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Teoria dei mercati multilaterali e struttura organizzativa:
una proposta per un’organizzazione “service designed”.
1. Premessa:
“Ogni azienda sarà una digital company!” Tatiana Rizzante, amministratrice di Reply,
chiudeva in questo modo l’Xchange 2015, ma quanti, tra coloro che stavano applaudendo in
sala, avevano capito davvero il significato di quell’affermazione? Probabilmente molto pochi
se, a quasi tre anni di distanza, questa frase conserva ancora il fascino del misterioso e chi la
pronuncia, anche in contesti evoluti, è guardato come una sorta di sacerdote della
tecnologia.
La velocità con cui la tecnologia sta diffondendosi nei processi aziendali, siano essi
produttivi o di sola commercializzazione, ha portato il mondo imprenditoriale, inteso in
senso lato e, quindi, comprese anche le posizioni executive, a doversi confrontare con un
contesto apparentemente molto distante dai concetti della microeconomia classica e, in
fondo, dalle leggi che hanno governato il fare impresa a partire dalla fine dell’800. In realtà,
come vedremo più avanti, la presunta distanza concettuale è il risultato di un
fraintendimento profondo alla cui base c’è un’inversione logica: quella tra mezzi e fini.
Sul fatto che la tecnologia sia solo una piattaforma abilitante servizi di varia natura e
non, com’era intesa anche solo 3 anni fa, la finalità dell’agire imprenditoriale, è un concetto
acquisito. Anche in questa visione, però, è presente il seme pericoloso del fraintendimento:
seppure viste come mezzi, lo sviluppo di piattaforme tecnologiche ha in sé la radice della
finalità. Realizzare infrastrutture digitali, ancorchè funzionali, è considerato ancora oggi
come una sorta di viatico digitale verso una nuova forma di vendita di prodotti e servizi.
In questa impostazione sono presenti tre errori concettuali:
- Il primo che vede nella tecnologia, e segnatamente in quella digitale, una specie
di addendum organizzativo a cui adattare le prassi invalse negli anni.
- Il secondo che interpreta il “digitale” come una nuova funzione organizzativa: il
digital management.
- Il terzo che, interpretando in modo ingegneristico la definizione di “modalità
tecnica”, ripensa i processi organizzativi esclusivamente in funzione commerciale:
nuove modalità di erogazione di servizi ai clienti.
È su questo canovaccio della narrazione che si sono scritti i 3 atti di una “Commedia degli
errori” che, anziché scuotere le lance, scuote ben più pericolosamente le maniglie dei portoni
aziendali.
2. Il Digitale:
Con questo termine si identificano, nel linguaggio comune, tutte quelle tecnologie
cosiddette “nuove”, anche se ormai quasi decennali, che si basano o sulla diffusione
pervasiva tra gli utenti anche non specializzati, o che, pur riferendosi ad utenti specifici,
sono in grado di rendere accessibili serie di informazioni prima quasi impossibili da ottenere.
In entrambi i casi, inevitabilmente, si finisce con il considerare queste tecnologie come una
2
sovrastruttura funzionale al modello di business precedente o, nella migliore delle ipotesi,
come una scorciatoia efficiente finalizzata alla proposta di nuovi prodotti o servizi.
Il “digitale” non è nulla di tutto questo, è un modo di intendere l’organizzazione
aziendale che si radica, ampliandola, nella teoria dei sistemi organizzativi. Si tratta di una
modalità interpretativa della struttura organizzativa attraverso la quale rivedere
completamente l’operare dell’impresa. Pertanto il digitale non è un addendum funzionale,
non ha introdotto una nuova funzione organizzativa e, altrettanto, non può esaurire la sua
funzione esclusivamente nei confronti dell’ambiente esterno all’impresa.
Questa impostazione permette di far emergere le caratteristiche fondamentali della
tecnologia digitale, comprendendo, nel contempo, anche le ragioni profonde, oggi spesso
inconsapevoli, della sua pervasività. Il digitale è:
- Un trasferimento strutturato di informazioni dall’Offerta alla Domanda (riduzione
delle asimmetrie informative);
- Una semplificazione della struttura dei Canali (riduzione delle asimmetrie
organizzative);
- Gestione delle esternalità positive e negative (governo degli effetti prodotti
dall’ecosistema organizzativo).
