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Università degli studi di Genova
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea Triennale in Amministrazione, Organizzazione e Gestione
delle Risorse Umane
Tesi di Laurea in Sociologia dell'Amministrazione
Individui e Organizzazione: Tipi di leadership e dinamiche strutturali
Relatore Candidato
Chiarissimo Professore Giovanni Capello
Stefano Monti Bragadin
Anno Accademico 2010-2011
2
Indice
Prefazione…………………………………………………………………………
Parte 1…………………………………………………………………………….
L’organizzazione Novecentesca……………………………………….................
Capitolo 1………………………………………………………………………....
Le risorse umane e l’organizzazione…………………………………………......
1.1 Il termine “risorse umane”………………………………………………..
1.2 Il potere e l’autorità, analisi sociologica……………………………….....
1.3 Il conflitto………………………………………………………………....
Capitolo 2…………………………………………………………………..……..
Lo studio della sociologia all’interno dell’organizzazione……………………….
2.1 Sociologia delle organizzazioni: i gruppi organizzati…………………….
2.2 Sociologia delle organizzazioni: la burocrazia……………………………
2.3 Il formalismo burocratico di R.K Merton………………………………...
2.4 I giochi di potere di Michel Crozier………………………………………
2.5 Organigramma e forme d’organizzazione in M.Weber…………………..
2.6 Attori e decisioni………………………………………………………….
Capitolo 3…………………………………………………………………………
Storia del Management, cenni……………………………………………….......
3.1 Evoluzione del management delle risorse umane: cenni storici………….
3.2 Analisi del “caso Ford”…………………………………………………...
3.3 Comportamento organizzativo, motivazioni e ricompense……………….
3.4 Ricerche sul fattore umano (1920)………………………………………..
3.5 Equilibrio tra Persone e Organizzazione: il comportamento cooperativo.
3
3.6 Il comportamento cooperativo: condizionamento sociale………………..
3.7 Economia degli incentivi e persuasione…………………………………..
Capitolo 4…………………………………………………………………………
Studi sulla leadership organizzativa……………………………………………..
4.1 Il governo organizzativo e la funzione di organizzazione, leadership……
4.2 Guru del management (1960): studi sulla direzione , esperimenti sulla
centralità del “capitale umano”…………………………………………..
4.3 Douglas McGregor: Stili di direzione, teoria X e teoria Y…………………
4.4 Douglas McGregor: Applicazione della teoria Y : Il piano Scanlon……..
4.5 Sistema produttivo Giapponese: cenni storici del “Toyotismo”………….
4.6 Rensis Likert: il dilemma del dirigente, capitale umano e gruppi di
lavoro………………………………………………………………………
4.7 Chris Argyris: individuo, organizzazione e meccanismi di difesa………..
Capitolo 5…………………………………………………………………………
Studi di Herbert Simon sull’organizzazione……………………………………...
5.1 I soggetti in rapporto con le organizzazioni………………………………
5.2 Meccanismi di influenza dell’organizzazione (H. Simon)…………….
5.3 Il dirigente: Programmatore e coordinatore di attività…………………...
Capitolo 6…………………………………………………………………..……
6.1 Definizione di “clima”…………………………………………………..
6.2 La formula di K.Lewin………………………………………………….
6.3 Esperimenti sul clima organizzativo…………………………………….
6.4 Dal clima alla cultura, conclusioni………………………………………
Capitolo 7………………………………………………………………………..
La cultura organizzativa………………………………………………………...
7.1 Introduzione alla cultura organizzativa………………………………….
7.2 Che cos’è la cultura organizzativa………………………………………
4
7.3 Cultura e clima, due concetti distinti ma legati tra loro………………....
7.4 J. Pfeffer e A. Pettigrew: La cultura, simboli e significati condivisi……
7.5 La cultura organizzativa: conclusioni……………………………………
Parte 2…………………………………………………………………………..
L’Organizzazione Contemporanea……………………………………………..
Capitolo 8………………………………………………………………………..
L’impresa che ascolta……………………………………………………………
8.1 Il management nella Living & Learning Company……………………….
8.2 Le risorse umane : “persone giuste al posto giusto”……………………..
8.3 Leadership e sviluppo delle risorse umane………………………………
8.4 Nuove metodologie del management nello sviluppo e formazione
dell’individuo…………………………………………………………….
8.5 Empowerment sugli individui……………………………………………
Capitolo 9…………………………………………………………………………
Il leader. ………………………………………………………………………….
9.1 Il leader all’interno dell’organizzazione………………………………….
9.2 Classificazione degli stili di leadership (Lippit & White, 1943)…………
9.3 Classificazione degli stili di leadership (Litwin & Stringer, 1968)………
Capitolo 10……………………………………………………………………….
Leadership innovativa della produttività , studio di un caso:
La Toyota Corporation……………………………………………………………
10.1 Verso la terza rivoluzione industriale……………………………………
10.2 L’avvento del Toyotismo……………………………………………….
10.3 La qualità totale del Toyota production system………………………...
10.4 La leadership all’interno della Toyota Corporation……………………...
10.5 Leadership innova della produttività: caratteristiche…………………….
Capitolo 11……………………………………………………………………
Leadership carismatica, analisi Sociologica…………………………………
5
11.1 La teoria del carisma,: inquadramento storico……………………
11.2 Max Weber e il carisma politico…………………………………….
11.3 Influenza politica e leadership contemporanea……………………..
11.4 Leadership carismatica e i Mass media ……………………………
11.5 La personalizzazione della leadership………………………………
11.6 La leadership carismatica contemporanea…………………………..
Capitolo 12…………………………………………………………………….
12.1 Apple, cenni storici………………………………………………….
12.2 “Captain oh my captain”. Il team vincente e la leadership culturale
di Steve Jobs………………………………………………………….
12.3 Quando il capo è insostituibile…………………………………….
12.4 La semplicità…………………………………………………….
12.5 La ricerca dell’eccellenza, design e funzionalità……………………..
12.6 Elitismo di Steve Jobs, reclutare i migliori……………………………..
12.7 L’avventura della Pixar…Cenni…………………………………………….
12.8 Il lavoro di Steve Jobs…………………………………………………
12.9 La passione per il lavoro……………………………………………….
12.10 Un “grande intimidatore”…………………………………………..
12.11 Leadership autoritaria-arismatica: Caratteristiche della leadership
di Steve Jobs………………………………………………………………
12.12 Leadership autoritaria-carismatica nel caso di Apple inc.: Conclusioni
6
Capitolo 13…………………………………………………………………….
Leadership Democratica / creativa, studio di un caso: Pixar animation studios.
13.1La definizione di una vision chiara…………………………………
13.2 Il clima creativo………………………………………………………
13.3Individui e Team……………………………………………………..
13.4 Personale, automotivazione e controllo………………………………
13.5 Obiettivi a lungo termine, rispetto e fiducia………………………….
13.6 Filosofia del gioco e dell’umore……………………………………...
13.7 Classificazione del dipendente ideale…………………………………
13.8 Leadership democratica-creativa, differenza tra culture, conclusioni...
Capitolo14 ……………………………………………………………………..
Conclusioni……………………………………………………………
Ringraziamenti……………………………………………………………….
Bibliografia……………………………………………………………………..
Sitografia………………………………………………………………………..
7
PREFAZIONE:
Il rapporto tra l'individuo e l'organizzazione è sempre stato molto difficile da
Analizzare, perché richiede di tener conto di una quantità di elementi sempre in
conflitto tra loro. Tra i motivi di conflitto, uno è considerato costante ma insanabile allo
stesso tempo: gli interessi delle singole persone che lavorano sono oggettivamente in
antitesi con gli interessi dell'organizzazione in quanto tale. Questo elemento è solo uno
dei tanti che rende difficile l'analisi del rapporto strutturale tra l'individuo (l'uomo, che
per soddisfare i suoi bisogni e le necessità di sé e della sua famiglia presta la sua opera,
il suo lavoro) e l'organizzazione (l'insieme di persone e risorse che collaborano per
svolgere un obiettivo specificamente definito) .
Tale dinamica delinea un altro problema di gestione del rapporto individuo-
organizzazione: il pericolo di privilegiare Il fare sul capire:
- Fare: applicare delle routine procedurali (definite best practices) consolidate
attraverso esperienze di altre organizzazioni e prese ad esempio all'interno della
struttura organizzativa in analisi;
- capire: è la comprensione sistematica dei comportamenti delle persone, mediante
l'utilizzo di strumenti cognitivi (per es. le interviste) per approfondire le reali
motivazioni che spingono l'individuo a compiere determinate azioni;
Comprendere Il comportamento dell'uomo inscritto nell'organizzazione è necessario per
comprendere l'organizzazione stessa, quale meccanismo composto da innumerevoli
ingranaggi, necessari e mutevoli ma pur sempre persone con aspirazioni, sentimenti e
motivazioni;
8
Per diversi aspetti, studiare le risorse umane significa proprio questo:
considerare le variabili -micro per comprendere la variabile -macro.
Tante persone (-micro) uniformano e condividono valori e motivazioni per coordinare
con gli altri la propria attività di svolgimento degli obiettivi organizzativi (-macro).
Sarà necessario analizzare i diversi codici interpretativi che dirigenti e lavoratori
subordinati utilizzano per dare significato al loro agire.
D. McGregor (1960) analizza questi codici interpretativi concludendo che sono
essenzialmente due angolazioni prospettiche opposte della stessa realtà organizzativa,
due linguaggi speculari che descrivono la stessa cultura dell'organizzazione: un
linguaggio più “autoritario” (quello del dirigente) e un linguaggio più “partecipativo”
(quello del lavoratore subordinato).
L'identità organizzativa sarà influenzata dall'orientamento di questi due linguaggi e
dall'azione di governo (e quindi dalla supremazia) di uno dei due (differenza tra la
teoria X e la teoria Y, D. McGregor 1960).
Scopo di questa tesi sarà comprendere il rapporto tra l’individuo e l'organizzazione
analizzando:
- le varie dinamiche strutturali della dimensione collettiva di lavoro;
- la cultura organizzativa (condivisione di significati, valori, usi e costumi interni
all'organizzazione);
- la figura dell’imprenditore-leader e i suoi stili di leadership (carisma-partecipazione-
autorità);
- i parametri fondamentali dell'organizzazione (efficacia/efficienza);
9
- proponendo inoltre vari esempi e studi effettuati nel secolo scorso da vari sociologi tra
cui i cosiddetti Guru del Management (R. Likert / D. McGregor / C. Argyris) negli anni
Sessanta e altri studiosi in anni più recenti;
Saranno analizzate inoltre le dinamiche strutturali interne di alcune organizzazioni
contemporanee (Toyota Corporation / Apple inc. / Pixar Animation Studios.) che si
sono distinte nella cultura organizzativa contemporanea per il loro stile di management.
10
Parte 1: l'organizzazione novecentesca.
Capitolo 1
Le risorse umane e l'organizzazione.
1.1 il termine “risorse umane”.
Lo studio del comportamento degli individui all'interno delle organizzazioni nasce con
lo scopo di comprendere realmente il potenziale delle persone inquadrate in un contesto
organizzativo ben definito.
Nasce così il termine risorse umane per evidenziare l'aspetto di valore o capitale insito
nel personale, nella sua professionalità e nelle sue competenze, e quindi, il fatto che le
spese per lo sviluppo di tali risorse devono essere considerate investimenti. L'uso
dell'espressione è inteso a sottolineare l'importanza delle risorse umane nell'ambito
organizzativo, il loro essere una fonte di vantaggio competitivo per l'azienda e l'intero
sistema economico. Uno dei modi per marcare questa nuova definizione è stata negli
anni Ottanta la denominazione “management delle risorse umane” che ha sostituito la
più tradizionale “direzione del personale”.
1.2 Il potere e l’autorità, analisi sociologica.
Il potere è, per la sociologia ciò che l'energia è per la fisica; è infatti una specie di
energia sociale, di cui un attore dispone nel condizionare le azioni di un altro. Si tratta
dunque di un fenomeno di relazione: si ha potere nei confronti di un altro al quale si è
legati da una relazione, per ambiti di comportamento più o meno estesi, in situazioni
11
particolari e non necessariamente in altre.
Non esiste un accordo generale sul concetto di potere, ma la più nota definizione è
quella di Max Weber (1922), secondo la quale potere è la possibilità di trovare
obbedienza a un comando che abbia un determinato contenuto.
L'analisi sociologica ha rilevato che a ogni rapporto di potere corrisponde anche un
interesse all'obbedienza da parte del soggetto più debole, non fosse altro perché
comportarsi in modo diverso sarebbe troppo costoso. Assumere questo punto di vista,
che non impedisce di vedere quando o in che misura si tratti di un'imposizione o di una
violenza, è importante perché ci obbliga a tener conto anche delle reazioni e delle
strategie del soggetto più debole. E in generale all'espressione di un potere anche forte
corrisponde una capacità più o meno grande di condizionare gli obiettivi, le modalità e
le conseguenze.
Inteso nei termini specifici della definizione precedente, il potere si distingue da una
generale possibilità di condizionare il comportamento di altri, anche senza azioni dirette
o comandi. Si tratta di forme diverse di energia sociale, che comprendono per esempio, i
condizionamenti di chi, controllando una risorsa utile e rara, di fatto ne limita l'uso ad
altri. In questi casi Weber usava il termine Macht, tradotto in Italiano potenza o potere
di fatto, che consiste nella possibilità di indurre altri a comportarsi secondo il nostro
volere, indipendentemente dai mezzi usati ed a prescindere da ogni espressione della
loro volontà. Un altro tipo di potere che si differenzia dal potere di fatto è il potere
legittimo o autorità. L'autorità riguarda relazioni nelle quali sono previsti diritti di dare
ordini e doveri di obbedire, considerati legittimi da entrambi gli attori. La legittimazione
del potere è un particolare modo di incanalare l'energia per i bisogni del funzionamento
della società. Le relazioni d'autorità sono formalmente previste in tutti i gruppi
12
secondari e si ritrovano egualmente in gruppi primari come la famiglia. I genitori
esercitano autorità sui figli in modo diffuso, perché diffuso è il loro ruolo; il capo
ufficio, invece esercita autorità su un impiegato in modo specifico, solo per ciò che lo
schema organizzativo prevede e non sugli aspetti della sua vita privata. Gli attori di una
relazione possono andare però al di là degli ambiti della legittimazione. Il capo ufficio,
per esempio, può pretendere favori personali da un impiegato: in tal caso non esercita
più autorità, ma solo potere. I soggetti possono poi anche cercare di cambiare i criteri
della legittimazione. In questi casi, l'energia si libera e si aprono conflitti. Ne deriva una
conseguenza importante: se un regolamento organizzativo non può fissare più di tanto il
compito di un impiegato in situazioni mutevoli e non prevedibili in astratto, si apre un
campo di conflitti, adattamenti e contraddizioni tra i soggetti, che sono parte normale
dell'interazione all'interno di ogni gruppo.
1.3 Il conflitto.
Il conflitto riguarda azioni orientate dal proposito di affermare la propria volontà contro
la volontà e la resistenza di altri, sia che tali azioni si svolgano nell'interazione
all'interno di una relazione sociale stabile, come in famiglia o in azienda, sia che
nascano specificatamente come relazione di conflitto.
Il conflitto contribuisce a stabilire e mantenere i confini del gruppo. Attraverso il
conflitto i soggetti di un gruppo acquistano o conservano facilmente la consapevolezza
della loro identità e particolarità, mentre in assenza di conflitto ciò potrebbe anche non
verificarsi o verificarsi debolmente. I gruppi che richiedono un impegno totale della
personalità sono capaci di limitare i conflitti, ma se questi esplodono, tendono a essere
di particolare intensità e anche distruttivi nelle relazioni di gruppo. Se il conflitto si
13
innesca, mette in gioco i forti investimenti della personalità e tocca una pluralità di
contenuti. All'interno di un'organizzazione come l'azienda il conflitto usualmente nasce
se il detentore del potere (il leader) esce eccessivamente dagli ambiti della
legittimazione nei confronti dei suoi sottoposti.
14
Capitolo 2
Lo studio della sociologia all'interno dell'organizzazione.
2.1 Sociologia delle organizzazioni: i gruppi organizzati .
Uno dei caratteri più evidenti della società moderna è la grande diffusione di
associazioni e organizzazioni. in entrambi i casi si tratta di gruppi progettati per
raggiungere alcuni limitati scopi, basati su regolamenti chiaramente stabiliti, al
contrario dei piccoli gruppi informali come un gruppo di amici. Si tratta dunque di
gruppi secondari formali. I due termini sono stati usati, e continuano a esserlo, con
significati diversi, sino a considerare le organizzazioni come tipo particolare di
associazioni, ma anche viceversa le associazioni con tipo particolare di organizzazioni
(Donati 1992).
Un gruppo di persone che ritiene di avere interessi o ideali simili può dare vita a una
associazione per difenderli o realizzarli insieme. Una volta associate, Le persone in
genere si distribuiscono fra loro alcuni compiti necessari alla vita di associazione, i vari
soci dunque sono incaricati di svolgere ognuno il proprio compito. Con riferimento a
questo aspetto, si dice che l'associazione si è data una sua organizzazione.
Può anche succedere che le necessità dell'associazione richiedano che si costituisca un
ufficio stabile per quei compiti, assumendo persone pagate perché li svolgano, secondo
certe routine procedurali stabilite, con capacità professionali per farlo, rispondendo agli
ordini di un responsabile. Noi chiamiamo questo ufficio un'organizzazione.
Al contrario delle associazioni, nelle organizzazioni partecipare è un lavoro, remunerato
15
usualmente in denaro. Il motivo della partecipazione è dunque strumentale, e solo in
certi casi o in parte può verificarsi anche un'identificazione più o meno sentita con i fini
dell'organizzazione (come già detto nella prefazione, nella maggioranza dei casi, gli
interessi delle singole persone che lavorano sono oggettivamente in antitesi con gli
interessi dell'organizzazione).
Possiamo aggiungere che, in un certo senso, nelle organizzazioni, al contrario delle
associazioni, i ruoli vengono prima e sono più importanti delle singole persone che si
uniscono in gruppo.
Associazioni e organizzazioni hanno comunque in comune il fatto di essere degli attori
artificiali, costruiti per raggiungere obiettivi che le persone reali da sole non potrebbero
raggiungere; in tal senso possono essere considerate una delle più grandi invenzioni
dell'uomo.
Questi attori artificiali, una volta costituiti, cominciano ad avere vita propria: di un'
organizzazione diciamo che ha certi scopi, possiede un patrimonio, ha una sede, prende
una certa decisione. Siccome ci sono delle decisioni che possono essere considerate del
gruppo, questo è anche definito un attore collettivo.
Gli attori collettivi hanno popolato il nostro mondo. In particolare la diffusione delle
organizzazioni è stata ovunque massiccia, al punto che la nostra società è stata definita
una società di organizzazioni (Presthus 1962).
2.2 Sociologia delle organizzazioni: la burocrazia.
Max Weber è uno degli studiosi più importanti per l'analisi sociologica delle
organizzazioni. Il termine che Weber usa per definire la forma moderna di
16
organizzazione è burocrazia. Della burocrazia egli individua le principali
caratteristiche, costruendone un modello teorico (chiamato da Weber ideal-tipo) al
quale le organizzazioni concrete tendono più o meno a corrispondere.
Per Weber, i principali caratteri della burocrazia sono i seguenti:
- una divisione stabile e specializzata di compiti, studiata esclusivamente in vista degli
scopi dell'organizzazione e stabilita da regole che prescrivono come comportarsi a
seconda delle situazioni;
- una precisa struttura gerarchica: chi occupa una posizione ha i poteri per compiere
gli atti che a quella posizione competono, può dare ordini ad altri che da lui dipendono
mentre deve obbedire agli ordini di chi è suo superiore diretto, il quale non può essere
scavalcato da un suo superiore; è però anche strettamente previsto il tipo di ordini che si
possono dare e ricevere, oltre i quali non si può andare (il c.d. ambito di legittimazione);
insieme ai poteri di dare ordini competono anche poteri di controllo sulla loro
esecuzione;
- competenza specializzata per ogni posizione: questa richiede una preparazione
adeguata di chi la posizione occupa, l'esercizio a tempo pieno e continuativo della
professione, un'assegnazione alla posizione per mezzo di un meccanismo di concorso,
come garanzia di competenza, e successivamente di meccanismi di carriera come gli
scatti automatici per anzianità;
- remunerazione in denaro in modi previsti per una certa posizione, pagata
dall'organizzazione e mai dai clienti di questa; nessuna possibilità di appropriarsi del
posto definitivamente, di cederlo ad altri o passarlo in eredità.
«Un'organizzazione di questo genere si è diffusa nel mondo moderno perché si presta
17
"alla più universale applicazione a tutti i compiti". di conseguenza, oggi c'è soltanto la
scelta tra burocratizzazione e dilettantismo» (cit. anonimo)
Il motivo della sua efficienza sta poi fondamentalmente nel fatto che nella burocrazia
potere e controllo sono esercitati sulla base della conoscenza e della competenza. In
questo senso si tratta di un'organizzazione razionale.
Va precisato che Weber non afferma che tutte le moderne organizzazioni debbano
essere burocratizzate, anche perché spesso la burocrazia non è efficace e neppure
efficiente.
I sociologi usano il termine efficacia per indicare la capacità di un'azione di raggiungere
i risultati che si propone, ed efficienza a valutare il dispendio di risorse impiegate per
ottenere i risultati (H. Simon 1957).
2.3 Il formalismo burocratico di R.K Merton.
I sociologi hanno sviluppato diverse interpretazioni del fenomeno organizzativo,
costruendo modelli teorici di spiegazione più o meno complicati. Vediamone due in
forma semplificata. il primo è di R.K. Merton (1949).
La burocrazia richiede regole generali e chiaramente definite : i casi particolari devono
essere classificati secondo categorie astratte previste e trattati tutti nello stesso modo a
seconda di quanto prescritto per una data categoria. "l'impiegato sa esattamente qual'è la
procedura per compiere una determinata operazione e la applicherà con precisione ogni
volta che ne sarà necessario". l'impiegato è addestrato a comportarsi così, sa di essere
valutato positivamente dai suoi superiori se così si comporta, e di essere invece ripreso
o punito se si comporta diversamente. Tutto nell'organizzazione è previsto perché i
18
rapporti siano il più impersonali possibili, al fine di eliminare ostilità o favoritismi,
complicazioni affettive, ansietà. Merton sostiene che la struttura burocratica esercita una
pressione costante su un funzionario a affinché sia metodico, prudente, disciplinato.
In tali condizioni chi lavora nell'organizzazione tende a sviluppare una caratteristica
deformazione professionale : i regolamenti, che erano stati concepiti come strumenti per
raggiungere certi scopi, diventano per lui dei fini in sé stessi;
seguire con precisione e con scrupolo le regole diventa più importante e più gratificante
che ottenere i risultati. La conformità al regolamento finisce insomma per dare luogo a
pignoleria e formalismo, vale a dire ad "una aderenza puntigliosa alle regole formali".
Atteggiamenti di questo genere ostacolano in particolare la capacità di adattamento alla
grande varietà di situazioni particolari, che non sono state previste nei regolamenti
generali o non lo sono state in modo chiaro. Di conseguenza conclude Merton: «proprio
le condizioni che normalmente portano all'efficienza in situazioni particolari e
specifiche producono inefficienza».
