This research was made to emphasize the attention to a country that has embarked on the path of growth, towards a complete opening to international trade. Similarities with our country, desire for change, possibility to access to new resources, make Senegal an economy in transition, increasingly at the forefront. The boundaries become less marked and passable, triggering a process of breaking down barriers, not only economic but also socio-cultural. Learning to appreciate diversity and push for their exploitation: integration becomes the key to better understanding but also to greater productivity.
1. FOCUS SENEGAL -
“UNA PROSPETTIVA GLOBALE”
Prof. Alessandro Baroncelli, Gabriele Natale Deana.
A.A. 2020/2021 Erika Palumbo 5007991
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - SEDE DI MILANO
INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI MERCATI E IMPRESE
INTERNAZIONALI.
2. 1
INTRODUZIONE
Quando ci si riferisce al termine internazionalizzazione, inevitabilmente si pensa ad un mondo di opportunità di
carattere economico–sociale che sicuramente interessano contemporaneamente più Stati in un determinato periodo
di tempo ; opportunità, tuttavia, scandite dalla necessità di confronto con prospettive di medio e lungo periodo che
esulano dalle realtà a noi più vicine.
Internazionalizzare significa essere pronti a sacrificare, o affievolire, le proprie strategie d’impresa attuali e
necessariamente avere un’apertura mentale tale da poter relazionarsi con culture di business differenti, con distinte
metodologie di lavoro e con attori le cui esigenze sono diametralmente opposte alle proprie. Oltre alla necessità di
sviluppare una visione globale che fuoriesca dal contesto locale, bisogna ricordare che il processo
d’internazionalizzazione non è esente da investimenti, anzi. La negoziazione, e la succesiva contrattazione,
richiedono lo sviluppo di “Doing Business Techniques”, tecniche differenti e adattabili alle diverse latitudini,
necessarie per poter entrare in empatia con gli altri esseri umani ed attori economici. Talvolta,modelli sul
management e sull’organizzazione sono esportati in altri contesti nazionali senza tenere nel debito riguardo i principi
e i valori che caratterizzano le organizzazioni locali. Nel 1990 Michael Porter ha analizzato la ragione secondo cui
alcune nazioni conseguono un successo superiore ad altre nella competizione internazionale. Nella sua analisi delle
determinanti di tale vantaggio ottimale che alcune nazioni acquisiscono in confronto ad altre, evidenzia: a) le
condizioni strutturali , ossia economiche, politiche e socali della nazione oggettivamente considerata ; b) le condizioni
della domanda riferita al bene economico da produrre, scambiare o trasformare; c) settori correlati e di supporto,
quali strategie di approvvigionamento, trasporto e distribuzione; d) le strategie, le strutture e il livello di competizione
tra le organizzazioni concorrenti o meno. L’analisi documentata da Porter relativa a questi elementi, in paesi ad alto e
basso livello di sviluppo, si esaurisce mostrando che alcuni paesi presentano condizioni migliori di altri. La mancanza
di soluzioni universali , quindi valide ed efficaci per tutti , non implica che i vari paesi non possano imparare
reciprocamente gli uni dagli altri: al contrario, l’osservare, l’imitare, il confrontarsi al di là dei confini rappresentano
processi efficaci per cogliere e generare nuove idee e strategie operative. La sfida più ardua dell’uomo moderno è
quindi il superamento dell’etnocentrismo e l’imporsi al pregiudizio e all’intolleranza, cercando di oltrepassare quella
visione critica unilaterale che, in un certo senso, ostacola l’evoluzione e il progresso. Non bisogna demotivarsi se il
processo di internazionalizzazione richiederà tempo e cautela: i rischi sono elevati e la gestione delle relazioni è di
esito incerto; ma, con la dovuta preparazione si può efficacemente acquisire il giusto approccio per competere su un
mercato ormai divenuto irreversibilmente globale. E’ necessariamente richiesto essere pronti e presenti nei mercati
internazionali e acquisire, quindi, strumenti e conoscenze che possano aiutare il sistema di imprese operanti,
introducendo anche nuove figure professionali specifiche. La figura del Temporary Export Manager, ad esempio, è
utile per porre le imprese in condizione di conoscere i mercati stranieri e per effetture studi di fattibilità degli
investimenti; ancora, la figura di Digital Manager, ovvero il responsabile di supporti di piattaforme digitali che
affievoliscono i problemi burocratici e riducono sensibilmente i tempi lunghi. Questi strumenti sono di una
immediatezza efficiente ed efficace e favoriscono significativamente il successo e i risultati dell’internazionalizzazione.
Affrontare questo percorso richiede la necessità di programmare in maniera strategica e nel dettaglio il piano di
espansione verso i mercati esteri e l’elaborazione di un business plan incentrato sulla valutazione dei mercati
accessibili.
Oggi, alla luce della pandemia Covid-19, l’incertezza è aumentata. Le imprese si interrogano su un possibile scenario
globale futuro, sull’esistenza delle reali potenzialità dei mercati e sulle eventuali strategie di ingresso senza perdere di
vista il grande quesito che riferisce al mercato del chi , del come e del quando. La faticosa identificazione di un nuovo
mercato potrebbe spingere gli imprenditori a limitarsi alla scelta di paesi che sono simili a quello d’origine per
comportamenti d’acquisto e per regolamentazione interna sia politica che economica, senza superare ,cinicamente in
nome del profitto, quelle barriere che tanto ostacolano il progresso sociale e l’ innovazione tecnologica. Con il
seguente report e a quanto sopra riferito, si andrà a fornire un input generale e ad illustrare un quandro di possibili
opportunità da cogliere , provenienti dal continente Africano. Pertanto si ritiene utile e pertinente soffermarsi sullo
studio di uno Stato, il Senegal, e sui suoi nemerosi sbocchi economici che gli hanno permesso di diventare il fiore
all’occhiello di tutta l’ Africa Subsahariana.
4. 3
AGENDA
1.Introduzione……………………………………………………………………………………………………………………………………………….pag.1
2.Framework Geopolitico………………………………………………………………………………………………………………………………pag.4
3.Cultura e società…………………………………………………………………………………………………………………………….……………pag.5
4.Healthcare………………………………………………………………………………………………………………………...............................pag.7
5.Il sistema giudiziario …………………………………………………………………………………………………………………………….......pag. 10
-La proprietà terriera e la lotta contro le multinazionali……………………………………………………………………………….pag.10
-OHADA………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..pag.12
6.L’Africa: un paese resiliente………………………………………………………………………………………………………………………...pag.13
7.Economic outlook………………………………………………………………………………………………………………………………..……….pag.17
-Il contributo settoriale al GDP………………………………………………………………………………………………..…………………….pag.18
-Industrializzazione: ancora un basso contributo al GDP…………………………………………………………………..…………..pag.18
-Fintech: il settore finanziario incontra la tecnologia…………………………………………………………………………….………pag.19
-Import Export……………………………………………………………………………………………………………………………………….……..pag.19
- I rapporti internazionali………………………………………………………………………………………………………………………….…..pag.20
- Norme e regole sull’importazione e sull’esportazione: come operano le dogane senegalesi……………….……..pag.20
- I Trasporti: modalità, documentazione e scelta dei mezzi, Il sistema fiscale, NINEA ,IVA, convenzione
bilaterale contro la doppia imposizione ………………………………………………………………………..……………………….………pag.22
8.Doing Business………………………………………………………………………………………………………………………………………….….pag.23
- Focus- il settore del riso: a big opportunity.. ………………………………………………………………………………………….…..pag.24
- Focus: Sedima- un moderno investimento greenfield che offre un’opportunità al pollame………………………..pag.25
9.Un Senegal tutto al femminile………………………………………………………………………………………………………………….….pag.26
Sitografia…………………………………………………………………………………………………………………………………………..……….......pag.27
Conclusioni…………………………………………………………………………………………………………………………………………..…………pag.28
5. 4
FRAMEWORK GEOPOLITICO
Siamo al 24 Febbraio 2019: gli elettori senegalesi vanno alle urne, tra crescente preoccupazione per la loro
democrazia. I partiti di opposizione hanno accusato Macky Sall, l’incumbement, di cercare di distorcere il risultato in
suo favore; anche se, nel 2018, il Governo avrebbe introdotto una legge che rende la qualifica alle presidenziali meno
agevole. Nonostante ciò, i due candidati dell’opposizione maggiormente favoriti vengono esclusi dalla corsa con
accusa di frode e corruzione. 25 marzo 2012: si conclude il combattuto processo elettorale con la vittoria di Sall, che
assicura al paese una solidità politica.
Il Senegal è un paese tradizionalmente democratico, caratterizzato da stabilità sin dall’indipendenza, ottenuta nel
1960. In seguito a periodi di dominio del Partito Socialista (1960-2000), è emerso un processo di alternanza politica
con la vittoria del Partito Liberale (2000-2007) e l’ascesa al potere di Sall. Inizialmente una colonia francese, il Senegal,
come altri paesi dell’ Africa occidentale e dell’ Africa equatoriale, ha adottato il CFA ( franco delle colonie francesi
d’Africa) : una valuta creata al di là della Seconda Guerra Mondiale a seguito degli accordi di Bretton Woods. La
Francia ha richiesto l’adozione di tale valuta per tutte le sue colonie, che tuttora sono divise in due gruppi: un primo
gruppo di paesi, a cui appartiene anche il Senegal, denominato “Unione Economica Monetaria Ovest Africana”
(Economic Community of West African States – ECOWAS) che ha come istituto di emissione la Banca Centrale degli
Stati dell’ovest; e un altro gruppo, denominato “Comunità Economica dell’Africa Centrale” (Economic and Monetary
Community of Central Africa), che fa capo alla Banca degli Stati dell’Africa Centrale.
Numerose critiche sono state mosse a questo sistema in cui la valuta risulta essere garantita dalla Banca Centrale
francese, presso cui i paesi hanno costituito delle Riseve Auree. Ciò significa che il Ministero del Tesoro francese
conserva ingerenze sulle politiche monetarie di questi Stati. Da qui l’accusa è sorta a causa del sostanziale colonialismo
economico applicato dalla Francia che, come vedremo, viene considerato uno degli strumenti essenziali della
“Françafrique”. Tuttavia , lo stesso Presidente Macron si è dichiarato disponibile a rivedere il sistema “in modo
pacifico e senza taboo o totem”, anche se, a suo parere, la relativa spinta dovrebbe provenire dai leader dei paesi
africani coinvolti. La questione è stata recentemente rispolverata alla luce di una presunta adozione da parte degli
Stati dell’Unione Economica Ovest Africana del nome “Eco” di un loro progetto di moneta unica, che avrebbe dovuto
essere implementato a partire dal 2020, per affrancarsi dall’autorità monetaria francese. Al momento, purtroppo,
solo il Togo, tra tutti i paesi dell’ECOWAS, si ritiene abbia soddisfatto i requisiti di convergenza, i regimi di cambio
flessibile e i criteri di collaborazione interstatale.
La Francia, storicamente, ha sempre cercato di avere un rapporto stretto con le sue ex colonie.
Il termine Françafrique venne utilizzato per la prima volta nel 1959, quando il Generale Charles De Gaulle divene
presidente della Repubblica francese. Periodo, questo, in cui la Francia stava concedendo l’indipendenza alle sue
colonie e mirava a costituire quello che gli inglesi avevano già istituito: il Commonwealth. Il tentativo non ebbe buon
esito e il ripiego di De Gaulle fu quello di creare, con le colonie, almeno dei rapporti “privilegiati”. Cosi ciò che
avrebbe dovuto essere una Organizzazione di Stati si trasformò in una nebulosa di attori economici, politici e militari
che agivano in Africa con il solo intento di accaparrarsi risorse e fonti di guadagno: di fatto , si volevano assicurare
alle multinazionali francesi vie per ottenere appalti e forniture in quelle terre. Le questioni diplomatiche e
internazionali delle ex colonie erano continuamente nel mirino della Françafrique, ed in tal senso la Francia era
intenzionata a mantenerne il controllo politico anche dopo la concessione dell’ Indipendenza. Si configurava , in
questo modo, una “ falsa decolonizzazione”.