Queste caratteristiche strutturali delle tecnologie digitali operano
indipendentemente da vincoli organizzativi esterni, o imposti, e concorrono a plasmare
l’ambiente in cui l’impresa opera. Contribuire alla formazione dell’ambiente circostante,
però, è opera di un ecosistema e non di una filiera. Ecco, allora, che emerge un’altra fonte di
confusione: l’ambiente non è, per definizione, solo quello esterno all’impresa (clienti,
fornitori e terze economie), ma, con la rivoluzione digitale, anche la struttura organizzativa
interna è “ambiente”.
Questa interpretazione “latu sensu” dell’ambiente ha come conseguenza che la
riscrittura delle logiche imprenditoriali in ottica di “servizio” non possa fermarsi
esclusivamente a rivedere il modello di formazione dei ricavi, ma debba anche
reinterpretare le modalità interne di creazione del valore; in altre parole la struttura
organizzativa.
3. La struttura organizzativa:
La riscrittura delle regole di governo di un’organizzazione è opera complessa, e
questo lavoro non ne ha né l’ambizione né, tantomeno, le basi accademiche. Compito di
questo scritto, però, è stimolare la riflessione sui passaggi fondamentali da percorrere per
poter reinterpretare le regole di ingaggio di una struttura organizzativa.
La prima, forse banale, di queste regole è comprendere che il primo cambiamento
deve essere culturale e solo poi organizzativo e, alla fine tecnologico. Invertire l’ordine di
questi fattori significa ricadere in uno dei 3 errori evidenziati in premessa. Va abolito il
motto “abbiamo sempre fatto così, e ha funzionato”: l’esperienza non è più una virtù.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che le informazioni sono costose da
produrre, ma molto economiche da riprodurre. In sostanza l’informazione ha costi fissi
iniziali alti e difficilmente recuperabili nel breve periodo, ma ha costi variabili successivi
tendenti a zero, avendo riproducibilità illimitata. È questa la tipica situazione della creazione
3
di infrastrutture, dalla palificata SIP ai tralicci dell’ENEL alla, infine, struttura organizzativa di
un’impresa.
A questo punto diventa chiaro che per sviluppare una struttura organizzativa “service
designed” non è sufficiente preoccuparsi solo dei terzi esterni all’impresa, ma è
fondamentale anche rimodellare l’intera organizzazione in una logica di servizio. Il salto
culturale è notevolissimo perché non si tratta di vedere le altre funzioni, o divisioni, aziendali
come dei “clienti”, definendo delle regole di transfer price interne, ma di concepire l’azienda
stessa come una serie di ecosistemi interoperabili e non più come un insieme di funzioni
coordinate gerarchicamente.
La struttura, di conseguenza, diventa un insieme di processi a cui le diverse funzioni
partecipano in misura variabile, in base alle finalità del processo stesso.
La figura seguente esemplifica il concetto: i singoli cilindri colorati rappresentano le
funzioni impiegate per completare un processo. La dimensione dei cilindri definisce il
diverso contributo di ogni singola funzione al raggiungimento dell’obiettivo attribuito al
processo.
(Fig. 1)
Rivedere il disegno della struttura organizzativa in logica di processo, anzichè di funzione,
ha una serie di vantaggi:
- Gratificazione e valorizzazione della risorsa umana impiegata che smette di eseguire
un compito slegato dal resto dell’organizzazione, per essere inserita in un contesto di
azione più completo;
F4
F3
F2
F1
4
- Educazione alla complessità, perchè una società iperconnessa, per non diventare
irresponsabile, deve educare i propri membri a gestire e capire la complessità;
- Maggiore responsabilizzazione degli addetti che prendono consapevolezza
dell’importanza del loro compito non solo in relazione ad una entità astratta, ma in
rapporto a loro colleghi individuati in maniera specifica;
- Efficacia nel conseguimento del fine processuale: non basta “fare il proprio lavoro”,
occorre farlo nei tempi e nei modi corretti per il buon esito del processo.
