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Federico Pigni: Il Web Marketing Transalpino | Casi di
Successo del Turismo 2.0 | Formazione Turismo
http://www.formaz ioneturismo.com/in- evidenz a/federico- pigni- il- web- marketing- transalpino- casi- di- successo- del- turismo- 2- 0
                                                                                                                         March 11, 2013



Casi di Successo del Turismo 2.0, interviste e case histories dal mondo del Travel e del Web
Marketing, ogni primo mercoledì del mese, affiancate alla Rubrica “Turismo 2.0 Navigando si
impara”.

Oggi incontriamo Federico Pigni, Assistant Professor, in Management & Technology, presso
la Grenoble Ecole de Management – GEM, italiano d’origine ed europeo d’adozione. In equilibrio
tra ricerca, docenza e lavoro sul campo, con at t ivit à imprendit oriali e consulenze.

Ti sei perso le ultime interviste? Ecco come rimediare?
Muse Comunicazione presenta l’Intervista al Professor Federico Pigni, docente di Management
& Technology, presso la Grenoble Ecole de Management, gradevole conversazione sul destino
del Web Marketing d’Oltralpe, lo stato dell’arte del Digital Marketing nostrano, il futuro della
Formazione ed altre amenità.

Muse Comunicazione: Federico Pigni, italianissimo docente alla Ecole de Management di
Grenoble. Ci puoi raccontare in poche pennellate il quadro del tuo excursus professionale.

Federico: Ho sempre mantenuto un profilo misto, accademico e professionale. Dopo la laurea
e il servizio militare ho accettato una borsa di addestramento didattico scientifico all’Universit à
Carlo Cat t aneo – LIUC. Negli stessi anni ho poi fondato con alcuni compagni di scuola una
società che si occupava di sviluppi Web. In LIUC ho completato il mio dottorato di ricerca.

Ho abbandonato dopo circa 6 anni la carriera da imprenditore e ho voluto provare l’ebbrezza di
un anno in ricerca e sviluppo in una multinazionale, sono quindi partito per Sophia Antipolis e
sono diventato post-dottorando in Orange – France Telecom.

E la Francia ha iniziato a entrarmi nel sangue. In seguito sono ritornato in Italia e con il collega
Samuele Astuti abbiamo gettato le basi per costituire in seno a LIUC un laboratorio di
trasferimento tecnologico sulla tecnologia RFId (ndr. Radio Frequency IDentification)

Oltre agli impegni universitari mi occupavo, negli stessi anni, di innovazione nel set t ore
bancario (principalmente su metodologie per l’innovazione e sulla relazione con il cliente e lo
sviluppo della filiale) e ho collaborato a diversi progetti con i principali istituti di credito.

Nel 2010 ho deciso di accettare un posto a ‘tempo indeterminato’ a Grenoble, dove, oltre alle
attività di insegnamento e ricerca partenariale, studio le opportunità di creazione di valore
at t raverso lo sf rut t ament o di f lussi di dat i in t empo reale (una tematica che abbiamo
chiamato Digital Data Stream).

Muse Comunicazione: Immaginiamo di compilare la tua carta di identità: rivelaci qualche dato
anagrafico e quello che vuoi tu…

Federico: Tra qualche giorno compirò 37 anni. Ho una compagna meravigliosa e sto per
diventare papà per la prima volta. Amo l’astronomia e la vela… e pure le tecnologie
dell’informazione, ma qui è difficile distinguere tra lavoro e piacere. E credo che la mia fortuna
stia proprio in questo: il mio lavoro mi piace e mi diverte.

Muse Comunicazione: E qui non posso che darti ragione.
Perché sei approdato a Grenoble? Raccontaci le caratteristiche e i percorsi di studio proposti da
questa Scuola? Qual è il tuo ruolo e cosa insegni?

Federico: A Grenoble c’era un gruppo di ricerca capeggiato da Gabriele Piccoli che si occupava
di tematiche che mi interessavano. Ho così ottenuto una posizione di permanente a Grenoble
Ecole de Management, a condizioni che ho reputato interessanti. Insomma mi sembrava
un’ottima opportunità per migliorare le mie capacità accademiche e di ricerca.

Grenoble Ecole de Management – GEM è quello che in Francia si chiama una “grande ecole”.
La scuola ha una buona reputazione essendo tra le prime dieci in Francia e molti programmi
sono, secondo il Financial Time, tra i primi dieci al mondo. Non è un’università nel senso vero del
termine, ma una Business School. Come tale vi è una rigorosa selezione all’ingresso e si
accede solo per concorso. Gli studenti prima devono superare un esame nazionale ed essere
classificati, poi, e in base all’esito, possono scegliere la scuola a cui fare domanda. Tanto per
darti un’idea, riceviamo circa 15.000 domande l’anno – il numero più alto in Francia – ne
riteniamo circa 3.000 come ammissibili e accettiamo solo 650 studenti l’anno – master esclusi.
Vi si può accedere solo 2 o 3 anni di studi dopo il BAC (il loro esame di maturità).

La scuola è chiaramente orientata agli aspetti manageriali e la formazione prevede sia diplomi
triennali sia, a livelli successivi e specialistiche (quindi BAC+3 significa livello bachelor ossia
laurea triennale, BAC+5 laurea specialistica o laurea con master, BAC+8 post laurea, nonché i
dottorati).

Il punto forte di GEM è la sua vocazione manageriale e tecnologica. E’ uno dei membri fondatori
di un “campus di innovazione”, chiamato GIANT, che raggruppa le diverse istituzioni di ricerca e
formazione nelle tecnologie della comunicazione, delle energie rinnovabili e bioscienze. Ancora,
giusto per dare un’idea, il campus prevede un investimento di 1,2 miliardi di Euro nel quinquennio
2010-2015.

Per quanto mi riguarda, sono il responsabile per i corsi di sist emi inf ormat ivi sia per GGSB
(la business school anglofona di GEM) che per ESC (la business school Francese).
Oltre al ruolo di responsabile, insegno anche in tutti i corsi che poi coordino e quindi faccio
formazione sia in francese che in inglese.

I corsi che tengo hanno l’obiettivo di responsabilizzare i futuri manager a considerare
appropriatamente le tecnologie dell’informazione nella formulazione delle loro strategie,
mostrando come esse possano svolgere un ruolo fondamentale (e strategico) per la
competitività dell’impresa.

Muse Comunicazione: Hai insegnato anche in Italia? Quali differenze tra le due esperienze
puoi sottolinearci?

