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0. INTRODUZIONE: I PROPOSITI DI STUDENTI DEMOCRATICI.




0.1 Un nuovo sistema universitario italiano.


                                         Tu devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.



                                                                     Mohandas Karamchand Gandhi



Il nostro Paese per molti anni, già a partire dalla fine del XIX secolo, ha rappresentato una vasta risorsa per
le economie più progredite del mondo. La forza – lavoro impiegabile nelle industrie più avanzate ha
provocato una forte emigrazione, motivata dallo stato di arretratezza economica, socio – culturale e
istituzionale in cui ha versato a lungo l’Italia post - unitaria.

Oggi, dopo l’industrialismo, la crescita degli anni ’50 e ’60 del ‘900 e l’urbanesimo, il nostro Stato non è in
grado di competere in modo efficace con le più avanzate economie mondiali sulla ricerca scientifica, sullo
sviluppo di tecnologie avanzate, sulla produzione di beni sofisticati, e ciò comporta nuovi movimenti
migratori all’estero di ricercatori, di studenti, di giovani professionisti; ovvero, un progressivo
impoverimento del nostro tessuto culturale, del nostro bagaglio scientifico, delle nostre possibilità di
crescita tecnologica.

In sostanza, se per anni l’Italia ha mostrato incapacità a costruire e valorizzare un sistema occupazionale ed
economico che offrisse risposte ad un’ampia, quanto generalizzata, domanda di lavoro poco o affatto
qualificato, e ciò ha contribuito anche ad acuire gli squilibri fra le regioni del Nord e quelle del Sud, oggi il
Paese non riesce a trattenere le proprie migliori energie per finalizzarne gli studi e le conoscenze verso un
avanzamento sociale, economico ed ovviamente culturale.

In questo quadro, risultano assai evidenti i limiti del sistema universitario italiano. Da una parte, le carenti
risorse economiche da utilizzare per offrire alla popolazione studentesca e docente strutture adeguate,
laboratori efficienti, biblioteche ben fornite, mezzi informatici d’avanguardia; d’altro canto, la cattiva
gestione del patrimonio economico ed umano, la crescita dei potentati e delle baronie, la mancanza di
valutazioni, e conseguenti scelte, in base a criteri rigorosi.

Il Governo Prodi II, ed il suo Ministro dell’Università Mussi, non sono stati incisivi né tempestivi
nell’arginare un processo culturale “deviante” promosso dalla destra politica negli ultimi quindici anni:
ovvero, l’idea che la pubblica amministrazione non sia in grado di offrire servizi di qualità ed adeguati alle
necessità contemporanee e, pertanto, sia più consono destrutturare gli enti erogatori statali e affidarsi a
strutture private.

Anche l’università pubblica, prima con l’ex Ministro Moratti poi con il Ministro Gelmini, ha visto messa in
discussione il suo ruolo centrale per la crescita ed il progresso del Paese, aggravando la condizione degli
atenei, mediante l’aumento dei fondi per il finanziamento delle università private e la contestuale
decrescita del FFO per gli atenei pubblici; la nascita di numerose università telematiche (spesso di scarsa
qualità accademica); la proliferazione di nuovi atenei e la frammentazione degli istituti in numerose sedi
distaccate; il raddoppio dei corsi di studio e la moltiplicazione dei moduli (o esami) che gli studenti devono
sostenere; i privilegi della classe docente e il suo mancato rinnovamento generazionale; lo scarso impiego
di dottorandi e ricercatori e la misera attenzione a loro rivolta; la riduzione sistematica del fondo pubblico
per la ricerca e l’incapacità di attrarre risorse private; addirittura, l’eventualità di ridisegnare lo stato
giuridico degli atenei pubblici facendoli confluire in fondazioni di diritto privato, senza un chiaro quadro
normativo entro cui operare.

L’impegno Di Studenti Democratici deve, quindi, essere indirizzato su molteplici fronti: l’analisi
dell’impianto normativo, delle regole e delle consuetudini che regolano il sistema universitario italiano;
la ricerca di proposte innovative, ed alternative a quelle della destra al governo della città e del Paese,
che rendano più efficienti e diffusi i servizi agli studenti, che migliorino e razionalizzino l’offerta didattica
e formativa, che amplino il diritto allo studio per le categorie sociali più deboli, che agiscano sulla
trasparenza dell’impiego di denaro pubblico, che riordinino le spese e riducano le sedi decentrate e
distaccate, che costruiscano una “rete” di università pubbliche efficienti e di qualità sull’intero territorio
nazionale, che introducano criteri meritocratici per il personale docente e tecnico – amministrativo e per
l’accesso di nuove figure professionali, che concorrano a migliorare gli standard per la ricerca.

Per Studenti Democratici pensare una nuova università pubblica, ed il suo rapporto con quella privata e la
società tutta, ed agire nelle singole facoltà può voler dire non solo ampliare il consenso e l’attenzione degli
studenti, ma affrontare una notevole quantità di temi politici collegati alle problematiche delle giovani
generazioni: dalle questioni riguardanti la mobilità pubblica a quelle di carattere sanitario, dall’offerta
culturale della città al mercato degli affitti ed immobiliare, dalla scarsa mobilità sociale agli ausili ai più
deboli, dalle esperienze all’estero alla costruzione di una politica comune europea, dall’impiego di risorse
economiche pubbliche per la ricerca al contributo privato, dall’introduzione di giovani docenti e ricercatori
al rinnovo delle classi dirigenti del Paese, dall’alfabetizzazione informatica e tecnologica della popolazione
alla questione meridionale.

E’ fondamentale, a riguardo, agire come mai prima. Coinvolgere studenti e corpo docente, associazioni e
gruppi politici, giovani professionisti e studiosi per “misurare” la propria proposta politica e per avvicinare
esperienze differenti già presenti nelle università e nella società contemporanea.

I meriti, le responsabilità, le conquiste e le sconfitte di Studenti Democratici si misureranno, nei prossimi
anni, prima di tutto sulle questioni che riguardano l’istruzione pubblica.

La portata del rinnovamento che la nuova organizzazione giovanile saprà esprimere sarà pesata sulla sua
capacità di porsi innovativi obiettivi politici, di radicarsi nei luoghi di studio e di socializzazione delle
generazioni più giovani, nella maturità con la quale saprà dar fisionomia ad istanze di cambiamento e
riforma del sistema universitario italiano. Un sistema che va difeso perché pubblico, un sistema che va
profondamente modificato perché largamente inefficace ed inefficiente e non ancora egualitario.
0.2 Le fondazioni private: dismissione dell’università pubblica.


                                                  Noi non ci riempiamo la bocca parlando "della gente". Noi
                                                  abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente tra la
                                                  gente.



                                                  Romano Prodi, presentazione del Programma dell'Unione,
                                                  Roma 11 febbraio 2006




Da quando si è insediato, nel 2008, il Governo Berlusconi è più volte intervenuto in materia universitaria
caratterizzando la propria iniziativa secondo un modello culturale preciso: la pubblica amministrazione non
è capace di erogare servizi di qualità malgrado l’alto dispendio di risorse che comporta per l’erario statale.

Questo atteggiamento è apparso evidente in molti ambiti mediante il congiunto intervento dei Ministri
Brunetta, Tremonti e Gelmini; il primo, infatti, ha prodotto una potente campagna contro il pubblico
impiego quale causa dei mali del Paese ed ha più volte etichettato i dipendenti pubblici come “fannulloni”
inefficaci; il Ministro dell’Economia ha sostenuto sia irreversibile lo sperpero e l’inefficienza della P.A. e, di
conseguenza, ha varato molteplici interventi che comprimono le risorse a disposizione degli enti pubblici
per l’erogazione dei servizi ai cittadini ampliando, di fatto, le prerogative dei privati; il Ministro Gelmini, ha
avallato i tagli dei fondi nazionali rivolti agli atenei pubblici e non ha sostenuto i precari alle dipendenze
degli istituti scolastici in tutta la penisola.

Quanto avvenuto per l’università e la scuola pubblica italiana, in questo contesto, è equiparabile a ciò che è
stato prodotto per gli altri fondamentali settori che lo Stato gestisce al fine di offrire ai propri cittadini
servizi accessibili a tutti ed uguaglianza di trattamento: la sanità e la previdenza sociale, la difesa e la
sicurezza del cittadino (si pensi, a riguardo, al messaggio inviato al Paese con l’introduzione delle “ronde”:
lo Stato e la forza pubblica non sono in grado di garantire la sicurezza, siano i cittadini a farlo
autonomamente ed in modo arbitrario), il governo del territorio e la giustizia.

Non è un caso il continuo riferimento di Berlusconi e dei suoi ministri alle aziende private quali unico
strumento di efficacia ed efficienza gestionale.

In questo quadro, appare aver fatto breccia nel Paese l’idea culturale di fondo che la destra ed il Governo
perseguono.

Recuperare agibilità nelle facoltà universitarie e nelle aule scolastiche degli istituti medi superiori vuol dire,
per Studenti Democratici, prima di tutto offrire una proposta culturale antitetica che individui nelle
istituzioni pubbliche lo strumento necessario al servizio del cittadino per garantire uguaglianza e
accessibilità; e, in seconda istanza, significa individuare le modalità operative per coniugare “uguaglianza ed
accessibilità per tutti” a “qualità, merito e trasparenza”.
In un anno e mezzo il Governo ha proceduto nel proprio intento tagliando radicalmente i fondi per il
funzionamento degli atenei (il fondo nazionale, che ammonta a poco più di 7 miliardi di euro, è stato
ridotto per il 2010 di 700 milioni, mentre per il 2011 la somma dei tagli raggiungerà 1,3 miliardi) e,
contemporaneamente ha identificato, quali unici mezzi per reperire risorse, le donazioni di soggetti privati
e la possibilità per le università di cambiare la propria ragione sociale divenendo fondazioni private.