Ogni funzione, quindi, è vista non in sè, ma come parte di un processo e, quindi, al
servizio reciproco di tutte le altre. In questo modo:
- Si eliminano i silos verticali di informazioni;
- Si sbloccano valori e competenze interne;
esattamente come avviene per i progetti di servitization esterna.
Questo passaggio culturale, inoltre, ha riflessi molto importanti sui meccanismi di
valutazione dei compiti e di gestione del tempo:
- Agevola la gestione decentrata del lavoro: la valutazione è sul conseguimento del
fine del processo, non sulla singola funzione e sul luogo in cui si esegue il lavoro;
- Riduce i costi di coordinamento esterno attivando meccanismi di controllo sociale
interno, a carico dei singoli partecipanti;
- Definisce con maggior chiarezza sistemi incentivanti, perchè non può succedere di
dover premiare la corretta esecuzione di un compito funzionale pur in presenza di un
fallimento complessivo del processo.
4. HUB e gestione delle esternalità:
Per poter funzionare correttamente un’impostazione organizzativa per processi ha la
necessità di individuare un HUB, inteso come luogo di transito efficiente dei flussi
informativi interfunzionali.
L’introduzione di un HUB come motore organizzativo è il passaggio fondamentale per
progettare una struttura “service designed”. Questo perchè l’HUB presuppone l’esistenza di
un mercato multilaterale a cui gli utenti sono incentivati a partecipare, sulla base di una
serie di regole che garantiscano reciproci vantaggi. Ecco perchè progettare l’intera struttura
attorno ad un HUB significa flettere l’organizzazione aziendale verso una logica service
designed. I processi interni diventano la risultante di una serie di interazioni interfunzionali,
incentivate alla partecipazione attiva al “mercato” delle informazioni per effetto delle
ricompense offerte dalla snellezza operativa garantita dall’HUB.
In un’ottica di processo questi flussi informativi diventano esternalità e come tali
vanno gestiti. È evidente che l’HUB, così come definito, è una piattaforma di AI avanzata i cui
costi, oggi, sono assai più accessibili di quanto non si creda.
5
(Fig. 2)
Nella figura 2 sono esplicitati I flussi informativi interfunzionali che transitano
attarverso l’HUB. Si tratta di un diagramma che evidenzia le esternalità cross side prodotte
dalla struttura e che, in un’ottica di servizio, devono divenire patrimonio del processo cui si
riferiscono.
(Fig. 3)
Nella figura 3 sono, invece, resi evidenti I flussi informativi intrafunzionali che,
transitando attraverso l’HUB, ritornano all’emittente con un contenuto informativo
arricchito. Si tratta delle esternalità same side che svolgono il compito di mantenere alta
l’attenzione dei partecipanti, sviluppando senso di appartenenza e competenze specifiche.
F n
F 3
F 1
F 2
HUB
HUB
F 3
F n F 1
F 2
6
La gestione delle esternalità si fonda sull’analisi dei parametri di rilevanza e
attenzione. L’eliminazione delle ridondanze informative, il traffico di broadcasting in gergo
delle reti, è, quindi, il primo compito che un HUB è chiamato a svolgere, per evitare una
perdita di significatività dei parametri analizzati.
Nella configurazione proposta, la rilevanza è data dalla frequenza informativa della
funzione organizzativa emittente, ponderata per l’importanza di quest’ultima nel
completamento del processo; l’attenzione è misurata dalla velocità con cui, all’interno della
funzione, avviene l’esecuzione del compito. In termini precisi, l’attenzione produce
esternalità same side, mentre la rilevanza genera esternalità cross side.
