l'augel dal mesto grido.
E fra gli alberi, in cima alle scrollate
Mura sorgenti e coll'ime radici
Contorti, avviticchiati al sacro lare
Dei Cesari, la vile edera usurpa
Il seggio dell'allòr; pure il cruento
Circo dei gladiatori, maestosa
Ruina, a tutte di grandezza impari
Sta visibile ancor, mentre le auguste
Sedi, riverse e nel terren confitte,
Sono ignote macerie. E tu, vagante
Luna, inviavi il tuo pallido raggio
Sulle moli abbattute! amabll luce
Che gli austeri colori e la durezza
Ne tempravi, addolcivi, empiendo il vuoto
Che i secoli v'aprirò, e col diffuso
Virgineo candor non ne scemavi
La beltà pur d'un'ombra, e, meglio, quanto
Bello non era v'abbellivi. Un sacro
2. Raccoglimento mi facea signore
Di me, della mia mente, e ai grandi antichi,
Adorando, io pensava; a quei potenti
Che, sebben polve ed ossa, ancor deposto
Non han lo scettro, e dal sepolcro ancora
Imperano allo spirto. Era una notte
Similissima a questa, e strano è certo
Che riviver mi debba in tal momento.
Però, ben lo provai, quando il pensiero
Di raccórsi ha più d'uopo, in tempi andati
Si divaga e si perde.
COLOSSEO di E.A. POE
Tipo dell'antica Roma! Ricco reliquiario di sublime contemplazione, abbandonato al
tempo da sepolti secoli di pompa e di possanza! Alla fine, dopo tanti giorni di
penoso pellegrinaggio e ardente sete (sete per le sorgenti del sapere che in tè
sono), io m'inginocchio, quanto mutato ed umile, fra le tue ombre, e così m'inebrio
l'anima della tua grandezza, della tua tristezza e della tua gloria!
Immensità ed Età! E memoria del Passato! Silenzio e Desolazione! E notte
profonda! Io sento voi ora, io sento voi ora nella vostra potenza! O incanti più sicuri
di quelli che mai re giudeo provò ne' giardini di Getsemani! O incanti più potenti di
quelli che l'estatico caldeo mai trasse dalle alte, tranquille stelle!
Qui dove cadde un eroe, cade una colonna! Qui, dove l'Aquila splendette nell'oro, la
mezzanotte vigile tiene il nero pipistrello! Qui, dove le matrone di Roma le loro
dorate chiome agitarono al vento, ora ondeggiano la canna e il cardo! Qui, dove su
un dorato trono il monarca si sdraiò, passa la rapida e silenziosa lucertola delle
pietre!
Ma arrestati! Queste mura, questi archi rivestiti di edere,
questi plinti che si riducono in polvere, queste colonne tristi e nere, questi vaghi
cornicioni, questo fregio sgretolato, queste cornici frantumate, questo naufragio,
questa rovina, queste pietre" ahimè, queste grigie pietre, sono tutto, tutto del
famoso e colossale lasciato dalle roditrici ore al fato e a me.
"Non tutto", gli Echi rispondono: non tutto. Profetici suoni e forti si levano sempre
da noi e da ogni rovina, verso il sapiente, come melodia di Memmone al sole. Noi
dominiamo i cuori degli uomini più potenti; noi dominiamo con dispotico impero
ogni gigantesco spirito.
"Noi non siamo impotenti, noi pallide pietre: non ogni potere è spento, non ogni
nostra gloria, non tutta la magia della alta rinomanza, non tutta la meraviglia che
ne circonda, non tutti i misteri che giacciono in noi; non tutte le memorie che
pendono e si aggrappano intorno a noi come vestimento, abbigliandoci d'un drappo
che vai più della stessa gloria ".
3. DAL FORO ROMANO AL COLOSSEO di M.Me De
STAEL
Questo Foro, il cui recinto è ben limitato, e che ha visto tante cose straordinarie, è
una prova evidente della grandezza morale dell'uomo. Quando l'universo, negli
ultimi tempi di Roma, era sottomesso a padroni senza gloria, si trovano de' secoli
interi di cui la storia può appena conservare alcuni fatti; e questo Foro, questo
piccolo spazio, centro allora d'una città molto circoscritta" e i cui abitanti
combattevano intorno a lei pel suo territorio, questo Foro non ha forse occupato, co'
suoi ricordi, i più grandi geni di ogni tempo ? Sia dunque reso onore, eterno onore
ai popoli coraggiosi e liberi, poiché attirano così gli sguardi dei posteri!
