Comunità professionali (network formali e non formali) dei professionisti HR
Intervista a Giacomo Befo - CSR Manager di TIM
1. Business School
Intervista a Giacomo Befo - CSR Manager di TIM
Intervista a cura di Cristiancarlo Cristofari, Daniele Di Blasio, Giorgina Gabasio, Angelica Tafuro
Master in Risorse Umane e Organizzazione 2015-2016
MOBILITÀ E CARRIERA INTERNAZIONALE
Corporate Social Responsibility Manager del Gruppo Telecom Italia, Giacomo Befo ha perfezionato i suoi
studi frequentando il Master in Business Administration presso la SPEGEA Business School di Bari. Da oltre
dieci anni si occupa di sostenibilità, curando i rapporti con le Nazioni Unite per garantire l’osservanza
dei principi del Global Compact, CSR Europe per quanto concerne le tematiche relative ai Diritti Umani
e il Global Reporting Initiative per assicurare la corretta rendicontazione delle informazioni sostenibili. È
autore della policy del Gruppo Telecom Italia “Respecting Human Rights” ed uno degli organizzatori del
training course “(In)formazione sui Diritti Umani”.
Partendo dalla sua formazione, si è laureato
in Economia e Commercio presso l’Università
Statale di Bari ed ha frequentato un Master con
specializzazione in Finance: come è avvenuto
il primo contatto con il mondo aziendale?
Aveva già iniziato a guardarsi intorno durante
gli studi o è stato contattato?
I contatti con le aziende avevano avuto inizio prima
della partecipazione al Master in quanto, all’epoca,
gli Istituti di diritto pubblico e le banche d’interesse
nazionale, si rivolgevano direttamente alle Univer-
sità per chiedere l’elenco dei migliori neolaureati;
in alcuni casi, ricordo che il mio CV era considerato
“pesante” rispetto alle posizioni da ricoprire in deter-
minate aziende, nonostante fossi un semplice neo-
laureato; in altri, invece, consideravo le loro offerte
di lavoro non soddisfacenti rispetto ai miei desideri.
Il punto di svolta è avvenuto con la partecipazione
al Master, quando ho iniziato a ricevere delle pro-
poste di lavoro interessanti, tra le quali quella della
Olivetti per la sede centrale di Ivrea. Già in prece-
denza, ero rimasto fortemente impressionato dalla
storia di Adriano Olivetti, un imprenditore arrivato
sulla scena economica italiana con un secolo di
anticipo. Non esitai, quindi, ad accettare la propo-
sta per il project-work e la successiva assunzione
nonostante la retribuzione fosse inferiore a quella
che, nello stesso periodo, mi era stata proposta da
una grande società di revisione americana per la
propria sede di Bari.
Quanto sono state utili le nozioni prettamente
teoriche apprese durante il suo percorso
universitario nella pratica manageriale
quotidiana?
Sono state basilari, in quanto hanno costituito le
fondamenta sulle quali ho costruito la mia forma-
zione professionale e non solo.
2. Ritiene sia stata determinante la metodologia
“learning by doing” del Master per il suo primo
ingresso in azienda, soprattutto in riferimento
al project work finale?
Certamente! Ho avuto anche la fortuna di poterla
concretizzare in uno dei migliori ambienti possibili:
una multinazionale storica con circa 200 conso-
ciate presenti in tutti i continenti e ben apprezzata
anche fuori dall’Italia. Una valutazione analoga a
quella di altri colleghi che hanno avuto la possibi-
lità di vivere la stessa esperienza o sostanzialmente
simile nel medesimo periodo.
Com’èstatol’approccioconilmondoaziendale
e la sua struttura organizzativa? Cosa l’ha
aiutata a comprenderne le dinamiche interne?