2.4 I giochi di potere di Michel Crozier.
Un modello diverso e più complesso, è proposto da M. Crozier (1963).
Al centro della sua attenzione sono le relazioni di potere, vale a dire la possibilità di
interferire sul comportamento di altri al di là degli ambiti d'autorità previsti
dall'organizzazione. In un organizzazione perfettamente razionalizzata questo potere
residuo non potrebbe sussistere, perché il comportamento di ognuno sarebbe
perfettamente previsto e visibile. Ma un'organizzazione del genere per Crozier è
impossibile, perché non c'è mai una soluzione unica e perfetta per ogni problema
19
minimamente complicato e perché non è possibile prevedere tutti gli aspetti dello
svolgimento di un compito. Per meglio dire, esistono ruoli nell'organizzazione più e altri
meno prevedibili, e dunque ruoli più o meno regolabili: il ruolo di uno specialista
tecnico che progetta una macchina, può essere regolato in modo dettagliato meno di
quello di un impiegato che fascicola pratiche. Si verifica allora il seguente processo:
ogni incertezza nella regolamentazione di un ruolo organizzativo comporta l'esistenza di
un certo potere discrezionale nelle mani di chi quel ruolo svolge, che può essere da lui
utilizzato per «contrattare» la propria partecipazione nell'organizzazione in vista di
vantaggi particolari; per esempio, un progettista può cercare di ottenere nuovo personale
per il suo reparto, non essendo facile provare che non è indispensabile; oppure può
cercare di imporre i propri ritmi di lavoro a quelli di un altro ufficio affermando che
questo è necessario, senza che altri siano in grado di controllare l'affermazione perché
non hanno la conoscenza tecnica per farlo.
Il gioco, che si svolge in genere a livelli di gruppo,si svolge tra i «privilegiati» e
«danneggiati». La direzione deve gestire i conflitti ed è costretta così a dare molta
importanza ai problemi interni di salvaguardia dell'equilibrio tra le diverse parti
dell'organizzazione, a scapito anche della propria efficienza. I gruppi non privilegiati
premeranno per una maggiore regolamentazione che tolga incertezza e dunque vantaggi
agli altri; ma in generale, anche i mezzi a disposizione dell'autorità di vertice di un
sistema burocratico, quando più questo corrisponde al modello puro, tanto più si
limitano a precisare e ad aumentare le regole. In questo modo l'organizzazione finisce
per cadere in un circolo vizioso, perché rendendo più minuziose e severe le regole,
diminuisce la capacità di adattamento alla varietà imprevedibile con cui i problemi si
presentano.
Dunque, ha ragione Merton che considera la personalità acquistata dai burocrati, o ha
20
ragione Crozier che analizza i giochi di potere? la risposta è che dipende dal contesto di
applicazione, ed uno dei due modelli può essere più o meno utile a capire il
funzionamento di una data organizzazione.
2.5 Organigramma e forme di organizzazione in Weber.
La burocrazia di Weber si basa su un principio fondamentale: la prevedibilità dei
comportamenti ottenuta attraverso la loro standardizzazione. Per ottenere un
determinato risultato (produrre automobili, rilasciare certificati, e così via) è possibile
individuare una serie di operazioni successive, ognuna delle quali è standardizzata, vale
a dire è fissata nei dettagli una volta per tutte; potrà e dovrà allora essere ripetuta senza
errori da una persona alla quale compete secondo lo schema organizzativo (ovvero
secondo il cosiddetto organigramma).
Questo principio si scontra con due difficoltà fondamentali: anzitutto gli individui non
si comportano come macchine, ma interagiscono con l' organizzazione mettendo in
gioco propri fini anche in concorrenza con quelli dell'organizzazione. In altre parole, le
persone non sono mai completamente prevedibili. In secondo luogo, è possibile
progettare uno schema di comportamenti standardizzati se i problemi che
l'organizzazione incontra nel realizzare i suoi compiti sono semplici e si presentano
senza grandi variazioni da un momento all'altro, o a seconda dei clienti; standardizzare i
comportamenti è tanto meno facile quanto più l' organizzazione opera in un «ambiente
instabile». Proprio per tali motivi, il principio fondamentale di Weber è rispettato solo
fino a un certo punto, molti consulenti aziendali e studiosi delle organizzazioni arrivano
anche a suggerire soluzioni molto lontane dai caratteri della burocrazia descritti da
Weber. Un esempio è la «direzione per obiettivi» raccomandata da Peter Drucker
21
(1964). In questo schema, più che alle regole bisogna fare attenzione agli obiettivi,
fissati a grandi linee e non nei dettagli; gli obiettivi sono in certa misura contrattati fra
superiori e inferiori, ciò che implica un'ampia possibilità di discuterli senza tenere
troppo conto della gerarchia nel valutare le proposte; in successive riunioni gli obiettivi
possono essere ridefiniti e ricontrattati;
I rapporti sono più personalizzati, la carriera per anzianità è prevista, ma si deve
soprattutto tener conto dei risultati che una persona ottiene e dei contributi che essa dà
alla soluzione dei problemi. Secondo Drucker, un' organizzazione basata su questi
principi motiva maggiormente le persone a impegnarsi, porta alla luce le zone di
inefficienza e i giochi di potere consentendo di affrontarli, è più capace di adattarsi a un
ambiente poco prevedibile.
In realtà le cose sono più complicate. Un sistema di direzione per obiettivi non è facile
da realizzare, si adatta meglio alle funzioni dei dirigenti che al resto dell'organizzazione,
dal momento che sviluppa competizione tra gli individui crea anche nuove tensioni:
«I problemi del funzionamento delle organizzazioni non si lasciano facilmente a ridurre
ad una ricetta schematica» (Bonazzi 1989).
In effetti, gli studi teorici sono andati nel senso di distinguere l'esistenza di forme
diverse di organizzazioni a seconda delle condizioni in cui esse operano, a seconda in
particolare del grado di stabilità dell'ambiente. Uno dei tentativi più interessanti a questo
riguardo è la teoria delle cinque configurazioni organizzative di Henry Mintzberg
(1983). Lo schema interpretativo si basa sulle differenze nel modo in cui le diverse
attività sono coordinate tra loro. Per ottenere maggiore efficienza, il modo di
coordinamento cambia a seconda delle dimensioni dell'organizzazione, del tipo di
tecnologia impiegata nella produzione di beni o servizi e della prevedibilità
22
dell'ambiente. Si definiscono in questo modo cinque configurazioni tipiche:
- struttura semplice: dove il controllo è esercitato direttamente dal vertice, il quale
accentra tutte le funzioni di direzione. Una piccola azienda artigiana è il tipico esempio;
- burocrazia meccanica: coordinata attraverso la standardizzazione dei compiti e la
gerarchia. È in sostanza la burocrazia di Weber, che diventa efficiente se l'ambiente è
stabile, se si tratta di produrre beni o servizi in grande serie, automobili o certificati
anagrafici per esempio, con una tecnologia che permetta di standardizzare le attività,
come la catena di montaggio;
- burocrazia professionale: coordina invece dipendenti con un lungo tirocinio di
formazione esterno all'organizzazione; una volta assunti, verificata la loro capacità
professionale, questi hanno ampia discrezionalità nello svolgimento del loro lavoro,
sono poco controllati e spesso lo sono più dagli utenti che dall'organizzazione perché
operano a stretto contatto con il pubblico: è il caso dell'insegnante di una scuola, del
professore d'università e del medico di un ospedale.
- struttura divisionale: si avvicina alla direzione per obiettivi di Peter Drucker (1964);
il coordinamento si ottiene, in questo caso, fissando obiettivi generali e compatibili tra
loro a settori con funzioni diverse (le divisioni), che poi sono indipendenti nelle loro
scelte sul come raggiungerli.
In questo modo una grande organizzazione complessa si adatta meglio all'ambiente,
perché ogni divisione (acquisti, produzione, studi e ricerche, e così via) può tenere
conto del suo proprio ambiente e della tecnologia che si presta a essere adoperata per la
sua funzione, contattando con le altre quantità e qualità dei prodotti, ritmi di produzione
ecc.
23
- adhocrazia: il termine è stato inventato con riferimento all'espressione latina ad hoc
che significa «espressamente per questo»; esso serve per indicare gruppi di lavoro con
compiti specifici, formati da persone che si conoscono bene e lavorano insieme
fidandosi delle rispettive competenze, senza vincoli di gerarchia e regole precisate, ai
quali sono assegnati compiti che richiedono alta professionalità, ma anche capacità di
inventarsi procedure e regole, perché si tratta di battere strade nuove;
ne è un esempio un gruppo di scienziati costituito ad hoc per studiare un fenomeno
ancora sconosciuto: le frontiere della scienza sono un ambiente molto incerto, i
ricercatori non sanno in partenza dove la loro ricerca li porterà o di quali mezzi tecnici
avranno bisogno.
I tipi di Mintzberg mostrano forme diverse di organizzazione relativamente più efficaci
a seconda dell'ambiente (anche la tecnologia disponibile può essere considerata un dato
dell'ambiente). I diversi tipi sollecitano forme diverse di motivazione a partecipare e
sembrano in genere favorirla più della burocrazia tradizionale, ma questo non significa
che ogni forma non presenti specifici problemi di adattamento delle persone ai fini
dell'organizzazione. Inoltre secondo Mintzberg, rimangono funzioni per le quali
continuano a essere più efficienti strutture burocratiche (di burocrazia meccanica nei
suoi termini), nonostante i limiti e i problemi che sono stati visti precedentemente.
Con lo schema presentato abbiamo incontrato una proprietà formale delle
organizzazioni, che avremmo peraltro potuto trovare facendo riferimento a qualsiasi
altro studioso contemporaneo di organizzazione:
«Non esiste un unico modo migliore (one best way) per progettare un'organizzazione».
«Per essere efficiente, un'organizzazione deve essere in grado di ricomporre un insieme
integrato di forme diverse». (Anonimo)
24
2.6 Attori e decisioni
Analizzando gli obiettivi dell'organizzazione è facilmente comprensibile che esistano
poche persone che decidono, e altre (usualmente la maggioranza) che sottostanno a tali
decisioni. Prendere delle decisioni significa perseguire degli obiettivi. Decisione e
obiettivi sono dunque collegati e la domanda «quali sono degli obiettivi di
un'organizzazione?» Può essere utilmente trasformata in: «chi con le sue decisioni
influenza gli obiettivi delle organizzazioni? » (Scott 1981)
Abbiamo imparato a guardarci dall'idea di un'organizzazione descritta come una
macchina che funziona esattamente secondo le previsioni dei piani di costruzione,
rispondendo ai comandi di un operatore che la mette in moto. Sappiamo che questa è
un'immagine ingenua, ma non bisogna neppure sostituirla con un'altra idea di
organizzazione che assomiglia a una guerra tra bande. Una volta stabilita una struttura
organizzativa con certi fini dichiarati nel suo statuto, una linea gerarchica, certe regole
per prendere le decisioni, un sistema di macchine per la produzione, incentivi al lavoro
e così via, questa impone dei vincoli molto forti alle scelte e al comportamento delle
persone, coordinando in modo sistematico le loro attività.
Nelle organizzazioni le persone fondamentalmente cooperano; ciò non toglie che
nell'ambito dei vincoli imposti dalla struttura, esse interagiscano tenendo conto di loro
obiettivi, proprio per influire sulle decisioni e quindi sugli obiettivi dell'organizzazione.
Il problema di distinguere obiettivi dell'organizzazione e obiettivi delle persone non si
pone o è meno importante nel caso delle associazioni, alle quali si partecipa perché se
ne condividono i fini (aiutare i malati, giocare a calcio, organizzare eventi culturali),
soddisfatti per il fatto stesso di partecipare. Si pone invece per le organizzazioni, alle
25
quali le persone partecipano strumentalmente per vantaggi che ne ricavano, più o meno
indifferenti ai fini dall'organizzazione in quanto tali. Questi possono essere più
importanti per alcuni membri di un'organizzazione, o all'interno di certe organizzazioni.
Da notare comunque che i fini personali sono diversi e complessi: alcuni sono materiali,
come lo stipendio o la sicurezza del posto, altri morali, come la soddisfazione nel
compiere il lavoro, come la sensazione di esprimere le proprie capacità, oppure lavorare
in un gruppo a contatto con altre persone con le quali si sta bene insieme.
Se è ingenuo pensare che gli obiettivi dipendono solo dalle decisioni di una leadership
al vertice, (l'imprenditore, il manager), e se in genere non siamo nella situazione in cui
tutti hanno gli stessi obiettivi, forse un modo utile di rispondere alle domande fatte
all'inizio è affermare che gli obiettivi dell'organizzazione sono definiti da coalizioni,
vale dire da gruppi di persone con interessi comuni che si alleano con altri gruppi con
interessi diversi dai loro contattando certe decisioni cruciali (Cyert & March 1963).
Per esempio, i dirigenti di una grande impresa possono contrattare con gli azionisti la
distribuzione di un certo ammontare di dividendi, tale però da lasciare abbastanza
margini per buoni investimenti necessari a ingrandire l'organizzazione, un obiettivo che
sembra interessare in genere i dirigenti, e un certo aumento di stipendio a gruppi di
tecnici e impiegati impegnati in un settore dell'organizzazione che deve essere coinvolto
nei piani di espansione. Altri gruppi che non sono entrati nella coalizione dominante
saranno sacrificati o meno avvantaggiati. In questo modo l'organizzazione assume la
decisione se come destinare il profitto realizzato, e i suoi obiettivi si ridefiniscono con
lo sviluppo di un nuovo settore. Giochi di questo genere, comunque, devono tenere
conto dell'insieme delle regole e dei vincoli che una determinata organizzazione pone,
come il fatto che un'impresa deve continuare a produrre e vendere per ottenere un
profitto altrimenti non sopravviverà.
26
Capitolo 3
Storia del Management, cenni
3.1 Evoluzione del management delle risorse umane: cenni storici
Nel 1911 F.W Taylor fu un iniziatore della ricerca sui metodi per il miglioramento
dell'efficienza nella produzione industriale. Egli attraverso lo studio scientifico del
lavoro descrisse Il fenomeno che verrà successivamente chiamato“ Taylorismo“.
Tale fenomeno presupponeva un metodo preciso: lo studio dei singoli movimenti del
lavoratore (operaio) per poter ottimizzare il tempo di lavoro, mediante la scomposizione
di un attività in tanti subcompiti definiti come altri ruoli o posizioni. Ogni posizione
verrà progettata accuratamente per creare una sequenza di attività lavorative che
operano in sincronia tra loro.
Analizzare, scomporre e programmare le azioni e selezionare, addestrare e retribuire
l'operaio (definito: “l'uomo giusto al posto giusto”);
Tale programma definisce una spersonalizzazione evidente delle mansioni, non esiste
più il problema di gestire il comportamento del personale, ridotto ormai a poche
operazioni elementari. Si delinea una situazione in cui gli operai non danno una risposta
comportamentale poiché sono considerati meri esecutori di azioni progettate da
qualcun'altro.
Il ruolo degli operai nella fabbrica moderna con tale Sistema di produzione (che
caratterizzerà l'economia occidentale) è un ruolo del tutto Subordinato. In questo
ambito il comportamento organizzativo (inteso come il risultato di decisioni
27
“relativamente” autonome da parte di chi occupa questo ruolo) è considerato totalmente
irrilevante. La Subordinazione è comprensibile dal momento in cui viene Spiegato “il
Caso Ford”.
3.2 Analisi del “caso Ford”.
Nei primi anni del 1900 la maggior parte dell'industria automobilistica era concentrata a
Detroit (Michigan,U.s.a). Una mobilità notevole del lavoro creava un immenso turnover
di Operai e le imprese si accaparravano la manodopera per un aumento di pochi
centesimi di dollaro.
Henry Ford (fondatore della Ford Motor Company) un giorno decise di offrire un
salario più alto di ben cinque dollari al giorno, con un incremento di più del doppio di
quello offerto da altre imprese.
Offrendo un salario più alto del mercato del lavoro, non si può negoziare.
H. Ford con questo colpo trasformò la relazione tra lavoratore e impresa, da un libero
gioco di mercato (domanda di lavoro per offerta di salario) ad un autentico rapporto di
subordinazione. Ford lo fece per evitare comportamenti opportunistici degli “scansa
fatiche” perché offrendo un salario più elevato poteva giustificare la natura gerarchica
della sua impresa, chiedendo più impegno agli operai e automaticamente incrementando
la produttività (del 50 %).
Henry Ford viene ricordato per aver trapiantato negli anni Trenta le teorie di Frederik
Taylor all'interno dell'organizzazione del lavoro mediante l'automazione delle
operazioni e la razionalizzazione del ciclo produttivo. (c.d: fenomeno del “Fordismo”)
Tale disciplina organizzativa quasi maniacale e tale regime alienante con un salario più
28
generoso saranno duramente criticati.
3.3 Comportamento organizzativo,motivazioni e Ricompense
L'attenzione al comportamento organizzativo e alle caratteristiche psicologiche dei
singoli individui emergerà grazie al contributo dei “motivazionisti” come A. H. Maslow
(1954) e F. Herzberg (1966).
Secondo Maslow le motivazioni al lavoro che derivano dalla necessità di soddisfare
bisogni materiali sono solo i gradi più bassi di una scala di bisogni che ogni individuo
tende a risalire, grado per grado, una volta che il bisogno inferiore sia stato soddisfatto.
Così ogni individuo avvertirà la necessità di appagare motivazioni di ordine sociale
(il bisogno di socializzazione), e i bisogni di autorealizzazione nel lavoro, solo dopo che
saranno stati soddisfatti i bisogni fisiologici primari e di sicurezza.
Un altro studio inerente al comportamento è offerto da J.R Galbraith (1977) che offre
una rappresentazione sistematica tra leve motivazionali e tipi di comportamenti
organizzativi, suggerendo di scegliere gli incentivi adeguati per attivare il
comportamento di cui l'organizzazione ha bisogno.
J.R. Galbraith (1977) distingue cinque Possibili tipi di comportamento organizzativo:
- comportamento Associativo : Il semplice atto di entrare a fare parte di
un'organizzazione, senza particolare riferimento alle azioni che effettivamente si
svolgono;
- comportamento conforme a un ruolo prescritto : La richiesta di attenersi a delle
procedure descritte in modo preciso da colui che ha progettato il lavoro;
- comportamento basato sullo sforzo al di sopra del livello minimo : viene richiesto di
29
massimizzare per quanto possibile, l'erogazione della propria prestazione lavorativa;
- comportamento spontaneo e impegnato : vi sono situazioni lavorative non sempre
strutturate, si chiede a chi offre la prestazione di impegnarsi, volta per volta a risolvere i
problemi e a perseguire gli obiettivi organizzativi;
- comportamento cooperativo : il lavoratore si adegua perfettamente alla logica di
cooperazione che le organizzazioni richiedono;
Galbraith ritiene possibile individuare sei diverse leve motivazionali di cui il
management può disporre per suscitare o incentivare i diversi tipi di comportamento
sopra descritti.
Le leve motivazionali sono:
- conformità alle regole : l'organizzazione garantisce il rispetto delle norme stabilite e
la presenza di un autorità che sia garante di questa conformità;
- ricompense del sistema : sono le ricompense che le singole organizzazioni sono in
grado di offrire a tutti i loro membri in quanto tali, in virtù di certe agevolazioni che
hanno procurato e consolidato nel tempo;
- ricompense di gruppo : sono Quelle con cui vengono premiati alcuni membri
del'organizzazione non in relazione a loro prestazioni individuali, ma in rapporto a
prestazioni erogate dal gruppo di cui fanno parte;
- ricompense individuali : Sono quelle attribuite ai singoli dipendenti,quando sia
possibile isolare il risultato raggiunto come frutto del singolo apporto lavorativo;
- coinvolgimento nel compito : Motivazione definita “intrinseca” in quanto legata allo
svolgimento dell' attività. Vi sono alcune attività lavorative che offrono a chi le svolge
30
motivo di soddisfazione legato al fatto stesso di svolgerle e di farlo in modo
appropriato.
- identificazione con i risultati : Altra motivazione “intrinseca”. La soddisfazione deriva
dall'aver assunto come propri i fini organizzativi, l'individuo è motivato quando agisce
in relazione a quegli obiettivi, soprattutto quando riesce a conseguirli;
Galbraith parte dall'assunto che sia possibile stabilire un legame tra la forma di
ricompensa e tipo di comportamento. Si può così definire una matrice comportamenti-
ricompense in cui gli incroci delle righe (che elencano le ricompense) e delle colonne
(che elencano i comportamenti) indicano se quella ricompensa è adatta a incentivare
quel comportamento o se rischia di provocare effetti opposti.
Con questa matrice Galbraith offre un’efficace guida alla gestione dei comportamenti
organizzativi, suggerisce le leve motivazionali su cui agire per stimolarli.
3.4 Ricerche sul Fattore Umano (1920).
Intorno alla fine degli anni Venti nasce il movimento delle relazioni umane, un gruppo
di studiosi che mediante ricerche sul campo analizzano la componente più importante
della realtà produttiva: l'individuo.
Grazie agli studi compiuti alla Western Electric (Hawtorne,Chicago,U.s.a) questi
ricercatori cercano di comprendere:
- le relazioni emotive che legano le persone che lavorano insieme;
- il loro comportamento organizzativo;
- l'influenza che la gestione del personale ha sulla performance dei lavoratori;
31
E. Mayo (1920) e la sua equipe di ricerca analizzano i parametri del cosiddetto “fattore
Umano” traendo varie conclusioni sulla qualità della vita di fabbrica degli operai
(mediante il metodo dell'intervista personale e dell'osservazione partecipante).
Il contributo Apportato dal movimento delle relazioni umane è stato notevole per
quanto riguarda il linguaggio dell'organizzazione: E. Mayo sostiene che per coordinare
le attività e per svilupparle attraverso processo di cooperazione occorre parlare lo stesso
linguaggio.
Il linguaggio si caratterizza dunque come collante Organizzativo e sociale tra Il
manager (titolare della Leadership) e il personale. (E.Mayo, 1920)
Se un organizzazione sviluppa un codice (il criterio di interpretazione dei significati) i
comportamenti hanno più probabilità di essere tra loro integrati e coordinati.
3.5 Equilibrio tra Persone e Organizzazione: Il comportamento cooperativo.
Il comportamento cooperativo è stato a lungo considerato negli studi di C.J Barnard, che
negli anni Trenta ha scritto un vero e proprio trattato sulla funzione primaria del
dirigente all'interno dell'organizzazione.
Dirigere significa, secondo Barnard, garantire l'equilibrio tra le condizioni ambientali e
i processi che si svolgono nelle organizzazioni. Altri autori (H.Simon / O.E Williamson)
riconoscono a Barnard di aver delineato le caratteristiche di una nuova “Scienza
dell'organizzazione”, e di aver individuato gli aspetti fondamentali su cui si basa il
governo organizzativo: la cooperazione e il coordinamento.
32
Secondo Barnard le organizzazioni sono sistemi cooperativi, la loro sopravvivenza
dipende dalla cooperazione. Non basta considerare i comportamenti come fenomeni
singolari, individuali, isolati, riconducendoli alle motivazioni e alle preferenze
personali. Occorre guardarli anche dal punto di vista dell'intero, del sistema
cooperativo; Barnard Traccia una teoria in cui trova ampio spazio una concezione delle
persone e della gestione del personale non marginale e subordinata.
