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Il fegato
Costituzione Anatomica
Grossa ghiandola, indispensabile per la vita dell'organismo, dotata di numerose
attività essenzialmente collegate con il metabolismo intermedio. E' situato al di
sotto del diaframma ed occupa la parte più alta della cavità addominale,
portandosi da destra verso sinistra raggiungendo il margine cartilagineo della
VII e VIII costola. Ha la forma di un segmento superiore di ovoide, colorito
rosso bruno; è friabile e si lacera con molta facilità. Nel soggetto adulto il
fegato ha un peso che oscilla tra i 1400 e i 1500 g; in esso si distinguono tre
facce: una superiore o diaframmatica, una inferiore o viscerale ed una
posteriore. La faccia superiore convessa si trova immediatamente al di sotto
del diaframma, ed il legamento falciforme la divide in due parti: il lobo destro
ed il lobo sinistro. La faccia viscerale o inferiore è piana ed è divisa da tre
solchi che, per la loro disposizione, assumono la forma di una H, essendo
situati due sagittalmente ed uno trasversalmente. Nella parte anteriore del
solco destro si trova la vescichetta biliare, mentre nella parte anteriore di
quello sinistro è situato il legamento rotondo, residuo della vena ombelicale. Il
solco trasverso è determinato dall'ilo del fegato, da dove escono ed entrano
tutti i vasi eccetto le vene epatiche. Penetrano attraverso l'ilo, la vena porta e
l'arteria epatica mentre ne esce il dotto epatico. I solchi sopra riferiti dividono
la superficie inferiore dell'organo in quattro lobi:
il lobo destro o quadrilatero, il lobo sinistro o triangolare, il lobo quadrato
situato in avanti all'ilo ed il lobo caudato che si trova dietro all'ilo. Il lobo
caudato presenta anteriormente una piccola sporgenza arrotondata che
costituisce il processo papillare, mentre l'estremità posteriore termina con il
prolungamento conosciuto sotto il termine di processo caudato. La faccia
posteriore è concava e si assottiglia alle estremità. Due solchi, uno determinato
dalla vena cava, l'altro dal legamento venoso, delimitano tre zone: destra,
media e sinistra. Le tre facce del fegato sopra ricordate sono separate da tre
margini: anteriore, superiore ed inferiore. Il margine anteriore è sottile e
tagliente, diretto obliquamente dal basso verso l'alto e da destra a sinistra.
Questo margine abitualmente si trova al di sotto della VII ed VIII costa sinistra
e presenta due profonde incisure che corrispondono all'estremità anteriore dei
solchi longitudinali che si trovano nella faccia viscerale. Il margine superiore ha
forma arrotondata e divide la faccia diaframmatica dalla faccia posteriore; il
margine inferiore presenta un' incisura determinata dal legamento rotondo e
raggiunge il margine inferiore della X, XI e XII costola. La sua superficie
esterna è rivestita per la maggior parte dal peritoneo, il quale forma anche dei
legamenti che uniscono il fegato alla parete addominale ed ai visceri vicini. Tra
questi legamenti ricordiamo il legamento falciforme che fissa il fegato al
diaframma, ed il legamento coronario che anche questo fissa in modo energico
il margine posteriore del fegato al diaframma. Come è stato detto, la superficie
epatica è rivestita in gran parte dal peritoneo, ma il fegato possiede un
involucro proprio costituito dalla capsula di Glisson che riveste tutto l'organo
senza alcuna interruzione e, in prossimità dell'ilo, avvolge l'arteria epatica, la
vena porta ed il dotto epatico nonché i nervi e li accompagna fino alle loro
ultime diramazioni. La vascolarizzazione del fegato è notevolmente abbondante
e nello stesso tempo del tutto particolare, in quanto vi sono due importanti
vasi afferenti: la vena porta e l'arteria epatica. La vena porta che convoglia
tutto il sangue proveniente dall'intestino, arrivata all'ilo, si divide in due rami i
quali arrivati nello spessore del fegato si ramificano come se fossero dei rami
arteriosi, pervengono negli spazi interlobulari, prendendo questo nome ed
emettono 5-6 venule che penetrano nei lobuli vicini. L'arteria epatica nasce dal
tronco celiaco e giunta in prossimità dell'ilo si divide in due rami che a loro
volta forniscono rami per i condotti biliari, rami vascolari, rami capsulari e rami
interlobulari. Le vie efferenti sono rappresentate dalle vene epatiche che
originano dalle vene sottolobulari che confluiscono tra di loro formando dei
tronchi sempre maggiori i quali si dirigono verso il margine posteriore del
fegato per sboccare nella vena cava per mezzo di due tronchi: la vena epatica
destra e la vena epatica sinistra. Come è stato detto, le più fini diramazioni
della vena porta decorrono negli spazi interlobulari, dove prendono il nome di
vene interlobulari, e da qui emettono ramuscoli che penetrano nei lobuli dove
assumono le caratteristiche dei sinusoidi, particolari capillari privi di tonaca
media ed avventizia, la cui parete è formata da cellule endoteliali prive di
membrana basale e da cellule stellate di Kupffer, le quali sono dotate di attività
istiocitaria. E' evidente che il lobulo epatico, unità anatomofunzionale del
fegato, viene ad essere delimitato essenzialmente dai rami capillari della vena
porta. I sinusoidi convergono al centro da dove ha origine la vena
centrolobulare, che percorre tutto l'asse del lobulo per sboccare nella vena
sottolobulare, dalla cui confluenza nascono le vene epatiche. E' dubbio se
anche l'arteria epatica partecipi alla formazione dei sinusoidi, anzi Bloom e
Fawcett, in seguito ad osservazioni al microscopio elettronico, l'escluderebbero
in modo categorico, mentre sarebbe stata dimostrata la presenza di
anastomosi tra rami della vena porta e rami dell'arteria epatica. Le cellule
epatiche hanno una forma poliedrica e sono disposte in lamine, le quali sono
costituite da un solo strato di elementi cellulari. Le cellule epatiche, per mezzo
delle loro facce, sono in connessione tra di loro, con i sinusoidi e costituiscono
la parete iniziale dei capillari biliari. La membrana cellulare in vicinanza del
capillare biliare è ispessita e la parte che forma la parete del capillare presenta
dei microvilli. Tra la faccia cellulare ed il capillare sanguigno, esiste un
piccolissimo spazio detto spazio di Disse, entro il quale si proiettano delle
estroflessioni della membrana cellulare che anche qui formano dei microvilli, e
la ricordata assenza di membrana basale tra cellule epatiche e sinusoidi sta ad
indicare la facilità degli scambi che avvengono a questo livello. Inoltre tra
cellula e cellula tra gli spazi di Disse, intorno alle radici dei canalicoli biliari,
circola la linfa, che raggiunge in fine una lacuna (spazio di Molì), situata tra la
lamina limitante e gli spazi portali. I canalicoli biliari, come sopra detto, si
originano in prossimità delle cellule epatiche, non hanno una membrana
propria, e tendono a confluire nella zona di passaggio, dove cominciano ad
acquistare le cellule proprie. Da qui si dirigono al limite fra lobulo e spazio
portale, per diventare canali biliari interlobulari. Questi confluiscono in
corrispondenza degli spazi portali più ampi, formando dei canali di maggior
diametro che in definitiva costituiscono, a livello dell'ilo, il dotto epatico destro
e sinistro. La riunione di questi due condotti dà origine al dotto epatico
comune, il quale ha una lunghezza di circa 3 cm e, dopo essersi unito con il
dotto cistico, forma il dotto coledoco. Il dotto cistico si estende dalla cistifellea
e termina ad angolo acuto nell'estremità inferiore del dotto epatico. La
cistifellea è un serbatoio muscolomembranoso, posta sulla faccia inferiore del
fegato, ha forma di pera e viene suddivisa in tre porzioni: una porzione
inferiore o fondo, una media o corpo, una superiore o collo che descrive due
curve ad S italica e dopo un piccolo rigonfiamento, bacinetto della cistifellea, si
continua con il dotto cistico. La cistifellea è formata da tre tonache: una tonaca
mucosa, costituita da epitelio cilindrico ricco di ghiandole; una tonaca
fibromuscolare, formata da fibrocellule muscolari mescolate a fasci di fibre
connettivali; una tonaca sierosa, che è una dipendenza del peritoneo epatico. Il
contenuto medio della colecisti si aggira tra 50 e 60 cc di bile. Dalla riunione
del dotto cistico con il dotto epatico, si origina il dotto coledoco che si dirige in
basso e, dopo aver percorso la faccia posteriore della testa del pancreas, in cui
scava un solco, perfora la seconda parte del duodeno per sboccare nell'ampolla
epatopancreatica di Vater. Immediatamente prima di sboccare nell'ampolla, le
fibre muscolari trasversali del coledoco si ispessiscono formando una specie di
anello che costituisce lo sfintere di Oddi.
Funzioni
Il fegato compie importanti funzioni essenzialmente di ordine metabolico, per
cui la grave compromissione dell'integrità anatomica diffusa del parenchima
epatico non è compatibile con la vita. Prendiamo in esame queste funzioni
dell'epatocita. Funzione emodinamica: si identifica nella possibilità da parte del
di controllare il volume e la composizione del sangue circolante.
Indipendentemente dal fatto che per la sua costituzione anatomica il fegato
viene considerato come un serbatoio di sangue, in determinate circostanze
esso può mettere in circolo sostanze ad azione ipotensiva o sostanze ad azione
ipertensiva, queste da non identificare con l'ipertensinogeno, proteina che per
azione della renina si trasforma in ipertensina. Funzione gliconeo genetica e
glicogenolitica: può essere definita come funzione regolatrice delle varie fasi
del metabolismo glicidico, tramite la sintesi e la scissione del glicogeno. Diversi
zuccheri che arrivano nel fegato vengono utilizzati per la sintesi del glicogeno
che si svolge alla presenza di numerosi enzimi, ed è influenzata dal sistema
neuroendocrino. Così l'insulina ed il cortisone aumentano il contenuto di
glicogeno epatico, mentre esso viene mobilizzato dall'adrenalina, tiroxina e
glucagone. Il glicogeno neoformato viene immagazzinato nel fegato
essenzialmente negli epatociti della zona centrolobulare. I principali enzimi che
prendono parte a questi processi sono:
l'esochinasi, la fosfoglicomutasi e la fosforilasi. Il glicogeno può essere scisso
rapidamente in glucosio secondo le necessità dell'organismo e questo processo
si compie con la partecipazione di enzimi, quali: glucosio 6-fosfatasi, fosforilasi
e fosfoglicomutasi. Ma esiste anche una funzione gliconeogenetica, che
consiste nella possibilità di formazione di glucosio da sostanze diverse, come
aminoacidi, glicerolo ed acido lattico. Inoltre il fegato, in determinate
circostanze, può trasformare il glucosio sia in acidi grassi che in aminoacidi.