In questo senso, già i tagli apportati sono da ritenersi gravi se si considera che il sistema dell’università e
della ricerca italiano è enormemente sotto finanziato (per citare un solo dato, a riguardo, si consideri che il
finanziamento pubblico alle università è in Italia lo 0.6% del PIL a fronte dell’1.1% della UE). Ma, cosa
ancora più grave, è che questo genere di politica implica, da una parte, la sistematica e pesante riduzione
dei fondi per università e ricerca in un contesto come quello italiano in cui, più che nel resto delle UE, il
bilancio del settore è fortemente legato all’impegno delle istituzioni pubbliche. Di fatto, così, il Governo
allontana l’esperienza (ed il quantitativo di risorse destinate) italiana da quella europea.

D’altra parte, “affamando” gli atenei pubblici l’esecutivo spinge rettori e consigli d’amministrazione ad
accettare la logica delle fondazioni private: e questo è l’aspetto più pericoloso di tale provvedimento.

I CdA diverrebbero permeabili a soggetti privati, anteponendo all’interesse della ricerca e
dell’insegnamento pubblici la logica del profitto e lo stesso patrimonio immobiliare degli atenei, per effetto
di un comma della “legge Gelmini”, potrebbe essere svenduto alle fondazioni private. Il tutto senza un
adeguato quadro normativo entro le quali dovrebbero agire le università italiane – fondazioni private.

Nel combinato disposto di tagli e fondazioni private si intravede il motivo culturale che il Governo
Berlusconi persegue, ed al quale gli Studenti Democratici devono essere in grado di opporre un progetto di
università pubblica nella quale, come avviene in ogni contesto europeo, si insegnino tutte le discipline
scientifiche ed umanistiche (prescindendo dai risultati economici raggiungibili); si integrino ricerca e
didattica; siano tarate accessibili rette di frequenza; siano presenti strumenti di diritto allo studio; si
proceda all’interazione degli atenei e dei centri di ricerca con le altre istituzioni della società civile.

Gli Studenti Democratici, in sostanza, devono attrezzarsi per offrire il progetto culturale e politico di una
università italiana plasmata secondo il modello europeo e, quindi, governata e regolata da oggettivi
criteri scientifici e culturali e non dagli incostanti, quanto impropri, valori di mercato.

Si tratta, ed è bene ribadirlo, di elaborare non una semplice offerta politica ma di costruire una più ampia e
complessa proposta educativa. E nel fare ciò, bisogna inserire l’università in un’ottica in cui le istituzioni
pubbliche recuperino credibilità, agli occhi dei cittadini, mediante l’innalzamento della qualità,
l’eliminazione degli sprechi e la trasparenza nelle scelte.

La nostra cultura, quindi, ci impone di dirigerci nella direzione opposta a quella fin’ora percorsa dal
Governo e, soprattutto, ci prescrive di opporci con decisione alla dismissione dell’università quale ente
pubblico ed a favore di fondazioni private.
0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese.


                                                     L'utopia è una donna bellissima che vedo sullo sfondo. Io
                                                     avanzo di due passi, lei arretra di due. Io avanzo di tre, lei
                                                     arretra ancora. A cosa serve allora l'utopia? A camminare.



                                                     Eduardo Galeano



L’Italia è un Paese che dal secondo dopoguerra è stato capace di porsi in evidenza a livello mondiale.
L’industrializzazione ed il “miracolo economico” degli anni ’50 e ‘60, l’urbanesimo e i cambiamenti
demografici, la competitività sui mercati internazionali e l’importanza geopolitica nel contesto della Guerra
fredda nel Mediterraneo, sono alcuni degli enormi macrostravolgimenti che hanno interessato l’Italia del
XX secolo. Nel contempo, però, questa crescita esponenziale ha provocato significative contraddizioni ed ha
accentuato alcuni problemi e, su tutti il divario fra nord e sud, il primo posto al centro del progresso che
avveniva ed il secondo ancora figlio dell’arretratezza feudale e accompagnato verso una potente
migrazione verso le aree più industrializzate o verso l’estero. I dati statistici, ancora a distanza di molti anni,
ci mostrano un divario enorme non solo in termini economici, di reddito, di produttività, di occupazione,
ma anche per quanto riguarda l’offerta e la qualità dei servizi ai cittadini. L’università ed il comparto
culturale rappresentano una voce “a bilancio” delle regioni meridionali in assoluto passivo, e che va
analizzata con attenzione. Il nostro intento deve mirare ad utilizzare un servizio pubblico essenziale, quale
la formazione universitaria e la ricerca scientifica e tecnologica, per diminuire le differenze fra Nord e Sud
del Paese e per offrire maggiore equità ed uguaglianza ai cittadini ed agli studenti.

Risulta, infatti, evidente che se tutta l’università e la ricerca pubbliche italiane soffrono dei continui tagli
operati, di strutture arretrate, della mancanza di dinamicità e del dovuto ricambio generazionale, appaiono
altrettanto palesi le condizioni drammatiche in cui versano nel mezzogiorno.

Qui, sono presenti atenei poco “appetibili” a causa di loro caratteristiche intrinseche, in parte mutuate dal
contesto sociale, politico, culturale e geografico in cui sono sorte, ed in parte afferibili agli errori ed alle
cattive gestioni che hanno guidato il sistema di ricerca ed universitario nazionale.

I numeri sono chiari: se dal meridione, fino ad alcuni anni fa, migravano disoccupati e lavoratori poco o per
nulla qualificati, oggi migrano studenti universitari, giovani diplomati e laureati. Il dato assume un peso
ancora più significativo se si considera che nel sud d’Italia gli immatricolati all’università sono in
proporzione, e spesso in termini assoluti, molti di più che nella restante parte del Paese 1. indicando, di
fatto, un vero e proprio esodo che coinvolge centinaia di migliaia di giovani ogni anno.



 1       A titolo esemplificativo, si tenga presente che dalla sola regione Calabria (che ha una popolazione residente di
poco superiore ai 2 milioni di abitanti) il numero di immatricolati agli atenei italiani è di 15.000 unità annue mentre
dalla regione Toscana (con popolazione residente poco superiore ai 3.600.000 residenti) gli immatricolati alle università
sono “solo” 14.000. I dati sono del Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU
(2008: 15).
Le cause di tale limitata desiderabilità sono originate dagli scarsi collegamenti e scambi culturali con le
principali università europee, dall’insufficiente prestigio derivato dai titoli di studio conseguiti negli atenei
del mezzogiorno, dall’inadeguatezza di strutture e servizi che assecondino il diritto allo studio, dalla
mancanza di biblioteche e laboratori e di insufficienti spazi per la didattica, trascurando, ovviamente, il
calcolo di quanti preferiscono trasferirsi fin da subito nelle città universitarie centrosettentrionali
prefigurando la successiva, inevitabile, migrazione dovuta alla ricerca di occupazione.

Questo fenomeno comporta, in definitiva, un danno consistente per il Sud e per l’intera penisola. Le
ripercussioni sono di carattere economico e culturale e sfociano, ovviamente, nella definizione delle
relazioni sociali e politiche di quelle aree.

Le regioni meridionali si impoveriscono della loro parte più dinamica e vitale, di quella culturalmente più
vivace ed elevata, di quella socialmente più votata a costruire relazioni interpersonali disinteressate
generando un ulteriore divario con le altre macroaree del Paese.

Inoltre, i borghi e le città, così, sono vissuti prevalentemente da residenti d’età più elevata e con aspettative
ed ambizioni minori.

Dal punto di vista economico l’impoverimento risulta evidente, quanto significativo: oggi, le famiglie del
Sud contribuiscono in modo massiccio all’attività economica delle principali città universitarie
centrosettentrionali drenando capitali dal sistema produttivo domestico, impoverendo, di fatto, la
domanda e l’offerta delle regioni meridionali ed inibendone l’iniziativa privata.

Il sistema universitario pubblico deve essere riformato ponendosi come obiettivo la riduzione delle
disuguaglianze e delle differenze fra Nord e Sud d’Italia, facilmente leggibili dai dati statistici e,
congiuntamente a massicci e mirati interventi su tutti gli altri aspetti sociali, economici e culturali, si deve
tornare ad ambire alla costruzione di un paese unito e solidale senza più una così elevata differenziazione
fra gli opposti poli geografici.

       In tal senso, si auspica una riduzione del numero di atenei dislocati ed una altrettanto decisa
diminuzione di sedi distaccate al fine di concentrare finanze ed intelligenze per la realizzazione di veri e
propri centri culturali, in grado di attrarre eccellenti operatori didattici e di inserirsi nei circuiti
internazionali della ricerca scientifica e tecnologica. In questo modo, una più elevata e riconosciuta
offerta formativa, unita ad efficaci strumenti a garanzia del diritto allo studio, produrrebbe il
contenimento dell’abbandono per motivi di studio delle regioni meridionali e porterebbe benefici effetti,
diretti ed indiretti, sulle economie di quelle aree del paese. Si agirebbe, in questo modo, anche sulla
dinamicità culturale e politica del territorio trattenendo le individualità più giovani e preparate e
sull’intero sistema produttivo, di servizi e consumi, oltre che sull’occupazione.

