2. Metacognizione
Il termine “metacognizione” può essere
definito come l’insieme delle attività
psichiche che sovrintendono il
funzionamento cognitivo.
Per metacognizione si intendono tutte
quelle idee, intuizioni etc. che riguardano
una determinata area di funzionamento
cognitivo e che possono essere
considerate anche indipendenti
dall’effettiva attività cognitiva.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
3. Tre Livelli di metacognizione
Si possono distinguere almeno tre livelli di
metacognizione (Cornoldi et al., 2001):
1. Atteggiamento metacognitivo generale: sfera
emotiva, tendenza a riflettere sul funzionamento
mentale o sull’uso appropriato di strategie etc.;
2. Conoscenze metacognitive specifiche:
conoscenze specifiche legate ad una
particolare attività cognitiva (ad es. la memoria)
o all’apprendimento (dallo studio alla
comprensione del testo).
3. Processi metacognitivi di controllo: operazioni
con cui l’individuo effettivamente sovrintende
alle esecuzioni dei propri processi cognitivi.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
5. Le strategie
scegliere le strategia più idonea al tipo di compito
orientarla agli scopi
sostituirla se inadeguata
Se’ Compito Strategie
Pianificazione Controllo Verifica
IL MODELLO
TRICOMPONENZIALE Flavell (1981)
CONOSCENZE METACOGNITIVE
ESPERIENZE METACOGNITIVE
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
6. Le conoscenze Metacognitive
sono rivolte a se stessi, al compito e alle strategie
per risolverlo. In particolare, le conoscenze che
riguardano se stessi possono essere:
Intra-individuali, ossia ognuno conosce l’ambito in
cui può riuscire meglio;
interindividuali, ossia una persona sa di essere
migliore delle altre nell’esecuzione di un compito;
universali, ossia sapere che per svolgere un certo
tipo di compito sono necessarie determinate
attività che consentano e rafforzino l’esecuzione.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
7. Modello Metacognitivo
Uno dei modelli metacognitivi più recenti e
importanti è quello di Borkowski e
Muthukrishna (1994), che considera la
metacognizione come un sistema complesso
e multicomponenziale, in cui le componenti
principali sono:
cognitiva
metacognitiva-strategica
motivazionale-attributiva
emotiva
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
9. Analisi del Modello Metacognitivo
dal rigo centrale partano tutta una serie di
conseguenze (rappresentate dalle frecce) che
non solo riguardano l’ambito dell’apprendimento,
ma che toccano anche la sfera del Sé e degli
stati emotivi personali e motivazionali. Il rigo
principale indica la situazione-tipo di uno studente
che deve affrontare un compito:
compito —> viene affrontato attraverso l’uso di
alcune strategie —> questo dà come effetto una
prestazione, che può essere più o meno positiva
—> quindi lo studente riceve un feedback dal
contesto (solitamente l’insegnante).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
10. Analisi del Modello Metacognitivo
All’inizio della scuola secondaria di secondo
grado l’alunno ha un bagaglio piuttosto limitato di
strategie che conosce per affrontare un compito.
Di solito queste strategie sono state apprese a
partire dalla spiegazione di uno studente più
grande o dall’insegnante.
E’ solo attraverso l’esperienza, le informazioni di
ritorno (feedback) dell’insegnante e dai risultati,
che l’alunno impara a verificare l’efficacia di ogni
strategia in base al tipo di compito e al tipo di stile
cognitivo che lui stesso possiede.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
11. Analisi del Modello Metacognitivo
Attraverso l’esperienza l’allievo, acquisisce
sempre nuove strategie e una maggiore
flessibilità nel loro utilizzo. Tutto questo stimola
lo sviluppo di processi metacognitivi di
controllo grazie ai quali apprendere in
maniera efficiente, ottenendo un miglior
risultato senza uno spreco eccessivo di
energie.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
12. Analisi del Modelllo Borkowski
e Muthukrishna
I processi di controllo influenzano le
conoscenze specifiche sulle strategie e,
indirettamente, le conoscenze di tipo
specifico legate all’ambito
dell’apprendimento. Tutto ciò ha effetti
sui propri stati emotivi e sugli stati
motivazionali (motivazione intrinseca o
estrinseca nei confronti di un compito) e
sul senso di autoefficacia.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
13. Perché un approccio
metacognitivo allo studio?