Diplomatici francesi , come Jacques Foccart, sopranniminato in seguito Monsieur Afrique, e Jacques Chirac, vennero
nominati Consiglieri per gli Affari Africani, proprio per far si che la Repubblica mantenesse ingerenze e continuasse a
partecipare attivamente alla politica economica delle ex colonie, dove l’ “ex” è del tutto pleonastico. Il distacco dalla
madrepatria risulta, quindi, solo sulla carta e continua ad essere solo apparente. Lo stesso Jacques Chirac ha
affermato che “ la Francia, senza l’Africa scivolerebbe anch’essa a paese del terzo mondo”, cosciente dell’importanza
del dominio e del monopolio francese sulle risorse strategiche africane.
Tutto ciò è potuto accadere tramite l’imposizione di politiche economiche neoliberiste.
Numerosi sono i parallelismi con l’Europa. Nel 1982, i paesi del terzo mondo hanno affrontato la Crisi del debito,
iniziata con il dafault del Messico, che ha trascinato con sé gran parte dei paesi in via di sviluppo, compresi i paesi
africani. All’epoca Intervengono la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, ed elaborano un pacchetto,
che altro non è se non il decalogo del neoliberismo: il “Washington Consensus”, che prevede l’apertura totale al
6. 5
libero commercio; la massima libertà di circolazione di merci, beni e persone e capitali e riforme nella stabilizzazione
macroeconomica.
Le direttive comportano che lo Stato- Istituzione, come prevedono i dogmi del neoliberismo, sia ridotto ad un ruolo
sempre più marginale. Pensiamo quindi a cosa hanno comportato in questi paesi poverissimi, dove i servizi sono già
ridotti al minimo, la riduzione della spesa pubblica e la privatizzazione dei servizi pubblici e ciò per reimmettere soldi
al fine di risanare il debito pubblico.
A seguito dell’aggiustamento strutturale, proposto dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, è stata imposta la
riduzuone del debito, portando paesi come la Nigeria ad un livello del 15%, il Burkina Faso ad un debito che non
supera il 30%.
Potremmo quindi sostenere che il neocolonialismo in Africa è lo strumeto di arricchimeto degli Stati Europei e, oggi,
anche della Cina (i cinesi sono uno dei maggiori competitors dei francesi in Africa). Se il continente non verrà
effettivamente decolonizzato, non si riuscirà mai a risolvere nè il problema dell’emigrazione, che ne è diretta
conseguenza, né della povertà.
Ripercorrendo gli step principali, relativamente più recenti, c’è bisogno di illustrare le politiche di cooperazione tra
Stati Africani. Il 1 Febbraio 1982 fu costituita la Confederazione SeneGambia; cooperazione creata tra il Senegal e il
Gambia, lembo di terra quasi completamente circondato dal Senegal. Finalità dell’accordo era quella di creare
un’intesa sulla base di un interesse di sicurezza reciproca, per attenuare la temuta instabilità nazionale da parte del
governo senegalese in seguito a rivolte e colpi di stato provenienti dal Gambia o dalla Repubblica di Casamance. Le
previsioni si sono avverante quando, a causa di un colpo di stato in Gambia, il presidente Sir Dawda fu costretto a
richiamare gli aiuti senegalesi per placare l’insurrezione. Il Senegambia, inoltre, era nato per evitare che l'instabilità
politica dell'uno potesse influenzare l'altro. Quando il ricordo del tentato colpo di stato iniziò ad offuscarsi, la
confederazione tra i due Stati si sciolse.Restava però accesa la spinta indipendentista del MFDC (Movimento delle
Forze Democratiche di Casamanca), successivamente assorbito dal BDS (Blocco Democratico Senegalese),di Léopold
Sédar Senghor, l’allora futuro presidente del Senegal. Di seguito il gruppo venne riformato in una nuova versione,
secessionista e armata. Quando nel 2000 Abdoulaye Wade (predecessore di Macky Sall) vinse le elezioni presidenziali
in Senegal, promise di risolvere il problema della Casamance in cento giorni, promessa che ,tuttavia, non riuscì a
mantenere. Il 30 dicembre del 2004 il presidente Wade propose a Senghor un trattato di pace che prevedeva
l’abbandono delle armi in cambio di compensi. Attualmente pur non potendo più parlare di conflitto indipendentista,
si registrano atti di banditismo. Quando nel 2006 Senghor morì, il movimento MFDC non fu in grado di mantenere
l’unità, si spaccò in diversi fronti e il conflitto si riacuì. Il gruppo è responsabile ancora oggi degli attacchi periodici ai
danni di villaggi e contadini.
La riduzione del conflitto nel Sud del Senegal rappresenta una delle priorità del governo senegalese.
CULTURA E SOCIETA’
Secondo il Legatum Prosperity Index (LPI), indice che compara 142 paesi per livello di salute e benessere personale, il
Senegal si classifica al 106esimo posto nella classifica mondiale e al decimo posto in quella Africana, dopo il Rwanda e
il Burkina Faso; nel ranking delle libertà personali si classifica al 59eseimo posto a livello modiale. Una delle
problematiche che opprime il paese è quella dell’alta disoccupazione e la disuguaglianza socio-economica : l’indice di
Gini è pari a 40% e il 46,7 % della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Le speranze di vita sono aumentate e il
Senegal si trova al decimo posto (al primo l’Algeria), con un’aspettativa media di 61 anni. Il Paese ha avuto occasione
di sviluppare il suo capitale umano abbassando il suo tasso di analfabetismo, benchè ancora diffuso tra le donne e
nelle aree rurali, e nonostante l’insegnamento pubblico sia di buona qualità rispetto ad altri stati africani. (LPI :
147esimo posto mondiale a livello di istruzione).
Il territorio senegalese si estende per circa 200.000 km², con una popolazione che ammonta a 16,2 milioni di abitanti,
di cui il 50% vive in zone urbane. L’Islam è la religione dominante (Cristiani 5% e atei 1%), professata dal 94 % della
popolazione, di cui il 40% appartiene alla confraternita denominata “Mouridie”. Quest’ultimi sono seguaci di Cheikh
Amadou Bamba, un leader religioso morto nel 1927. Ispirato dal suo insegnamento, uno dei nipoti di Bamba, Cheikh
Ka, spiega la dottrina dell'autosufficienza che recita : "se dipendi dagli altri non sei libero, è la nostra filosofia di vita".
E’ per questo che molti dei suoi seguaci sono dediti al lavoro, all’autosufficienza e alla solidarietà. Queste idee hanno
spinto molti di questi senegalesi fuori dal loro paese, in cerca di lavoro e per inviare denaro alle loro famiglie
(rimesse). Tutti questi fattori hanno contribuito a rendere i Mouride una delle comunità africane di maggior successo,
7. 6
in patria e all'estero. Ovunque si trovano, sono soliti riunirsi in una moschea o in un centro comunitario. Le loro reti
aiutano i migranti a lasciare il Senegal, trovare lavoro e procurarsi documenti. Lungi dall'essere vittime indifese del
destino, molti “Mouridiyye” sono operatori accorti in una complessa rete transfrontaliera. L’Italia è uno dei paesi che
ha subito l’influsso delle rimesse senegalesi. I cittadini italiani considerano i venditori ambulanti , senegalesi che
affollano Via della Conciliazione a Roma o Piazza San Marco a Venezia, come un gruppo di migranti poveri e disperati
che hanno raggiunto le coste italiane su dei barconi. In realtà sono tutt’altro che disorganizzati: sono membri di una
comunità internazionale altamente disciplinata, allo stesso tempo religiosa ed economica, con sede a Touba, a tre ore
di auto dalla capitale Dakar.
«I senegalesi sanno dare e hanno la capacità di condividere con gli altri: la teoria del dare e del ricevere fa del
Senegal un centro di condivisione introvabile altrove.» Aziz, senegalese.
Rispetto e gentilezza verso gli altri sono valori cardine nella società senegalese e permeano ogni aspetto della vita
sociale e familiare. Il rispetto è estrinsecato tramite comportamenti e strumenti linguistici specifici. Nel pronunciare
un’espressione, il senegalese esprime simultaneamente idee e concetti e un atteggiamento di rispetto nei confronti di
chi ascolta. Se l'oratore usa involontariamente (o intenzionalmente) una parola che riflette un atteggiamento di
mancanza di rispetto, l'ascoltatore lo realizzerà immediatamente e reagirà di conseguenza. Non a caso, quella
senegalese viene considerata una «high context communication culture», dove sfumatura del discorso, tono e gesti
usati sono fondamentali per la comprensione del messaggio. Contatto fisico, gesti, cenni del capo, aspetto esteriore,
postura, espressioni del volto,
sguardo possono essere percepiti
in maniera molto precisa da un
senegalese e sono spesso utilizzati
per comunicare con le altre
persone.
Dall’analisi del modello Hofstede
applicato al Senegal, possiamo
avere una profonda panoramica
dei driver della cultura
senegalese rispetto ad altre culture del mondo.
Distanza di potere: questa dimensione riguarda il fatto che tutti gli individui nelle società non sono uguali. La distanza
di potere è definita come la misura in cui i membri meno potenti delle istituzioni e delle organizzazioni all'interno di
un paese si aspettano e accettano che il potere sia distribuito in modo ineguale.
Con un punteggio elevato di 70, il Senegal è una società relativamente gerarchica. Ciò significa che le persone
accettano un ordine gerarchico in cui tutti hanno un posto e che non ha bisogno di ulteriori giustificazioni. La
gerarchia in un'organizzazione è vista come una riflessione sulle disuguaglianze intrinseche, la centralizzazione è
popolare, i subordinati si aspettano di sapere cosa fare e il capo ideale è un autocrate benevolo.
Individualismo: la questione fondamentale affrontata da questa dimensione è il grado di interdipendenza che una
società mantiene tra i suoi membri. Ha a che fare con il fatto che l'immagine di sé delle persone sia definita in termini
di "Io" o "Noi". Un punteggio basso di 25 in questa dimensione significa che il Senegal è considerato una società
collettivistica. Ciò è evidente in uno stretto impegno a lungo termine nei confronti del "gruppo" membro, sia che si
tratta di una famiglia, di una famiglia allargata o di relazioni estese. La lealtà in una cultura collettivista è
fondamentale e prevale sulla maggior parte delle altre regole e regolamenti sociali.
Mascolinità: il Senegal, con un punteggio di 45, è considerato una società femminile. Nei paesi femminili l'attenzione
si concentra sul "lavorare per vivere”, le persone apprezzano l'uguaglianza, la solidarietà e la qualità nella loro vita
lavorativa. I conflitti si risolvono con il compromesso e la negoziazione. Sono favoriti incentivi come il tempo libero e
la flessibilità. L'attenzione è rivolta al benessere e lo status non viene mostrato o enfatizzato.
Evitare l’incertezza: questa dimensione ha a che fare con il modo in cui una società affronta il fatto che il futuro non
può mai essere conosciuto: dovremmo cercare di controllare il futuro o semplicemente lasciare che accada? Questa
ambiguità porta ansia con essa, e culture diverse hanno imparato ad affrontare questa ansia in modi diversi. La
misura in cui i membri di una cultura si sentono minacciati da situazioni ambigue o sconosciute e hanno creato
credenze e istituzioni che cercano di evitarli, si riflette nel punteggio sull'elusione dell'incertezza.Il punteggio
intermedio di 55 indica che il Senegal non ha una chiara preferenza ad evitare l'incertezza.
Orientamento al lungo termine: questa dimensione descrive come ogni società deve mantenere alcuni legami con il
proprio passato affrontando le sfide del presente e del futuro. Società normative che ottengono un punteggio basso
8. 7
su questa dimensione, ad esempio, preferiscono mantenere tradizioni e norme antiche mentre si guarda al
cambiamento sociale con sospetto. Il Senegal è, quindi, una cultura normativa. Le persone in tali società hanno una
forte preoccupazione di stabilire la verità assoluta; sono normativi nel loro pensiero. Mostrano rispetto per le
tradizioni, bassa propensione a risparmiare per il futuro e l'attenzione al raggiungimento di risultati rapidi.
