Traumi psicologici nell'infanzia palestinese: il modello di intervento sociale di Eleonora Pochi
1. Traumi psicologici nell'infanzia palestinese: il modello di
intervento sociale
Facoltà di Sociologia
Corso di laurea in Politiche e Servizi Sociali
Cattedra di Valutazione delle politiche sociali
Candidata
Eleonora Pochi
n° matricola 1094487
Relatore Correlatore
Carmelo Bruni Alessandro Toni
A/A 2013/2014
2.
3. Indice
Traumi psicologici nell'infanzia palestinese:
Il modello di intervento
Introduzione
1. L'Infanzia palestinese
1 .1 IL CONTESTO SOCIALE 7
1 .1.1 L'occupazione militare e l'embargo
1 .1.2 Crescere in un campo profughi
1 .1.3 Vivere nella striscia di Gaza
1 .2 I BAMBINI ARRESTATI E DETENUTI 15
1 .3 DISCRIMINAZIONI E VIOLENZE DA PARTE
DEI COLONI 23
1 .4 DEPORTAZIONE E DISTRUZIONE DELLE
ABITAZIONI 29
1 .5 LA VIOLENZA DOMESTICA 31
4. 1 .6 CONSEGUENZE SULLA SALUTE MENTALE
DEI MINORI 32
1 .6.1 Il trauma della discriminazione e
dell'umiliazione
1 .6.2 Traumi che coinvolgono i genitori
1 .6.3 Essere testimoni di violenza estrema
1 .6.4 Il trauma della demolizione della propria casa
da parte dell'esercito
1 6.5 Il trauma derivante dall'arresto e dalla
detenzione
1 6.6 Traumi tipici della Striscia di Gaza
2 . Traumi da guerra nell'infanzia e
nell'adolescenza: il PTSD
2 .1 TRAUMI NEI BAMBINI 47
2 .1.1 La malattia e i disturbi mentali come stigma
sociale
2 .2 IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA
5. STRESS (PTSD) 54
2 .2.1 Assessment e terapia di traumi nell'infanzia e
nell'adolescenza
2 .2.2 Alcuni strumenti per il rilevamento del PTSD
2 .2.3 La valutazione diagnostica
2 .2.4 Il trattamento
3 . Un quadro teorico applicato al caso
palestinese
3 .1 IL CONFLITTO TRA GRUPPI 89
3 .1.1 L'apporto della sociologia alla Nonviolenza:
Durkheim e Galtung
3 .1.2 Cenni sul conflitto israelo-palestinese
3 .2 L'AMBIENTE E IL BAMBINO 113
3 .2.1 Le forze ambientali e lo sviluppo del minore: la
teoria di campo di Lewin
3 .2.2 Stile di attaccamento e PTSD
6. 3 .2.3 L'Ecologia dello sviluppo umano
4 . L'Intervento sociale in Palestina
4 .1 L'ASSISTENTE SOCIALE PALESTINESE 124
4 1.1 La formazione degli assistenti sociali
4 .1.2 Il ruolo delle Organizzazioni Non Governative
4 .2 PROTEZIONE DELL'INFANZIA IN
PALESTINA: IL MODELLO DI INTERVENTO
SOCIALE 132
4 .2.1 Intervento per bambini detenuti nelle carceri
israeliane ed ex-detenuti
4 .2.2 Intervento per bambini vittime della violenza
4 .2.2.1 Il caso di Gerusalemme Est
4 .2.2.2 Gli operatori sociali nelle scuole
4 .2.3 Interventi per bambini vittime della violenza
israeliana
4 .2.4 Interventi per orfani e bambini di strada
7. 4 .2.5 Come arriva il singolo caso ai Servizi sociali?
4 .2.6 Distribuzione dei servizi per tipologia di
istituzione
4 .2.7 Distribuzione dei servizi in base alle regioni, ai
distretti e all'area geografica
4 .2.8 Risorse umane per la protezione dei bambini
4 .3 IL MODELLO DI INTERVENTO PER LA
SALUTE MENTALE DEI BAMBINI 164
4 .3.1 La salute mentale in Palestina
4 .3.2 Soddisfare le esigenze di salute mentale dei
palestinesi
5 . Considerazioni finali
5 .1 CRITICITA' DELL'INTERVENTO
SOCIALE 172
5 .2 CONCLUSIONI 183
5 .2.1 Una buona ecologia dello sviluppo umano
8. 5 .2.2 L'importanza del supporto degli adulti nel
trattamento del trauma
5 .2.3 Riflessioni sul macrosistema: l'importanza della
Mediazione
Bibliografia 198
9. Introduzione
L'indagine svolta segue ad un esperienza diretta di
volontariato nei Territori Palestinesi Occupati vissuta
dopo diversi anni di attività giornalistica in merito,
assieme ad un crescente interesse e curiosità verso la
figura dell'assistente sociale in paesi “difficili”.
Nella prima parte il lavoro analizza i traumi da guerra
nell'infanzia e nell'adolescenza, con particolare
riferimento al Disturbo da stress post-traumatico.
Considera le conseguenze sulla crescita dei bambini
palestinesi dell'occupazione militare e delle pratiche
discriminatorie israeliane e si concentra sull'analisi del
modello di intervento sociale di assistenza.
Lo studio riguarda proprio i bambini poiché essi
rappresentano una potenziale ed efficace chiave di
volta per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano,
che da oltre 60 anni, attraverso sistematiche violazioni
dei diritti umani, nega loro una crescita serena.
Essi si trovano ad affrontare quotidianamente la
violenza in tutte le sue forme e soprattutto all'interno
1
10. dei nuclei familiari, le violazioni dei diritti - anche
fondamentali -, il contatto con militari e check-point,
le restrizioni e limitazioni alla libertà di movimento,
gli attacchi militari, il carcere, la tortura.
Il quadro teorico di riferimento è costituito dai
contributi di Lewin e Bronfenbrenner, entrambi attenti
all'interazione tra il bambino e l'ambiente, quale
considerazione imprescindibile al fine di valutare lo
sviluppo dell'individuo. La psicologia sottolinea in
particolare quanto il supporto degli adulti nel
trattamento del trauma sia un fattore essenziale per
una corretta guarigione e crescita del minore. Ho fatto
riferimento anche al contributo della Sociologia
nell'ambito della Nonviolenza.
Il cuore dello studio è rappresentato da una
valutazione del modello di intervento sociale nei
Territori Palestinesi Occupati: i servizi sociali,
educativi e sanitari palestinesi si sono sviluppati negli
ultimi sessanta anni spesso come risposta e
tamponamento al conflitto, con l'enorme e grandioso
2
11. contributo del terzo settore e spesso sotto l'influenza
degli aiuti internazionali. Il Ministero degli affari
Sociali, così come il Ministero dei Detenuti ed ex-
detenuti cercano, attraverso la programmazione di
politiche mirate, di fornire l'adeguata assistenza ai
minori palestinesi. Gran parte degli assistenti sociali si
trova a ricoprire diversi ruoli, ad esempio svolgendo
servizi di counselling o effettuando indagini sui casi e
allontanando i bambini dalla famiglia, se ritengono
che sia a rischio. Nonostante il duro lavoro, la rete dei
Servizi sociali risulta non sufficiente a soddisfare la
richiesta di assistenza. D'altra parte, non vi è alcun
modo per garantire ai bambini la protezione dalla
violenza, in un contesto di occupazione militare,
altamente discriminatorio. La crescente ondata di
disturbi mentali, innescata in particolare con la
seconda Intifada e con i bombardamenti nella Striscia
di Gaza (2008 e 2012), richiede un maggiore sforzo
da parte dei responsabili politici e dei pianificatori
sanitari e sociali nell'adottare un approccio più attento
alle esigenze della salute della comunità. Il lavoro
3
12. mostra una valutazione del modello pubblico di
intervento sociale, analizzando le politiche sociali
indirizzate alla tutela dell'infanzia traumatizzata.
Conclude con un'analisi delle criticità e una riflessione
su una possibile ecologia dello sviluppo umano, che
permetta l'empowerment del popolo palestinese.
4
13. 1. L'infanzia palestinese
“I miei pensieri finiscono quando sento le grida dei bambini
fuori che dicono: 'Scappate, dividetevi, bussate alle porte, le jeep
dell'esercito israeliano stanno attaccando'” (Sarwa, 15 anni)
I minori palestinesi costituiscono il 52% del totale
della popolazione. Essi sono molto spesso vittime di
abusi e violenze, non è concesso loro un sereno
processo di crescita a causa dell'occupazione militare
e dell'apartheid. Si trovano ad affrontare
quotidianamente la violenza in tutte le sue forme e
soprattutto all'interno dei nuclei familiari, le violazioni
dei diritti- anche fondamentali -, il contatto con
militari e check-point, le restrizioni e limitazioni alla
libertà di movimento, gli attacchi militari, il carcere, la
tortura.
5
14. Nel 31% (dati 2011) delle 1131
comunità della
Cisgiordania insegnanti e scolari devono attraversare
uno o più check-point per raggiungere la scuola. Si
tratta di oltre 2.500 bambini2
.
Ulteriori difficoltà sono state evidenziate nell'Area C e
nel settore H2 di Hebron, sotto il completo controllo
israeliano. Qui i bambini devono quotidianamente
attendere a lungo per i controlli dell'esercito, che
perquisisce i loro zaini e pone loro molte domande.
Oltre ad essere una routine altamente discriminatoria,
è anche psicologicamente stressante per i minori.
I minori non hanno spazi e momenti per svagarsi. E
sono considerati come adulti in qualsiasi tipo di
relazione. I minori detenuti si trovano nelle carceri
degli adulti, non essendoci centri di detenzioni per
minori, e vengono trattati come tali.
1 Mappatura a cura di Save the Children UK, UNICEF, e MoE
inclusa in Save the Children, Fact Sheet, Children’s Right to
Education in Armed Conflict, Ottobre 2011.
2 Save the Children, Save the Children in the Occupied
Palestinian Territory, Monitoring and Reporting Mechanism
2012–2013
6
15. 1.1 Il contesto sociale
L'occupazione militare e l'embargo
La povertà è molto diffusa in Cisgiordania e
soprattutto nella Striscia di Gaza, che deve fare i conti
con l'embargo economico imposto da Israele.
Una famiglia su tre vive in condizione di povertà e
una su quattro varca la soglia della povertà assoluta3
.
Ossia il 58% dei palestinesi vivono sotto la linea di
povertà4
. Com'è noto, la povertà porta ad aumentare la
diffusione della criminalità, soprattutto tra i giovani.
Sono circa 600.000 i bambini che vivono in povertà.
La quasi totalità delle famiglie povere è concentrata
nella Striscia di Gaza, soprattutto nella “buffer zone”,
nei campi profughi, lungo il muro israeliano, nell'Area
C, a Gerusalemme Est. Tutte aree ad alto rischio.
Hanno enormi difficoltà ad accedere a servizi di base
come l'assistenza sanitaria, il sostegno sociale,
3 Dati Palestinian Central Bureau of Statistics, 2007.
4 Save The Children UK, Child Rights Fact Sheet, Occupied
Palestinian Territory. Ottobre 2007.
7
16. l'educazione e i servizi di protezione. L'Autorità
Palestinese incontra molte difficoltà nel garantire
alcuni importanti servizi a queste piccole comunità,
anche a causa dell'impossibilità di costruire
infrastrutture di base scaturita dal sistema dei permessi
a costruire governato totalmente dalle autorità
israeliane. Talvolta le famiglie non riescono a
soddisfare i bisogni di base dei loro bambini. 8 su 10
famiglie a Gaza sono attualmente dipendenti dagli
aiuti umanitari5
. Occorre quindi porre l'attenzione
anche sui bambini ospitati nei campi profughi e quelli
che crescono nella Striscia di Gaza, contesti che
rappresentano le realtà più povere dei Territori
Palestinesi Occupati.
5 Palestinian National Authority, The Palestinian National
Authority Report on the Implementation of the Convention on
the Rights of the Child in the Occupied Palestinian Territory.
Dicembre 2010
8
17. Crescere in un campo profughi
Quasi un terzo dei profughi palestinesi registrati
dall'UNRWA, oltre 1.5 milioni di individui, vivono in
58 campi palestinesi riconosciuti in Giordania,
Libano, Siria, Striscia di Gaza e Cisgiordania,
compresa Gerusalemme Est. L'alta densità di
popolazione che caratterizza tutti i campi profughi
aggrava ancor più la precarietà nella quale si vive, a
causa di angustianti condizioni di vita, infrastrutture di
base inadeguate, strade e fognature fatiscenti.