Corinna fece notare a lord Nelvil come a Roma si trovavano ben pochi resti de'
tempi repubblicani. Gli acquedotti, i canali costruiti sotto terra per lo scolo delle
acque, erano il solo lusso della repubblica e dei re che l'hanno preceduta. Di lei non
ci restano che edifizi utili, delle tombe dedicate alla memoria de' suoi grandi uomini,
e alcuni templi di mattone ancora resistenti. Solo dopo la conquista della Sicilia i
Romani fecero uso per la prima volta del marmo pei loro monumenti; ma basta
vedere i luoghi dove le grandi azioni si compirono, per provare un'emozione
indefinibile. A questa disposizione d'animo, appunto, si deve attribuire la potenza
religiosa dei pellegrinaggi. I paesi celebri, anche quando sono spogli de' loro grandi
uomini e de' loro monumenti, esercitano un gran potere sull'immaginazione. Ciò che
colpiva gli sguardi non esiste più, ma vi è restato l'incantesimo del ricordo.
Non si vede sul Foro traccia alcuna di quella famosa tribuna da cui il popolo romano
era governato dall'eloquenza; vi si trovano ancora tre colonne di un tempio
innalzato da Augusto in onore di Giove Tonante quando la folgore cadde a lui vicino
senza colpirlo; un arco di trionfo a Settimio Severo, che il Senato gli eresse in
ricompensa delle sue gesta. I nomi de' suoi due figli, Caracalla e Geta, erano scritti
sul frontone dell'arco;
ma quando il primo ebbe assassinato il secondo, il Senato ne fece togliere il nome e
si vede ancora la traccia delle lettere tolte. Più lungi trovasi un tempio a Faustina,
monumento della debolezza di Marco Aurelio; un tempio di Venere, che, al tempo
della repubblica, era consacrato a Pallade; un poco più lontano le rovine di un
tempio dedicato al Sole e alla Luna, eretto dall'imperatore Adriano, il quale,
essendo geloso di Apollodoro, famoso architetto greco, lo fece perire per aver
biasimato le proporzioni del suo edifizio.
Dall'altro lato della piazza, si vedono le rovine di alcuni monumenti consacrati a
memorie più nobili e più pure: le colonne di un tempio che si crede essere quello di
Giove Statore, di Giove che impediva ai romani di fuggire davanti 'ai loro nemici;
una colonna, resto di un tempio a Giove Custode, posta non lungi dall'abisso dove
Curzio si è precipitato; delle colonne di un tempio eretto secondo gli uni alla
Concordia, secondo altri alla Vittoria;
forse i popoli conquistatori confondono queste due idee, e pensano che non può
esistere vera pace se non quando essi abbiano sottomesso l'universo. All'estremità
del Palatino s'erge un bell'arco di trionfo dedicato a Tito per la conquista di
Gerusalemme. Si dice che gli ebrei che sono a Roma non passino mai sotto
quest'arco, e si mostra un sentiero ch'essi prendono per evitarlo. E da augurarsi,
per l'onore degli ebrei, che quest'aneddoto sia vero: i lunghi dolori convengono alle
grandi sventure.
4. Non lungi di là trovasi l'arco di Costantino, abbellito di alcuni bassorilievi tolti al
Foro Traiano dai cristiani, i quali volevano decorare il monumento consacrato al
fondatore del riposo: così fu chiamato Costantino. Le arti, a quest'epoca, erano già
nella decadenza, e si spogliava il passato per decorare gesta nuove. Quelle porte
trionfali che ancor si vedono a Roma, perpetuavano, per quanto gli uomini lo
possono, gli onori resi alla gloria. In alto ad esse era un posto destinato ai sonatori
di flauto e di trombetta, affinché il vincitore, passando, fosse inebriato nello stesso
momento dalla musica e dalla lode, e provasse tutte le più forti emozioni.
In faccia a questi archi di trionfo sono le rovine del tempio della Pace eretto da
Vespasiano; era tanto ornato di bronzo e d'oro nell'interno, che quando un incendio
lo distrusse, lave di metallo fuso colarono sino nel Foro. Finalmente il Colosseo, la
più bella rovina di Roma, termina il nobile recinto dove si manifesta tutta la storia.
Questo magnifico edificio, di cui esistono solo le pietre spoglie dell'oro e de' marmi,
servì di arena ai gladiatori combattenti contro le bestie feroci. Così si soleva
divertire e ingannare il popolo romano, con emozioni forti, quando i sentimenti
naturali non potevano più avere slancio. Nel Colosseo si entrava da due porte: l'una
era consacrata a vincitori, per l'altra si portavano via i cadaveri. Strano disprezzo
per la specie umana quello di destinare anticipatamente la morte o la vita dell'uomo
al semplice passatempo di uno spettacolo! Tito, il migliore degli imperatori, dedicò
questo Colosseo al popolo romano; e le mirabili rovine portano impresso un così bei
carattere di magnificenza e di genio, che si è tentati d'illudersi sulla vera grandezza,
accordando ai capolavori dell'arte quell'ammirazione che solo è dovuta ai
monumenti consacrati a istituzioni generose.