Funzione lipolitica e regolatrice della lipemia: il fegato, tramite la bile,
partecipa all'assorbimento dei grassi, regola la scissione degli acidi grassi,
presiede alla sintesi dei fosfolipidi e del colesterolo, e alla trasformazione dei
glicidi in lipidi, come è stato detto sopra; i grassi che arrivano ad esso possono
venire veicolati o sotto forma di trigliceridi contenuti nei chilomicroni,
attraverso il sangue portale, o sotto forma di acidi grassi non esterificati i quali
si liberano dal tessuto adiposo, sotto l'influenza dell'adrenalina e noradrenalina
nonché di stimoli nervosi. Gli acidi grassi liberi sono trasportati nel sangue
dalle proteine sieriche e in particolare dalle albumine; nel fegato vengono
metabolizzati in vario modo: a) possono venire ossidati fino ad acetato, che
ingrana nel ciclo di Krebs, oppure viene condensato in acido aceto-acetico, il
quale o viene ossidato in tessuti extraepatici, o viene incorporato in molecole
più complesse per iniziare la sintesi del colesterolo e di acidi grassi; b) possono
servire alla sintesi di lipidi complessi come trigliceridi, esteri del colesterolo e
fosfolipidi. Una frazione di questi lipidi resta nel fegato ed entra a far parte
delle strutture cellulari, parte passa nel sangue sotto forma di lipoproteine
sintetizzate dal fegato. Le lipoproteine sono formate da una quota lipidica e da
una proteica di natura globulinica. Nel fegato inoltre può avvenire la risintesi
degli acidi grassi, a partire da sostanze di più basso peso molecolare,
specialmente dall'acetato e dal malonato, attraverso sistemi che richiedono la
presenza di coenzimi piridinici. A proposito dei fosfolipidi si ricorda che il fegato
assorbe facilmente quelli che si trovano nella corrente sanguigna, ed inoltre è
sede della sintesi degli stessi. Perché avvenga la formazione dei fosfolipidi,
sono necessari il coenzima A, l'ATP (acido adenosin trifosforico) e la colina. Per
la sintesi della colina, i gruppi metilici (CH3), sono forniti dalla metionina e
dalla betaina. Funzioni sul metabolismo protidico: sintesi delle proteine,
scissione degli aminoacidi, formazione dell'ammoniaca e trasformazione di
questa in urea. La sintesi proteica si origina dagli aminoacidi che possono
derivare dall'intestino, dalla transaminazione di chetoacidi e dalla demolizione
delle proteine endogene. Tra queste proteine neoformate alcune faranno parte
delle proteine proprie del fegato, nel senso che partecipano alla struttura degli
epatociti; altre vengono riversate nel sangue essenzialmente sotto forma di
albumine ed alfaglobuline, altre fanno parte dei fattori necessari per la
coagulazione. Tra queste ricordiamo il fibrinogeno, la protrombina, il fattore V,
il VII, il IX ed il X. li risaputo da tempo che per il normale svolgimento della
coagulazione è necessario che il fegato abbia a sua disposizione una certa
quantità di vitamina K, la quale viene assorbita dall'intestino, grazie
all'intervento della bile, ma fino a poco tempo fa non era ben chiarito il
meccanismo d'azione di questa vitamina. Recenti ricerche hanno portato alla
determinazione che la vitamina K induce nella cellula epatica la trascrizione di
un particolare RNA (acido ribonucleico) messaggero, sul quale viene codificata
la sintesi della protrombina e dei fattori VII, IX e X. Ma il fegato partecipa
anche al catabolismo delle proteine con liberazione degli aminoacidi, i quali
vengono degradati fino alla formazione di ammoniaca. Questa che rappresenta
la quota derivata dalla deaminazione delle proteine, più l'ammoniaca prodotta
dalle fermentazioni provocate dalla flora batterica intestinale, viene
trasformata in urea. Infatti l'ammoniaca si combina con l'ornitina e l'anidride
carbonica per formare citrullina, la quale si riunisce con un'altra molecola di
ammoniaca formando arginina. L'arginina, ad opera dell'arginasi (enzima che si
trova nei mitocondri delle cellule epatiche), viene scissa in urea ed ornitina,
mentre il ciclo si ripete continuamente. Ma ancora nel fegato alcuni aminoacidi
possono essere trasformati in altri, così la fenilalanina in tirosina. Un'altra
importante funzione del fegato è rappresentata dalla sintesi degli enzimi, i
quali sono indispensabili per lo svolgimento di tutte quelle reazioni che
avvengono nell'epatocita. Particolarmente richiamano l'attenzione le
transaminasi glutammico ossalacetica e glutammico piruvica che catalizzano il
trasferimento del gruppo aminico di un aminoacido ad un chetoacido; le
aldolasi che sono indispensabili per la scissione dell'1-6 fosfofruttosio in due
molecole di triosofosfato (tappa intermedia del metabolismo degli zuccheri); 1
'ornitin-carbamil-transferasi che catalizza la reazione reversibile ornitina-
citrullina; la fosfatasi alcalina, che trasforma l'acido fosforico legato ai composti
organici in fosfati inorganici; la glucosio 6 fosfatasi che scinde il glucosio 6
fosfato in glucosio e fosfato, la lattico-deidrogenasi che trasforma l'acido lattico
in acido piruvico; la xantinossidasi che ossida la xantina trasformandola in
acido urico; la colinesterasi che idrolizza gli esteri della colina. La funzione che
riguarda il metabolismo degli ormoni consiste nella degradazione a livello
epatico di diversi ormoni. I corticoidi vengono in parte ridotti, con formazione
di metaboliti inattivi con 21 atomi di carbonio, in parte vengono ossidati con
formazione di metaboliti a numero inferiore di atomi di carbonio. Gli androgeni,
in seguito a processi di ossidazione e riduzione, vengono trasformati in
metaboliti sempre meno attivi; analogamente vengono inattivati gli estrogeni,
il progesterone e gli ormoni tiroidei; tutti questi poi vengono coniugati in parte
con l'acido glicuronico in parte con l'acido solforico e sucessivamente eliminati.
La funzione disintossicante e di escrezione si esplica essenzialmente con la
coniugazione di sostanze tossiche con acido glicuronico e l'eliminazione per via
biliare. La coniugazione può avvenire anche con il solfato attivo, con la glicina,
con la cisteina e con la glutamina. Il fegato inoltre rappresenta un importante
organo di deposito di molte vitamine. A parte la sopra menzionata vitamina K.
nel tessuto epatico si riscontrano:
la vitamina A, la D, la B12, la biotina, l'acido pantotenico, la piridossina, la
tiamina che viene trasformata per un processo di fosforilazione in
cocarbossilasi e l'acido folico che si riscontra nella sua forma attiva, e cioè
come acido tetraidrofolico. Il fegato inoltre rappresenta l'organo di deposito per
eccellenza del ferro, il quale non si trova libero dentro le cellule, ma legato a
proteine sotto forma di ferritina e di emosiderina. Il distacco del ferro dalle
proteine avviene quando viene ridotto allo stato ferroso, trasformazione che si
realizza ad opera della xantino-ossidasi.
La bile
Il fegato produce la bile che, attraverso i canalicoli e le vie biliari intra ed
estraepatici, si raccoglie nella colecisti, pronta ad essere riversata nel duodeno
in seguito a stimoli neuro-umorali che vengono liberati durante la digestione.
La bile risulta formata da: acqua, pigmenti biliari, sali biliari, mucina,
colesterolo, fosfolipidi, acidi grassi, grassi neutri ed enzimi. I pigmenti biliari
sono rappresentati dalla bilirubina e dai suoi derivati. La maggior parte della
bilirubina deriva dalla componente protoporfirinica dell'emoglobina, la quale
rapidamente viene convertita in bilirubina in tutto il sistema reticolo-
istiocitario. La bilirubina così formata è solubile nei grassi, viene trasportata al
fegato legata ad un'albumina, e qui ·subisce importanti modificazioni per cui
diventa idrosolubile e pertanto può essere eliminata attraverso gli organi
emuntori. In prossimità dell'epatocita, la bilirubina si libera dall'albumina e, nel
reticolo endoplasmatico della cellula epatica, ad opera dell'enzima glicoronil-
transferasi, viene coniugata con l'acido glicuronico; solo una piccola quantità di
bilirubina viene coniugata con altre sostanze, tra le quali ricordiamo il solfato
attivo. La glicuronoconiugazione provoca modificazioni di numerose proprietà
chimico-fisiche della bilirubina, tra le quali la più importante resta sempre la
solubilità nell'acqua, il che permette l'escrezione del pigmento attraverso la bile
ed i reni. L'escrezione dalla cellula epatica al canalicolo biliare avviene con
meccanismo che richiede una certa quantità di energia, la quale viene fornita
da alcune tappe del metabolismo degli zuccheri. Quando si è parlato del
metabolismo lipidico è stato detto come il colesterolo viene sintetizzato nel
fegato partendo dall'acetil-coenzima ed una parte viene esterificata con acidi
grassi. La bile contiene una modesta quantità di colesterolo, la maggior parte
del quale viene trasformato in acidi biliari, i quali, dopo coniugazione con
taurina e glicina, vengono eliminati sotto forma di sali (taurocolato e
glicocolato di sodio). La quantità giornaliera di bile prodotta dal fegato oscilla
intorno al litro; è di colorito giallo chiaro e si raccoglie nella colecisti, dove
subisce una energica concentrazione per riassorbimento dell'acqua, cloruri e
bicarbonati. Alcuni alimenti quali il tuorlo d'uovo, i grassi in genere, i peptoni
nonché l'acido cloridrico diluito, promuovono a livello della mucosa duodenale
la liberazione della colecistochinina, ormone che passa in circolo e stimola per
via sanguigna la contrazione della colecisti. Alla contrazione segue lo
svuotamento del viscere mentre lo sfintere di Oddi si rilascia. A proposito dello
sfintere di Oddi sarà opportuno precisare che, indipendentemente da quella
che può essere la sua innervazione, perde la tonicità allorquando la pressione
biliare, nel coledoco, raggiunge i 20-25 cm d'acqua. Lo svuotamento della
colecisti può anche essere provocato dall'impiego di alcuni farmaci conosciuti
con il termine di colagoghi, tra i quali ricordiamo il solfato di magnesio, al quale
si riconosce anche una azione coleretica (stimolante la produzione di bile). La
bile arriva nel duodeno durante la digestione ed è indispensabile per il normale
svolgimento di questa. La bile infatti, ad opera dei suoi sali, abbassa la
tensione superficiale dei grassi favorendone l'emulsionamento, per cui questi
vengono più facilmente attaccati dalla lipasi pancreatica, la quale a sua volta
viene attivata dalla bile. Ma ancora, i sali biliari si uniscono agli acidi grassi,
favorendone l'assorbimento, hanno un'azione stimolante la peristalsi intestinale
e sono degli ottimi coleretici. Con analogo meccanismo dell'assorbimento dei
grassi, si compie quello delle vitamine liposolubili (A-D-E-K), per cui, quando si
stabilisce un ostacolo al normale deflusso biliare, si determinano degli stati
carenziali di queste vitamine. Gli acidi biliari, ad opera della flora batterica
intestinale, nel tratto distale del tenue, vengono deconiugati dalla glicina e
taurina e trasformati in acidi desossicolici e litocolici e, come tali, in buona
parte sono riassorbiti e ricondotti al fegato, dove riacquistano il gruppo
ossidrilico (OH) e dopo coniugazione con gli aminoacidi vengono escreti di
nuovo con la bile. Si ha, pertanto, un ciclo enteroepatico dei sali biliari, il che si
verifica anche per la bilirubina. Infatti, la bilirubina coniugata, giunta
nell'intestino, subisce una serie di trasformazioni ad opera degli enzimi della
flora batterica intestinale, e infine i suoi derivati vengono riassorbiti e riportati
al fegato. La prima reazione consiste in un processo di idrolisi, per cui avviene
la scissione dell'acido glicuronico dalla bilirubina che ritorna libera. Questa, per
una serie di reazioni ossido-riduttive, viene trasformata in:
mesobilirubinogeno, urobilinogeno e stercobilinogeno. Il mesobilirubinogeno
perdendo due atomi di idrogeno si trasforma in urobilina IX, con meccanismo
analogo, lo stercobilinogeno si trasforma in stercobilina e l'urobilinogeno in
urobilina. La stercobilina viene eliminata con le feci a cui conferisce il colore
caratteristico. Una quota di bilinogeni viene riassorbita e riportata al fegato e
da questo nuovamente escreta con la bile, una piccola quota sfugge al fegato e
viene eliminata attraverso i reni sotto forma di urobilinogeno che all'aria si
ossida in urobilina. Ricordiamo infine che una modesta percentuale di bilirubina
non viene scissa dalla flora batterica, e pertanto rimane nell'intestino sotto la
forma coniugata e, molto probabilmente, come tale viene eliminata con le feci,
in quanto esiste una barriera intestinale che si oppone al riassorbimento della
bilirubina coniugata.
Esplorazione funzionale del fegato
Tutte le funzioni del fegato sopra ricordate sono state utilizzate per la messa a
punto di diverse prove conosciute con il termine di funzionalità epatica. Tra
queste ricordiamo: la determinazione della bilirubinemia, l'elettroforesi delle
proteine sieriche, le prove di labilità colloidale, lo studio dell'attività
protrombinica, la determinazione di alcuni enzimi, la prova di carico con
tetrabromosulfonftaleina, la prova di carico con alcuni zuccheri, la
colesterolemia; a parte vanno considerate la biopsia epatica e la scintigrafia. Il
dosaggio nel sangue della bilirubina esplora il metabolismo dei pigmenti biliari.