Una impostazione metacognitiva nello studio
può valorizzare la capacità di pensare (“learning
to think”), la capacità di apprendere (“learning
to learn”) e di sostenere la motivazione
all’apprendimento e la propria autorealizzazione
intellettuale.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
14. Perché un approccio
metacognitivo allo studio?
Un approccio metacognitivo allo studio non si limita ad
insegnare delle nozioni nuove o diverse ma vuole
insegnare allo studente come fare ad imparare delle
nuove nozioni o delle nuove conoscenze, in maniera
più strategica e funzionale.
Come?
rendendo lo studente più sensibile ai propri problemi di
studio
insegnandogli a padroneggiare varie strategie di
studio
insegnandogli un atteggiamento positivo e motivato
verso lo studio
rendendolo consapevole del proprio stile cognitivo.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
15. Lo scopo di un approccio
metacognitivo
Lo scopo di incoraggiare un atteggiamento
metacognitivo nello studente, quindi, è quello di
stimolare in lui un senso di maggior
consapevolezza delle proprie abilità e della loro
modificabilità, di conseguenza della possibilità di
migliorarle.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
16. Lo scopo di un approccio
metacognitivo
Un approccio metacognitivo nei confronti dello studio
aiuta il ragazzo ad avere un atteggiamento più
consapevole nei confronti delle proprie abilità e dei
propri successi e insuccessi.
Il successo scolastico, infatti, non deve essere inteso
solo in termini di risultato di apprendimento ma anche
e soprattutto come soddisfazione per i percorsi fatti e
le tappe raggiunte, seppure intermedie o parziali. Allo
stesso modo l’insuccesso scolastico non deve essere
inteso come un fallimento irreparabile, dovuto alla
sorte avversa o alle proprie immodificabili scarse
abilità.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
17. Scopo di un approccio
metacognitivo per lo sviluppo
di..
Un atteggiamento più consapevole
un processo intenzionale volto
all’apprendimento consapevole e motivato di
qualcosa che non si conosce.
Un atteggiamento metacognitivo inteso in questi
termini avrà certamente un’influenza positiva
sulla propria efficacia, percepita dallo studente
stesso.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
18. Uno studente metacognitivo è
uno studente strategico, cioè che sperimenta
l’utilizzo costante e consapevole di adeguate
strategie di apprendimento: ottenendo buoni
risultati scolastici.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
19. Uno studente metacognitivo
Affinché uno studente sia uno studente di successo
sono necessarie molte componenti:
le abilità possedute,
le diverse conoscenze metacognitive,
le abilità di controllo,
la conoscenza di strategie e il loro uso flessibile e
consapevole,
la consapevolezza metacognitiva dei processi
mentali e la capacità di riferirli e controllarli.
Esiste però un’altra componente di fondamentale
importanza: l’aspetto emotivo-motivazionale correlato
all’apprendimento.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
20. Motivazione
La parola motivazione deriva dal latino “motus” che
significa movimento, quindi motivazione vuol dire
spinta, movimento verso un qualcosa, verso un
obiettivo.
Dr.ssa M. Luisa Boninelli
21. Motivazione
Una più completa definizione di motivazione
potrebbe essere la seguente: “una configurazione
organizzata di esperienze soggettive che consente
di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la
persistenza di un comportamento diretto a uno
scopo” (De Beni et al., 2003, p. 217).
Se pensiamo alle attività scolastiche, la
motivazione allo studio ci spiega perché uno
studente studia più di altro, perché insiste dopo un
fallimento, come studia e così via.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
22. Due tipi di motivazione nel
contesto scolastico
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
23. Esempi di motivazione
intrinseca ed estrinseca
Esempi di motivazione intrinseca sono la
curiosità, l’interesse il desiderio di sentirsi
competente e realizzato in qualcosa.