Indulgenza:una sfida che l'umanità deve affrontare, ora e in passato, è il grado di socializzarsi dei bambini piccoli.
Senza socializzazione non diventiamo "umani". Questa dimensione è definita come la misura in cui le persone cercano
di controllare i loro desideri e impulsi, in base al modo in cui sono stati sollevati. Una tendenza verso un controllo
relativamente debole sui loro impulsi è chiamata "Indulgenza", mentre un controllo relativamente forte sui loro
impulsi è chiamato "Moderazione". Le culture possono essere descritte come indulgenti o sobrie. Attualmente non c'è
alcun punteggio per il Senegal in questa dimensione.
Gli indicatori di Hofstede fanno presagire che la societè senegalese è divisa in livelli gerarchici che si poggiano su
tradizioni ben radicate. Ma all’interno degli schemi sociali c’è sempre una classe vittima di soprusi. Le fasce più basse
d’età sono infatti soggette ad abusi e molestie. L’Associazione per la protezione dei diritti umani (PPDH) documenta
l’orrore quotidiano dei bambini senegalesi discepoli (talibè) delle scuole coraniche (daaras), utilizzati come schiavi dai
maestri (marabutti) che li trasformano in perfetti mendicanti al loro servizio. I gruppi di ricerca della protezione dei
diritti umani hanno parlato con decine di bambini talibè, molti dei quali di età inferiore ai cinque anni, costretti a
mendicare per le strade di Dakar, Saint-Louis, Diourbel, Touba e Louga in condizioni di estrema miseria e in evidente
stato di malnutrizione. Uno dei rapporti del PPDH documenta gli abusi fisici contro i talibè in 8 delle 14 regioni del
Senegal, dove si sono registrati 61 casi di percosse e maltrattamenti; 15 casi di stupro; 14 casi di bambini
imprigionati, legati o incatenati nelle scuole; diffusa pratica dell’accattonaggio forzato. Un talibé di circa 11 anni
riuscito a fuggire da una daraa, ha raccontato di essere stato costretto a chiedere l’elemosina da un maestro coranico
di Dakar che esigeva una quota di 550 franchi CFA ogni venerdì di preghiera. Se i bambini non fossero riusciti a
procurarsi tale somma, il marabutto li avrebbe frustati con un cavo. Lo stesso bambino riporta che la fustigazione gli
ha prodotto una profonda lacerazione allo stomaco. Altri minori hanno riferito di essere stati puniti per settimane o
anche mesi, legati o incatenati in stanze simili a celle all’interno delle daaras. Alcuni assistenti sociali hanno
raccontato di aver aiutato bambini che fuggivano con le catene ancora ai piedi. La maggior parte di questi casi è
avvenuta nelle regioni di Diourbel e Saint-Louis.Il Senegal ha severe leggi che vietano l’abuso sui minori e la tratta di
esseri umani, ma finora le misure adottate dal governo per proteggere i talibè e perseguire i loro carnefici sono state
inefficaci.
HEALTHCARE
Come una piccola nazione dell’Africa sta frenando l’AIDS
In Senegal, la prevenzione dell’ AIDS e il suo trattamento funziona in modo migliore rispetto alla media di tutte le altre
nazioni africane. Mossa audace del Paese è stata quella del 2003, anno in cui il trattamento è stato reso gratuito,
diversi anni prima che la World Health Organisation (WHO) raccomandasse i paesi di farlo. Il Senegal ha anche
rescisso tutti i taboo sociali, garantendo il trattamento anche alle prostitute e ai tossicodipendenti. La prevalenza
dell'HIV tra le prostitute è scesa dal 28% nel 2002 al 7% nel 2016, secondo UNAIDS ( United Nation programme
against AIDS). Secondo Ibrahima Traoré, dell’Istituto Politecnico di Igiene di Dakar, il sistema sanitario decentrato
aiuta. A dire il vero, c'è ancora del lavoro da fare. Circa la metà delle persone contagiate dall'HIV non sono ancora
state curate e gli omosessuali hanno paura di chiedere consigli perché l'omosessualità è punibile fino a cinque anni di
carcere. Tuttavia, il Senegal ha dimostrato come anche un paese povero possa frenare l'epidemia.
Covid19: contro ogni pronostico, il Senegal è fra i tre paesi al mondo che hanno gestito meglio la pandemia.
Dakar: risultati del tampone entro 24 ore, hotel riconvertiti in unità di quarantena, un progetto all’avanguardia per
sviluppare ventilatori a basso costo, campagne di sensibilizzazione estese a livello comunitario, distributori di
igienizzante diffusi. Stando alla classifica stilata da Foreign Policy, il Senegal è al secondo posto al mondo come
risposta alla pandemia, dietro alla Nuova Zelanda. Un risultato che non è merito del caso, ma origina dal passato.
La situazione in Italia dell’inizio pandemia è critica: dilaga la xenofobia nei confronti delle persone di origine cinese e
la psicosi colettiva viene alimentata dai titoli delle più importanti testate giornalistiche; i politici pongono sotto accusa
i migrati e propongono di chiudere i porti. Al contrario, la “psicosi africana” è del tutto inesistente. Ciò non deriva dal
disinteresse, ma dalla consapevolezza di essere preparati, nonostante le possibili difficoltà. Si pensi all’impatto
9. 8
devastante che l’Ebola ha avuto tra il 2014 e il 2016 nell’Africa Occidentale – in particolare Sierra Leone, Guinea e
Liberia. Nonostante ciò, il 14 febbraio di quest’anno, l’Oms ha annunciato che quattro Paesi colpiti e particolarmente
a rischio – Repubblica Democratica Del Congo,Burundi,Ghana e Zambia – hanno finalmente ottenuto la licenza per
produrre il vaccino contro questa malattia, con un’efficacia del 97.5%. In pochi giorni oltre 250mila persone sono
state vaccinate nella Repubblica Democratica del Congo. Come ha affermato Mosoka Fallah, medico e direttore del
National Public Health Institute of Liberia, “la preparazione degli Stati dell’Africa Occidentale per contrastare il
Coronavirus risiede proprio in tutto ciò che si è fatto finora per contrastare l’Ebola, tra sorveglianza, vaccini e
trattamento dei pazienti”. È con questa esperienza alle spalle, e quella della lotta per fermare la diffusione dell’HIV,
che quando il 2 marzo del 2020 il Paese registra il primo caso di Covid-19, attiva i suoi protocolli per il contenimento
del virus. Sall interviene e afferma: “Se continueremo a fare finta di nulla il virus si diffonderà ancora di più e in modo
più aggressivo”. La velocità con cui ha agito Dakar è stata fondamentale. Oggi la sfida si espande e abbraccia altri
temi. Le conseguenze sociali ed economiche sono infatti enormi. La prima categoria a essere investita è quella delle
donne. Stando ai dati forniti dal Ministero della donna, della famiglia e dello sviluppo sociale, prima delle restrizioni il
60% delle donne in Senegal aveva subito violenza di genere. Oggi quel dato potrebbe essere ancora più alto. Ma la
crisi abbraccia più categorie, travalicando i confini di genere. In generale tutta l’economia senegalese ha risentito in
modo massivo della perdita della stagione turistica. Senza considerare tutta la parte sommersa e informale collegata
a essa, il settore alberghiero e della ristorazione hanno perso complessivamente circa 150 milioni di euro, mentre
trasporti e commercio più di 160. A completare il quadro, c’è il calo del 30% delle rimesse, che rappresentano il 10%
del GDP della nazione. E’ di fronte a questo scenario che ,dalla collaborazione tra Oms e Unione Africana, il 5 febbraio
è nata una vera e propria task force continentale, l’Africa Task Force for Novel Coronavirus, su iniziativa di John
Nkengasong, medico virologo e direttore dell’Africa Cdc (Center for Disease Control and Prevention). Tramite questa
organizzazione, con cui collaborano tutti gli Stati membri sotto la guida di Marocco, Sudafrica, Senegal, Nigeria e
Kenya, è possibile fornire l’aiuto e il supporto tecnico-sanitario necessario per affrontare gli eventuali casi di contagio.
Il Consiglio di Amministrazione della Banca Mondiale ha inoltre approvato un credito di 20 milioni di dollari
dall'International Development Association (IDA) per supportare il Senegal nella sua risposta alla minaccia della
pandemia globale di COVID-19. La World Bank ha inoltre istituito un programma di 150 milioni di dollari per
supportare il settore alimentare e , in particolare, la competitività dell'agricoltura e del bestiame. L’iniezione di
liquidità contribuirà ad aumentare le esportazioni di colture di alto valore come le arachidi sgusciate e i prodotti
orticoli e la produttività della produzione lattiero-casearia e a ridurre il tasso di mortalità dei piccoli ruminanti. Il
programma è ancorato al Plan Sénégal Emergent e garantirà al contempo pratiche di produzione resilienti, secondo
quanto dichiarato da Nathan Belete, Direttore nazionale della Banca Mondiale per il Senegal. Il programma si
concentrerà sull'aiutare i piccoli produttori e pastori a investire in colture più produttive e catene del valore del
bestiame e fornirà accesso a finanziamenti e assicurazioni ai produttori del bacino esteso delle arachidi e delle aree
agro-pastorali. Funzionerà in sinergia con il governo per impegnarsi in politiche di prezzi, quote e sovvenzioni più
efficienti.Ciò contribuirà a stimolare la competitività e la creazione di posti di lavoro attraverso la crescita guidata dal
settore privato. Sosterrà inoltre le attività e le riforme integrate nel programma per il ritmo accelerato dell'agricoltura
(PRACAS) e nel piano nazionale di sviluppo del bestiame (PNDE).
A differenza di chi parla solo di frontiere e muri, il Coronavirus non ha confini e questo ha reso evidente come ognuno
di noi possa ritrovarsi nelle condizioni in cui altri si trovano tutti i giorni a causa di politiche ingiuste. Inoltre,la
pandemia ha fatto emergere razzismo e pregiudizio: l’Africa, per l’ennesima volta, è diventata il capro espiatorio
internazionale su cui indirizzare una narrazione superficiale e generica, sottovalutando le sue reali capacità. Forse il
Coronavirus può diventare l’occasione per imparare a mettere da parte le proprie convinzioni basate sul pregiudizio e
una percezione eurocentrica del mondo e per dare spazio a un approccio più universale nell’analizzare e
nell’affrontare questioni di livello globale che diventeranno sempre più frequenti anno dopo anno.
10. 9
IL SISTEMA GIUDIZIARIO
Date le grandi dimensioni del continente, sembrerebbe improprio parlare di un diritto africano, considerato che qui
coesistono diverse culture, etnie, religioni e lingue. L’Africa è la sede di numerose organizzazioni internazionali come
l’OHADA (Organizzazione per l’armonizzazione del diritto in Africa), che ha come obiettivo l’armonizzazione e
l’omogenizzazione del “diritto d’affari”, che porti gli investitori esteri ad approcciarsi al continente con un occhio di
particolare attenzione e con sicurezza, per sentirsi tutelati e supportati.
Prima delle colonizzazioni, i diritti erano basati su pratiche consuetudinarie e usi autoctoni delle comunità tradizionali,
ossia regole obbligatorie che costituivano il fondamento del diritto tribale dei diversi gruppi etnici. Quest’ultime erano
contrapposte al diritto scritto, che era espressione di procedure formali. La prevalenza del diritto consuetudinario,
che, nel tempo, si andava sempre più rafforzando a causa della stratificazione degli usi e delle pratiche esercitate
nell’ambito delle diverse tribù, cessò per effetto delle colonizzazioni in seguito alle quali i diversi paesi africani
subirono un processo di “acculturazione”, causato dallo scontro con i sistemi giuridici degli Stati colonizzatori.