La bilirubinemia si divide in totale, diretta ed indiretta; normalmente il tasso di
bilirubina totale oscilla tra 0,50 e 0,90 mg %, ed è rappresentata quasi
esclusivamente dalla quota indiretta cioè della bilirubina non coniugata dal
fegato. I termini di diretta ed indiretta si riferiscono alle modalità di reazione
del siero di sangue con il reattivo di diazonio (reazione di Van Den Bergh): la
diretta reagisce con il sale dando un colorito roseo, l'indiretta reagisce dopo
che il siero di sangue è stato trattato con alcool. Nel primo caso, vuoi dire che,
se vi è aumento di bilirubinemia, questo è dovuto all'eccesso di bilirubina già
coniugata con acido glicuronico nella cellula epatica, nel secondo caso, si tratta
di un aumento di bilirubina non coniugata cioè libera. La capacità di
metabolizzare da parte del fegato la bilirubina può essere studiata iniettando
per via venosa una certa quantità di bilirubina allestita da un prodotto
commerciale. Con l'elettroforesi delle proteine sieriche e le cosiddette prove di
labilità colloidale, si esplora il metabolismo proteico; con questa indagine è
inoltre possibile ottenere il frazionamento delle varie proteine del siero,
facendole migrare su carta in un campo elettrico. Le proteine del siero hanno la
seguente composizione percentuale: albumine 50%, globuline alfa1 7%,
globuline alfa2 9%, globuline beta 14%, globuline gamma 20%. Poiché le
albumine vengono sintetizzate dal fegato e le globuline in parte dal fegato ed
in parte dai linfociti e plasmacellule, in particolar modo le gamma, ne deriva
che nelle gravi malattie epatiche il quadro elettroforetico si modificherà nel
senso di una diminuzione delle albumine, mentre si avrà un netto aumento
delle gamma globuline, espressione di reazione mesenchimale ed aumentata
sintesi di anticorpi. Pertanto le cosiddette prove di labilità colloidale risentono
essenzialmente della composizione percentuale delle proteine sieriche. Ne
deriva che queste prove non sono collegate specificamente alla funzionalità
epatica, in quanto saranno positive in tutte quelle affezioni che comportano
delle modificazioni del protidogramma, indipendentemente dallo stato della
cellula epatica. Purtuttavia, rivestono sempre una certa importanza per il loro
particolare comportamento nelle diverse affezioni del fegato. Le più comuni
sono:
la reazione di Takata, quella di Gros, di Hanger, di Kunkel, di Weltmann, e di
Wunderly-Wuhrmann. Maggiore importanza assume la determinazione del
tempo di protrombina, che esplora la sintesi epatica della protrombina e dei
fattori V, VII e X della coagulazione. Per la formazione di questi è anche
indispensabile la presenza di vitamina K, che, come è stato ricordato sopra,
promuove la trascrizione di un RNA messaggero specifico che trasporta
l'informazione genetica al citoplasma dove dovrà avvenire la sintesi ·dei fattori
della coagulazione e della protrombina. E' chiaro che il mancato assorbimento
di vitamina K, per ostacolato deflusso biliare nel duodeno, o una grave
compromissione della cellula epatica, si ripercuoterà negativamente sullo
svolgimento del normale processo di coagulazione, per deficienza della
protrombina e dei fattori V, VII e X. E' a conoscenza di tutti che il principale
dato di laboratorio in corso di epatite virale, è rappresentato dall'aumento delle
transaminasi nel siero di sangue. Sono questi degli enzimi che catalizzano
alcuni processi di transaminazione che avvengono nella cellula epatica, nel
miocardio ed in altri organi, mentre nel siero di sangue normalmente si trovano
in modesta quantità (15-30 U W). L'aumento di questi enzimi nel siero sta a
significare una necrosi cellulare e precisamente, nelle affezioni epatiche che si
accompagnano a necrosi cellulare, aumenta essenzialmente la transaminasi
glutammico-piruvica, mentre, in caso d'infarto cardiaco, si ha un prevalente
aumento della glutammico-ossalacetica. Tra gli altri enzimi che assumono
importanza nelle effezioni epatiche ricordiamo: la fosfatasi alcalina che
aumenta notevolmente in caso di itteri ostruttivi; l'ornitin-carbamil transferasi
che aumenta nella prima settimana dell'epatite virale, l'aldolasi, che ha un
comportamento analogo all'enzima precedente e le esterasi, che diminuiscono
nelle gravi epatopatie. La funzione escretrice del fegato viene esplorata per
mezzo della prova da carico con bromosulfonftaleina. Questa sostanza,
iniettata per via endovenosa, viene trasportata al fegato legata alle albumine,
qui viene coniugata con il glutatione e la cisteina e successivamente viene
eliminata con la bile. In un fegato normale entro 45 minuti dalla
somministrazione, sarà quasi totalmente eliminata e nel sangue dei soggetti si
trova una concentrazione della sostanza inferiore al 5% del totale. Questi valori
sono aumentati in due casi: o per mancata escrezione del colorante o per
ostacolo di penetrazione nella cellula epatica. Attualmente caduta in disuso, la
prova di carico con alcuni zuccheri, e precisamente con il galattosio, veniva
utilizzata per l'esplorazione del metabolismo glucidico. Normalmente il
galattosio viene trasformato in glucosio dalla galatto-transferasi e, nel sangue,
dopo un certo periodo di tempo, il contenuto in galattosio ritorna normale.
Nelle epatopatie croniche, per la compromissione della capacità della
conversione in glucosio, si ha un aumento della galattosemia e comparsa di
galattosuria. Anche la determinazione della colesterolemia totale e frazionata
può fornire ragguagli sullo stato funzionale del fegato, poiché il colesterolo
viene sintetizzato nella cellula epatica a partire dall'acetil-coenzima A, e,
successivamente, in parte esterificato con acidi grassi. Il colesterolo totale
aumenta nei casi di ostacolo al deflusso biliare (itteri ostruttivi) e diminuisce
nelle gravi affezioni del fegato, in cui pure si ha una riduzione del rapporto tra
la parte esterificata ed il colesterolo totale. A queste comuni prove tendenti a
mettere in evidenza lo stato funzionale dell'epatocita, si aggiungono altre due
che in questi ultimi tempi hanno assunto notevole importanza e per mezzo
delle quali è possibile venire a conoscenza della morfologia della cellula epatica
in condizioni normali e patologiche. Si tratta della biopsia e della scintigrafia
epatica. La biopsia si pratica con un particolare ago, è assolutamente priva di
pericoli, e permette di esaminare al microscopio un preparato istologico
ottenuto da un frustolo di tessuto epatico asportato. Anche la scintigrafia
epatica si è dimostrata di notevole interesse ed è di facile attuazione. Si pratica
iniettando endovena il rosso bengala marcato con J131, oppure l'oro colloidale
marcato con Au198. Normalmente si ottiene una mappa epatica scintigrafica
con una distribuzione uniforme della sostanza; nelle epatiti croniche, nelle
cirrosi, nelle necrosi, si avranno delle immagini con eventuali lacune,
disomogeneità di captazione ed altre deformità. Nelle cirrosi, oltre ad una
scarsa ed irregolare captazione epatica, si avrà la distribuzione della sostanza
radioattiva nel parenchima splenico. Ricordiamo infine che è possibile prendere
visione diretta della superficie epatica, per mezzo della laparoscopia, che si
attua mediante un particolare apparecchio ottico introdotto nella cavità
addominale, attraverso una piccola incisione dei muscoli addominali. Quando il
fegato non è capace di assolvere sia pure in parte alle sue varie funzioni, si
manifestano quei quadri clinici conosciuti con il termine di insufficienza epatica.
In base alla gravità si distinguono una piccola ed una grande insufficienza
epatica; la piccola insufficienza epatica è sostenuta da una moderata riduzione
dell'attività del fegato, ed è caratterizzata da: digestione laboriosa, flatulenza,
sonnolenza post-prandiale, intolleranza a determinati cibi, specie ai grassi,
fritti, particolare sensibilità agli alcolici; sovente cefalea, turbe dell'alvo che
tende verso la stipsi, al mattino bocca impastata, periodi di astenia e di
instabilità del carattere. Tutte queste manifestazioni, in linea di massima, sono
transitorie, ma tendono sempre a ripresentarsi in occasione di disordini
alimentari, eccessivi strapazzi, stress emotivi. La grande insufficienza epatica si
osserva nella fase terminale di alcune epatopatie croniche, o anche in gravi
epatiti acute, e molto frequentemente sfocia nel coma epatico. Dal punto di
vista sintomatologico si distingue un primo stadio caratterizzato
essenzialmente da eccitazione, ed un secondo in cui domina la depressione. Il
primo periodo, o dell'eccitazione, è dominato dall'anoressia, astenia, stato
confusionale, irritabilità, tremori prevalentemente localizzati agli arti superiori,
tendenza alla rigidità muscolare. Questo primo stadio può essere reversibile,
oppure in breve tempo può trapassare nel secondo stadio che si contrappone al
primo per lo stato simil soporoso del paziente. Questo è assente, ma risponde,
sia pure in modo vago, se viene interrogato, l'alito è sgradevole (foetor
hepaticus), i tremori muscolari sono accentuati, la cute è secca, le mucose
visibili sono ricoperte da crosticine ematiche per piccole emorragie;
gradatamente la situazione precipita sfociando nel coma. L'ammalato è in pieno
stato soporoso, non reagisce agli stimoli, le pupille sono dilatate, compie dei
movimenti incoordinati ed afinalistici, nella fase terminale interviene il collasso
cardio-circolatono e l'exitus. In certi casi, con idonea terapia, il coma epatico
può regredire, come per esempio quando sia provocato da tossici di origine
intestinale; in altri, laddove esiste una grave sofferenza epato-cellulare, si
conclude con la morte. Il fegato come tutti gli altri organi può andare incontro:
ad alterazioni del circolo sanguigno, a fenomeni degenerativi, necrotici ed
atrofici, a fenomeni infiammatori acuti e cronici, a fenomeni di sclerosi che in
questo organo assumono degli aspetti peculiari, a neoformazioni di natura
benigna e maligna, I disturbi di circolo possono essere sostenuti da una stasi
venosa acuta o cronica, o da uno stato d'ipertensione portale. La stasi venosa
è sempre conseguenza di una insufficienza cardio-circolatoria di tipo destro per
gravi affezioni cardiache, o cardio-polmonari o per pericardite adesiva. Nella
forma acuta, il fegato si presenta aumentato di volume, con margini
arrotondati e capsula tesa; la superficie di taglio è di colorito cianotico, con
disegno lobulare accentuato le cui zone centrali sono depresse, di colorito
rosso, circondate da alone più chiaro. Istologicamente spicca la dilatazione
delle vene sottolobulari e centrolobulari. Nella stasi cronica, l'organo è ridotto
di volume, con capsula ispessita e margini assottigliati. Alla superficie di taglio,
si osserva il quadro cosiddetto di fegato a noce moscata, per l'alternarsi di
zone rosso scuro con zone di colorito giallastro. Dal punto di vista microscopico
si nota una dilatazione delle vene centrolobulari in prossimità delle quali
mancano le cellule epatiche, mentre quelle limitrofe presentano infiltrazione
grassa. Nei gradi estremi, la parte periferica dei lobuli viene ad essere
circondata da tralci fibrosi. La sintomatologia è quella della affezione
fondamentale che ha causato la stasi. I disturbi di circolo conseguenti ad
ipertensione portale, col tempo, portano alla cirrosi epatica di cui si dirà in
seguito.
Tessuto epatico al microscopio. Notare la forma grossolanamente esagonale
delle cellule.
Una cellula epatica nel dettaglio.
Fenomeni degenerativi
Quelli di maggiore importanza sono rappresentati dall'amiloidosi epatica e dalla
steatosi. L'amiloidosi è sempre secondaria ad altre affezioni generalmente di
lunga durata. Il fegato si presenta aumentato di volume, duro e pallido ed alla
superficie di taglio spicca l'aspetto lardaceo. All'esame istologico si rinviene la
presenza di sostanza amiloide negli spazi perisinusoidali dei lobuli. La sostanza
amiloide risulta formata essenzialmente da glicoproteine e da
mucopolisaccaridi acidi solforati. Anche qui la sintomatologia è quella della
malattia che sostiene il processo degenerativo. La steatosi epatica, o
degenerazione grassa, è una manifestazione legata ad intossicazioni croniche,
tra le quali occupa un posto preminente l'alcoolismo cronico. Il fegato è
discretamente aumentato di volume, con margini arrotondati e di consistenza
notevolmente diminuita per cui il parenchima è flaccido. La superficie di taglio
appare giallastra con strie verdastre per imbibizione biliare e gli acini si
distinguono con difficoltà. All'esame istologico si rileva che le cellule
maggiormente interessate sono quelle perilobulari, il cui citoplasma appare
pieno di grasso ed il cui nucleo è schiacciato ed addossato alla parete
citoplasmatica; inoltre non mancano fenomeni di citolisi e piccoli focolai di
necrosi. Negli stadi inoltrati, si osserva proliferazione dei fibroblasti che
tendono ad avvolgere i singoli lobi. La sintomatologia è caratterizzata da
anoressia, astenia, turbe dispeptiche e compromissione dello stato generale. I
fenomeni di necrosi si riscontrano in molte affezioni epatiche che vanno
dall'epatite virale all'atrofia giallo acuta. Quest'ultima è una gravissima
affezione epatica caratterizzata dalla necrosi diffusa e dall'atrofia del
parenchima epatico. Le cause che la provocano possono essere molteplici, tra
queste ricordiamo:
l'epatite virale, la febbre gialla, la spirochetosi ittero emorragica, gravi tossicosi
gravidiche, avvelenamenti. Il fegato appare notevolmente diminuito di volume
e pertanto presenta la glissoniana rugosa, la sua consistenza è notevolmente
ridotta ed il parenchima è particolarmente friabile. Il colorito varia dal giallo
verdastro nelle fasi precoci, al giallo rossastro nelle fasi più tardive. All'esame
microscopico, il reperto caratteristico è rappresentato dalla presenza di focolai
di necrosi essenzialmente centrolobulari, diffusi ad un gran numero di cellule
epatiche, mentre altre cellule presentano fenomeni di degenerazione grassa. La
sintomatologia è caratterizzata da ittero intenso, disturbi gastro-intestinali,
contrazioni muscolari, stato soporoso. I casi fulminanti portano a morte entro
pochi giorni, altri casi, di minore gravità, possono decorrere in modo sub-acuto
con possibilità di sopravvivenza ma con evoluzione cirrogena (cirrosi post-
necrotica). Con il termine di epatite si definisce invece un processo
infiammatorio che interessa il parenchima epatico, indipendentemente
dall'agente etiologico responsabile. Le epatiti si dividono in acute e croniche,
queste seguono alle prime, ma a volte possono insorgere come tali in modo
primitivo. Tra le forme acute ricordiamo: le epatiti purulente e l'epatite virale;
quelle purulente si identificano nell'ascesso epatico, generalmente causato dal
bacterium coli, stafilococchi e streptococchi: la raccolta ascessuale è delimitata
da una capsula che contiene materiale necrotico di colorito giallo verdastro; si
manifesta con febbre di tipo settico, dolore all'ipocondrio destro con
irradiazione alla spalla omolaterale, leucocitosi neutrofila. Un tipo particolare
ne è l'ascesso amebico, conseguenza di una amebiasi intestinale; esso può
manifestarsi in forma unica, più difficilmente sotto forma di microascessi
multipli. Anche questa cavità è delimitata da una membrana, ma contiene un
liquame necrotico e brunastro. In effetti in questo caso si tratta di una necrosi
massiva enzimatica del tessuto epatico. La sintomatologia è caratterizzata
dall'improvviso rialzo termico durante una amebiasi intestinale e da dolore
puntorio in sede epatica. L'epatite virale è una malattia infettiva contagiosa,
generalmente a decorso acuto con andamento benigno, ma con possibilità di
volgere verso la cronicizzazione a cui può seguire anche una particolare forma
di cirrosi e che a volte, sia pure molto raramente, può complicarsi per
l'insorgenza dell'atrofia giallo acuta del fegato. Attualmente se ne conoscono
due tipi: l'epatite epidemica o iniettiva, provocata dal virus A, e l'epatite da
siero o post trasfusionale, provocata dal virus B. Pur essendo certi che
l'affezione è determinata da un virus filtrabile, ancora il virus responsabile non
è stato isolato, né la scoperta dell'antigene australia, isolato dal siero di un
australiano convalescente di epatite, ha perfettamente chiarito l'importanza
che spetta a questo antigene, in quanto l'antigene si può riscontrare anche in
soggetti che non hanno mai sofferto di epatite ed, in quelli affetti da epatite, il
test HAA (antigene australia) è positivo con una variabile percentuale dal 75 al
25%. Il reperto anatomico è di notevole interesse ed è perfettamente
conosciuto grazie alla biopsia epatica effettuata in stadi diversi del decorso
della malattia. Nelle prime fasi si riscontrano fenomeni degenerativi isolati, a
cui seguono focolai di necrosi cellulare che, nella fase precedente l'ittero, sono
isolati, mentre successivamente diventano più estesi. Nella fase itterica, si
osservano inoltre degenerazione vacuolare del, citoplasma ed alterazioni
palloniformi del nucleo delle cellule interessate. La caratteristica fondamentale
è rappresentata dalla presenza, nel citoplasma di queste cellule, di piccoli corpi
rotondeggianti, detti corpi acidofili per le loro qualità tintoriali. Nei canalicdli
biliari situati in vicinanza delle cellule colpite si riscontrano piccoli trombi biliari;
i focolai di necrosi non sono estesi, ma disseminati sulla superficie del lobulo,
prevalentemente nelle zone centrali; in essi le fibre argentofile presentano lievi
alterazioni, mentre si riscontrano cellule di Kupffer, mononucleati di tipo
linfomonocitario, rari neutrofili, eosinofili e fibroblasti. L'infiltrato infiammatorio
è più accentuato in prossimità degli spazi portali, dove i canalicoli biliari
presentano fenomeni distruttivi e degenerativi accanto a tentativi di
neoformazione. Segue la fase risolutiva, caratterizzata dalla regressione dei
fenomeni necrotici e dalla comparsa di cellule rigenerate che assumono il
normale orientamento laminare; gli infiltrati si riducono man mano e ultimi a
scomparire sono quelli localizzati negli spazi portali; ancora tuttavia per
settimane o mesi, si possono riscontrare fibroblasti, fibrocidi e cellule istioidi,
espressione di attivazione del mesenchima. La sintomatologia variabile da caso
a caso è fondamentalmente caratterizzata da astenia, febbre e anoressia.