Esempi di motivazione estrinseca invece
sono quei comportamenti spinti dal
desiderio di ricevere una ricompensa, una
lode, l’approvazione sociale etc.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
26. Dal tipo di motivazione che
spinge un ragazzo a studiare
e ad impegnarsi, dipendono
gli obiettivi che lo studente
stesso si pone.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
27. Obiettivi di prestazione e di
padronanza
In primo luogo cerchiamo di definire il termine
obiettivo di apprendimento. Con questo termini
ci si riferisce alle mete che gli studenti si
prefiggono di realizzare. Queste mete possono
riguardare sia la quantità che la qualità
dell’apprendimento: ad esempio il fatto di voler
leggere un libro in un fine settimana è un
obiettivo di apprendimento riferito alla quantità.
In riferimento alla qualità invece, ci sono diversi
aspetti che possono entrare in gioco, come ad
esempio il valore che si dà ad un
compito, oppure la possibilità di mostrare o
esibire le proprie conoscenze o competenze.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
28. Obiettivi di prestazione
)Gli studenti che sono spinti da motivazione
estrinseca, e quindi hanno come obiettivo del loro
studio quello di mostrare le proprie conoscenze e
di ottenere l’approvazione sociale, si pongono un
obiettivo di prestazione. In altre parole, si ha un
obiettivo di prestazione quando lo scopo è quello
di dimostrare le proprie conoscenze e capacità al
fine di ottenere un giudizio positivo e di evitare
quello negativo. L’esempio più comune è quello
degli studenti che si impegnano solo per ottenere
un buon voto, per ricevere un premio, per “far
contenti” i genitori.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
29. Obiettivi di padronanza
Coloro invece che si
pongono degli obiettivi di
padronanza e quindi si
impegnano per acquisire
delle nuove competenze o
delle nuove conoscenze.
Il lavoro di questi ragazzi è
indipendente dal ricevere
o meno una ricompensa o
un giudizio sociale, ma è
mosso da un interesse
intrinseco.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
30. Obiettivi per Padronanza
Infatti coloro che si pongono degli
obiettivi di padronanza non temono
il fallimento, poiché la loro
prestazione non ha alcuna
conseguenza da un punto di vista
sociale, quindi non temono il
giudizio negativo.
Piuttosto un fallimento o un esito
negativo può venire interpretato
come un insuccesso dovuto ad uno
scarso impegno o ad una difficoltà
tecnica (ad es. una cattiva strategia
di studio) che ha impedito di riuscire
bene nel compito. Il fallimento può
essere vissuto un insegnamento per il
futuro.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
31. Obiettivi per prestazione
Negli obiettivi di prestazione, invece, corrispondono una
interpretazione dell’insuccesso come
un fallimento personale,
incapacità,
Uno studente con una motivazione estrinseca, e quindi
con obiettivi di prestazione, teme il fallimento perché
teme che questo implichi un giudizio negativo su di sé.
Gli esiti negativi sono interpretati come una carenza di
abilità, come la mancanza stabile di competenze per
affrontare quella determinata situazione che ha avuto
uno scarso risultato.
La paura del fallimento porta all’evitamento.
ABBANDONO
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
32. Obiettivi e scelta delle
difficoltà del compito
Dato che la motivazione è strettamente
legata anche all’immagine di sé di uno
studente, il tipo di motivazione e di
obiettivo di apprendimento avrà delle
conseguenze anche nei confronti
dell’atteggiamento generale verso lo
studio e anche verso la scelta dei compiti.