Sebbene il diritto conduetudinario continuasse a radicalizzarsi, il diritto “straniero” iniziò a prendere piede e la nascita
di un sistema dualistico fu inevitabile. La differenza era, però, ben accentuata: il giudice occidentale applicava la sua
giurisdizione in modo da far prevalere una delle due parti in causa, mentre il giudice africano mirava a preservare un
equilibrio conciliativo, senza identificare una soluzione che privilegiasse il torto o la ragione. La risoluzione delle
controversie era “amichevole”. Il Senegal è uno degli Stati Africani con un sistema giudiziario misto, basato su una
commistione tra il sistema di civil law francese e il sistema di diritto consuetudinario pre-coloniale, altamente
influenzato dal diritto islamico senegalese. Dopo l’indipendenza nel 1960 il Senegal ha tentato di codificare la legge e
abolire tutti i tribunali consuetudinari. Tuttavia, codificare in termini legali valori e pratiche consuetudinarie in cui le
persone si riconoscevano si rivelò difficile, soprattutto per quanto riguarda il diritto di famiglia. Infatti, per quanto
concerne questioni di matrimonio, divorzio ed eredità, la legge islamica senegalese continua ad essere applicata in
maniera diffusa. Le amministrazini coloniali riconobbero l’applicazione del diritto consuetudinario e, a conferma di
quanto sia sentito questo tipo di giustizia, si può citare un antico detto, diffuso ancora oggi in tutta l’Africa francofona,
secondo cui “Un bon arrangement vaut mieux qu’un mauvais procès” (un buon accomodamento vale più di un cattivo
processo). Questo diritto risulta vincolante, ma allo stesso tempo flessibile e dinamico: è un sistema le cui regole
evolvono in maniera particolarmente rapida con il tempo, per tenere conto delle modificazioni delle condizioni sociali
ed economiche. Non bisogna, infatti, pensare che il diritto consuetudinario sia uniforme in tutti i gruppi etnici; talvolta
accade che il sistema di diritto consuetudinario in una certa città sia diverso da quello di una città vicina, anche se i
due gruppi appartengono alla stessa etnia e parlano perfino la stessa lingua. Il suo essere vincolante è comprensibile
se si va ad indagare la natura della struttura tribale. La cellula di base è costituita dalla famiglia, che ricomprendendo
l’intera stirpe, va a costituire un gruppo più ampio chiamato clan. Più clan costituiscono una tribù, il cui capo controlla
il terreno agricolo e gli altri beni del gruppo, arbitra le vertenze ed impone sanzioni per controllare il comportamento
dei membri del gruppo. Inoltre, i capi esercitano anche un'autorità morale e rituale, basata sulla credenza di una loro
associazione di tipo mistico con gli antenati della tribù. Le relazioni di gruppo determinano quindi il sorgere di obblighi
consuetudinari e di norme tradizionali garantite da un sistema di sanzioni.
In Senegal l’accesso alla giustizia è scarso e presenta grandi disuguaglianze a livello nazionale. Il problema va
interpretato sotto diversi aspetti. La distanza dalla sede di giustizia di Dakar fa si che gli abitanti delle regioni più
lontane riscontrino difficoltà nell’accedervi, difficoltà che aumenta anche a causa dell’elevato costo delle spese
giudiziarie e dei lunghi tempi di risoluzione di una controversia (in Senegal una procedura può durare fino a 700
giorni). Ma la maggior parte dei senegalesi non conosce l’esistenza dei propri diritti amministrativi, le leggi e i testi
legali sono spesso scritti in francese e con un linguaggio difficile da comprendere soprattutto per chi ha un basso
livello di istruzione. Inoltre, i minori hanno difficoltà di accesso alla giustizia: alcuni valori culturali e pratiche
tradizionali fanno sì che molti casi di violenza o abusi sui minori non vengano mai denunciati.
In ogni caso il Senegal, comparato con gli altri Paesi africani, presenta un sistema giudiziario tra i più stabili ed
avanzati. Ne è testimonianza un’applicazione del diritto consuetudinario al settore della proprietà fondiaria; sono
presenti infatti “consigli rurali” che svolgono la funzione di arbitrato. L’importanza di tali apparati è riconosciuta dalla
grande sensibilità del popolo africano sul tema della terra.
La proprietà terriera e la lotta contro le multinazionali.
Negli ultimi anni la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno promosso politiche di allocazione delle
terre su larga scala. L’acquisizione della terra determinava la possibilità di partecipare allo sviluppo locale e
11. 10
contribuire alla sicurezza alimentare globale.
L’ONG “Sos Faim” stima che almeno dieci
milioni di ettari siano stati definitivamente
allocati in Africa, grazie al suo potenziale in
terre e risorse e i suoi bassi investimenti nel
settore agricolo. Il fenomeno del “land grab”
africano non è nuovo ma , anche questo,
affonda le sue radici nei secoli passati. Le
potenze coinvolte nella tratta degli schiavi
furono le prime ad introdurre il land grab
nelle piantagioni americane. Anche in Africa la
colonizzazione è stata la struttura portante
che ha favorito lo sviluppo del land grab; i
territori conquistati, infatti, avevano la
funzione di rifornire le città principali con le
materie prime necessarie. Anche le
piantagioni furono create sulla base del
modello di quelle del Sud America per la produzione intensiva di alimenti e altri prodotti agricoli necessari per
l’economia urbana (arachide, banana, tè, cacao, zucchero etc.). Questo tipo di agricoltura danneggiò l’ambiente e la
sostenibilità dei raccolti. Dopo l’indipendenza di molti stati africani, nella seconda metà del XX secolo, le politiche di
aggiustamento strutturale imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale spinsero i governi dei
neonati Stati a ritirarsi dal settore agricolo in favore di investitori privati. Con l’intento di assicurare lo sviluppo
dell’agricoltura, i governi africani si rivolsero a compagnie private di investimento. Da questo momento ebbero luogo
le prime allocazioni di terra ad investitori stranieri in Africa. Anche il Senegal si è allineato alla politica di promozione
portata avanti dalle istituzioni internazionali incoraggiando a sua volta gli investimenti diretti alle acquisizioni di terra
nella sua strategia di sviluppo economico. I programmi di recupero dell’agricoltura, infatti, sono stati accompagnati da
procedure legali semplificate allo scopo di incoraggiare e agevolare gli investitori stranieri. Con l’obiettivo di far fronte
alle emergenze legate alla sicurezza alimentare e alle migrazioni illegali, nel 2008 il Presidente Wade lanciò la GOANA
(Grande Offensiva Alimentare per la Nutrizione e l’Abbondanza) e la REVA (Ritorno all’Agricoltura). Queste politiche
miravano a contribuire alla modernizzazione dell’agricoltura, alla diversificazione della coltivazione di prodotti agricoli
e all’intensificazione e aumento della produzione attraverso la promozione di colture irrigate. Attraverso la GOANA il
Presidente del Senegal invita chiunque abbia i mezzi economici, come personalità politiche, religiose e militari, ad
iniziare a mettere a valore la terra. Tuttavia, nonostante queste allocazioni siano state il risultato di una
pianificazione territoriale, esse rappresentano motivo di frustrazione da parte delle organizzazioni di coltivatori e da
molte persone spaventate dai conflitti che esse potranno generare. E’ stato così nel caso di Kédougou, nella parte est
del Senegal e, più recentemente, a Fanaye, nel nord del Paese. Benché si pensi che la terra sia tecnicamente
inutilizzata in quelle aree, essa viene usata dagli abitanti come terreno per i pascoli, per la caccia o come spazio con
funzioni culturali di aggregazione. Oggi, le leggi che regolano la proprietà della terra nell’ordinamento giuridico
senegalese sono basate su un sistema ibrido caratterizzato dalla presenza di pluralismo giuridico e mettono in luce la
necessità di una riforma. La Legge sul Dominio Nazionale, entrata in vigore il 17 giugno 1964, è un misto di tre sistemi
giuridici rilevanti presenti in Senegal e dichiara l’inalienabilità della terra. Inoltre, essa ha gettato scompiglio sulla
concezione africana di proprietà della terra e ha contribuito ad indebolire i diritti su di essa da parte degli abitanti.
Secondo la tradizione senegalese, in origine la terra apparteneva alla classe latifondista (detta lamane); il proprietario
terriero affidava parte della sua terra a persone povere affinché esse la coltivassero in cambio di soldi o parte del
raccolto e poi tramandava i suoi diritti sulla terra ai suoi discendenti. Tuttavia, quando la legge entrò in vigore, tutti gli
appezzamenti che non furono registrati dai loro utilizzatori prima della sua promulgazione divennero parte del
dominio nazionale e, quindi, gestite dallo Stato. Il corpus giuridico che disciplina le terre del dominio nazionale in
Senegal sono la Legge del 1964 e il Codice delle Comunità Locali del 22 marzo 1996. Secondo tali leggi, la terra è
inalienabile, essa è una risorsa che non appartiene né al governo centrale né alla popolazione locale. Essa è proprietà
dell’intera nazione senegalese. Dato questo status, la terra non può essere venduta agli stranieri e, in teoria, questa
disposizione legale dovrebbe rendere le acquisizioni da parte di soggetti esterni alla comunità complicata, tuttavia
questo non avviene nei fatti. Secondo i dati del 2013 raccolti dal Gestes, un gruppo di ricerca dell’università di Saint
Louis (nord del Senegal), il 40% delle terre coltivabili oggi è di privati: 844 mila ettari. Se la tendenza non s’invertirà,
nel giro di dieci anni non rimarrà nessuna terra coltivabile ai senegalesi.
Land Grab- The Facts: What’s being grown?Fonte: earthly mission.
12. 11
Le donne che lavorano su questi campi, le cosiddette “madri terra”, vogliono riprendersi la primaria fonte di
sostentamento delle loro famiglie. Da anni, le multinazionali di ogni Paese bussano alla porta del presidente
senegalese per chiedere la terra; terra da destinare ad uso agricolo, così come alla produzione di biocombustibili.
L’unica ricchezza di cui l’Africa abbonda è il bene che più manca alle potenze europee, arabe ed asiatiche. Senza terra
è impossibile fare business, persino per chi è pieno di denaro. Il governo, miope, si rende disponibile a cedere la terra
per far si che vengano effettuati investimenti a breve termine ma non ha mai chiesto il permesso alla cittadinanza per
cederlo agli stranieri. A seguito di ciò, nessuna organizzazione del dissento è sorta. Ma oggi, in prima fila, troviamo le
donne che conoscono tutto ciò che c’è da fare per rendere la terra produttiva. Per loro e per i giovani, la terra è fonte
di guadagno. In Senegal ci sono solo quattro mesi all’anno in cui le terre sono coltivabili: a luglio-agosto e ad
ottobre-novembre , quando c’è la stagione delle piogge. Il resto dell’anno non c’è acqua a sufficienza. Il sistema
d’irrigazione non è sviluppato, mancano le infrastrutture per sfruttare le poche riserve che durano tutto l’anno. Lo
Stato spera di coprire le sue lacune con i soldi e le tecnologie degli investitori. Ma chi investe però fa promesse che
non è in grado di mantenere: promette lavoro, promette cibo per le popolazioni locali, ma i risultati sono stati pochi.
Quindi, come sviluppare dato che le casse dello Stato sono vuote? Il governo senegalese ha costruito un’agenzia
apposta per facilitare il lavoro degli investitori. Si chiama Apix, Agenzia per la promozione degli investimenti e delle
grandi opere. Ai suoi sportelli arrivano le pratiche per aprire succursali in Senegal per fare business. I veri beneficiari
nel settore agro-industriale sono le Comunità rurali, organismi che amministrano i terreni dello Stato. Ogni volta che
arriva un nuovo investitore, si verifica una forte faziosità di interessi ; più per l’arrivo di capitale straniero in sé che per
il progetto presentato alla comunità.