L'ittero in linea di massima insorge con la caduta della febbre, ma in molti casi
l'infezione virale decorre senza ittero. Nella forma tipica la malattia si risolve in
qualche settimana; nell' 1 % dei casi, il decorso è molto grave e conduce a
morte in breve tempo con un quadro di atrofia giallo acuta; nel 5-10% dei casi
si protrae per un periodo di 3-4 mesi ma si conclude con la guarigione, in altri
casi ancora evolve nella forma cronica. Le epatiti croniche si suddividono in:
epatiti croniche evolutive, ed epatiti croniche stabilizzate, queste ultime
rappresentate dalla tubercolosi del fegato dall'epatite luetica e dalla fibrosi
portale. Per mezzo della biopsia epatica è stato possibile conoscere con
precisione il quadro istologico caratterizzato da:
infiltrazione infiammatoria uniforme di piccoli tratti portali, costituita da
linfociti, istiociti e qualche plasmacellula, raramente neutrofili ed eosinofili;
modesto aumento del numero dei duttuli, architettura lobulare rispettata,
mentre alcuni epatociti periportali possono presentare aspetti degenerativi. Si
osservano, inoltre, modeste proliferazioni mesenchimali focali nei lobuli e rari
residui macrofagi carichi di pigmento. Clinicamente si manifesta con astenia ed
epatomegalia e mancano i segni di una malattia cronica vera e propria. Nel
siero dopo il primo anno il tasso delle transaminasi può oscillare tra i limiti
della norma ed un lieve aumento; le gamma globuline si mantengono normali.
La prognosi è buona, in quanto difficilmente si ha l'evoluzione in cirrosi.
L'epatite cronica aggressiva si differenzia dalla forma precedente, per più gravi
alterazioni portali e periportali. Le relazioni tra questa e l'epatite virale non
sono sempre dimostrabili, ma in molti soggetti risultava nell'anamnesi una
infezione virus epatitica, mentre in altri è stato isolato dal siero l'antigene
australia. Dal punto di vista istologico, l'elemento caratteristico è rappresentato
da una grave infiammazione periportale aggressiva che supera i limiti del tratto
portale e si estende oltre la lamina limitante con necrosi del parenchima
periferico. Nei tratti portali piccoli e grandi si riscontrano infiltrazioni
infiammatorie costituite da:
linfociti, istiociti e plasmacellule, scarsi neutrofili ed eosinofili.
Contemporaneamente sì determina una proliferazione dei duttuli biliari. Attorno
alle cellule epatiche si accumulano fibre collagene e cellule mesenchimali da
dove, in seguito, si formeranno setti di tessuto connettivo che si estenderanno
entro il parenchima, con formazioni di setti intralobulari alterandone la normale
struttura. La combinazione della necrosi parcellare, della infiltrazione
infiammatoria e della proliferazione dei canalicoli biliari, sta a dimostrare lo
stato di attività della noxa morbigena. La triade sintomatologica è
rappresentata da: astenia, subittero o ittero franco, dimagrimento. L'epatite
cronica aggressiva non corrisponde alla cirrosi, sebbene in questa possa
evolvere con una notevole frequenza; in alcuni casi si può avere la guarigione
clinica, in altri una relativa stabilizzazione, meno frequente è l'esito nei coma
epatico per atrofia sub-acuta dei fegato- L'epatite lupoide, o epatite cronica di
Waldestrom, è un'affezione lentamente progressiva che si manifesta
prevalentemente in ragazze giovani in coincidenza della crisi puberale o subito
dopo questa. La definizione di epatite lupoide è nata dalla frequente presenza
in questi soggetti di cellule L.E. (cellule riscontrate per la prima volta nelle
persone affette da lupus eritematoso, ma non specifiche di questa malattia).
Facilmente si riscontra un'associazione con la tiroidite di Hashimoto o con colite
ulcerosa o con artralgie o periarterite nodosa, motivo per cui va considerata
come una malattia autoimmune. Dal punto di vista istologico il quadro è
dominato da estesi infiltrati linfomonocitari in prossimità degli spazi portali,
infiltrazioni di plasma-cellule con zone di necrosi cellulare in periferia dei lobuli.
La tendenza all'evoluzione cirrogena è notevole. La sintomatologia clinica è
dominata da disturbi mestruali, astenia, febbricola, subittero,
ipergammaglobulinemia e, nella fase avanzata, da varici esofagee. Le cirrosi
epatiche sono affezioni a decorso cronico progressivo, che portano nella totalità
dei casi alla grave insufficienza epatica, caratterizzate dal punto di vista
microscopico da necrosi e steatosi cellulare, fibrosi diffusa e principalmente
dall'intimo sovvertimento del piano strutturale del fegato. Le due forme
principali di cirrosi sono:
la cirrosi comune con le sue varietà, e la cirrosi biliare. La cirrosi comune viene
ancora suddivisa in: cirrosi micronodulare, macronodulare e mista. In effetti il
quadro clinico ed anatomopatologico sono sempre uguali, fatta eccezione per la
grandezza dei noduli. La forma paradigmatica delle cirrosi è l'a cirrosi atrofica
di Morgagni Laennec. Il fegato si presenta di volume rimpicciolito con capsula
ispessita, la superficie è cosparsa di noduli di varia grandezza e la sua
consistenza è sempre aumentata. La superficie di taglio si presenta di colorito
grigio con sfumature giallastre e con aree nodulari multiple delimitate da
tessuto connettivale sclerotico. Microscopicamente spicca la profonda
alterazione della struttura lobulare. Gli spazi porto biliari sono riuniti tra di loro
da connettivo collageno, il quale si spinge nello spessore dei singoli lobulì
suddividendoli. In questo tessuto connettivo si rinvengono piccoli vasi venosi e
canalicali biliari trombizzati. A volte questo tessuto, specie nelle fasi iniziali, è
infiltrato da elementi infiammatori. Molte cellule presentano gravi alterazioni
regressive ed infiltrazione grassa, altre sono in preda a necrosi coagulativa.
Accanto a queste alterazioni, si rinvengono le formazioni di pseudolobuli, da
parte di cellule epatiche variamente orientate, non radialmente e senza precisi
rapporti con la vena centrolobulare, il che esprime la rigenerazione nodulare.
Le cellule rigenerate sono di dimensioni maggiori della norma e presentano due
o più nuclei. Ne deriva un pervertimento strutturale del parenchima epatico,
che costituisce il quadro caratteristico della cirrosi. La sintomatologia è legata
alla manifestazione del versamento ascitico, poiché, prima della comparsa
dell'ascite, i segni clinici sono molto vaghi e rappresentati da astenia,
anoressia, meteorismo. Nel periodo ascitico, compaiono edemi agli arti
inferiori, varici esofagee, e lo stato generale appare notevolmente
compromesso. Le proteine del sangue presentano un'inversione del normale
rapporto albumine globuline, per diminuzione delle albumine ed aumento delle
gamma globuline. La prognosi è sempre infausta. La cirrosi a grossi nodi si
identifica nella cirrosi post-necrotica che segue a necrosi epatiche massive
quasi sempre in corso di epatite virale. Quello che differenzia questo tipo dalle
altre forme di cirrosi è la presenza di vaste aree di fibrosi con voluminosi noduli
di rigenerazione, per cui si notano aree depresse e compatte di fibrosi che
interessano estesi tratti di fegato e noduli di rigenerazione, in numero limitato,
di enormi dimensioni. Dal punto di vista microscopico si differenzia per la
presenza di zone in cui è ancora riconoscibile il normale parenchima epatico,
per la rigenerazione eccessiva, ma con riproduzione della normale struttura
lobulare, e per l'assenza o quasi di degenerazione grassa degli epatociti. Nella
cirrosi biliare, a differenza delle forme sopradescritte, il fegato è ipertrofico per
il prevalere dei fenomeni di rigenerazione sulla necrosi. La superficie è
generalmente liscia ed il colorito del parenchima è verdastro. Istologicamente
si reperta una grave infiammazione a livello degli spazi portali, che si dirige alla
periferia dei lobuli seguendo i dotti biliari interlobulari, il cui lume contiene
elementi infiammatori nonché trombi biliari. Successivamente si ha un
aumento del tessuto connettivale negli spazi portali e da qui si infiltra tra i
lobuli suddividendoli. Negli stadi terminali il quadro miscroscopico è
sovrapponibile a quello della cirrosi comune. Le principali affezioni delle vie
biliari sono: l'angiocolite, la colecistite, la calcolosi della colecisti e le neoplasie.
L'angiocolite è un processo infiammatorio delle vie biliari intra ed extra-
epatiche, sostenuta da germi diversi (bacterium coli, stafilococchi,
streptococchi). L'alterazione anatomica consiste in un turgore della mucosa,
desquamazione dell'epitelio, infiltrazione leucocitaria ed iperproduzione di
muco. Ne deriva che la sintomatologia è dominata dalla febbre, dolore
all'ipocondrio destro ed ittero. Per colecistite si intende un processo
infiammatorio della vescichetta biliare che riconosce nella etiologia batteri
diversi (bacillo del tifo, bacterium coli, ed alcuni germi anaerobi). Le alterazioni
anatomiche consistono in edema della mucosa, infiltrazione leucocitana,
ipersecrezione di muco. Quando si produce un'occlusione della colecisti per
eccessivo edema dei collo, si determina una notevole dilatazione della colecisti
che va sotto il termine di idrope; ove il contenuto si trasformi in essudato
purulento, si ha l'empiema della colecisti. I segni clinici della colecistite
infiammatoria sono: dolore a tipo colica ad insorgenza in sede epigastrica o
nell'ipocondrio di destra con irradiazione alla spalla destra, brividi, febbre,
nausea, vomito biliare, raramente subittero. La colelitiasi è una affezione
morbosa, caratterizzata dalla presenza di calcoli nella colecisti. I calcoli
possono essere costituiti da colesterina o da bilirubinato di calcio, oppure sia
dall'una che dall'altro. Possono essere di varia grandezza, da un grano di pepe
ad un uovo di piccione, multipli o unico. Possono passare inosservati per tutta
la vita oppure dar luogo a manifestazioni dolorose ed infiammatorie, in tal caso
il quadro clinico non differisce sostanzialmente da quello della colecistite
infiammatoria. A volte i calcoli di piccola dimensione possono migrare nel
coledoco ed occluderlo determinando ittero per stasi biliare. I principali tumori
delle vie biliari sono: il carcinoma della cistifellea ed i carcinomi dei dotti biliari
extraepatici. lì carcinoma della colecisti può presentarsi sotto forma di
adenocarcinoma di aspetto gelatinoso, cancro ad epitelio piatto e scirro.
Questo infiltra tutta la colecisti e tende ad infiltrare anche gli organi vicini. La
sintomatologia facilmente viene confusa con quella di una banale affezione
della colecisti, differisce essenzialmente per la rapida compromissione dello
stato generale. I carcinomi dei dotti biliari extraepatici si possono localizzare al
coledoco, all'epatico comune, alla papilla ed al cistico. Tranne che in questa
ultima evenienza, la sintomatologia è caratterizzata da ittero ingravescente,
febbricola, epatomegalia, anoressia; ovviamente nella localizzazione dei cistico
manca l'ittero.

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Anatomia del fegato

  • 1.
  • 2. Il fegato Costituzione Anatomica Grossa ghiandola, indispensabile per la vita dell'organismo, dotata di numerose attività essenzialmente collegate con il metabolismo intermedio. E' situato al di sotto del diaframma ed occupa la parte più alta della cavità addominale, portandosi da destra verso sinistra raggiungendo il margine cartilagineo della VII e VIII costola. Ha la forma di un segmento superiore di ovoide, colorito rosso bruno; è friabile e si lacera con molta facilità. Nel soggetto adulto il fegato ha un peso che oscilla tra i 1400 e i 1500 g; in esso si distinguono tre facce: una superiore o diaframmatica, una inferiore o viscerale ed una posteriore. La faccia superiore convessa si trova immediatamente al di sotto del diaframma, ed il legamento falciforme la divide in due parti: il lobo destro ed il lobo sinistro. La faccia viscerale o inferiore è piana ed è divisa da tre solchi che, per la loro disposizione, assumono la forma di una H, essendo situati due sagittalmente ed uno trasversalmente. Nella parte anteriore del solco destro si trova la vescichetta biliare, mentre nella parte anteriore di quello sinistro è situato il legamento rotondo, residuo della vena ombelicale. Il solco trasverso è determinato dall'ilo del fegato, da dove escono ed entrano tutti i vasi eccetto le vene epatiche. Penetrano attraverso l'ilo, la vena porta e l'arteria epatica mentre ne esce il dotto epatico. I solchi sopra riferiti dividono la superficie inferiore dell'organo in quattro lobi: il lobo destro o quadrilatero, il lobo sinistro o triangolare, il lobo quadrato situato in avanti all'ilo ed il lobo caudato che si trova dietro all'ilo. Il lobo caudato presenta anteriormente una piccola sporgenza arrotondata che costituisce il processo papillare, mentre l'estremità posteriore termina con il prolungamento conosciuto sotto il termine di processo caudato. La faccia posteriore è concava e si assottiglia alle estremità. Due solchi, uno determinato dalla vena cava, l'altro dal legamento venoso, delimitano tre zone: destra, media e sinistra. Le tre facce del fegato sopra ricordate sono separate da tre margini: anteriore, superiore ed inferiore. Il margine anteriore è sottile e tagliente, diretto obliquamente dal basso verso l'alto e da destra a sinistra. Questo margine abitualmente si trova al di sotto della VII ed VIII costa sinistra e presenta due profonde incisure che corrispondono all'estremità anteriore dei solchi longitudinali che si trovano nella faccia viscerale. Il margine superiore ha forma arrotondata e divide la faccia diaframmatica dalla faccia posteriore; il margine inferiore presenta un' incisura determinata dal legamento rotondo e raggiunge il margine inferiore della X, XI e XII costola. La sua superficie esterna è rivestita per la maggior parte dal peritoneo, il quale forma anche dei legamenti che uniscono il fegato alla parete addominale ed ai visceri vicini. Tra questi legamenti ricordiamo il legamento falciforme che fissa il fegato al diaframma, ed il legamento coronario che anche questo fissa in modo energico il margine posteriore del fegato al diaframma. Come è stato detto, la superficie epatica è rivestita in gran parte dal peritoneo, ma il fegato possiede un
  • 3. involucro proprio costituito dalla capsula di Glisson che riveste tutto l'organo senza alcuna interruzione e, in prossimità dell'ilo, avvolge l'arteria epatica, la vena porta ed il dotto epatico nonché i nervi e li accompagna fino alle loro ultime diramazioni. La vascolarizzazione del fegato è notevolmente abbondante e nello stesso tempo del tutto particolare, in quanto vi sono due importanti vasi afferenti: la vena porta e l'arteria epatica. La vena porta che convoglia tutto il sangue proveniente dall'intestino, arrivata all'ilo, si divide in due rami i quali arrivati nello spessore del fegato si ramificano come se fossero dei rami arteriosi, pervengono negli spazi interlobulari, prendendo questo nome ed emettono 5-6 venule che penetrano nei lobuli vicini. L'arteria epatica nasce dal tronco celiaco e giunta in prossimità dell'ilo si divide in due rami che a loro volta forniscono rami per i condotti biliari, rami vascolari, rami capsulari e rami interlobulari. Le vie efferenti sono rappresentate dalle vene epatiche che originano dalle vene sottolobulari che confluiscono tra di loro formando dei tronchi sempre maggiori i quali si dirigono verso il margine posteriore del fegato per sboccare nella vena cava per mezzo di due tronchi: la vena epatica destra e la vena epatica sinistra. Come è stato detto, le più fini diramazioni della vena porta decorrono negli spazi interlobulari, dove prendono il nome di vene interlobulari, e da qui emettono ramuscoli che penetrano nei lobuli dove assumono le caratteristiche dei sinusoidi, particolari capillari privi di tonaca media ed avventizia, la cui parete è formata da cellule endoteliali prive di membrana basale e da cellule stellate di Kupffer, le quali sono dotate di attività istiocitaria. E' evidente che il lobulo epatico, unità anatomofunzionale del fegato, viene ad essere delimitato essenzialmente dai rami capillari della vena porta. I sinusoidi convergono al centro da dove ha origine la vena centrolobulare, che percorre tutto l'asse del lobulo per sboccare nella vena sottolobulare, dalla cui confluenza nascono le vene epatiche. E' dubbio se anche l'arteria epatica partecipi alla formazione dei sinusoidi, anzi Bloom e Fawcett, in seguito ad osservazioni al microscopio elettronico, l'escluderebbero in modo categorico, mentre sarebbe stata dimostrata la presenza di anastomosi tra rami della vena porta e rami dell'arteria epatica. Le cellule epatiche hanno una forma poliedrica e sono disposte in lamine, le quali sono costituite da un solo strato di elementi cellulari. Le cellule epatiche, per mezzo delle loro facce, sono in connessione tra di loro, con i sinusoidi e costituiscono la parete iniziale dei capillari biliari. La membrana cellulare in vicinanza del capillare biliare è ispessita e la parte che forma la parete del capillare presenta dei microvilli. Tra la faccia cellulare ed il capillare sanguigno, esiste un piccolissimo spazio detto spazio di Disse, entro il quale si proiettano delle estroflessioni della membrana cellulare che anche qui formano dei microvilli, e la ricordata assenza di membrana basale tra cellule epatiche e sinusoidi sta ad indicare la facilità degli scambi che avvengono a questo livello. Inoltre tra cellula e cellula tra gli spazi di Disse, intorno alle radici dei canalicoli biliari, circola la linfa, che raggiunge in fine una lacuna (spazio di Molì), situata tra la lamina limitante e gli spazi portali. I canalicoli biliari, come sopra detto, si originano in prossimità delle cellule epatiche, non hanno una membrana propria, e tendono a confluire nella zona di passaggio, dove cominciano ad acquistare le cellule proprie. Da qui si dirigono al limite fra lobulo e spazio portale, per diventare canali biliari interlobulari. Questi confluiscono in corrispondenza degli spazi portali più ampi, formando dei canali di maggior
  • 4. diametro che in definitiva costituiscono, a livello dell'ilo, il dotto epatico destro e sinistro. La riunione di questi due condotti dà origine al dotto epatico comune, il quale ha una lunghezza di circa 3 cm e, dopo essersi unito con il dotto cistico, forma il dotto coledoco. Il dotto cistico si estende dalla cistifellea e termina ad angolo acuto nell'estremità inferiore del dotto epatico. La cistifellea è un serbatoio muscolomembranoso, posta sulla faccia inferiore del fegato, ha forma di pera e viene suddivisa in tre porzioni: una porzione inferiore o fondo, una media o corpo, una superiore o collo che descrive due curve ad S italica e dopo un piccolo rigonfiamento, bacinetto della cistifellea, si continua con il dotto cistico. La cistifellea è formata da tre tonache: una tonaca mucosa, costituita da epitelio cilindrico ricco di ghiandole; una tonaca fibromuscolare, formata da fibrocellule muscolari mescolate a fasci di fibre connettivali; una tonaca sierosa, che è una dipendenza del peritoneo epatico. Il contenuto medio della colecisti si aggira tra 50 e 60 cc di bile. Dalla riunione del dotto cistico con il dotto epatico, si origina il dotto coledoco che si dirige in basso e, dopo aver percorso la faccia posteriore della testa del pancreas, in cui scava un solco, perfora la seconda parte del duodeno per sboccare nell'ampolla epatopancreatica di Vater. Immediatamente prima di sboccare nell'ampolla, le fibre muscolari trasversali del coledoco si ispessiscono formando una specie di anello che costituisce lo sfintere di Oddi. Funzioni Il fegato compie importanti funzioni essenzialmente di ordine metabolico, per cui la grave compromissione dell'integrità anatomica diffusa del parenchima epatico non è compatibile con la vita. Prendiamo in esame queste funzioni dell'epatocita. Funzione emodinamica: si identifica nella possibilità da parte del di controllare il volume e la composizione del sangue circolante. Indipendentemente dal fatto che per la sua costituzione anatomica il fegato viene considerato come un serbatoio di sangue, in determinate circostanze esso può mettere in circolo sostanze ad azione ipotensiva o sostanze ad azione ipertensiva, queste da non identificare con l'ipertensinogeno, proteina che per azione della renina si trasforma in ipertensina. Funzione gliconeo genetica e glicogenolitica: può essere definita come funzione regolatrice delle varie fasi del metabolismo glicidico, tramite la sintesi e la scissione del glicogeno. Diversi zuccheri che arrivano nel fegato vengono utilizzati per la sintesi del glicogeno che si svolge alla presenza di numerosi enzimi, ed è influenzata dal sistema neuroendocrino. Così l'insulina ed il cortisone aumentano il contenuto di glicogeno epatico, mentre esso viene mobilizzato dall'adrenalina, tiroxina e glucagone. Il glicogeno neoformato viene immagazzinato nel fegato essenzialmente negli epatociti della zona centrolobulare. I principali enzimi che prendono parte a questi processi sono: l'esochinasi, la fosfoglicomutasi e la fosforilasi. Il glicogeno può essere scisso rapidamente in glucosio secondo le necessità dell'organismo e questo processo si compie con la partecipazione di enzimi, quali: glucosio 6-fosfatasi, fosforilasi e fosfoglicomutasi. Ma esiste anche una funzione gliconeogenetica, che consiste nella possibilità di formazione di glucosio da sostanze diverse, come
  • 5. aminoacidi, glicerolo ed acido lattico. Inoltre il fegato, in determinate circostanze, può trasformare il glucosio sia in acidi grassi che in aminoacidi. Funzione lipolitica e regolatrice della lipemia: il fegato, tramite la bile, partecipa all'assorbimento dei grassi, regola la scissione degli acidi grassi, presiede alla sintesi dei fosfolipidi e del colesterolo, e alla trasformazione dei glicidi in lipidi, come è stato detto sopra; i grassi che arrivano ad esso possono venire veicolati o sotto forma di trigliceridi contenuti nei chilomicroni, attraverso il sangue portale, o sotto forma di acidi grassi non esterificati i quali si liberano dal tessuto adiposo, sotto l'influenza dell'adrenalina e noradrenalina nonché di stimoli nervosi. Gli acidi grassi liberi sono trasportati nel sangue dalle proteine sieriche e in particolare dalle albumine; nel fegato vengono metabolizzati in vario modo: a) possono venire ossidati fino ad acetato, che ingrana nel ciclo di Krebs, oppure viene condensato in acido aceto-acetico, il quale o viene ossidato in tessuti extraepatici, o viene incorporato in molecole più complesse per iniziare la sintesi del colesterolo e di acidi grassi; b) possono servire alla sintesi di lipidi complessi come trigliceridi, esteri del colesterolo e fosfolipidi. Una frazione di questi lipidi resta nel fegato ed entra a far parte delle strutture cellulari, parte passa nel sangue sotto forma di lipoproteine sintetizzate dal fegato. Le lipoproteine sono formate da una quota lipidica e da una proteica di natura globulinica. Nel fegato inoltre può avvenire la risintesi degli acidi grassi, a partire da sostanze di più basso peso molecolare, specialmente dall'acetato e dal malonato, attraverso sistemi che richiedono la presenza di coenzimi piridinici. A proposito dei fosfolipidi si ricorda che il fegato assorbe facilmente quelli che si trovano nella corrente sanguigna, ed inoltre è sede della sintesi degli stessi. Perché avvenga la formazione dei fosfolipidi, sono necessari il coenzima A, l'ATP (acido adenosin trifosforico) e la colina. Per la sintesi della colina, i gruppi metilici (CH3), sono forniti dalla metionina e dalla betaina. Funzioni sul metabolismo protidico: sintesi delle proteine, scissione degli aminoacidi, formazione dell'ammoniaca e trasformazione di questa in urea. La sintesi proteica si origina dagli aminoacidi che possono derivare dall'intestino, dalla transaminazione di chetoacidi e dalla demolizione delle proteine endogene. Tra queste proteine neoformate alcune faranno parte delle proteine proprie del fegato, nel senso che partecipano alla struttura degli epatociti; altre vengono riversate nel sangue essenzialmente sotto forma di albumine ed alfaglobuline, altre fanno parte dei fattori necessari per la coagulazione. Tra queste ricordiamo il fibrinogeno, la protrombina, il fattore V, il VII, il IX ed il X. li risaputo da tempo che per il normale svolgimento della coagulazione è necessario che il fegato abbia a sua disposizione una certa quantità di vitamina K, la quale viene assorbita dall'intestino, grazie all'intervento della bile, ma fino a poco tempo fa non era ben chiarito il meccanismo d'azione di questa vitamina. Recenti ricerche hanno portato alla determinazione che la vitamina K induce nella cellula epatica la trascrizione di un particolare RNA (acido ribonucleico) messaggero, sul quale viene codificata la sintesi della protrombina e dei fattori VII, IX e X. Ma il fegato partecipa anche al catabolismo delle proteine con liberazione degli aminoacidi, i quali vengono degradati fino alla formazione di ammoniaca. Questa che rappresenta la quota derivata dalla deaminazione delle proteine, più l'ammoniaca prodotta dalle fermentazioni provocate dalla flora batterica intestinale, viene trasformata in urea. Infatti l'ammoniaca si combina con l'ornitina e l'anidride