Governare l'organizzazione non è solo sinonimo di definire obiettivi e garantire risorse
economiche, ma significa sopratutto promuovere la cooperazione di tutte le persone che
operano nell'organizzazione.
3.6 Il comportamento Cooperativo: Condizionamento Sociale.
Un' organizzazione ha due caratteristiche: fini e limiti:
- I Fini sono gli obiettivi da raggiungere, lo scopo dell'organizzazione.
- I limiti sono degli ostacoli che per qualche motivo, non rendono immediatamente
(o automaticamente raggiungibili) quei determinati fini.
Ricordando che i fini dell'organizzazione raramente coincidono con i fini dell'individuo
inscritto in essa, la cooperazione non può essere pensata come il risultato dell' agire
razionale e spontaneo dell'individuo, ma come una sorta di condizionamento sociale a
cui l'individuo si sottopone per ottenere i suoi obiettivi (usualmente definiti intorno alla
definizione di salario). Da qui la peculiarità della funzione del dirigente, che ha il ruolo
di facilitatore e stimolatore, per promuovere la cooperazione e quindi garantire la
sopravvivenza dell'organizzazione.
33
3.7 L'economia degli incentivi e Persuasione
Per un corretto funzionamento, un’organizzazione ha bisogno dei contributi degli
individui, da cui riceve energia. I contributi personali sono offerti in cambio degli
incentivi ricevuti (ricordiamo “Il caso Ford” nel cap.3.2 e l'aumento dell'offerta dei
salari in cambio di subordinazione). L'individuo, deve essere indotto a cooperare, e per
questo Barnard identifica un ampia gamma di incentivi oggettivi : come i beni materiali
tra cui il denaro è sicuramente il più tipico e generale e altri incentivi non materiali
come il prestigio e il potere personale, o il senso di comunità e di integrazione sociale.
Barnard non formula un modello sistematico di incentivi, ma sostiene che tali incentivi
agiscono in modo diverso sulle persone, che peraltro sono caratterizzate da una certa
instabilità nei loro desideri. Dobbiamo considerare l'assetto soggettivo degli incentivi ,
che riguarda gli stati d'animo e gli atteggiamenti. Barnard chiama “Metodo della
persuasione” i processi che tendono ad influenzare gli atteggiamenti.
Persuasione: Vasta gamma di azioni tese ad influenzare i comportamenti, che vanno
dalla coercizione alla razionalizzazione.
La coercizione si configura nelle organizzazioni di lavoro come obbligatorietà di azione
da parte di una persona, che se non adempie rischia il licenziamento.
Il compenso in denaro (Incentivo oggettivo) invece non ha solo carattere materiale, è
anche indice di stato sociale, di evoluzione personale, quindi ha anche rilevanza
simbolica. I contributi così incentivati sono la condizione per ottenere l'energia
sufficiente al funzionamento delle organizzazioni. L'energia deriva dall'impegno e dalla
disponibilità a cooperare dei suoi individui.
Ancora una volta Le variabili -Micro Completano La variabile -Macro.
34
Capitolo 4
Studi sulla leadership organizzativa.
4.1 Il Governo Organizzativo e la funzione di direzione. Leadership.
Le funzioni direttive evidenziate dagli studi di Barnard sono essenzialmente tre:
- Facilitare la comunicazione: l'ordine di questi tre punti è rigorosamente immutabile,
in quanto la comunicazione è essenziale per promuovere i due punti successivi. La
centralità della comunicazione all'interno dell'organizzazione è determinata dal fatto che
«senza comunicazione l'organizzazione non avrebbe conoscenza di sé»;
- promuovere le attività essenziali: per quanto riguarda la promozione delle attività
essenziali, il dirigente deve promuovere la cooperazione e stimolare il contributo dei
dipendenti mediante la persuasione, gli stimoli e gli incentivi. Deve inoltre assicurarsi
lealtà, fedeltà, entusiasmo e rendimento del personale;
- Formulare e definire il fine dell'organizzazione: quanto alla terza funzione, la
formulazione del fine e degli obiettivi, il dirigente formula i fini mediante la
comunicazione e l'assegnazione della responsabilità; (Processo di coordinamento)
Le tre funzioni fondamentali non devono essere considerate separatamente, ma come tre
ingranaggi che insieme costituiscono in meccanismo unitario e ben funzionante. Il
malfunzionamento di uno, pregiudica il funzionamento generale del meccanismo.
Barnard mette in luce sia gli aspetti economici dell'agire organizzativo, quanto la
dimensione sociale generale. Il punto nodale della questione è la funzione del dirigente
in quanto garante della sopravvivenza dell'organizzazione, sia nella gestione economica
35
quanto nella valorizzazione delle risorse a lungo termine, in una prospettiva sociale.
Il dirigente ha l'esigenza di effettuare due tipi di controllo:
- Controllo di carattere distributivo : che consente di garantire l'equilibrio di uscite ed
entrate;
- Controllo di carattere creativo : basato sulla cooperazione e coordinamento;
Barnard è uno dei primi studiosi che si occupa della leadership: che riguarda (oltre alle
capacità tecniche) le capacità e le abilità personali che determinano la qualità dell'azione
direttiva. Il concetto di responsabilità che ruota intorno alla definizione di leadership
determina la capacità di essere fortemente guidati da codici morali in modo da generare
in altri membri dell'organizzazione un forte senso di fiducia.
Un altro elemento importante,insito nella leadership è la capacità di creare codici morali
(dei valori), delle regole di condotta percepite e accettate dal personale. La cooperazione
all’interno di un'organizzazione di lavoro, dice Barnard, crea un forte senso di
appartenenza, la condivisione di Valori e codici morali appunto, che formano (come
vedremo successivamente) la cultura organizzativa.
4.2 Guru del Management (1960): Studi sulla direzione, esperimenti sulla
centralità del “Capitale umano”.
Saltiamo adesso dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Il nostro scopo sarà analizzare tre
autori (di formazione prevalentemente psicologica) che hanno contribuito ad
individuare alcuni aspetti rilevanti per la comprensione del comportamento degli
individui e del loro rapporto con le dinamiche organizzative.
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Questi tre Studiosi di management sono D. McGregor, R. Likert e C. Argyris.
4.3 Douglas McGregor: Gli Stili di Direzione,Teoria X e teoria Y.
D. McGregor concentra prevalentemente i suoi studi e le sue ricerche sulla figura dei
dirigenti dell'organizzazione, creando delle teorie che guidano le loro decisioni e azioni.
Queste teorie si riducono a due modelli contrapposti:
la teoria X (Il modello autoritario) e la teoria Y (Il modello Partecipativo).
La teoria X esprime che l'uomo medio ha un'evidente ripugnanza verso il lavoro, egli
preferisce essere guidato ed evitare responsabilità. occorre dunque costringere e
controllare le persone, affinché producano gli sforzi adeguati agli obiettivi
organizzativi.
La teoria Y spinge invece a considerare l'enorme potenziale di collaborazione che può
derivare dalle persone. Tale teoria consiste nel valorizzare l'integrazione,
l'autovalutazione e l'autocontrollo, che consentono di creare, in condizioni favorevoli,
opportunità per le persone di influire sulle decisioni che le riguardano.
Sarà Il dirigente che avrà la responsabilità di scegliere lo stile di direzione e il
conseguente stile di leadership più appropriato per la propria organizzazione.
La tesi di McGregor è categorica: uno stile di direzione influenza in modo decisivo il
funzionamento di un' organizzazione, in quanto si manifesta in ogni atto dei dirigenti e
segna con il suo “marchio” ogni loro decisione.
Lo stile di direzione è efficace nell'esercizio del controllo: nei sistemi di controllo
umano è molto rilevante l'aspetto emotivo: se il controllo è percepito come una
37
minaccia, esso suscita comportamenti difensivi, non collaborativi e ogni forma di
impegno e di creatività è orientata all'autodifesa. Inoltre secondo McGregor, quando gli
obiettivi sono imposti, si può ottenere accettazione, ma non impegno; mentre un diverso
approccio (magari più costruttivo) può realmente incrementare l' impegno delle risorse
umane. Il controllo si può esercitare mediante compensi e punizioni, mediante
l'identificazione (tipica della teoria Y) o mediante la comunicazione persuasiva.
L'identificazione è una forma di controllo indiretto, che comporta un' aumento
dell'autorità legittima del dirigente e genera meccanismi di autocontrollo.
La comunicazione è essenziale per il controllo e per le motivazioni.
4.4 Douglas McGregor: Applicazione Della teoria Y: Il piano Scanlon.
McGregor fornisce come esempio di applicazione della sovracitata teoria Y, la
descrizione del piano Scanlon. Joseph Scanlon ha creato un metodo di gestione del
personale che ha colpito particolarmente McGregor, al punto che lo ha definito: “vera e
propria Filosofia di direzione”.
Il piano Scanlon ha due caratteristiche:
- un sistema di gestione delle retribuzioni;
- un sistema di gestione delle innovazioni;
Il valore innovativo di tale teoria sta nella stretta connessione tra questi due elementi.
Il primo aspetto (retribuzioni) consiste nell'incentivare la riduzione dei costi aziendali
attraverso un sistema retributivo che coinvolge tutto il personale. Si misura l'apporto di
tutti mediante un indice calcolato come rapporto tra due valori, il costo totale per il
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personale, da un lato, e il fatturato totale.
La determinazione di questo indice non è un fatto puramente meccanico: essa richiede
una profonda conoscenza della storia dell'azienda e delle sue caratteristiche, l'obiettivo è
migliorare il rapporto retribuzioni-fatturato: ciò si traduce in guadagno economico per
l'azienda e in percentuali di incremento retributivo mensile per il personale.
Il secondo aspetto del metodo, che lo distingue da altri sistemi di incentivi retributivi, è
dato dal fatto di perseguire i risultati mediante il contributo migliorativo di tutti i
dipendenti. Il meccanismo proposto da Scanlon è stato quello dei comitati, ovvero
gruppi di discussione dove i membri possono interagire secondo una logica di
partecipazione che dà il massimo spazio allo scambio di opinioni e informazioni
finalizzate al miglioramento dell'azienda e alla risoluzioni di problemi (problem
solving).
L'applicazione del piano Scanlon ha dimostrato due punti di forza:
- l'azione concreta dei dipendenti contribuisce a risolvere i problemi e a migliorare i
risultati;
- il riscontro dei risultati nella retribuzione mensile, che è traducibile in “benessere
dell'impresa” e ulteriore motivazione del personale.
La situazione descritta da McGregor è quella dell'azienda americana degli anni
Cinquanta, Molte caratteristiche del piano Scanlon (relative alla partecipazione del
personale) sono diventate parte integrante di quella che è stata definita la rivoluzione
organizzativa attuata negli stessi anni, nel sistema produttivo Giapponese. (che vedremo
accuratamente nel cap. 10)
39
4.5 Sistema Produttivo Giapponese:Cenni Storici del “Toyotismo”.
Il sistema produttivo giapponese prevede come parte qualificante la gestione in termini
di miglioramento continuo (C.d Kaizen) con la partecipazione attiva di tutti i lavoratori.
La letteratura evidenzia molti successi derivanti dalla rivoluzione organizzativa
Giapponese, sicuramente rappresentata dalla prima azienda che ne è stata promotrice, la
Toyota Corporation, che ha raggiunto posizioni di vertice mondiale nel settore
automobilistico.
La definizione Del Termine “Toyotismo” è ovviamente messa in contrasto ad un altro
Fenomeno già analizzato in precedenza: Il Fordismo.
I due fenomeni sono Specularmente opposti tra loro, elenchiamo le differenze
principali:
Approccio Manageriale,Leadership del Fordismo:
- separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale;
- capacità intellettuali sottoutilizzate;
- responsabilità accentrata;
- cultura organizzativa Imposta e autoritaria;
- Leadership Incentrata sul controllo e sull'inibizione della creatività
delle risorse umane;
Approccio Manageriale,Leadership del Toyotismo:
- decentramento delle responsabilità verso il Personale;
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- assegnazione di compiti intellettuali anche ai lavoratori dei livelli più bassi;
- cultura Organizzativa Forte,Identità Organizzativa Personale Elevata;
- Leadership incentrata sullo stimolo della creatività delle risorse umane sul
miglioramento costante;
Lo stile di leadership è ancora una volta determinante alla sopravvivenza e al successo
dell'organizzazione.
4.6 Rensis Likert: il dilemma del dirigente, capitale umano e gruppi di lavoro.
R.Likert conduce molti studi ed esperimenti dove le principali variabili sono la
produttività, la soddisfazione per il lavoro, i costi, e specialmente la motivazione dei
dipendenti e dei dirigenti. I risultati più significativi sono secondo Likert, la scoperta di
fattori quali lo stile di leadership, i processi di gruppo e la comunicazione efficace.
- Stile di leadership: Likert conclude che l'eccesso di sorveglianza e la pressione
esercitata per aumentare la produttività non migliorano realmente i risultati, mentre
ottengono risultati migliori i comportamenti direttivi basati sul sostegno e quelli di capi
che esercitano un controllo non fiscale, ma incoraggiano e istruiscono i loro
collaboratori.
- Processi di gruppo: Likert analizza la lealtà e coesione (solidarietà e unione) di gruppi
di persone sui risultati di lavoro: se il gruppo, i cui membri esprimono un elevato grado
di lealtà e coesione, condivide gli obiettivi, la sua produttività sarà di conseguenza
molto elevata; se invece all'interno del gruppo non si condividono gli stessi valori, e non
si crea senso di appartenenza, la produttività e l'orientamento al risultato saranno bassi.
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- Comunicazione efficace: le rilevazioni empiriche condotte da Likert mostrano quanto
sia diffusa la scarsa conoscenza, di coloro che occupano livelli gerarchici elevati, delle
opinioni e informazioni di chi sta alla base della piramide organizzativa. Un'efficace
comunicazione organizzativa contribuisce al miglioramento dell'organizzazione.
Likert Introduce all'interno dell'equazione: Organizzazione-Produzione-profitto una
nuova variabile, il capitale umano. Secondo Likert, uno stile di direzione gerarchico
può condurre a sostanziali e immediati incrementi della produttività, ma ciò avviene a
spese del capitale umano dell'organizzazione. Ne risulta un'ostilità alla collaborazione,
meno motivazione a produrre e viceversa più motivazione a limitare la produzione.
Si delinea così la situazione che L'autore definisce “Dilemma del dirigente”: se egli
diventa “artista delle direzione gerarchica” otterrà risultati a breve, vantaggi retributivi
per sé e una buona reputazione. D'altra parte però, intaccherà il capitale umano,
procurando ad esso un danno a lungo termine. Il dilemma del dirigente spiega il
persistere di modelli direzionali basati sulla pressione gerarchica, su schemi Taylor-
Fordisti, sul motivo che il dirigente sa che per migliorare un'organizzazione occorre
molto tempo e rischia di non essere ripagato, la via della direzione gerarchica sembra
quindi più breve e meno tortuosa.
Grazie alle sue indagini empiriche, Likert si è reso conto dell'importanza di alcuni
aspetti della realtà organizzativa, e si è reso promotore di modelli partecipativi, basati su
una struttura innovativa, Il gruppo di lavoro.
Il concetto base è quello del lavoro di gruppo, partendo dal basso, avviene la
costruzione di strutture organizzative autonome, (chiamati “perni connettori”) dei
diversi gruppi operativi con a capo dei supervisori. A loro volta i supervisori di più
gruppi costituiranno un gruppo di supervisori e così via fino ad arrivare al gruppo
42
direzionale del top management. In tal modo, secondo Likert, viene
contemporaneamente salvaguardato il principio della gerarchia organizzativa
(essenziale per il coordinamento) e il principio del lavoro di gruppo,con la sua capacità
di creare comportamenti Collaborativi, motivati e solidali.
L'idea dei “perni connettori” si basa sul principio che un supervisore sia in grado di
attuare la sua leadership con successo, operando mediante i perni connettori, i processi
decisionali partono molto spesso dal basso, e ottenendo consensi dai gruppi di lavoro,
arrivano alla cima della piramide organizzativa che sono già “condivisi”.
4.7 Chris Argyris: individuo, organizzazione,meccanismi di difesa.
Il tema della leadership è sviluppato da C. Argyris in parallelo con le tesi di D.
McGregor. Uno dei suoi primi lavori è dedicato allo studio di un particolare caso: il
rapporto tra un dirigente e i suoi collaboratori, da cui trae spunto per studiare il sistema
di relazioni che derivano da uno stile di leadership autoritario (fondato sulla teoria X) .
Questa particolare analisi rileva l'influenza del leader autoritario sui comportamenti
delle altre persone all'interno dell'organizzazione. Argyris studia quindi il rapporto tra
individuo e organizzazione (1957) dove sostiene che le organizzazioni, per raggiungere
i loro obiettivi si danno una struttura basata su vari principi tra cui: la gerarchia, la
specializzazione, l'unità di comando, producendo però un conflitto tra l'individuo e
l'organizzazione stessa.
Argyris si addentra nella psicologia, affermando che l'uomo è un sistema in equilibrio,
fra le sue componenti e l'ambiente esterno. Se l'ambiente esterno minaccia l'individuo,
egli reagisce mediante i meccanismi di difesa, quei particolari meccanismi psichici che
spingono l'uomo a proteggere la propria integrità personale da fonti esterne.
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All'interno dell'organizzazione, un dirigente troppo autoritario puo' creare nei
collaboratori ansie, frustrazioni e fallimenti, che a loro volta attivano i meccanismi di
difesa quali apatia, rifiuto, aggressività, disinteresse, e tali reazioni difensive possono
essere individuali o di gruppo, scaturendo veri e propri conflitti tra persone e
organizzazione e azioni formali di natura sindacale.
Argyris Analizza la possibilità di un cambiamento nello stile di leadership, perché solo
questa peculiarità organizzativa è in grado di favorire lo sviluppo e la maturazione delle
risorse umane e consentire loro il soddisfare delle proprie esigenze e motivazioni.
Nel campo della leadership Argyris si avvicina molto alle teorie di McGregor sulla
centralità dello stile di leadership all'interno dell'efficienza organizzativa, in questo caso
entrambi gli autori si soffermano sulla necessità di sostituire stili di comando e di
controllo autoritari (teoria X) con stili più partecipativi e motivazionali (teoria Y) :
sarebbe un modo diverso di vedere la realtà organizzativa e di valorizzare la natura delle
risorse umane.
Idee analoghe sono suggerite da R. Likert riguardo la primaria necessità di valorizzare il
capitale umano all'interno della realtà organizzativa.
In conclusione, Argyris si muove sulla stessa linea di pensiero di questi due autori,per
essi è comune l'esigenza di orientare la leadership alla valorizzazione e motivazione
delle risorse umane per ottenere la stabilità organizzativa.
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Capitolo 5
Studi di Herbert Simon sull'organizzazione.
5.1 I soggetti in rapporto con le organizzazioni.
Herbert Simon negli anni Quaranta cerca di capire quali ragioni inducono un individuo
ad accettare i vincoli che derivano dal rapporto con le organizzazioni di lavoro.
L'organizzazione deve offrire secondo lui, delle retribuzioni in denaro e ricompense
indirette come quelle collegate allo sviluppo dell'organizzazione. Identità di scopi,
ricompense indirette di carattere materiale, e ricompense collegate allo sviluppo
dell'organizzazione sono tre differenti motivi, ciascuno dei quali è sufficiente per
spiegare la disponibilità a prendere parte all'attività dell'organizzazione.
Il contributo degli individui è quindi legato a un rapporto di scambio con
l'organizzazione, che offre loro “allettamenti” di varia natura. Specularmente,
l'organizzazione è in grado di fornire ricompense solo in quanto altri gruppi di soggetti,
con i loro contributi, generano le risorse necessarie. Con questa riflessione Simon
classifica i soggetti che sono in rapporto di scambio con l'organizzazione:
- gli imprenditori: fondano l'organizzazione offrendo impegno e attività, per ricevere in
cambio prestigio e ricompense materiali, sotto forma di profitto;
- i clienti: Offrono risorse (usualmente in denaro) in cambio di prodotti o servizi;
- i dipendenti: offrono il loro tempo e la loro energia in cambio di un salario;
i dipendenti non offrono un servizio specifico, ma la possibilità, per chi dirige, di
utilizzare a discrezione la loro opera e il loro tempo. Alla base della relazione tra
45
individuo e organizzazione vi è un contratto, con cui si definisce un rapporto
continuato d'autorità tra l'organizzazione e il dipendente. La natura peculiare del
contratto di lavoro subordinato è stata evidenziata da Simon e caratterizzata in ragione
della sua continuità: l'organizzazione offre sostentamento (con continuità) in cambio di
accettazione dell'autorità, entro un “ambito di accettazione” (che Barnard definiva zona
di indifferenza”). Per Simon resta tuttavia importante analizzare l'area di accettazione
entro ci il dipendente è disposto ad assecondare l'autorità organizzativa.
5.2 I meccanismi di influenza dell'organizzazione (H.Simon).
Un'organizzazione cerca di influenzare le decisioni degli individui che la compongono.
Simon ritiene che l'autorità sia soltanto una delle forme attraverso cui esercita influenza
sulle decisioni e sulle azioni e considera accanto a questa, altre forme di influenza come
la comunicazione, il criterio di efficienza, l'identificazione con i fini organizzativi.
Meccanismi di influenza (H.Simon) :
- l'autorità: è la forma più diretta di influenza sulle premesse decisionali. Essa è inoltre
una forma di potere, il “potere di emettere decisioni che influenzano l'azione altrui”
(M.Weber). L'origine di questo stato di subordinazione va cercata nel contratto di
lavoro, in base al quale il prestatore d'opera accetta un rapporto continuo di autorità.
Nonostante il contratto di lavoro, la disponibilità all'obbedienza non è senza vincoli, ma
è definita, sia pure in termini generali, dai confini del ruolo occupato dal lavoratore
all'interno dell'organizzazione;
- la comunicazione: è lo strumento più tipico per il trasferimento delle premesse
decisionali, non solo lungo la piramide organizzativa, ma in ogni direzione della rete
46
che lega tra loro tutti i membri di un'organizzazione. Il processo di trasferimento di
informazioni, conoscenze, suggerimenti e ordini non può privilegiare il percorso dal
vertice verso il basso, è dunque fondamentale far defluire le informazioni in modo
adeguato mediante un percorso di comunicazione a due sensi che permetta un dinamico
scambio di informazioni lungo tutto il sistema organizzativo. Poiché la comunicazione
organizzativa è un meccanismo d'influenza delle premesse decisionali, risulta prioritaria
l'efficacia della ricezione: occorre dunque che i messaggi siano ricevuti e interpretati
correttamente, in modo corrispondente alle intenzioni di chi li ha emessi. La
comunicazione di ritorno, il feedback, è una delle condizioni basilari di efficacia
organizzativa perchè consente di sintonizzare le decisioni e valutare il grado di
comprensione reciproca;
- Il criterio di efficienza: oltre alla comunicazione e all'autorità vi sono altre forme di
influenza che agiscono dall'interno dell'individuo. Simon attribuisce questa proprietà a
due meccanismi: l'efficienza e l'identificazione dell'individuo (che vedremo
successivamente) . Il criterio di efficienza è un criterio razionale, con molti punti di
contatto con il concetto di massimizzazione dell'utilità della teoria economica. Dove
non è possibile quantificare in termini monetari l'efficienza di un'organizzazione, Simon
rileva l'esigenza di trovare alcuni sostituti del denaro per definire i valori della
produzione.