OHADA: l’armonizzazione del diritto commerciale in Africa
L'Organizzazione per l'armonizzazione in Africa del diritto commerciale, chiamata OHADA, è un'organizzazione
sovrannazionale panafricana fondata 17 ottobre 1993 dal trattato di Saint-Louis. Questa organizzazione, composta dal
Senegal e altri 16 Stati africani, mira a incoraggiare e promuovere gli investimenti nel continente africano attraverso
l'istituzione di un quadro giuridico comune e uniforme nel campo del diritto commerciale. Ottenuta l’indipendenza, gli
operatori economici e giuridici avevano constatato che ciascun paese aveva adottato propri codici di commercio
interni e nazionalistici e che non c’era alcun collegamento tra i paesi confinanti. Questo portava ad enormi difficoltà
negli scambi commerciali, soprattutto nel creare partnership tra paesi limitrofi. Le norme dei diversi paesi risultavano
di carattere contraddittorio e i giudici e gli avvocati erano impreparati nel diritto commerciale e societario. L’OHADA
venne istituita proprio per far in modo che questi colli di bottiglia venissero attenuati. Nacquero così gli “Uniform
Act”, che riguardano il diritto commerciale in generale e che vanno a creare una sorta di codice sovrannazionale per
disciplinare determinate tipologie contrattuali (mediazioni, contratto di agenzia e di distribuzione). Gli atti sono
direttamente applicabili nei singoli stati e fungono da legge. Questi, infatti, una volta adottate dal Consiglio dei
ministri, possono essere invocati da qualsiasi parte in giudizio dinanzi ai giudici di uno Stato membro,
indipendentemente dall'esistenza di un testo dalla legge nazionale. Altro “Atto Uniforme” è quello che riguarda le
società e i GIE (Gruppi di Interesse Economico), relativo alla costituzione e all’amministrazione delle società. Altri
riguardano le procedure per l’accertamento dello stato passivo, il diritto all’arbitrato, la sicurezza nelle transazioni e
l’organizzazione della contabilità aziendale e la mediazione.
Il Senegal si è cosi dotato di un sistema di diritto Commerciale all’avanguardia rispetto agli altri paesi del continente
africano.
13. 12
L’AFRICA: UN PAESE RESILIENTE
Negli ultimi 15 anni, le prospettive sull’ Africa sono oscillate tra due estremi: da un continente afflitto dalla povertà e
dai conflitti negli anni Novanta, a economia in forte sviluppo nel 2010. Oggi emerge una prospettiva più bilanciata: il
continente presenta un crescita eterogenea e regioni che si stanno fortemente integrando a livello economico. La
variabile che maggiormente ha influenzato la perfomance economica passata del continente è stata la disponibilità
di materie prime (commodity). Il collasso del prezzo della materie prime nei tardi anni Settanta e primi anni Ottanta, è
stata la causa delle difficoltà economiche che l’Africa ha dovuto affrontare nei decenni successivi. Oggi il continente è
più resiliente e la peggiore prospettiva legata al possibile crollo del prezzo delle commodities è controbilanciata da
trends demografici positivi, miglioramenti nelle politiche economiche, livelli di debito relativamente bassi, riforme
riguardanti l’ambiente lavorativo e miglioramento delle infrastrutture. Anche l’integrazione regionale sta migliorando,
cosa indiscutibilmente da sottolineare, dato che il paese è ricco di nazioni di piccole dimensioni circondate da terre e
senza sbocco sul mare (landlocked). Inoltre, 21 paesi, dal Senegal a Monzambico, sono menbri dell’ Organisation for
Islamic Cooperation (OIC), cooperazione atta a promuovere la pace a l’armonia a livello internazionale. Un’ulteriore
fonte della resilienza africana è la demografia, grazie alla crescita della percentuale di persone impiegate in diversi
settori, insieme ai tassi medi di urbanizzazione. Il tasso di crescita media della popolazione in tutta l’Africa è del 2.7%,
comparato con una media mondiale dell’ 1.1% ( e con lo 0.5% della Cina). Si prevede che entro il 2030 il continente
ospiterà 1/3 di tutta la popolazione mondiale. La regione dell’Africa Subsahariana è la più urbanizzata; e questo,
secondo Roze Philips, product manager di Accenture, è un dato importante : consiglia agli investitori di tenere
d’occhio le capitali e altri centri urbani. Molte delle principali città sono situate vicino la costa e ciò le rende più
accessibili dal punto di vista della rete di distribuzione globale. La stessa classe media africana sta crescendo, e con
esse anche il suo potere d’acquisto e i loro investimenti. La resilienza del paese è supportata anche da fattori
economici e politici: la mediazione tra regioni sta giocando un ruolo molto più concreto, anche in seguito al colpo di
Stato frenato in Burkina Faso nel 2015, e alle iniziative multilaterali che hanno cancellato parte del debito di più di 30
Nazioni.
Comunque c’è ancora molo lavoro da fare, dato che la maggioranza dei paesi si posiziona ancora agli ultimi posti
rispetto al Doing Business Index della World Bank. Una barriera per lo sviluppo africano è sempre stato il limitato
accesso alle assicurazioni e al credito. Ross McLean, presidente di Dow Africa, nota che gli investitori africani hanno
problemi rilevanti di accesso al finanziamento, principalmente perchè non sono in grado di utilizzare le loro proprietà
come garanzia.
Il continente sta complessivamente seguendo un percorso di crescita, una crescita che è spinta anche da paesi come il
Senegal, la cui crescita del PIL (GDP) si aggira intorno al 7%. L’approccio di Macky Sall non ha fatto altro che
supportare lo sviluppo, grazie alla creazione di un insieme di politiche riformiste confluite nel Plan Senegal Emergence
(PSE). Il testo comprende una serie di linee guida riguardanti aspetti giuridici e politiche economico-finanziarie che
pongono, entro il 2035, obiettivi di trasformazione dei settori produttivi e del settore privato. Sall non vuole
stimolare solo l’arrivo di multinazionali estere, ma ha soprattutto intenzione di incenticare lo sviluppo delle economie
interne e di migliorare il clima imprenditoriale.
Il PSE si fonda su tre pilastri:
- Crescita economico-strutturale;
- Crescita del capitale umano: interventi sociali e interventi radicali basati sullo svilippo sostenibile;
- Interventi sulle Istituzioni ( quindi risoluzione dei conflitti).
Entrando più nello specifico, il PSE mira al migliorameto delle infrastrutture e della performance logistica: questa
imbracatura è centrale per la globalizzazione e per nuove opportunità di sviluppo. La logistica internazionale
comprende una matrice di azioni, dal trasporto, al consolidamento di merci, magazzinaggio e sgombero alle frontiere,
sistemi di distribuzione e pagamento all'interno del paese. L’intervento della Banca Mondiale è stato decisivo: per
sopperire alla mancanza di indicatori chiave per misurare e confrontare la prestazione logistica ( benchmark), ha
prodotto un indicatore, l’Indice di Performance Logistica (LPI- Logistic Performance Index), rimarginando il gap di
conoscenza tra paesi e intensificando il loro livello di competitività. In questo modo i cosiddetti “achivers” possono
essere identificati se presentano un LPI positivo o negativo rispetto al loro potenziale, estrapolato dal loro livello di
sviluppo (GDP). Il divario LPI (la differenza tra l'attuale classifica LPI e la sua classifica prevista in base al suo livello di
reddito) evidenzia anche l’associazione tra prestazioni logistiche e investimenti diretti esteri (IDE). Paesi con migliori
livelli di performance beneficiano di più dalla globalizzazione. I paesi logisticamente “aperti” hanno maggiori
probabilità di avere una migliore catena del valore globale e di attrarre IDE. Poiché il commercio e gli IDE sono i canali
chiave per la diffusione internazionale della conoscenza, una scarsa logistica può impedire l'accesso a nuove
14. 13
tecnologia e know-how e rallentare il ritmo di crescita della produttività. Al contrario, la volontà di implementare il
commercio richiede una buona logistica, mettendo pressione sull'agevolazione delle riforme e sostenendo un
mercato per i servizi moderni. Il Senegal, insieme al Ghana, si classifica ad un livello di LPI più basso rispetto al suo
GPD. L’ LPI dovrebbe essere quindi superiore. Questo è
anche dimostrato da una analisi della relazione tra crescita,
diversificazione dell’export e l’indicatore LPI. I paesi che si
classificano con un LPI molto elevato sono spesso quelli che
tendono ad avere export diversificati. Analogamente, i paesi
in fase di espansione commerciale (aumento degli scambi –
aumento importazioni ed esportazioni) tendono ad essere
anche quelli che sovraperformavano l'LPI rispetto al loro
livello di reddito. Queste correlazioni significative
dovrebbero essere interpretate in termini di associazione: il
miglioramento dell'offerta contribuisce in modo significativo
alla competitività riducendo i costi di transazione. Allo
stesso tempo, è probabile che un'economia in crescita che
diversifica abbia i mezzi per migliorare le sue prestazioni
logistiche.. .Ma quali fattori determinano la performance
logistica? Sicuramente la qualità delle telecomunicazioni ,
ma anche la qualità delle infrastrutture è una componente
essenziale per la circolazione fisica delle merci e lo scambio
tempestivo delle informazioni. I paesi che hanno un LPI
elevanto, raramente riscontrano problemi con la qualità delle telecomunicazioni e delle IT. La preoccupazione è
invece più accentuata per i paesi che si classificano nelle medie o basse posizioni, anche se tali preoccupazioni
esistono anche ad un livello più alto: i paesi più performanti devono mantenere le infrastrutture fisiche ad un livello
tale da poter soddisfare rapidamente la domanda. Le prestazioni della catena di approvvigionamento dipende dalla
qualità dei servizi forniti dal settore privato attraverso intermediari doganali e operatori del trasporto su strada. Nei
paesi con prestazioni logistiche elevate i fornitori privati sono più soddisfacenti dei pubblici, nei i paesi meno
performanti, l’insoddisfazione per la qualità dei servizi logistici si applica sia al settore privato che al settore pubblico:
troppo spesso la regolamentazione è inadeguata e l’assenza di concorrenza porta a corruzione o a servizi scadenti. Le
prestazioni logistiche dipendono anche da dimensioni politiche più ampie, dalla governance complessiva, dal modo in
cui il mercato locale ha possibilità di utilizzare la rete fisica per connettersi ai mercati globali, dalle condizioni
climatiche e dalla trasparenza degli appalti pubblici. Presi tutti insieme, questi fattori confermano che le prestazioni
logistiche riguardano la prevedibilità: essa è fondamentale per i costi logistici complessivi in cui incorrono le società e
quindi nella loro competitività nelle supply chains globali. Il livello di competitività delle imprese è estremamente
sensibile all’ambiente logistico nel quale operano, dato che si ha il bisongo di sostenere costi diretti associati allo
spostamento delle merci, come i costi di trasporto, spese portuali, spese procedurali; e tener conto dei costi indiretti
che scaturiscono dalla mancanza di prevedibilità e affidabilità della catena di approvigionamneto e che tendono ad
aumentare alla diminuzione delle prestazionbi logistiche. Ciò che quindi potrebbe aprire opportunità d’entrata a
nuovi imprenditori sono i miglioramenti della qualità della supply chain. I paesi come il Senegal , caratterizzati da
performance logistiche scarse, hanno maggiori probabilità di incorrere in costi indiretti molto elevati. Quindi, le
riforme in campo logistico , per essere efficaci, dovrebbero seguire un approccio integrato, incentrato sull’interazione
tra infrastrutture e servizi privati, dovrebbero migliorare la prevedibilità e l’affidabilità delle spedizioni e non
concentrarsi solo sui costi medi.
In questo mondo altamente competitivo, la qualità della logistica può avere un impatto sull’opportunità della
globalizzazione e sulle decisioni di un’azienda riguardo all’individuazione del mercato di consumo in cui entrare o da
quali fornitori acquistare. Elevati costi logistici e, più in particolare bassi livelli di servizio, sono un ostacolo al
commercio e agli investimenti diretti esteri e quindi alla crescita economica.