     Il Sud è il centro geografico del Mediterraneo. L’università e la ricerca, l’interazione con i principali
atenei europei e la comunicazione con le istituzioni culturali del Maghreb e dell’Asia Minore potrebbero
renderlo anche il centro culturale di un bacino enorme ed in continua evoluzione e fulcro di nuovi scambi.
0.4 Noi siamo la rappresentanza studentesca.



                                                […] Ci affacceremo al nuovo millennio senza sperare
                                                di trovarvi nulla più di quello che saremo capaci di
                                                portarvi.

                                                Italo Calvino, Six Memos for the Next Millennium




Gli esiti delle più recenti tornate elettorali negli atenei pubblici di Roma hanno visto il centrosinistra in
grave decrescita. La nascita del Partito Democratico e la sua difficoltà a definirsi in termini identitari, la
devastazione nelle file della sinistra massimalista, la disgregazione delle nostre forze e la disarticolazione
dei luoghi di discussione, di sintesi e di decisione unito al lungo travaglio che ha condotto alla costituzione
dei Giovani Democratici, hanno prodotto un quadro romano a tinte fosche. Oggi, però, l’università torna a
rappresentare una delle priorità dei Giovani Democratici e, ci auguriamo, un luogo di investimento politico
per il PD.

Come Studenti Democratici abbiamo bisogno di definire un nostro modello culturale e politico da veicolare
nelle facoltà e fra gli studenti e per farlo dobbiamo mobilitare i nostri circoli territoriali e costruire una
nostra organizzazione solida e riconoscibile che contribuisca a superare le particolari situazioni di stallo ed
incomprensione, imperdonabile, che si sono innescate fra precedenti organizzazioni giovanili e all’interno
delle stesse.

Per questo risulta fondamentale il confronto, finalmente tutto politico, sulle idee, i problemi e le esigenze
degli studenti. Per questo è motivato lo sforzo di produrre un documento programmatico degli Studenti
Democratici di Roma unico ed unitario, rigoroso, organico e particolareggiato.

Per tornare ad essere protagonisti, per lanciare una nuova grande stagione di attivismo universitario in
cui gli studenti tornino al centro della nostra azione politica, non è sufficiente, però, un rinnovato slancio
concettuale. Ad una seria e profonda riflessione che ci permetta di individuare l’essenza delle nostre istanze
e la definizione dei nostri obiettivi prioritari dobbiamo accostare una forma organizzativa migliore ed
unificante che rappresenti, anche in ambito universitario, l’unicità di intenti degli Studenti Democratici di
Roma.

Siamo consapevoli che fare politica all’università comporta la necessità di confrontarsi quotidianamente
con le esigenze e i problemi di chi la vive; significa essere sempre pronti a rispondere alle sollecitazioni;
significa lottare, a volte anche in modo duro, contro le inefficienze e le storture che non mancano di
presentarsi e che, alle volte, sono connaturate al nostro sistema universitario.

Lo strumento essenziale per fare tutto ciò è rianimare la rappresentanza e rinvigorire la partecipazione dei
nostri iscritti e degli studenti. È questo l’unico mezzo che abbiamo per poter essere determinanti ed
influire negli organi decisionali e per farci portatori delle istanze di cambiamento. È dunque necessario
iniziare la costruzione di una nuova forma di rappresentanza che ci permetta innanzitutto di essere
pubblicamente riconoscibili e presenti mediante una struttura associativa direttamente riconducibile a
Studenti Democratici in tutti gli atenei pubblici e privati.
Facendo tesoro dell’esperienza degli ultimi anni, e pur nel rispetto delle specificità dei singoli atenei, è
auspicabile che tutte queste si caratterizzino in modo univoco per consentire un immediato riconoscimento
delle nostre organizzazioni e per agevolare una maggiore operatività anche fuori dai confini universitari.

In questo quadro, il nostro contributo può essere determinante alla riunificazione di tutte le realtà
riconducibili a Studenti Democratici e, in prospettiva, alla costruzione di un centrosinistra unito nella
rappresentanza degli studenti in ogni singola facoltà e fino ai livelli più elevati. Il nostro obiettivo è quello
di convogliare il grande dinamismo di movimenti e associazioni, sebbene preservandone la capacità di
iniziativa singola, in una organizzazione capace di assumere decisioni condivise e di produrre una
maggiore, più ampia e più visibile, iniziativa politica.
1. TRE RIFLESSIONI SUL FUTURO DELL’UNIVERSITA’.

                                                     Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni
                                                     ugualmente comode che ci dispensano, l'una come
                                                     l'altra, dal riflettere.

                                                     Jules-Henri Poincaré




1.0 Introduzione.

L’università’ italiana è stata messa in subbuglio, ancora una volta, da un documento, spedito dal ministro
dell’istruzione Maria Stella Gelmini il 4 Settembre, a tutti i rettori e direttori amministrativi delle università
italiane. Il documento consta di due parti: la prima analitica che riassume i risultati non incoraggianti
ottenuti dalla riforma del “3+2” e una seconda più tecnica che descrive le misure che saranno attuate nel
prossimo futuro per ‘razionalizzare’ il quadro dell’offerta formativa, riducendo parallelamente anche i costi.
La parte analitica e le priorità d’intervento illustrate dal ministro sono pienamente condivisibili: la riduzione
degli sprechi dovuti alla proliferazione dei corsi di laurea e all’apertura indiscriminata di sedi decentrate;
l’eliminazione degli ostacoli organizzativi alla libera circolazione degli studenti tra i vari atenei; l’
assicurazione di un’offerta formativa qualificata, coerente con le linee guida stabilite dalla dichiarazione di
Bologna.

Non condivisibili invece sono i due postulati su cui si basa questa nuova riforma.

In primo luogo, la volontà di ‘affamare’ le università per spingerle verso la ricerca di nuove fonti di
finanziamento. E’ chiaro che in un paese dove l’investimento privato nell’università è marginale 1, l’unica
nuova fonte di introito è l’incremento delle tasse pagate dagli studenti 2.

Non è vero che occorre spendere meno. Anzi ci sarebbe da dire che la razionalizzazione dell’università
dovrebbe essere accompagnata da una crescita degli investimenti pubblici.

Se si considera l’Unione Europea quale benchmark si vede chiaramente che solamente la Bulgaria spende
meno dell’Italia 3. I Paesi dell’UE spendono in media l’1,1% del PIL per l’università, mentre l’Italia solo lo
0,8% 4. In secondo luogo lo stabilimento di premi e punizioni pecuniarie per gli atenei virtuosi non segue
alcuna logica razionale. Occorrerebbe, infatti, stabilire dei meccanismi di premio e punizione, secondo
modalità diverse, per evitare di aggravare il divario già enorme tra le università del Nord e quelle del Centro
Sud.




 1       In Italia solo il 7,7% della spesa universitaria e’ finanziato da partner privati. Nel resto d’Europa la media e’
del 12,5. Questo e’ soprattutto dovuto alla mancanza di investimento primario dello stato in infrastrutture e ricerca. Nei
paesi più sviluppati (anche negli Stati Uniti D’America) la spesa privata è ingente grazie a particolari regolamentazioni
ed al fermo impegno dello stato nel finanziamento dell’università’ e la ricerca.
 2       Tutto molto simile all’evoluzione inglese, in cui le tasse universitarie hanno subito un brusco aumento verso la
fine degli anni novanta.
 3       Dati Eurostat sull’educazione relative al 2006.
 4       Guida la classifica la Danimarca con il 2,3%.
Partendo da queste due importanti considerazioni, questo breve intervento si articola su tre punti: l’analisi
dei problemi riguardanti la classifica proposta dal ministero e l’applicazione del meccanismo premi-
sanzione; la persistenza del divario Nord-Centro Sud e in fine la centralità di una possibile riforma del
mondo della ricerca in linea con i paesi più avanzati.



1.1 Problemi del ranking usato dal Ministero e la necessità di uno sguardo solidale verso le università in
difficoltà.

E’ doveroso stilare delle classifiche per capire chi sta facendo bene in termini di ricerca e didattica. Ma la
classifica pubblicata nel mese di Luglio, che di fatto condiziona direttamente la quantità di fondi ricevuti
dalle università, presenta dei lati oscuri. Non vengono forniti i criteri e i punteggi relativi a ogni indicatore
considerato. Si dice solo che 2/3 del punteggio finale dipende dall’attività di ricerca e 1/3 da quella
didattica. La tanto invocata ‘trasparenza’ non viene applicata a questi indicatori, dei quali purtroppo non si
conosce nulla.

A questo va aggiunto che la classifica stilata non coincide con i più importanti ranking pubblicati da
autorevoli istituti a livello mondiale (e.g. THES). Pur soprassedendo sulla costruzione del ranking, non si può
non evidenziare che l’attribuzione dei fondi solo sulla base dell’‘efficienza’ degli atenei rischia di aggravare
il divario esistente fra le università del Nord e del Centro-Sud. Non sorprende che solo sei università di
quest’area facciano parte del gruppo delle virtuose.

Alla luce di questi squilibri pre-esistenti, l’approccio iniziale non può essere solo punitivo.