Federico: Sì ho insegnato anche in Italia, oltre che in LIUC anche in Cat t olica e in Bocconi
(solo master) per oltre dieci anni. La differenza più profonda che mi sembra di vedere è che in
Italia si tenda a fare studiare di più. Quello che intendo è che generalmente in Italia tendiamo ad
assegnare uno o più testi di riferimento e lo studente, oltre a quello che si fa in classe, all’esame
porta il contenuto del libro.

A livello di Business School si lavora molto di più in classe e l’apprendimento è in sostanza
basato su casi, deduzione e tesine. La t eoria si discut e solo alla f ine, dopo la discussione del
problema. In una frase, molto più pragmatico e meno teorico.

L’altra cosa un po’ particolare è la quantità di stranieri che frequentano le formazioni master. In
certe classi mi capita di avere almeno una decina di nazionalità diverse: italiani, francesi, indiani,
libanesi, egiziani, cinesi, coreani, giapponesi, americani, argentini, colombiani, …

Muse Comunicazione: Diverse provenienze, diversi vissuti ed esperienze. Sicuramente un
contesto stimolante per il discente, ma anche per il docente. Perché in Italia un contesto di
questo tipo non è attuale ed anche difficilmente ipotizzabile per il futuro?

Federico: Credo che la ragione sia l’attrattività paese per quanto concerne la formazione. Gli
studenti a livello internazionale scelgono la scuola in base alle “classifiche”, i ranking delle scuole
e le certificazioni.

Per farti un esempio, uno studente che decidesse di venire in Europa a studiare in una
business school, quasi certamente per orientarsi farebbe riferimento al ranking del Financial
Times.
Se lo scorri, ti accorgi che solo due istituzioni italiane sono presenti (in settima e quarantesima
posizione) su un totale di settantacinque… ed entrambe le scuole sono a Milano. Quindi a
parte le note eccellenze – che ci sono, si badi bene, e sono riconosciute – l’attrattività delle
nostre scuole non è il massimo. Considera che la Francia piazza tre business school nella top
10 europea.

Attrattività delle scuole ben diversa da quella paese che potremmo ben sfruttare: infatti gli
studenti internazionali sono attirati dall’Italia, ma non dalla nostra offerta formativa. E
comunque una volta “formati” credo sia difficile trattenerli con allettanti condizioni lavorative.

Con questo non considerarmi un sostenitore dei ranking, anzi, il problema è che sono gli
studenti a farne uso, in una specie di problema uovo-gallina.

Muse Comunicazione: In che misura una Business School, con un approccio così pragmatico,
con un fil rouge così stretto con le aziende, aiuta a formare il Manager o l’E-marketer di domani,
rispetto ad un percorso più accademico come quello italiano?
Federico: Credo che sia dovuto a tre fattori principali: ricerca, insegnament o e business.

Io lavoro in una business school e la mia ricerca è ovviamente orientata al business, in
particolare io cerco di aiutare le organizzazioni ad appropriarsi al meglio dei potenziali strategici
che l’ICT mette a disposizione. Per fare questo non posso essere certo chiuso in una torre
d’avorio, anzi, come dico sempre: ho il muso ben piantato nel business.

Considera che le mie ricerche sono finanziate da organizzazioni private ed imprese. Occuparmi
di temi non rilevanti per il business significherebbe per me non poter “vendere” la mia ricerca e
quindi non poter avere i fondi per condurla. Il cerchio si chiude perché se spesso scherziamo sul
“chi non sa, insegna”, garantisco che nelle business school trovo sempre più docenti che sanno
e insegnano.

Infine, sempre facendo riferimento al “fil rouge”, quando progettiamo i corsi il nostro
interlocutore principale resta l’azienda: la formazione è funzionale ai bisogni ed alla loro
anticipazione. Siamo bravi quando formiamo su ciò che serve e servirà.

Quando progettiamo un corso, la scuola ci mette a disposizione un budget per invitare al
comitato scientifico manager e ricercatori a livello internazionale, con lo scopo di farli
partecipare allo sviluppo dell’offerta formativa.

Questo ci porta ad essere pragmatici ed efficaci.

Muse Comunicazione: I tuoi percorsi didattici prevedono corsi e moduli di Corporate Web
Communication, di Strategie di Branding On-line, di utilizzo e sviluppo di reti sociali… L’azienda
oggi e quindi il Manager di domani possono prescindere dall’utilizzo del Digital marketing e del
Social networking, nei loro piani aziendali, nella stessa quotidianità, nello svolgimento dei propri
compiti?

Federico: Ti rispondo con un leggero sorriso sulle labbra perché è un po’ come chiedere al
fornaio se il suo pane è buono! Ti rispondo come sempre faccio in questi casi: dipende, ma nella
maggior parte dei casi, no. Prescindere credo sia davvero molto difficile.

Nel settore del turismo, tu mi insegni, credo sia imprescindibile. Ti propongo lo stesso esempio
che faccio ai miei studenti per introdurli al discorso. L’estate scorsa dovevo raggiungere i miei
genitori a Varese partendo da Roma. Non avevo voglia di farmi tutto il viaggio e a un bel
momento decido di uscire dall’autostrada. Orvieto. Ora, non avevo la più pallida idea di dove
alloggiare, prendo il cellulare e vado su Booking.com. Seleziono così l’hotel in base a tre criteri:
“centralità”, rating e prezzo. Passo una bellissima nottata anche perché ero capitato al
momento di un jazz festival e ho avuto musica live direttamente in camera semplicemente
tenendo aperte le finestre. Il giorno successivo il padrone dell’hotel, molto alla vecchia maniera,
mi chiede come è andata, se mi sono trovato bene e se non mi hanno infastidito “i rumori di ieri
sera”. “Rumori?” replico io. “Sì… sa, la musica di ieri notte: vede un cliente ieri si è lamentato del
rumore e oggi mi sono trovato un feedback negativo sul Booking.com che mi ha fatto scendere
di 0,1 rispetto all’hotel di fronte”.

Se sviluppo l’esempio cosa ottengo: devo insegnare queste cose ai miei studenti – futuri
manager – , devo fare ricerca e capire quali strategie permettono la migliore gestione della
relazione con i propri clienti e ai manager devo fornire strumenti per decidere come organizzarsi
e gestire i feedback online. Mmmmm, mi sa che non posso prescindere dall’utilizzo del Digital
marketing e del Social networking.