15. 14
INSIGHT IMPRENDITORIALE – UN’IMPRONTA ITALIANA : Riboni RBN
La storia di Riboni RBN affonda le sue radici nel lontano 1947, quando Angelo Riboni acquista il primo camion per
effetturae piccoli trasporti. E’ con il figlio Pietro che l’azienda a conduzione famigliare inizia a trasformarsi in una
realtà imprenditoriale più complessa e maggiormente competitiva, gestendo le spedizioni in tutto il territorio
nazionale e nella vicina Svizzera introducendo i primi servizi di logistica integrata. Con l’ingresso dell’azienda nella
terza generazione, anche grazie ad Alberto Riboni, la Riboni RBN inizia la sua espansione verso i paesi dell’europa
Orientale e del Nord Africa attraverso l’apertura di filiali in Romania (Oradea), Russia (Mosca) e in Marocco ( Tangeri).
Il 2018 è un anno particolare per Alberto Riboni: effettua il suo primo ingresso in Senegal, dal porto di Dakar. Questa è
una grossa opportunità per la sua azienda, a tal punto da portarlo ad istituire la RBN Africa. Riboni scegli il Senegal per
la sua posizione strategica; in particolare per la propensione geografica di Dakar, vicina all’oceano e considerata il
trampolino di lancio per il West Africa. Scecondo il General Mangaer “l’asset principale di sviluppo di qualsiasi
economia è la logistica. Ma il problema principale dei paesi come il Senegal è che non si ha garanzia di pagamento sui
progetti realizzati. Ciò che bisogna fare in generale è portare le competenze italiane per quanto riguarda impiantistica
e costruzioni edili. Partire da progetti piccoli che facciano la differenza”. Riboni nutre un vero e proprio attaccamento,
non solo verso il suo lavoro, ma anche nei confronti del continenete nero: ne parla spesso con passione e si mostra
intenzionato a sviluppare non solo la sua attivà ma anche le persone. I giovani africani sono persone umili,
rappresentano una risorsa quindi, secondo Alberto, “bisogna contribuire alla loro crescita culturale”.
Successivo punto critico trattato da Sall nel PSE è l’approvvigionamento di acqua. Sfide urgenti riguardano l’accesso
all’acqua potabile e ai servizi di irrigazione e di fognatura , sia nelle zone urbane cosi come nelle zone rurali. Questa
apparente difficoltà ha però fornito uno spunto al business di Enea Marco Stefanoni, impegnato in progetti di
sviluppo agricolo sostenibile in Senegal. L’iniziativa Freddas, avviata in due villaggi della valle del fiume Senegal
(Bokhol e Gouriki Samba Diomin), è stata co-finanziata dalla Cooperazione Italiana per lo Sviluppo e coordinata
dall’associazione Green Cross. Nello specifico il progetto prevede di realizzare degli interventi a sostegno degli
agricoltori locali, per ridurre l’utilizzo delle risorse, utilizzare fonti
rinnovabili e migliorare le condizioni di vita della popolazione. Per
arrivare a questo obiettivo si sta provvedendo a ripristinare dei
terreni agricoli abbandonati che si trovano in aree predesertiche. Si
tratta di circa 60 ettari, che permetteranno di sfamare circa 900
persone. Grazie ad un sistema di pompaggio ad alta efficienza e ad
un sistema di irrigazione a goccia, che ridurrà i consumi di acqua
proveniente dal fiume del 70%, alimentato da due impianti
fotovoltaici progettati dai tecnici ENEA, sarà così possibile coltivare
in maniera sostenibile e garantendo dei guadagni alla popolazione
locale. “Finora per pompare l’acqua le famiglie utilizzavano
motopompe diesel, con un costo di produzione di 40-50 centesimi a
kilowattora”, ha spiegato in un comunicato Enea Marco Stefanoni. “Con l‘irrigazione solare, invece, la spesa si dimezza
ed è possibile ottenere fino a tre raccolti annuali, aumentando sia la resa agricola che il reddito dei beneficiari’’.
Infine, il progetto curerà anche la parte relativa alla formazione locale degli studenti e dei lavoratori senegalesi che
verranno formati da docenti professionisti per diventare installatori esperti nella conduzione e monitoraggio degli
impianti di irrigazione con il fotovoltaico.
Il Presidente Sall ha introdotto anche un intero piano sulle energie rinnovabili: un sistema migliore potrebbe
promuovere la diversificazione economica , aumentare la produttività e migliorare la salute e il benessere dei cittadini.
Mentre i combustibili fossili, principalmente il carbone, l’olio e il gas continuano a fornire una grande quantità di
energia, le fonti rinnovabili (SunPower e WindPower) hanno bisogno di assumere un ruolo maggiore. L’iniziativa
“ Energia Rinnovabile Africana” ha fissato l’obiettivo di 300 GW di capacità di energia rinnovabile entro il 2030. Ma tra
ambizione e realtà c’è un gap. La vera questione è incentrata sulla fattibilità del piano, sull’attuale evoluzione del
mercato e su chi sono i principali players. Prima di tutto occore dire che il gap può essere colmato, magari
introducendo regolamentazioni in grado di far rispettare la concorrenza e gli appalti. Attualmente il settore “Green”
africano è saturo e vi ritroviamo lo stesso background presente nel settore della comunicazione mobile di circa dieci
anni fa: ci sono molti consumatori disposti a spendere ma manca un appropriato sistema delle tariffe e di
progettazione delle opzioni. La chiave, come nel settore delle comunicazioni, sarebbero modelli di business intelligenti
e sovvenzioni mirate da parte del governo che potrebbero aiutare a non scoraggiare gli investimenti privati a lungo
termine. Il problema africano è che la fornitura attuale non basta a soddisfare i bisogni delle persone, e gli ospedali e
RENEWABLEENERGYIN SENEGAL
Fonte:SenegalBusinessServicesConsulting.
Mineral
Coal
Electricity
Biomass
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le scuole soffrono ancora di problemi di elettricità. L’ Africa Subshasrina presenta tutti i tasselli per il raggiungimento
del piano ma manca della capacità tecnica per poterli gestire e manovrare nel modo corretto, rischiando il ritardo o ,
addirittura, la cancellazione dell’intero progetto. Per incentivare l’arrivo di investitori si dovrebbero sviluppare delle
competenze locali, cosi che i potenziali entranti possano avviare accordi commerciali con gli sviluppatori locali.
Secondo McKinsey, solo in 7 paesi, tra cui il Senegal, il 50% della popolazione ha accesso all’elettricità. La buona
notizia, secondo BNEF (Bloomerng New Energy Finance), è che gli investimenti in tecnologia nel settore dei
rinnovabili stanno aumentando ad un tasso molto più elevato rispetto a quanto è stato riportato nel settore delle
comunicazioni. Un esempio di investimento nel campo del rinnovabile è quello effettuato da Lekala , compagnia con
sede ad Amsterdam che ha realizzato il parco eolico Taiba N’Diaye, il più grande dell’Africa occidentale (la compagnia
ha inoltre investito nell’apertura di un programma di attività per migliorare l’istruzione, l’impresa e l’ambiente) . Le
turbine alimentate dai venti atlantici invece, forniranno elettricità da fonti rinnovabili per almeno 20 anni. La centrale
eolica è costituita da 46 turbine Vestas che produrranno 158,7 MW, portando ad un aumento del 15 per cento della
capacità di generazione del Senegal. Secondo quanto si apprende dal Plan Senegal Emergent, il mix energetico del
paese prevede di ridurre gradualmente la produzione di energia da fonti fossili passando da un attuale 87 per cento
ad un otto per cento entro il 2030. Per fare questo il paese africano punterebbe ad accrescere la quota di centrali
elettriche alimentate a gas fino ai 993 MW, quella dell’energia idroelettrica a 381 MW, e altri 365 MW puntando su
sole e vento (resteranno comunque attive le centrali a olio combustibile e a carbone), portando in questo modo la
quota di rinnovabili al 30 per cento.
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ECONOMIC OUTLOOK
Il Senegal è in continua crescita. L’Osservatorio
Economico dei Mercati Esteri riporta un valore del
GDP pari a 20,7 miliardi di euro nel 2019, con un
GDP pro capite di 2.853 e un tasso di crescita
annuale pari al 5.3%. Il valore aggregato del GDP è
importante, forse uno dei fattori che più influenzano
il benessere collettivo del paese. Per i paesi più
poveri, la crescita tende ad elevare la popolazione
dalla povertà, dato che le entrate tendono ad
aumentare insieme alla media del GDP. In più,
miglioramenti positivi nella crescita nei paesi in via
di sviluppo tendono ad essere associati ad un
aumento dell’aspettativa di vita, miglioramento
nell’istruzione, diminuzione del lavoro minorile e aumento delle possibilità di accesso all’acqua potabile e alla sanità.
Ma le determinanti del tasso di crescita di un paese restano un mistero. Adam Smith pensava che la specializzazione e
la divisione del lavoro trainassero la crescita; Thomas Malthus e David Ricardo pensavano invece che fossero le risorse
naturali ad imporre opportunità di crescita ad una nazione. Nel 20esimo secolo, invece, gli economisti pensano che la
crescita sia guidata da maggiori investimenti nelle infrastrutture e in capitale umano. L'idea è che il tasso di crescita di
un paese dipende solo dalla frazione di GDP che viene investita. Se i risparmi generati dai suoi cittadini non fossero
sufficienti a finanziare gli investimenti necessari per raggiungere il tasso di crescita desiderato, la Banca Mondiale
finanziarebbe la differenza (questo è il motivo per cui questa linea di pensiero era, ed è ancora, chiamato il "divario di
finanziamento"). Il crollo del modello sovietico e l'incapacità di molti paesi in via di sviluppo di crescere, nonostante
l'aiuto delle istituzioni di Bretton Woods, hanno mostrato agli economisti che investire nel capitale fisico non è stato
sufficiente a migliorare le opportunità di crescita di un Paese. Nuovi meccanismi dovevano essere creati e
implementati. Negli ultimi decenni il capitale umano è diventato il centro della ricerca economica. Durante questo
periodo, i paesi in via di sviluppo sono stati invitati a educare i loro figli e a investire nella espansione del loro capitale
umano. L'hanno fatto. . . ma la crescita economica non si è concretizzata perché l’struzione e formazione delle risorse
umane sono si la chiave; ma solo insieme allo sviluppo tecnologico. Per riassumere questi indicatori – set di istituzioni,
politiche e strutture che guidano il progresso- il World Economic Forum ha individuato un indicatore: il GCI (Growth
Competitive Index). Esso è formato da tre indici/ pilastri:
-Macroeconomic Index: l’economia non può crescere se l’ambiente macroeconomico non è favorevole;
- Public Institution Index: la prosperità è garantita da un sistema giuridico-legale. Le imprese non possono operare in
modo efficiente dove la regolamentazione è nulla o inconsistente;
-Technological Index: un’economia non può crescere nel lungo periodo se non si presenta un progresso tecnologico.
La tecnologia è il cuore della crescita; permette di avere più prodotti e prodotti migliori rispetto al passato.
Questi tre indici non sono indipendenti ma interagiscono tra loro . Il GDP permette una separazione tra paesi “core
innovators” ( vicini alla frontiera tecnologica) e “non-core innovators”( paesi adottatori di tecnologie sviluppate dai
core innovators). Nelle analisi più recenti sul GDP sono stati inclusi altri paesi, tra cui il Senegal e la Tanzania,
portando il numero di paesi analizzati da 80 a 102. Le analisi hanno mostrato che alti livelli di spesa da parte del
governo sono associati ad un livello di crescita molto più basso; ma quando i livelli di spesa del governo sono molto
bassi, il paese non raggiunge nemmeno il livelli minimi di istruzione, servizi pubblici.L’idea è che la spesa pubblica utile
tende a far aumentare la crescita e la produttività delle imprese private, e ciò comporta un aumento della crescita
economica aggregata. C’è quindi una misura di spesa pubblica per cui il tasso di crescita economica risulta più elevato;
e questa misura ottimale cambia da paese a paese.