Si deve pensare a un sistema in cui le università virtuose mantengano una maggiore autonomia nella
gestione della didattica e delle questioni finanziarie, mentre quelle non virtuose vengano monitorate a
stretto giro dal ministero. Si dovrebbe, inoltre, creare un fondo per dare vita a partnerships tra le
università virtuose e quelle meno organizzate, per permettere il trasferimento di good practices. Questo
potrebbe essere l’inizio di una riforma partecipata.

Ancora una volta, invece, si procede dall’alto senza tenere in conto il potenziale ruolo sinergico che il
ministero dovrebbe avere con il mondo dell’università. Si rischia, cosi, di ripetere tutto quello che di
sbagliato è stato fatto con la precedente riforma.



1.2 Il riequilibrio Nord – Sud.

Continua a crescere lo squilibrio tra Nord-Sud con il corollario dell’esodo di studenti verso le migliori
università del nord. Basilicata, Calabria, Sicilia e Campania (giusto per citare gli esempi più eclatanti)
nonostante la presenza di numerosi atenei regionali non riescono a essere attrattive per molti cittadini
residenti in regione e ancora meno capaci di compensare il flusso in uscita con quello in entrata 5.

Occorre razionalizzare il panorama dell’offerta formativa, riducendo il numero delle università e
migliorando la qualità di un numero minore d’istituzioni.


 5      A questo titolo vedi il Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU
(2008: 15) e già citato nel paragrafo 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese.
La Calabria per esempio con i suoi due milioni di abitanti, possiede ben tre università, ma il 38,4% degli
studenti emigra altrove (CNVSU, 2008:15). Ciò significa che il massiccio investimento per finanziare tre
università non ha raggiunto il suo obiettivo. In questo senso, il progetto di fusione fra atenei va preso
seriamente in considerazione.



1.3 Concentrazione della ricerca.

Il progetto di fusione per molti atenei potrebbe concorrere alla creazione di importanti clusters universitari
capaci di generare ricerca di alto livello. Sul modello tedesco si potrebbe pensare di finanziare
maggiormente 10 istituzioni (distribuite in maniera equa sul territorio nazionale) in cui si concentri la
maggior parte dell’attività di ricerca. Uno dei problemi maggiori del nostro paese è l’assenza di università
leader capaci di fare da cassa di risonanza a livello internazionale. La prima università italiana nel ranking
THES 5 è Bologna, che si piazza al 192esimo posto nel mondo. Quest’assenza riduce la possibilità
d’integrazione dell’università italiana nel panorama mondiale.

Per quale ragione un valente studente straniero dovrebbe venire in Italia per un dottorato o per proseguire
le sue ricerche? Nel nuovo scenario, le altre università più periferiche dovrebbero maggiormente
concentrarsi sulla didattica e appoggiarsi ai dieci atenei di riferimento per la ricerca. Questa iniziativa
ridurrebbe enormemente gli sprechi generati dall’eccessiva decentralizzazione.

Infine, occorre investire di più, in modo più efficiente e concentrato, limitando il numero di professori
ordinari e accrescendo quello di dottorandi e ricercatori. La riforma parzialmente risponde a questo
bisogno, riducendo il peso degli ordinari ma senza garantire adeguati nuovi fondi per i giovani ricercatori. La
riforma dei cicli di dottorato è stata annunciata, bisognerà quindi attendere per un giudizio più completo.

In ultimo, consideriamo positiva l’idea di introdurre una commissione di esperti esterni ed internazionali
per decidere le promozioni accademiche sulla base della qualità della ricerca prodotta.



1.4 Conclusioni.

C’e’ bisogno di una riforma radicale dell’università. In questo intervento sono stati toccati i tre ambiti che a
nostro avviso sono prioritari, purtroppo la nostra rabberciata università necessita di molte altre misure.
Sarebbe bello vedere in futuro una discussione allargata sulla riforma, in cui emerga una condivisione
d’intenti tra governo, opposizione, strutture universitarie e studenti.

I progetti calati dall’alto hanno sempre fallito in passato, non bisogna ripercorrere la stessa strada.
Purtroppo i continui annunci, cosi come in molti altri ambiti (come per esempio la riforma previdenziale),
accrescono le resistenze e non giovano alla qualità del dibattito pubblico. Ci auguriamo, che il ministro e il
governo tengano conto del grande fermento che esiste intorno al mondo universitario e sfruttino la storica
occasione fornita da questa riforma per iniziare un nuovo percorso condiviso.




 5      Vedi documento CNVSU (2008: 114).
2. UN SISTEMA SULLA VIA DEL DECLINO.

                                                  L'istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si
                                                  possono utilizzare per cambiare il mondo.



                                                  Nelson Mandela



2.0 Introduzione.

Il valore di una istituzione, tanto più se si parla dell’Università, dipende da quanto realmente essa
rappresenta il sistema in cui opera, ed oggi, la società italiana non sembra considerare particolarmente
importante il ruolo di tale istituzione. Come potrebbe essere diverso?

In un sistema caratterizzato da bassa mobilità sociale, dove le relazioni familiari contano più delle qualità
personali, l’Università non può essere considerata un investimento profittevole. Se a questo aggiungiamo
un sistema economico con piccole imprese in settori manifatturieri tradizionali, in concorrenza soprattutto
con i paesi emergenti, manca anche il collegamento con il mondo del lavoro.

L’unica cosa che conta è il titolo, “il pezzo di carta”, quindi la scelta dell’Università è la stessa che si fa per
comprare il latte: il posto più vicino.

In un sistema siffatto, senza controllo e pressione sociale, il sistema è lasciato in balia degli interessi degli
attori interni e locali, ovvero, delle varie corporazioni che affollano i nostri atenei, da quelle dei professori a
quelle degli studenti. In questo contesto l’Università perde totalmente il suo ruolo che dovrebbe essere
quello di volano di una crescita sociale ed economica del paese.

Negli ultimi decenni, infatti, l’abbassamento della qualità e la proliferazione di corsi di laurea “facili” hanno
portato il sistema ad essere ancora più classista. Eppure a sinistra rincorrendo i miti dell’ “egualitarismo”, in
un sistema che dovrebbe essere per natura diseguale per garantire ai migliori di poter emergere, non si è
compreso che sono proprio le classi meno agiate a rimetterci da un abbassamento della qualità
dell’istruzione universitaria.

Per garantire un’adeguata mobilità sociale, più che spendere risorse per eliminare ogni numero chiuso,
necessario soprattutto in quelle facoltà con elevati costi di gestione, sarebbe stato più opportuno investire
tali fondi nel diritto allo studio (borse di studio, alloggi, mense, …). In tal modo si sarebbe garantita una
reale parità di accesso all’istruzione universitaria, e non solo in apparenza.



2.1 Qualche dato.

Utilizzare qualche dato statistico sulla situazione del sistema educativo italiano, e in particolar modo di
quello universitario, può essere utile per descrivere lo stato dell'Università italiana.
Prendendo dai dati OCSE sull’istruzione (Education at glance), la spesa per studente in Italia è attorno alla
media dei paesi OCSE per la scuola primaria e secondaria, ma nettamente al di sotto nel sistema
universitario (8026 USD contro una media di 11512).

In realtà, Roberto Perotti nel suo ultimo libro ("L'Università truccata", Einaudi) rettifica quest’ultimo dato,
affermando che considerando la piaga tutta italiana degli studenti fuori corso che non utilizzano le
strutture universitarie, la spesa per studente anche nel sistema terziario si collocherebbe in media con i
paesi OCSE.

I dati presentati da Daniele Checchi e Tullio Jappelli sulla Voce ci dicono qualcosa in più sull’evoluzione e
sull’efficienza della struttura organizzativa del sistema universitario italiano.

Se le riforme del sistema universitario hanno prodotto dal 1985 al 2005 un aumento del numero di studenti
immatricolati di circa il 65%, a questo incremento è corrisposto un aumento spropositato dell’offerta
formativa. Le facoltà universitarie, infatti, sono aumentate di quasi il 90%, mentre il numero di corsi di
laurea (considerando solo quelli magistrali) è passato da 778 a ben 2194 (+ 287%).

Inoltre, bisogna ricordare che l’assegnazione dei fondi all’università tramite il Fondo di Finanziamento
Ordinario (FFO) fino al 2008 è avvenuta sostanzialmente a pioggia (criterio della spesa storica) a
prescindere dai meriti accademici e di ricerca (dai dati del decreto Mussi 2008 sappiamo che solo il 2,2% dei
fondi del FFO sono stati assegnati in base al merito).

Se a questi dati aggiungiamo concorsi truccati, baronaggio diffuso, ricerca scadente, fuga dei cervelli
all’estero, abbiamo il quadro di un sistema chiaramente inefficiente che va assolutamente riformato. In un
quadro del genere, l’Italia è lontanissima dal traguardo che si è posta a Lisbona: quello di una società basata
sulla conoscenza.



2.2 Autonomia senza responsabilità: università senza merito.

In questi anni è stata concessa autonomia agli Atenei senza, però, un’equivalente responsabilizzazione,
creando un sistema inefficiente e totalmente autoreferenziale.

L’autonomia, infatti, diventa autoreferenzialità, quando non è accompagnata da un “sistema competitivo”
di allocazione dei fondi “pubblici” basato su criteri oggettivi con cui valutare la ricerca e la didattica. Ciò
non significa l’isolamento delle università che non si dimostrano in linea con il mercato, ma incentivare i
differenti atenei ad adottare un modello virtuoso di gestione delle risorse a loro disposizione, in particolare
quando parliamo di reclutamento di ricercatori e professori.