33. Obiettivi e scelta delle difficoltà
del compito
Motivazione
estrinseca
Compiti
semplici
Paura di
commettere errori
Nuovi
contenuti
Perdita di
occasioni
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
37. Motivazione intrinseca
La motivazione intrinseca ha origine
all’interno dell’individuo, come dice la
parola stessa, e questo fa sì che il
soggetto si impegni ad affrontare un
compito per se stesso, senza finalità
esterna, poiché il raggiungimento dello
scopo è di per sè una grande
ricompensa.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
38. Motivazione intrinseca
Secondo Berline (1971) la motivazione intrinseca origina
da quella che lui definisce curiosità epistemica, ossia dal
bisogno universale di conoscere e di apprendere, che si
manifesta nell’ esplorazione dell’ambiente motivata dal
solo desiderio di conoscere e di sapere. Se si pensa ad
un ragazzomolto piccolo, verrà facilmente in mente la
scena in cui egli scruta l’ambiente, i volti che gli stanno
intorno, gli oggetti che vede per la prima volta. Questo
comportamento di esplorazione è presente non solo nei
neonati ma anche nel mondo animale e ha lo scopo
non solo di conoscere, ma pure di padroneggiare e
controllare l’ambiente circostante per sentirsi
competente ed efficace. Questo bisogno è stato
definito bisogno di competenza (effectance).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
39. Teoria della curiosità epistemica
La teoria della curiosità epistemica sottolinea
inoltre l’importanza dell’ambiente e delle
caratteristiche degli stimoli, come novità
complessità, incongruenza, che favoriscono
la curiosità.
Se volessimo applicare questi concetti
all’ambito scolastico dovremmo tener
presente con attenzione anche le modalità
con cui vengono presentati i materiali di
studio, la tipologia dei testi e così via, per
cercare di mantenere attivo un
atteggiamento di curiosità epistemica.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
40. Teoria della curiosità epistemica
Le esperienze di successo e insuccesso, nei tentativi di
padronanza, e la presenza/assenza del mondo degli
adulti rivestono un ruolo molto importante.
Se uno studente viene sostenuto nei suoi primi
tentativi di esplorazione e di padronanza, egli tenderà
a sviluppare un sistema di auto ricompensa che
renderà superflua l’approvazione esterna e agevolerà
lo sviluppo della motivazione intrinseca e di obiettivi di
padronanza.
Tutto ciò farà sentire il ragazzo competente e gli farà
interiorizzare una percezione di controllo personale
che a sua volta permetterà l’aumento della
motivazione alla competenza.
Dr.ssa M. Luisa Boninelli
41. Teoria della curiosità epistemica
Lo studente che invece non viene incoraggiato o
che viene disapprovato nei tentativi di
padronanza, svilupperà un bisogno di
approvazione esterna che lo porterà a sentirsi
dipendente dall’approvazione dell’adulto: gli
obiettivi di prestazione saranno caratterizzati dal
desiderio di mostrare le proprie abilità e dal
timore di fallire e mostrarsi incapace.
Tutto ciò farà sentire il ragazzomeno competente
e più soggetto ad ansia, per paura di fallire. Lo
studente tenderà ad evitare situazioni in cui teme
il fallimento, situazioni che non ritiene alla sua
portata e così via (Harter, 1978).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
42. Tuttavia si può verificare anche il contrario, ossia che un
processo di motivazione intrinseca diventi estrinseca. Un
causa possibile è la presenza, a volte eccessiva, di
gratificazioni o lodi, quando queste non sono
necessarie.
Gli studi di Lepper, Greene e Nisbett (1973) e di Lepper e
Greene (1975), condotti su bambini, hanno dimostrato
che l’introduzione di un premio può ridurre una pre-
esistente motivazione intrinseca. Infatti ragazzi cui
veniva promesso un premio per attività che già
svolgevano spontaneamente, come ad esempio
disegnare, successivamente si rifiutavano di affrontare
quelle stesse attività qualora il premio non venisse più
dato.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
43. Ruolo delle gratificazioni
le gratificazioni non hanno sempre la
funzione di incentivo: a volte rischiano di
produrre l’effetto opposto.