Muse Comunicazione: Parliamo di contrattura e di crisi. Senza scomodare i grandi sistemi, dal
mondo dell’imprenditoria e dei mercati, ma anche del cittadino comune si chiede a gran voce un
piano strategico per la Crescita. In Italia si stenta a comprendere la difficoltà delle aziende, che
anche nel settore alberghiero sono prevalentemente PMI, spesso aziende a conduzione
familiare, che non hanno la forza di innovare, rendere più attuali e competitive le proprie
strategie. Non esistono (o per lo meno non ci sono stati ancora rivelati) piani italiani per
sostenere ed incentivare ricerca, sperimentazione, aggiornamento, formazione in azienda,
consulenza ed affiancamento di specialisti presso le stesse strutture.

Che futuro vedi per le piccole aziende italiane in affanno?

Federico: Qui credo che sia opportuno distinguere da problemi strutturali e contingenti.

Forse in modo un po’ naïve sono convinto che abbiamo appena scalfito il potenziale turistico
del nostro paese, a causa di un ritardo infrastrutturale enorme. Criticamente mi sembra che
siamo senza una direzione precisa, senza invest iment i mirat i, senza una visione di lungo
t ermine e che speriamo che “l’effetto Italia” (sole, mare e buon cibo) e “patrimonio dell’umanità”
bastino da soli a far vivere il settore turismo.

Il problema è che le nostre imprese non hanno voce in capitolo ed è invece proprio dove credo
che gli investimenti pubblici porterebbero i maggiori benefici. Attenzione, non finanziamenti
pubblici a pioggia, ma ben mirati per dotare di infrastrutture adeguate di accoglienza e di servizi
le nostre molteplici zone ad elevata attrattività turistica.

Quello che manca è un piano strategico che identifichi precise priorità, interventi ed evoluzioni.
Se poi avessimo la bella abitudine di “far di conto” anche nell’invest iment o pubblico,
potremmo anche iniziare a valutare quali investimenti, in quali servizi rendono di più e replicare in
altre aree.

Insomma, fare quello che ogni azienda fa: faccio un investimento e valuto bene quanto mi ha
reso. Con i soldi pubblici, mi sembra che si perda un po’ quello spirito che ci rende unici al
mondo: l’imprenditorialità.

In termini contingenti proprio le PMI hanno la possibilità di af f acciarsi sul mercat o globale e
pensare a offerte specifiche che veicolino il proprio brand on line.

Internet ci ha dato un nuovo canale di comunicazione, i Social Net work un modo nuovo di
comunicare con la clientela. Certo, sfruttare questo “World of Mouths” non è banale e farsi
accompagnare in questo percorso è raccomandabile. Non stiamo neppure parlando di
investimenti mostruosi: è vero costano poco, ma non sono servizi “una tantum”.

Perseguire una st rat egia di comunicazione on line non è come semplicemente acquistare un
servizio, dimenticarsene e incassare. Non è costruire un sito web graficamente accattivante e
sperare che così i clienti in tutto il mondo ci troveranno. Si richiede un preciso allineamento tra
la soluzione, le necessità dell’organizzazione, le sue capacità e anche la sua maturità.

È un po’ come un processo di apprendimento, magari prima di andare con le nostre gambe
avremo bisogno di un aiuto, ma l’obiettivo è poi camminare da soli una volta che si è capito
come fare. Pensa ancora a Orvieto e al calo di 0,1 del ranking di Booking.com

Muse Comunicazione: Grazie per questo quadro ben tratteggiato sulle opportunità (grandi) e i
rischi (molti) del panorama sul quale si affacciano le piccole medie imprese italiane, anche del
settore Travel. Soprattutto in relazione al nuovo ruolo che hanno assunto Rete Sociali e Internet.

Ma torniamo al Paese che ti ospita…

In Francia, dove vivi, operi e nel quale dai il tuo contributo anche in termini di competenza,
creatività per la crescita del Paese, quale clima si respira, anche in relazione ai recenti sviluppi
socio-politici?

Federico: Il clima è chiaramente di incertezza, ma percepisco un minore nervosismo rispetto a
quando rientro in Italia.
Hollande prima di insediarsi, la sera in cui ha saputo di essere eletto, nel suo discorso agli
elettori ha detto una frase che mi ha colpito molto: “Nous ne sommes pas n’importe quel pays
de la planète, n’importe quelle nation du monde. Nous sommes la France” (Noi non siamo un
paese qualsiasi di questo pianeta o una nazione qualsiasi del mondo. Noi siamo la Francia). A
volte accusiamo i nostri cugini francesi di essere un po’ vanitosi, ma forse un po’ più di
consapevolezza del nostro potenziale ci vorrebbe anche da noi.

Noi non siamo un paese qualsiasi. Noi siamo l’Italia. A noi cambiare le cose.

Muse Comunicazione: La tua esperienza transalpina, quasi mitteleuropea, ti porta ad avere una
visione meno costretta e più ampia. Come vedi da lassù il panorama europeo, soprattutto sotto
l’ottica del futuro immediato delle imprese e dei ragazzi che studiano, si stanno formando e
cercano di costruire il proprio progetto di vita?

Federico: Sarà perché sono sempre a contatto con dei giovani che ho un’estrema fiducia in
loro. Nella mia scuola abbiamo anche un incubatore di start-up dove alcuni nostri studenti
stanno facendo crescere il proprio progetto imprenditoriale. Forse uno dei problemi maggiori
che abbiamo è che come europei a livello mondiale possiamo apparire passé, nel senso di
“vecchi”.

Ricordo una presentazione che fece qualche mese fa un docente di origini indiane ad una
conferenza. Dopo aver ascoltato i progetti che i giovani ricercatori europei avevano sviluppato
disse:

Mi sono piacevolmente stupito di constatare quanto potenziale innovativo
abbiate. Non l’avrei mai detto vista l’immagine che abbiamo dell’Europa

Ancora una volta, la percezione è qualcosa di importante, ma i nostri giovani
sono la nostra principale risorsa. Facciamo di tutto per dare loro un contesto
dove possano realizzare i propri potenziali, altrimenti il nostro rischio è quello di
vederli part ire insieme ai capit ali.

Muse Comunicazione: Federico anche tu sei un cervello in fuga. Espressione un po’ grezza
e… parziale anche perché insieme all’aspetto razionale, si allontana lo spirito, spesso la
creatività, il cuore, quindi la parte dei valori, della struttura etica e degli affetti di una persona.

Come vivi personalmente lavorare e vivere in un’altra nazione?