Solo premiando il merito sulla base di risultati rigorosamente verificati, come avviene oramai con criteri
sufficientemente oggettivi in larga parte del mondo, e investendo risorse su questa opera di
rinnovamento si può permettere al sistema universitario di uscire dal guado.

Per anni, invece, in particolare nelle esperienze di Governo del centro-sinistra, si è cercato tramite una
crescente burocratizzazione del sistema di imporre comportamenti virtuosi. La ricerca del “concorso
perfetto” nelle assunzioni, la serie infinita di parametri imposti dall’alto dal Ministero non hanno sortito
alcun effetto. Anzi, hanno livellato il sistema verso il basso. Un esempio su tutti è quello della doppia
idoneità nei concorsi per professori che alla fine ha finito per incrementate le probabilità di promuovere i
candidati interni delle Università, indipendentemente dal merito.
Nel frattempo, nonostante l’istituzione di due organi preposti alla valutazione della ricerca (CIVR) e della
didattica (CNVSU), fino al 2008 il Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università è stato ripartito tra i
diversi atenei a pioggia, seguendo un criterio di “spesa storica”.



2.3 Gli interventi del Governo: i tagli al FFO nel decreto 112/2008.

Il governo Berlusconi ha avuto rispetto all’Università un atteggiamento a dir poco schizofrenico.

Con il decreto legge 112 del Giugno 2008, il Ministro dell’Economia Tremonti ha esordito tagliando
bruscamente i fondi al Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università (FFO). I tagli previsti sono ad
aumentare, con decrementi al FFO che diventano sostanziali solo a partire dal 2010 (63 milioni nel 2009,
190 nel 2010, 316 nel 2011, 417 nel 2012 e 455 dal 2013).

Tale intervento di “razionalizzazione della spesa” (così è stato definito dallo stesso Ministro dell’istruzione
Gelmini) sembra rispecchiare l’atteggiamento ostile che la destra berlusconiana ha sempre avuto rispetto
all’Università. In sede di finanziaria con un vincolo di bilancio allora stringente, e con promesse elettorali da
mantenere, il Governo non ha avuto problemi a reperire risorse da un sistema, quello dell’Istruzione in
generale e dell’Università in particolare, non considerato decisivo e cruciale per lo sviluppo economico e
sociale del paese.

Tuttavia, nonostante tale atteggiamento ostile nei confronti dell’istruzione, dell’università e della ricerca
pubbliche, il governo ha effettuato alcuni interventi che sembrerebbero, per la prima volta dopo anni,
interessanti e meritano attenzione ed approfondimento.



2.4 Gli interventi del Governo: gli incentivi al merito.

Con un successivo Decreto Legge 180/2008 il Ministro Gelmini ha previsto la destinazione del 7% del FFO
(500 milioni) alle università che risultino migliori in quanto a produzione scientifica, organizzazione e
didattica.

Si tratta del primo intervento da parte di un governo che decide di iniziare a destinare una quota
significativa del FFO in base a criteri di merito.

Le linee guida del Governo, inoltre, prevedono inoltre progressivi incrementi degli stanziamenti in base al
merito negli anni successivi, fino ad arrivare a stanziare fino al 30% del FFO ( oltre 2 miliardi di Euro). Non
pochi dubbi erano stati mossi sui criteri che il Ministro avrebbe poi adottato, poiché il modello di
ripartizione dei finanziamenti sulla base dei risultati è quello da cui dipende la possibilità di incidere
effettivamente sui comportamenti degli atenei. Si tratta, infatti, di definire parametri e coefficienti volti a
premiare davvero la qualità.

Tuttavia, la scelta di allocare i 523,5 Ml, per il 66% sulla base “Qualità della Ricerca Scientifica” e il restante
34% sulla base “Qualità dell'Offerta Formativa” e dei risultati dei processi formativi sembra essere più che
ragionevole.

I criteri scelti per la ricerca, in particolare, si sono basati per il 50% sul buon lavoro di valutazione della
ricerca fatto negli anni passati dal CIVR, che ha utilizzato, principalmente, parametri largamente condivisi
quali il numero delle pubblicazioni e la qualità della rivista su cui si pubblica: canoni sufficientemente
oggettivi su cui basare delle valutazioni.

Mentre per ciò che riguarda la didattica, si è evitato di creare incentivi perversi (come quello di trasformare
le Università in “diplomifici” peggiorandone la qualità) mitigando il metodo di calcolo secondo il numero dei
laureati, con valutazioni degli output, quali ad esempio, statistiche riguardanti la collocazione dei laureati
sul mercato del lavoro.

Chiaramente le polemiche non sono mancate, in particolare da parte di quegli atenei che da tali criteri sono
risultati penalizzati.

Da questo punto di vista i partiti all’opposizione e gli Studenti Democratici devono fungere da pungolo per il
governo, cercando di vigilare attentamente sui criteri di ripartizione dei fondi, poiché senza un controllo
serio sulla definizione dei criteri c’è sempre il rischio di arrivare a metodi “ad personam”, che tendano a
favorire un ateneo o un ente piuttosto che un altro, per ragioni che hanno poco a che fare con la ricerca o
la didattica. Bisogna, inoltre, anche garantire l’anonimato del valutatore per garantirne l’onestà del suo
giudizio. Proprio di recente, infatti, alcuni episodi passati quasi inosservati ai giornali, hanno messo in
discussione questo principio centrale per perseguire l’obiettivo di premiare il merito.



2.5 Una necessaria riforma della governance.

Premiare il merito, però, potrebbe non essere sufficiente se a tali misure non si accompagna una modifica
della governance delle istituzioni universitarie.

Come detto precedentemente, il principio democratico della rappresentanza corporativa è quello che oggi
è alla base del sistema di governo dei nostri Atenei. Ognuno prende la sua parte di finanziamenti in piena
“autonomia”, senza responsabilizzazione alcuna. Dai professori alle rappresentanze studentesche.

Bisogna riformare tale sistema, per passare ad un modello di tipo anglosassone ormai sposato da moltissimi
paesi europei (vedi Svezia, Danimarca o Olanda). La via anglosassone ha preferito il meccanismo della
nomina a cascata a quello elettorale. Il CDA nominato dagli stakeholder nomina a sua volta il Rettore, il
quale ha poteri superiori a quelli a disposizione in Italia.

La verticalizzazione dei processi decisionali e l’individuazione dei centri di responsabilità in modo preciso e
trasparente, combinato ad un meccanismo di valutazione e monitoraggio degli atenei basati su criteri
oggettivi (di cui si è già detto nei paragrafi precedenti), sono di incentivo alla responsabilizzazione del
sistema.

A questo punto si possono lasciare libere le università di assumere e premiare chiunque esse vogliano,
diventando loro stesse le datrici di lavoro dei lori docenti e ricercatori. In questo sistema di “incentivi
virtuosi” i singoli atenei saranno costretti a fare politiche conformi ai propri obiettivi istituzionali, perché, in
caso contrario, vedranno drasticamente diminuire i fondi “statali” a loro disposizione.

In questo modo avremmo anche risolto il problema dei concorsi, e non avremmo più la necessità di andare
alla ricerca di quello “perfetto”.
2.6 Il coraggio di cambiare.

Quanto fin qui proposto naturalmente non rappresenta un progetto di riforma di tutto il sistema
universitario, ma andrebbe ad incidere pesantemente sul potere delle tante lobby accademiche.

Si avrebbe per la prima volta la possibilità di distribuire le risorse future premiando il merito. Tali
iniziative se accompagnate da adeguate misure di diritto allo studio, darebbero all’Università la
possibilità di perseguire due dei suoi obiettivi principali: essere il volano della crescita economica e di
un’adeguata mobilità sociale.
3. UNA CRITICA PUNTUALE ALLA RIFORMA UNIVERSITARIA.

                                                Il futuro appartiene a coloro i quali credono nella
                                                bellezza dei loro sogni.

                                                Elanor Roosevelt




3.0 Introduzione.

Di seguito si accenna, in modo puntuale, a quanto proposto dagli Studentii Democratici di Roma in
relazione alla riforma del Ministro Gelmini in merito all’università italiana. Un quadro complessivo di analisi
e critica, con valutazioni sistemiche e d’insieme formulato dagli Studenti Democratici di Roma è articolato
nei capitoli precedenti.



3.1 I nodi focali.

3.1.1 Fusioni tra atenei.

Questo è un principio che abbiamo più volte enunciato, chiesto di applicare e difeso quando proprio il
precedente Governo Berlusconi ed il Ministro Moratti agevolavano la proliferazione di atenei pubblici e
telematici e, di fatto, assecondavano la dispersione delle risorse dell’università pubblica, ne consentivano il
progressivo invecchiamento bloccando il ricambio del corpo docente e tagliando i finanziamenti per
l’assunzione di dottorandi e ricercatori, e non contrastando fenomeni di baronia diffusa.

La proposta di riforma prevede la possibilità di fondere o aggregare, su base federativa, università vicine,
anche in relazione a singoli settori di attività, per aumentare la qualità, evitare duplicazioni e abbattere i
costi ma affidando ogni meccanismo amministrativo a consorzi di diritto privato e a CdA al 40 % partecipati
da privati e di nomina rettorale.