Questo non vuol dire comunque che non
bisogna più gratificare gli alunni , anche
perchè nella maggioranza dei casi le lodi
hanno degli effetti molto positivi e sono
molto apprezzate.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
44. Ruolo delle gratificazioni
Una questione importante da porci è quindi quella di
cercare di capire le caratteristiche di una gratificazione
che sia efficace e non controproducente.
Da alcune ricerche è emerso che una gratificazione
efficace dovrebbe essere (O'Leary e O' Leary, 1977; Schloss
e Smith, 1994):
1. specifica
2. credibile
3. espressa in maniera contingente all’esecuzione del
compito
4. relativa al comportamento e non alla persona
5. informativa, in modo da dare anche dei suggerimenti per
un eventuale miglioramento.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
45. Ruolo delle gratificazioni
Ad esempio, quando diciamo “Bravo!” ad un
studente, stiamo dando una gratificazione
generica che premia più lo studente in sé
piuttosto che il comportamento positivo che
deve essere premiato. Non è raro infatti
vedere l’espressione stupita di uno studente
quando viene lodato in maniera impropria,
poiché non ne capisce il motivo.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
46. Ruolo delle gratificazioni
Una lode efficace invece deve essere specifica e
contingente ad una situazione precisa appena
accaduta, ad esempio: “Sei stato bravo!
Ti sei concentrato tanto e sei riuscito a risolvere
l’espressione senza commettere errori!”.
In questo modo non solo si loda il comportamento
specifico che si ritiene responsabile del successo,
ma si dà implicitamente il suggerimento strategico
secondo cui è necessario concentrarsi, porre
molta attenzione per non sbagliare le espressioni.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
47. Ruolo delle gratificazioni
Sempre gli stessi autori, che hanno studiato
quali sono le caratteristiche delle gratificazioni
efficaci, danno indicazioni sul modo in cui
utilizzare gli incentivi senza demotivare i
ragazzi.
In particolare, suggeriscono di non stimolare la
competizione, ma fare riferimento a standard
esterni, premiare l’impegno, piuttosto che le
abilità, offrire incentivi interessanti e rendere
coinvolgenti i compiti proposti.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
48. Ruolo efficace delle lodi
LODI
CONTROLLANTI
LODI
INFORMATIVE
PER CONTROLLARE
IL
COMPORTAMENTO
DEL RAGAZZO
PER CONTROLLARE
IL
COMPORTAMENTO
DEL RAGAZZO
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
49. Una distinzione simile è stata proposta anche
dalla Dweck (2000), la quale ha individuato tre
tipi di lode:
1. orientata al sé: la lode si focalizza sulle abilità
possedute rispetto a quel dato tipo di
compito (“Bravo!”, “Sei proprio intelligente!”)
2. orientata al risultato: la lode riguarda
principalmente il risultato (“L’esercizio è stato
svolto correttamente!”)
3. orientata alle strategie: la lode aspira al
miglioramento rispetto a situazioni precedenti
(“Hai applicato la regola corretta!” “Si vede
che questa volta ti sei impegnato!”).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
50. Analizziamo il tipo di lode: (“Bravo!”,
“Sei proprio intelligente!”)
Come si potrà intuire, il primo tipo di lode
tende a demotivare, poiché esprime un
giudizio sulle abilità, competenze e
conoscenze possedute dall’individuo, e
non sulle capacità, che possono essere
migliorate. E’ come se si volesse dire: “Sei
bravo, quindi è inutile che ti impegni
tanto, perché tanto riesci lo stesso,
perché sei bravo”.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
51. Analizziamo il tipo di lode: (“L’esercizio
è stato svolto correttamente!”)
Il secondo tipo, invece, è alquanto neutro
perché non considera né le abilità,
eventualmente possedute, né l’impegno
esercitato.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
52. Analizziamo il tipo di lode:
(“Hai applicato la regola corretta!” “Si vede
che questa volta ti sei impegnato!”).