I restanti due terzi dei profughi palestinesi registrati
vivono dentro o intorno alle città dei paesi ospitanti o,
come in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, spesso
nei dintorni dei campi ufficiali. Mentre la maggior
parte degli impianti dell'UNRWA, come scuole e
centri sanitari, si trovano nei campi profughi, un certo
numero sono al di fuori per assistere i profughi che
non hanno possibilità di accedere ai campi a causa del
sovraffollamento. Tutti i servizi dell'Agenzia
9
18. umanitaria sono comunque disponibili per tutti i
profughi palestinesi registrati, compresi quelli che non
vivono nei campi6
.
Vivere nella Striscia di Gaza
Secondo stime FAO, l'81% della popolazione di Gaza
vive al di sotto della soglia di povertà, con un dollaro
al giorno. L'attacco militare israeliano del 2008/2009
nella Striscia di Gaza, noto come “Piombo Fuso”, ha
causato una strage. Un'operazione di guerra con l'uso
di armi proibite ha causato, dal 27 dicembre 2008 al
18 gennaio 2009, oltre 5.000 feriti, 1.400 morti, di cui
l'83% civili. Oltre 300 bambini sono stati uccisi dai
bombardamenti7
. La quasi totalità della popolazione
della Striscia è rimasta profondamente traumatizzata
6 United Nations Relief and Works Agency for Palestine
Refugees in the Near East. <http://www.unrwa.org/palestine-
refugees>
7 OCHA, The Umanitarian Monitor – OPT, N. 3 Gennaio 2009.
10
19. dal pesante attacco dell'esercito israeliano, essendo
stati attaccati dal cielo, dalla terra e dal mare, senza
una via di fuga. L'impatto su una normale crescita
fisica è psicologica è forte. Inoltre, la Striscia è l'area
che registra la densità di popolazione più alta del
mondo, e il terrore dei civili è stato anche a causa
della chiusura dei loro confini, la Striscia è sigillata e
sottoposta ad embargo da Israele. Metalli e sostanze
cancerogene sono stati individuati nei tessuti di alcune
persone ferite durante le operazioni militari israeliane
del 2006 e del 2009. Hanno effetti tossici sulle
persone e danneggiano il feto o l’embrione nel caso di
donne incinte. Inoltre, una delle ricerche condotte
rileva la presenza di tossine nei crateri prodotti dai
bombardamenti israeliani a Gaza, indicando una
contaminazione del suolo che, associata alle precarie
condizioni di vita, in particolare nei campi profughi,
espone la popolazione al rischio di venire a contatto
con sostanze velenose8
. Per i bambini della Striscia
8 De Giovannangeli U., La guerra di Gaza causa mutazioni
genetiche, L'Unità 14/05/2010.
<http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/335000/330958.xml?
11
20. esistono ben poche possibilità di elaborare i traumi
subiti. Ancora oggi vi sono delle azioni militari nella
Striscia, tra cui si ricorda l'operazione “Pillar of
Defense” del novembre del 2012, che ha, tra l'altro,
severamente danneggiato le infrastrutture del sistema
educativo e il relativo svolgimento della vita scolastica
dei bambini. 285 scuole sono state semidistrutte dai
bombardamenti, incluse le 64 dell'UNRWA. 25.000
bambini si sono ritrovati senza una scuola. Circa
462.000 minori palestinesi abbandonano la scuola
prima del termine del normale percorso educativo9
.
key=gaza+mutazioni+genetiche&first=1&orderby=1>
9 UN, Annual Report of the Secretary-General on Children and
Armed Conflict, 2013.
12
21. Più di due terzi dei minori residenti nella Striscia ha
reazioni da trauma e alti livelli di stress post-
traumatico: di questi oltre il 16% è affetto da incubi, la
maggioranza dei quali (76,7%) causati da paura.
A causa dell'operazione militare israeliana del
novembre 2012, il 45,54% dei bambini del nord della
Striscia di Gaza risulterebbe affetto da PTSD (Post
Trauma Stress Disorder). In questo contesto, i gruppi
di popolazione più vulnerabili necessitano di supporto
13
Campo profughi di Jebaliya, 01 dicembre 2012
22. psicologico e psichiatrico specifico per il superamento
del trauma. Lo stato permanente di vulnerabilità e
marginalizzazione delle comunità beduine presenti
nell'area C, inoltre, alimenta un clima di insicurezza
nei più piccoli, che manifestano disturbi
comportamentali, aggressività, ansia e depressione.
14
23. 1 .2 I bambini arrestati e detenuti
Una delle situazioni più atroci in cui un bambino
palestinese può ritrovarsi è l'arresto e la detenzione.
Secondo un rapporto del Comitato pubblico contro la
tortura in Israele, organizzazione israeliana per i diritti
umani, il governo israeliano avrebbe torturato i
bambini arrestati, tenendoli in gabbie all'aperto
durante l'inverno. I bambini sospettati di reati minori
sono stati sottoposti quindi ad un "ingabbiamento
pubblico", minacce e atti di violenza sessuale e a
processi militari senza rappresentanza10
.
Il Public Defender's office(DOP) ha recentemente
pubblicato i dettagli di una visita particolarmente
scioccante dai suoi avvocati in un centro di
detenzione. "Durante la nostra visita, svoltasi durante
una violenta tempesta che ha colpito tutto Stato, gli
avvocati hanno incontrato i detenuti, che hanno
10 Whitnall A., Israel government 'tortures' children by keeping
them in cages, human rights group says, The Indipendent
01/01/2014
15
24. descritto loro un'immagine sconvolgente: nel bel
mezzo della notte decine di detenuti sono stati
trasferiti in gabbie di ferro esterne, costruite al di fuori
della struttura di transizione IPS a Ramla"11
.
Il rapporto PCATI12
ha affermato: "La tortura è un
mezzo per attaccare i modi fondamentali di un
individuo di funzionamento psicologico e sociale",
come descritto nel protocollo di Istanbul. Inoltre, " la
tortura può influire direttamente e indirettamente su un
bambino. L'impatto può essere dovuto anche a causa
della tortura dei genitori o di familiari”.
Un metodo di tortura che viene utilizzato nelle
prigioni israeliane anche sui bambini è la "posizione
shabeh", per cui le braccia e le gambe sono distese, a
forma di croce, e gli arti sono immobilizzati da catene
molto strette che tagliano profondamente i polsi e le
caviglie della vittima. A volte i bambini sono tenuti
così per giorni, costretti a ritrovarsi addosso le loro
11 Ivi
12 Public Committee against torture in Israel, 31/12/2013
<http://www.stoptorture.org.il/en/node/1951>
16
25. feci e la loro urina13
. Israele è l'unica nazione che
persegue in maniera sistematica i bambini in tribunali
militari, non fornendo loro le garanzie di base del
giusto processo. Circa 500-700 bambini palestinesi,
alcuni di appena 12 anni, vengono arrestati, detenuti e
perseguiti ogni anno. La maggioranza dei bambini
detenuti, appartengono ai distretti di Ramallah e
Nablus.
Secondo dati raccolti dall'International Defence for
Children- Palestine, la maggior parte dei bambini
detenuti palestinesi sono accusati di aver lanciato
pietre. Nel 74% dei casi i minori subiscono violenza
fisica durante l'arresto, il trasferimento o
l'interrogatorio. I bambini israeliani non entrano
assolutamente in contatto con il sistema della corte
militare.
Dall'ultimo rapporto ONU sui diritti del fanciullo, il
13 Save The Children Sweden, One day in prison fells like a
year, 2003.
<http://mena.savethechildren.se/PageFiles/3731/One%20day
%20in%20Prison%20-%20English.pdf>
17
26. Comitato ha espresso “la sua profonda preoccupazione
per quanto concerne la presunta pratica della tortura e
dei maltrattamenti sui bambini palestinesi arrestati,
perseguiti e detenuti dall’esercito e dalla polizia, e per
il fallimento dello Stato nel porre fine a queste
pratiche nonostante le ripetute preoccupazioni
espresse al riguardo dai soggetti sottoscrittori del
trattato, dai detentori del mandato delle procedure
speciali e dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Il Comitato sottolinea, con estrema preoccupazione,
che i bambini che vivono nei territori palestinesi
continuano ad essere arrestati sistematicamente nel
cuore della notte da soldati che danno indicazioni alla
famiglia urlando e trasportati bendati e con le mani
legate verso destinazioni ignote senza avere la
possibilità di salutare i genitori che raramente sanno
dove vengono portati i loro bambini; soggetti
sistematicamente a violenza fisica e verbale,
umiliazioni, segregazioni crudeli, chiusura di testa e
viso in un sacco, minacciati di morte, violenza fisica e
18
27. aggressione sessuale nel confronti loro o di membri
della loro famiglia, limitati nella possibilità di recarsi
in bagno, cibarsi e bere.
Questi crimini vengono perpetrati dal momento
dell’arresto, durante il trasferimento e l’interrogatorio,
al fine di ottenere una confessione ma anche su base
arbitraria come testimoniato da numerosi soldati
israeliani, nonché durante la detenzione preventiva. In
alcuni casi, sono inoltre tenuti in isolamento, a volte
per mesi”14
.
Secondo le testimonianze giurate di tre adolescenti,
nel febbraio del 2013 “un soldato ha spento una
sigaretta sul labbro di un ragazzino, mentre un altro
bruciato il braccio di Hendi, sempre con una sigaretta.
E' stato inoltre negato l'accesso a cibo, acqua e servizi
igienici per un lungo periodo”15
. I tre ragazzini erano
14 UN Committee on the Rights of the Child, Concluding
observations on the second to fourth periodicreports of
Israel, adopted by the Committee at its sixty-thirdsession. 14
June 2013.
15 Defence for Children International Palestine, Detention
Bulletin - Issue 47, Novembre 2013 <http://us6.campaign-
archive2.com/?u=2806abbe43&id=9824ac2dc5>
19
28. stati accusati di lancio di pietre. Anche la storia di
Nabil, è una delle tante:
“Prelevato nottetempo in casa per essere portato ad Asnar
II, costretto a giacere seminudo sulla spiaggia, sotto la
pioggia e al freddo, per un'ora e mezza, con gli occhi
bendati e le mani legate, poi sottoposto fino alle quattro del
mattino a un feroce interrogatorio, con percosse sui genitali
e su tutto il corpo e con la minaccia di essere rinchiuso con
cani feroci e serpenti; quindi nuovamente legato e bendato
e lasciato in piedi, senza cibo e senza acqua per tre giorni.
Era picchiato cinque volte al giorno. Se qualcuno vicino a
lui chiedeva dell'acqua, gliela portavano in una scarpa”16
.
Negli ultimi dieci anni circa 7.000 bambini sono stati
arrestati, detenuti, perseguitati attraverso il sistema di
giustizia militare israeliano. Molti sono arrestati nel
cuore della notte, svegliati bruscamente dai soldati,
che sbattono violentemente le loro armi alla porta,
urlando al resto dei familiari di uscire dalla casa. Per
16 Testimonianza raccolta da Ahamad Baker, professore nel
Dipartimento di Psicologia dell'Università ebraica, in
Infanzia di Palestina. Salaam Ragazzi dell'Olivo, Brescia,
1993
20
29. molti bambini è un trauma profondo. Mobili e finestre
sono spesso sfondati, i soldati urlano insulti e minacce
mentre costringono i familiari del bambino ad uscire
di casa. I bambini vengono prelevati con la forza e
solitamente ai familiari viene detto solamente “è
ricercato. Viene con noi”. Pochi bambini e genitori
vengono informati sul perché dell'arresto, del luogo in
cui lo porteranno e per quanto tempo.
Nel tragitto verso il luogo in cui verranno interrogati,
ai bambini sono legate le mani e bendati gli occhi. I
bambini subiscono violenze, abusi, maltrattamenti. A
nessuno di loro viene data la possibilità di essere
accompagnato da un avvocato o da un familiare17
.
Secondo la legislazione militare israeliana, un
bambino tra i 14 e 15 anni, può essere condannato a
venti anni di carcere per aver tirato un sasso contro un
carrarmato o qualsiasi altro veicolo. Il grafico che
segue rappresenta la distribuzione dei minori in
riferimento alla durata del periodo di detenzione
17 UNICEF, Children in Israeli Military Detention.
Gerusalemme, Febbraio 2013.
21
30. stabilito dalle sentenze. Secondo Defence for Children
Palestine il 90% dei minori palestinesi arrestati
subiscono torture.
22
31. 1 .3 Discriminazioni e violenze da parte dei coloni
I minori palestinesi sono esposti inoltre alla violenza e
alle quotidiane discriminazioni da parte di gran parte
dei coloni israeliani che risiedono negli insediamenti.