3.1.2 Bilanci più trasparenti.

Da un primo ministro che ha prodotto la depenalizzazione del falso in bilancio, lo scudo fiscale ed ha
condonato decine di reati ed irregolarità, che ha scialacquato patrimonio pubblico, agevolato lo sperpero e
depotenziato la Corte dei Conti, non ci aspettiamo rigore e attenzione per i bilanci degli atenei. Questi,
però, secondo le nuove proposte del Ministero dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza
(attualmente non calcolano, ad esempio, la base di patrimonio degli atenei), prevedendo il
commissariamento degli atenei in caso di dissesto, meccanismi premiali nell’attribuzione dei finanziamenti,
la valutazione periodica ai fini dell’attribuzione degli scatti economici e la rimodulazione dei trattamenti
economici dei docenti con scatti che da biennali divengono triennali. Per quanto riguarda il personale non è
prevista alcuna forma di contrattazione, proseguendo sulla strada dell’”incomunicabilità” fra Governo e
parti sociali.
Gli Studenti Democratici chiedono che debiti e crediti siano resi più chiari secondo criteri nazionali
concordati tra i ministeri Istruzione e Tesoro e facciano riferimento ad esplicite voci di bilancio facilmente
verificabili. Inoltre, chiediamo maggiore pubblicità e trasparenza sulla destinazione e l’impiego dei fondi
a disposizione delle università rendendo, di fatto, maggiormente partecipi gli studenti ed i cittadini al
controllo delle scelte assunte da rettori, consigli d’amministrazione, presidi e dipartimenti.



3.1.3 Diminuzione dei settori disciplinari.

Uno dei motivi che ci hanno spinto, in passato, a scendere i piazza ed a manifestare contro le scelte assunte
dall’ex Ministro Moratti, riguardava l’aumento incontrollato dei corsi di studio e delle discipline didattiche
favorendo, in effetti, spesso solo la spesa pubblica e l’attribuzione di cattedre a professori.

Un primo, sebbene non risolutivo, intervento in questa direzione è stato preso dal Governo Prodi per
volontà del Ministro Mussi, il quale è intervenuto sulla riduzione di moduli che ogni studente deve
sostenere.

Un titolo del provvedimento del Governo interviene verso la riduzione dei settori scientifici e disciplinari e
l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale come pre-requisito per i concorsi e gli avanzamenti di
carriera. Sono previste rinnovate norme sul reclutamento fondate su concorsi integralmente locali (con
scarso riconoscimento del merito e della trasparenza ma lasciando spazio alle baronìe favorite da nicchie di
potere) per ogni singolo ateneo e nuove discipline per gli assegni di ricerca, per i ricercatori e per i contratti
di insegnamento.

Il Governo non ha assolutamente preso in considerazione le sollecitazioni e le proposte formulate da
operatori e parti in causa: non ha realizzato alcun riconoscimento per i ricercatori come terza fascia
docente mentre sembra accelerarne l’applicazione della messa ad esaurimento.

Per Studenti Democratici risulta difficile valutare in modo completamente positivo l’impossibilità di
compiere assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato, assecondando la scelta di contratti triennali
rinnovabili una sola volta: di fatto, la terza fascia diventa lo strumento per reclutare a tempo determinato.
Non crediamo, secondo i modelli anglosassoni del Nord e Centro Europa, che il tempo determinato sia
l’unica modalità per assumere il personale di ricerca (che, ripetiamo, vorremmo fosse anche riconosciuta
come corpo docente di terza fascia), ma se associamo ai provvedimenti assunti il pesante taglio di fondi
pianificato con la Legge 133 del 2008, temiamo che gli attuali ricercatori avranno scarse probabilità di salire
di fascia.

In sostanza, ci pare non ci sia stato il minimo tentativo di offrire una risposta ai temi del precariato.

Chiediamo maggiore attenzione verso i dottorati di ricerca: più assunzioni, maggiori risorse destinate al
settore, più adeguati stipendi. Infine, chiediamo criteri stringenti ed oggettivi per la verifica del loro
operato e per il riconoscimento delle loro pubblicazioni.



3.1.4 I rettori e la struttura d’ateneo.

Cardine di ogni riforma di governance è l'adozione di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti
di interessi legati a parentele.
Come meglio specificato nel capitolo precedente, chiediamo il passaggio ad un modello nord europeo che
individui nei CdA e nei rettori il centro del potere decisionale e, di conseguenza, l’individuazione dei centri
di responsabilità. Un sistema trasparente basato su criteri oggettivi di valutazione offre la possibilità di
responsabilizzare l’apparato e di giudicarne in modo immediato le scelte.

In merito, quindi, chiediamo che il Governo, oltre a porre un limite massimo complessivo di 8 anni per il
mandato dei rettori (inclusi quelli già trascorsi prima della riforma), formuli una netta distinzione di funzioni
tra Senato accademico e CdA. Il primo avanzi proposte di carattere scientifico, il secondo si assuma la
responsabilità chiara degli investimenti, delle assunzioni e delle spese di gestione, anche delle sedi
distaccate.

Consideriamo utile una riduzione dei componenti del Senato accademico e del CdA al fine di evitare organi
pletorici e poco responsabilizzati, mentre chiediamo un rafforzamento della rappresentanza studentesca.

Con il testo approvato in Consiglio dei ministri si propone agli Atenei un modello organizzativo fortemente
centralistico e gerarchico che, però, marginalizza gli organi elettivi per accentrare potere solo al vertice. Ciò
induce a pensare che quanto già ripetutamente evidenziato dagli Studenti Democratici di Roma stia
assumendo forma: i governi Berlusconi accentuano la vocazione aziendalistica dell’Università pubblica
annichilendo ogni strumento di controllo esercitabile da studenti, docenti e ricercatori. Ciò, diviene ancora
più limpido se si considera lo svilimento del ruolo riservato al Senato accademico e l’accorpamento, di
fatto, delle funzioni ai CdA. Inoltre, tutto questo, assume connotati “torvi” per la pubblica Università se si
valutano attentamente le conseguenze ottenibili da CdA con il 40% di membri esterni: si affidano agli
esterni sia le risorse economiche e immobiliari degli atenei sia quelle umane legate alla didattica. I Studenti
Democratici ritengono possibile, ed anzi utile, reclutare dall’esterno componenti di CdA e Senato
accademico, ma in una percentuale minoritaria e, comunque, non superiore a ¼ dei suoi membri.

Oltretutto, si fa notare la scarsa attenzione riservata all’autonomia universitaria, imponendo norme rigide e
di dettaglio e lasciando pochissimo spazio alla discussione interna degli atenei. Anche qui, Studenti
Democratici crede sia fondamentale restituire al sistema universitario uniformità ed omogeneità nelle
scelte didattiche e nei criteri organizzativi, ma lasciando inalterato e tutelando il principio d’autonomia.

Infine, riteniamo che il nucleo di valutazione d'ateneo debba essere ad assoluta maggioranza esterna, per
consentirne una valutazione imparziale e composta da professori, studiosi o ricercatori titolati



3.1.5 Il merito vale anche per i professori.

Il Ministro ha proposto la nascita di una commissione nazionale (con membri italiani e per la prima volta
anche stranieri) che dovrà abilitare coloro che sono ammessi a partecipare ai concorsi per le varie fasce. La
commissione dovrebbe valutare capacità e curriculum sulla base di parametri predefiniti. Le università,
così, dovrebbero avere l’obbligo di assumere solo quelli riconosciuti validi dalla commissione.

Gli Studenti Democratici chiedono vengano previsti incentivi economici al trasferimento per i docenti per
agevolare e rendere possibile la mobilità, con procedure semplificate per i docenti di università straniere
che vogliono partecipare alle selezioni per posti in Italia.
Se il Ministro Gelmini prevede modifiche perché i professori a tempo pieno lavorino 1.500 ore annue, di cui
almeno 350 per docenza e servizio agli studenti, gli Studenti Democratici di Roma chiedono che sia resa
obbligatoria e vincolante ai fini statistici la valutazione degli studenti sui corsi, gli insegnamenti ed i docenti.

Solo costruendo un doppio sistema di valutazione “commissione nazionale – studenti” si possono
determinare delle graduatorie di qualità della didattica e della ricerca per i professori e diventa possibile
applicare gli scatti stipendiali ai migliori insegnanti.



3.1.6 Diritto allo studio.

Questa materia risulta essere molto complessa ed articolata e, per un maggiore approfondimento si
rimanda all’apposito capitolo. Gli Studenti Democratici intendono comunque ribadire la necessità di una
riforma organica della Legge 390/1991, in accordo con le Regioni, al fine di accorpare istituti ed enti che
agiscono nel settore, per produrre un aumento del servizio ed una maggiore diffusione, per spostare il
sostegno direttamente agli studenti e favorire l’accesso agli studi superiori, alla mobilità, alla casa. Gli
Studenti Democratici di Roma chiedono che si proceda, in sostanza, alla formulazione di un vero e
proprio welfare per gli studenti.
4. UNA COSTRUZIONE IN BILICO SU UN INSOSTENIBILE DIVARIO.

                                                  Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che
                                                  vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e se non
                                                  le trovano le creano.



                                                  George Bernard Shaw



4.0 Introduzione.

Abbiamo già più volte, nei paragrafi precedenti, accennato alla sperequazione presente nel nostro sistema
universitario, ed a maggior ragione analizzandone le strutture ed i servizi del Nord con quelli del Sud Italia.