Il concetto di Indice di valore è di grande interesse dal punto di vista della pratica
amministrativa: si diffonde sempre di più all'intero delle organizzazioni pubbliche e
private l'orientamento a definire obiettivi che i singoli processi amministrativi
perseguono in termini di indici, con cui possono valutare i risultati dell'azione
amministrativa. Non sempre questi indici hanno un valore monetario, anche
nell'impresa privata; vi sono alcuni valori, come ad esempio la qualità dell'ambiente in
47
cui si opera, o la sicurezza dei lavoratori, che non vengono tradotti in valori monetari,
ma ciò non significa che possano essere trascurati dall'azione imprenditoriale e che non
possano essere quantificati. La ricerca di indici con cui valutare i risultati raggiunti e
commisurarli ai costi è un'esigenza organizzativa che favorisce il diffondersi
dell'orientamento all'efficienza;
- l'identificazione: come abbiamo già detto, difficilmente gli obiettivi dell'individuo
coincidono con quelli dell'organizzazione. La personalità organizzativa vista come
l'insieme degli obiettivi dell'impresa è percepita solamente dai soggetti che si
rapportano ai fini dell'impresa stessa, come i clienti o gli imprenditori. La maggior parte
dei dipendenti avrà difficoltà nel percepire i fini organizzativi come propri fini. Per
Simon l'identificazione è un particolare vincolo emotivo che fa sentire i suoi effetti sulle
decisioni individuali ed è un meccanismo importante per la costruzione dell'ambiente
della decisione; gli aspetti emotivi hanno dunque il loro peso sul comportamento
organizzativo, e non soltanto, come avevano messo in evidenza vari studiosi, per la
necessità di salvaguardare la sfera personale del lavoratore, che è appunto una sfera
emotiva lontana dala sfera materiale e razionale di chi dirige un'azienda. Qui la sfera
emotiva viene introdotta per segnalare un meccanismo grazie al quale i valori
dell'organizzazione e la sua razionalità si impongono sui valori individuali, così che i
confini della razionalità individuale si allargano e i suoi limiti si riducono.
5.3 Il dirigente: Programmatore e Coordinatore di attività.
H.Simon Focalizza la sua attenzione sulla questione del coordinamento, che considera
la componente fondamentale del processo amministrativo.
Il processo amministrativo è riconducibile alla formula:
48
Programmazione – Esecuzione - Controllo.
Poiché l'esecuzione è il centro focale di ogni organizzazione, l'attenzione si rivolge alle
due attività che, rispettivamente, precedono e seguono l'esecuzione, ma soprattutto la
integrano in un insieme coordinato. La programmazione e il controllo sono due tecniche
amministrative di primaria importanza nel processo decisionale di un'organizzazione:
- la programmazione è una tecnica per effetto del quale l'esperienza di più persone
viene portata su un problema prima di effettuare la decisione;
- il processo di controllo consente ai dirigenti di determinare effettivamente ciò che
fanno realmente i subordinati, e può essere di tre tipi:
- controllo dei risultati dell'attività svolta dai subalterni;
- controllo dei prodotti materialmente lavorati;
- la sorveglianza diretta sul lavoro;
Se il controllo è finalizzato a correggere le decisioni individuali dei subordinati, allora si
è in presenza di una tendenza all'accentramento. Se invece il controllo è finalizzato a
scoprire l'insufficienza dei mezzi del subordinato, e dunque di quali risorse possa aver
bisogno per migliorare le sue capacità decisionali, allora saremo di fronte ad una
tendenza al decentramento decisionale. La questione della scelta tra accentramento e
decentramento ricade sempre sul dirigente; non esiste una ragione sufficiente che possa
fare prevalere una delle due opzioni. Nel valutare il giusto equilibrio tra accentramento
e decentramento, la decisione amministrativa del dirigente deve essere pensata come
scomposta in una serie di componenti collegate tra loro, il peso di ognuna può essere
diverso, ma nessuna va trascurata, perché qualunque fase della decisione
amministrativa, anche la più banale, può compromettere il risultato organizzativo. Ogni
49
decisione si completa con tutte quelle che la precedono e la seguono. Decidere di
produrre tanti pezzi in un giorno può essere il risultato di un insieme di decisioni più
semplici, dalla richiesta del cliente all'assenso del venditore, ala valutazione della
programmazione, dei tempi e dei materiali; tutte le parti coinvolte apportano la loro
competenza, ed ogni competenza è il tassello del mosaico decisionale. Nasce l'idea
secondo cui il compito del dirigente e dell'amministrazione non sia solo imporre ordini
ai sottoposti, ma progettare secondo le capacità dei sottoposti, un ambiente
Organizzativo in cui ha luogo il processo di formazione delle decisioni, in modo che il
soggetto riesca ad avvicinarsi il più possibile alla razionalità organizzativa. Questo è
essenzialmente il compito dell'amministratore: progettare un organizzazione dove si
possa fornire a ciascuna persona un ambiente di decisione tale da permettere che il
comportamento razionale dal punto di vista soggettivo lo sia anche dal punto di vista del
gruppo, in modo tale che sia l'ambiente a influire sul processo decisionale e non il
contrario.
50
Capitolo 6
Il clima organizzativo.
6.1 Una definizione di clima
Studiando l'organizzazione, i vari autori che abbiamo incontrato hanno fatto un'analisi
scientifica della realtà interna all'organizzazione stessa, mediante l'osservazione e
l'esperimento, formulando ipotesi e teorie. Il concetto di Clima che stiamo per
introdurre richiama l'attenzione sul carattere di un ambiente organizzativo che influenza
i comportamenti delle persone, il clima è realmente lo “spazio vitale” che circonda più
individui, è ciò che si respira all'interno del luogo di lavoro.
Dal punto di vista della direzione delle risorse umane, l'attenzione ai “fenomeni
climatici” è essenziale per verificare il grado di consenso diffuso all'interno dell'
azienda, per comprendere lo stato di salute dei meccanismi interni all'organizzazione.
Cosa vuol dire, sviluppare un'analisi di clima? Quali informazioni può darci tale analisi?
La definizione di clima atmosferico calza perfettamente con lo studio “scientifico”
dell'organizzazione, in quanto il clima è l'insieme delle condizioni atmosferiche medie
(determinate da vari fattori) che caratterizzano una determinata regione geografica.
Per analogia, il clima organizzativo è l'insieme dei fattori che agiscono sui
comportamenti collettivi e che caratterizzano l'ambiente sociale dell'organizzazione.
51
6.2 La formula di K.Lewin.
Uno dei primi studiosi del clima organizzativo è stato Kurt Lewin, che mediante i suoi
studi è ricordato per una formula da lui descritta, capace di interpretare il rapporto tra
l'individuo e l'organizzazione.
-Formula di Lewin : C = f ( PA ) ;
C è il comportamento degli individui, P è la persona, l'insieme dei tratti individuali che
spingono la persona ad agire secondo i propri motivi, orientamenti, ed A è l'ambiente
circostante, che a sua volta contribuisce a determinare e influenzare questi orientamenti.
Lo studio del clima organizzativo consiste nella messa a fuoco della variabile A della
formula, l'ambiente circostante.
Quindi il comportamento di un individuo è funzione regolata da fattori interdipendenti
costituiti dalla sua personalità P e dall'ambiente A che lo circonda. Persona e ambiente
sono considerati da K. Lewin come un sistema interconnesso che va a formare
“lo spazio vitale” (Il clima) cioè l'insieme di stimoli che nascono nel rapporto tra
l'individuo e l'organizzazione.
Lewin compie vari esperimenti su dei gruppi sociali, mediante l'osservazione
partecipante (analisi sul campo, interviste, questionari) cerca di intervenire su alcune
variabili rilevanti, come per esempio lo stile di leadership, per verificare gli effetti reali
sui gruppi e i cambiamenti che ne scaturiscono. Analizza le forze capaci di
destabilizzare il gruppo sociale, e studia come il comportamento individuale di un
soggetto sia fortemente influenzato dal gruppo e dall'atmosfera dominante all'interno di
tale gruppo.
52
6.3 Esperimenti sul clima organizzativo
Un esperimento a cui K. Lewin si richiama è quello descritto da Lippit & White (1943)
sull'aggressività tra i membri dello stesso gruppo di ragazzi, indotta da comportamenti
di leadership dell'insegnante. Lo studio empirico del livello di aggressività nelle
atmosfere autocratiche e democratiche, mostra che lo stesso gruppo di ragazzi reagisce
in modo diverso quando cambiano le atmosfere interne: il mutamento è attribuito così al
diverso clima sociale, nel caso in analisi al diverso stile di comando. Analizzando i
risultati dello studio, emerge un livello di aggressività tra i membri del gruppo molto
alto o molto basso quando lo stile di comando era orientato a determinare un clima
autocratico, mentre in un clima democratico l'aggressività si manteneva a un livello
intermedio. In seguito Lewin considera L'influenza dell'atmosfera sull'individuo, e
nell'esperimento con due gruppi separati, caratterizzati da due atmosfere diverse, fa
trasferire due individui rispettivamente, ciascuno nell'altro gruppo: dopo poco tempo
ciascuno dei due si comportava come l'altro, prima che avvenisse il mutamento. Esempi
come questo, inducono a pensare che Il comportamento Individuale della persona è
fortemente influenzato dall'atmosfera dominante del gruppo sociale in cui è inserito,e
questo ragionamento vale ovviamente anche all'interno dell'organizzazione.
L'approccio sperimentale tipico di Lewin è stato ripreso da un altro esperimento degno
di nota, che è stato compiuto da Litwin & Stringer (1968) dove si sono proposti di
testare le ipotesi circa l'influenza dello stile di leadership sul clima organizzativo e di
quest'ultimo hanno analizzato le motivazioni e i comportamenti delle persone. Con
questo esperimento si misurarono le reazioni indotte da tre stili di leadership all'interno
di tre organizzazioni simulate, ciascuna formata da quindici persone, più un presidente.
L'esperimento durò tre settimane, dove vennero analizzate minuziosamente tutte le
variabili considerate significative, come gli obiettivi perseguiti, le caratteristiche dei
53
volontari, e la tecnologia simulata. Alla fine del periodo di osservazione, fu
somministrato un questionario a coloro che avevano partecipato all'esperimento, per
misurare le variabili di clima.
Va segnalata la somiglianza con gli esperimenti di Lewin perché anche in questo caso
vengono analizzati gli stili di leadership, che hanno le seguenti caratteristiche:
− uno stile di leadership basato su una rigida struttura formale (autoritario-
formale);
− uno stile di leadership basato su una struttura informale con comportamenti
amichevoli (democratico-informale);
− uno stile di leadership orientato a stimolare la produttività e l'innovazione
(innovativo-permissivo-orientato al risultato);
Gli effetti studiati, come variabili dipendenti, sono le motivazioni e i risultati produttivi.
Il principale risultato dell'esperimento è che i tre stili di leadership crearono tre ambienti
sociali diversi, tre climi diversi e motivazioni personali diverse. L’esperimento
conferma dunque, l’esistenza di una relazione significativa fra stile di leadership, tipo
di clima instaurato e tipo di motivazioni stimolate presso i partecipanti.
Gli esperimenti condotti da Litwin & Stringer (1968) segnano il definitivo
consolidamento del concetto di clima come strumento di analisi del comportamento
organizzativo. Il clima è dunque proposto come un elemento fondamentale di un
organizzazione ed è presentato (come afferma Litwin) come “uno strumento di lettura
dei fattori che determinano il comportamento in situazioni sociali reali e complesse”.
Lewin lo definisce come “un fenomeno percettivo, dunque soggettivo, ma anche
54
attributo del sistema”.
6.4 Dal clima alla cultura,conclusioni
Abbiamo detto che il clima organizzativo è ciò che si "respira" all'interno del luogo di
lavoro, è ciò che regola gli umori, i rapporti tra le persone. Il clima influenza tutto
quello che avviene nell'organizzazione, dallo svolgimento delle proprie mansioni ai
rapporti Verticali (con i superiori) e orrizzontali (con i colleghi). Un buon clima
permette all'organizzazione di raggiungere più facilmente i suoi obiettivi ed ottenere dei
buoni risultati in termini di efficienza (prestazione-costi), oltre che in termini di armonia
interna. Il clima di un'organizzazione è stato riconosciuto come indicatore della qualità
delle relazioni interne.
Una delle definizioni attualmente più accreditate interpreta il clima in relazione alla
cultura di un'organizzazione, ovvero riconoscono il clima come percezione, da parte
delle persone, della cultura di cui essa è portatrice.
55
Capitolo 7
La cultura organizzativa.
7.1 Introduzione alla cultura Organizzativa
Nell'ambito degli studi organizzativi il tema della cultura era da tempo emerso come
possibile chiave di accesso per la comprensione dei comportamenti all'interno
dell'organizzazione; la sua massima affermazione si è diffusa tra gli anni Settanta e gli
anni Ottanta ed ebbe una sorta di impulso per la letteratura manageriale del periodo.
Alcuni libri, pubblicati in quegli anni spostavano l'attenzione verso la spiegazione, in
chiave culturale di quel fenomeno economico mondiale che era il sistema produttivo
Giapponese.
Sono molteplici le ricerche condotte per comprendere realmente le peculiarità di questo
sistema produttivo, il prevalere giapponese sull'elettronica, sull'automobilistica,
sull'industria fotografica e sulla cantieristica navale era davvero imponente. Le
pubblicazioni e le ricerche conducevano tutte ad un unico quesito: perché i Giapponesi
sono così bravi?
La risposta più plausibile, poi confermata da vari studi, era una ragione di ordine
culturale.
W.G Ouchi (1981) è stato uno dei primi ad analizzare le differenze tra il metodo
americano di gestire le aziende (chiamata da lui Teoria A, American) basato sulla teoria
classica dell'organizzazione, sulla gerarchia burocratica, su processi decisionali
individuali, sulla responsabilità individuale, sulla leadership verticale, sulle valutazioni
56
formali e sul turn-over dei lavoratori (ricorda molto la teoria X di McGregor) e il
metodo Giapponese (chiamata Teoria J, Japanese) caratterizzato invece da processi
decisionali collettivi, responsabilità collettiva, leadership collaborativa che valorizza
l'individuo, valutazioni informali e rapporti d'impiego a tempi lunghi.
Per emulare i risultati organizzativi Giapponesi, alcune aziende americane hanno
adottato in quegli anni, sistemi di gestione simili a quelli giapponesi, ma con alcuni
tratti differenti (Ouchi ha chiamato questa “Via i mezzo“ Teoria Z ) e la differenza più
importante tra le aziende giapponesi e quelle americane è la responsabilizzazione delle
decisioni, collettiva nelle giapponesi, e ovviamente Individuale in quelle americane.
La differenza tra queste teorie riguarda soprattutto i modi di gestire il personale, che
danno luogo, nel caso della teoria Z a rapporti basati sulla fiducia e sull'impegno
reciproco, e non sul conflitto e sul confronto: e ciò genera secondo Ouchi un efficace
coordinamento tra le diverse componenti organizzative. Il libro di Ouchi è diventato
negli anni Ottanta un best-seller, e ha contribuito ala fama del modello produttivo
Giapponese.
Un altro best-seller fu quello di Peters & Waterman (1982). I due autori, due consulenti
in una delle più note società di management in America, crearono una classifica delle
aziende americane meglio guidate, secondo una varietà di criteri, con cui isolarono 43
aziende (per citarne alcune: 3M, Hawlett-Packard, IBM ) e per spiegare le performance
di questa aziende individuarono 8 Peculiarità, 8 tratti comuni che gli autori proponevano
come modello da seguire a chi volesse emularne i risultati:
Gli 8 Principi dell'eccellenza di Peters & Waterman (1982):
- propensione all'azione;
57
- orientamento al cliente;
- incoraggiamento all'autonomia e all'imprenditorialità;
- coinvolgimento del personale;
- enfasi su un valore chiave;
- concentrazione dell'attività sulle aree note;
- struttura semplice e staff ridotto;
- flessibilità dei controlli;
Alcuni di questi principi enunciati come condizioni di eccellenza, portavano l'attenzione
proprio sulla dimensione culturale e su linee guida basate sulla valorizzazione del
fattore umano.
Nasce negli anni Ottanta la consapevolezza che i tratti culturali consentono di capire la
realtà profonda delle organizzazioni e di andare al di là dell'apparenza superficiale. Tra
i principi dell'eccellenza di Peters & Waterman troviamo “l'enfasi su un valore chiave”,
i valori sono considerati i veri portatori di quel cemento culturale che dà forza e crea
unità all'interno dell'organizzazione.
La nozione di cultura è secondo Smircich (1983) una metafora che impone di ripensare
radicalmente le organizzazioni, non più come oggetti fisici da utilizzare come strumenti,
ma come forme espressive e simboliche, come fenomeni sociali, di cui la cultura
costituisce l'essere.
Descrivere la cultura organizzativa aiuta a cogliere aspetti fondamentali della realtà
organizzativa, a comprendere molte condizioni del suo funzionamento, e a valutarne
caratteristiche che altrimenti sarebbero ignorate.
58
7.2 Che cos'è la cultura Organizzativa?
Definire un’organizzazione tenendo presenti i meccanismi, le regole, gli scambi e le
relazioni che troviamo al suo interno, non è semplice. Esistono, infatti, molti tentativi e
descrizioni sicuramente validi ma spesso, se presi singolarmente, non sufficienti a
descrivere “l' azienda”. Ogni azienda è caratterizzata da norme e strutture ma è formata
anche da emozioni, valori, percezioni e aspettative, che influenzano notevolmente
l’andamento dell’organizzazione stessa , aiutandola o ostacolandola nel raggiungimento
degli obiettivi stabiliti.
Intervenire o fare un’analisi di un’azienda significa, quindi, studiare e osservare queste
dinamiche effettuando un’analisi del clima organizzativo e uno studio della cultura
aziendale alla base della formazione del clima stesso.
Conoscere la cultura di un’organizzazione è fondamentale per la comprensione dei
meccanismi, degli atteggiamenti e degli scambi tra gli individui che la compongono.
La cultura esistente in un’organizzazione influenza i comportamenti e le relazioni al suo
interno favorendo in alcuni casi il buon esito del lavoro per il conseguimento degli
obiettivi aziendali, mentre a volte può essere la causa di disfunzioni che ostacolano la
crescita e il cambiamento della stessa. La cultura, infatti, può contribuire a creare e
consolidare il senso d’identità, a facilitare l’impegno collettivo e il lavoro di gruppo, a
fungere da meccanismo di controllo e a definire degli schemi di riferimento su cui si
basa l’interpretazione della realtà, ed è per questo motivo che uno degli interessi primari
del buon dirigente deve essere il controllo ed ovviamente il rispetto della cultura
dell'organizzazione in cui opera.
59
7.3 Cultura e clima, due concetti distinti ma legati tra loro
il clima organizzativo è una caratteristica delle organizzazioni che si riflette nelle
descrizioni che i membri fanno delle politiche, delle pratiche e delle condizioni esistenti
nell’ambiente di lavoro e, oltre ad essere direttamente influenzato dalle interazioni tra
gli individui, che trasformano le percezioni individuali delle caratteristiche
organizzative, esso è anche influenzato dalla cultura che, a sua volta, modera le
percezioni individuali e i processi intersoggettivi.
Clima e cultura organizzativa sono appunto due concetti distinti ma legati tra loro a
causa dell’influenza che la cultura esercita sul clima, ed è per questo necessario
analizzare le relazioni e le differenze fra i due concetti.
Per quanto riguarda le origini, mentre il clima affonda le sue radici nella psicologia
sociale, la cultura nasce nell’ambito dell’antropologia. La psicologia sociale pone
l’attenzione sugli individui, sulle risposte cognitive, sulle reazioni affettive e sui
processi percettivi attraverso i quali l’individuo apprende e discrimina le caratteristiche
dell’ambiente interno di un’organizzazione, tipici della formazione del clima.
La cultura, invece, per il suo legame con l’antropologia, analizza le strutture sottostanti i
miti, i simboli e i rituali che rendono manifesti i valori, le norme e i significati condivisi
in un gruppo e, in questo caso, in un’organizzazione. Di conseguenza, mentre gli
antropologi esaminano alcuni aspetti della cultura (ad es. miti, leggende e simboli), che
esprimono valori condivisi, gli psicologi sociali studiano le modalità attraverso cui
questi valori vengono condivisi.
L’importanza della condivisione dei significati e delle aspettative è riconosciuta da
entrambi come indispensabile al processo organizzativo, ma gli psicologi si interessano
al significato sociale che si riflette sugli individui mentre gli antropologi si occupano
60
delle analogie collettive.
Clima e cultura si sovrappongono nelle componenti delle dimensioni espressive e
comunicative delle organizzazioni:
- il clima si riferisce a quelle caratteristiche comportamentali e agli atteggiamenti degli
individui che sono maggiormente accessibili ad un osservatore esterno;
- la cultura invece rappresenta quegli aspetti di un’organizzazione più impliciti e più
difficili da interpretare in modo immediato dall’esterno e racchiude quei valori collettivi
propri dei membri che si manifestano attraverso valori, norme e ideologie condivise.
7.4 J. Pfeffer e A. Pettigrew: la cultura, Simboli e significati condivisi.
Jeffrey Pfeffer (1981) segnala la particolare importanza della condivisione di significati
e dell'istituzionalizzazione delle azioni degli individui interni ad un organizzazione, e
della sua necessaria prevalenza rispetto alla standardizzazione delle azioni basata su
procedure imposte e sanzionate: secondo lui, la conformità dei comportamenti è un
risultato che non rientra nella logica delle azioni fisiche ma in quella delle azioni
simboliche. Per questo l'attività amministrativa e il lavoro manageriale deve “gestire i
miti, simboli e valori” interni alla cultura, ovvero (secondo una formulazione di K.E
Weick e poi ripresa da Pfeffer) l'attività del manager deve assomigliare di più a quella
dell'evangelista che a quella del contabile, o ancora come ha affermato Pondy (1978) :
uno dei compiti del dirigente è dare una definizione e una spiegazione dell'attività
dell'organizzazione, verso l'interno, per ottenere un'azione collettiva organizzata e verso
l'esterno per legittimare l'organizzazione stessa e la sua attività.
Lo studio di Pfeffer descrive i comportamenti manageriali come comportamenti atti alla
61
creazione di significati, alla razionalizzazione, legittimazione e interpretazione
dell'azione organizzativa per influenzare altri attori sociali. Questo, dice Pfeffer, è il
vero terreno d'azione del management, il terreno delle risorse simboliche.
Una delle definizioni più generali e chiare di cultura organizzativa è proposta da A.
Pettigrew (1979) che afferma:
“La cultura organizzativa è il sistema dei significati pubblicamente e collettivamente
accettati, operante per un gruppo determinato in un momento determinato”.
Gli studi sociologici ed antropologici hanno mostrato come la cultura si forma
all'interno di un gruppo sociale, dal momento che i valori diventano comuni al gruppo,
vengono accettati e condivisi. L'esito della condivisione di significati e valori porta al
concetto di istituzionalizzazione, cioè la comprensione e socializzazione reale di quei
particolari valori, che diventano propri della cultura dell'organizzazione.