  • 6. carbonica per formare citrullina, la quale si riunisce con un'altra molecola di ammoniaca formando arginina. L'arginina, ad opera dell'arginasi (enzima che si trova nei mitocondri delle cellule epatiche), viene scissa in urea ed ornitina, mentre il ciclo si ripete continuamente. Ma ancora nel fegato alcuni aminoacidi possono essere trasformati in altri, così la fenilalanina in tirosina. Un'altra importante funzione del fegato è rappresentata dalla sintesi degli enzimi, i quali sono indispensabili per lo svolgimento di tutte quelle reazioni che avvengono nell'epatocita. Particolarmente richiamano l'attenzione le transaminasi glutammico ossalacetica e glutammico piruvica che catalizzano il trasferimento del gruppo aminico di un aminoacido ad un chetoacido; le aldolasi che sono indispensabili per la scissione dell'1-6 fosfofruttosio in due molecole di triosofosfato (tappa intermedia del metabolismo degli zuccheri); 1 'ornitin-carbamil-transferasi che catalizza la reazione reversibile ornitina- citrullina; la fosfatasi alcalina, che trasforma l'acido fosforico legato ai composti organici in fosfati inorganici; la glucosio 6 fosfatasi che scinde il glucosio 6 fosfato in glucosio e fosfato, la lattico-deidrogenasi che trasforma l'acido lattico in acido piruvico; la xantinossidasi che ossida la xantina trasformandola in acido urico; la colinesterasi che idrolizza gli esteri della colina. La funzione che riguarda il metabolismo degli ormoni consiste nella degradazione a livello epatico di diversi ormoni. I corticoidi vengono in parte ridotti, con formazione di metaboliti inattivi con 21 atomi di carbonio, in parte vengono ossidati con formazione di metaboliti a numero inferiore di atomi di carbonio. Gli androgeni, in seguito a processi di ossidazione e riduzione, vengono trasformati in metaboliti sempre meno attivi; analogamente vengono inattivati gli estrogeni, il progesterone e gli ormoni tiroidei; tutti questi poi vengono coniugati in parte con l'acido glicuronico in parte con l'acido solforico e sucessivamente eliminati. La funzione disintossicante e di escrezione si esplica essenzialmente con la coniugazione di sostanze tossiche con acido glicuronico e l'eliminazione per via biliare. La coniugazione può avvenire anche con il solfato attivo, con la glicina, con la cisteina e con la glutamina. Il fegato inoltre rappresenta un importante organo di deposito di molte vitamine. A parte la sopra menzionata vitamina K. nel tessuto epatico si riscontrano: la vitamina A, la D, la B12, la biotina, l'acido pantotenico, la piridossina, la tiamina che viene trasformata per un processo di fosforilazione in cocarbossilasi e l'acido folico che si riscontra nella sua forma attiva, e cioè come acido tetraidrofolico. Il fegato inoltre rappresenta l'organo di deposito per eccellenza del ferro, il quale non si trova libero dentro le cellule, ma legato a proteine sotto forma di ferritina e di emosiderina. Il distacco del ferro dalle proteine avviene quando viene ridotto allo stato ferroso, trasformazione che si realizza ad opera della xantino-ossidasi.
  • 7.
  • 8. La bile Il fegato produce la bile che, attraverso i canalicoli e le vie biliari intra ed estraepatici, si raccoglie nella colecisti, pronta ad essere riversata nel duodeno in seguito a stimoli neuro-umorali che vengono liberati durante la digestione. La bile risulta formata da: acqua, pigmenti biliari, sali biliari, mucina, colesterolo, fosfolipidi, acidi grassi, grassi neutri ed enzimi. I pigmenti biliari sono rappresentati dalla bilirubina e dai suoi derivati. La maggior parte della bilirubina deriva dalla componente protoporfirinica dell'emoglobina, la quale rapidamente viene convertita in bilirubina in tutto il sistema reticolo- istiocitario. La bilirubina così formata è solubile nei grassi, viene trasportata al fegato legata ad un'albumina, e qui ·subisce importanti modificazioni per cui diventa idrosolubile e pertanto può essere eliminata attraverso gli organi emuntori. In prossimità dell'epatocita, la bilirubina si libera dall'albumina e, nel reticolo endoplasmatico della cellula epatica, ad opera dell'enzima glicoronil- transferasi, viene coniugata con l'acido glicuronico; solo una piccola quantità di bilirubina viene coniugata con altre sostanze, tra le quali ricordiamo il solfato attivo. La glicuronoconiugazione provoca modificazioni di numerose proprietà chimico-fisiche della bilirubina, tra le quali la più importante resta sempre la solubilità nell'acqua, il che permette l'escrezione del pigmento attraverso la bile ed i reni. L'escrezione dalla cellula epatica al canalicolo biliare avviene con meccanismo che richiede una certa quantità di energia, la quale viene fornita da alcune tappe del metabolismo degli zuccheri. Quando si è parlato del metabolismo lipidico è stato detto come il colesterolo viene sintetizzato nel fegato partendo dall'acetil-coenzima ed una parte viene esterificata con acidi grassi. La bile contiene una modesta quantità di colesterolo, la maggior parte del quale viene trasformato in acidi biliari, i quali, dopo coniugazione con taurina e glicina, vengono eliminati sotto forma di sali (taurocolato e glicocolato di sodio). La quantità giornaliera di bile prodotta dal fegato oscilla intorno al litro; è di colorito giallo chiaro e si raccoglie nella colecisti, dove subisce una energica concentrazione per riassorbimento dell'acqua, cloruri e bicarbonati. Alcuni alimenti quali il tuorlo d'uovo, i grassi in genere, i peptoni nonché l'acido cloridrico diluito, promuovono a livello della mucosa duodenale la liberazione della colecistochinina, ormone che passa in circolo e stimola per via sanguigna la contrazione della colecisti. Alla contrazione segue lo svuotamento del viscere mentre lo sfintere di Oddi si rilascia. A proposito dello sfintere di Oddi sarà opportuno precisare che, indipendentemente da quella che può essere la sua innervazione, perde la tonicità allorquando la pressione biliare, nel coledoco, raggiunge i 20-25 cm d'acqua. Lo svuotamento della colecisti può anche essere provocato dall'impiego di alcuni farmaci conosciuti con il termine di colagoghi, tra i quali ricordiamo il solfato di magnesio, al quale si riconosce anche una azione coleretica (stimolante la produzione di bile). La bile arriva nel duodeno durante la digestione ed è indispensabile per il normale svolgimento di questa. La bile infatti, ad opera dei suoi sali, abbassa la tensione superficiale dei grassi favorendone l'emulsionamento, per cui questi vengono più facilmente attaccati dalla lipasi pancreatica, la quale a sua volta viene attivata dalla bile. Ma ancora, i sali biliari si uniscono agli acidi grassi,
  • 9. favorendone l'assorbimento, hanno un'azione stimolante la peristalsi intestinale e sono degli ottimi coleretici. Con analogo meccanismo dell'assorbimento dei grassi, si compie quello delle vitamine liposolubili (A-D-E-K), per cui, quando si stabilisce un ostacolo al normale deflusso biliare, si determinano degli stati carenziali di queste vitamine. Gli acidi biliari, ad opera della flora batterica intestinale, nel tratto distale del tenue, vengono deconiugati dalla glicina e taurina e trasformati in acidi desossicolici e litocolici e, come tali, in buona parte sono riassorbiti e ricondotti al fegato, dove riacquistano il gruppo ossidrilico (OH) e dopo coniugazione con gli aminoacidi vengono escreti di nuovo con la bile. Si ha, pertanto, un ciclo enteroepatico dei sali biliari, il che si verifica anche per la bilirubina. Infatti, la bilirubina coniugata, giunta nell'intestino, subisce una serie di trasformazioni ad opera degli enzimi della flora batterica intestinale, e infine i suoi derivati vengono riassorbiti e riportati al fegato. La prima reazione consiste in un processo di idrolisi, per cui avviene la scissione dell'acido glicuronico dalla bilirubina che ritorna libera. Questa, per una serie di reazioni ossido-riduttive, viene trasformata in: mesobilirubinogeno, urobilinogeno e stercobilinogeno. Il mesobilirubinogeno perdendo due atomi di idrogeno si trasforma in urobilina IX, con meccanismo analogo, lo stercobilinogeno si trasforma in stercobilina e l'urobilinogeno in urobilina. La stercobilina viene eliminata con le feci a cui conferisce il colore caratteristico. Una quota di bilinogeni viene riassorbita e riportata al fegato e da questo nuovamente escreta con la bile, una piccola quota sfugge al fegato e viene eliminata attraverso i reni sotto forma di urobilinogeno che all'aria si ossida in urobilina. Ricordiamo infine che una modesta percentuale di bilirubina non viene scissa dalla flora batterica, e pertanto rimane nell'intestino sotto la forma coniugata e, molto probabilmente, come tale viene eliminata con le feci, in quanto esiste una barriera intestinale che si oppone al riassorbimento della bilirubina coniugata. Esplorazione funzionale del fegato Tutte le funzioni del fegato sopra ricordate sono state utilizzate per la messa a punto di diverse prove conosciute con il termine di funzionalità epatica. Tra queste ricordiamo: la determinazione della bilirubinemia, l'elettroforesi delle proteine sieriche, le prove di labilità colloidale, lo studio dell'attività protrombinica, la determinazione di alcuni enzimi, la prova di carico con tetrabromosulfonftaleina, la prova di carico con alcuni zuccheri, la colesterolemia; a parte vanno considerate la biopsia epatica e la scintigrafia. Il dosaggio nel sangue della bilirubina esplora il metabolismo dei pigmenti biliari. La bilirubinemia si divide in totale, diretta ed indiretta; normalmente il tasso di bilirubina totale oscilla tra 0,50 e 0,90 mg %, ed è rappresentata quasi esclusivamente dalla quota indiretta cioè della bilirubina non coniugata dal fegato. I termini di diretta ed indiretta si riferiscono alle modalità di reazione del siero di sangue con il reattivo di diazonio (reazione di Van Den Bergh): la diretta reagisce con il sale dando un colorito roseo, l'indiretta reagisce dopo che il siero di sangue è stato trattato con alcool. Nel primo caso, vuoi dire che, se vi è aumento di bilirubinemia, questo è dovuto all'eccesso di bilirubina già coniugata con acido glicuronico nella cellula epatica, nel secondo caso, si tratta di un aumento di bilirubina non coniugata cioè libera. La capacità di