In senso più ampio, non ritieni un rischio assistere impotenti alla fuoriuscita irrefrenabile dei
migliori professionisti, docenti, ricercatori che l’Italia ha cresciuto, formato e sui quali dovremmo
puntare con le nostre risorse, forze ed energie?

Federico: Vero. Sono espatriato e orgogliosissimo dei miei italici natali, della mia educazione in
Italia e delle opportunità che il Paese mi ha dato. Come italiano all’estero sono sfiduciato dal
“sistema Italia”.

La flessibilità che ci ha permesso la miriade di PMI che fanno l’economia del nostro paese ci ha
portato ad essere una delle principali economie del pianet a. La nostra capacità di resistere
alle crisi e di adattarci ai cambiamenti economici, ci ha reso però miopi nel programmare il futuro.

Non abbiamo adeguatamente investito in innovazione e ricerca e ancora una volta proprio le
PMI hanno dovuto farsi carico di queste mancanze. Non che le eccellenze manchino, come
dicevo. L’Italia è ricca di eccellenze, peccato che a livello aggregat o e di sist ema paese siamo
sotto media.

Sviluppo vuol dire innovazione, vuol dire imprenditoria, vuol dire fiducia nel futuro, vuol dire
giovani.
I potenziali ci sono, ora sta a noi creare le condizioni perché non vadano perduti.

Dovremmo smetterla di navigare a vista e iniziare a programmare, investire e agire oggi per il
futuro. Non come si è fatto finora: programmare oggi la giornata di domani.

Visto poi che il mio campo si riferisce alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è
necessario che si operi adeguatamente un trasferimento delle competenze che esistono nelle
accademie, verso il tessuto industriale e viceversa. Se le nostre imprese non investono nelle
università non possiamo sperare nella ricerca applicata, allo stesso modo se le università
puntano a una ricerca applicata lontana dai bisogni delle imprese, come possono pretendere di
essere finanziati?

Il corollario di questo è che universit à, imprese e St at o sono gli ingredienti fondamentali per
un paese che innova (qui non invento nulla, ma si tratta di studi scientifici).

Muse Comunicazione: In Italia si stanno diffondendo percorsi formativi, corsi e master, che
cercano di cucire quello strappo tra formazione accademica e reali bisogni e dinamiche del
mondo del lavoro.

FormazioneTurismo, portale che ci ospita, ha come missione di segnalare queste esperienze e
di informare giovani manager e operatori del settore Travel che necessitano di aggiornamento e
di confronto sulle nuove strategie di Web Marketing.

Io stessa do il mio contributo come docente in alcuni di queste esperienze, soprattutto
nell’ambito Turistico – alberghiero, con moduli di Web Communication, Web Marketing, Content
Marketing, Social Networking.

Si può pensare a Territori e Associazioni di categoria che propongano percorsi di formazione e
di affiancamento /accompagnamento in azienda agli operatori turistico-albergieri.

Come pensi che il comparto Travel in Italia possa aggiornarsi ed allinearsi con altri paesi
europei più evoluti e con strategie commerciali/marketing decisamente più competitive?

Federico: Mi concentro sugli elementi che le imprese possono cont rollare.

• A livello di impresa, riconoscere una mancanza è il primo passo verso la soluzione. Il problema
è dunque legato alla consapevolezza dei potenziali.

• Azioni specifiche anche a livello associativo devono essere intraprese per sensibilizzare le
imprese verso i nuovi modelli di comunicazione.

Social network, piattaforme di booking, nuovi intermediari, blog, motori di ricerca hanno
radicalmente cambiato lo scenario del marketing tradizionale. Non solo, i contesti d’uso sono
mutati. Siamo sempre più mobili, abbiamo tablet e smartphone, utilizziamo app e ci siamo
abituati ad avere i servizi a distanza di un click (non di mouse, ma di dito!). Usciamo
dall’autostrada e vogliamo scegliere il miglior hotel e impostare l’indirizzo sul navigatore,
vogliamo poter regalare soggiorni a condizioni particolarmente vantaggiose, vogliamo “fare
l’affare” del giorno e avere una camera a metà prezzo e prendere un volo per pochi euro. Come
operatori possiamo conoscere in tempo reale cosa pensano i nostri clienti di noi (cito ancora
l’esempio di Booking.com o TripAdvisor) e adeguarci alle loro esigenze molto più rapidamente.
Non dobbiamo neppure gestire più i questionari cartacei nelle camere: i nostri clienti si
esprimono on line. Faccio un esempio banale: se online abbiamo un modulo di prenotazione,
perché non raccogliere le preferenze del nostro cliente? Perché non chiedergli la bevanda
preferita e fargliela trovare in camera andando oltre la bottiglia d’acqua? Tecnologicamente è
semplicissimo, in termini di marketing il valore è chiaro, ma io trovo sempre la bottiglietta
d’acqua. Siamo cambiati. I nostri clienti sono cambiati e come operatori dobbiamo cambiare.

Riassumo in pochi punti:
1. Sensibilizzare, per diffondere la consapevolezza del problema;
2. Inf ormare, per spiegare potenziali e opportunità;
3. Trasf erire conoscenza, per fornire gli strumenti per innovare;
4. Innovare, sulla base dei nostri strumenti;
5. Misurare, i risultati che abbiamo ottenuto.

E queste azioni devono essere coordinate per fornire alle imprese le basi per poter innovare e
competere. Come accennavi, le azioni organiche e anche dirette a livello associat ivo e
t errit oriale sono chiaramente auspicabili.

Muse Comunicazione: Musica per le mie orecchie… Tu non sai quante volte affronto questi
temi, ma non mi arrendo!

Cosa consigli ai giovani italiani che vogliono diventare manager nel settore dell’Hotellerie (e non
solo)?

Federico: Consiglierei loro di prepararsi bene. Non è un settore facile, richiede flessibilità e
imprenditorialità. In Italia abbiamo delle ottime scuole e l’estero può essere utile per confrontarsi
con realtà di gestione differenti e, perché no, per specializzarsi anche in grandi catene.

Dici bene poi quando parli di manager nel settore dell’Hotellerie.

Gestione di:

• qualità
• innovazione
• cambiamento
• esperienza cliente
• economica e finanziaria
• leadership
• delega

sono tutti at t ribut i manageriali propri di questo settore.

Quindi consiglio una solida preparazione manageriale unita ad una forte curiosità verso le
novità: le abitudini dei nostri clienti cambiano ormai con un click.

———–

Ringrazio Federico per la disponibilità, il tempo dedicatomi e per aver sfoderato sorprendenti
capacità Multitasking…

Grazie a FormazioneTurismo che da più di un anno ci ospita.