Quando si dice che “l'organizzazione ha sviluppato una propria cultura” si intende che
al suo interno si sono sviluppati sistemi di significato non solo tecnico-scientifici
(competenze tecnico-professionali), non solo linguistici (il linguaggio che si impara
“vivendo l'organizzazione”), ma anche mitici. Per questo si può riconoscere l'esistenza
di miti organizzativi, non solo in quanto fatti e storie riguardanti le origini, la
trasformazione, i successi, i momenti critici, gli eroi, ma in quanto l'organizzazione ha
prodotto, nella sua storia, veri e propri sistemi di simboli portatori dei valori
organizzativi.
7.5 La cultura organizzativa: conclusioni.
Gli studi sulla cultura dell'organizzazione hanno dato un contributo molto importante
Individuo e organizzazione, stili di leadership e dinamiche strutturali
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Individuo e organizzazione, stili di leadership e dinamiche strutturali

  • 1. Università degli studi di Genova Facoltà di Scienze Politiche Corso di Laurea Triennale in Amministrazione, Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane Tesi di Laurea in Sociologia dell'Amministrazione Individui e Organizzazione: Tipi di leadership e dinamiche strutturali Relatore Candidato Chiarissimo Professore Giovanni Capello Stefano Monti Bragadin Anno Accademico 2010-2011
  • 2. 2 Indice Prefazione………………………………………………………………………… Parte 1……………………………………………………………………………. L’organizzazione Novecentesca………………………………………................. Capitolo 1……………………………………………………………………….... Le risorse umane e l’organizzazione…………………………………………...... 1.1 Il termine “risorse umane”……………………………………………….. 1.2 Il potere e l’autorità, analisi sociologica………………………………..... 1.3 Il conflitto……………………………………………………………….... Capitolo 2…………………………………………………………………..…….. Lo studio della sociologia all’interno dell’organizzazione………………………. 2.1 Sociologia delle organizzazioni: i gruppi organizzati……………………. 2.2 Sociologia delle organizzazioni: la burocrazia…………………………… 2.3 Il formalismo burocratico di R.K Merton………………………………... 2.4 I giochi di potere di Michel Crozier……………………………………… 2.5 Organigramma e forme d’organizzazione in M.Weber………………….. 2.6 Attori e decisioni…………………………………………………………. Capitolo 3………………………………………………………………………… Storia del Management, cenni………………………………………………....... 3.1 Evoluzione del management delle risorse umane: cenni storici…………. 3.2 Analisi del “caso Ford”…………………………………………………... 3.3 Comportamento organizzativo, motivazioni e ricompense………………. 3.4 Ricerche sul fattore umano (1920)……………………………………….. 3.5 Equilibrio tra Persone e Organizzazione: il comportamento cooperativo.
  • 3. 3 3.6 Il comportamento cooperativo: condizionamento sociale……………….. 3.7 Economia degli incentivi e persuasione………………………………….. Capitolo 4………………………………………………………………………… Studi sulla leadership organizzativa…………………………………………….. 4.1 Il governo organizzativo e la funzione di organizzazione, leadership…… 4.2 Guru del management (1960): studi sulla direzione , esperimenti sulla centralità del “capitale umano”………………………………………….. 4.3 Douglas McGregor: Stili di direzione, teoria X e teoria Y………………… 4.4 Douglas McGregor: Applicazione della teoria Y : Il piano Scanlon…….. 4.5 Sistema produttivo Giapponese: cenni storici del “Toyotismo”…………. 4.6 Rensis Likert: il dilemma del dirigente, capitale umano e gruppi di lavoro……………………………………………………………………… 4.7 Chris Argyris: individuo, organizzazione e meccanismi di difesa……….. Capitolo 5………………………………………………………………………… Studi di Herbert Simon sull’organizzazione……………………………………... 5.1 I soggetti in rapporto con le organizzazioni……………………………… 5.2 Meccanismi di influenza dell’organizzazione (H. Simon)……………. 5.3 Il dirigente: Programmatore e coordinatore di attività…………………... Capitolo 6…………………………………………………………………..…… 6.1 Definizione di “clima”………………………………………………….. 6.2 La formula di K.Lewin…………………………………………………. 6.3 Esperimenti sul clima organizzativo……………………………………. 6.4 Dal clima alla cultura, conclusioni……………………………………… Capitolo 7……………………………………………………………………….. La cultura organizzativa………………………………………………………... 7.1 Introduzione alla cultura organizzativa…………………………………. 7.2 Che cos’è la cultura organizzativa………………………………………
  • 4. 4 7.3 Cultura e clima, due concetti distinti ma legati tra loro……………….... 7.4 J. Pfeffer e A. Pettigrew: La cultura, simboli e significati condivisi…… 7.5 La cultura organizzativa: conclusioni…………………………………… Parte 2………………………………………………………………………….. L’Organizzazione Contemporanea…………………………………………….. Capitolo 8……………………………………………………………………….. L’impresa che ascolta…………………………………………………………… 8.1 Il management nella Living & Learning Company………………………. 8.2 Le risorse umane : “persone giuste al posto giusto”…………………….. 8.3 Leadership e sviluppo delle risorse umane……………………………… 8.4 Nuove metodologie del management nello sviluppo e formazione dell’individuo……………………………………………………………. 8.5 Empowerment sugli individui…………………………………………… Capitolo 9………………………………………………………………………… Il leader. …………………………………………………………………………. 9.1 Il leader all’interno dell’organizzazione…………………………………. 9.2 Classificazione degli stili di leadership (Lippit & White, 1943)………… 9.3 Classificazione degli stili di leadership (Litwin & Stringer, 1968)……… Capitolo 10………………………………………………………………………. Leadership innovativa della produttività , studio di un caso: La Toyota Corporation…………………………………………………………… 10.1 Verso la terza rivoluzione industriale…………………………………… 10.2 L’avvento del Toyotismo………………………………………………. 10.3 La qualità totale del Toyota production system………………………... 10.4 La leadership all’interno della Toyota Corporation……………………... 10.5 Leadership innova della produttività: caratteristiche……………………. Capitolo 11…………………………………………………………………… Leadership carismatica, analisi Sociologica…………………………………
  • 5. 5 11.1 La teoria del carisma,: inquadramento storico…………………… 11.2 Max Weber e il carisma politico……………………………………. 11.3 Influenza politica e leadership contemporanea…………………….. 11.4 Leadership carismatica e i Mass media …………………………… 11.5 La personalizzazione della leadership……………………………… 11.6 La leadership carismatica contemporanea………………………….. Capitolo 12……………………………………………………………………. 12.1 Apple, cenni storici…………………………………………………. 12.2 “Captain oh my captain”. Il team vincente e la leadership culturale di Steve Jobs…………………………………………………………. 12.3 Quando il capo è insostituibile……………………………………. 12.4 La semplicità……………………………………………………. 12.5 La ricerca dell’eccellenza, design e funzionalità…………………….. 12.6 Elitismo di Steve Jobs, reclutare i migliori…………………………….. 12.7 L’avventura della Pixar…Cenni……………………………………………. 12.8 Il lavoro di Steve Jobs………………………………………………… 12.9 La passione per il lavoro………………………………………………. 12.10 Un “grande intimidatore”………………………………………….. 12.11 Leadership autoritaria-arismatica: Caratteristiche della leadership di Steve Jobs……………………………………………………………… 12.12 Leadership autoritaria-carismatica nel caso di Apple inc.: Conclusioni
  • 6. 6 Capitolo 13……………………………………………………………………. Leadership Democratica / creativa, studio di un caso: Pixar animation studios. 13.1La definizione di una vision chiara………………………………… 13.2 Il clima creativo……………………………………………………… 13.3Individui e Team…………………………………………………….. 13.4 Personale, automotivazione e controllo……………………………… 13.5 Obiettivi a lungo termine, rispetto e fiducia…………………………. 13.6 Filosofia del gioco e dell’umore……………………………………... 13.7 Classificazione del dipendente ideale………………………………… 13.8 Leadership democratica-creativa, differenza tra culture, conclusioni... Capitolo14 …………………………………………………………………….. Conclusioni…………………………………………………………… Ringraziamenti………………………………………………………………. Bibliografia…………………………………………………………………….. Sitografia………………………………………………………………………..
  • 7. 7 PREFAZIONE: Il rapporto tra l'individuo e l'organizzazione è sempre stato molto difficile da Analizzare, perché richiede di tener conto di una quantità di elementi sempre in conflitto tra loro. Tra i motivi di conflitto, uno è considerato costante ma insanabile allo stesso tempo: gli interessi delle singole persone che lavorano sono oggettivamente in antitesi con gli interessi dell'organizzazione in quanto tale. Questo elemento è solo uno dei tanti che rende difficile l'analisi del rapporto strutturale tra l'individuo (l'uomo, che per soddisfare i suoi bisogni e le necessità di sé e della sua famiglia presta la sua opera, il suo lavoro) e l'organizzazione (l'insieme di persone e risorse che collaborano per svolgere un obiettivo specificamente definito) . Tale dinamica delinea un altro problema di gestione del rapporto individuo- organizzazione: il pericolo di privilegiare Il fare sul capire: - Fare: applicare delle routine procedurali (definite best practices) consolidate attraverso esperienze di altre organizzazioni e prese ad esempio all'interno della struttura organizzativa in analisi; - capire: è la comprensione sistematica dei comportamenti delle persone, mediante l'utilizzo di strumenti cognitivi (per es. le interviste) per approfondire le reali motivazioni che spingono l'individuo a compiere determinate azioni; Comprendere Il comportamento dell'uomo inscritto nell'organizzazione è necessario per comprendere l'organizzazione stessa, quale meccanismo composto da innumerevoli ingranaggi, necessari e mutevoli ma pur sempre persone con aspirazioni, sentimenti e motivazioni;
  • 8. 8 Per diversi aspetti, studiare le risorse umane significa proprio questo: considerare le variabili -micro per comprendere la variabile -macro. Tante persone (-micro) uniformano e condividono valori e motivazioni per coordinare con gli altri la propria attività di svolgimento degli obiettivi organizzativi (-macro). Sarà necessario analizzare i diversi codici interpretativi che dirigenti e lavoratori subordinati utilizzano per dare significato al loro agire. D. McGregor (1960) analizza questi codici interpretativi concludendo che sono essenzialmente due angolazioni prospettiche opposte della stessa realtà organizzativa, due linguaggi speculari che descrivono la stessa cultura dell'organizzazione: un linguaggio più “autoritario” (quello del dirigente) e un linguaggio più “partecipativo” (quello del lavoratore subordinato). L'identità organizzativa sarà influenzata dall'orientamento di questi due linguaggi e dall'azione di governo (e quindi dalla supremazia) di uno dei due (differenza tra la teoria X e la teoria Y, D. McGregor 1960). Scopo di questa tesi sarà comprendere il rapporto tra l’individuo e l'organizzazione analizzando: - le varie dinamiche strutturali della dimensione collettiva di lavoro; - la cultura organizzativa (condivisione di significati, valori, usi e costumi interni all'organizzazione); - la figura dell’imprenditore-leader e i suoi stili di leadership (carisma-partecipazione- autorità); - i parametri fondamentali dell'organizzazione (efficacia/efficienza);
  • 9. 9 - proponendo inoltre vari esempi e studi effettuati nel secolo scorso da vari sociologi tra cui i cosiddetti Guru del Management (R. Likert / D. McGregor / C. Argyris) negli anni Sessanta e altri studiosi in anni più recenti; Saranno analizzate inoltre le dinamiche strutturali interne di alcune organizzazioni contemporanee (Toyota Corporation / Apple inc. / Pixar Animation Studios.) che si sono distinte nella cultura organizzativa contemporanea per il loro stile di management.
  • 10. 10 Parte 1: l'organizzazione novecentesca. Capitolo 1 Le risorse umane e l'organizzazione. 1.1 il termine “risorse umane”. Lo studio del comportamento degli individui all'interno delle organizzazioni nasce con lo scopo di comprendere realmente il potenziale delle persone inquadrate in un contesto organizzativo ben definito. Nasce così il termine risorse umane per evidenziare l'aspetto di valore o capitale insito nel personale, nella sua professionalità e nelle sue competenze, e quindi, il fatto che le spese per lo sviluppo di tali risorse devono essere considerate investimenti. L'uso dell'espressione è inteso a sottolineare l'importanza delle risorse umane nell'ambito organizzativo, il loro essere una fonte di vantaggio competitivo per l'azienda e l'intero sistema economico. Uno dei modi per marcare questa nuova definizione è stata negli anni Ottanta la denominazione “management delle risorse umane” che ha sostituito la più tradizionale “direzione del personale”. 1.2 Il potere e l’autorità, analisi sociologica. Il potere è, per la sociologia ciò che l'energia è per la fisica; è infatti una specie di energia sociale, di cui un attore dispone nel condizionare le azioni di un altro. Si tratta dunque di un fenomeno di relazione: si ha potere nei confronti di un altro al quale si è legati da una relazione, per ambiti di comportamento più o meno estesi, in situazioni
  • 11. 11 particolari e non necessariamente in altre. Non esiste un accordo generale sul concetto di potere, ma la più nota definizione è quella di Max Weber (1922), secondo la quale potere è la possibilità di trovare obbedienza a un comando che abbia un determinato contenuto. L'analisi sociologica ha rilevato che a ogni rapporto di potere corrisponde anche un interesse all'obbedienza da parte del soggetto più debole, non fosse altro perché comportarsi in modo diverso sarebbe troppo costoso. Assumere questo punto di vista, che non impedisce di vedere quando o in che misura si tratti di un'imposizione o di una violenza, è importante perché ci obbliga a tener conto anche delle reazioni e delle strategie del soggetto più debole. E in generale all'espressione di un potere anche forte corrisponde una capacità più o meno grande di condizionare gli obiettivi, le modalità e le conseguenze. Inteso nei termini specifici della definizione precedente, il potere si distingue da una generale possibilità di condizionare il comportamento di altri, anche senza azioni dirette o comandi. Si tratta di forme diverse di energia sociale, che comprendono per esempio, i condizionamenti di chi, controllando una risorsa utile e rara, di fatto ne limita l'uso ad altri. In questi casi Weber usava il termine Macht, tradotto in Italiano potenza o potere di fatto, che consiste nella possibilità di indurre altri a comportarsi secondo il nostro volere, indipendentemente dai mezzi usati ed a prescindere da ogni espressione della loro volontà. Un altro tipo di potere che si differenzia dal potere di fatto è il potere legittimo o autorità. L'autorità riguarda relazioni nelle quali sono previsti diritti di dare ordini e doveri di obbedire, considerati legittimi da entrambi gli attori. La legittimazione del potere è un particolare modo di incanalare l'energia per i bisogni del funzionamento della società. Le relazioni d'autorità sono formalmente previste in tutti i gruppi
  • 12. 12 secondari e si ritrovano egualmente in gruppi primari come la famiglia. I genitori esercitano autorità sui figli in modo diffuso, perché diffuso è il loro ruolo; il capo ufficio, invece esercita autorità su un impiegato in modo specifico, solo per ciò che lo schema organizzativo prevede e non sugli aspetti della sua vita privata. Gli attori di una relazione possono andare però al di là degli ambiti della legittimazione. Il capo ufficio, per esempio, può pretendere favori personali da un impiegato: in tal caso non esercita più autorità, ma solo potere. I soggetti possono poi anche cercare di cambiare i criteri della legittimazione. In questi casi, l'energia si libera e si aprono conflitti. Ne deriva una conseguenza importante: se un regolamento organizzativo non può fissare più di tanto il compito di un impiegato in situazioni mutevoli e non prevedibili in astratto, si apre un campo di conflitti, adattamenti e contraddizioni tra i soggetti, che sono parte normale dell'interazione all'interno di ogni gruppo. 1.3 Il conflitto. Il conflitto riguarda azioni orientate dal proposito di affermare la propria volontà contro la volontà e la resistenza di altri, sia che tali azioni si svolgano nell'interazione all'interno di una relazione sociale stabile, come in famiglia o in azienda, sia che nascano specificatamente come relazione di conflitto. Il conflitto contribuisce a stabilire e mantenere i confini del gruppo. Attraverso il conflitto i soggetti di un gruppo acquistano o conservano facilmente la consapevolezza della loro identità e particolarità, mentre in assenza di conflitto ciò potrebbe anche non verificarsi o verificarsi debolmente. I gruppi che richiedono un impegno totale della personalità sono capaci di limitare i conflitti, ma se questi esplodono, tendono a essere di particolare intensità e anche distruttivi nelle relazioni di gruppo. Se il conflitto si
  • 13. 13 innesca, mette in gioco i forti investimenti della personalità e tocca una pluralità di contenuti. All'interno di un'organizzazione come l'azienda il conflitto usualmente nasce se il detentore del potere (il leader) esce eccessivamente dagli ambiti della legittimazione nei confronti dei suoi sottoposti.