L'espansione degli insediamenti continua senza sosta e
l'atteggiamento impunito e violento dei residenti
israeliani non sembra manifestare cambiamenti18
. Gli
insediamenti rappresentano un importante ostacolo al
processo di pace. Una missione d'inchiesta del
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite
intrapresa nel 2012 ha concluso che l'esistenza di
insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania
rappresenta una violazione costante dei diritti dei
palestinesi, inclusi i diritti all'acqua, alla casa,
all'istruzione, ad una vita dignitosa. Nonché il diritto
all'autodeterminazione e alla non discriminazione, tra
gli altri.
18 UNRWA, Emergency Appeal Report, 2013.
<http://www.unrwa.org/userfiles/2013052621918.pdf>
23
32. Farahat, 9 anni, è solo un esempio degli innumerevoli
casi riscontrati: “Mentre guidavo l'asino della mia
famiglia in un cortile dietro casa mia – situata vicino
ad una stazione di polizia israeliana – 7 bambini si
sono avvicinati e mi hanno bloccato. Uno dei bambini
ha preso una pietra e l'ha puntata verso di me,
minacciando di colpirmi. Stava cercando di
intimidirmi. Da circa dieci metri di distanza ha tirato
la pietra verso di me e mi ha colpito sul naso e in
occhio. E' stato così doloroso che sono scoppiato in
lacrime e corso verso casa”. I sette bambini
aggressori, sono figli di coloni israeliani19
. Farahat è
stato portato all'ospedale dai genitori, appena rientrato
a casa.
19 Defence for Children International Palestine, Case Summaries
2013. <http://www.dci-palestine.org/documents/case-
summaries-2013/#Farahat_R.>
24
33. Circa 1.000 coloni israeliani radicali di Yitzhar
terrorizzano 20.000 palestinesi dei villaggi circostanti
di Burin, Madama, Asira al-Qibliya, Urif, Einabus e
25
Farahat R. (9 anni) Aggredito il 20 ottobre 2013.
Località: Hebron
34. Huwara. "Più volte hanno raggiunto casa nostra -
racconta Um Majdi, di Asira al-Qibliya -. Alcuni di
loro tirano sassi contro di noi, altri appiccano incendi,
o slogan di odio che scrivono sui muri. Siamo in uno
stato psicologico di stress continuo"20
.
Insediamenti come Yitzhar continuano ad espandersi
in tutta la Cisgiordania, con il sostegno del governo
israeliano. Ci sono circa 650.000 coloni vivono in
oltre 200 insediamenti in Cisgiordania e a
Gerusalemme Est.
Gli insediamenti hanno un profondo impatto sulla vita
dei palestinesi. Oltre alla perdita di terre sottratte
illegittimamente per gli insediamenti, la violenza dei
coloni, traducibile in pestaggi , sparatorie,
discriminazioni e distruzione delle proprietà sono un
evento comune nella vita dei palestinesi, compresi,
soprattutto, i bambini. I soldati israeliani spesso
20 Defence for Children International Palestine, Extremist
Israeli settlers of Yitzhar terrorize Palestinian villages.
23/12/2013. <http://www.dci-
palestine.org/documents/extremist-israeli-settlers-yitzhar-
terrorize-palestinian-villages>
26
35. chiudono un occhio di fronte simili accadimenti, e,
peggio, in alcuni casi partecipano attivamente agli
attacchi civili da parte dei coloni.
"A volte sogno che ci portano insieme ai bambini dei
vicini, ci sparano e ci gettano in una fossa”21
racconta
Roa'a Abu Majdi, 12 anni.
“Ogni momento, ogni ora sono carichi di ignoto. Un ignoto
che talvolta è un'angoscia, umiliazione, o paura, o
vergogna, o disperazione, o tutte queste cose insieme.
Disperazione, soprattutto: disperazione di sentirsi piccoli e
impotenti, mai completamente al sicuro, spesso alla mercé
di una violenza o di una cattiveria imprevedibili, o anche
soltanto nel mirino di un'ostilità, di un'incoscienza, di
un'indifferenza incontrollabili. Disperazione di non sentirsi
mai protetti, difesi quanto vorrebbero. Eppure, padri,
madri, nonni, sorelle, fratelli, zii, vicini di casa, insegnanti,
tutti fanno l'impossibile per tenerli al riparo, per assicurare
loro un minimo di vita 'normale'. Purtroppo, non è
sufficiente. Che cosa sarà di questi bambini per i quali
sparatorie, uccisioni, coprifuoco, demolizioni di case, lanci
21 Ivi
27
36. di gas lacrimogeni e tanti altri atti piccoli, o piccolissimi, di
quotidiana violenza, di quotidiana paura, di quotidiana
umiliazione e vergogna rappresentano l'unica realtà
conosciuta? Come diventeranno da grandi, quale genere di
persone saranno? Se lo domandano psicologi, educatori,
genitori, pedagogisti palestinesi, e con loro ce lo
domandiamo anche noi”22
.
Le principali azioni violente degli abitanti delle colonie
verso la popolazione palestinese sono: la distruzione
delle grotte; il danneggiamento dei raccolti attraverso lo
spargimento di sostanze tossiche; l'arresto delle attività
agricole attraverso l'uso di armi da fuoco; il furto di
greggi e dei raccolti; l'avvelenamento delle cisterne
d'acqua e dei pascoli; i pestaggi di uomini, donne e
bambini; le minacce di morte; lo sbarramento delle vie di
comunicazione.
22 tratto da Musu M. e Polito E., I bambini dell'Intifada, Editori
Riuniti, Roma, 1991.
28
37. 1 .4 Deportazione e distruzione delle abitazioni
Nel 2012 c'è stato un aumento delle demolizioni a
Gerusalemme Est (64 casi), e del tasso di spostamento
delle famiglie a causa di demolizioni o sfratti forzati e
illegali (815 sono stati gli sfollati in Area C, senza
contare le comunità beduine). Il 2012 ha visto anche
un aumento di quattro volte del numero di nuovi
insediamenti israeliani nella Cisgiordania, 6.672
rispetto a 1.607 nel 201123
.
La distruzione dell'abitazione è una delle cose che
sconvolge maggiormente i più piccoli, perché non ne
capiscono il senso e perché mina una base
fondamentale della loro sicurezza. I bambini che
hanno veduto crollare i muri della loro casa sotto l'urto
dei bulldozer o per esplosione, sembrano cambiare
d'improvviso carattere, da aggressivi diventano timidi
e viceversa. Ovviamente, queste sono solo le
23 UNRWA, Emergency Appeal Report, 2013.
<http://www.unrwa.org/userfiles/2013052621918.pdf>
29
38. manifestazioni esterne del loro malessere.
“Essere cacciati dalla propria casa o assistere alla
demolizione ordinata dalle autorità israeliane, incide
significativamente in maniera negativa su una serie di
indicatori di salute mentale, tra cui il ritiro, disturbi
somatici, depressione o ansia, difficoltà sociali, alti
tassi di devianza, disturbi ossessivo-compulsivi e
pensieri psicotici, difficoltà di concentrazione,
delinquenza e comportamenti violenti"24
.
Nella prima metà del 2013, secondo Peace Now e il
Central Bureau of Statistics di Israele, si sono
costruite illegalmente 1.708 unità abitative di
insediamento, un incremento del 70% rispetto allo
stesso periodo dell'anno precedente.
24 Save the Children UK, Broken Homes:Addressing the Impact
of House Demolitions on Palestinian Children & Families.
Aprile 2009.
<http://www.savethechildren.org.uk/sites/default/files/docs/Broke
n_Homes_English_low_res.pdf>
30
39. 1 .5 La violenza domestica
Anche all'interno delle loro comunità e delle loro case
i minori palestinesi sono esposti alla violenza.
Secondo una ricerca condotta dal PCBS nel 2007, le
aree rurali presentano una percentuale di violenza
domestica sui minori del 56%, seguito dal 50% nei
centri urbani e un 47% nei campi profughi25
. La
violenza è intesa come strumento per controllare ed
educare i bambini. Proprio come lo era in Italia, è
parte del metodo di educazione di gran parte dei
genitori palestinesi. Molti specialisti infantili
affermano che l'alto tasso di violenza domestica è una
conseguenza diretta della violenza sofferta a causa
dell'occupazione israeliana e delle correlate restrizioni,
pratiche razziste, attacchi militari, incursioni, arresti.
Questi eventi “hanno avuto drammatiche conseguenze
nella tradizionale unità familiare delle famiglie estese,
che ha da sempre rappresentato il più efficace
25 Save The Children UK, Child Rights Fact Sheet, Occupied
Palestinian Territory, Ottobre 2007.
31
40. meccanismo di coping per bambini e adulti26
.
1 .6 Conseguenze sulla salute mentale dei minori
Il trauma della discriminazione e dell'umiliazione
Gli effetti prodotti dall'interazione del trauma
psicologico e PTSD con razzismo e discriminazione
sono complessi. Tenendo presente che il popolo
palestinese è sotto scacco di una pluriennale apartheid,
razzismo e discriminazione possono essere:
a) un fattore di rischio per l'esposizione a stress
traumatici
b) un elemento in grado di aggravare l'impatto di
traumi psicologici e di amplificare il rischio di PTSD
o di altri disturbi post-traumatici
26 Save The Children, Defence for Children International, Child
Rights Situation Analysis, Dicembre 2008.
32
41. c) una fonte diretta di trauma psicologico27
.
L'Università di Birzeit, in collaborazione con la
Quenn's University, ha pubblicato una ricerca che
dimostra come l'umiliazione indotta dal conflitto
costituisca un evento traumatico indipendente, con
ripercussioni sulla salute di chi la subisce e a
prescindere dall'esposizione ad altri eventi violenti e/o
traumatici. “L'umiliazione intenzionale, oltre ad essere
una profonda violazione della dignità e dei diritti
umani, è una tattica di guerra rilevante. Una persona
che è vittima di umiliazione cronica, ha tre volte di più
la probabilità di avere disturbi mentali”. Sulla base dei
risultati ottenuti, si è proposto l'inserimento
dell'umiliazione tra gli indicatori dello stato di salute
mentale, nelle ricerche che indagano le conseguenze
della guerra e dei conflitti sulla salute delle
popolazioni.
Bambini e adolescenti affrontano un evento stressante
27 Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano, 2013.
33
42. con la propria soggettività, che dipende dall'età, dalle
esperienze passate, dalla presenza di adeguate figure
adulte di riferimento, del supporto sociale e dai fattori
ambientali. Le reazioni individuali sono il risultato
dell'interazione dinamica tra fattori appartenenti a
diversi livelli: biologico, psicologico,
sociale(familiare, amicale), e ambientale(politico,
educativo, economico, contesto di guerra)28
.
Traumi che coinvolgono i genitori
La morte di un genitore o di un familiare è
un'esperienza vissuta da un numero considerevole di
bambini palestinesi. Solitamente la morte è attribuibile
all'uccisione diretta dovuta al fuoco dell'artiglieria o a
cause simili. E' noto che la morte violenta di una
persona cui il bambino è legato, genera nel minore
uno stress grave e delle reazioni depressive.
28 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
34
43. Anche lunghi periodi di separazione dai genitori, in
contesti di violenza, è un'esperienza molto dolorosa
per i bambini, specialmente per i più piccoli (2-5
anni). La principale ragione di queste separazioni
riportata da buona parte dei bambini palestinesi è la
detenzione di uno dei genitori.
Essere testimoni di violenza estrema
Assistere ad un attacco militare, al bombardamento di
aree urbane, cercare di rifugiarsi dal fuoco
dell'esercito nelle vicinanze delle abitazioni e delle
scuole, o tra la folla durante una manifestazione
pacifica, i rastrellamenti nelle abitazioni e nei villaggi
da parte delle forze armate israeliane, sono
avvenimenti ordinari nella vita di gran parte dei
bambini palestinesi. Gli effetti di tale violenza
incrementano il livello d'ansia dei bambini, alcuni di
35
44. essi sviluppano varie fobie e reazioni di panico29
.
Molti minori palestinesi assistono all'intimidazione,
alla morte o all'arresto di qualcuno che è loro caro.
Altri vedono persone gravemente ferite da armi o
percosse. Spesso i genitori non sono a conoscenza di
ciò di cui i loro bambini son stati testimoni. Talvolta i
bambini più grandi, nell'intento di proteggere i loro
genitori, non condividono con loro lo shock subito.
Tali situazioni innescano forti sentimenti di paura,
sfiducia e rabbia. Secondo testimonianze dirette30
, in
seguito ad un irruzione notturna dei soldati israeliani
in casa, una bambina di sei anni ha sviluppato una
sindrome acuta di stress post traumatico, con frequenti
attacchi epilettici e gravi difficoltà di apprendimento. I
militari hanno preso la piccola, alzandola e gettandola
con forza in terra, per farla smettere di piangere.
L'impatto sul pavimento, le ha causato seri danni
29 Macksound M., I bambini e lo stress da guerra. Come
affrontarlo? Manuale per genitori e insegnanti,. Edizioni
Scientifiche Ma.Gi, Roma, 1993.
30 Testimonianza raccolta sul campo da un ragazzo proveniente
dalla Striscia di Gaza
36
45. celebrali.
Il trauma della demolizione della propria casa, da
parte dell'esercito
Come affermato dal più noto psichiatra palestinese, El
Sarraj, “la casa non è suolo un rifugio, è il cuore della
vita familiare. La distruzione della propria causa non è
solo un danno materiale, è un trauma connesso all'aver
perso un forte punto di riferimento e all'essere un
profugo”31
.
Considerando solo Gerusalemme Est, circa 200 mila
coloni israeliani hanno preso forzatamente il posto dei
residenti palestinesi. Secondo il Committee Against
House Demolitions(ICAHD) per i palestinesi ottenere
permessi per costruire su terreni di loro proprietà è
quasi impossibile. Il 94% delle richieste di permesso
presentate da palestinesi sono rifiutate dalle autorità
israeliane, tanto a Gerusalemme Est quanto in tutta
l'Area C. Da gennaio ad aprile 2013, l'UNRWA ha
31 Humanitarian Practice Network, Humanitarian Exchange, N
28, Novembre 2004 pp.28
37
46. riferito che oltre 90 persone, tra cui 49 bambini, sono
state sfollate dalle loro case a Gerusalemme Est. I
minori vittime di questo processo illegale, stanno
mostrando allarmanti sintomi di ansia e depressione,
che sfociano nel disturbo da stress post-traumatico.
“I bambini che hanno assistito alla demolizione della
propria casa presentano un netto peggioramento su
una serie considerevole di indicatori della salute
mentale, tra cui il ritiro, disturbi somatici, depressione
e ansia, difficoltà nelle relazioni interpersonali,
delusione cronica, atteggiamenti ossessivo-
compulsivi, difficoltà di concentrazione, devianza e
comportamenti violenti. Quando arriva un ordine di
demolizione e di evacuazione della casa, un bambino,
mentre va a scuola non sa se al suo ritorno troverà
ancora intatta la sua casa, non sapendo il giorno in cui
arriveranno i soldati accompagnati da bulldozer. E' un
costante stato di stress” fa notare Anan Srour,
psicologo clinico ed educativo al Palestinian
Counseling Center. “Una situazione simile ha
implicazioni su tutte le funzioni quotidiane del minore
38
47. e i genitori non hanno l'energia e la forza psicologica
per rispondere alle esigenze del figlio”32
. L'aiuto delle
Nazioni Unite alle famiglie le cui case vengono
illegalmente demolite, garantisce una continuità
almeno alla vita scolastica dei bambini.
“Le Nazioni Unite aiutano i poveri – dice Imran -, le
persone le cui vite sono state distrutte. Io non voglio
essere identificato come tale”. Il momento della
demolizione per molti bambini è altamente
traumatico: “Ricordo i soldati che ridevano e mi
prendevano in giro perché piangevo. Provavo ad
andare verso casa, ma mi bloccavano. Mi sveglio in
piena notte in preda al panico, con questa scena in
testa” conclude Imran33
. Le famiglie le cui case
vengono demolite, sono costrette a riversarsi in campi
profughi. A causa di questi spostamenti forzati e
32 Al Monitor, Palestinian Children Traumatized After House
Demolitions, 05 Febbraio 2013 <http://www.al-
monitor.com/pulse/originals/2013/06/palestinian-children-
trauma-house-demolitions.html>
33 Save the Children UK, Broken Homes: Addressing the Impact
of House Demolitions on Palestinian Children & Families,
Aprile 2009.
39
48. improvvisi, alcuni bambini diventano molto
vulnerabili e insicuri e sviluppano gravi reazioni
d'ansia, comprendenti ansie di separazione, disturbi
psicosomatici e, come Imran, disturbi del sonno.
Alcuni diventano tristi e nostalgici e rimpiangono la
loro vecchia casa. Altri rifiutano il nuovo ambiente e
diventano aggressivi34
.
Trauma dell'arresto e della detenzione
Dalla seconda Intifada, più di settemila bambini sono
stati detenuti nelle carceri israeliane.
Durante il periodo di detenzione i bambini
interrompono improvvisamente la loro routine
quotidiana, lontano dalla loro famiglia.
L'esperienza della detenzione comporta un susseguirsi
di violenza, sia fisica che psicologica, compresa la
34 Macksound M., I bambini e lo stress da guerra. Come
affrontarlo? Manuale per genitori e insegnanti, Edizioni
Scientifiche Ma.Gi, Roma, 1993.
40
49. tortura. I bambini passano il periodo di detenzione in
deplorevoli condizioni. L'esperienza traumatica della
reclusione influisce profondamente sul benessere
psicosociale del minore e si manifesta nello sviluppo
di livelli diversi di difficoltà nelle relazioni e in base
all'età e al sesso. Molti bambini subiscono abusi
sessuali che non hanno il coraggio di raccontare a
nessuno, quando vengono rilasciati, a causa di un
profondo senso di vergogna. Alcuni hanno accettato di
diventare collaboratori delle autorità militari israeliane
pur di non far sapere alle persone della propria
famiglia e del proprio villaggio che sono stati abusato.
Nella logica della violenza militare in carcere, l'abuso
sessuale è quindi usato come mezzo per costringere i
minori a collaborare35
. La quasi totalità dei bambini,
quando escono dal carcere manifestano isolamento e
ritiro sociale, sentendosi diversi dai loro amici. I
sintomi più comuni sono la paura di affrontare la
35 Save The Children Sweden, One day in prison feels like a
year. 2003
<http://mena.savethechildren.se/PageFiles/3731/One%20day
%20in%20Prison%20-%20English.pdf>
41
50. società, ansia e tensione, difficoltà di concentrazione,
difficoltà a comunicare con la famiglia e gli amici e a
reintegrarsi nel contesto scolastico, o lavorativo. A
fronte del tragico aumento del numero di bambini
bambini arrestati e detenuti, alcune associazioni di
professionisti hanno elaborato programmi di
riabilitazione post-trauma per il recupero psicosociale,
di cui si parlerà nel prossimo capitolo.
Traumi tipici nella Striscia di Gaza
“Ascoltano la radio, guardano la TV, vedono cadaveri,
sentono le bombe, il rumore assordante dei vetri delle
finestre che scoppiano, ascoltano storie di guerra.
Sono terrorizzati”.36
C'è stato un tragico deterioramento del benessere
psicofisico dei bambini dopo l'attacco militare
36 Eyad Sarraj, esperto di salute mentale e fondatore del Gaza
Community Mental Helt Programme.
42
51. israeliano del 2008, Piombo Fuso, e quello del
novembre 2012. Secondo ricerche condotte da Sarraj,
la quasi totalità dei 950.000 bambini gazawi soffre di
sintomi psicologici e comportamentali propri del
PTSD, tra cui aggressività, depressione, enuresi,
flashback e un attaccamento psicotico alla madre o ad
un familiare. Il costante stato di conflitto, fa si che i
bambini siano profondamente e cronicamente
traumatizzati perché non riescono a risolvere il loro
trauma. Proprio per questo, secondo l'Oxfam
International(OI) “è molto difficile parlare di PTSD
quando il trauma continua a ripetersi e a mantenere
livelli di stress ricorrenti”.
Alcuni abitanti di Gaza, benché siano membri di una
società notoriamente conservatrice, stanno
cominciando a rifiutare la stigma legata alla malattia
mentale37
.
37 Cunningham E., Growing up in Gaza, Global Post Gaza, 27
Novembre 2012.
<http://www.globalpost.com/dispatch/news/regions/middle-
east/israel-and-palestine/121126/gaza-children-toll-ptsd-
trauma-israel-strikes-conflict>
43
52. Fatima Qortoum nel 2008 aveva 9 anni. Ha visto
schizzare il cervello di suo fratello, a causa delle
schegge di una bomba e quattro anni più tardi, nel
bombardamento del 2012, l'altro fratello di sei anni è
rimasto ferito ai polmoni e alla spina dorsale. Ad oggi,
Fatima soffre di PTSD.
Uomini e adolescenti maschi, spesso faticano a
chiedere un supporto psicologico e d'altra parte, la
comunità non è sempre pronta ad accettare o fornire il
supporto adeguato al trauma.
“Non avevamo paura. Siamo abituati a tutto questo.
Mio padre ci disse in casa: 'Gli israeliani stanno
cercando di terrorizzarci, ma noi abbiamo la nostra
resistenza che li spaventa” ha raccontato Mohamed
Shokri, 12 anni.
“Ai bambini di Gaza è stata negata un'infanzia
normale a causa della insicurezza e instabilità del loro
ambiente. E non temporaneamente. Una cultura di
violenza e di morte pervade nella loro mente,
rendendoli più aggressivi e arrabbiati” fa notare Ayesh
44
53. Samour, direttore dell'ospedale psichiatrico di Gaza,
che insieme a quello di Betlemme è l'unico in tutto il
territorio palestinese38
.
38 IRIN(Humanitarian news and analysis), OPT: Psycological
trauma, nightmares stalk Gaza children. Gaza 02 Febbraio
2010 <http://www.irinnews.org/report/87954/opt-
psychological-trauma-nightmares-stalk-gaza-children>
45
54. 46
Un bambino di 11 anni disegna l'arresto del padre (Fonte: I
bambini e lo stress da guerra, Unicef)
Un bambino di 10 anni, obbligato ad assistere ad atti di violenza
estrema (Fonte: I bambini e lo stress da guerra, Unicef)
55. 2. Traumi da guerra nell'infanzia e nell'adolescenza
“L’emozione del dolore cessa di essere sofferenza non appena
abbiamo una chiara e precisa immagine di essa”
Victor Frankl
2 .1 Traumi nei bambini
Con l'avanzare dei secoli le popolazioni civili sono
diventate sempre più palesemente il bersaglio favorito
delle guerre. Le vittime civili costituivano circa il 50%
delle perdite umane complessive nella Prima Guerra
Mondiale, il 66% nella Seconda Guerra Mondiale, il
90% nelle guerre odierne. Nel decennio 1985-1995 si
calcola che siano stati uccisi in guerra due milioni di
bambini. Un numero non ben quantificato, nell'ordine
47
56. di decine di milioni, sono stati i casi di gravi traumi
psicologici nelle fasi dell'infanzia e dell'adolescenza39
.
Il trauma psicologico da guerra non è una malattia. E'
una reazione normale ad un evento improvviso che
minaccia l'esistenza, e distrugge la vita fisica, mentale,
spirituale e sociale. In generale per “trauma” si intende
“un'esperienza personale e diretta di un evento che causa o
può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce
all'integrità fisica; o la presenza di un evento che comporta
morte, lesioni o altre minacce all'integrità fisica di un'altra
persona; o il venire a conoscenza della morte o lesioni
riportate da un membro della famiglia o da altra persona
con cui il soggetto è in stretta relazione”40
.
Come specificato nel DSM stesso, questa definizione
assume connotazioni specifiche nel caso si tratti di un
bambino o di un adolescente.
Alcune reazioni al trauma variano in base all'età. I
39 UNICEF, I bambini della guerra, n 3/Collana Temi. Comitato
Italiano per l'UNICEF, 2000.
40 American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical
Manual of Mental Disorders IV, 1999.
48
57. bambini fino ai cinque anni, sono di solito terrorizzati
di essere separati dai genitori, piangono, urlano,
tremano, restano immobili oppure non riescono a stare
fermi, tendono ad aggrapparsi alle persone più vicine.
Spesso assumono comportamenti regressivi, come
l'enuresi e/o la paura del buio. In questa fascia d'età i
piccoli sono altamente influenzati dalle reazioni dei
genitori all'evento traumatico.
I bambini dai sei agli undici anni possono manifestare
ritiro in loro stessi, comportamento indisciplinato e/o
difficoltà di attenzione e concentrazione. Possono
manifestare incubi, disturbi del sonno, paure
irrazionali, irritabilità, rifiuto di andare a scuola,
scoppi di ira, comportamenti violenti, dolori fisici
anche in assenza di un disturbo organico, problemi nel
rendimento scolastico. Altri disturbi ricorrenti sono
ansia, senso di colpa, depressione, apatia.
Gli adolescenti, dai dodici ai diciassette anni, possono
riportare reazioni simili agli adulti, compresi
flashback, incubi, ritiro emotivo, abuso di sostanze,
depressione, evitamento di ogni stimolo collegato al
49
58. trauma, comportamento antisociale. Generalmente
manifestano isolamento, lamentele fisiche, pensieri
suicidi, rifiuto della scuola, disturbi del sonno, stato
confusionario41
.