Il terzo tipo invece è quello più efficace, poiché
è motivante. In questo tipo di gratificazione si fa
un apprezzamento di quanto fatto, dello sforzo,
dell’impegno che il ragazzoha messo nello
svolgere l’attività. In questo modo si sostiene il
desiderio di fare ancora di più in futuro, e di
ricercare nuove strategie e compiti più difficili e
nuovi in cui cimentarsi.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
53. Riassumendo…
Queste distinzioni fra lodi di diverso tipo proposte da Stipek
(1996) e Dweck (2000) mettono in luce come il processo
motivazionale non sia relazionato con il tipo di lode in sè,
ma dall’interpretazione che un individuo può darne.
Il modo in cui una persona interpreta un evento, in
particolare una gratificazione, dipende a sua volta da altre
variabili quali le proprie credenze, la propria immagine di
sè, gli obiettivi, il proprio stile attributivo, insomma tutta
quella serie di elementi emotivi motivazionali che si solito si
usano per interpretare gli eventi. (Pazzaglia, Moè, Friso,
Rizzato, 2002 “Empowerment cognitivo e prevenzione
dell’insuccesso, p. 43).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
54. Teoria
dell’autodeterminazione
Non sempre la motivazione è legata ad una
gratificazione esterna. É un’esperienza comune
quella di provare soddisfazione quando abbiamo
la possibilità di scegliere di realizzare qualcosa in
assoluta liberà, senza alcun vincolo, ad esempio
poter comprare qualcosa, fare una corsa o
situazioni simili. Questo senso di soddisfazione è
dato dalla possibilità di poter scegliere
personalmente le attività da svolgere. Deci e Ryan
(1985) hanno studiato questo tipo di motivazione e
hanno proposto la teoria dell’autodeterminazione.
L
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
55. Teoria dell’autodeterminazione
L’autodeterminazione consiste nella libera scelta,
svincolata da bisogni o forze esterne, di condurre
un’azione.
Il prototipo di un comportamento autodeterminato è
l’azione intrinsecamente motivata che implica
curiosità, spontaneità, interesse.
In pratica, l’impegno per l’attività scelta, nel caso del
comportamento autodeterminato, è assolutamente
svincolato da incentivi esterni, da obiettivi o esiti, ma
dipende dal desiderio di svolgere quella particolare
attività per le caratteristiche proprie che la
caratterizzano.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
56. Teoria dell’autodeterminazione
Se un individuo vive una situazione come
libera scelta, mantiene o accresce la
motivazione per quella attività, se invece
questa viene percepita come imposta
dall’esterno la persona si sentirà meno
motivata. Alla base di un comportamento
autodeterminato vi è quindi il bisogno di
sentirsi artefice delle proprie azioni e di
scegliere liberamente il tipo di compito
da svolgere e le modalità in cui svolgerlo.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
58. Vogliamo mantenere vivo il piacere della lettura neglii
studenti dobbiamo cercare di trasmettere questo
piacere, senza far loro percepire la lettura come un
obbligo, un compito scolastico al quale sono costretti.
Quindi è importante lasciare che lo studente sia libero
di scegliere il libro che lo interessa di più, in base ai
criteri che ritiene più opportuni, come il titolo,
l’argomento, o addirittura la copertina.
Approvare le scelte dello studente e stimolarlo ad
avere un comportamento attivo e di ricerca nei
confronti del libro è sicuramente un atteggiamento
appropriato e incoraggiante.
Infine, proporre continuamente verifiche scritte,
riassunti, commenti, analisti del testo, rischia di
appesantire il processo spontaneo di lettura di un libro
e di avvicinarlo ad un “qualsiasi” compito scolastico.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
59. Sempre secondo Deci e Ryan (1985), per essere
autodeterminati bisogna soddisfare tre tipi di bisogni
psicologici innati:
il senso di competenza, ossia la percezione di
controllo e di capacità di azione sull’ambiente;
l’autonomia, cioè la possibilità di scegliere tra
diverse attività e la possibilità di scegliere anche la
modalità di svolgerla;
la relazione, che si riferisce al bisogno innato di
mantenere relazioni sociali.
l’autodeterminazione si riferisce non solo all’avere la
possibilità di fare ciò che si desidera, ma anche al
sentirsi competenti e accettati per le scelte
compiute.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
60. UN CASO COMUNE……un apprendista fuori legge
Consideriamo il seguente caso.