E’ oggettivamente complesso dipingere un quadro chiaro in cui vengano evidenziati tutti i punti di forza e
tutte le debolezze storiche, sociali, culturali, strutturali, politiche ed economiche che hanno generato un
divario tanto ampio. Diventa, quindi, ancora più complicato non utilizzare tinte fosche per formulare un
giudizio credibile e per produrre una proposta di modifica dello status quo.

 In questo capitolo cercheremo, però, di arricchire ulteriormente la nostra analisi non perché la “questione
meridionale” sia causa dei problemi dell’università pubblica italiana, ma perché un nuovo sistema di
istruzione e ricerca pubblici non può non tener presente l’anomalia che descrive la nostra penisola per
impiegare al meglio le risorse e le energie.

L’università, come la scuola e la ricerca, la sanità e la previdenza sociale, la giustizia e la sicurezza del
cittadino, il governo del territorio e l’ambiente, deve rimanere pubblica e messa al servizio del cittadino per
risolvere le differenze, le diseguaglianze, le disparità e poter finalmente offrire a tutti i giovani di questo
Paese pari opportunità. D’altro canto, solo se riuscirà a risolvere le difficoltà del proprio Mezzogiorno l’Italia
potrà continuare ad esercitare un ruolo importante a livello internazionale ed a rimanere competitiva sui
versanti sia economici sia culturali.



4.1 Una faglia: Nord - Sud.

Nel luglio 2009, le graduatorie stilate dal Ministero hanno portato alla luce numerose “anomalie” e
molteplici caratteristiche dei nostri atenei.

All’’università di Lecce, nella graduatoria del Sole 24 Ore al penultimo posto sulla qualità, la retta media si
aggira intorno ai 350 euro l’anno. Al Politecnico di Milano, primo nella stessa graduatoria, uno studente
paga mediamente quattro volte di più.

E’ evidente che, senza nemmeno dover accennare a rette da 40 mila euro annui delle università americane,
quella investita a Lecce è una cifra superiore di soli 150 euro rispetto a quanto una famiglia spende per
mandare un figlio al liceo.
Fra il Politecnico di Milano e l’università di Lecce, estremi nel nostro Paese, si collocano tutti gli altri atenei
pubblici italiani. E più si scende a Sud più le rette diminuiscono. Calano, a causa di un minor reddito medio
delle famiglie e, contestualmente, in relazione all’esenzione totale o parziale cui hanno diritto gli studenti.
Ma anche per una precisa scelta politica volta a formulare un “do ut des” così formulato: lo Stato offre poco
ma in cambio chiede poco.

Ma il danno prodotto agli stessi atenei appare evidente e rilevante. Infatti, le 18 università delle regioni
inserite all’Obiettivo 1 in Europa (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia, Molise), dove il Pil
pro capite è inferiore al 75 per cento della media Ue hanno ricevuto, per questioni legate al reddito, nel
solo 2006 circa 229 milioni di euro in meno rispetto a quelle del Centro - Nord.

Se si considera che il taglio di 700 milioni di euro previsto per il 2010 dalla Finanziaria del 2008 rischia di
portare al collasso il nostro sistema universitario appare evidente l’entità della somma inutilizzabile per i
nostri atenei.

I dati raccolti dal Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario) parlano chiaro: la tassa
compresa tra i 1.000 e i 1.500 euro l’anno negli atenei del Nord è quella più comune (33,9 per cento).
Succede anche al Centro (21,5%). Nelle università del Sud invece troviamo in questa fascia solo il 7,4% degli
iscritti. Nelle università del Sud la fascia di tasse in cui si concentra il maggior numero di studenti è quella
compresa fra i 300 e i 400 euro (20,4%). Nel Nord a pagare quel tipo di contributo è solo il 3,4%, il 5,8% al
Centro. Da questi dati si percepisce la forte differenza di contribuzione tra Nord e Sud, sebbene non si
tenga conto del fatto che il fenomeno della “migrazione” per motivi di studio investe in pieno il
Mezzogiorno drenando verso le università centrosettentrionali ingenti capitali 1.

Esaminando i dati del Cnvsu sugli esoneri dalle tasse universitarie divisi per macroaree geografiche sembra
che i risultati non cambino. Il 18% degli iscritti in corso gode di un esonero totale mentre il 19,5% ha diritto
a un esonero parziale. Nel Nord - Est il dato si ferma rispettivamente un 15,4% e un 8,3%. Nel Nord - Ovest
si registra un 12% e un 3,5%.

I dati hanno suggerito molti interrogativi fra gli statistici e, sebbene il Sud sia certamente penalizzato
rispetto al Nord e al Centro da un minor reddito delle famiglie, tuttavia è sembrato mettere in discussione
la veridicità delle dichiarazioni al fisco.

 Nel mese di luglio 2009 in un articolo di giornale de La Repubblica si domandava, a riguardo, se fosse
“possibile che figli di operai e di impiegati con stipendi bassi non rientrino nei requisiti necessari per godere
delle provvidenze per il diritto allo studio, mentre figli di professionisti con redditi meno accertabili
riescono a farvi ricorso?”

L’Università della Calabria (l’unica del Sud che aderisce al gruppo Aquis, ovvero 11 atenei che si battono per
la qualità), ateneo con tassazione media di circa 600 euro su un reddito medio di 18 mila euro, ogni anno
esonera completamente dal pagamento delle tasse 8.000 studenti su 35 mila. E le compensazioni da parte
dello Stato non sono mai arrivate.




 1       A questo proposito si vedano i paragrafi 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese e 1.2 Il
riequilibrio Nord – Sud ed il Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU
(2008: 15).
Qui i dati non riescono ad evidenziare la grandissima fuoriuscita di neo immatricolati verso le università del
Centro e del Nord Italia, ma appare abbastanza elementare associare la forte migrazione esistente
all’abbassamento dei livelli economici di chi resta in Calabria.

Di fatto, quindi, il combinato disposto di evasione e migrazione dei giovani con redditi familiari più elevati
comporta un pauroso impoverimento delle università pubbliche meridionali e dell’intero sistema
economico di quelle regioni a favore di un arricchimento degli atenei centrosettentrionali e delle economie
delle città e delle regioni ospitanti.
5. L’UNIVERSITA’ E LA FIDUCIA NEL FUTURO.

                                                L'uomo che seppe la guerra

                                                e lotte degli uomini,

                                                imparò dal fascino della notte

                                                il chiarore del giorno.



                                                Rocco Scotellaro



5.0 Introduzione.

E’ una sensazione diffusa. Forse uno stato d’animo devastante come lo sconforto che ha colpito un’intera
generazione. Forse l’incapacità di sognare e di sognarsi. Forse è il frutto di un paese “bloccato”, che non
offre prospettive, non valuta meriti e competenze, passioni e dedizione.

Il risultato, però, è che i giovani italiani sono sempre più convinti che l’università non sia in grado di
offrire le competenze necessarie per il mercato del lavoro e ci si laurea nei nostri atenei senza nutrire
grande speranza per il futuro.

Questo senso di smarrimento è più diffuso in Italia rispetto ai coetanei del resto d’Europa, tuttavia neanche
loro sono troppo sereni. E un ulteriore tassello riguarda la convinzione di non riuscire a costruire in tempi
“decenti” la propria autonomia economica e sociale dalla famiglia d’origine.



5.1 Le aspettative.

L’88 per cento degli studenti ha preoccupazioni per la carriera che li aspetta. Solo il 9,2 per cento
per cento guarda con tranquillità al futuro. In Europa lo stato d’animo dei giovani italiani non ha
pari. Solo i giovani spagnoli conservano meno sprazzi di fiducia (7,2 per cento).
La media europea conta un 32,6 per cento di ottimisti, con picchi fra i norvegesi (61,9 per cento) e
gli olandesi (61,2 per cento). Trascurando i paesi del Nord Europa, quasi sempre con indicatori
migliori dei nostri, è vero che anche in Germania (46,6 per cento), Francia (37,3 per cento) e Regno
Unito (19,5 per cento) le aspettative dei giovani sono migliori di quelle dei coetanei italiani.


5.2 Le riforme. Incompiute.


Nell’ultimo decennio molte sono state le teorie e le formulazioni, spesso neppure portate a termine,
che hanno guidato l’agire dei governi che si sono succeduti circa il nostro sistema universitario.
Certamente, non hanno trovato il gradimento dei giovani visto che il 39,4 per cento degli studenti
pensa che i corsi di studio non siano in grado di fornirgli gli “skill” richiesti dal mercato del lavoro.
In Europa la media dei giovani che ha la stessa opinione sul proprio apprendimento universitario è
del 27,2 per cento e, in taluni paesi le convinzioni degli studenti sono quasi rovesciate rispetto alla
situazione italiana. Il 71 per cento dei giovani francesi ritiene che le lezioni universitarie abbiano
offerto loro gli strumenti necessari per affrontare il lavoro. In Olanda il dato sale al 74,1 per cento,
in Norvegia l’83,4 per cento. Solo gli spagnoli, unici in Europa, offrono una valutazione, negativa,
simile a quella dei nostri studenti.