L’intervista ti è piaciuta? Ti ha creato curiosità, domande o idee nuove? Condividile, scrivendoci
a info@musecomunicazione.it oppure vieni sul Forum Web Marketing Turistico Alberghiero.
Oppure commenta il post… Ti stiamo aspettando.

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Federico Pigni: Il Web Marketing Transalpino

  • 1. Federico Pigni: Il Web Marketing Transalpino | Casi di Successo del Turismo 2.0 | Formazione Turismo http://www.formaz ioneturismo.com/in- evidenz a/federico- pigni- il- web- marketing- transalpino- casi- di- successo- del- turismo- 2- 0 March 11, 2013 Casi di Successo del Turismo 2.0, interviste e case histories dal mondo del Travel e del Web Marketing, ogni primo mercoledì del mese, affiancate alla Rubrica “Turismo 2.0 Navigando si impara”. Oggi incontriamo Federico Pigni, Assistant Professor, in Management & Technology, presso la Grenoble Ecole de Management – GEM, italiano d’origine ed europeo d’adozione. In equilibrio tra ricerca, docenza e lavoro sul campo, con at t ivit à imprendit oriali e consulenze. Ti sei perso le ultime interviste? Ecco come rimediare?
  • 2. Muse Comunicazione presenta l’Intervista al Professor Federico Pigni, docente di Management & Technology, presso la Grenoble Ecole de Management, gradevole conversazione sul destino del Web Marketing d’Oltralpe, lo stato dell’arte del Digital Marketing nostrano, il futuro della Formazione ed altre amenità. Muse Comunicazione: Federico Pigni, italianissimo docente alla Ecole de Management di
  • 3. Grenoble. Ci puoi raccontare in poche pennellate il quadro del tuo excursus professionale. Federico: Ho sempre mantenuto un profilo misto, accademico e professionale. Dopo la laurea e il servizio militare ho accettato una borsa di addestramento didattico scientifico all’Universit à Carlo Cat t aneo – LIUC. Negli stessi anni ho poi fondato con alcuni compagni di scuola una società che si occupava di sviluppi Web. In LIUC ho completato il mio dottorato di ricerca. Ho abbandonato dopo circa 6 anni la carriera da imprenditore e ho voluto provare l’ebbrezza di un anno in ricerca e sviluppo in una multinazionale, sono quindi partito per Sophia Antipolis e sono diventato post-dottorando in Orange – France Telecom. E la Francia ha iniziato a entrarmi nel sangue. In seguito sono ritornato in Italia e con il collega Samuele Astuti abbiamo gettato le basi per costituire in seno a LIUC un laboratorio di trasferimento tecnologico sulla tecnologia RFId (ndr. Radio Frequency IDentification) Oltre agli impegni universitari mi occupavo, negli stessi anni, di innovazione nel set t ore bancario (principalmente su metodologie per l’innovazione e sulla relazione con il cliente e lo sviluppo della filiale) e ho collaborato a diversi progetti con i principali istituti di credito. Nel 2010 ho deciso di accettare un posto a ‘tempo indeterminato’ a Grenoble, dove, oltre alle attività di insegnamento e ricerca partenariale, studio le opportunità di creazione di valore at t raverso lo sf rut t ament o di f lussi di dat i in t empo reale (una tematica che abbiamo chiamato Digital Data Stream). Muse Comunicazione: Immaginiamo di compilare la tua carta di identità: rivelaci qualche dato anagrafico e quello che vuoi tu… Federico: Tra qualche giorno compirò 37 anni. Ho una compagna meravigliosa e sto per diventare papà per la prima volta. Amo l’astronomia e la vela… e pure le tecnologie dell’informazione, ma qui è difficile distinguere tra lavoro e piacere. E credo che la mia fortuna stia proprio in questo: il mio lavoro mi piace e mi diverte. Muse Comunicazione: E qui non posso che darti ragione. Perché sei approdato a Grenoble? Raccontaci le caratteristiche e i percorsi di studio proposti da questa Scuola? Qual è il tuo ruolo e cosa insegni? Federico: A Grenoble c’era un gruppo di ricerca capeggiato da Gabriele Piccoli che si occupava di tematiche che mi interessavano. Ho così ottenuto una posizione di permanente a Grenoble Ecole de Management, a condizioni che ho reputato interessanti. Insomma mi sembrava un’ottima opportunità per migliorare le mie capacità accademiche e di ricerca. Grenoble Ecole de Management – GEM è quello che in Francia si chiama una “grande ecole”. La scuola ha una buona reputazione essendo tra le prime dieci in Francia e molti programmi sono, secondo il Financial Time, tra i primi dieci al mondo. Non è un’università nel senso vero del termine, ma una Business School. Come tale vi è una rigorosa selezione all’ingresso e si accede solo per concorso. Gli studenti prima devono superare un esame nazionale ed essere classificati, poi, e in base all’esito, possono scegliere la scuola a cui fare domanda. Tanto per darti un’idea, riceviamo circa 15.000 domande l’anno – il numero più alto in Francia – ne riteniamo circa 3.000 come ammissibili e accettiamo solo 650 studenti l’anno – master esclusi. Vi si può accedere solo 2 o 3 anni di studi dopo il BAC (il loro esame di maturità). La scuola è chiaramente orientata agli aspetti manageriali e la formazione prevede sia diplomi triennali sia, a livelli successivi e specialistiche (quindi BAC+3 significa livello bachelor ossia laurea triennale, BAC+5 laurea specialistica o laurea con master, BAC+8 post laurea, nonché i dottorati). Il punto forte di GEM è la sua vocazione manageriale e tecnologica. E’ uno dei membri fondatori di un “campus di innovazione”, chiamato GIANT, che raggruppa le diverse istituzioni di ricerca e