Le possibilità di coping di un soggetto in età evolutiva
sono ridotte rispetto a quelle di un adulto “sano”, a
causa di una maturità non ancora pienamente
raggiunta. Pertanto, l'intervento di soccorso o la
terapia in genere devono essere modulati sugli
specifici bisogni e competenze del soggetto42
.
L'evento-guerra, ovviamente, è il più traumatico per il
bambino. Tutto il sistema sensoriale è allertato e viene
colpito profondamente: essere testimoni di massacri,
bombardamenti, invasioni militari; vedere soldati,
armi, spari, persone uccise; sentire le urla dei feriti,
sono tutte sensazioni sensoriali che si imprimono in
maniera indelebile nella memoria. Da simili eventi
scaturiscono emozioni forti come la paura, il dolore, la
41 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
42 Ivi
50
59. collera, il senso di impotenza, talvolta il senso di colpa
per essere sopravvissuti. I disturbi relativi alla salute
mentale nell'infanzia e nell'adolescenza sono,
purtroppo, molto più frequenti di quanto si pensi e
secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità,
nell'anno 2020, i disturbi neuropsichiatrici infantili
cresceranno proporzionalmente in ordine superiore al
50% a livello mondiale, divenendo una delle cinque
principali cause di malattia, morte e disabilità nei
bambini43
.
La gravità del trauma è condizionata da sette fattori: la
violenza improvvisa di un evento traumatico, l'essere
vicini all'evento, la durata dell'evento, la ripetizione
dell'evento, il grado di brutalità, la conoscenza delle
vittime, la conoscenza degli assassini. Lo stress e lo
shock possono arrivare a turbare aree interiori che
contengono, per lo più, rappresentazioni emotive non
sempre facilmente verbalizzabili o non verbalizzate.
L'evitamento o, al contrario, la ripetizione ossessiva di
ricordi o comportamenti riguardanti il trauma,
43 Ivi
51
60. sembrano essere due polarità frequenti nella sindrome
PTSD e, in generale, in tutti i disturbi post-
traumatici44
.
La malattia e i disturbi mentali come stigma sociale
Come in gran parte del Medio Oriente, la cultura
palestinese ha le sue spiegazioni tradizionali per i
disturbi mentali. La convinzione comune è che la
malattia mentale è riconducibile al volere di forze
soprannaturali. Questa concezione ha radici religiose e
non può essere spiegata in termini psicologici o
psichiatrici.
In molti Paesi in via di sviluppo, inclusa la Palestina, i
disturbi mentali sono spesso fonte di paura. In alcuni
casi, questo porta la società al rifiuto dei malati
mentali, perché la malattia comporta uno stigma. Per
questa ragione i pazienti tendono a presentare stress
44 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
52
61. emotivo o psicologico in forma di sintomi fisici come
mal di testa, coliche e/o mal di schiena. Questa
situazione porta a una notevole sottovalutazione della
malattia mentale. Gli operatori sanitari hanno solo di
recente iniziato a riconoscere l'origine politica e
ambientale delle malattie mentali.
53
62. 2 .2 Il Disturbo post-traumatico da stress(PTSD)
Un minore che ha vissuto una grave esperienza
traumatica può presentare disturbi anche dopo il
periodo che la letteratura definisce consono alla
autoguarigione.
I primi studi che hanno portato alla nozione di
Disturbo post-traumatico da stress sono stati compiuti
negli anni '70, a partire dalle indagini sui reduci dalla
guerra del Vietnam; hanno interessato dapprima la
psichiatria dell'adulto e, solo successivamente, si sono
estesi all'infanzia e all'adolescenza, in relazione sia
all'esposizione ad eventi catastrofici - guerre, calamità
naturali -, sia ad esperienze di maltrattamento, intra ed
extra-familiari. Il termine Post Traumatic Stress
Disorder è stato introdotto dal DSM III, inserito nel
novero di Disturbi d'Ansia. Questo genere di disturbi è
stato progressivamente allontanato dall'ambito
“nevrotico”, fino a confluire nell'ambito del modello
54
63. generale dello stress, sia acuto che cronico45
.
Alla luce di quanto stabilito dal DSM IV, se i sintomi
persistono per almeno due settimane, ma non più di
quattro, si può considerare la diagnosi di Disturbo
Acuto da Stress(ADS). Se i sintomi lamentati, sempre
correlati a rivivere un evento altamente traumatico,
perdurano per almeno quattro settimane, si può
considerare l'opportunità di una diagnosi di Disturbo
Post-Traumatico da Stress(PTSD).
I sintomi tipici del PTSD possono essere classificati in
tre categorie: intrusione, evitamento, attivazione.
- Intrusione. Ossia la tendenza a rivivere
continuamente l'evento traumatico a livello
cognitivo, ripensare continuamente all'evento;
emotivo, sentire che da un momento all'altro
l'evento possa ripetersi; percettivo, rintracciare
stimoli che ricordano l'evento in molti
momenti della giornata. Un bambino può
raccontare continuamente la sua esperienza
45 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
55
64. traumatica, avere incubi e ripetere quanto
vissuto nel gioco. L'intrusione è caratterizzata
da flashback continui fatti di suoni, immagini,
odori. Questo disturbo si manifesta
specialmente prima di andare a dormire o
quando il bambino non è occupato.
L'intrusione provoca incubi notturni, difficoltà
di concentrazione, anoressia e disturbi
alimentari, sintomi regressivi, sintomi
dissociativi. Ad esempio, a sei mesi dall'evento
traumatico un bambino continuava a strofinarsi
il naso. La madre lo riteneva un tic, mentre in
realtà il piccolo continuava a sentire l'odore dei
cadaveri46
.
- Evitamento. Tendenza al continuo evitamento
di persone, luoghi, pensieri, circostanze e
attività che ricordano il trauma. L'evitamento
può essere passivo o attivo. L'ottundimento
può essere considerato uno stato lieve di
46 Musu M. e Polito E., I bambini dell'Intifada. Editori Riuniti,
Roma, 1991.
56
65. dissociazione e non è facile da rintracciare in
un bambino. Alcuni possono essere incapaci di
ricordare alcuni aspetti dell'evento, possono
isolarsi e/o non interessarsi ad attività che in
passato erano significative. Il bambino può
avvertire una sensazione di vuoto interiore. E'
pervaso dall'apatia, si sente privo di sentimenti
e incapace di essere felice. Può manifestare
rallentamento motorio, stanchezza cronica e
distaccamento dal proprio gruppo dei pari e da
qualsiasi attività ludica47
. L'evitamento è
riconducibile a amnesie psicogene, fobie,
isolamento sociale. Il bambino cerca di evitare
qualsiasi cosa che gli ricorda l'evento
traumatico o di sopprimere del tutto il ricordo.
In questo ultimo caso la guarigione è più
difficile.
- Attivazione. E' clinicamente definita
“arousal” e comprende l'insonnia, l'irritabilità,
47 Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna, 1996.
57
66. scoppi d'ira, difficoltà di concentrazione,
ipervigilanza, disturbi del sonno. L'arousal
rappresenta i sintomi più semplici da rilevare48
.
Rappresenta uno stato perenne di tensione
spiegato dalla paura che l'evento traumatico
potrebbe ripetersi all'improvviso e porta alla
riduzione delle difese immunitarie e ad
irritabilità, ansietà, aggressività, disturbi del
sonno, iperattività motoria.
Uno studio sui sopravvissuti alle persecuzioni naziste,
condotto da Krystal49
, evidenzia la connessione tra il
trauma psichico con la frequente difficoltà
nell'espressione e nella tolleranza degli affetti:
“Come la maggior parte dei pazienti psicosomatici,
anche questi soggetti soffrono di alessitimia,
l'incapacità di identificare o verbalizzare stati affettivi.
48 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
49 Krystal H., Massive psychic trauma, International
Universities Press, New York, 1968.
58
67. Un trauma psichico dell'infanzia porta ad un arresto
dello sviluppo affettivo, mentre un trauma in età
adulta porta ad una regressione dello sviluppo
affettivo. In entrambi i casi il risultato finale è che i
sopravvissuti a un trauma non possono usare gli affetti
come segnali. Qualunque potente emozione viene
vista come una minaccia del ritorno del trauma
originario, pertanto questi pazienti somatizzano gli
affetti oppure li curano abusando nell'assunzione di
farmaci50
”.
La severità della sintomatologia post-traumatica
sembra essere molto spesso correlata, nei bambini
piccoli, a uno scarso adattamento dei genitori e/o della
famiglia. La risposta del bambino al trauma è tanto più
complicata quanto più i genitori – in particolare la
madre – presentino disturbi psicologici o la loro
reazione all'evento traumatico sia particolarmente
stressante. D'altra parte, quindi, i genitori possono
rappresentare un variabile moderatrice, positiva, degli
50 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie. Edizioni Kappa. Roma 1997
59
68. effetti del trauma; aiutando il bambino a comprendere
quanto accaduto, recuperare il senso di sicurezza e
controllo, contenere l'ansia, sostenendolo con amore e
pazienza, incoraggiandolo. In genere, adulti empatici
possono aiutare i bambini a svolgere una serie di
funzioni adattive, poiché essi non hanno ancora
raggiunto il pieno sviluppo di alcune capacità
cognitive ed emozionali.
Secondo due studi, entrambi svolti su 1000 minori, i
bambini ebrei israeliani, molti dei quali sono stati
esposti alla violenza della società in cui vivono ma che
non sono stati allontanati dalle loro case, mostrano una
prevalenza dell'8% per il PTSD51
. Una prevalenza
molto più alta, del 34%, è stata stimata tra i bambini
palestinesi, molti dei quali rifugiati52
.
Perché si abbia una diagnosi di PTSD deve essersi
51 Pat-Horenczyk R., Abramovitz R., Peled O., Brom D., Daie
A., Adolescent exposure to recurrent terrorism in Israel: post
traumatic distress and functional impairment. American
Journal of Orthopsychiatry, n. 77, 2007.
52 Khamis V., Post-traumatic stress disorder among school age
palestinian children, Child Abuse and Neglect. 29- 2005
60
69. verificata una esperienza che implichi la minaccia alla
vita o all'integrità fisica, propria o altrui, e a cui il
soggetto risponda con paura intensa, impotenza,
comportamento disorganizzato o agitazione53
.
Le reazioni di bambini e adolescenti ad eventi ad un
trauma variano in base all'età, alle caratteristiche di
personalità, a seconda del grado di percezione della
realtà da parte del soggetto. In generale, i sintomi
caratteristici che risultano dall'esposizione ad un
trauma estremo, includono il continuo rivivere
l'evento traumatico, l'evitamento persistente degli
stimoli associati con il trauma, l'ottundimento della
reattività generale e sintomi constanti di aumento
dell'arousal. Il disturbo può risultare particolarmente
grave e prolungato quando l'evento stressante è ideato
dall'uomo54
.
53 Telefono Azzurro, Vittime Silenziose. I bambini e gli
adolescenti di fronte alla guerra, al terrorismo e ad altri
eventi traumatici.
54 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
61
70. Per esempio, evitare il ricordo di esperienze
traumatiche può essere considerata una buona
strategia per farvi fronte, ma può anche rappresentare
un sollievo temporaneo che contribuisce a rendere
cronico il senso di paura e a tramutare una normale
reazione ad un evento traumatico in PTSD.
L'esposizione a fattori di stress traumatico può
comportare alterazioni fondamentali nel corpo e nella
mente dei bambini e in base all'esordio e la durata dei
62
(Telefono Azzurro, Vittime Silenziose)
71. sintomi, si possono distinguere tre forme di PTSD:
acuta, quando la durata dei sintomi è inferiore ai tre
mesi; cronica, secondo la quale i sintomi durano 3
mesi o più; ad esordio tardivo, quando sono trascorsi
almeno sei mesi tra l'evento e l'esordio dei sintomi55
.
Gli effetti medici a lungo termine di uno stress
straordinario non sono stati ancora definitivamente
provati, ma ci sono prove di alte frequenze di malattie
cardiovascolari e di ulcere nei soggetti traumatizzati.
Il PTSD è spesso accompagnato da altri disturbi:
sintomi depressivi, tendenza al suicidio, attacchi di
panico, personalità borderline, disturbi
dell'alimentazione e di somatizzazione, episodi
dissociativi.
Nel nuovo DMS è stato inserito un nuovo sottotipo di
PTSD dedicato esclusivamente ai bambini in età
prescolare, fino ai sei anni, il Post-Traumatic Stress
Disorder in Preschool children56
.