5.3 La mobilità.

La fotografia che nei paragrafi precedenti i dati fanno dell’Italia e dell’Europa, offrono uno
spaccato delle preoccupazioni e delle croniche deficienze che gli studenti universitari affrontano
ogni giorno.
Malgrado ciò, però, e nonostante in tanti abbiano deciso di lasciare l’Italia per trovare un degno
sbocco professionale, rimane ancora elevato il numero di neolaureati che non sono disposti a
muoversi. Un dato più elevato rispetto a quello delle media europea.
Uno su cinque si dice non disponibile a trasferirsi in altra nazione anche nel caso in cui ricevesse
un’offerta di lavoro interessante. Lo stesso atteggiamento lo hanno solo il 12,2% dei giovani
europei. Addirittura la percentuale risulta più bassa in Germania (8,6 per cento), Francia (5,3 per
cento), Spagna (7,2 per cento) e Regno Unito (6,8 per cento).
All’opposto, però, risulta interessante il dato che vuole più di quattro italiani su dieci disponibili a
muoversi in ogni parte del mondo e il 22 per cento si dice pronto ad andare in qualsiasi nazione
europea.

Risposte alle domanda: “Immagina di ricevere un’offerta di lavoro interessante. Fino dove sei disposto a
trasferirti?”




                                                                  Risposte
                       Nazione
                                              Mondo       Europa      Nazione Non disposto

           Austria                              50,5       24,2         12,9        12,4

           Belgio                               42,6       21,9         21,7        13,8

           Repubblica Ceca                      27,0       28,9         22,9        21,2

           Danimarca                            53,3       16,4         24,0         6,3

           Finlandia                            43,5       19,9         17,7        18,9

           Francia                              67,5       15,9         11,3         5,3

           Germania                             47,2       18,9         25,2         8,6

           Grecia                               39,7       34,8         13,5        12,1

           Ungheria                             35,3       30,8         17,7        16,2

           Irlanda                              58,1       14,1         21,7         6,1

           ITALIA                               41,9       22,0         16,1        20,0
Olanda                                     48,7          12,6          20,6      18,1

            Norvegia                                   50,5          15,6          11,7      22,2

            Polonia                                    29,9          23,4          29,6      17,1

            Portogallo                                 61,7          23,4          12,2      2,6

            Spagna                                     52,2          17,4          23,2      7,2

            Svezia                                     61,9          15,1          15,1      7,9

            Svizzera                                   53,9          13,7          18,7      13,7

            Regno Unito                                57,7          12,8          22,6      6,8

            MEDIA EUROPEA                              47,6          20,4          19,9      12,2



Fonte: Trendence Institut, Berlino (su 196 mila studenti in 750 università europee).




5.4 I tempi.

I tempi per trovare il primo impiego e per avere accesso alla prima occasione di lavoro sono oggetto
della valutazione degli studenti e dei neolaureati.
In Europa gli universitari programmano un’attesa media di poco superiore ai quattro mesi.
In Italia, invece, la percezione dei giovani, è di quasi sei: più che in qualunque altra nazione. In
Norvegia bastano 2,9 mesi, in Francia e in Olanda (3,3), ovvero circa la metà dell’Italia. Poco di
più, ma meno che da noi, ce ne vuole in Spagna (4,3 mesi) e Regno Unito (5,3 mesi).


5.5 Gli stipendi.

Altro tema centrale riguarda lo stipendio che, in caso di lavoro magari a tempo determinato,
probabilmente non sarà eccezionale. Certamente sottodimensionato rispetto alle aspettative.
La retribuzione che si aspettano i laureati italiani comporta una retribuzione lorda annua pari a
19.127 euro. Anche su questo tema siamo lontani dalla media europea che si aggira intorno ai
23.967 euro annui. I valori più alti si registrano in Danimarca (49.151 euro), Germania (40.689
euro), Norvegia (43.524 euro) e Svizzera (49.921 euro).


Risposte alle domanda: “Quanto ti aspetti di guadagnare in un anno nel tuo primo impiego?”




                                                                               Risposte
                       Nazione
                                                                                 euro
Austria                                                  32.823

                       Belgio                                                   25.664

                       Repubblica Ceca                                          12.893

                       Danimarca                                                49.151

                       Finlandia                                                29.293

                       Francia                                                  34.486

                       Germania                                                 40.689

                       Grecia                                                   14.729

                       Ungheria                                                 10.961

                       Irlanda                                                  28.338

                       ITALIA                                                   19.127

                       Olanda                                                   28.911

                       Norvegia                                                 43.524

                       Polonia                                                   9.345

                       Portogallo                                               14.109

                       Spagna                                                   18.286

                       Svezia                                                   30.578

                       Svizzera                                                 49.921

                       Regno Unito                                              30.819

                       MEDIA EUROPEA                                            23.967



Fonte: Trendence Institut, Berlino (su 196 mila studenti in 750 università europee).
6. IL CORAGGIO CHE MANCA. 1

                                                   Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che
                                                   conta è il coraggio di andare avanti.



                                                   Winston Churchill



6.0 Introduzione.

La proposta di legge del Pd per la riforma dell'università non affronta le questioni cruciali che davvero
permetterebbero il suo rilancio. Poche righe sui dottorati di ricerca, senza alcun incentivo a reali sinergie tra
atenei. E pochi soldi per le borse di studio di merito. Molto spazio invece è dedicato ai concorsi.

I ricercatori cambiano il nome, ma non lo stipendio. Di nuovo c'è l'istituzionalizzazione del doppio binario
per il passaggio alle fasce superiori della docenza.

Si poteva osare qualcosa di più, magari guardando ai paesi all'avanguardia nella ricerca.

Il 22 maggio 2009 è stata resa pubblica una bozza di proposta di legge del Partito Democratico
sull’università.

Una prima lettura del testo, ambiziosamente intitolato “interventi per il rilancio e la riorganizzazione delle
università”, sembra un po’ “di braccino corto”, più condizionato dalle solite prudenze di ispirazione
sindacale che dalla reale volontà di innovare.

Di seguito riportiamo quattro esempi, tra i vari possibili.



6.1 Dottorati, lauree e borse di studio.

Senza dottorati di ricerca di alto livello internazionale non ci può essere rilancio dell’università italiana.

Alla cruciale questione dei dottorati, la proposta Pd dedica poche righe: sono volte a introdurre incentivi
fiscali e contributivi all’assunzione dei dottori da parte del settore privato. Nessun incentivo, invece, per le
iniziative dirette a creare reali sinergie tra atenei in questo campo.

Inoltre, si continua ad affidare l’organizzazione dei dottorati al volontariato dei docenti, e si lascia che un
dottorato possa essere avviato da qualsiasi facoltà di qualsiasi università, per quanto dequalificata o priva
di strutture idonee alla ricerca dei dottorandi. Ma dire che le facoltà cui si danno soldi per i dottorati
vengono selezionate sulla base della loro performance nel campo della ricerca scientifica deve essere stato
considerato eversivo dell’ordine costituito!




 4      Il testo è tratto da un articolo di Andrea Boitani, Manca il coraggio all’università del PD, pubblicato il
22.07.2009 su lavoce.info.
Le università italiane sono le uniche in Europa che consentono di laurearsi anche dopo venti anni, ripetere
gli esami un numero infinito di volte, con appelli spesso mensili. La conseguenza è che gli studenti
universitari italiani hanno il più basso tasso di completamento degli studi in Europa, anche se aumentato un
po’ dopo l’introduzione della “laurea breve”, cioè triennale. E ancora troppi completano il corso di studi
dopo tantissimi anni e solo per prendere il famoso “pezzo di carta”. Per cambiare tutto questo nella
proposta Pd non c’è una sola parola. Ma se questo andazzo italiano non viene cambiato una volta per tutte,
l’università non può essere rilanciata, anzi, l’università non può essere tale.

Finalmente si prevede l’istituzione di borse nazionali di merito per il diritto allo studio.

Naturalmente la procedura di accesso è farraginosa quanto basta; ma la cosa più sconcertante è lo
stanziamento: 100 milioni di euro per 10 mila borse di studio da 10 mila euro l’una per tre anni. Se si voleva
dare un segnale forte, bisognava prevedere uno stanziamento ben più consistente, data la popolazione
universitaria italiana. Va bene la responsabilità finanziaria, ma, si può anche alzare un po' il tiro.



6.2 I ricercatori e la riforma.

La riforma dei concorsi occupa la maggior parte del testo. I ricercatori cambiano nome e diventano
professori di terza fascia, ma non cambiano stipendio (nelle consuete more di una revisione generale dello
“stato giuridico”), né cambia il fatto che la tenure è praticamente garantita anche per la terza fascia.

La cosa nuova è l’istituzionalizzazione del doppio binario per il passaggio alle fasce superiori della docenza.
Il primo binario è la “promozione”, riservata agli avanzamenti di carriera interni all’ateneo, anche se con la
“foglia di fico” di una valutazione “che si avvarrà di giudizi forniti da esperti italiani e stranieri esterni
all’ateneo”.

Il secondo binario è il “reclutamento”, riservato a “coloro che non siano in servizio presso l’università che
ha emanato il bando”. Unico vincolo: i bandi per promozioni possono arrivare a essere il doppio di quelli
per reclutamento dell’anno precedente. Se non si recluta nessuno dall’esterno non si può promuovere
neanche un interno.

Siamo sicuri che questo vincolo basti a superare la deriva localistica e familistica dell’università italiana?
Non si prevede alcuna differenza di status e di stipendio tra coloro che seguono il percorso interno e coloro
che superano un ben più selettivo concorso internazionale. Non si prevede nessuna tenure track per
professori di secondo livello.

Aspiranti alla promozione e al reclutamento devono aver ottenuto l’“abilitazione” nazionale, cioè essere
entrati in una lista aperta di docenti giudicati “abili” da una commissione che resta in carica tre anni. