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Approfondimento:
Una provocazione – Ripensiamo la scuola, ripartiamo da Barbiana
di Carolina Antonucci
9 settembre 2013
Lettera a una professoressa è un libro collettivo scritto nel 1967. E' una stupenda testimonianza di
un laboratorio alternativo per l'educazione e l'insegnamento, ma è, soprattutto, un atto d'accusa.
Un'accusa al sistema scolastico tradizionale, al mondo borghese e cittadino, che premia mandando
avanti i pochi, e condanna lasciando indietro i tanti, i troppi.
Questo libro, scritto collettivamente dalla Scuola di Barbiana, sotto la supervisione del suo
inventore, direttore e maestro Don Lorenzo Milani, è il racconto dell'esperienza della “scuola a
tempo pieno” e, al contempo, è la lacerazione del velo di Maya: la scuola tradizionale è "un
ospedale che cura i sani e respinge i malati".
Pier Paolo Pasolini, a proposito di questo libro, ha detto: “è un libro che riguarda sì la scuola, come
argomento specifico, ma nella realtà riguarda la società italiana, la qualità di vita italiana”.
Andando a Barbiana, tutti, dal bidello al ministro, avrebbero potuto imparare la cura, per la scuola
e, forse, per la società.
Allora cos'era la scuola di Barbiana? “Nè cattedra, né lavagna, né banchi. Solo grandi tavoli attorno
a cui si faceva scuola e si mangiava”.
Fare scuola è la parola chiave. Senza registro, l'obiettivo unico, che aveva un semplice significato,
diventava imparare a leggere, scrivere, far di conto; imparare il necessario a non rimanere ultimi, a
non restare condannati a guardarsi le punte delle scarpe, in un timido silenzio, di fronte a chi
avesse inanellato una serie di paroloni o, semplicemente, di fronte alle lettere di un banale
modulo postale.
L'essere cittadini, a pieno diritto – come disse lo stesso Don Milani – cittadini sovrani, passa dalla
comprensione del Quotidiano, dei fatti che vi sono narrati; passa dalla comprensione della tribuna
politica.
Gli studenti di Barbiana, figli di famiglie di umili origini, che già conoscevano la fatica dei campi o
delle fabbriche, comprendevano la sacralità della scuola, l'importanza di quell'istruzione che non
era un barocco ostentare, ma sapere pratico. Criticavano quei ragazzi che “consideravano il gioco
e le vacanze un diritto, e la scuola un sacrificio. [Questi, secondo loro] non avevano mai sentito
dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio”.
Nella scuola di Don Miliani si recuperavano, tra gli altri, i ragazzi pluribocciati che a 15 anni si erano
ritrovati a ripetere ancora la prima. Ragazzi che erano stati giudicati cretini dalle Professoresse,
perché non riuscivano ad interessarsi alla Piccola Fiammiferaia.
A Barbiana si usava un altro metodo, e altri programmi. I ragazzi che frequentavano da più tempo
erano gli insegnanti dei più piccoli e dei nuovi, quello che non si sapeva lo si ricercava e lo si
studiava insieme. I programmi erano ad hoc per colmare le lacune più gravi, ma anche per
stimolare l'interesse di quelli che, appena approdati nella scuola, si mostravano svogliati allo
studio, alla cultura. Niente storia antica per loro, all'inizio, ma lunghe chiacchierate sull'ultima
guerra, all'epoca vividissima nella memoria di tutti, che rendeva lo studio sicuramente più
appassionante.
E' proprio sui programmi l'accusa più forte: “Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della
perfezione. Una perfezione che è assurda. - E poi – bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua
corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano
per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo”.
Ebbene, potrebbe sembrare un'estremizzazione parlare ancora oggi di un tema come questo, ma
basta pensare a quante persone hanno difficoltà a comprendere cosa c'è scritto in una cartella
esattoriale di Equitalia, piuttosto che in un articolo di giornale che spiega le nuove regole per
usufruire della riduzione delle sanzioni pecuniarie sul codice della strada, per rendersi conto di
quanto non sia affatto sorpassato questo testo e che, anzi, bisognerebbe, così come riporta nei
ringraziamenti, farlo leggere a tutti i genitori, del mondo aggiungiamo noi.
Chiaro, oggi, 2013, molto è cambiato dal lontano 1967. Molto grazie soprattutto a decenni di lotte
e, perché no, anche a libri come Lettera a una professoressa e a intellettuali come Don Milani e
Pasolini.
Ci sono anche buone notizie, alla scuola di Don Milani – per motivi logistici - non andò mai
nemmeno una bambina, e ora, per fortuna, le cose sono cambiate in Italia, e le donne risultano
spesso, statisticamente, molto più brave dei maschietti.
Ma non bisogna nascondersi dietro a un dito, nell'Italia che non è città, non è così scontato che si
proseguano gli studi. E, di più, anche nelle città, non è affatto comprovato che la meritocrazia non
sconti, nel risultato apparente, le condizioni materiali di partenza. Anzi, a nostro parere,
l'esperienza quotidiana dovrebbe insegnarci proprio il contrario.
Perché sì, è vero, oggi la scuola dell'obbligo tende ad essere garantita a tutti, ma è altrettanto vero
che partendo dall'edilizia scolastica, passando per i docenti di ruolo, arrivando ai programmi
ministeriali, le scuole e, dunque, gli studenti, non sono tutti uguali. Basta farsi un giro a Roma per
notare come la situazione delle scuole del centro non sia uguale a quella delle scuole di periferia; è
sufficiente chiedere agli studenti di un istituto del centro se hanno avuto stabilmente gli stessi
docenti e riproporre la stessa domanda a un istituto di pari indirizzo e grado distante qualche
chilometro. E ancora, è sufficiente comparare le ore di storia insegnate in un liceo, con quelle che
si trovano nell'offerta formativa di un professionale.
Diventa chiaro, così, come la scelta della vita la si faccia, anche involontariamente, davvero troppo
presto per credere che il risultato finale sia frutto del merito individuale.

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  • 1. Approfondimento: Una provocazione – Ripensiamo la scuola, ripartiamo da Barbiana di Carolina Antonucci 9 settembre 2013 Lettera a una professoressa è un libro collettivo scritto nel 1967. E' una stupenda testimonianza di un laboratorio alternativo per l'educazione e l'insegnamento, ma è, soprattutto, un atto d'accusa. Un'accusa al sistema scolastico tradizionale, al mondo borghese e cittadino, che premia mandando avanti i pochi, e condanna lasciando indietro i tanti, i troppi. Questo libro, scritto collettivamente dalla Scuola di Barbiana, sotto la supervisione del suo inventore, direttore e maestro Don Lorenzo Milani, è il racconto dell'esperienza della “scuola a tempo pieno” e, al contempo, è la lacerazione del velo di Maya: la scuola tradizionale è "un ospedale che cura i sani e respinge i malati". Pier Paolo Pasolini, a proposito di questo libro, ha detto: “è un libro che riguarda sì la scuola, come argomento specifico, ma nella realtà riguarda la società italiana, la qualità di vita italiana”. Andando a Barbiana, tutti, dal bidello al ministro, avrebbero potuto imparare la cura, per la scuola e, forse, per la società. Allora cos'era la scuola di Barbiana? “Nè cattedra, né lavagna, né banchi. Solo grandi tavoli attorno a cui si faceva scuola e si mangiava”. Fare scuola è la parola chiave. Senza registro, l'obiettivo unico, che aveva un semplice significato, diventava imparare a leggere, scrivere, far di conto; imparare il necessario a non rimanere ultimi, a non restare condannati a guardarsi le punte delle scarpe, in un timido silenzio, di fronte a chi avesse inanellato una serie di paroloni o, semplicemente, di fronte alle lettere di un banale modulo postale. L'essere cittadini, a pieno diritto – come disse lo stesso Don Milani – cittadini sovrani, passa dalla comprensione del Quotidiano, dei fatti che vi sono narrati; passa dalla comprensione della tribuna politica. Gli studenti di Barbiana, figli di famiglie di umili origini, che già conoscevano la fatica dei campi o delle fabbriche, comprendevano la sacralità della scuola, l'importanza di quell'istruzione che non era un barocco ostentare, ma sapere pratico. Criticavano quei ragazzi che “consideravano il gioco e le vacanze un diritto, e la scuola un sacrificio. [Questi, secondo loro] non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio”. Nella scuola di Don Miliani si recuperavano, tra gli altri, i ragazzi pluribocciati che a 15 anni si erano ritrovati a ripetere ancora la prima. Ragazzi che erano stati giudicati cretini dalle Professoresse, perché non riuscivano ad interessarsi alla Piccola Fiammiferaia. A Barbiana si usava un altro metodo, e altri programmi. I ragazzi che frequentavano da più tempo erano gli insegnanti dei più piccoli e dei nuovi, quello che non si sapeva lo si ricercava e lo si studiava insieme. I programmi erano ad hoc per colmare le lacune più gravi, ma anche per stimolare l'interesse di quelli che, appena approdati nella scuola, si mostravano svogliati allo studio, alla cultura. Niente storia antica per loro, all'inizio, ma lunghe chiacchierate sull'ultima guerra, all'epoca vividissima nella memoria di tutti, che rendeva lo studio sicuramente più appassionante. E' proprio sui programmi l'accusa più forte: “Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda. - E poi – bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo”. Ebbene, potrebbe sembrare un'estremizzazione parlare ancora oggi di un tema come questo, ma
  • 2. basta pensare a quante persone hanno difficoltà a comprendere cosa c'è scritto in una cartella esattoriale di Equitalia, piuttosto che in un articolo di giornale che spiega le nuove regole per usufruire della riduzione delle sanzioni pecuniarie sul codice della strada, per rendersi conto di quanto non sia affatto sorpassato questo testo e che, anzi, bisognerebbe, così come riporta nei ringraziamenti, farlo leggere a tutti i genitori, del mondo aggiungiamo noi. Chiaro, oggi, 2013, molto è cambiato dal lontano 1967. Molto grazie soprattutto a decenni di lotte e, perché no, anche a libri come Lettera a una professoressa e a intellettuali come Don Milani e Pasolini. Ci sono anche buone notizie, alla scuola di Don Milani – per motivi logistici - non andò mai nemmeno una bambina, e ora, per fortuna, le cose sono cambiate in Italia, e le donne risultano spesso, statisticamente, molto più brave dei maschietti. Ma non bisogna nascondersi dietro a un dito, nell'Italia che non è città, non è così scontato che si proseguano gli studi. E, di più, anche nelle città, non è affatto comprovato che la meritocrazia non sconti, nel risultato apparente, le condizioni materiali di partenza. Anzi, a nostro parere, l'esperienza quotidiana dovrebbe insegnarci proprio il contrario. Perché sì, è vero, oggi la scuola dell'obbligo tende ad essere garantita a tutti, ma è altrettanto vero che partendo dall'edilizia scolastica, passando per i docenti di ruolo, arrivando ai programmi ministeriali, le scuole e, dunque, gli studenti, non sono tutti uguali. Basta farsi un giro a Roma per notare come la situazione delle scuole del centro non sia uguale a quella delle scuole di periferia; è sufficiente chiedere agli studenti di un istituto del centro se hanno avuto stabilmente gli stessi docenti e riproporre la stessa domanda a un istituto di pari indirizzo e grado distante qualche chilometro. E ancora, è sufficiente comparare le ore di storia insegnate in un liceo, con quelle che si trovano nell'offerta formativa di un professionale. Diventa chiaro, così, come la scelta della vita la si faccia, anche involontariamente, davvero troppo presto per credere che il risultato finale sia frutto del merito individuale.