Lo sviluppo di un contesto organizzativo impostato sulla base di un mercato
multilaterarle, quale è quello ipotizzato, ha la conseguenza di incentivare le singole funzioni
ad utilizzare l’HUB e, quindi, a sviluppare sempre più processi. Contrariamente alle funzioni,
la cui crescita autoreferente rischia di generare una sorta di metastasi organizzativa,
l’aumento dei processi richiede una sempre maggiore interazione con l’ambiente esterno,
che diventa la parte sussidiata di un mercato multilaterale promosso dall’organizzazione
stessa attraverso l’HUB. Questo significa, detto altrimenti, che l’intera struttura avrà
l’interesse ad aumentare lo scambio di informazioni con l’esterno e, di conseguenza, a
chiedere a tutte le terze parti possibili non solo di partecipare ai processi ma, addirittura di
attivarne di nuovi. A questo punto diventa chiaro l’orientamento service designed della
struttura che, per la sua stessa convenienza, si fa parte attiva nel far emergere, per
risolverle, tutte le eventuali disfunzioni che coinvolgono i terzi esterni.
Restano da individuare i meccanismi di incentivazione alla partecipazione al
processo. Da questo punto di vista va ricordato che un HUB rappresenta il modo più
efficiente per gestire uno, o più, processi definiti. In questo senso il transito informativo
attraverso l’HUB si concretizza in un minor carico di lavoro per la funzione e, inoltre, in un
recupero di efficienza complessivo. Inoltre, da non sottovalutare, lo sviluppo di meccanismi
valutativi per processi, anzichè per funzioni, consente una valutazione di squadra, anzichè
singola, che rende decisamente più conveniente la partecipazione.
5. Conclusioni:
Ricordando che lo scopo del presente NON è quello di esaurire gli argomenti
proposti, e neanche di trattarli superficialmente, ma solo di portare all’attenzione la
necessità di sviluppare un approccio “service designed” anche per la struttura organizzativa
interna dando, nel contempo, una traccia operativa da seguire, non resta che concludere
sostenendo che il cambiamento, prima che organizzativo e tecnologico, deve essere
culturale. Non si tratta di un passaggio semplice, ma i vantaggi potenziali giustificano la
fatica da fare. Un primo passo può essere quello di rivedere il vocabolario tecnico con cui si
identificano alcuni passaggi chiave. È curioso, per esempio, che ancora oggi si usi il termine
“filiera”, che identifca una tecnica produttiva di fine ‘800, per definire l’ecosistema in cui
opera l’impresa, e “silos”, termine originariamente agricolo, per identificare le riserve di
competenza e di valore. Forse più che curioso, oggi rischia di essere fuorviante.

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La struttura organizzativa: un'ipotesi di partenza per un'organizzazione service designed.

  • 1. 1 Teoria dei mercati multilaterali e struttura organizzativa: una proposta per un’organizzazione “service designed”. 1. Premessa: “Ogni azienda sarà una digital company!” Tatiana Rizzante, amministratrice di Reply, chiudeva in questo modo l’Xchange 2015, ma quanti, tra coloro che stavano applaudendo in sala, avevano capito davvero il significato di quell’affermazione? Probabilmente molto pochi se, a quasi tre anni di distanza, questa frase conserva ancora il fascino del misterioso e chi la pronuncia, anche in contesti evoluti, è guardato come una sorta di sacerdote della tecnologia. La velocità con cui la tecnologia sta diffondendosi nei processi aziendali, siano essi produttivi o di sola commercializzazione, ha portato il mondo imprenditoriale, inteso in senso lato e, quindi, comprese anche le posizioni executive, a doversi confrontare con un contesto apparentemente molto distante dai concetti della microeconomia classica e, in fondo, dalle leggi che hanno governato il fare impresa a partire dalla fine dell’800. In realtà, come vedremo più avanti, la presunta distanza concettuale è il risultato di un fraintendimento profondo alla cui base c’è un’inversione logica: quella tra mezzi e fini. Sul fatto che la tecnologia sia solo una piattaforma abilitante servizi di varia natura e non, com’era intesa anche solo 3 anni fa, la finalità dell’agire imprenditoriale, è un concetto acquisito. Anche in questa visione, però, è presente il seme pericoloso del fraintendimento: seppure viste come mezzi, lo sviluppo di piattaforme tecnologiche ha in sé la radice della finalità. Realizzare infrastrutture digitali, ancorchè funzionali, è considerato ancora oggi come una sorta di viatico digitale verso una nuova forma di vendita di prodotti e servizi. In questa impostazione sono presenti tre errori concettuali: - Il primo che vede nella tecnologia, e segnatamente in quella digitale, una specie di addendum organizzativo a cui adattare le prassi invalse negli anni. - Il secondo che interpreta il “digitale” come una nuova funzione organizzativa: il digital management. - Il terzo che, interpretando in modo ingegneristico la definizione di “modalità tecnica”, ripensa i processi organizzativi esclusivamente in funzione commerciale: nuove modalità di erogazione di servizi ai clienti. È su questo canovaccio della narrazione che si sono scritti i 3 atti di una “Commedia degli errori” che, anziché scuotere le lance, scuote ben più pericolosamente le maniglie dei portoni aziendali. 2. Il Digitale: Con questo termine si identificano, nel linguaggio comune, tutte quelle tecnologie cosiddette “nuove”, anche se ormai quasi decennali, che si basano o sulla diffusione pervasiva tra gli utenti anche non specializzati, o che, pur riferendosi ad utenti specifici, sono in grado di rendere accessibili serie di informazioni prima quasi impossibili da ottenere. In entrambi i casi, inevitabilmente, si finisce con il considerare queste tecnologie come una
  • 2. 2 sovrastruttura funzionale al modello di business precedente o, nella migliore delle ipotesi, come una scorciatoia efficiente finalizzata alla proposta di nuovi prodotti o servizi. Il “digitale” non è nulla di tutto questo, è un modo di intendere l’organizzazione aziendale che si radica, ampliandola, nella teoria dei sistemi organizzativi. Si tratta di una modalità interpretativa della struttura organizzativa attraverso la quale rivedere completamente l’operare dell’impresa. Pertanto il digitale non è un addendum funzionale, non ha introdotto una nuova funzione organizzativa e, altrettanto, non può esaurire la sua funzione esclusivamente nei confronti dell’ambiente esterno all’impresa. Questa impostazione permette di far emergere le caratteristiche fondamentali della tecnologia digitale, comprendendo, nel contempo, anche le ragioni profonde, oggi spesso inconsapevoli, della sua pervasività. Il digitale è: - Un trasferimento strutturato di informazioni dall’Offerta alla Domanda (riduzione delle asimmetrie informative); - Una semplificazione della struttura dei Canali (riduzione delle asimmetrie organizzative); - Gestione delle esternalità positive e negative (governo degli effetti prodotti dall’ecosistema organizzativo). Queste caratteristiche strutturali delle tecnologie digitali operano indipendentemente da vincoli organizzativi esterni, o imposti, e concorrono a plasmare l’ambiente in cui l’impresa opera. Contribuire alla formazione dell’ambiente circostante, però, è opera di un ecosistema e non di una filiera. Ecco, allora, che emerge un’altra fonte di confusione: l’ambiente non è, per definizione, solo quello esterno all’impresa (clienti, fornitori e terze economie), ma, con la rivoluzione digitale, anche la struttura organizzativa interna è “ambiente”. Questa interpretazione “latu sensu” dell’ambiente ha come conseguenza che la riscrittura delle logiche imprenditoriali in ottica di “servizio” non possa fermarsi esclusivamente a rivedere il modello di formazione dei ricavi, ma debba anche reinterpretare le modalità interne di creazione del valore; in altre parole la struttura organizzativa. 3. La struttura organizzativa: La riscrittura delle regole di governo di un’organizzazione è opera complessa, e questo lavoro non ne ha né l’ambizione né, tantomeno, le basi accademiche. Compito di questo scritto, però, è stimolare la riflessione sui passaggi fondamentali da percorrere per poter reinterpretare le regole di ingaggio di una struttura organizzativa. La prima, forse banale, di queste regole è comprendere che il primo cambiamento deve essere culturale e solo poi organizzativo e, alla fine tecnologico. Invertire l’ordine di questi fattori significa ricadere in uno dei 3 errori evidenziati in premessa. Va abolito il motto “abbiamo sempre fatto così, e ha funzionato”: l’esperienza non è più una virtù. Il secondo aspetto da tenere in considerazione è che le informazioni sono costose da produrre, ma molto economiche da riprodurre. In sostanza l’informazione ha costi fissi iniziali alti e difficilmente recuperabili nel breve periodo, ma ha costi variabili successivi tendenti a zero, avendo riproducibilità illimitata. È questa la tipica situazione della creazione
  • 3. 3 di infrastrutture, dalla palificata SIP ai tralicci dell’ENEL alla, infine, struttura organizzativa di un’impresa. A questo punto diventa chiaro che per sviluppare una struttura organizzativa “service designed” non è sufficiente preoccuparsi solo dei terzi esterni all’impresa, ma è fondamentale anche rimodellare l’intera organizzazione in una logica di servizio. Il salto culturale è notevolissimo perché non si tratta di vedere le altre funzioni, o divisioni, aziendali come dei “clienti”, definendo delle regole di transfer price interne, ma di concepire l’azienda stessa come una serie di ecosistemi interoperabili e non più come un insieme di funzioni coordinate gerarchicamente. La struttura, di conseguenza, diventa un insieme di processi a cui le diverse funzioni partecipano in misura variabile, in base alle finalità del processo stesso. La figura seguente esemplifica il concetto: i singoli cilindri colorati rappresentano le funzioni impiegate per completare un processo. La dimensione dei cilindri definisce il diverso contributo di ogni singola funzione al raggiungimento dell’obiettivo attribuito al processo. (Fig. 1) Rivedere il disegno della struttura organizzativa in logica di processo, anzichè di funzione, ha una serie di vantaggi: - Gratificazione e valorizzazione della risorsa umana impiegata che smette di eseguire un compito slegato dal resto dell’organizzazione, per essere inserita in un contesto di azione più completo; F4 F3 F2 F1
  • 4. 4 - Educazione alla complessità, perchè una società iperconnessa, per non diventare irresponsabile, deve educare i propri membri a gestire e capire la complessità; - Maggiore responsabilizzazione degli addetti che prendono consapevolezza dell’importanza del loro compito non solo in relazione ad una entità astratta, ma in rapporto a loro colleghi individuati in maniera specifica; - Efficacia nel conseguimento del fine processuale: non basta “fare il proprio lavoro”, occorre farlo nei tempi e nei modi corretti per il buon esito del processo. Ogni funzione, quindi, è vista non in sè, ma come parte di un processo e, quindi, al servizio reciproco di tutte le altre. In questo modo: - Si eliminano i silos verticali di informazioni; - Si sbloccano valori e competenze interne; esattamente come avviene per i progetti di servitization esterna. Questo passaggio culturale, inoltre, ha riflessi molto importanti sui meccanismi di valutazione dei compiti e di gestione del tempo: - Agevola la gestione decentrata del lavoro: la valutazione è sul conseguimento del fine del processo, non sulla singola funzione e sul luogo in cui si esegue il lavoro; - Riduce i costi di coordinamento esterno attivando meccanismi di controllo sociale interno, a carico dei singoli partecipanti; - Definisce con maggior chiarezza sistemi incentivanti, perchè non può succedere di dover premiare la corretta esecuzione di un compito funzionale pur in presenza di un fallimento complessivo del processo. 4. HUB e gestione delle esternalità: Per poter funzionare correttamente un’impostazione organizzativa per processi ha la necessità di individuare un HUB, inteso come luogo di transito efficiente dei flussi informativi interfunzionali. L’introduzione di un HUB come motore organizzativo è il passaggio fondamentale per progettare una struttura “service designed”. Questo perchè l’HUB presuppone l’esistenza di un mercato multilaterale a cui gli utenti sono incentivati a partecipare, sulla base di una serie di regole che garantiscano reciproci vantaggi. Ecco perchè progettare l’intera struttura attorno ad un HUB significa flettere l’organizzazione aziendale verso una logica service designed. I processi interni diventano la risultante di una serie di interazioni interfunzionali, incentivate alla partecipazione attiva al “mercato” delle informazioni per effetto delle ricompense offerte dalla snellezza operativa garantita dall’HUB. In un’ottica di processo questi flussi informativi diventano esternalità e come tali vanno gestiti. È evidente che l’HUB, così come definito, è una piattaforma di AI avanzata i cui costi, oggi, sono assai più accessibili di quanto non si creda.
  • 5. 5 (Fig. 2) Nella figura 2 sono esplicitati I flussi informativi interfunzionali che transitano attarverso l’HUB. Si tratta di un diagramma che evidenzia le esternalità cross side prodotte dalla struttura e che, in un’ottica di servizio, devono divenire patrimonio del processo cui si riferiscono. (Fig. 3) Nella figura 3 sono, invece, resi evidenti I flussi informativi intrafunzionali che, transitando attraverso l’HUB, ritornano all’emittente con un contenuto informativo arricchito. Si tratta delle esternalità same side che svolgono il compito di mantenere alta l’attenzione dei partecipanti, sviluppando senso di appartenenza e competenze specifiche. F n F 3 F 1 F 2 HUB HUB F 3 F n F 1 F 2
  • 6. 6 La gestione delle esternalità si fonda sull’analisi dei parametri di rilevanza e attenzione. L’eliminazione delle ridondanze informative, il traffico di broadcasting in gergo delle reti, è, quindi, il primo compito che un HUB è chiamato a svolgere, per evitare una perdita di significatività dei parametri analizzati. Nella configurazione proposta, la rilevanza è data dalla frequenza informativa della funzione organizzativa emittente, ponderata per l’importanza di quest’ultima nel completamento del processo; l’attenzione è misurata dalla velocità con cui, all’interno della funzione, avviene l’esecuzione del compito. In termini precisi, l’attenzione produce esternalità same side, mentre la rilevanza genera esternalità cross side. Lo sviluppo di un contesto organizzativo impostato sulla base di un mercato multilaterarle, quale è quello ipotizzato, ha la conseguenza di incentivare le singole funzioni ad utilizzare l’HUB e, quindi, a sviluppare sempre più processi. Contrariamente alle funzioni, la cui crescita autoreferente rischia di generare una sorta di metastasi organizzativa, l’aumento dei processi richiede una sempre maggiore interazione con l’ambiente esterno, che diventa la parte sussidiata di un mercato multilaterale promosso dall’organizzazione stessa attraverso l’HUB. Questo significa, detto altrimenti, che l’intera struttura avrà l’interesse ad aumentare lo scambio di informazioni con l’esterno e, di conseguenza, a chiedere a tutte le terze parti possibili non solo di partecipare ai processi ma, addirittura di attivarne di nuovi. A questo punto diventa chiaro l’orientamento service designed della struttura che, per la sua stessa convenienza, si fa parte attiva nel far emergere, per risolverle, tutte le eventuali disfunzioni che coinvolgono i terzi esterni. Restano da individuare i meccanismi di incentivazione alla partecipazione al processo. Da questo punto di vista va ricordato che un HUB rappresenta il modo più efficiente per gestire uno, o più, processi definiti. In questo senso il transito informativo attraverso l’HUB si concretizza in un minor carico di lavoro per la funzione e, inoltre, in un recupero di efficienza complessivo. Inoltre, da non sottovalutare, lo sviluppo di meccanismi valutativi per processi, anzichè per funzioni, consente una valutazione di squadra, anzichè singola, che rende decisamente più conveniente la partecipazione. 5. Conclusioni: Ricordando che lo scopo del presente NON è quello di esaurire gli argomenti proposti, e neanche di trattarli superficialmente, ma solo di portare all’attenzione la necessità di sviluppare un approccio “service designed” anche per la struttura organizzativa interna dando, nel contempo, una traccia operativa da seguire, non resta che concludere sostenendo che il cambiamento, prima che organizzativo e tecnologico, deve essere culturale. Non si tratta di un passaggio semplice, ma i vantaggi potenziali giustificano la fatica da fare. Un primo passo può essere quello di rivedere il vocabolario tecnico con cui si identificano alcuni passaggi chiave. È curioso, per esempio, che ancora oggi si usi il termine “filiera”, che identifca una tecnica produttiva di fine ‘800, per definire l’ecosistema in cui opera l’impresa, e “silos”, termine originariamente agricolo, per identificare le riserve di competenza e di valore. Forse più che curioso, oggi rischia di essere fuorviante.