  • 4. formazione nelle tecnologie della comunicazione, delle energie rinnovabili e bioscienze. Ancora, giusto per dare un’idea, il campus prevede un investimento di 1,2 miliardi di Euro nel quinquennio 2010-2015. Per quanto mi riguarda, sono il responsabile per i corsi di sist emi inf ormat ivi sia per GGSB (la business school anglofona di GEM) che per ESC (la business school Francese). Oltre al ruolo di responsabile, insegno anche in tutti i corsi che poi coordino e quindi faccio formazione sia in francese che in inglese. I corsi che tengo hanno l’obiettivo di responsabilizzare i futuri manager a considerare appropriatamente le tecnologie dell’informazione nella formulazione delle loro strategie, mostrando come esse possano svolgere un ruolo fondamentale (e strategico) per la competitività dell’impresa. Muse Comunicazione: Hai insegnato anche in Italia? Quali differenze tra le due esperienze puoi sottolinearci? Federico: Sì ho insegnato anche in Italia, oltre che in LIUC anche in Cat t olica e in Bocconi (solo master) per oltre dieci anni. La differenza più profonda che mi sembra di vedere è che in Italia si tenda a fare studiare di più. Quello che intendo è che generalmente in Italia tendiamo ad assegnare uno o più testi di riferimento e lo studente, oltre a quello che si fa in classe, all’esame porta il contenuto del libro. A livello di Business School si lavora molto di più in classe e l’apprendimento è in sostanza basato su casi, deduzione e tesine. La t eoria si discut e solo alla f ine, dopo la discussione del problema. In una frase, molto più pragmatico e meno teorico. L’altra cosa un po’ particolare è la quantità di stranieri che frequentano le formazioni master. In certe classi mi capita di avere almeno una decina di nazionalità diverse: italiani, francesi, indiani, libanesi, egiziani, cinesi, coreani, giapponesi, americani, argentini, colombiani, … Muse Comunicazione: Diverse provenienze, diversi vissuti ed esperienze. Sicuramente un contesto stimolante per il discente, ma anche per il docente. Perché in Italia un contesto di questo tipo non è attuale ed anche difficilmente ipotizzabile per il futuro? Federico: Credo che la ragione sia l’attrattività paese per quanto concerne la formazione. Gli studenti a livello internazionale scelgono la scuola in base alle “classifiche”, i ranking delle scuole e le certificazioni. Per farti un esempio, uno studente che decidesse di venire in Europa a studiare in una business school, quasi certamente per orientarsi farebbe riferimento al ranking del Financial Times. Se lo scorri, ti accorgi che solo due istituzioni italiane sono presenti (in settima e quarantesima posizione) su un totale di settantacinque… ed entrambe le scuole sono a Milano. Quindi a parte le note eccellenze – che ci sono, si badi bene, e sono riconosciute – l’attrattività delle nostre scuole non è il massimo. Considera che la Francia piazza tre business school nella top 10 europea. Attrattività delle scuole ben diversa da quella paese che potremmo ben sfruttare: infatti gli studenti internazionali sono attirati dall’Italia, ma non dalla nostra offerta formativa. E comunque una volta “formati” credo sia difficile trattenerli con allettanti condizioni lavorative. Con questo non considerarmi un sostenitore dei ranking, anzi, il problema è che sono gli studenti a farne uso, in una specie di problema uovo-gallina. Muse Comunicazione: In che misura una Business School, con un approccio così pragmatico, con un fil rouge così stretto con le aziende, aiuta a formare il Manager o l’E-marketer di domani, rispetto ad un percorso più accademico come quello italiano?
  • 5. Federico: Credo che sia dovuto a tre fattori principali: ricerca, insegnament o e business. Io lavoro in una business school e la mia ricerca è ovviamente orientata al business, in particolare io cerco di aiutare le organizzazioni ad appropriarsi al meglio dei potenziali strategici che l’ICT mette a disposizione. Per fare questo non posso essere certo chiuso in una torre d’avorio, anzi, come dico sempre: ho il muso ben piantato nel business. Considera che le mie ricerche sono finanziate da organizzazioni private ed imprese. Occuparmi di temi non rilevanti per il business significherebbe per me non poter “vendere” la mia ricerca e quindi non poter avere i fondi per condurla. Il cerchio si chiude perché se spesso scherziamo sul “chi non sa, insegna”, garantisco che nelle business school trovo sempre più docenti che sanno e insegnano. Infine, sempre facendo riferimento al “fil rouge”, quando progettiamo i corsi il nostro interlocutore principale resta l’azienda: la formazione è funzionale ai bisogni ed alla loro anticipazione. Siamo bravi quando formiamo su ciò che serve e servirà. Quando progettiamo un corso, la scuola ci mette a disposizione un budget per invitare al comitato scientifico manager e ricercatori a livello internazionale, con lo scopo di farli partecipare allo sviluppo dell’offerta formativa. Questo ci porta ad essere pragmatici ed efficaci. Muse Comunicazione: I tuoi percorsi didattici prevedono corsi e moduli di Corporate Web Communication, di Strategie di Branding On-line, di utilizzo e sviluppo di reti sociali… L’azienda oggi e quindi il Manager di domani possono prescindere dall’utilizzo del Digital marketing e del Social networking, nei loro piani aziendali, nella stessa quotidianità, nello svolgimento dei propri compiti? Federico: Ti rispondo con un leggero sorriso sulle labbra perché è un po’ come chiedere al fornaio se il suo pane è buono! Ti rispondo come sempre faccio in questi casi: dipende, ma nella maggior parte dei casi, no. Prescindere credo sia davvero molto difficile. Nel settore del turismo, tu mi insegni, credo sia imprescindibile. Ti propongo lo stesso esempio che faccio ai miei studenti per introdurli al discorso. L’estate scorsa dovevo raggiungere i miei genitori a Varese partendo da Roma. Non avevo voglia di farmi tutto il viaggio e a un bel momento decido di uscire dall’autostrada. Orvieto. Ora, non avevo la più pallida idea di dove alloggiare, prendo il cellulare e vado su Booking.com. Seleziono così l’hotel in base a tre criteri: “centralità”, rating e prezzo. Passo una bellissima nottata anche perché ero capitato al momento di un jazz festival e ho avuto musica live direttamente in camera semplicemente tenendo aperte le finestre. Il giorno successivo il padrone dell’hotel, molto alla vecchia maniera, mi chiede come è andata, se mi sono trovato bene e se non mi hanno infastidito “i rumori di ieri sera”. “Rumori?” replico io. “Sì… sa, la musica di ieri notte: vede un cliente ieri si è lamentato del rumore e oggi mi sono trovato un feedback negativo sul Booking.com che mi ha fatto scendere di 0,1 rispetto all’hotel di fronte”. Se sviluppo l’esempio cosa ottengo: devo insegnare queste cose ai miei studenti – futuri manager – , devo fare ricerca e capire quali strategie permettono la migliore gestione della relazione con i propri clienti e ai manager devo fornire strumenti per decidere come organizzarsi e gestire i feedback online. Mmmmm, mi sa che non posso prescindere dall’utilizzo del Digital marketing e del Social networking. Muse Comunicazione: Parliamo di contrattura e di crisi. Senza scomodare i grandi sistemi, dal mondo dell’imprenditoria e dei mercati, ma anche del cittadino comune si chiede a gran voce un piano strategico per la Crescita. In Italia si stenta a comprendere la difficoltà delle aziende, che anche nel settore alberghiero sono prevalentemente PMI, spesso aziende a conduzione familiare, che non hanno la forza di innovare, rendere più attuali e competitive le proprie