Sulla base degli indici aggregati che compongono il GDP, notiamo che il Senegal si posiziona al 67esimo posto per il
Macroeconomic Index, al 75esimo posto per il Public Institution Index, all'89esimo posto per il Technological Index. In
Africa, il Botswana si aggiudica il posto più alto in classifica (#26 – Public Institutional Index). Troviamo poi il Sud Africa
(#31- Technological Index). Il Gambia e l’ Egitto occupano posizioni più alte: rispettivamente #55 e #58. Correlato alla
produttività delle imprese presenti all’interno di una nazione , è l’indice BCI ( Business Competitive Index). Strategie
aziendali più produttive richiedono soggetti più altamente qualificati, una migliore informazione, un governo più
efficiente, un miglioramento delle infrastrutture, migliori fornitori e più istituti di ricerca avanzati. Rispetto al BCI , il
Figura- Senegal’s GDP,The World Bank
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Senegal si posiziona al #87 in classifica, al di sotto della Nigeria (#80) e del Camerun (#83).
Il contributo settoriale al GDP
I settori dell'agricoltura, dell'allevamento e della pesca artigianale sono
importanti per l'economia senegalese, soprattutto in termini di
occupazione: nonostante il loro contributo relativamente modesto al
GDP , restano infatti l'attività principale nelle zone rurali e costiere,
anche se sono caratterizzati da una predominanza delle attività
informali e da una bassa produttività. Il settore secondario non
contribuisce ancora in maniera determinante al GDP e poche sono le
grandi imprese. L’industria senegalese è dominata dall’agroindustria,
segue il settore manifatturiero, chimico ed estrattivo. Il settore è in
fase di sviluppo, grazie alle recenti scoperte di giacimenti di idrocarburi
(gas e petrolio) al largo delle coste. Il settore terziario costituisce
invece la maggiore componente dell'economia senegalese e la più attiva, grazie soprattutto al settore delle
telecomunicazioni e alla crescente domanda di servizi connessa alla posizione geografica favorevole di Dakar, sede
regionale di numerosi organismi e società internazionali. Il tasso di diffusione dei conti bancari tra la popolazione
rimane basso. Il credito alle imprese a lungo termine è relativamente poco diffuso e poco incentivato, in ragione
dell'elevato rischio di insoluti e della mancanza di meccanismi di garanzia adeguati.
INSIGHT IMPRENDITORIALE- UN’IMPRONTA ITALIANA: SCOVA IRRIGAZIONI
Il settore primario senegalese è fonte di guadagno. Risorsa necessaria da gestire per avere raccolti abbondanti è
l’acqua, che in Senegal è di falda, di fiume o di lago. Scova, società modenese di cui Carlo Baroni è General Manager,
intravede e sfrutta una grande opportunità: “trapiantare” nel territorio senegalese le sue tecniche di irrigazione, di
filtraggio e fertilizzazione, sistemi goccia a goccia, l’aspersione ,stazioni di pompaggio per trasportare l’acqua dove
necessario e contribuire all’aumento della produzione ortofrutticola e del conseguente export ( il 90% della
produzione viene esportata). Il Senegal, infatti, per le sue caratteristiche di latitudine e climatiche, è perfetto per
produrre dei prodotti ortofrutticoli contro stagione ( fagiolini, zucca, cocomeri, pomodorini e peperoni), che vengono
esportati da gennaio ad aprile nelle grandi distribuzioni a livello europeo. La società è inoltre molto attenta alla
formazione del personale. Lo stesso Carlo Baroni si dedica a seminari di formazione per gli studenti universitari
senegalesi e pe gli stessi clienti; per i tecnici assunti dalla società, sono previsti sei mesi di stage durante i quali si
impara il sistema di lavoro d’azienda oltre che i processi tecnici.
Industrializzazione: ancora un basso contributo al GDP
Tuttavia, questi notevoli risultati in ambito di crescita economica sono in gran parte dovuti alla prolungata crescita
dello sfruttamento delle materie prime, al rapido sviluppo dell'economia dei servizi e alla fornitura di assistenza allo
sviluppo, il tutto a scapito dell'industrializzazione. Il settore industriale africano contribuisce solo marginalmente alla
crescita economica nonostante il notevole potenziale. Lungi dall'essere irreversibile, tuttavia, questa situazione
richiede un cambiamento di rotta, che comprenda scelte coraggiose di politica industriale. Le tradizionali leve
dell'intervento statale devono essere ripensate a favore di approcci polimorfici per mettere in moto un circolo
virtuoso. Nel complesso, i paesi africani si trovano ad affrontare un contesto complesso: capacità industriale limitata
ed elevata dipendenza dalle materie prime. Questa situazione non è solo una fonte di vulnerabilità economica, ma
pesa anche sul loro livello di produttività industriale, esercitando pressioni sulla competitività delle economie.
Negli ultimi tre decenni, il valore aggiunto manifatturiero (VAM) è cresciuto molto, raggiungendo un picco del 19% (in
percentuale del GDP) in Nord Africa e del 14% nell'Africa sub-sahariana. Dal 2003 questa tendenza ha subito un forte
rallentamento. Ad eccezione del Sudafrica e dei paesi nordafricani, il 95 per cento degli africani vive in paesi con un
VAM inferiore a 100 dollari pro capite. La dipendenza quasi esclusiva dalle materie prime e la volatilità dei prezzi
mantengono la vulnerabilità economica del continente africano. Quattro potrebbero essere le leve strategiche per
avviare il recupero di aree industriali:
- il capitalizzare le risorse naturali del paese per creare nuove attività ad alto valore aggiunto attraverso partnership
strategiche con attori chiave;
-lo sfruttamento delle le partnership strategiche utilizzando la vicinanza geografica tra il continente e i mercati vicini
per incoraggiare le operazioni di coproduzione e sviluppare l'industria locale;
-un maggiore affidamento alle tecnologie della Rivoluzione Industriale 4.0 per integrare la catena del valore,
mostrando una maggiore flessibilità in termini di produzione e aggirando così i problemi infrastrutturali;
-migliorare il clima imprenditoriale fornendo un ambiente attraente per gli investitori stranieri e riducendo al minimo
Contributo settoriale al GDP
Industria
Agricoltura
Altro
Servizi
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le barriere agli investimenti.
Il potenziale del continente africano è ben in corso: sette dei dieci paesi in più rapida crescita al mondo si trovano in
Africa. Tuttavia, la sfida dello sviluppo sostenibile e inclusivo rimane. Ciò può avvenire solo con l'attuazione di politiche
industriali innovative, non dogmatiche e coordinate tra gli Stati.
Quali sono , invece, le chiavi per promuovere lo sviluppo del settore terziario in Africa?
Fintech: il settore finanziario incontra la tecnologia
Sebbene la crescita sia in gran parte alimentata dal settore agricolo, il paese dipende fortemente dalle rimesse, che è
uno dei pilastri che alimentano la crescita della sua industria fintech. Nel 2017, WorldRemit ha stretto una partnership
con Wari, una società fintech senegalese, per rendere facile per i cittadini della diaspora inviare denaro a casa. Ci
sono circa mezzo milione di senegalesi in diaspora e nel 2015 il paese ha ricevuto circa 1,6 miliardi di dollari in
rimesse. Ciò rappresentava circa il 5% dei dati sul PIL del paese per il 2015. Uno studio McKinsey del 2013 ha riferito
che le aziende basate su Internet rappresentavano il 3,3% del PIL senegalese.Con l'economia che si prevede
continuerà a crescere, c'è l'opportunità per l'industria fintech di espandersi. Circa 9,6 milioni di senegalesi hanno ora
accesso a Internet, che rappresenta il 62,9% della popolazione. Sebbene le ICT rappresentino attualmente il 2%
dell'economia, il governo attraverso il suo piano di strategia digitale senegalese vuole portarlo al 10%. Il sostegno
governativo al settore ICT sarà determinante per aiutare le startup fintech a prosperare. I senegalesi stanno anche
abbracciando i servizi finanziari digitali, offrendo così un'opportunità di crescita nel settore. Nel 2014, circa l'11% dei
residenti senegalesi ha ricevuto o effettuato pagamenti digitali con il 6,78% della popolazione, effettuando pagamenti
tramite cellulare. La penetrazione degli smartphone in Senegal è stata del 19% in più rispetto al 2016. Si prevede che
la tendenza continuerà a crescere. Gli investitori stanno prendendo atto dell'ecosistema delle startup senegalesi, che
è una buona notizia per i fondatori di startup fintech esistenti e aspiranti. La startup solare Offgrid Oolu ha già
raccolto oltre 3,2 milioni di dollari di finanziamenti tra il 2017 e il 2018. Quest'anno ha raccolto un importo non
divulgato dal GAIA Impact Fund. La Piattaforma di Annunci CoinAfrique ha anche raccolto un finanziamento di crescita
di $ 3,5 milioni all'inizio di quest'anno. Per dare ulteriore credito all'ecosistema, la società di investimento Partech
Ventures ha aperto il suo ufficio in Africa a Dakar ed ha anche annunciato un fondo da 122 milioni di dollari per le
startup africane. MaTontine è una piattaforma di risparmio peer-to-peer mobile con un sistema di punteggio del
credito integrato. Gli utenti possono utilizzare il punteggio di credito per accedere a prestiti e altri servizi finanziari in
Senegal. Entro un anno dal lancio, la startup aveva 475 utenti attivi, erogava prestiti del valore di US$ 12,000 con un
tasso di default dello 0%. E’ attiva anche PayDunya, una startup di soluzioni di pagamento che consente a privati e
aziende di riscuotere ed effettuare pagamenti con o senza un conto bancario. L'avvio fattura ai commercianti ha un
addebito del 4% per ogni pagamento di 18 centesimi (100 CFA) che ricevono. PayDunya conta circa 30 commercianti
in Senegal a due anni dal lancio dell'elaborazione con una una media di US$ 60,000 mensili.Nel 2014, quando Omar
Cisse ha appreso degli scarsi numeri di inclusione finanziaria dell'Africa, ha deciso di creare InTouch, una startup
fintech che offre a commercianti e consumatori una varietà di opzioni di pagamento. Nel suo primo anno di attività
aveva un fatturato di oltre 1,2 milioni di dollari. Nel 2017, ha raggiunto un volume delle transazioni pari a $ 17.6
milioni al mese con 30.000 transazioni al giorno. C'è da considerare anche SudPay, una società fintech che offre
prodotti che includono soluzioni di biglietteria digitale e riscossione delle tasse. Ed ancora, LemonWay (fornitore di
servizi di denaro mobile), Weebi (soluzioni POS per le PMI) e Sentool una piattaforma di trasferimento di denaro di BB
Invest (SRL). Il rapper afroamericano Akon sta progettando di costruire una Crypto City in cui gli scambi si
effettuerebbero esclusivamente tramite la propria valuta digitale denominata Akoin. Akon ritiene di offrire agli
africani l'opportunità di avanzare indipendentemente dai loro governi.
Queste piattaforme elettroniche si dovrebbero consolidare con l’entrata in vigore dei pagamenti telematici che
daranno al Senegal un’amministrazione con zero format cartacei, ai fini di una buona trasparenza e una sicurezza
efficace.
Import- export
Il paese è caratterizzato da un forte squilibrio nella bilancia commerciale. Negli ultimi anni le esportazioni sono
aumentate da 3,2 miliardi di dollari nel 2010 ai 5,4 miliardi nel 2019; le importazioni sono aumentate 5,2 miliardi di
dollari nel 2010 ai 8,9 miliardi nel 2019. La bilancia commerciale del Senegal continua a registrare un deficit, che ha
raggiunto i 3,5 miliardi di dollari USA nel 2019 (22% del PIL). I principali mercati di esportazioni per le merci del
Senegal, sono : Mali (US$ 443m) ;Svizzera (US$ 225m) ,India (US$ 140m) ,Costa d’Avorio (US$ 122m) e Cina (USA $
120m). Le importazioni provengono principalmente dalla: Francia (USA $ 917 m) ,Cina (US$ 544m) ,Nigeria (US$
453m) ,India (US$ 3550m) ,Spagna (US$ 289m). Inoltre, secondo il ranking di SACE SIMEST, il Senegal si classifica all’85
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esimo posto tra i mercati di destinazione per l’export italiano e al terzo posto tra i mercati di destinazione dell’export
italiano nell’Africa Sub-Sahariana. Si classifica 62esimo/100 per Export Opportunity Index , al 52/100 per l’
Investment opportunity Index. ( 100 sono i paesi analizzati dal ranking SACE SIEMEST). I settori chiave per
l’importazione sono: carburante, beni strumentali, tabacco e generi alimentari, attrezzature e macchinari; mentre per
le esportazioni: pescato, arachidi, fosfati e cotone, oro. Uno dei principali rapporti import-export è quello instaurato
con la Cina, che importa risorse ed esporta beni manifatturieri e sviluppa in Africa nuove opportunità per le imprese
cinesi. Le esportazioni africane verso la Cina sono aumentate del 54% nel 2007- 2008; mentre le importazioni africane
dalla Cina sono aumentate del 36%. La Cina esporta credito e le banche cinesi finanziano progetti esteri in Africa per
facilitare gli investimenti cinesi. La Cina importa 1/3 dei carburanti dall’ Africa. La Cina esporta in Africa automobili,
prodotti elettronici, medicinali, vestiti…
Rapporti Internazionali: approfondimento rapporto Africa-Cina
Vivimao in un mondo globalizzato, dove le distanze sociali ed economiche sono diminuite drasticamente. Tra gli effetti
della globalizzazione ricordiamo l’aumento dei flussi di capitali (IDE) e l’auemnto dei flussi finanziari. Mentre in
passato erano i paesi sviluppati ad avere una maggior carica attrattiva nei confronti degli investiemnti diretti esteri,
oggi si riscontra un aumento del tasso di IDE ospitati dai paesi in via di sviluppo. Alla fine degli anni 2000, infatti, più
di ¼ degli IDE era rivolto verso economie crescenti/ in transizione: le economie prima considerate in via di svilupp
(Cina) e le economie dei paesi del quarto mondo sono diventate sempre più correlate.
In Africa, dai primi anni 2000 la Cina ha portato avanti una politica molto espansiva. Negli anni, infatti, è arrivata a
prestare US$148 miliardi a 50 stati africani, per un totale di 1076 prestiti per investimenti infrastrutturali. I principali
settori finanziati dall’opera di irrorazione di liquidità cinese sono stati i trasporti (US$44,2 miliardi), l’energetico
(US$37 miliardi) e l’estrazione mineraria (US$ 18,6 miliardi).In molti hanno criticato l’entità di tali finanziamenti a
pioggia sottolineando come il pericolo sia di mettere in difficoltà le economie africane imponendo troppo debito sui
loro bilanci statali. Tra le clausole di garanzia dei prestiti c’è infatti l’obbligo di consegnare in mani cinesi le opere
costruite con i finanziamenti in caso di insolvenza. Quindi, al mancato pagamento, la Cina potrebbe impadronirsi di
infrastrutture strategiche di fatto condizionando l’economia continentale. Già nel 1955, quando iniziò la promozione
dei legami culturali ed economici tra i due paesi, vennero creati principi pacifici di co-esistenza: mutuo rispetto verso
l’integrità territoriale; mutua non aggressione; non intervento negli affari domestici; coesistenza pacifica. Nel 2002 è
stata creata la “African Union” per raggiungere un corpus politico e di negoziazioni molte forte. Dopo questi accordi ,
la Cina ha supportato l’Africa finanziariamente e militarmente, ha investito in infrastrutture (strade, ponti e dighe) ed
è coinvolta in programmi di supporto sanitario e scolastico. La Cina è diventata il terzo paese ad avere i maggiori
scambi commerciali con l’Africa e il secondo paese destinatario delle esportazioni africane. Ma il portafoglio di attività
cinesi in Africa non pone freno alla sua espansione: c’è un continuo trasferimento di management cinese nel
continente che continua a voler identificare e sfruttare il fit tra le capacità strategiche dominanti e le esigenze
strategiche dei business locali. Numerose accuse di aver sottostimato le imprese locali e di aver assunto lavoratori
cinesi anziché lavoratori africani: la maggior parte delle posizioni manageriali erano occupate da cinesi, l’economia
locale è stata stimolata poco, erano previsti bassi salari per i lavoratori africani e l’uso di metodi lavorativi pericolosi.
Il problema principale è che il Senegal resta un grande produttore di materie prima ma non ha le abilità per trarre
vantaggio dalla trasformazione di tali prodotti rispetto agli altri paesi africani Ad esempio, il Senegal è uno dei più
grandi produttori di arachidi ( circa 1,5 milioni di tonnellate all’anno), dato che in molte zone il clima è molto secco.
Molte vengono vendute per strada da venditori ambulanti ma grandi quantità ( numeri che si aggirano intorno alle
200.000 tonnellate) vengono esportate in Cina. I Cinesi offrono 300 CFA per un chilo di arachidi non sgusciate e 525
CFA per arachidi sgusciate, molto di più rispetto alle offerte locali. La Cina è di per sé un enorme produttore di
arachidi, ma la domanda supera di gran lunga l'offerta interna. Il ministro dell'Agricoltura senegalese Moussa Balde ha
affermato che la Cina è stata il principale acquirente di arachidi senegalesi dal 2014, quando i due Paesi hanno firmato
un accordo. Ma il paese rischia di rimanere bloccato in questo traffico come semplice fornitore di materie prime,
senza poter trarre profitto dal valore aggiunto. Il governo dovrebbe installare frantoi per migliorare la capacità di
trasformazione in prodotti finiti (olio di arachidi), così da catturare il maggior VA invece delle “ briciole pagate da
acquirenti selvaggi”.
Norme e regole sull’importazione e sull’esportazione: come operano le dogane senegalesi
In un Paese in cui il tasso d’importazione dei prodotti è assai alto, in ragione della quasi assenza di produzione
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industriale, è evidente come le dogane abbiano una posizione assi rilevante all’interno degli scambi commerciali. Il
sistema doganale è regolato da una serie di normative tra cui il codice della dogane promulgato con la legge nr. 87-47
del 28 dicembre 1987. La normativa riprende le precedenti leggi nazionali aggiornandole e prendendo spunto dalla
legislazione comunitaria UEMOA (Unione Economica Monetaria Ovest Africana). Occorre segnalare che le dogane dei
Paesi membri, pur godendo di una certa autonomia di gestione, devono attenersi alla normativa sovranazionale
approvata dal codice delle dogane UEMOA. Un aspetto importante connaturato alla medesima risulta essere la
previsione codicistica della libera determinazione del Ministero delle finanze nella sua facoltà di emettere decreti che
possano regolare e/o limitare l’importazione o l’esportazione di certi prodotti.
Gli agenti delle dogane esercitano la loro competenza sia sul territorio terrestre che su quello marittimo e rivestono
qualifica di agenti di polizia, pur non possedendo attribuzioni di polizia giudiziaria. In ogni caso è loro concesso
controllare veicoli e richiedere documenti d’identità ai soggetti transitanti nel territorio senegalese. È, oltretutto, non
infrequente che le dogane diano avvio ad indagini relative a società o privati che importano regolarmente prodotti e
merci nei territori senegalesi. Tali indagini possono anche intervenire a distanza di qualche anno ed è quindi
opportuno conservare ogni documentazione doganale, al fine di potersi regolarmente opporre a richieste infondate. È
opportuno non dimenticare che una delle principali fonti di entrate dello stato sono, appunto, costituite dai diritti
doganali e fiscali legati alla importazione delle merci . Il capo ufficio delle dogane ha diritto ad una percentuale (pari al
20%) su quanto recuperato, dalla sua unità, per frodi doganali individuate e sanzionate. È, quindi, evidente come le
dogane esercitino un’intensa attività di controllo e di applicazione di sanzioni. Si consideri, altresì, che superati certi
importi la frode ha conseguenze penali con espressa previsione normativa di detenzione preventiva del presunto
colpevole. L’ammontare della frode, prima di essere oggetto di accertamento giudiziario, è stabilito dal competente
ufficio doganale che ne segnala la consistenza alla Procura della Repubblica. Le importazioni possono essere di natura
definitiva o temporanea. Nel primo caso i diritti fiscali e doganali devono essere corrisposti al momento dell’arrivo in
porto della merce (o alle frontiere terrestri). Nel secondo, in occasione ad esempio delle fiere internazionali, i diritti
doganali e fiscali vengono corrisposti alla fine della manifestazione o quando i beni entrano in maniera definitiva nel
territorio dello stato. In questa qualifica di temporaneità rientrano anche le merci che possono essere depositate in
magazzini extra doganali, dai quali sarà possibile farle uscire, per la vendita definitiva, previa corresponsione delle
imposte dovute. Alcune merci, prima di essere spedite, necessitano di essere sottoposte alle verifiche ed alla
valutazione di Cotecna (fornitore leader di servizi di test, ispezione e certificazione) prima di venire spedite. In tal caso
la fattura dovrà essere sottoposta alla dichiarazione preventiva d’ importazione (DPI). Le stesse banche senegalesi non
acconsentono al pagamento di fatture relative a merce da importare se non in presenza di una dichiarazione
preventiva all’importazione, rilasciata dalle dogane senegalesi. Tale procedura, estremamente semplice, comporta la
presentazione della fattura di acquisto presso la locale agenzia delle dogane deputata al rilascio del documento che,
normalmente, avviene in 48 ore. Conseguita la dichiarazione, l’acquirente potrà provvedere al pagamento della
fattura. A seguito delle ordinarie procedure di trasporto la merce arriva a destino e sulla stessa vengono applicate le
imposte ed i diritti doganali. Le procedure di sdoganamento sono in genere assai celeri, salvo che ci si imbatta in
problemi connessi o alla natura delle merci o alla poca chiarezza dei documenti o a difficoltà nella quantificazione dei
diritti fiscali e doganali. Le merci non vietate (cioè quelle non oggetto di singoli provvedimenti interdittivi del
Ministero delle finanze) sono oggetto di controllo, nel porto di Dakar, sia mediante scanner, sia ad esame a campione.
La previsione di un buon spedizioniere sul porto di Dakar permette di risolvere molti dei problemi connessi allo
sdoganamento ed alla riconsegna delle merci stesse. La quantificazione dei diritti doganali e fiscali avviene secondo
alcuni specifici criteri a seconda della tipologia delle merci e presso le dogane si possono rintracciare liste di
previsione di categorie mercatoriali alle quali applicare le imposte secondo percentuali stabilite . In alcuni casi
l’imposizione avviene su percentuale specifica delle merci in transito, con riferimento esclusivo all’ammontare della
fattura (per esempio il 40% del prezzo di acquisto, detratte le spese di trasporto), in altri casi (per esempio in
relazione all’importazione di vetture di occasione) il costo impositivo si calcola in relazione a parametri di valore delle
vetture stesse internazionalmente riconosciuti (listini prezzi o altro). In questo specifico settore è anche opportuno
segnalare che i processi d’informatizzazione hanno permesso alle dogane senegalesi di rintracciare non solo la
provenienza reale della vettura ma anche la data precisa d’immatricolazione in riferimento al numero di telaio della
stessa. È del tutto evidente che, qualora il costo di importazione debba esser quantificato sull’importo della fattura,
l’acquirente tenti di far ridurre l’ammontare stesso alla parte venditrice. Tale prassi, assai consolidata, permette, in
alcuni casi, di risparmiare sui diritti doganali e fiscali, ma non bisogna dimenticare che le dogane hanno un potere
discrezionale nel riconoscere l’importo della fattura stessa. Nel caso che quest’ultimo sia palesemente troppo ridotto,
in relazione alla qualità ed alla quantità della merce, il doganiere operante può decidere di valutare, secondo i
parametri prestabiliti, il vero valore della merce applicando, di conseguenza, i diritti doganali e fiscali che meglio