  • 14. 14 Capitolo 2 Lo studio della sociologia all'interno dell'organizzazione. 2.1 Sociologia delle organizzazioni: i gruppi organizzati . Uno dei caratteri più evidenti della società moderna è la grande diffusione di associazioni e organizzazioni. in entrambi i casi si tratta di gruppi progettati per raggiungere alcuni limitati scopi, basati su regolamenti chiaramente stabiliti, al contrario dei piccoli gruppi informali come un gruppo di amici. Si tratta dunque di gruppi secondari formali. I due termini sono stati usati, e continuano a esserlo, con significati diversi, sino a considerare le organizzazioni come tipo particolare di associazioni, ma anche viceversa le associazioni con tipo particolare di organizzazioni (Donati 1992). Un gruppo di persone che ritiene di avere interessi o ideali simili può dare vita a una associazione per difenderli o realizzarli insieme. Una volta associate, Le persone in genere si distribuiscono fra loro alcuni compiti necessari alla vita di associazione, i vari soci dunque sono incaricati di svolgere ognuno il proprio compito. Con riferimento a questo aspetto, si dice che l'associazione si è data una sua organizzazione. Può anche succedere che le necessità dell'associazione richiedano che si costituisca un ufficio stabile per quei compiti, assumendo persone pagate perché li svolgano, secondo certe routine procedurali stabilite, con capacità professionali per farlo, rispondendo agli ordini di un responsabile. Noi chiamiamo questo ufficio un'organizzazione. Al contrario delle associazioni, nelle organizzazioni partecipare è un lavoro, remunerato
  • 15. 15 usualmente in denaro. Il motivo della partecipazione è dunque strumentale, e solo in certi casi o in parte può verificarsi anche un'identificazione più o meno sentita con i fini dell'organizzazione (come già detto nella prefazione, nella maggioranza dei casi, gli interessi delle singole persone che lavorano sono oggettivamente in antitesi con gli interessi dell'organizzazione). Possiamo aggiungere che, in un certo senso, nelle organizzazioni, al contrario delle associazioni, i ruoli vengono prima e sono più importanti delle singole persone che si uniscono in gruppo. Associazioni e organizzazioni hanno comunque in comune il fatto di essere degli attori artificiali, costruiti per raggiungere obiettivi che le persone reali da sole non potrebbero raggiungere; in tal senso possono essere considerate una delle più grandi invenzioni dell'uomo. Questi attori artificiali, una volta costituiti, cominciano ad avere vita propria: di un' organizzazione diciamo che ha certi scopi, possiede un patrimonio, ha una sede, prende una certa decisione. Siccome ci sono delle decisioni che possono essere considerate del gruppo, questo è anche definito un attore collettivo. Gli attori collettivi hanno popolato il nostro mondo. In particolare la diffusione delle organizzazioni è stata ovunque massiccia, al punto che la nostra società è stata definita una società di organizzazioni (Presthus 1962). 2.2 Sociologia delle organizzazioni: la burocrazia. Max Weber è uno degli studiosi più importanti per l'analisi sociologica delle organizzazioni. Il termine che Weber usa per definire la forma moderna di
  • 16. 16 organizzazione è burocrazia. Della burocrazia egli individua le principali caratteristiche, costruendone un modello teorico (chiamato da Weber ideal-tipo) al quale le organizzazioni concrete tendono più o meno a corrispondere. Per Weber, i principali caratteri della burocrazia sono i seguenti: - una divisione stabile e specializzata di compiti, studiata esclusivamente in vista degli scopi dell'organizzazione e stabilita da regole che prescrivono come comportarsi a seconda delle situazioni; - una precisa struttura gerarchica: chi occupa una posizione ha i poteri per compiere gli atti che a quella posizione competono, può dare ordini ad altri che da lui dipendono mentre deve obbedire agli ordini di chi è suo superiore diretto, il quale non può essere scavalcato da un suo superiore; è però anche strettamente previsto il tipo di ordini che si possono dare e ricevere, oltre i quali non si può andare (il c.d. ambito di legittimazione); insieme ai poteri di dare ordini competono anche poteri di controllo sulla loro esecuzione; - competenza specializzata per ogni posizione: questa richiede una preparazione adeguata di chi la posizione occupa, l'esercizio a tempo pieno e continuativo della professione, un'assegnazione alla posizione per mezzo di un meccanismo di concorso, come garanzia di competenza, e successivamente di meccanismi di carriera come gli scatti automatici per anzianità; - remunerazione in denaro in modi previsti per una certa posizione, pagata dall'organizzazione e mai dai clienti di questa; nessuna possibilità di appropriarsi del posto definitivamente, di cederlo ad altri o passarlo in eredità. «Un'organizzazione di questo genere si è diffusa nel mondo moderno perché si presta
  • 17. 17 "alla più universale applicazione a tutti i compiti". di conseguenza, oggi c'è soltanto la scelta tra burocratizzazione e dilettantismo» (cit. anonimo) Il motivo della sua efficienza sta poi fondamentalmente nel fatto che nella burocrazia potere e controllo sono esercitati sulla base della conoscenza e della competenza. In questo senso si tratta di un'organizzazione razionale. Va precisato che Weber non afferma che tutte le moderne organizzazioni debbano essere burocratizzate, anche perché spesso la burocrazia non è efficace e neppure efficiente. I sociologi usano il termine efficacia per indicare la capacità di un'azione di raggiungere i risultati che si propone, ed efficienza a valutare il dispendio di risorse impiegate per ottenere i risultati (H. Simon 1957). 2.3 Il formalismo burocratico di R.K Merton. I sociologi hanno sviluppato diverse interpretazioni del fenomeno organizzativo, costruendo modelli teorici di spiegazione più o meno complicati. Vediamone due in forma semplificata. il primo è di R.K. Merton (1949). La burocrazia richiede regole generali e chiaramente definite : i casi particolari devono essere classificati secondo categorie astratte previste e trattati tutti nello stesso modo a seconda di quanto prescritto per una data categoria. "l'impiegato sa esattamente qual'è la procedura per compiere una determinata operazione e la applicherà con precisione ogni volta che ne sarà necessario". l'impiegato è addestrato a comportarsi così, sa di essere valutato positivamente dai suoi superiori se così si comporta, e di essere invece ripreso o punito se si comporta diversamente. Tutto nell'organizzazione è previsto perché i
  • 18. 18 rapporti siano il più impersonali possibili, al fine di eliminare ostilità o favoritismi, complicazioni affettive, ansietà. Merton sostiene che la struttura burocratica esercita una pressione costante su un funzionario a affinché sia metodico, prudente, disciplinato. In tali condizioni chi lavora nell'organizzazione tende a sviluppare una caratteristica deformazione professionale : i regolamenti, che erano stati concepiti come strumenti per raggiungere certi scopi, diventano per lui dei fini in sé stessi; seguire con precisione e con scrupolo le regole diventa più importante e più gratificante che ottenere i risultati. La conformità al regolamento finisce insomma per dare luogo a pignoleria e formalismo, vale a dire ad "una aderenza puntigliosa alle regole formali". Atteggiamenti di questo genere ostacolano in particolare la capacità di adattamento alla grande varietà di situazioni particolari, che non sono state previste nei regolamenti generali o non lo sono state in modo chiaro. Di conseguenza conclude Merton: «proprio le condizioni che normalmente portano all'efficienza in situazioni particolari e specifiche producono inefficienza». 2.4 I giochi di potere di Michel Crozier. Un modello diverso e più complesso, è proposto da M. Crozier (1963). Al centro della sua attenzione sono le relazioni di potere, vale a dire la possibilità di interferire sul comportamento di altri al di là degli ambiti d'autorità previsti dall'organizzazione. In un organizzazione perfettamente razionalizzata questo potere residuo non potrebbe sussistere, perché il comportamento di ognuno sarebbe perfettamente previsto e visibile. Ma un'organizzazione del genere per Crozier è impossibile, perché non c'è mai una soluzione unica e perfetta per ogni problema
  • 19. 19 minimamente complicato e perché non è possibile prevedere tutti gli aspetti dello svolgimento di un compito. Per meglio dire, esistono ruoli nell'organizzazione più e altri meno prevedibili, e dunque ruoli più o meno regolabili: il ruolo di uno specialista tecnico che progetta una macchina, può essere regolato in modo dettagliato meno di quello di un impiegato che fascicola pratiche. Si verifica allora il seguente processo: ogni incertezza nella regolamentazione di un ruolo organizzativo comporta l'esistenza di un certo potere discrezionale nelle mani di chi quel ruolo svolge, che può essere da lui utilizzato per «contrattare» la propria partecipazione nell'organizzazione in vista di vantaggi particolari; per esempio, un progettista può cercare di ottenere nuovo personale per il suo reparto, non essendo facile provare che non è indispensabile; oppure può cercare di imporre i propri ritmi di lavoro a quelli di un altro ufficio affermando che questo è necessario, senza che altri siano in grado di controllare l'affermazione perché non hanno la conoscenza tecnica per farlo. Il gioco, che si svolge in genere a livelli di gruppo,si svolge tra i «privilegiati» e «danneggiati». La direzione deve gestire i conflitti ed è costretta così a dare molta importanza ai problemi interni di salvaguardia dell'equilibrio tra le diverse parti dell'organizzazione, a scapito anche della propria efficienza. I gruppi non privilegiati premeranno per una maggiore regolamentazione che tolga incertezza e dunque vantaggi agli altri; ma in generale, anche i mezzi a disposizione dell'autorità di vertice di un sistema burocratico, quando più questo corrisponde al modello puro, tanto più si limitano a precisare e ad aumentare le regole. In questo modo l'organizzazione finisce per cadere in un circolo vizioso, perché rendendo più minuziose e severe le regole, diminuisce la capacità di adattamento alla varietà imprevedibile con cui i problemi si presentano. Dunque, ha ragione Merton che considera la personalità acquistata dai burocrati, o ha
  • 20. 20 ragione Crozier che analizza i giochi di potere? la risposta è che dipende dal contesto di applicazione, ed uno dei due modelli può essere più o meno utile a capire il funzionamento di una data organizzazione. 2.5 Organigramma e forme di organizzazione in Weber. La burocrazia di Weber si basa su un principio fondamentale: la prevedibilità dei comportamenti ottenuta attraverso la loro standardizzazione. Per ottenere un determinato risultato (produrre automobili, rilasciare certificati, e così via) è possibile individuare una serie di operazioni successive, ognuna delle quali è standardizzata, vale a dire è fissata nei dettagli una volta per tutte; potrà e dovrà allora essere ripetuta senza errori da una persona alla quale compete secondo lo schema organizzativo (ovvero secondo il cosiddetto organigramma). Questo principio si scontra con due difficoltà fondamentali: anzitutto gli individui non si comportano come macchine, ma interagiscono con l' organizzazione mettendo in gioco propri fini anche in concorrenza con quelli dell'organizzazione. In altre parole, le persone non sono mai completamente prevedibili. In secondo luogo, è possibile progettare uno schema di comportamenti standardizzati se i problemi che l'organizzazione incontra nel realizzare i suoi compiti sono semplici e si presentano senza grandi variazioni da un momento all'altro, o a seconda dei clienti; standardizzare i comportamenti è tanto meno facile quanto più l' organizzazione opera in un «ambiente instabile». Proprio per tali motivi, il principio fondamentale di Weber è rispettato solo fino a un certo punto, molti consulenti aziendali e studiosi delle organizzazioni arrivano anche a suggerire soluzioni molto lontane dai caratteri della burocrazia descritti da Weber. Un esempio è la «direzione per obiettivi» raccomandata da Peter Drucker
  • 21. 21 (1964). In questo schema, più che alle regole bisogna fare attenzione agli obiettivi, fissati a grandi linee e non nei dettagli; gli obiettivi sono in certa misura contrattati fra superiori e inferiori, ciò che implica un'ampia possibilità di discuterli senza tenere troppo conto della gerarchia nel valutare le proposte; in successive riunioni gli obiettivi possono essere ridefiniti e ricontrattati; I rapporti sono più personalizzati, la carriera per anzianità è prevista, ma si deve soprattutto tener conto dei risultati che una persona ottiene e dei contributi che essa dà alla soluzione dei problemi. Secondo Drucker, un' organizzazione basata su questi principi motiva maggiormente le persone a impegnarsi, porta alla luce le zone di inefficienza e i giochi di potere consentendo di affrontarli, è più capace di adattarsi a un ambiente poco prevedibile. In realtà le cose sono più complicate. Un sistema di direzione per obiettivi non è facile da realizzare, si adatta meglio alle funzioni dei dirigenti che al resto dell'organizzazione, dal momento che sviluppa competizione tra gli individui crea anche nuove tensioni: «I problemi del funzionamento delle organizzazioni non si lasciano facilmente a ridurre ad una ricetta schematica» (Bonazzi 1989). In effetti, gli studi teorici sono andati nel senso di distinguere l'esistenza di forme diverse di organizzazioni a seconda delle condizioni in cui esse operano, a seconda in particolare del grado di stabilità dell'ambiente. Uno dei tentativi più interessanti a questo riguardo è la teoria delle cinque configurazioni organizzative di Henry Mintzberg (1983). Lo schema interpretativo si basa sulle differenze nel modo in cui le diverse attività sono coordinate tra loro. Per ottenere maggiore efficienza, il modo di coordinamento cambia a seconda delle dimensioni dell'organizzazione, del tipo di tecnologia impiegata nella produzione di beni o servizi e della prevedibilità
  • 22. 22 dell'ambiente. Si definiscono in questo modo cinque configurazioni tipiche: - struttura semplice: dove il controllo è esercitato direttamente dal vertice, il quale accentra tutte le funzioni di direzione. Una piccola azienda artigiana è il tipico esempio; - burocrazia meccanica: coordinata attraverso la standardizzazione dei compiti e la gerarchia. È in sostanza la burocrazia di Weber, che diventa efficiente se l'ambiente è stabile, se si tratta di produrre beni o servizi in grande serie, automobili o certificati anagrafici per esempio, con una tecnologia che permetta di standardizzare le attività, come la catena di montaggio; - burocrazia professionale: coordina invece dipendenti con un lungo tirocinio di formazione esterno all'organizzazione; una volta assunti, verificata la loro capacità professionale, questi hanno ampia discrezionalità nello svolgimento del loro lavoro, sono poco controllati e spesso lo sono più dagli utenti che dall'organizzazione perché operano a stretto contatto con il pubblico: è il caso dell'insegnante di una scuola, del professore d'università e del medico di un ospedale. - struttura divisionale: si avvicina alla direzione per obiettivi di Peter Drucker (1964); il coordinamento si ottiene, in questo caso, fissando obiettivi generali e compatibili tra loro a settori con funzioni diverse (le divisioni), che poi sono indipendenti nelle loro scelte sul come raggiungerli. In questo modo una grande organizzazione complessa si adatta meglio all'ambiente, perché ogni divisione (acquisti, produzione, studi e ricerche, e così via) può tenere conto del suo proprio ambiente e della tecnologia che si presta a essere adoperata per la sua funzione, contattando con le altre quantità e qualità dei prodotti, ritmi di produzione ecc.
  • 23. 23 - adhocrazia: il termine è stato inventato con riferimento all'espressione latina ad hoc che significa «espressamente per questo»; esso serve per indicare gruppi di lavoro con compiti specifici, formati da persone che si conoscono bene e lavorano insieme fidandosi delle rispettive competenze, senza vincoli di gerarchia e regole precisate, ai quali sono assegnati compiti che richiedono alta professionalità, ma anche capacità di inventarsi procedure e regole, perché si tratta di battere strade nuove; ne è un esempio un gruppo di scienziati costituito ad hoc per studiare un fenomeno ancora sconosciuto: le frontiere della scienza sono un ambiente molto incerto, i ricercatori non sanno in partenza dove la loro ricerca li porterà o di quali mezzi tecnici avranno bisogno. I tipi di Mintzberg mostrano forme diverse di organizzazione relativamente più efficaci a seconda dell'ambiente (anche la tecnologia disponibile può essere considerata un dato dell'ambiente). I diversi tipi sollecitano forme diverse di motivazione a partecipare e sembrano in genere favorirla più della burocrazia tradizionale, ma questo non significa che ogni forma non presenti specifici problemi di adattamento delle persone ai fini dell'organizzazione. Inoltre secondo Mintzberg, rimangono funzioni per le quali continuano a essere più efficienti strutture burocratiche (di burocrazia meccanica nei suoi termini), nonostante i limiti e i problemi che sono stati visti precedentemente. Con lo schema presentato abbiamo incontrato una proprietà formale delle organizzazioni, che avremmo peraltro potuto trovare facendo riferimento a qualsiasi altro studioso contemporaneo di organizzazione: «Non esiste un unico modo migliore (one best way) per progettare un'organizzazione». «Per essere efficiente, un'organizzazione deve essere in grado di ricomporre un insieme integrato di forme diverse». (Anonimo)
  • 24. 24 2.6 Attori e decisioni Analizzando gli obiettivi dell'organizzazione è facilmente comprensibile che esistano poche persone che decidono, e altre (usualmente la maggioranza) che sottostanno a tali decisioni. Prendere delle decisioni significa perseguire degli obiettivi. Decisione e obiettivi sono dunque collegati e la domanda «quali sono degli obiettivi di un'organizzazione?» Può essere utilmente trasformata in: «chi con le sue decisioni influenza gli obiettivi delle organizzazioni? » (Scott 1981) Abbiamo imparato a guardarci dall'idea di un'organizzazione descritta come una macchina che funziona esattamente secondo le previsioni dei piani di costruzione, rispondendo ai comandi di un operatore che la mette in moto. Sappiamo che questa è un'immagine ingenua, ma non bisogna neppure sostituirla con un'altra idea di organizzazione che assomiglia a una guerra tra bande. Una volta stabilita una struttura organizzativa con certi fini dichiarati nel suo statuto, una linea gerarchica, certe regole per prendere le decisioni, un sistema di macchine per la produzione, incentivi al lavoro e così via, questa impone dei vincoli molto forti alle scelte e al comportamento delle persone, coordinando in modo sistematico le loro attività. Nelle organizzazioni le persone fondamentalmente cooperano; ciò non toglie che nell'ambito dei vincoli imposti dalla struttura, esse interagiscano tenendo conto di loro obiettivi, proprio per influire sulle decisioni e quindi sugli obiettivi dell'organizzazione. Il problema di distinguere obiettivi dell'organizzazione e obiettivi delle persone non si pone o è meno importante nel caso delle associazioni, alle quali si partecipa perché se ne condividono i fini (aiutare i malati, giocare a calcio, organizzare eventi culturali), soddisfatti per il fatto stesso di partecipare. Si pone invece per le organizzazioni, alle
  • 25. 25 quali le persone partecipano strumentalmente per vantaggi che ne ricavano, più o meno indifferenti ai fini dall'organizzazione in quanto tali. Questi possono essere più importanti per alcuni membri di un'organizzazione, o all'interno di certe organizzazioni. Da notare comunque che i fini personali sono diversi e complessi: alcuni sono materiali, come lo stipendio o la sicurezza del posto, altri morali, come la soddisfazione nel compiere il lavoro, come la sensazione di esprimere le proprie capacità, oppure lavorare in un gruppo a contatto con altre persone con le quali si sta bene insieme. Se è ingenuo pensare che gli obiettivi dipendono solo dalle decisioni di una leadership al vertice, (l'imprenditore, il manager), e se in genere non siamo nella situazione in cui tutti hanno gli stessi obiettivi, forse un modo utile di rispondere alle domande fatte all'inizio è affermare che gli obiettivi dell'organizzazione sono definiti da coalizioni, vale dire da gruppi di persone con interessi comuni che si alleano con altri gruppi con interessi diversi dai loro contattando certe decisioni cruciali (Cyert & March 1963). Per esempio, i dirigenti di una grande impresa possono contrattare con gli azionisti la distribuzione di un certo ammontare di dividendi, tale però da lasciare abbastanza margini per buoni investimenti necessari a ingrandire l'organizzazione, un obiettivo che sembra interessare in genere i dirigenti, e un certo aumento di stipendio a gruppi di tecnici e impiegati impegnati in un settore dell'organizzazione che deve essere coinvolto nei piani di espansione. Altri gruppi che non sono entrati nella coalizione dominante saranno sacrificati o meno avvantaggiati. In questo modo l'organizzazione assume la decisione se come destinare il profitto realizzato, e i suoi obiettivi si ridefiniscono con lo sviluppo di un nuovo settore. Giochi di questo genere, comunque, devono tenere conto dell'insieme delle regole e dei vincoli che una determinata organizzazione pone, come il fatto che un'impresa deve continuare a produrre e vendere per ottenere un profitto altrimenti non sopravviverà.
  • 26. 26 Capitolo 3 Storia del Management, cenni 3.1 Evoluzione del management delle risorse umane: cenni storici Nel 1911 F.W Taylor fu un iniziatore della ricerca sui metodi per il miglioramento dell'efficienza nella produzione industriale. Egli attraverso lo studio scientifico del lavoro descrisse Il fenomeno che verrà successivamente chiamato“ Taylorismo“. Tale fenomeno presupponeva un metodo preciso: lo studio dei singoli movimenti del lavoratore (operaio) per poter ottimizzare il tempo di lavoro, mediante la scomposizione di un attività in tanti subcompiti definiti come altri ruoli o posizioni. Ogni posizione verrà progettata accuratamente per creare una sequenza di attività lavorative che operano in sincronia tra loro. Analizzare, scomporre e programmare le azioni e selezionare, addestrare e retribuire l'operaio (definito: “l'uomo giusto al posto giusto”); Tale programma definisce una spersonalizzazione evidente delle mansioni, non esiste più il problema di gestire il comportamento del personale, ridotto ormai a poche operazioni elementari. Si delinea una situazione in cui gli operai non danno una risposta comportamentale poiché sono considerati meri esecutori di azioni progettate da qualcun'altro. Il ruolo degli operai nella fabbrica moderna con tale Sistema di produzione (che caratterizzerà l'economia occidentale) è un ruolo del tutto Subordinato. In questo ambito il comportamento organizzativo (inteso come il risultato di decisioni
  • 27. 27 “relativamente” autonome da parte di chi occupa questo ruolo) è considerato totalmente irrilevante. La Subordinazione è comprensibile dal momento in cui viene Spiegato “il Caso Ford”. 3.2 Analisi del “caso Ford”. Nei primi anni del 1900 la maggior parte dell'industria automobilistica era concentrata a Detroit (Michigan,U.s.a). Una mobilità notevole del lavoro creava un immenso turnover di Operai e le imprese si accaparravano la manodopera per un aumento di pochi centesimi di dollaro. Henry Ford (fondatore della Ford Motor Company) un giorno decise di offrire un salario più alto di ben cinque dollari al giorno, con un incremento di più del doppio di quello offerto da altre imprese. Offrendo un salario più alto del mercato del lavoro, non si può negoziare. H. Ford con questo colpo trasformò la relazione tra lavoratore e impresa, da un libero gioco di mercato (domanda di lavoro per offerta di salario) ad un autentico rapporto di subordinazione. Ford lo fece per evitare comportamenti opportunistici degli “scansa fatiche” perché offrendo un salario più elevato poteva giustificare la natura gerarchica della sua impresa, chiedendo più impegno agli operai e automaticamente incrementando la produttività (del 50 %). Henry Ford viene ricordato per aver trapiantato negli anni Trenta le teorie di Frederik Taylor all'interno dell'organizzazione del lavoro mediante l'automazione delle operazioni e la razionalizzazione del ciclo produttivo. (c.d: fenomeno del “Fordismo”) Tale disciplina organizzativa quasi maniacale e tale regime alienante con un salario più
  • 28. 28 generoso saranno duramente criticati. 3.3 Comportamento organizzativo,motivazioni e Ricompense L'attenzione al comportamento organizzativo e alle caratteristiche psicologiche dei singoli individui emergerà grazie al contributo dei “motivazionisti” come A. H. Maslow (1954) e F. Herzberg (1966). Secondo Maslow le motivazioni al lavoro che derivano dalla necessità di soddisfare bisogni materiali sono solo i gradi più bassi di una scala di bisogni che ogni individuo tende a risalire, grado per grado, una volta che il bisogno inferiore sia stato soddisfatto. Così ogni individuo avvertirà la necessità di appagare motivazioni di ordine sociale (il bisogno di socializzazione), e i bisogni di autorealizzazione nel lavoro, solo dopo che saranno stati soddisfatti i bisogni fisiologici primari e di sicurezza. Un altro studio inerente al comportamento è offerto da J.R Galbraith (1977) che offre una rappresentazione sistematica tra leve motivazionali e tipi di comportamenti organizzativi, suggerendo di scegliere gli incentivi adeguati per attivare il comportamento di cui l'organizzazione ha bisogno. J.R. Galbraith (1977) distingue cinque Possibili tipi di comportamento organizzativo: - comportamento Associativo : Il semplice atto di entrare a fare parte di un'organizzazione, senza particolare riferimento alle azioni che effettivamente si svolgono; - comportamento conforme a un ruolo prescritto : La richiesta di attenersi a delle procedure descritte in modo preciso da colui che ha progettato il lavoro; - comportamento basato sullo sforzo al di sopra del livello minimo : viene richiesto di
  • 29. 29 massimizzare per quanto possibile, l'erogazione della propria prestazione lavorativa; - comportamento spontaneo e impegnato : vi sono situazioni lavorative non sempre strutturate, si chiede a chi offre la prestazione di impegnarsi, volta per volta a risolvere i problemi e a perseguire gli obiettivi organizzativi; - comportamento cooperativo : il lavoratore si adegua perfettamente alla logica di cooperazione che le organizzazioni richiedono; Galbraith ritiene possibile individuare sei diverse leve motivazionali di cui il management può disporre per suscitare o incentivare i diversi tipi di comportamento sopra descritti. Le leve motivazionali sono: - conformità alle regole : l'organizzazione garantisce il rispetto delle norme stabilite e la presenza di un autorità che sia garante di questa conformità; - ricompense del sistema : sono le ricompense che le singole organizzazioni sono in grado di offrire a tutti i loro membri in quanto tali, in virtù di certe agevolazioni che hanno procurato e consolidato nel tempo; - ricompense di gruppo : sono Quelle con cui vengono premiati alcuni membri del'organizzazione non in relazione a loro prestazioni individuali, ma in rapporto a prestazioni erogate dal gruppo di cui fanno parte; - ricompense individuali : Sono quelle attribuite ai singoli dipendenti,quando sia possibile isolare il risultato raggiunto come frutto del singolo apporto lavorativo; - coinvolgimento nel compito : Motivazione definita “intrinseca” in quanto legata allo svolgimento dell' attività. Vi sono alcune attività lavorative che offrono a chi le svolge
  • 30. 30 motivo di soddisfazione legato al fatto stesso di svolgerle e di farlo in modo appropriato. - identificazione con i risultati : Altra motivazione “intrinseca”. La soddisfazione deriva dall'aver assunto come propri i fini organizzativi, l'individuo è motivato quando agisce in relazione a quegli obiettivi, soprattutto quando riesce a conseguirli; Galbraith parte dall'assunto che sia possibile stabilire un legame tra la forma di ricompensa e tipo di comportamento. Si può così definire una matrice comportamenti- ricompense in cui gli incroci delle righe (che elencano le ricompense) e delle colonne (che elencano i comportamenti) indicano se quella ricompensa è adatta a incentivare quel comportamento o se rischia di provocare effetti opposti. Con questa matrice Galbraith offre un’efficace guida alla gestione dei comportamenti organizzativi, suggerisce le leve motivazionali su cui agire per stimolarli. 3.4 Ricerche sul Fattore Umano (1920). Intorno alla fine degli anni Venti nasce il movimento delle relazioni umane, un gruppo di studiosi che mediante ricerche sul campo analizzano la componente più importante della realtà produttiva: l'individuo. Grazie agli studi compiuti alla Western Electric (Hawtorne,Chicago,U.s.a) questi ricercatori cercano di comprendere: - le relazioni emotive che legano le persone che lavorano insieme; - il loro comportamento organizzativo; - l'influenza che la gestione del personale ha sulla performance dei lavoratori;
  • 31. 31 E. Mayo (1920) e la sua equipe di ricerca analizzano i parametri del cosiddetto “fattore Umano” traendo varie conclusioni sulla qualità della vita di fabbrica degli operai (mediante il metodo dell'intervista personale e dell'osservazione partecipante). Il contributo Apportato dal movimento delle relazioni umane è stato notevole per quanto riguarda il linguaggio dell'organizzazione: E. Mayo sostiene che per coordinare le attività e per svilupparle attraverso processo di cooperazione occorre parlare lo stesso linguaggio. Il linguaggio si caratterizza dunque come collante Organizzativo e sociale tra Il manager (titolare della Leadership) e il personale. (E.Mayo, 1920) Se un organizzazione sviluppa un codice (il criterio di interpretazione dei significati) i comportamenti hanno più probabilità di essere tra loro integrati e coordinati. 3.5 Equilibrio tra Persone e Organizzazione: Il comportamento cooperativo. Il comportamento cooperativo è stato a lungo considerato negli studi di C.J Barnard, che negli anni Trenta ha scritto un vero e proprio trattato sulla funzione primaria del dirigente all'interno dell'organizzazione. Dirigere significa, secondo Barnard, garantire l'equilibrio tra le condizioni ambientali e i processi che si svolgono nelle organizzazioni. Altri autori (H.Simon / O.E Williamson) riconoscono a Barnard di aver delineato le caratteristiche di una nuova “Scienza dell'organizzazione”, e di aver individuato gli aspetti fondamentali su cui si basa il governo organizzativo: la cooperazione e il coordinamento.
  • 32. 32 Secondo Barnard le organizzazioni sono sistemi cooperativi, la loro sopravvivenza dipende dalla cooperazione. Non basta considerare i comportamenti come fenomeni singolari, individuali, isolati, riconducendoli alle motivazioni e alle preferenze personali. Occorre guardarli anche dal punto di vista dell'intero, del sistema cooperativo; Barnard Traccia una teoria in cui trova ampio spazio una concezione delle persone e della gestione del personale non marginale e subordinata. Governare l'organizzazione non è solo sinonimo di definire obiettivi e garantire risorse economiche, ma significa sopratutto promuovere la cooperazione di tutte le persone che operano nell'organizzazione. 3.6 Il comportamento Cooperativo: Condizionamento Sociale. Un' organizzazione ha due caratteristiche: fini e limiti: - I Fini sono gli obiettivi da raggiungere, lo scopo dell'organizzazione. - I limiti sono degli ostacoli che per qualche motivo, non rendono immediatamente (o automaticamente raggiungibili) quei determinati fini. Ricordando che i fini dell'organizzazione raramente coincidono con i fini dell'individuo inscritto in essa, la cooperazione non può essere pensata come il risultato dell' agire razionale e spontaneo dell'individuo, ma come una sorta di condizionamento sociale a cui l'individuo si sottopone per ottenere i suoi obiettivi (usualmente definiti intorno alla definizione di salario). Da qui la peculiarità della funzione del dirigente, che ha il ruolo di facilitatore e stimolatore, per promuovere la cooperazione e quindi garantire la sopravvivenza dell'organizzazione.
  • 33. 33 3.7 L'economia degli incentivi e Persuasione Per un corretto funzionamento, un’organizzazione ha bisogno dei contributi degli individui, da cui riceve energia. I contributi personali sono offerti in cambio degli incentivi ricevuti (ricordiamo “Il caso Ford” nel cap.3.2 e l'aumento dell'offerta dei salari in cambio di subordinazione). L'individuo, deve essere indotto a cooperare, e per questo Barnard identifica un ampia gamma di incentivi oggettivi : come i beni materiali tra cui il denaro è sicuramente il più tipico e generale e altri incentivi non materiali come il prestigio e il potere personale, o il senso di comunità e di integrazione sociale. Barnard non formula un modello sistematico di incentivi, ma sostiene che tali incentivi agiscono in modo diverso sulle persone, che peraltro sono caratterizzate da una certa instabilità nei loro desideri. Dobbiamo considerare l'assetto soggettivo degli incentivi , che riguarda gli stati d'animo e gli atteggiamenti. Barnard chiama “Metodo della persuasione” i processi che tendono ad influenzare gli atteggiamenti. Persuasione: Vasta gamma di azioni tese ad influenzare i comportamenti, che vanno dalla coercizione alla razionalizzazione. La coercizione si configura nelle organizzazioni di lavoro come obbligatorietà di azione da parte di una persona, che se non adempie rischia il licenziamento. Il compenso in denaro (Incentivo oggettivo) invece non ha solo carattere materiale, è anche indice di stato sociale, di evoluzione personale, quindi ha anche rilevanza simbolica. I contributi così incentivati sono la condizione per ottenere l'energia sufficiente al funzionamento delle organizzazioni. L'energia deriva dall'impegno e dalla disponibilità a cooperare dei suoi individui. Ancora una volta Le variabili -Micro Completano La variabile -Macro.
  • 34. 34 Capitolo 4 Studi sulla leadership organizzativa. 4.1 Il Governo Organizzativo e la funzione di direzione. Leadership. Le funzioni direttive evidenziate dagli studi di Barnard sono essenzialmente tre: - Facilitare la comunicazione: l'ordine di questi tre punti è rigorosamente immutabile, in quanto la comunicazione è essenziale per promuovere i due punti successivi. La centralità della comunicazione all'interno dell'organizzazione è determinata dal fatto che «senza comunicazione l'organizzazione non avrebbe conoscenza di sé»; - promuovere le attività essenziali: per quanto riguarda la promozione delle attività essenziali, il dirigente deve promuovere la cooperazione e stimolare il contributo dei dipendenti mediante la persuasione, gli stimoli e gli incentivi. Deve inoltre assicurarsi lealtà, fedeltà, entusiasmo e rendimento del personale; - Formulare e definire il fine dell'organizzazione: quanto alla terza funzione, la formulazione del fine e degli obiettivi, il dirigente formula i fini mediante la comunicazione e l'assegnazione della responsabilità; (Processo di coordinamento) Le tre funzioni fondamentali non devono essere considerate separatamente, ma come tre ingranaggi che insieme costituiscono in meccanismo unitario e ben funzionante. Il malfunzionamento di uno, pregiudica il funzionamento generale del meccanismo. Barnard mette in luce sia gli aspetti economici dell'agire organizzativo, quanto la dimensione sociale generale. Il punto nodale della questione è la funzione del dirigente in quanto garante della sopravvivenza dell'organizzazione, sia nella gestione economica
  • 35. 35 quanto nella valorizzazione delle risorse a lungo termine, in una prospettiva sociale. Il dirigente ha l'esigenza di effettuare due tipi di controllo: - Controllo di carattere distributivo : che consente di garantire l'equilibrio di uscite ed entrate; - Controllo di carattere creativo : basato sulla cooperazione e coordinamento; Barnard è uno dei primi studiosi che si occupa della leadership: che riguarda (oltre alle capacità tecniche) le capacità e le abilità personali che determinano la qualità dell'azione direttiva. Il concetto di responsabilità che ruota intorno alla definizione di leadership determina la capacità di essere fortemente guidati da codici morali in modo da generare in altri membri dell'organizzazione un forte senso di fiducia. Un altro elemento importante,insito nella leadership è la capacità di creare codici morali (dei valori), delle regole di condotta percepite e accettate dal personale. La cooperazione all’interno di un'organizzazione di lavoro, dice Barnard, crea un forte senso di appartenenza, la condivisione di Valori e codici morali appunto, che formano (come vedremo successivamente) la cultura organizzativa. 4.2 Guru del Management (1960): Studi sulla direzione, esperimenti sulla centralità del “Capitale umano”. Saltiamo adesso dagli anni Trenta agli anni Sessanta. Il nostro scopo sarà analizzare tre autori (di formazione prevalentemente psicologica) che hanno contribuito ad individuare alcuni aspetti rilevanti per la comprensione del comportamento degli individui e del loro rapporto con le dinamiche organizzative.
  • 36. 36 Questi tre Studiosi di management sono D. McGregor, R. Likert e C. Argyris. 4.3 Douglas McGregor: Gli Stili di Direzione,Teoria X e teoria Y. D. McGregor concentra prevalentemente i suoi studi e le sue ricerche sulla figura dei dirigenti dell'organizzazione, creando delle teorie che guidano le loro decisioni e azioni. Queste teorie si riducono a due modelli contrapposti: la teoria X (Il modello autoritario) e la teoria Y (Il modello Partecipativo). La teoria X esprime che l'uomo medio ha un'evidente ripugnanza verso il lavoro, egli preferisce essere guidato ed evitare responsabilità. occorre dunque costringere e controllare le persone, affinché producano gli sforzi adeguati agli obiettivi organizzativi. La teoria Y spinge invece a considerare l'enorme potenziale di collaborazione che può derivare dalle persone. Tale teoria consiste nel valorizzare l'integrazione, l'autovalutazione e l'autocontrollo, che consentono di creare, in condizioni favorevoli, opportunità per le persone di influire sulle decisioni che le riguardano. Sarà Il dirigente che avrà la responsabilità di scegliere lo stile di direzione e il conseguente stile di leadership più appropriato per la propria organizzazione. La tesi di McGregor è categorica: uno stile di direzione influenza in modo decisivo il funzionamento di un' organizzazione, in quanto si manifesta in ogni atto dei dirigenti e segna con il suo “marchio” ogni loro decisione. Lo stile di direzione è efficace nell'esercizio del controllo: nei sistemi di controllo umano è molto rilevante l'aspetto emotivo: se il controllo è percepito come una
  • 37. 37 minaccia, esso suscita comportamenti difensivi, non collaborativi e ogni forma di impegno e di creatività è orientata all'autodifesa. Inoltre secondo McGregor, quando gli obiettivi sono imposti, si può ottenere accettazione, ma non impegno; mentre un diverso approccio (magari più costruttivo) può realmente incrementare l' impegno delle risorse umane. Il controllo si può esercitare mediante compensi e punizioni, mediante l'identificazione (tipica della teoria Y) o mediante la comunicazione persuasiva. L'identificazione è una forma di controllo indiretto, che comporta un' aumento dell'autorità legittima del dirigente e genera meccanismi di autocontrollo. La comunicazione è essenziale per il controllo e per le motivazioni. 4.4 Douglas McGregor: Applicazione Della teoria Y: Il piano Scanlon. McGregor fornisce come esempio di applicazione della sovracitata teoria Y, la descrizione del piano Scanlon. Joseph Scanlon ha creato un metodo di gestione del personale che ha colpito particolarmente McGregor, al punto che lo ha definito: “vera e propria Filosofia di direzione”. Il piano Scanlon ha due caratteristiche: - un sistema di gestione delle retribuzioni; - un sistema di gestione delle innovazioni; Il valore innovativo di tale teoria sta nella stretta connessione tra questi due elementi. Il primo aspetto (retribuzioni) consiste nell'incentivare la riduzione dei costi aziendali attraverso un sistema retributivo che coinvolge tutto il personale. Si misura l'apporto di tutti mediante un indice calcolato come rapporto tra due valori, il costo totale per il
  • 38. 38 personale, da un lato, e il fatturato totale. La determinazione di questo indice non è un fatto puramente meccanico: essa richiede una profonda conoscenza della storia dell'azienda e delle sue caratteristiche, l'obiettivo è migliorare il rapporto retribuzioni-fatturato: ciò si traduce in guadagno economico per l'azienda e in percentuali di incremento retributivo mensile per il personale. Il secondo aspetto del metodo, che lo distingue da altri sistemi di incentivi retributivi, è dato dal fatto di perseguire i risultati mediante il contributo migliorativo di tutti i dipendenti. Il meccanismo proposto da Scanlon è stato quello dei comitati, ovvero gruppi di discussione dove i membri possono interagire secondo una logica di partecipazione che dà il massimo spazio allo scambio di opinioni e informazioni finalizzate al miglioramento dell'azienda e alla risoluzioni di problemi (problem solving). L'applicazione del piano Scanlon ha dimostrato due punti di forza: - l'azione concreta dei dipendenti contribuisce a risolvere i problemi e a migliorare i risultati; - il riscontro dei risultati nella retribuzione mensile, che è traducibile in “benessere dell'impresa” e ulteriore motivazione del personale. La situazione descritta da McGregor è quella dell'azienda americana degli anni Cinquanta, Molte caratteristiche del piano Scanlon (relative alla partecipazione del personale) sono diventate parte integrante di quella che è stata definita la rivoluzione organizzativa attuata negli stessi anni, nel sistema produttivo Giapponese. (che vedremo accuratamente nel cap. 10)
  • 39. 39 4.5 Sistema Produttivo Giapponese:Cenni Storici del “Toyotismo”. Il sistema produttivo giapponese prevede come parte qualificante la gestione in termini di miglioramento continuo (C.d Kaizen) con la partecipazione attiva di tutti i lavoratori. La letteratura evidenzia molti successi derivanti dalla rivoluzione organizzativa Giapponese, sicuramente rappresentata dalla prima azienda che ne è stata promotrice, la Toyota Corporation, che ha raggiunto posizioni di vertice mondiale nel settore automobilistico. La definizione Del Termine “Toyotismo” è ovviamente messa in contrasto ad un altro Fenomeno già analizzato in precedenza: Il Fordismo. I due fenomeni sono Specularmente opposti tra loro, elenchiamo le differenze principali: Approccio Manageriale,Leadership del Fordismo: - separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale; - capacità intellettuali sottoutilizzate; - responsabilità accentrata; - cultura organizzativa Imposta e autoritaria; - Leadership Incentrata sul controllo e sull'inibizione della creatività delle risorse umane; Approccio Manageriale,Leadership del Toyotismo: - decentramento delle responsabilità verso il Personale;
  • 40. 40 - assegnazione di compiti intellettuali anche ai lavoratori dei livelli più bassi; - cultura Organizzativa Forte,Identità Organizzativa Personale Elevata; - Leadership incentrata sullo stimolo della creatività delle risorse umane sul miglioramento costante; Lo stile di leadership è ancora una volta determinante alla sopravvivenza e al successo dell'organizzazione. 4.6 Rensis Likert: il dilemma del dirigente, capitale umano e gruppi di lavoro. R.Likert conduce molti studi ed esperimenti dove le principali variabili sono la produttività, la soddisfazione per il lavoro, i costi, e specialmente la motivazione dei dipendenti e dei dirigenti. I risultati più significativi sono secondo Likert, la scoperta di fattori quali lo stile di leadership, i processi di gruppo e la comunicazione efficace. - Stile di leadership: Likert conclude che l'eccesso di sorveglianza e la pressione esercitata per aumentare la produttività non migliorano realmente i risultati, mentre ottengono risultati migliori i comportamenti direttivi basati sul sostegno e quelli di capi che esercitano un controllo non fiscale, ma incoraggiano e istruiscono i loro collaboratori. - Processi di gruppo: Likert analizza la lealtà e coesione (solidarietà e unione) di gruppi di persone sui risultati di lavoro: se il gruppo, i cui membri esprimono un elevato grado di lealtà e coesione, condivide gli obiettivi, la sua produttività sarà di conseguenza molto elevata; se invece all'interno del gruppo non si condividono gli stessi valori, e non si crea senso di appartenenza, la produttività e l'orientamento al risultato saranno bassi.
  • 41. 41 - Comunicazione efficace: le rilevazioni empiriche condotte da Likert mostrano quanto sia diffusa la scarsa conoscenza, di coloro che occupano livelli gerarchici elevati, delle opinioni e informazioni di chi sta alla base della piramide organizzativa. Un'efficace comunicazione organizzativa contribuisce al miglioramento dell'organizzazione. Likert Introduce all'interno dell'equazione: Organizzazione-Produzione-profitto una nuova variabile, il capitale umano. Secondo Likert, uno stile di direzione gerarchico può condurre a sostanziali e immediati incrementi della produttività, ma ciò avviene a spese del capitale umano dell'organizzazione. Ne risulta un'ostilità alla collaborazione, meno motivazione a produrre e viceversa più motivazione a limitare la produzione. Si delinea così la situazione che L'autore definisce “Dilemma del dirigente”: se egli diventa “artista delle direzione gerarchica” otterrà risultati a breve, vantaggi retributivi per sé e una buona reputazione. D'altra parte però, intaccherà il capitale umano, procurando ad esso un danno a lungo termine. Il dilemma del dirigente spiega il persistere di modelli direzionali basati sulla pressione gerarchica, su schemi Taylor- Fordisti, sul motivo che il dirigente sa che per migliorare un'organizzazione occorre molto tempo e rischia di non essere ripagato, la via della direzione gerarchica sembra quindi più breve e meno tortuosa. Grazie alle sue indagini empiriche, Likert si è reso conto dell'importanza di alcuni aspetti della realtà organizzativa, e si è reso promotore di modelli partecipativi, basati su una struttura innovativa, Il gruppo di lavoro. Il concetto base è quello del lavoro di gruppo, partendo dal basso, avviene la costruzione di strutture organizzative autonome, (chiamati “perni connettori”) dei diversi gruppi operativi con a capo dei supervisori. A loro volta i supervisori di più gruppi costituiranno un gruppo di supervisori e così via fino ad arrivare al gruppo
  • 42. 42 direzionale del top management. In tal modo, secondo Likert, viene contemporaneamente salvaguardato il principio della gerarchia organizzativa (essenziale per il coordinamento) e il principio del lavoro di gruppo,con la sua capacità di creare comportamenti Collaborativi, motivati e solidali. L'idea dei “perni connettori” si basa sul principio che un supervisore sia in grado di attuare la sua leadership con successo, operando mediante i perni connettori, i processi decisionali partono molto spesso dal basso, e ottenendo consensi dai gruppi di lavoro, arrivano alla cima della piramide organizzativa che sono già “condivisi”. 4.7 Chris Argyris: individuo, organizzazione,meccanismi di difesa. Il tema della leadership è sviluppato da C. Argyris in parallelo con le tesi di D. McGregor. Uno dei suoi primi lavori è dedicato allo studio di un particolare caso: il rapporto tra un dirigente e i suoi collaboratori, da cui trae spunto per studiare il sistema di relazioni che derivano da uno stile di leadership autoritario (fondato sulla teoria X) . Questa particolare analisi rileva l'influenza del leader autoritario sui comportamenti delle altre persone all'interno dell'organizzazione. Argyris studia quindi il rapporto tra individuo e organizzazione (1957) dove sostiene che le organizzazioni, per raggiungere i loro obiettivi si danno una struttura basata su vari principi tra cui: la gerarchia, la specializzazione, l'unità di comando, producendo però un conflitto tra l'individuo e l'organizzazione stessa. Argyris si addentra nella psicologia, affermando che l'uomo è un sistema in equilibrio, fra le sue componenti e l'ambiente esterno. Se l'ambiente esterno minaccia l'individuo, egli reagisce mediante i meccanismi di difesa, quei particolari meccanismi psichici che spingono l'uomo a proteggere la propria integrità personale da fonti esterne.
  • 43. 43 All'interno dell'organizzazione, un dirigente troppo autoritario puo' creare nei collaboratori ansie, frustrazioni e fallimenti, che a loro volta attivano i meccanismi di difesa quali apatia, rifiuto, aggressività, disinteresse, e tali reazioni difensive possono essere individuali o di gruppo, scaturendo veri e propri conflitti tra persone e organizzazione e azioni formali di natura sindacale. Argyris Analizza la possibilità di un cambiamento nello stile di leadership, perché solo questa peculiarità organizzativa è in grado di favorire lo sviluppo e la maturazione delle risorse umane e consentire loro il soddisfare delle proprie esigenze e motivazioni. Nel campo della leadership Argyris si avvicina molto alle teorie di McGregor sulla centralità dello stile di leadership all'interno dell'efficienza organizzativa, in questo caso entrambi gli autori si soffermano sulla necessità di sostituire stili di comando e di controllo autoritari (teoria X) con stili più partecipativi e motivazionali (teoria Y) : sarebbe un modo diverso di vedere la realtà organizzativa e di valorizzare la natura delle risorse umane. Idee analoghe sono suggerite da R. Likert riguardo la primaria necessità di valorizzare il capitale umano all'interno della realtà organizzativa. In conclusione, Argyris si muove sulla stessa linea di pensiero di questi due autori,per essi è comune l'esigenza di orientare la leadership alla valorizzazione e motivazione delle risorse umane per ottenere la stabilità organizzativa.