  • 10. metabolizzare da parte del fegato la bilirubina può essere studiata iniettando per via venosa una certa quantità di bilirubina allestita da un prodotto commerciale. Con l'elettroforesi delle proteine sieriche e le cosiddette prove di labilità colloidale, si esplora il metabolismo proteico; con questa indagine è inoltre possibile ottenere il frazionamento delle varie proteine del siero, facendole migrare su carta in un campo elettrico. Le proteine del siero hanno la seguente composizione percentuale: albumine 50%, globuline alfa1 7%, globuline alfa2 9%, globuline beta 14%, globuline gamma 20%. Poiché le albumine vengono sintetizzate dal fegato e le globuline in parte dal fegato ed in parte dai linfociti e plasmacellule, in particolar modo le gamma, ne deriva che nelle gravi malattie epatiche il quadro elettroforetico si modificherà nel senso di una diminuzione delle albumine, mentre si avrà un netto aumento delle gamma globuline, espressione di reazione mesenchimale ed aumentata sintesi di anticorpi. Pertanto le cosiddette prove di labilità colloidale risentono essenzialmente della composizione percentuale delle proteine sieriche. Ne deriva che queste prove non sono collegate specificamente alla funzionalità epatica, in quanto saranno positive in tutte quelle affezioni che comportano delle modificazioni del protidogramma, indipendentemente dallo stato della cellula epatica. Purtuttavia, rivestono sempre una certa importanza per il loro particolare comportamento nelle diverse affezioni del fegato. Le più comuni sono: la reazione di Takata, quella di Gros, di Hanger, di Kunkel, di Weltmann, e di Wunderly-Wuhrmann. Maggiore importanza assume la determinazione del tempo di protrombina, che esplora la sintesi epatica della protrombina e dei fattori V, VII e X della coagulazione. Per la formazione di questi è anche indispensabile la presenza di vitamina K, che, come è stato ricordato sopra, promuove la trascrizione di un RNA messaggero specifico che trasporta l'informazione genetica al citoplasma dove dovrà avvenire la sintesi ·dei fattori della coagulazione e della protrombina. E' chiaro che il mancato assorbimento di vitamina K, per ostacolato deflusso biliare nel duodeno, o una grave compromissione della cellula epatica, si ripercuoterà negativamente sullo svolgimento del normale processo di coagulazione, per deficienza della protrombina e dei fattori V, VII e X. E' a conoscenza di tutti che il principale dato di laboratorio in corso di epatite virale, è rappresentato dall'aumento delle transaminasi nel siero di sangue. Sono questi degli enzimi che catalizzano alcuni processi di transaminazione che avvengono nella cellula epatica, nel miocardio ed in altri organi, mentre nel siero di sangue normalmente si trovano in modesta quantità (15-30 U W). L'aumento di questi enzimi nel siero sta a significare una necrosi cellulare e precisamente, nelle affezioni epatiche che si accompagnano a necrosi cellulare, aumenta essenzialmente la transaminasi glutammico-piruvica, mentre, in caso d'infarto cardiaco, si ha un prevalente aumento della glutammico-ossalacetica. Tra gli altri enzimi che assumono importanza nelle effezioni epatiche ricordiamo: la fosfatasi alcalina che aumenta notevolmente in caso di itteri ostruttivi; l'ornitin-carbamil transferasi che aumenta nella prima settimana dell'epatite virale, l'aldolasi, che ha un comportamento analogo all'enzima precedente e le esterasi, che diminuiscono nelle gravi epatopatie. La funzione escretrice del fegato viene esplorata per mezzo della prova da carico con bromosulfonftaleina. Questa sostanza,
  • 11. iniettata per via endovenosa, viene trasportata al fegato legata alle albumine, qui viene coniugata con il glutatione e la cisteina e successivamente viene eliminata con la bile. In un fegato normale entro 45 minuti dalla somministrazione, sarà quasi totalmente eliminata e nel sangue dei soggetti si trova una concentrazione della sostanza inferiore al 5% del totale. Questi valori sono aumentati in due casi: o per mancata escrezione del colorante o per ostacolo di penetrazione nella cellula epatica. Attualmente caduta in disuso, la prova di carico con alcuni zuccheri, e precisamente con il galattosio, veniva utilizzata per l'esplorazione del metabolismo glucidico. Normalmente il galattosio viene trasformato in glucosio dalla galatto-transferasi e, nel sangue, dopo un certo periodo di tempo, il contenuto in galattosio ritorna normale. Nelle epatopatie croniche, per la compromissione della capacità della conversione in glucosio, si ha un aumento della galattosemia e comparsa di galattosuria. Anche la determinazione della colesterolemia totale e frazionata può fornire ragguagli sullo stato funzionale del fegato, poiché il colesterolo viene sintetizzato nella cellula epatica a partire dall'acetil-coenzima A, e, successivamente, in parte esterificato con acidi grassi. Il colesterolo totale aumenta nei casi di ostacolo al deflusso biliare (itteri ostruttivi) e diminuisce nelle gravi affezioni del fegato, in cui pure si ha una riduzione del rapporto tra la parte esterificata ed il colesterolo totale. A queste comuni prove tendenti a mettere in evidenza lo stato funzionale dell'epatocita, si aggiungono altre due che in questi ultimi tempi hanno assunto notevole importanza e per mezzo delle quali è possibile venire a conoscenza della morfologia della cellula epatica in condizioni normali e patologiche. Si tratta della biopsia e della scintigrafia epatica. La biopsia si pratica con un particolare ago, è assolutamente priva di pericoli, e permette di esaminare al microscopio un preparato istologico ottenuto da un frustolo di tessuto epatico asportato. Anche la scintigrafia epatica si è dimostrata di notevole interesse ed è di facile attuazione. Si pratica iniettando endovena il rosso bengala marcato con J131, oppure l'oro colloidale marcato con Au198. Normalmente si ottiene una mappa epatica scintigrafica con una distribuzione uniforme della sostanza; nelle epatiti croniche, nelle cirrosi, nelle necrosi, si avranno delle immagini con eventuali lacune, disomogeneità di captazione ed altre deformità. Nelle cirrosi, oltre ad una scarsa ed irregolare captazione epatica, si avrà la distribuzione della sostanza radioattiva nel parenchima splenico. Ricordiamo infine che è possibile prendere visione diretta della superficie epatica, per mezzo della laparoscopia, che si attua mediante un particolare apparecchio ottico introdotto nella cavità addominale, attraverso una piccola incisione dei muscoli addominali. Quando il fegato non è capace di assolvere sia pure in parte alle sue varie funzioni, si manifestano quei quadri clinici conosciuti con il termine di insufficienza epatica. In base alla gravità si distinguono una piccola ed una grande insufficienza epatica; la piccola insufficienza epatica è sostenuta da una moderata riduzione dell'attività del fegato, ed è caratterizzata da: digestione laboriosa, flatulenza, sonnolenza post-prandiale, intolleranza a determinati cibi, specie ai grassi, fritti, particolare sensibilità agli alcolici; sovente cefalea, turbe dell'alvo che tende verso la stipsi, al mattino bocca impastata, periodi di astenia e di instabilità del carattere. Tutte queste manifestazioni, in linea di massima, sono transitorie, ma tendono sempre a ripresentarsi in occasione di disordini alimentari, eccessivi strapazzi, stress emotivi. La grande insufficienza epatica si
  • 12. osserva nella fase terminale di alcune epatopatie croniche, o anche in gravi epatiti acute, e molto frequentemente sfocia nel coma epatico. Dal punto di vista sintomatologico si distingue un primo stadio caratterizzato essenzialmente da eccitazione, ed un secondo in cui domina la depressione. Il primo periodo, o dell'eccitazione, è dominato dall'anoressia, astenia, stato confusionale, irritabilità, tremori prevalentemente localizzati agli arti superiori, tendenza alla rigidità muscolare. Questo primo stadio può essere reversibile, oppure in breve tempo può trapassare nel secondo stadio che si contrappone al primo per lo stato simil soporoso del paziente. Questo è assente, ma risponde, sia pure in modo vago, se viene interrogato, l'alito è sgradevole (foetor hepaticus), i tremori muscolari sono accentuati, la cute è secca, le mucose visibili sono ricoperte da crosticine ematiche per piccole emorragie; gradatamente la situazione precipita sfociando nel coma. L'ammalato è in pieno stato soporoso, non reagisce agli stimoli, le pupille sono dilatate, compie dei movimenti incoordinati ed afinalistici, nella fase terminale interviene il collasso cardio-circolatono e l'exitus. In certi casi, con idonea terapia, il coma epatico può regredire, come per esempio quando sia provocato da tossici di origine intestinale; in altri, laddove esiste una grave sofferenza epato-cellulare, si conclude con la morte. Il fegato come tutti gli altri organi può andare incontro: ad alterazioni del circolo sanguigno, a fenomeni degenerativi, necrotici ed atrofici, a fenomeni infiammatori acuti e cronici, a fenomeni di sclerosi che in questo organo assumono degli aspetti peculiari, a neoformazioni di natura benigna e maligna, I disturbi di circolo possono essere sostenuti da una stasi venosa acuta o cronica, o da uno stato d'ipertensione portale. La stasi venosa è sempre conseguenza di una insufficienza cardio-circolatoria di tipo destro per gravi affezioni cardiache, o cardio-polmonari o per pericardite adesiva. Nella forma acuta, il fegato si presenta aumentato di volume, con margini arrotondati e capsula tesa; la superficie di taglio è di colorito cianotico, con disegno lobulare accentuato le cui zone centrali sono depresse, di colorito rosso, circondate da alone più chiaro. Istologicamente spicca la dilatazione delle vene sottolobulari e centrolobulari. Nella stasi cronica, l'organo è ridotto di volume, con capsula ispessita e margini assottigliati. Alla superficie di taglio, si osserva il quadro cosiddetto di fegato a noce moscata, per l'alternarsi di zone rosso scuro con zone di colorito giallastro. Dal punto di vista microscopico si nota una dilatazione delle vene centrolobulari in prossimità delle quali mancano le cellule epatiche, mentre quelle limitrofe presentano infiltrazione grassa. Nei gradi estremi, la parte periferica dei lobuli viene ad essere circondata da tralci fibrosi. La sintomatologia è quella della affezione fondamentale che ha causato la stasi. I disturbi di circolo conseguenti ad ipertensione portale, col tempo, portano alla cirrosi epatica di cui si dirà in seguito.
  • 13. Tessuto epatico al microscopio. Notare la forma grossolanamente esagonale delle cellule. Una cellula epatica nel dettaglio.
  • 14. Fenomeni degenerativi Quelli di maggiore importanza sono rappresentati dall'amiloidosi epatica e dalla steatosi. L'amiloidosi è sempre secondaria ad altre affezioni generalmente di lunga durata. Il fegato si presenta aumentato di volume, duro e pallido ed alla superficie di taglio spicca l'aspetto lardaceo. All'esame istologico si rinviene la presenza di sostanza amiloide negli spazi perisinusoidali dei lobuli. La sostanza amiloide risulta formata essenzialmente da glicoproteine e da mucopolisaccaridi acidi solforati. Anche qui la sintomatologia è quella della malattia che sostiene il processo degenerativo. La steatosi epatica, o degenerazione grassa, è una manifestazione legata ad intossicazioni croniche, tra le quali occupa un posto preminente l'alcoolismo cronico. Il fegato è discretamente aumentato di volume, con margini arrotondati e di consistenza notevolmente diminuita per cui il parenchima è flaccido. La superficie di taglio appare giallastra con strie verdastre per imbibizione biliare e gli acini si distinguono con difficoltà. All'esame istologico si rileva che le cellule maggiormente interessate sono quelle perilobulari, il cui citoplasma appare pieno di grasso ed il cui nucleo è schiacciato ed addossato alla parete citoplasmatica; inoltre non mancano fenomeni di citolisi e piccoli focolai di necrosi. Negli stadi inoltrati, si osserva proliferazione dei fibroblasti che tendono ad avvolgere i singoli lobi. La sintomatologia è caratterizzata da anoressia, astenia, turbe dispeptiche e compromissione dello stato generale. I fenomeni di necrosi si riscontrano in molte affezioni epatiche che vanno dall'epatite virale all'atrofia giallo acuta. Quest'ultima è una gravissima affezione epatica caratterizzata dalla necrosi diffusa e dall'atrofia del parenchima epatico. Le cause che la provocano possono essere molteplici, tra queste ricordiamo: l'epatite virale, la febbre gialla, la spirochetosi ittero emorragica, gravi tossicosi gravidiche, avvelenamenti. Il fegato appare notevolmente diminuito di volume e pertanto presenta la glissoniana rugosa, la sua consistenza è notevolmente ridotta ed il parenchima è particolarmente friabile. Il colorito varia dal giallo verdastro nelle fasi precoci, al giallo rossastro nelle fasi più tardive. All'esame microscopico, il reperto caratteristico è rappresentato dalla presenza di focolai di necrosi essenzialmente centrolobulari, diffusi ad un gran numero di cellule epatiche, mentre altre cellule presentano fenomeni di degenerazione grassa. La sintomatologia è caratterizzata da ittero intenso, disturbi gastro-intestinali, contrazioni muscolari, stato soporoso. I casi fulminanti portano a morte entro pochi giorni, altri casi, di minore gravità, possono decorrere in modo sub-acuto con possibilità di sopravvivenza ma con evoluzione cirrogena (cirrosi post- necrotica). Con il termine di epatite si definisce invece un processo infiammatorio che interessa il parenchima epatico, indipendentemente dall'agente etiologico responsabile. Le epatiti si dividono in acute e croniche, queste seguono alle prime, ma a volte possono insorgere come tali in modo primitivo. Tra le forme acute ricordiamo: le epatiti purulente e l'epatite virale; quelle purulente si identificano nell'ascesso epatico, generalmente causato dal bacterium coli, stafilococchi e streptococchi: la raccolta ascessuale è delimitata da una capsula che contiene materiale necrotico di colorito giallo verdastro; si manifesta con febbre di tipo settico, dolore all'ipocondrio destro con
  • 15. irradiazione alla spalla omolaterale, leucocitosi neutrofila. Un tipo particolare ne è l'ascesso amebico, conseguenza di una amebiasi intestinale; esso può manifestarsi in forma unica, più difficilmente sotto forma di microascessi multipli. Anche questa cavità è delimitata da una membrana, ma contiene un liquame necrotico e brunastro. In effetti in questo caso si tratta di una necrosi massiva enzimatica del tessuto epatico. La sintomatologia è caratterizzata dall'improvviso rialzo termico durante una amebiasi intestinale e da dolore puntorio in sede epatica. L'epatite virale è una malattia infettiva contagiosa, generalmente a decorso acuto con andamento benigno, ma con possibilità di volgere verso la cronicizzazione a cui può seguire anche una particolare forma di cirrosi e che a volte, sia pure molto raramente, può complicarsi per l'insorgenza dell'atrofia giallo acuta del fegato. Attualmente se ne conoscono due tipi: l'epatite epidemica o iniettiva, provocata dal virus A, e l'epatite da siero o post trasfusionale, provocata dal virus B. Pur essendo certi che l'affezione è determinata da un virus filtrabile, ancora il virus responsabile non è stato isolato, né la scoperta dell'antigene australia, isolato dal siero di un australiano convalescente di epatite, ha perfettamente chiarito l'importanza che spetta a questo antigene, in quanto l'antigene si può riscontrare anche in soggetti che non hanno mai sofferto di epatite ed, in quelli affetti da epatite, il test HAA (antigene australia) è positivo con una variabile percentuale dal 75 al 25%. Il reperto anatomico è di notevole interesse ed è perfettamente conosciuto grazie alla biopsia epatica effettuata in stadi diversi del decorso della malattia. Nelle prime fasi si riscontrano fenomeni degenerativi isolati, a cui seguono focolai di necrosi cellulare che, nella fase precedente l'ittero, sono isolati, mentre successivamente diventano più estesi. Nella fase itterica, si osservano inoltre degenerazione vacuolare del, citoplasma ed alterazioni palloniformi del nucleo delle cellule interessate. La caratteristica fondamentale è rappresentata dalla presenza, nel citoplasma di queste cellule, di piccoli corpi rotondeggianti, detti corpi acidofili per le loro qualità tintoriali. Nei canalicdli biliari situati in vicinanza delle cellule colpite si riscontrano piccoli trombi biliari; i focolai di necrosi non sono estesi, ma disseminati sulla superficie del lobulo, prevalentemente nelle zone centrali; in essi le fibre argentofile presentano lievi alterazioni, mentre si riscontrano cellule di Kupffer, mononucleati di tipo linfomonocitario, rari neutrofili, eosinofili e fibroblasti. L'infiltrato infiammatorio è più accentuato in prossimità degli spazi portali, dove i canalicoli biliari presentano fenomeni distruttivi e degenerativi accanto a tentativi di neoformazione. Segue la fase risolutiva, caratterizzata dalla regressione dei fenomeni necrotici e dalla comparsa di cellule rigenerate che assumono il normale orientamento laminare; gli infiltrati si riducono man mano e ultimi a scomparire sono quelli localizzati negli spazi portali; ancora tuttavia per settimane o mesi, si possono riscontrare fibroblasti, fibrocidi e cellule istioidi, espressione di attivazione del mesenchima. La sintomatologia variabile da caso a caso è fondamentalmente caratterizzata da astenia, febbre e anoressia. L'ittero in linea di massima insorge con la caduta della febbre, ma in molti casi l'infezione virale decorre senza ittero. Nella forma tipica la malattia si risolve in qualche settimana; nell' 1 % dei casi, il decorso è molto grave e conduce a morte in breve tempo con un quadro di atrofia giallo acuta; nel 5-10% dei casi si protrae per un periodo di 3-4 mesi ma si conclude con la guarigione, in altri casi ancora evolve nella forma cronica. Le epatiti croniche si suddividono in:
  • 16. epatiti croniche evolutive, ed epatiti croniche stabilizzate, queste ultime rappresentate dalla tubercolosi del fegato dall'epatite luetica e dalla fibrosi portale. Per mezzo della biopsia epatica è stato possibile conoscere con precisione il quadro istologico caratterizzato da: infiltrazione infiammatoria uniforme di piccoli tratti portali, costituita da linfociti, istiociti e qualche plasmacellula, raramente neutrofili ed eosinofili; modesto aumento del numero dei duttuli, architettura lobulare rispettata, mentre alcuni epatociti periportali possono presentare aspetti degenerativi. Si osservano, inoltre, modeste proliferazioni mesenchimali focali nei lobuli e rari residui macrofagi carichi di pigmento. Clinicamente si manifesta con astenia ed epatomegalia e mancano i segni di una malattia cronica vera e propria. Nel siero dopo il primo anno il tasso delle transaminasi può oscillare tra i limiti della norma ed un lieve aumento; le gamma globuline si mantengono normali. La prognosi è buona, in quanto difficilmente si ha l'evoluzione in cirrosi. L'epatite cronica aggressiva si differenzia dalla forma precedente, per più gravi alterazioni portali e periportali. Le relazioni tra questa e l'epatite virale non sono sempre dimostrabili, ma in molti soggetti risultava nell'anamnesi una infezione virus epatitica, mentre in altri è stato isolato dal siero l'antigene australia. Dal punto di vista istologico, l'elemento caratteristico è rappresentato da una grave infiammazione periportale aggressiva che supera i limiti del tratto portale e si estende oltre la lamina limitante con necrosi del parenchima periferico. Nei tratti portali piccoli e grandi si riscontrano infiltrazioni infiammatorie costituite da: linfociti, istiociti e plasmacellule, scarsi neutrofili ed eosinofili. Contemporaneamente sì determina una proliferazione dei duttuli biliari. Attorno alle cellule epatiche si accumulano fibre collagene e cellule mesenchimali da dove, in seguito, si formeranno setti di tessuto connettivo che si estenderanno entro il parenchima, con formazioni di setti intralobulari alterandone la normale struttura. La combinazione della necrosi parcellare, della infiltrazione infiammatoria e della proliferazione dei canalicoli biliari, sta a dimostrare lo stato di attività della noxa morbigena. La triade sintomatologica è rappresentata da: astenia, subittero o ittero franco, dimagrimento. L'epatite cronica aggressiva non corrisponde alla cirrosi, sebbene in questa possa evolvere con una notevole frequenza; in alcuni casi si può avere la guarigione clinica, in altri una relativa stabilizzazione, meno frequente è l'esito nei coma epatico per atrofia sub-acuta dei fegato- L'epatite lupoide, o epatite cronica di Waldestrom, è un'affezione lentamente progressiva che si manifesta prevalentemente in ragazze giovani in coincidenza della crisi puberale o subito dopo questa. La definizione di epatite lupoide è nata dalla frequente presenza in questi soggetti di cellule L.E. (cellule riscontrate per la prima volta nelle persone affette da lupus eritematoso, ma non specifiche di questa malattia). Facilmente si riscontra un'associazione con la tiroidite di Hashimoto o con colite ulcerosa o con artralgie o periarterite nodosa, motivo per cui va considerata come una malattia autoimmune. Dal punto di vista istologico il quadro è dominato da estesi infiltrati linfomonocitari in prossimità degli spazi portali, infiltrazioni di plasma-cellule con zone di necrosi cellulare in periferia dei lobuli. La tendenza all'evoluzione cirrogena è notevole. La sintomatologia clinica è
  • 17. dominata da disturbi mestruali, astenia, febbricola, subittero, ipergammaglobulinemia e, nella fase avanzata, da varici esofagee. Le cirrosi epatiche sono affezioni a decorso cronico progressivo, che portano nella totalità dei casi alla grave insufficienza epatica, caratterizzate dal punto di vista microscopico da necrosi e steatosi cellulare, fibrosi diffusa e principalmente dall'intimo sovvertimento del piano strutturale del fegato. Le due forme principali di cirrosi sono: la cirrosi comune con le sue varietà, e la cirrosi biliare. La cirrosi comune viene ancora suddivisa in: cirrosi micronodulare, macronodulare e mista. In effetti il quadro clinico ed anatomopatologico sono sempre uguali, fatta eccezione per la grandezza dei noduli. La forma paradigmatica delle cirrosi è l'a cirrosi atrofica di Morgagni Laennec. Il fegato si presenta di volume rimpicciolito con capsula ispessita, la superficie è cosparsa di noduli di varia grandezza e la sua consistenza è sempre aumentata. La superficie di taglio si presenta di colorito grigio con sfumature giallastre e con aree nodulari multiple delimitate da tessuto connettivale sclerotico. Microscopicamente spicca la profonda alterazione della struttura lobulare. Gli spazi porto biliari sono riuniti tra di loro da connettivo collageno, il quale si spinge nello spessore dei singoli lobulì suddividendoli. In questo tessuto connettivo si rinvengono piccoli vasi venosi e canalicali biliari trombizzati. A volte questo tessuto, specie nelle fasi iniziali, è infiltrato da elementi infiammatori. Molte cellule presentano gravi alterazioni regressive ed infiltrazione grassa, altre sono in preda a necrosi coagulativa. Accanto a queste alterazioni, si rinvengono le formazioni di pseudolobuli, da parte di cellule epatiche variamente orientate, non radialmente e senza precisi rapporti con la vena centrolobulare, il che esprime la rigenerazione nodulare. Le cellule rigenerate sono di dimensioni maggiori della norma e presentano due o più nuclei. Ne deriva un pervertimento strutturale del parenchima epatico, che costituisce il quadro caratteristico della cirrosi. La sintomatologia è legata alla manifestazione del versamento ascitico, poiché, prima della comparsa dell'ascite, i segni clinici sono molto vaghi e rappresentati da astenia, anoressia, meteorismo. Nel periodo ascitico, compaiono edemi agli arti inferiori, varici esofagee, e lo stato generale appare notevolmente compromesso. Le proteine del sangue presentano un'inversione del normale rapporto albumine globuline, per diminuzione delle albumine ed aumento delle gamma globuline. La prognosi è sempre infausta. La cirrosi a grossi nodi si identifica nella cirrosi post-necrotica che segue a necrosi epatiche massive quasi sempre in corso di epatite virale. Quello che differenzia questo tipo dalle altre forme di cirrosi è la presenza di vaste aree di fibrosi con voluminosi noduli di rigenerazione, per cui si notano aree depresse e compatte di fibrosi che interessano estesi tratti di fegato e noduli di rigenerazione, in numero limitato, di enormi dimensioni. Dal punto di vista microscopico si differenzia per la presenza di zone in cui è ancora riconoscibile il normale parenchima epatico, per la rigenerazione eccessiva, ma con riproduzione della normale struttura lobulare, e per l'assenza o quasi di degenerazione grassa degli epatociti. Nella cirrosi biliare, a differenza delle forme sopradescritte, il fegato è ipertrofico per il prevalere dei fenomeni di rigenerazione sulla necrosi. La superficie è generalmente liscia ed il colorito del parenchima è verdastro. Istologicamente si reperta una grave infiammazione a livello degli spazi portali, che si dirige alla
  • 18. periferia dei lobuli seguendo i dotti biliari interlobulari, il cui lume contiene elementi infiammatori nonché trombi biliari. Successivamente si ha un aumento del tessuto connettivale negli spazi portali e da qui si infiltra tra i lobuli suddividendoli. Negli stadi terminali il quadro miscroscopico è sovrapponibile a quello della cirrosi comune. Le principali affezioni delle vie biliari sono: l'angiocolite, la colecistite, la calcolosi della colecisti e le neoplasie. L'angiocolite è un processo infiammatorio delle vie biliari intra ed extra- epatiche, sostenuta da germi diversi (bacterium coli, stafilococchi, streptococchi). L'alterazione anatomica consiste in un turgore della mucosa, desquamazione dell'epitelio, infiltrazione leucocitaria ed iperproduzione di muco. Ne deriva che la sintomatologia è dominata dalla febbre, dolore all'ipocondrio destro ed ittero. Per colecistite si intende un processo infiammatorio della vescichetta biliare che riconosce nella etiologia batteri diversi (bacillo del tifo, bacterium coli, ed alcuni germi anaerobi). Le alterazioni anatomiche consistono in edema della mucosa, infiltrazione leucocitana, ipersecrezione di muco. Quando si produce un'occlusione della colecisti per eccessivo edema dei collo, si determina una notevole dilatazione della colecisti che va sotto il termine di idrope; ove il contenuto si trasformi in essudato purulento, si ha l'empiema della colecisti. I segni clinici della colecistite infiammatoria sono: dolore a tipo colica ad insorgenza in sede epigastrica o nell'ipocondrio di destra con irradiazione alla spalla destra, brividi, febbre, nausea, vomito biliare, raramente subittero. La colelitiasi è una affezione morbosa, caratterizzata dalla presenza di calcoli nella colecisti. I calcoli possono essere costituiti da colesterina o da bilirubinato di calcio, oppure sia dall'una che dall'altro. Possono essere di varia grandezza, da un grano di pepe ad un uovo di piccione, multipli o unico. Possono passare inosservati per tutta la vita oppure dar luogo a manifestazioni dolorose ed infiammatorie, in tal caso il quadro clinico non differisce sostanzialmente da quello della colecistite infiammatoria. A volte i calcoli di piccola dimensione possono migrare nel coledoco ed occluderlo determinando ittero per stasi biliare. I principali tumori delle vie biliari sono: il carcinoma della cistifellea ed i carcinomi dei dotti biliari extraepatici. lì carcinoma della colecisti può presentarsi sotto forma di adenocarcinoma di aspetto gelatinoso, cancro ad epitelio piatto e scirro. Questo infiltra tutta la colecisti e tende ad infiltrare anche gli organi vicini. La sintomatologia facilmente viene confusa con quella di una banale affezione della colecisti, differisce essenzialmente per la rapida compromissione dello stato generale. I carcinomi dei dotti biliari extraepatici si possono localizzare al coledoco, all'epatico comune, alla papilla ed al cistico. Tranne che in questa ultima evenienza, la sintomatologia è caratterizzata da ittero ingravescente, febbricola, epatomegalia, anoressia; ovviamente nella localizzazione dei cistico manca l'ittero.