  • 6. strategie. Non esistono (o per lo meno non ci sono stati ancora rivelati) piani italiani per sostenere ed incentivare ricerca, sperimentazione, aggiornamento, formazione in azienda, consulenza ed affiancamento di specialisti presso le stesse strutture. Che futuro vedi per le piccole aziende italiane in affanno? Federico: Qui credo che sia opportuno distinguere da problemi strutturali e contingenti. Forse in modo un po’ naïve sono convinto che abbiamo appena scalfito il potenziale turistico del nostro paese, a causa di un ritardo infrastrutturale enorme. Criticamente mi sembra che siamo senza una direzione precisa, senza invest iment i mirat i, senza una visione di lungo t ermine e che speriamo che “l’effetto Italia” (sole, mare e buon cibo) e “patrimonio dell’umanità” bastino da soli a far vivere il settore turismo. Il problema è che le nostre imprese non hanno voce in capitolo ed è invece proprio dove credo che gli investimenti pubblici porterebbero i maggiori benefici. Attenzione, non finanziamenti pubblici a pioggia, ma ben mirati per dotare di infrastrutture adeguate di accoglienza e di servizi le nostre molteplici zone ad elevata attrattività turistica. Quello che manca è un piano strategico che identifichi precise priorità, interventi ed evoluzioni. Se poi avessimo la bella abitudine di “far di conto” anche nell’invest iment o pubblico, potremmo anche iniziare a valutare quali investimenti, in quali servizi rendono di più e replicare in altre aree. Insomma, fare quello che ogni azienda fa: faccio un investimento e valuto bene quanto mi ha reso. Con i soldi pubblici, mi sembra che si perda un po’ quello spirito che ci rende unici al mondo: l’imprenditorialità. In termini contingenti proprio le PMI hanno la possibilità di af f acciarsi sul mercat o globale e pensare a offerte specifiche che veicolino il proprio brand on line. Internet ci ha dato un nuovo canale di comunicazione, i Social Net work un modo nuovo di comunicare con la clientela. Certo, sfruttare questo “World of Mouths” non è banale e farsi accompagnare in questo percorso è raccomandabile. Non stiamo neppure parlando di investimenti mostruosi: è vero costano poco, ma non sono servizi “una tantum”. Perseguire una st rat egia di comunicazione on line non è come semplicemente acquistare un servizio, dimenticarsene e incassare. Non è costruire un sito web graficamente accattivante e sperare che così i clienti in tutto il mondo ci troveranno. Si richiede un preciso allineamento tra la soluzione, le necessità dell’organizzazione, le sue capacità e anche la sua maturità. È un po’ come un processo di apprendimento, magari prima di andare con le nostre gambe avremo bisogno di un aiuto, ma l’obiettivo è poi camminare da soli una volta che si è capito come fare. Pensa ancora a Orvieto e al calo di 0,1 del ranking di Booking.com Muse Comunicazione: Grazie per questo quadro ben tratteggiato sulle opportunità (grandi) e i rischi (molti) del panorama sul quale si affacciano le piccole medie imprese italiane, anche del settore Travel. Soprattutto in relazione al nuovo ruolo che hanno assunto Rete Sociali e Internet. Ma torniamo al Paese che ti ospita… In Francia, dove vivi, operi e nel quale dai il tuo contributo anche in termini di competenza, creatività per la crescita del Paese, quale clima si respira, anche in relazione ai recenti sviluppi socio-politici? Federico: Il clima è chiaramente di incertezza, ma percepisco un minore nervosismo rispetto a quando rientro in Italia.
  • 7. Hollande prima di insediarsi, la sera in cui ha saputo di essere eletto, nel suo discorso agli elettori ha detto una frase che mi ha colpito molto: “Nous ne sommes pas n’importe quel pays de la planète, n’importe quelle nation du monde. Nous sommes la France” (Noi non siamo un paese qualsiasi di questo pianeta o una nazione qualsiasi del mondo. Noi siamo la Francia). A volte accusiamo i nostri cugini francesi di essere un po’ vanitosi, ma forse un po’ più di consapevolezza del nostro potenziale ci vorrebbe anche da noi. Noi non siamo un paese qualsiasi. Noi siamo l’Italia. A noi cambiare le cose. Muse Comunicazione: La tua esperienza transalpina, quasi mitteleuropea, ti porta ad avere una visione meno costretta e più ampia. Come vedi da lassù il panorama europeo, soprattutto sotto l’ottica del futuro immediato delle imprese e dei ragazzi che studiano, si stanno formando e cercano di costruire il proprio progetto di vita? Federico: Sarà perché sono sempre a contatto con dei giovani che ho un’estrema fiducia in loro. Nella mia scuola abbiamo anche un incubatore di start-up dove alcuni nostri studenti stanno facendo crescere il proprio progetto imprenditoriale. Forse uno dei problemi maggiori che abbiamo è che come europei a livello mondiale possiamo apparire passé, nel senso di “vecchi”. Ricordo una presentazione che fece qualche mese fa un docente di origini indiane ad una conferenza. Dopo aver ascoltato i progetti che i giovani ricercatori europei avevano sviluppato disse: Mi sono piacevolmente stupito di constatare quanto potenziale innovativo abbiate. Non l’avrei mai detto vista l’immagine che abbiamo dell’Europa Ancora una volta, la percezione è qualcosa di importante, ma i nostri giovani sono la nostra principale risorsa. Facciamo di tutto per dare loro un contesto dove possano realizzare i propri potenziali, altrimenti il nostro rischio è quello di vederli part ire insieme ai capit ali. Muse Comunicazione: Federico anche tu sei un cervello in fuga. Espressione un po’ grezza e… parziale anche perché insieme all’aspetto razionale, si allontana lo spirito, spesso la creatività, il cuore, quindi la parte dei valori, della struttura etica e degli affetti di una persona. Come vivi personalmente lavorare e vivere in un’altra nazione? In senso più ampio, non ritieni un rischio assistere impotenti alla fuoriuscita irrefrenabile dei migliori professionisti, docenti, ricercatori che l’Italia ha cresciuto, formato e sui quali dovremmo puntare con le nostre risorse, forze ed energie? Federico: Vero. Sono espatriato e orgogliosissimo dei miei italici natali, della mia educazione in Italia e delle opportunità che il Paese mi ha dato. Come italiano all’estero sono sfiduciato dal “sistema Italia”. La flessibilità che ci ha permesso la miriade di PMI che fanno l’economia del nostro paese ci ha portato ad essere una delle principali economie del pianet a. La nostra capacità di resistere alle crisi e di adattarci ai cambiamenti economici, ci ha reso però miopi nel programmare il futuro. Non abbiamo adeguatamente investito in innovazione e ricerca e ancora una volta proprio le PMI hanno dovuto farsi carico di queste mancanze. Non che le eccellenze manchino, come dicevo. L’Italia è ricca di eccellenze, peccato che a livello aggregat o e di sist ema paese siamo sotto media. Sviluppo vuol dire innovazione, vuol dire imprenditoria, vuol dire fiducia nel futuro, vuol dire giovani.