Roberto è un studente di prima superiore con una famiglia di condizione
socioculturale media, ma senza particolari problemi. Il ragazzo ha sempre
incontrato grosse difficoltà scolastiche. Nell’apprendimento della lettura ha sempre
palesato notevoli incertezze, per cui i suoi attuali livelli di abilità di lettura sono
simili a quelli di un ragazzodi prima media. Ma questi problemi sono
comparativamente ‘leggeri’ rispetto a quelli che incontra in quasi tutte le altre aree
scolastiche. In matematica commette continuamente errori gravi, anche in compiti
di grande semplicità. Sembra incapace di costruire un ragionamento lineare
che gli consenta di risolvere un problema o di costruire un discorso, soprattutto se
scritto. Quando è interrogato sui contenuti proposti al suo studio è capace solo di
fornire risposte vaghe e poco coordinate.
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
61. I miseri esiti scolastici del ragazzo, già palesati a conclusione del percorso della scuola secondaria di primo grado
e dimostratisi progressivamente sempre più preoccupanti, hanno portato alla richiesta dell’insegnante di
sostegno e alla ricerca di un aiuto presso dei servizi sociosanitari.
L’assegnazione dell’insegnante di sostegno ha costituito un implicito riconoscimento della
condizione di “handicap” di Roberto.
Ma è vero che Roberto è un alunno con disabilità ?
La prima impressione che Roberto offre e’ quella di un ragazzo simpatico, sorridente,
con uno sguardo vivace, che però perde facilmente il filo dei ragionamenti e incontra
difficoltà a organizzarsi.
Questa impressione non corrisponde a quella offerta tipicamente da ragazzi con disturbo
della personalità o con ritardo mentale, mentre offre eventualmente qualche indicatore
associato al disturbo d’attenzione (che però non appare a tal punto presente da
giustificare una diagnosi in questo senso).
Si procede ad un esame clinico che non evidenzia alcun indicatore neurologico particolare
e che, soprattutto, mette in luce un livello intellettivo generale ‘normale’ (il QI ottenuto
da Roberto, di 90, è vicino al QI medio di 100 e ben lontano dal QI di 70 che dovrebbe
costituire il criterio sotto il quale è consentita una diagnosi di ritardo mentale).
Dr.ssa M.Luisa Boninelli
62. Dr.ssa M.Luisa Boninelli
Quando viene discusso il caso di Roberto fra gli operatori interessati, vi e’ una certa
sorpresa nel conoscere il QI che egli ha ottenuto. Ci si domanda come Robert
possa ottenere delle prestazioni scolastiche così basse, pur avendo delle
potenzialità intellettive discrete.
Si nota inoltre che la diagnosi conseguente per Roberto (quella di ‘disturbo
specifico di apprendimento’) viene spesso associata al caso di ragazzi intelligenti
e con difficoltà scolastiche, ove tuttavia queste difficoltà riguardano solo specifiche
aree di apprendimento (per esempio lettura, calcolo, ecc.) e non si generalizzano
– come nel caso in questione - a tutte o quasi le aree scolastiche.
Viene spiegato agli operatori che quest’ultima concezione nasce dal fatto che i
disturbi altamente specifici sono quelli che più colpiscono l’attenzione e sono
occasione di più frequente citazione, ma non corrispondono affatto alla
maggioranza dei disturbi specifici di apprendimento.
Infatti, un disturbo può essere specifico perché altamente selettivo, ma anche
perché non interessa le funzioni intellettive di base.
In seguito al riesame del caso, gli operatori sono costretti a modificare il loro
atteggiamento e gli stessi obiettivi educativi.