  • 44. 44 Capitolo 5 Studi di Herbert Simon sull'organizzazione. 5.1 I soggetti in rapporto con le organizzazioni. Herbert Simon negli anni Quaranta cerca di capire quali ragioni inducono un individuo ad accettare i vincoli che derivano dal rapporto con le organizzazioni di lavoro. L'organizzazione deve offrire secondo lui, delle retribuzioni in denaro e ricompense indirette come quelle collegate allo sviluppo dell'organizzazione. Identità di scopi, ricompense indirette di carattere materiale, e ricompense collegate allo sviluppo dell'organizzazione sono tre differenti motivi, ciascuno dei quali è sufficiente per spiegare la disponibilità a prendere parte all'attività dell'organizzazione. Il contributo degli individui è quindi legato a un rapporto di scambio con l'organizzazione, che offre loro “allettamenti” di varia natura. Specularmente, l'organizzazione è in grado di fornire ricompense solo in quanto altri gruppi di soggetti, con i loro contributi, generano le risorse necessarie. Con questa riflessione Simon classifica i soggetti che sono in rapporto di scambio con l'organizzazione: - gli imprenditori: fondano l'organizzazione offrendo impegno e attività, per ricevere in cambio prestigio e ricompense materiali, sotto forma di profitto; - i clienti: Offrono risorse (usualmente in denaro) in cambio di prodotti o servizi; - i dipendenti: offrono il loro tempo e la loro energia in cambio di un salario; i dipendenti non offrono un servizio specifico, ma la possibilità, per chi dirige, di utilizzare a discrezione la loro opera e il loro tempo. Alla base della relazione tra
  • 45. 45 individuo e organizzazione vi è un contratto, con cui si definisce un rapporto continuato d'autorità tra l'organizzazione e il dipendente. La natura peculiare del contratto di lavoro subordinato è stata evidenziata da Simon e caratterizzata in ragione della sua continuità: l'organizzazione offre sostentamento (con continuità) in cambio di accettazione dell'autorità, entro un “ambito di accettazione” (che Barnard definiva zona di indifferenza”). Per Simon resta tuttavia importante analizzare l'area di accettazione entro ci il dipendente è disposto ad assecondare l'autorità organizzativa. 5.2 I meccanismi di influenza dell'organizzazione (H.Simon). Un'organizzazione cerca di influenzare le decisioni degli individui che la compongono. Simon ritiene che l'autorità sia soltanto una delle forme attraverso cui esercita influenza sulle decisioni e sulle azioni e considera accanto a questa, altre forme di influenza come la comunicazione, il criterio di efficienza, l'identificazione con i fini organizzativi. Meccanismi di influenza (H.Simon) : - l'autorità: è la forma più diretta di influenza sulle premesse decisionali. Essa è inoltre una forma di potere, il “potere di emettere decisioni che influenzano l'azione altrui” (M.Weber). L'origine di questo stato di subordinazione va cercata nel contratto di lavoro, in base al quale il prestatore d'opera accetta un rapporto continuo di autorità. Nonostante il contratto di lavoro, la disponibilità all'obbedienza non è senza vincoli, ma è definita, sia pure in termini generali, dai confini del ruolo occupato dal lavoratore all'interno dell'organizzazione; - la comunicazione: è lo strumento più tipico per il trasferimento delle premesse decisionali, non solo lungo la piramide organizzativa, ma in ogni direzione della rete
  • 46. 46 che lega tra loro tutti i membri di un'organizzazione. Il processo di trasferimento di informazioni, conoscenze, suggerimenti e ordini non può privilegiare il percorso dal vertice verso il basso, è dunque fondamentale far defluire le informazioni in modo adeguato mediante un percorso di comunicazione a due sensi che permetta un dinamico scambio di informazioni lungo tutto il sistema organizzativo. Poiché la comunicazione organizzativa è un meccanismo d'influenza delle premesse decisionali, risulta prioritaria l'efficacia della ricezione: occorre dunque che i messaggi siano ricevuti e interpretati correttamente, in modo corrispondente alle intenzioni di chi li ha emessi. La comunicazione di ritorno, il feedback, è una delle condizioni basilari di efficacia organizzativa perchè consente di sintonizzare le decisioni e valutare il grado di comprensione reciproca; - Il criterio di efficienza: oltre alla comunicazione e all'autorità vi sono altre forme di influenza che agiscono dall'interno dell'individuo. Simon attribuisce questa proprietà a due meccanismi: l'efficienza e l'identificazione dell'individuo (che vedremo successivamente) . Il criterio di efficienza è un criterio razionale, con molti punti di contatto con il concetto di massimizzazione dell'utilità della teoria economica. Dove non è possibile quantificare in termini monetari l'efficienza di un'organizzazione, Simon rileva l'esigenza di trovare alcuni sostituti del denaro per definire i valori della produzione. Il concetto di Indice di valore è di grande interesse dal punto di vista della pratica amministrativa: si diffonde sempre di più all'intero delle organizzazioni pubbliche e private l'orientamento a definire obiettivi che i singoli processi amministrativi perseguono in termini di indici, con cui possono valutare i risultati dell'azione amministrativa. Non sempre questi indici hanno un valore monetario, anche nell'impresa privata; vi sono alcuni valori, come ad esempio la qualità dell'ambiente in
  • 47. 47 cui si opera, o la sicurezza dei lavoratori, che non vengono tradotti in valori monetari, ma ciò non significa che possano essere trascurati dall'azione imprenditoriale e che non possano essere quantificati. La ricerca di indici con cui valutare i risultati raggiunti e commisurarli ai costi è un'esigenza organizzativa che favorisce il diffondersi dell'orientamento all'efficienza; - l'identificazione: come abbiamo già detto, difficilmente gli obiettivi dell'individuo coincidono con quelli dell'organizzazione. La personalità organizzativa vista come l'insieme degli obiettivi dell'impresa è percepita solamente dai soggetti che si rapportano ai fini dell'impresa stessa, come i clienti o gli imprenditori. La maggior parte dei dipendenti avrà difficoltà nel percepire i fini organizzativi come propri fini. Per Simon l'identificazione è un particolare vincolo emotivo che fa sentire i suoi effetti sulle decisioni individuali ed è un meccanismo importante per la costruzione dell'ambiente della decisione; gli aspetti emotivi hanno dunque il loro peso sul comportamento organizzativo, e non soltanto, come avevano messo in evidenza vari studiosi, per la necessità di salvaguardare la sfera personale del lavoratore, che è appunto una sfera emotiva lontana dala sfera materiale e razionale di chi dirige un'azienda. Qui la sfera emotiva viene introdotta per segnalare un meccanismo grazie al quale i valori dell'organizzazione e la sua razionalità si impongono sui valori individuali, così che i confini della razionalità individuale si allargano e i suoi limiti si riducono. 5.3 Il dirigente: Programmatore e Coordinatore di attività. H.Simon Focalizza la sua attenzione sulla questione del coordinamento, che considera la componente fondamentale del processo amministrativo. Il processo amministrativo è riconducibile alla formula:
  • 48. 48 Programmazione – Esecuzione - Controllo. Poiché l'esecuzione è il centro focale di ogni organizzazione, l'attenzione si rivolge alle due attività che, rispettivamente, precedono e seguono l'esecuzione, ma soprattutto la integrano in un insieme coordinato. La programmazione e il controllo sono due tecniche amministrative di primaria importanza nel processo decisionale di un'organizzazione: - la programmazione è una tecnica per effetto del quale l'esperienza di più persone viene portata su un problema prima di effettuare la decisione; - il processo di controllo consente ai dirigenti di determinare effettivamente ciò che fanno realmente i subordinati, e può essere di tre tipi: - controllo dei risultati dell'attività svolta dai subalterni; - controllo dei prodotti materialmente lavorati; - la sorveglianza diretta sul lavoro; Se il controllo è finalizzato a correggere le decisioni individuali dei subordinati, allora si è in presenza di una tendenza all'accentramento. Se invece il controllo è finalizzato a scoprire l'insufficienza dei mezzi del subordinato, e dunque di quali risorse possa aver bisogno per migliorare le sue capacità decisionali, allora saremo di fronte ad una tendenza al decentramento decisionale. La questione della scelta tra accentramento e decentramento ricade sempre sul dirigente; non esiste una ragione sufficiente che possa fare prevalere una delle due opzioni. Nel valutare il giusto equilibrio tra accentramento e decentramento, la decisione amministrativa del dirigente deve essere pensata come scomposta in una serie di componenti collegate tra loro, il peso di ognuna può essere diverso, ma nessuna va trascurata, perché qualunque fase della decisione amministrativa, anche la più banale, può compromettere il risultato organizzativo. Ogni
  • 49. 49 decisione si completa con tutte quelle che la precedono e la seguono. Decidere di produrre tanti pezzi in un giorno può essere il risultato di un insieme di decisioni più semplici, dalla richiesta del cliente all'assenso del venditore, ala valutazione della programmazione, dei tempi e dei materiali; tutte le parti coinvolte apportano la loro competenza, ed ogni competenza è il tassello del mosaico decisionale. Nasce l'idea secondo cui il compito del dirigente e dell'amministrazione non sia solo imporre ordini ai sottoposti, ma progettare secondo le capacità dei sottoposti, un ambiente Organizzativo in cui ha luogo il processo di formazione delle decisioni, in modo che il soggetto riesca ad avvicinarsi il più possibile alla razionalità organizzativa. Questo è essenzialmente il compito dell'amministratore: progettare un organizzazione dove si possa fornire a ciascuna persona un ambiente di decisione tale da permettere che il comportamento razionale dal punto di vista soggettivo lo sia anche dal punto di vista del gruppo, in modo tale che sia l'ambiente a influire sul processo decisionale e non il contrario.
  • 50. 50 Capitolo 6 Il clima organizzativo. 6.1 Una definizione di clima Studiando l'organizzazione, i vari autori che abbiamo incontrato hanno fatto un'analisi scientifica della realtà interna all'organizzazione stessa, mediante l'osservazione e l'esperimento, formulando ipotesi e teorie. Il concetto di Clima che stiamo per introdurre richiama l'attenzione sul carattere di un ambiente organizzativo che influenza i comportamenti delle persone, il clima è realmente lo “spazio vitale” che circonda più individui, è ciò che si respira all'interno del luogo di lavoro. Dal punto di vista della direzione delle risorse umane, l'attenzione ai “fenomeni climatici” è essenziale per verificare il grado di consenso diffuso all'interno dell' azienda, per comprendere lo stato di salute dei meccanismi interni all'organizzazione. Cosa vuol dire, sviluppare un'analisi di clima? Quali informazioni può darci tale analisi? La definizione di clima atmosferico calza perfettamente con lo studio “scientifico” dell'organizzazione, in quanto il clima è l'insieme delle condizioni atmosferiche medie (determinate da vari fattori) che caratterizzano una determinata regione geografica. Per analogia, il clima organizzativo è l'insieme dei fattori che agiscono sui comportamenti collettivi e che caratterizzano l'ambiente sociale dell'organizzazione.
  • 51. 51 6.2 La formula di K.Lewin. Uno dei primi studiosi del clima organizzativo è stato Kurt Lewin, che mediante i suoi studi è ricordato per una formula da lui descritta, capace di interpretare il rapporto tra l'individuo e l'organizzazione. -Formula di Lewin : C = f ( PA ) ; C è il comportamento degli individui, P è la persona, l'insieme dei tratti individuali che spingono la persona ad agire secondo i propri motivi, orientamenti, ed A è l'ambiente circostante, che a sua volta contribuisce a determinare e influenzare questi orientamenti. Lo studio del clima organizzativo consiste nella messa a fuoco della variabile A della formula, l'ambiente circostante. Quindi il comportamento di un individuo è funzione regolata da fattori interdipendenti costituiti dalla sua personalità P e dall'ambiente A che lo circonda. Persona e ambiente sono considerati da K. Lewin come un sistema interconnesso che va a formare “lo spazio vitale” (Il clima) cioè l'insieme di stimoli che nascono nel rapporto tra l'individuo e l'organizzazione. Lewin compie vari esperimenti su dei gruppi sociali, mediante l'osservazione partecipante (analisi sul campo, interviste, questionari) cerca di intervenire su alcune variabili rilevanti, come per esempio lo stile di leadership, per verificare gli effetti reali sui gruppi e i cambiamenti che ne scaturiscono. Analizza le forze capaci di destabilizzare il gruppo sociale, e studia come il comportamento individuale di un soggetto sia fortemente influenzato dal gruppo e dall'atmosfera dominante all'interno di tale gruppo.
  • 52. 52 6.3 Esperimenti sul clima organizzativo Un esperimento a cui K. Lewin si richiama è quello descritto da Lippit & White (1943) sull'aggressività tra i membri dello stesso gruppo di ragazzi, indotta da comportamenti di leadership dell'insegnante. Lo studio empirico del livello di aggressività nelle atmosfere autocratiche e democratiche, mostra che lo stesso gruppo di ragazzi reagisce in modo diverso quando cambiano le atmosfere interne: il mutamento è attribuito così al diverso clima sociale, nel caso in analisi al diverso stile di comando. Analizzando i risultati dello studio, emerge un livello di aggressività tra i membri del gruppo molto alto o molto basso quando lo stile di comando era orientato a determinare un clima autocratico, mentre in un clima democratico l'aggressività si manteneva a un livello intermedio. In seguito Lewin considera L'influenza dell'atmosfera sull'individuo, e nell'esperimento con due gruppi separati, caratterizzati da due atmosfere diverse, fa trasferire due individui rispettivamente, ciascuno nell'altro gruppo: dopo poco tempo ciascuno dei due si comportava come l'altro, prima che avvenisse il mutamento. Esempi come questo, inducono a pensare che Il comportamento Individuale della persona è fortemente influenzato dall'atmosfera dominante del gruppo sociale in cui è inserito,e questo ragionamento vale ovviamente anche all'interno dell'organizzazione. L'approccio sperimentale tipico di Lewin è stato ripreso da un altro esperimento degno di nota, che è stato compiuto da Litwin & Stringer (1968) dove si sono proposti di testare le ipotesi circa l'influenza dello stile di leadership sul clima organizzativo e di quest'ultimo hanno analizzato le motivazioni e i comportamenti delle persone. Con questo esperimento si misurarono le reazioni indotte da tre stili di leadership all'interno di tre organizzazioni simulate, ciascuna formata da quindici persone, più un presidente. L'esperimento durò tre settimane, dove vennero analizzate minuziosamente tutte le variabili considerate significative, come gli obiettivi perseguiti, le caratteristiche dei
  • 53. 53 volontari, e la tecnologia simulata. Alla fine del periodo di osservazione, fu somministrato un questionario a coloro che avevano partecipato all'esperimento, per misurare le variabili di clima. Va segnalata la somiglianza con gli esperimenti di Lewin perché anche in questo caso vengono analizzati gli stili di leadership, che hanno le seguenti caratteristiche: − uno stile di leadership basato su una rigida struttura formale (autoritario- formale); − uno stile di leadership basato su una struttura informale con comportamenti amichevoli (democratico-informale); − uno stile di leadership orientato a stimolare la produttività e l'innovazione (innovativo-permissivo-orientato al risultato); Gli effetti studiati, come variabili dipendenti, sono le motivazioni e i risultati produttivi. Il principale risultato dell'esperimento è che i tre stili di leadership crearono tre ambienti sociali diversi, tre climi diversi e motivazioni personali diverse. L’esperimento conferma dunque, l’esistenza di una relazione significativa fra stile di leadership, tipo di clima instaurato e tipo di motivazioni stimolate presso i partecipanti. Gli esperimenti condotti da Litwin & Stringer (1968) segnano il definitivo consolidamento del concetto di clima come strumento di analisi del comportamento organizzativo. Il clima è dunque proposto come un elemento fondamentale di un organizzazione ed è presentato (come afferma Litwin) come “uno strumento di lettura dei fattori che determinano il comportamento in situazioni sociali reali e complesse”. Lewin lo definisce come “un fenomeno percettivo, dunque soggettivo, ma anche
  • 54. 54 attributo del sistema”. 6.4 Dal clima alla cultura,conclusioni Abbiamo detto che il clima organizzativo è ciò che si "respira" all'interno del luogo di lavoro, è ciò che regola gli umori, i rapporti tra le persone. Il clima influenza tutto quello che avviene nell'organizzazione, dallo svolgimento delle proprie mansioni ai rapporti Verticali (con i superiori) e orrizzontali (con i colleghi). Un buon clima permette all'organizzazione di raggiungere più facilmente i suoi obiettivi ed ottenere dei buoni risultati in termini di efficienza (prestazione-costi), oltre che in termini di armonia interna. Il clima di un'organizzazione è stato riconosciuto come indicatore della qualità delle relazioni interne. Una delle definizioni attualmente più accreditate interpreta il clima in relazione alla cultura di un'organizzazione, ovvero riconoscono il clima come percezione, da parte delle persone, della cultura di cui essa è portatrice.
  • 55. 55 Capitolo 7 La cultura organizzativa. 7.1 Introduzione alla cultura Organizzativa Nell'ambito degli studi organizzativi il tema della cultura era da tempo emerso come possibile chiave di accesso per la comprensione dei comportamenti all'interno dell'organizzazione; la sua massima affermazione si è diffusa tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta ed ebbe una sorta di impulso per la letteratura manageriale del periodo. Alcuni libri, pubblicati in quegli anni spostavano l'attenzione verso la spiegazione, in chiave culturale di quel fenomeno economico mondiale che era il sistema produttivo Giapponese. Sono molteplici le ricerche condotte per comprendere realmente le peculiarità di questo sistema produttivo, il prevalere giapponese sull'elettronica, sull'automobilistica, sull'industria fotografica e sulla cantieristica navale era davvero imponente. Le pubblicazioni e le ricerche conducevano tutte ad un unico quesito: perché i Giapponesi sono così bravi? La risposta più plausibile, poi confermata da vari studi, era una ragione di ordine culturale. W.G Ouchi (1981) è stato uno dei primi ad analizzare le differenze tra il metodo americano di gestire le aziende (chiamata da lui Teoria A, American) basato sulla teoria classica dell'organizzazione, sulla gerarchia burocratica, su processi decisionali individuali, sulla responsabilità individuale, sulla leadership verticale, sulle valutazioni
  • 56. 56 formali e sul turn-over dei lavoratori (ricorda molto la teoria X di McGregor) e il metodo Giapponese (chiamata Teoria J, Japanese) caratterizzato invece da processi decisionali collettivi, responsabilità collettiva, leadership collaborativa che valorizza l'individuo, valutazioni informali e rapporti d'impiego a tempi lunghi. Per emulare i risultati organizzativi Giapponesi, alcune aziende americane hanno adottato in quegli anni, sistemi di gestione simili a quelli giapponesi, ma con alcuni tratti differenti (Ouchi ha chiamato questa “Via i mezzo“ Teoria Z ) e la differenza più importante tra le aziende giapponesi e quelle americane è la responsabilizzazione delle decisioni, collettiva nelle giapponesi, e ovviamente Individuale in quelle americane. La differenza tra queste teorie riguarda soprattutto i modi di gestire il personale, che danno luogo, nel caso della teoria Z a rapporti basati sulla fiducia e sull'impegno reciproco, e non sul conflitto e sul confronto: e ciò genera secondo Ouchi un efficace coordinamento tra le diverse componenti organizzative. Il libro di Ouchi è diventato negli anni Ottanta un best-seller, e ha contribuito ala fama del modello produttivo Giapponese. Un altro best-seller fu quello di Peters & Waterman (1982). I due autori, due consulenti in una delle più note società di management in America, crearono una classifica delle aziende americane meglio guidate, secondo una varietà di criteri, con cui isolarono 43 aziende (per citarne alcune: 3M, Hawlett-Packard, IBM ) e per spiegare le performance di questa aziende individuarono 8 Peculiarità, 8 tratti comuni che gli autori proponevano come modello da seguire a chi volesse emularne i risultati: Gli 8 Principi dell'eccellenza di Peters & Waterman (1982): - propensione all'azione;
  • 57. 57 - orientamento al cliente; - incoraggiamento all'autonomia e all'imprenditorialità; - coinvolgimento del personale; - enfasi su un valore chiave; - concentrazione dell'attività sulle aree note; - struttura semplice e staff ridotto; - flessibilità dei controlli; Alcuni di questi principi enunciati come condizioni di eccellenza, portavano l'attenzione proprio sulla dimensione culturale e su linee guida basate sulla valorizzazione del fattore umano. Nasce negli anni Ottanta la consapevolezza che i tratti culturali consentono di capire la realtà profonda delle organizzazioni e di andare al di là dell'apparenza superficiale. Tra i principi dell'eccellenza di Peters & Waterman troviamo “l'enfasi su un valore chiave”, i valori sono considerati i veri portatori di quel cemento culturale che dà forza e crea unità all'interno dell'organizzazione. La nozione di cultura è secondo Smircich (1983) una metafora che impone di ripensare radicalmente le organizzazioni, non più come oggetti fisici da utilizzare come strumenti, ma come forme espressive e simboliche, come fenomeni sociali, di cui la cultura costituisce l'essere. Descrivere la cultura organizzativa aiuta a cogliere aspetti fondamentali della realtà organizzativa, a comprendere molte condizioni del suo funzionamento, e a valutarne caratteristiche che altrimenti sarebbero ignorate.
  • 58. 58 7.2 Che cos'è la cultura Organizzativa? Definire un’organizzazione tenendo presenti i meccanismi, le regole, gli scambi e le relazioni che troviamo al suo interno, non è semplice. Esistono, infatti, molti tentativi e descrizioni sicuramente validi ma spesso, se presi singolarmente, non sufficienti a descrivere “l' azienda”. Ogni azienda è caratterizzata da norme e strutture ma è formata anche da emozioni, valori, percezioni e aspettative, che influenzano notevolmente l’andamento dell’organizzazione stessa , aiutandola o ostacolandola nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Intervenire o fare un’analisi di un’azienda significa, quindi, studiare e osservare queste dinamiche effettuando un’analisi del clima organizzativo e uno studio della cultura aziendale alla base della formazione del clima stesso. Conoscere la cultura di un’organizzazione è fondamentale per la comprensione dei meccanismi, degli atteggiamenti e degli scambi tra gli individui che la compongono. La cultura esistente in un’organizzazione influenza i comportamenti e le relazioni al suo interno favorendo in alcuni casi il buon esito del lavoro per il conseguimento degli obiettivi aziendali, mentre a volte può essere la causa di disfunzioni che ostacolano la crescita e il cambiamento della stessa. La cultura, infatti, può contribuire a creare e consolidare il senso d’identità, a facilitare l’impegno collettivo e il lavoro di gruppo, a fungere da meccanismo di controllo e a definire degli schemi di riferimento su cui si basa l’interpretazione della realtà, ed è per questo motivo che uno degli interessi primari del buon dirigente deve essere il controllo ed ovviamente il rispetto della cultura dell'organizzazione in cui opera.
  • 59. 59 7.3 Cultura e clima, due concetti distinti ma legati tra loro il clima organizzativo è una caratteristica delle organizzazioni che si riflette nelle descrizioni che i membri fanno delle politiche, delle pratiche e delle condizioni esistenti nell’ambiente di lavoro e, oltre ad essere direttamente influenzato dalle interazioni tra gli individui, che trasformano le percezioni individuali delle caratteristiche organizzative, esso è anche influenzato dalla cultura che, a sua volta, modera le percezioni individuali e i processi intersoggettivi. Clima e cultura organizzativa sono appunto due concetti distinti ma legati tra loro a causa dell’influenza che la cultura esercita sul clima, ed è per questo necessario analizzare le relazioni e le differenze fra i due concetti. Per quanto riguarda le origini, mentre il clima affonda le sue radici nella psicologia sociale, la cultura nasce nell’ambito dell’antropologia. La psicologia sociale pone l’attenzione sugli individui, sulle risposte cognitive, sulle reazioni affettive e sui processi percettivi attraverso i quali l’individuo apprende e discrimina le caratteristiche dell’ambiente interno di un’organizzazione, tipici della formazione del clima. La cultura, invece, per il suo legame con l’antropologia, analizza le strutture sottostanti i miti, i simboli e i rituali che rendono manifesti i valori, le norme e i significati condivisi in un gruppo e, in questo caso, in un’organizzazione. Di conseguenza, mentre gli antropologi esaminano alcuni aspetti della cultura (ad es. miti, leggende e simboli), che esprimono valori condivisi, gli psicologi sociali studiano le modalità attraverso cui questi valori vengono condivisi. L’importanza della condivisione dei significati e delle aspettative è riconosciuta da entrambi come indispensabile al processo organizzativo, ma gli psicologi si interessano al significato sociale che si riflette sugli individui mentre gli antropologi si occupano
  • 60. 60 delle analogie collettive. Clima e cultura si sovrappongono nelle componenti delle dimensioni espressive e comunicative delle organizzazioni: - il clima si riferisce a quelle caratteristiche comportamentali e agli atteggiamenti degli individui che sono maggiormente accessibili ad un osservatore esterno; - la cultura invece rappresenta quegli aspetti di un’organizzazione più impliciti e più difficili da interpretare in modo immediato dall’esterno e racchiude quei valori collettivi propri dei membri che si manifestano attraverso valori, norme e ideologie condivise. 7.4 J. Pfeffer e A. Pettigrew: la cultura, Simboli e significati condivisi. Jeffrey Pfeffer (1981) segnala la particolare importanza della condivisione di significati e dell'istituzionalizzazione delle azioni degli individui interni ad un organizzazione, e della sua necessaria prevalenza rispetto alla standardizzazione delle azioni basata su procedure imposte e sanzionate: secondo lui, la conformità dei comportamenti è un risultato che non rientra nella logica delle azioni fisiche ma in quella delle azioni simboliche. Per questo l'attività amministrativa e il lavoro manageriale deve “gestire i miti, simboli e valori” interni alla cultura, ovvero (secondo una formulazione di K.E Weick e poi ripresa da Pfeffer) l'attività del manager deve assomigliare di più a quella dell'evangelista che a quella del contabile, o ancora come ha affermato Pondy (1978) : uno dei compiti del dirigente è dare una definizione e una spiegazione dell'attività dell'organizzazione, verso l'interno, per ottenere un'azione collettiva organizzata e verso l'esterno per legittimare l'organizzazione stessa e la sua attività. Lo studio di Pfeffer descrive i comportamenti manageriali come comportamenti atti alla
  • 61. 61 creazione di significati, alla razionalizzazione, legittimazione e interpretazione dell'azione organizzativa per influenzare altri attori sociali. Questo, dice Pfeffer, è il vero terreno d'azione del management, il terreno delle risorse simboliche. Una delle definizioni più generali e chiare di cultura organizzativa è proposta da A. Pettigrew (1979) che afferma: “La cultura organizzativa è il sistema dei significati pubblicamente e collettivamente accettati, operante per un gruppo determinato in un momento determinato”. Gli studi sociologici ed antropologici hanno mostrato come la cultura si forma all'interno di un gruppo sociale, dal momento che i valori diventano comuni al gruppo, vengono accettati e condivisi. L'esito della condivisione di significati e valori porta al concetto di istituzionalizzazione, cioè la comprensione e socializzazione reale di quei particolari valori, che diventano propri della cultura dell'organizzazione. Quando si dice che “l'organizzazione ha sviluppato una propria cultura” si intende che al suo interno si sono sviluppati sistemi di significato non solo tecnico-scientifici (competenze tecnico-professionali), non solo linguistici (il linguaggio che si impara “vivendo l'organizzazione”), ma anche mitici. Per questo si può riconoscere l'esistenza di miti organizzativi, non solo in quanto fatti e storie riguardanti le origini, la trasformazione, i successi, i momenti critici, gli eroi, ma in quanto l'organizzazione ha prodotto, nella sua storia, veri e propri sistemi di simboli portatori dei valori organizzativi. 7.5 La cultura organizzativa: conclusioni. Gli studi sulla cultura dell'organizzazione hanno dato un contributo molto importante