Mi ha aiutato molto il contesto aziendale, soprat-
tutto i colleghi, oltre alla personale curiosità ed al
tipo di attività, in quanto le verifiche di audit – siano
esse di management, operational o financial, oltre
alle varie due diligence, nel caso di acquisizioni di
altre aziende – mi hanno permesso di conoscere
interi processi aziendali in un arco di tempo ragio-
nevolmente breve, mentre colleghi di altre funzioni
aziendali, spesso svolgevano una sola parte dello
stesso processo anche per molti anni.
Quali sono le sue mansioni ed in particolare,
dove rinviene punti di contatto con la funzione
HR?
Da oltre dieci anni mi occupo di Sostenibilità (CSR)
nel Gruppo TIM. Attualmente contribuisco alla reda-
zione del “Report di Sostenibilità” sulla base delle
indicazioni del “Global Reporting Initiative”, un’or-
ganizzazione con sede centrale ad Amsterdam
che definisce uno standard di report di sostenibilità
applicato da oltre l’80% delle aziende mondiali. In
particolare, dal 2014, TIM osserva lo standard GRI-
G4, l’opzione “comprehensive, vale a dire, quella
completa. Inoltre, è mia responsabilità gestire i
contenuti relativi allo Stakeholder Clienti, curare i
rapporti con CSR Europe per quanto concerne le
tematiche relative ai Diritti Umani e le Nazioni Unite
per garantire l’osservanza e l’integrazione nell’at-
tività aziendale dei dieci principi del Global Com-
pact del ’99 e dei Guiding Principles on Business
& Human Rights del 2011. Per quanto riguarda i
contatti con la funzione HR, che in TIM si chiama
“People Value”, ne ho diversi; in particolare con il
settore “Education”, per diffondere nel Gruppo le
novità internazionali sui Diritti Umani, come l’in-
troduzione della Direttiva UE 95/2014, la quale
richiede che le aziende europee che abbiano più
di 500 dipendenti ed in possesso di determinati
requisiti, a partire dal 2017, debbano inserire nei
propri bilanci sia le informazioni di carattere econo-
mico-finanziario sia le informazioni relative ad altri
aspetti, come quelli ambientali, sociali, attinenti al
personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta
contro la corruzione attiva e passiva. Altro settore
con il quale sono in contatto è quello delle “Rela-
zioni industriali”, per quanto concerne i temi della
salute e sicurezza sul posto di lavoro, fondamentale
in TIM per chi lavora “in quota” ovvero su antenne
e ponti radio, la non discriminazione e i rapporti
con le organizzazioni sindacali. Inoltre, come direb-
bero gli anglosassoni, “the last but not the least”,
essendo un dipendente, ho rapporti con il settore
che si prende cura di me in azienda, ovvero la
“Gestione delle persone”.
Il ruolo che oggi ricopre è sempre stato il
suo obiettivo o, come spesso accade, è frutto
di coincidenze/casualità all’interno del suo
percorso di vita e lavorativo?
Quando sono entrato nel mondo aziendale, la
Sostenibilità era un tema di cui si iniziava a parlare
solo a titolo accademico in alcuni Paesi; non mi
dispiace occuparmi di questa materia e poter assi-
stere ai miglioramenti che avvengono negli anni.
Cosa pensa dell’importanza della funzione HR
in Telecom Italia?
Senza dubbio rilevante. La funzione HR interpreta
il ruolo di playmaker, in particolare nel contesto
attuale, ove l’età media dei dipendenti TIM è di oltre
48 anni e l’obiettivo della pensione si è sensibil-
mente allontanato a causa della riforma Fornero.
L’innovazione tecnologica impone la presenza in
azienda di nuove figure professionali con conte-
stuale riqualificazione di altre funzioni; si pensi agli
addetti al “vecchio” numero 12, ormai obsoleto e
assoggettato ad una forte concorrenza da parte di
altri operatori.
Data la sua grande esperienza in contesti
internazionali di rilievo, quali sono state
le principali differenze che ha riscontrato
tra la cultura aziendale italiana e quella
internazionale?
L’aggettivo “internazionale” rappresenta una realtà
estremamente complessa ed articolata; ricorrendo
ad una metafora calcistica, in alcuni contesti puoi
facilmente essere o sembrare un “pallone d’oro”
mentre in altri devi necessariamente accomodarti
in panchina. L’esperienza in altri Paesi è come
vedere l’altro lato della luna ed è foriera di preziosi
insegnamenti, in quanto ti permette di vivere in
3. ambienti e culture diverse, ma dalle quali si deve
cercare di attingere il meglio o tentare quanto meno
di migliorarsi. Vi sono differenze relativamente alle
dinamiche aziendali, non solo di natura professio-
nale, ma anche culturale: se un’azienda inglese
acquistava un’azienda italiana, nell’arco di poche
ore i responsabili italiani ricevevano i “manuali”
procedurali delle policy che avrebbero dovuto
osservare e, generalmente, lo facevano; se, invece,
un’azienda italiana acquistava un’azienda inglese e
inviava la documentazione di cui sopra, i responsa-
bili anglosassoni facevano “fatica” ad osservare le
nuove policy e procedure, in quanto consideravano
l’azienda italiana solo uno degli azionisti (anche se
possedeva quasi l’80% del capitale azionario con
relativo diritto di voto).
Attribuisce una maggiore importanza alle
competenze tecniche o a quelle legate alla
dimensione socio-relazionale nei contesti
aziendali odierni?
Sono entrambe importanti, anche se - in assenza di
competenze tecniche - risulta più arduo “spendere”
le altre “qualità”, almeno nel lungo periodo. Per
quanto concerne i settori professionali con cui ho
avuto la possibilità di cimentarmi, le competenze
tecniche hanno permesso di evitare situazioni “non
ortodosse” o almeno, di riconoscere il rischio in
maniera pressoché completa.
Cambiare frequentemente azienda, rappre-
senta un fattore determinante nella crescita
professionale? Qual è la sua esperienza a ri-
guardo?
Premetto che a volte la scelta di cambiare azienda
non dipende da motivi strettamente professionali.
Soprattutto quando si è giovani, può accadere che
la propria testa tocchi una sorta di soffitto di vetro
e si abbia il desiderio di migliorarsi, di cambiare ed
allargare i propri orizzonti anche se il posto in cui si
lavora è molto valido. Penso che la mia esperienza
non faccia testo, in quanto, partendo dalla filosofia
professionale e umana della “grande” Olivetti, non
ho percepito gli altri contesti completamente “alli-
neati”. L’Olivetti, oltre ad offrire la possibilità di fare
esperienze in altri Paesi, in tempi in cui non esi-
stevano i voli low-cost, internet e via discorrendo,
consentiva ai dipendenti che arrivavano ad Ivrea da
altre città, di vivere in un residence di proprietà del
Gruppo riservato agli stessi ad un canone “politico”;
in sostanza, in quel tempo, una piccola città come
Ivrea poteva essere considerata una sorta di Sor-
bona.
Quanto è importante oggi per un ragazzo che
fa il suo primo ingresso nel mondo azienda
vivere un’esperienza lavorativa all’estero?
Penso sia fondamentale in un mondo globalizzato,
soprattutto in alcuni contesti professionali evoluti in
quanto apre la mente, migliora il modo di pensare,
le capacità analitiche e di sintesi.
Quali sono le competenze che potrebbe
acquisire rispetto al contesto italiano?
Tante, soprattutto in alcuni settori dove la tecno-
logia avanza velocemente e non tutte le aziende
investono nella giusta misura in ricerca e sviluppo
accontentandosi di apportare solo qualche modi-
fica ai servizi e prodotti innovativi realizzati da altri:
paradigmatica è la disputa accaduta negli ultimi
anni tra la sudcoreana Samsung e la californiana
Apple.
Vuole aggiungere qualcosa che non è emerso
nel corso dell’intervista?
Un grande in bocca al lupo a voi che rappresentate
il futuro dell’Italia e non solo.