  • 8. I potenziali ci sono, ora sta a noi creare le condizioni perché non vadano perduti. Dovremmo smetterla di navigare a vista e iniziare a programmare, investire e agire oggi per il futuro. Non come si è fatto finora: programmare oggi la giornata di domani. Visto poi che il mio campo si riferisce alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è necessario che si operi adeguatamente un trasferimento delle competenze che esistono nelle accademie, verso il tessuto industriale e viceversa. Se le nostre imprese non investono nelle università non possiamo sperare nella ricerca applicata, allo stesso modo se le università puntano a una ricerca applicata lontana dai bisogni delle imprese, come possono pretendere di essere finanziati? Il corollario di questo è che universit à, imprese e St at o sono gli ingredienti fondamentali per un paese che innova (qui non invento nulla, ma si tratta di studi scientifici). Muse Comunicazione: In Italia si stanno diffondendo percorsi formativi, corsi e master, che cercano di cucire quello strappo tra formazione accademica e reali bisogni e dinamiche del mondo del lavoro. FormazioneTurismo, portale che ci ospita, ha come missione di segnalare queste esperienze e di informare giovani manager e operatori del settore Travel che necessitano di aggiornamento e di confronto sulle nuove strategie di Web Marketing. Io stessa do il mio contributo come docente in alcuni di queste esperienze, soprattutto nell’ambito Turistico – alberghiero, con moduli di Web Communication, Web Marketing, Content Marketing, Social Networking. Si può pensare a Territori e Associazioni di categoria che propongano percorsi di formazione e di affiancamento /accompagnamento in azienda agli operatori turistico-albergieri. Come pensi che il comparto Travel in Italia possa aggiornarsi ed allinearsi con altri paesi europei più evoluti e con strategie commerciali/marketing decisamente più competitive? Federico: Mi concentro sugli elementi che le imprese possono cont rollare. • A livello di impresa, riconoscere una mancanza è il primo passo verso la soluzione. Il problema è dunque legato alla consapevolezza dei potenziali. • Azioni specifiche anche a livello associativo devono essere intraprese per sensibilizzare le imprese verso i nuovi modelli di comunicazione. Social network, piattaforme di booking, nuovi intermediari, blog, motori di ricerca hanno radicalmente cambiato lo scenario del marketing tradizionale. Non solo, i contesti d’uso sono mutati. Siamo sempre più mobili, abbiamo tablet e smartphone, utilizziamo app e ci siamo abituati ad avere i servizi a distanza di un click (non di mouse, ma di dito!). Usciamo dall’autostrada e vogliamo scegliere il miglior hotel e impostare l’indirizzo sul navigatore, vogliamo poter regalare soggiorni a condizioni particolarmente vantaggiose, vogliamo “fare l’affare” del giorno e avere una camera a metà prezzo e prendere un volo per pochi euro. Come operatori possiamo conoscere in tempo reale cosa pensano i nostri clienti di noi (cito ancora l’esempio di Booking.com o TripAdvisor) e adeguarci alle loro esigenze molto più rapidamente. Non dobbiamo neppure gestire più i questionari cartacei nelle camere: i nostri clienti si esprimono on line. Faccio un esempio banale: se online abbiamo un modulo di prenotazione, perché non raccogliere le preferenze del nostro cliente? Perché non chiedergli la bevanda preferita e fargliela trovare in camera andando oltre la bottiglia d’acqua? Tecnologicamente è semplicissimo, in termini di marketing il valore è chiaro, ma io trovo sempre la bottiglietta d’acqua. Siamo cambiati. I nostri clienti sono cambiati e come operatori dobbiamo cambiare. Riassumo in pochi punti:
  • 9. 1. Sensibilizzare, per diffondere la consapevolezza del problema; 2. Inf ormare, per spiegare potenziali e opportunità; 3. Trasf erire conoscenza, per fornire gli strumenti per innovare; 4. Innovare, sulla base dei nostri strumenti; 5. Misurare, i risultati che abbiamo ottenuto. E queste azioni devono essere coordinate per fornire alle imprese le basi per poter innovare e competere. Come accennavi, le azioni organiche e anche dirette a livello associat ivo e t errit oriale sono chiaramente auspicabili. Muse Comunicazione: Musica per le mie orecchie… Tu non sai quante volte affronto questi temi, ma non mi arrendo! Cosa consigli ai giovani italiani che vogliono diventare manager nel settore dell’Hotellerie (e non solo)? Federico: Consiglierei loro di prepararsi bene. Non è un settore facile, richiede flessibilità e imprenditorialità. In Italia abbiamo delle ottime scuole e l’estero può essere utile per confrontarsi con realtà di gestione differenti e, perché no, per specializzarsi anche in grandi catene. Dici bene poi quando parli di manager nel settore dell’Hotellerie. Gestione di: • qualità • innovazione • cambiamento • esperienza cliente • economica e finanziaria • leadership • delega sono tutti at t ribut i manageriali propri di questo settore. Quindi consiglio una solida preparazione manageriale unita ad una forte curiosità verso le novità: le abitudini dei nostri clienti cambiano ormai con un click. ———– Ringrazio Federico per la disponibilità, il tempo dedicatomi e per aver sfoderato sorprendenti capacità Multitasking… Grazie a FormazioneTurismo che da più di un anno ci ospita. L’intervista ti è piaciuta? Ti ha creato curiosità, domande o idee nuove? Condividile, scrivendoci a info@musecomunicazione.it oppure vieni sul Forum Web Marketing Turistico Alberghiero. Oppure commenta il post… Ti stiamo aspettando.