Un elemento caratterizzante sarà l’inclusione del
55 Ivi
56 APA, <http://www.dsm5.org>
63
72. criterio relativo al disagio clinicamente significativo o
alle menomazioni nei rapporti con i genitori, fratelli o
coetanei e altri caregiver e di disagio in ambiente
scolastico, poiché nell’età in questione, il
funzionamento sociale del soggetto risiede nel
contesto familiare e nelle relazioni con altri caregiver.
La ricerca, ancora non del tutto avanzata in
quest'ambito, ha evidenziato tra i tratti di personalità
che caratterizzano bambini e adolescenti traumatizzati,
una scarsa reattività alle situazioni di pericolo, una
costante assenza di paura e una tendenza all'eroismo.
A volte il trauma, secondo Janoff-Bulman, può
incidere sulla convinzione di essere invulnerabili,
riscontrabile nell'adolescenza57
.
In una situazione post-traumatica, alcuni aspetti
ambientali, o psicosociali e relazionali, possono
svolgere un ruolo di aiuto psicologico e per
l'adattamento (al contrario, se presenti in maniera
57 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità. MCGraw-Hill,
Milano 2003
64
73. negativa, possono considerarsi elementi di
vulnerabilità, nonché fattori di rischio). Tra di essi
spicca il sostegno sociale, cioè un aiuto psicologico,
materiale, informativo e cognitivo che il bambino può
avere in uno specifico momento della sua vita o al
momento del bisogno. Un adeguato sostegno quasi
sempre ammortizza l'impatto degli stressor e della
gravità dei sintomi58
.
58 Flannery R.B., Social support and psycological trauma: a
methodological review, Journal of Traumatic Stress, N 3,
1990.
65
74. Assessment e terapia di traumi nell'infanzia e
nell'adolescenza
E' di fondamentale importanza la scelta dei criteri di
valutazione clinica, ma non solo, relativi alle
condizioni post-traumatiche. Nel 1998 l’American
Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha
proposto una serie di misure pratiche per
l’accertamento e il trattamento dei bambini e degli
adolescenti con PTSD. Le linee guida contenute nel
documento consistono in:
- intervista con i genitori o i caregiver;
- ottenere il racconto dell’evento traumatico al fine di
classificare tale evento come stressor “estremo” ed
ottenere una “storia del trauma (o dei traumi)”
indispensabile per una corretta diagnosi;
- ottenere informazioni rispetto a eventuali stressor
precedenti, concomitanti o più recenti nella vita del
bambino;
- valutare la presenza di sintomi elencati nel DSM-IV
66
75. per il PTSD attraverso gli strumenti previsti;
- ottenere informazioni rispetto ad eventuali sintomi
concomitanti, prestando particolare attenzione ai
disturbi ad elevata comorbilità con il PTSD;
- ottenere informazioni rispetto all’esordio dei sintomi
in relazione agli eventi traumatici identificati;
- ottenere informazioni rispetto alla reazione emotiva
dei genitori all’evento traumatico;
- ottenere informazioni sull’anamnesi psichiatrica e
medica del bambino;
- ottenere informazioni rispetto alla storia evolutiva
del bambino, in particolare sulla sua reazione ai
normali stressor (come la nascita di un fratellino,
l’inizio della scuola etc.) e sul livello del
funzionamento del bambino prima dell’evento
traumatico;
- ottenere informazioni sulla carriera scolastica del
bambino, soprattutto su eventuali cambiamenti del
comportamento a scuola, del livello di concentrazione,
del livello di attività, e del rendimento a partire dallo
stressor traumatico;
67
76. - ottenere informazioni sulla storia familiare e
sull’anamnesi medico/psichiatrica dei membri della
famiglia”59
.
Nella fase di assessment, ossia per l'accertamento del
trauma, è preferibile avvalersi di strumenti e di
protocolli diagnostici standardizzati.
Alcuni strumenti per il rilevamento del PTSD
Per bambini e adolescenti possono essere utilizzati la
PTSD Scale della Child Behavior Check List(CBCL),
di Achenbach (1991), che prende in considerazione i
punteggi di alcune sottoscale “internalizzanti” (ritiro,
ansia/depressione) ed “esternalizzanti” (problemi di
attenzione) e dei “problemi di pensiero”.
Il Child Post Traumatic Stress Reaction Index
59 Società Italiana di Neuropsichiatria dell'infanzia e
dell'adolescenza(SINPIA), Gruppo di lavoro sugli abusi in
età evolutiva, Linee guida in tema di abuso su minori,
Febbraio 2007
68
77. (Fredrich e Pynoos, 1988); il Children’s Post-
Traumatic Stress Disorder Inventory di Saigh (1989);
l’Impact of Events Scale(IES) di Horowitz, Wilner e
Alvarez (1979); il Trauma Symptom Checklist for
Children(Briere John, 1996) strumento che consente di
rilevare la presenza di diversi disturbi legati allo stress
post-traumatico.
- Child Post Traumatic Stress Reaction Index(PTSD-
RI)
Il CSPR è utilizzato per misurare la severità dello
stress post-trauma nei bambini tra gli 8 e i 18 anni. E'
un'intervista strutturata e self-report di 20 item
composta da una scala di frequenza che va da “mai” a
“la maggior parte del tempo”. Nell'ultimo decennio,
molti studi stanno cercando un buon modo di adattare
questo questionario il più possibile vicino alla
situazione dei bambini palestinesi. “The effects of
chronic traumatic experience on Palestinian children
69
78. in the Gaza Strip”60
è uno studio svolto da un team di
ricerca della University of Hertfordshire, con la
collaborazione di 17 ricercatori palestinesi ed egiziani.
Lo studio è stato svolto su 400 bambini della Striscia
di Gaza, di età compresa tra i 10 e i 18 anni, e
strutturato in due fasi. Nella prima sono stati
somministrati quattro questionari, alcuni creati
appositamente per rispecchiare al meglio le
circostanze locali, altri standard. Ai bambini sono stati
somministrati dei questionari basati sul Gaza
Traumatic Event Checklist(di cui sopra) e il Traumatic
Questionnaire Scale(Qouta e El-Serraj, 2004) relativo
alla difficoltà dell'evento vissuto o ad eventi a cui il
bambino ha assistito direttamente o per sentito dire.
60 University of Hertfordshire, 2006
70
79. - Gaza Traumatic Event Checklist
La checklist è stata elaborata dal dipartimento di
ricerca del Gaza Community Mental Healt Program ed
era composta da 12 item rappresentanti gli eventi
tramatici ai quali un bambino poteva essere esposto.
La checklist può essere completata da bambini dai 6 ai
ai 16 anni e le risposte devono collocarsi
esclusivamente tra “Si” e “No”.
Uno studio condotto dal dipartimento di Psicologia
71
(Gaza Traumatic Event Checklist. Abu Hein, Qouta, El Sarraj. 1993)
80. dell'Università di Granada e il Centro de Investigaciòn
Mente, Cerebro y Comportamiento, ha evidenziato
come i bambini che crescono nello stesso contesto
culturale ma in situazioni diverse, sono esposti ad
eventi traumatici differenti, con una frequenza e un
impatto diversi. Il target dello studio “Symptoms of
PTSD among Children living in war zones in same
cultural context and different situations”61
è
rappresentato da 381 bambini in età scolare –
maggiori di 6 anni - di Hebron, città emblema del
conflitto. Dal 1997 la città è stata divisa in due aree:
H1, sotto il controllo palestinese, e H2 sotto il
controllo militare isrealiano (nonostante
l'amministrazione sia palestinese) e in cui abitano oltre
35 mila palestinesi e 500 coloni. Il cuore della città è
stato trasformato in un insediamento israeliano. Per
valutare la presenza di sintomi PTSD sono stati
utilizzati anche in questo caso i questionari Gaza
Traumatic Event Checklist e il Child Post Traumatic
Stress Reaction Index. Dalla ricerca risulta che il
61 Journal of Muslim Mental Health, N 7, Issue 2, 2013
72
81. 77,4% dei bambini che vivono in Hebron presentano
sintomi di PTSD, moderati e anche severi. Il 20,5%
soffre di PTSD cronico. Risulta evidente la necessità
d'intervento.
La valutazione diagnostica
Soprattutto in contesti come quello dei Territori
Palestinesi Occupati è senz'altro necessaria una
standardizzazione degli interventi diagnostici e
terapeutici più efficaci nei casi di trauma dell'infanzia,
adattando però le modalità di combinazione degli
interventi ai singoli casi e alle risorse disponibili. La
gestione del trauma infantile richiede l'attivazione di
una grande macchina organizzativa. Non si tratta
esclusivamente di garantire terapia psicologica, ma di
assicurare un servizio di rete al quale concorrono più
professionisti. Ovviamente, data la complessità dei
traumi presenti nell'infanzia e nell'adolescenza
73
82. palestinese, bisogna considerare l'urgenza
dell'intervento, ossia se sia urgente o programmabile.
Il lavoro di rete è una scommessa auspicabile, nonché
assolutamente necessario, per il futuro dei bambini e
ragazzi che si trovano ad affrontare situazioni come
quelle descritte nel precedente capitolo. Un intervento
multidimensionale, che può essere realizzato
esclusivamente attraverso una formazione integrata di
tutte le figure professionali coinvolte, compresi gli
insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Anche i
genitori dovrebbero essere coinvolti in momenti di
formazione, poiché insieme agli insegnanti
costituiscono una grande, se non la più grande, risorsa
per un bambino, interponendosi come mediatori nelle
sue interazioni con un ambiente che può esacerbare i
disturbi appena sorti e prevenendo, quindi, il
consolidamento dei sintomi. Il lavoro di rete è il più
grande fattore di prevenzione delle conseguenze a
medio e lungo termine, nonché degli impatti a breve
termine62
.
62 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
74
83. E' proprio l'ampia variabilità dei singoli casi rispetto
all'offerta di configurazioni medico-psicologiche e
sociali, che rende una standardizzazione degli
interventi, diagnostico e terapeutico, molto complessa.
Tuttavia, l'esperienza clinica conferma che il lavoro
svolto da un équipe multidisciplinare, in cui
interagiscono in modo sinergico diverse figure
professionali, è la chiave di volta per un risultato
efficace63
.
La fase diagnostica dovrebbe prevedere una diagnosi
integrata: medica, psicologico-psichiatrica, sociale.
Secondo la Società Italiana di Neuropsichiatria
dell'infanzia e dell'adolescenza, la diagnosi medica
comprende:
- anamnesi.
- esame obiettivo: visita pediatrica con particolare
attenzione allo stato nutrizionale, all'accrescimento,
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
63 Forresi B., Scrimin S., Caffo E., Primo soccorso psicologico:
guida all'operatività sul campo, Guerini e Associati, 2010.
75
84. nei casi di incuria, alle lesioni fisiche recenti e
pregresse, in caso di maltrattamento fisico, e
valutazione ginecologica riguardante soprattutto l'area
genitale e anale, nel caso di abuso sessuale;
prevedendo eventuali consulenze delle specialità
pediatriche.
- documentazione fotografica delle lesioni, se presenti.
L'esame fisico del bambino deve essere condotto
nell'ottica di un equilibrio tra esigenze di non
omissione e, nel contempo, di non invasività e
riservatezza per il minore e per i familiari.
La diagnosi psicologico-psichiatrica presuppone la
costruzione di una relazione significativa all'interno
della quale si sviluppino:
- anamnesi psicologica, con particolare attenzione ai
segni clinici più ricorrenti nei bambini nelle diverse
fasce d'età.
- assessment individuale del bambino comprendente
colloqui clinici, somministrazione di test proiettivi,
protocolli diagnostici standardizzati (compresa la
76
85. valutazione dei pattern di attaccamento: Strange
Situation, Strange Situation modificata, Separation
Anxiety Test).
- osservazione del gioco, individuale e in gruppo, di
bambini e osservazione della relazione con i genitori.
L’assessment familiare comprende una serie di
incontri con tutti i membri conviventi. Risulta
opportuno prendere in considerazione:
- la struttura organizzativa familiare;
- le risorse familiari, con particolare attenzione a
quelle relative alle capacità protettive;
- le psicopatologie individuali degli adulti membri del
nucleo familiare;
- le convinzioni e percezioni presenti nei vari membri
della famiglia.
Nonostante la letteratura riporti un insieme di
strumenti per l'accertamento del PTSD, non esiste
attualmente uno strumento universalmente accettato in
grado di fornire una diagnosi precisa o di permettere
77
86. un attento monitoraggio.
Il rischio di non riuscire a diagnosticare il disturbo,
soprattutto quando si trattano bambini in età
prescolare, è rappresentato dal fatto che spesso i
genitori tendono a sminuire i sintomi del PTSD del
figlio. Gli insegnanti, di frequente, neanche se ne
accorgono. Alcuni clinici ritengono che “la maggior
parte dei bambini non siano in grado di riportare le
loro reazioni psicologiche dopo il trauma, salvo che
non siano poste loro domande specifiche sui vari
aspetti del trauma”64
.
La diagnosi sociale, ossia l'indagine psicosociale, è
finalizzata a:
- verificare le condizioni di vita del bambino nella
famiglia e nel contesto;
- verificare la presenza di indicatori di rischio
psicosociale;
- contattare i Servizi che possono fornire indicazioni
64 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
78
87. sul bambino e/o sulla sua famiglia (Servizi di Salute
Mentale per età evolutiva e adulta, Volontariato
sociale, Strutture ospedaliere, ecc.);
La valutazione complessiva, che nasce da tutte e tre le
aree (medica, psicologica, sociale) permette di
raccogliere degli elementi da utilizzare per valutare il
danno psicologico e/o fisico in atto e l'eventuale danno
futuro, nonché elaborare un progetto di trattamento,
individuare le risorse individuali e familiari che
influiscono sulla possibilità di recupero.
79
88. Il trattamento
Il tempo sembra la cura migliore per guarire le ferite
ed alleviare un dolore, ma non sembra agire molto sul
trauma. Il tempo rimane fermo nella “stanza del
trauma”. E' quindi necessario un approccio specifico
per aiutare un bambino, così come un adulto, ad
affrontare e a rielaborare il trauma, riuscendo a trarne
sollievo. Eventi traumatici che hanno reso il bambino
indifeso, possono causare disturbi e ridurre la qualità
della vita dell'individuo anche nei decenni successivi.
Se non viene trattato, il trauma può causare malattie
psichiche croniche. La sofferenza mentale causa
restrizioni nella qualità della vita a lungo termine65
.
I disturbi mentali e del comportamento turbano la vita
delle persone colpite e quella delle loro famiglie. La
sofferenza umana non può essere misurata ma ci si
può orientare sull'impatto di tali problemi grazie agli
strumenti che servono a valutare la qualità della
65 Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna, 1996.
80
89. vita(QQL). Il metodo consiste nel raccogliere le
impressioni sull'interessato su molteplici aspetti di vita
per valutare le conseguenze negative dei sintomi e dei
problemi. Si è constatato che la qualità della vita delle
persone colpite da problemi mentali rimane mediocre
anche dopo la guarigione, per l'effetto di fattori sociali
come il pregiudizio e la discriminazione, che
perdurano. Un recente studio dell'OMS66
ha
dimostrato che la mancata soddisfazione dei bisogni
sociali e funzionali di base era il fattore primario
predittivo di una cattiva qualità della vita nei soggetti
colpiti da gravi disturbi. I disturbi gravi non solo i soli
a nuocere alla qualità della vita. Anche l'ansia e gli
attacchi di panico hanno considerevoli ripercussioni,
in particolare sulle funzioni psicologiche.
Il PTSD può essere trattato attraverso la psicoterapia, i
farmaci, o entrambi. La scelta del trattamento dipende
dal soggetto traumatizzato, spesso c'è bisogno di
66 Organizzazione Mondiale Sanità, Rapporto 2001 OMS:
Mental Healt, new understanding, new hope.
81
90. provare differenti combinazioni di trattamento per
ricercare la soluzione terapeutica migliore per il
soggetto67
. Un buon lavoro terapeutico implica una
ottima collaborazione tra l'adulto e il bambino, per
consentire al piccolo di ritrovare fiducia nel mondo
adulto, quindi permettere di ritrovare la sua storia, il
proprio mondo interiore, l'autostima, ma soprattutto
capire che la sofferenza provocata dall'occupazione
militare è soltanto una parte del suo mondo e non la
totalità68
.
Il terapeuta deve saper anche valorizzare le risorse del
minore, attraverso varie forme d'espressione, per
permettergli di dare continuità alla sua storia e
distinguerla in un passato, un presente e un futuro e
riflettere su se stesso, cosa che il trauma paralizza. Il
bambino deve essere aiutato a trovare delle
67 National Institute of Mental Healt, Post-Traumatic Stress
Disorder(PTSD), U.S. Department of Healt and Human
Services – National Institutes of Healt. NIH Publicatiion N.
08 6388.
68 Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna,1996.
82
91. spiegazioni all'accaduto di cui è stato vittima69
.
Nonostante la letteratura riporti pochi studi evidence-
based sulla psicoterapia del PTSD nell'infanzia e
l'adolescenza, possono essere individuate alcune
componenti essenziali della terapia: l'esplorazione
diretta del trauma, l'uso di tecniche specifiche per la
gestione dello stress, l'esplorazione e la correzione di
attribuzioni errate al trauma, il coinvolgimento dei
genitori nel trattamento.
Il modello terapeutico riconosciuto più efficace nei
vari studi controllati per il PTSD è quello cognitivo-
comportamentale70
.
L'approccio cognitivo afferma sostanzialmente che gli
individui costruiscono il loro sistema di conoscenze
ed affrontano le situazioni utilizzando schemi e
costrutti cognitivi personali. Questi contengono idee,
opinioni, credenze, informazioni captate dai vissuti,
atteggiamenti ed aspettative riguardo se stessi, gli altri
69 Ivi
70 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
83
92. e il mondo, il passato, il presente e il futuro.
Un'improvvisa esperienza traumatica “fa confrontare
le persone con qualcosa che contrasta con le
convinzioni di sicurezza e invulnerabilità contenute
nei propri schemi mentali”71
. Un obiettivo
fondamentale delle psicoterapie cognitive è, appunto,
la reintegrazione del trauma vissuto entro gli schemi
mentali e le strutture cognitive, ripristinando quel
sentimento di sicurezza e di inviolabilità72
.
Per buona prassi il terapeuta dovrebbe fornire
feedback che aiutano i minori e le loro famiglie a
capire ad affrontare gli effetti dolorosi del trauma. Per
bambini in età prescolare, il feedback può essere
proposto sotto forma di favole e racconti che offrono
una maggiore comprensione e la speranza di superare
il trauma73
.
71 Creamer, et al., Reaction to Trauma: A cognitive processing
model, Journal of abnormal psychology, 1992.
72 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
73 Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano, 2013.
84
93. “La terapia cognitivo-sperimentale focalizzata sul trauma è
stata sviluppata per ridurre i sintomi del PTSD e la
depressione attraverso la costruzione di competenze
cognitivo-comportamentali, l'esposizione terapeutica
graduale ai ricordi traumatici e la costruzione di una
narrazione degli eventi traumatici da condividere con i
genitori”74
.
Questa terapia è composta da tre fasi: nella prima
prevede l'educazione del bambino e del genitore,
separatamente, sui sintomi del PTSD, sulle strategie di
coping, rinforzo positivo, monitoraggio continuo,
momenti di ascolto supportivo. Nella seconda il
terapeuta aiuta il piccolo a ricostruire l'esperienza
traumatica, identificata dal bambino come la più
traumatica, attraverso la narrazione. Questa fase mira
a far raccontare spontaneamente al bambino,
attraverso la parola o il disegno, in modo da
dimostrargli che è in grado di gestire la rievocazione
dei ricordi. Questo momento terapeutico non deve
74 Ivi
85
94. essere un tentativo di recupero di ricordi perduti. Nella
terza fase, genitore e bambino mettono in pratica
quanto acquisito dalla terapia, imparando a gestire
qualsiasi tipo di ricordo problematico o situazioni
particolarmente stressanti. L'obiettivo del percorso
terapeutico è di ripristinare o costruire le competenze
di auto-regolazione che sono state bloccate o
danneggiate dal trauma e che sono un necessario
punto di partenza per il bambino, per il suo recupero
dal PTSD75
.
La riabilitazione cognitiva si propone di aiutare il
paziente a modificare il suo modo di elaborare
l'informazione e il suo comportamento e ad esplorare i
suoi schemi personali76
. La psicoterapia può essere
svolta in gruppo o singolarmente. Solitamente le
sedute hanno una durata che va dalle sei alle 12
settimane, ma può essere anche più lunga.
75 Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano, 2013.
76 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
86
95. Il trattamento del PTSD può prevedere anche un
approccio psicofarmacologico. L'assunzione di
farmaci sembra tuttavia incontrare alcune difficoltà,
tra cui la lenta risposta in alcune persone
traumatizzate. Secondo la letteratura scientifica, l'uso
di farmaci è suggerito in presenza dei seguenti
disturbi: disturbi del sonno, attacchi di panico,
sindrome depressiva e/o ansiosa, aggressività e in
genere per fornire un supporto al soggetto nel
controllare sintomi precisi. I farmaci più utilizzati
sono antidepressivi, benzodiazepine e antipsicotici.
Un aspetto fondamentale dell'incontro
psicoterapeutico, ed anche soltanto umano, con una
persona traumatizzata, scaturisce inevitabilmente
nell'interlocutore molte emozioni e pensieri. Questo
non riguarda solo lo psicoterapeuta, ma anche medici,
operatori sanitari e professionali - infermieri, assistenti
sociali, volontari - e anche le persone che hanno un
rapporto stretto con la persona traumatizzata. Al fine
di evitare degli errori verbali, non verbali, di
atteggiamento e di cura nella presa in carico di
87
96. persone traumatizzate, è necessario conoscere
preventivamente gli aspetti del controtransfert per
essere in grado di rintracciarli e gestirli nel modo
adeguato77
. Il controtransfert può insinuarsi
nell'interlocutore - psicoterapeuta, operatore sociale,
assistente sanitario - fino a generare una
traumatizzazione vicaria, che scaturisce dal contatto e
dall'interazione con persone traumatizzate.
Ovviamente ciò non accade sempre, ma è probabile
quando il professionista è eccessivamente coinvolto ed
identificato con il soggetto traumatizzato, oppure
quando il trauma del paziente rievoca particolari
emozioni, o se il professionista non ha una sufficiente
preparazione psicologica e professionale per trattare
soggetti con PTSD. I sintomi della traumatizzazione
vicaria possono essere depressione, cinismo, apatia,
ritiro sociale, irritabilità, senso di inutilità, stanchezza,
crisi esistenziali78
.
77 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
78 Ivi
88
97. 3. Un quadro teorico applicato al caso palestinese
3 .1. Il conflitto tra gruppi
Il conflitto sociale secondo Glasl è “un interazione tra
agenti (individui, organizzazioni, etc.) in cui almeno
un attore percepisce un'incompatibilità con uno o più
altri attori”. Tale definizione implica un'asimmetria di
fondo nei ruoli di chi subisce l'incompatibilità e di chi
ne è la causa.
Il conflitto diviene “oppressione” in presenza di un
attore che limita l'autorealizzazione di persone, gruppi
o società senza che ci sia una controparte organizzata,
cosciente della limitazione e capace di intraprendere
azioni per metter fine all'incompatibilità79
. Inoltre, se
79 Arielli E., Scotto G., Conflitti e Mediazione: introduzione a
89
98. la limitazione dell'autorealizzazione di persone e
gruppi non ancora organizzati come attori è limitata da
vincoli strutturali, si tratta di conflitto latente.
Di norma, le componenti essenziali che si distinguono
all'interno di una formazione conflittuale sono la
contraddizione di base, rappresentata dalla
incompatibilità tra gli scopi degli attori; il
comportamento, ossia l'insieme delle azioni con cui gli
attori intendono condurre il conflitto per raggiungere i
propri obiettivi o impedire alla controparte di
raggiungere i suoi; gli atteggiamenti, ovvero le
percezioni e le emozioni degli attori preesistenti o
instauratesi con il conflitto.
Ogni agente percepisce bisogni materiali, come quelli
legati alla sopravvivenza e il benessere, e immateriali,
rappresentati dall'identità, l'appartenenza, la sicurezza.
Un atto di aggressione si riferisce, molto spesso, anche
alla dimensione psicologica e relazionale dell'agente
aggredito.
una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003.
90
99. E' stata data una spiegazione del fenomeno dell'ostilità
tra gruppi etnici attraverso la teoria della “frustrazione
-aggressività”, elaborata da Dollard et al. nel 1939.
Essi svilupparono un concetto della teoria
psicanalitica di Freud secondo cui le frustrazioni
possono portare all'aggressività – la cosiddetta
aggressività reattiva -. Secondo tale teoria la
frustrazione è la conseguenza dell'impossibilità di
raggiungere uno scopo. Ciò determina uno stato di
tensione psichica da cui scaturisce un accumulo di
aggressività, ossia uno stato di arousal che, superato
un certo limite, deve sfogarsi verso l'esterno.
Raramente è possibile riversare l'aggressività sulla
fonte della frustrazione, così essa viene dirottata sui
“capri espiatori”.
La successiva “teoria del capro espiatorio” di
Berkowitz (1989) riformula la teoria di Dollard,
analizzando l'aggressività. L'assunto di Berkowitz
parte dal principio che la frustrazione non è solo un
determinato stato di deprivazione oggettiva, ma tiene
conto della presenza di fattori che ostacolano le
91
100. aspettative degli individui, nonché l'idea di essere
deprivati80
. La teoria afferma che l'aggressività viene
spostata su bersagli deboli e più facilmente
danneggiabili, rispetto alla fonte effettiva della
frustrazione81
.
Le teorie cognitiviste che si sono sviluppate
parallelamente al filone di teorie sulla struttura della
personalità – tra cui quella della “frustrazione-
aggressività – sostengono che un individuo attribuisca
caratteristiche a un gruppo etnico utilizzando gli
stereotipi, ovvero il “nucleo cognitivo dei pregiudizi”,
ossia l'insieme degli atteggiamenti, soprattutto
negativi, mostrati nei confronti di membri di gruppi
diversi. L'origine degli stereotipi è soprattutto sociale,
risiede nel contesto culturale, con la funzione di
motivare e razionalizzare il contesto sociale in cui
vive l'individuo82
.
80 Brown R., Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino, 2005.
81 Di Pentima L., Culture a confronto: Relazioni, stereotipi e
pregiudizi nei bambini, Edizioni Unicopli, Milano, 2006.
82 Ivi
92
101. Nelle fasi più acute di conflitto c'è la tendenza a
radicalizzare la propria prospettiva, cadendo in uno
stato di “autismo sociale” in cui ogni differenza con
l'altro viene condannata. Le differenze vengono
enfatizzate, eliminando qualsiasi spazio per le
distinzioni sottili. La costruzione dell' “immagine del
nemico” è il classico caso di distorsione della
percezione reciproca. Da una logica che prevede una
differenza di posizioni si passa ad un'esclusione di
posizioni. Quando un conflitto arriva ad un grado di
escalazione alto – molto violento – la percezione
dell'altro diviene sempre più negativa. La controparte
viene vista come egoista e immorale.
Spesso si assiste a processi di deumanizzazione, in cui
l'altro viene visto come un nemico diabolico e non
viene più considerato come individuo, ma come
membro di un gruppo. “La propaganda nazista non
parlava 'degli' ebrei o 'dei' russi, ma sempre solo
dell'Ebreo o del Russo. La deumanizzazione arriva qui
a negare l'infinita diversità delle persone concrete,
sostituendovi l'immagine astratta del nemico o
93
102. dell'inferiore”83
.
L'apporto della sociologia alla Nonviolenza:
Durkheim e Galtung
Durkheim è stato uno dei primi a postulare teorie
sociologiche in merito alla risoluzione dei conflitti
armati e alla pace. Nel suo Kultur e Zivilisation
scriveva: “La civiltà è la pace secondo natura, mentre
l'assalto alla barbarie e quella sconfinata volontà di
devastazione è contro natura”84
. Egli sviluppa le
proprie argomentazioni considerando il pacifismo
come risultato della solidarietà.
Egli critica la “mancanza di unità” del pacifismo
tradizionale, che reputa un pacifismo senza oggetto,
“disincarnato”. I pacifisti tendono a negare la patria,
83 Arielli E., Scotto G., Conflitti e Mediazione: introduzione a
una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003.
84 Maniscalco M., Sociologia e Conflitti: dai classici alla peace
research, Altrimediaedizioni, 2010.
94
103. ad essere internazionalisti, mentre per Durkheim la
“patria”85
è uno strumento fondamentale del vivere
civile. Secondo il suo pensiero, la strada per la pace è
chiara: inizia con una “difesa” delle patrie attuali,
passando per accordi che permettano il superamento
dei confini e la creazione di patrie sempre più grandi,
fino alla costruzione di un'unica patria mondiale.
“Le storie parlano del processo di allargamento delle
singole patrie perché questo movimento storico che è
andato avanti in questo modo per secoli dovrebbe
cessare di fronte alle nostre patrie attuali? Quali
qualità particolarmente intangibili esse hanno per
impedire che il processo continui? Mi domando se il
vero pacifismo non consista nel fare tutto quanto in
nostro potere per far continuare questo movimento,
ma pacificamente e non con la violenza e la guerra che
hanno dominato il passato. Naturalmente è un ideale
difficile da realizzare alla lettera. Non dobbiamo
illuderci che la guerra non giochi un suo ruolo in
85 L'Abate A., Consenso, conflitto e mutamento sociale:
Introduzione a una sociologia della nonviolenza, Franco
Angeli, Milano, 1990.
95
104. queste trasformazioni, ma cercare in anticipo di agire
in modo da restringere il suo ruolo è uno scopo valido
da perseguire”86
.
La visione di Durkheim auspica un fermento per una
crescita nell'opinione pubblica della necessità del
superamento di una concezione ristretta e chiusa di
“patria”, per un suo allargamento a livelli sempre
maggiori87
. Durkeim ha contribuito allo studio
scientifico dei gruppi, analizzando l'impatto dei gruppi
sul comportamento sociale degli individui e spiegando
come un'azione individuale può essere spiegata da
forze sociali.
Il sociologo che ha contribuito di più allo sviluppo del
campo della sociologia della nonviolenza è J. Galtung.
Egli ha fondato e diretto uno dei primi centri di ricerca
per la pace, quello dell'Università di Oslo88
. Galtung
sosteneva che molti piccoli cambiamenti nella stessa
86 Durkheim in “Pacifism and Patriottism”
87 L'Abate A., Consenso, conflitto e mutamento sociale:
Introduzione a una sociologia della nonviolenza, Franco
Angeli, Milano, 1990.
88 Ivi
96
105. direzione possono portare a migliori risultati. Questo
principio nasce da una spiegazione differente dall'
“approccio rivoluzionario”:
“Affrontare solo i problemi di fondo è l'unico
approccio ad una soluzione più duratura, ma al tempo
stesso molta gente continuerà a soffrire per i problemi
più evidenti”. Egli postula un approccio complessivo,
che tenga conto di entrambi questi aspetti “Affrontare
entrambi i problemi è la politica giusta che mira sia ad
alleviare i dolori che a costruire una società
migliore”89
.
89 Galtung in “I Blu e i Rossi, i Verdi e i Bruni: un contributo
critico alla nascita di una cultura verde” in I movimenti per
la pace. Gruppo Abele, Torino, 1986.
97
106. Cenni sul conflitto israelo-palestinese
Il conflitto arabo-israeliano affonda le sue radici nella
dichiarazione di Balfour(1917), emanata dalla Gran
Bretagna90
, allora potenza coloniale in Palestina, che
riconobbe agli ebrei emigrati dall'Europa il “diritto di
formare uno Stato in Palestina”, negando così ai
palestinesi l'autodeterminazione. L'aspirazione
all'indipendenza politica dei palestinesi si scontrerà
drammaticamente, nei decenni successivi, con il
programma di un movimento politico, il sionismo91
,
sorto in Europa con l'obiettivo di fondare in Palestina
uno Stato ebraico, grazie all'appoggio della Gran
Bretagna, che con Balfour autorizza una consistente
immigrazione. Distinguere il sionismo dall'ebraismo è
divenuto fondamentale nel momento in cui la politica
di aperta e brutale sopraffazione condotta da Israele
90 Quando il mandato britannico entrò in vigore, la Palestina
contava 757.182 abitanti, di cui 83.794 ebrei. Musu M. e
Polito E., I bambini dell'Intifada. Editori Riuniti, Roma 1991
91 Per approfondimenti: Musu M. e Polito E., Sionismo, Ebrei in
I bambini dell'Intifada. Editori Riuniti, Roma 1991 p. 233
98
107. contro i palestinesi generi una visione distorta
dell'ebraismo, rischiando di alimentare nel resto del
mondo, insieme ad una legittima condanna,
deprecabili fenomeni di antisemitismo.
Già ai primi del novecento i palestinesi erano
considerati dai padri del sionismo, e futuri fondatori di
Israele, una stirpe inferiore semplicemente da
accantonare ed espellere, senza diritti, senza una
Storia, un non-popolo. Il piano di pulizia etnica dei
palestinesi prese vita alla fine del XIX secolo e non ha
mai trovato soluzione di continuità fino ad oggi, e
oggi come allora viene condotto con una crudeltà
senza limiti. Anche dopo il 1947, Israele continuò ad
espellere i palestinesi dai territori che l'Onu aveva
destinato allo Stato Palestinese. E l’immane tragedia
dello sterminio ebraico nell’Europa di Hitler diede
solo un impulso a quel piano, lo rafforzò, ma non lo
partorì92
.
Già nel 1950 i profughi palestinesi erano quasi
ottocentomila. Oggi, considerando solo i profughi
92 Barnard P., Perchè ci odiano, Rizzoli, 2006.
99
108. assistiti dall'UNWRA93
, arrivano a cinque milioni.
Da oltre un secolo, lo Stato israeliano sta attuando una
politica di occupazione illegale della Palestina, al fine
di costruire insediamenti destinati ai cittadini
israeliani. Tale sistema evidenzia una profonda
disparità di trattamento in base alla razza, all'etnia e
all'origine nazionale, non finalizzata strettamente a
esigenze di sicurezza o ad altri giustificabili obiettivi,
che viola il divieto fondamentale di discriminazione
sancito dal diritto dei diritti umani94
.
In occasione della nascita dello Stato di Israele, nel
1948, il Primo Ministro Ben-Gurion intensificò per
l'operazione di pulizia etnica.
“C’è bisogno ora di una reazione forte e brutale.
Dobbiamo essere precisi nei tempi, nei luoghi e nei
bersagli. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo
colpire tutti senza pietà, comprese le donne e i
bambini. Altrimenti non sarà una reazione efficace.
93 United Nations Relief and Works Agency for Palestine
Refugees in the Near East.
94 Human Rights Watch, Forget About him, he's not here, 5
febbraio 2012.
100
109. Durante l’operazione non c’è alcun bisogno di
distinguere tra chi è colpevole e chi non lo è”95
.
Nel 1948, 1 milione e 400 mila palestinesi vivevano in
1.300 fra città e villaggi: in seguito alla proclamazione
dello Stato di Israele, più di 800mila persone sono
state espulse dalle loro terre, spinte verso i vicini paesi
arabi e altri luoghi del mondo. Secondo i documenti
storici, gli israeliani con gli anni hanno assunto il
controllo di 774 fra città e villaggi, distruggendone
53196
. Letteralmente, il termine Nakba significa
“catastrofe”, intesa come un terremoto, l’eruzione di
un vulcano, il passaggio di un uragano. Ma in
Palestina ha assunto negli anni un significato diverso e
più profondo, che descrive quel drammatico processo
di pulizia etnica cui l’intera popolazione palestinese, a
95 Pappè Ilan, The Ethnic Cleansing of Palestine, Oneworld
Publications, Oxford 2006. Ilan Pappè è uno storico israeliano
e professore di Scienze politiche all'Università di Haifa. E'
autore di vari libri, tra cui The Making of the Arab-Israeli
Conflict(I.B. Tauris, 1994) e A History of Modern Palestine:
One Land, Two Peoples(Cambridge University Press, 2004).
96 64° anniversary of Nakba. Palestinian Central Bureau of
Statistics.
101
110. partire dal 1948, è stata sottoposta, attraverso la
cancellazione e la distruzione di interi villaggi, e con
la deportazione forzata di persone verso i vicini paesi
arabi. Al pari di una catastrofe naturale, la Nakba
palestinese è stato il risultato di un piano militare
umano, scrive il Palestinian Central Bureau of
Statistics.
Un piano che ha portato, per esempio, ai terribili
massacri di Sabra e di Chatila, campi profughi
palestinesi in terra libanese97
.
Scorrendo velocemente la Storia attraverso un
ventennio caratterizzato dal progredire
97 Uomini delle le milizie cristiano-falangiste libanesi entrano
nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila per
vendicare l' assassinio del loro neoeletto presidente Bashir
Gemayel. E inizia un massacro della popolazione palestinese
che durerà due giorni. Con gli israeliani, installati a duecento
metri da Chatila, a creare una cinta intorno ai campi e a
fornire i mezzi necessari all'operazione. Il bilancio, secondo
stime difficilmente verificabili, sarà di circa 3.000 vittime. Il
16 dicembre dello stesso anno, l’Assemblea generale delle
Nazioni Uniti, nel condannare nel modo più assoluto il
massacro, conclude che “il massacro è stato un atto di
genocidio’’. S.a., Il massacro di Sabra e Chatila,
<http://www.raistoria.rai.it/articoli/il-massacro-di-sabra-e-
chatila/10852/default.aspx>
102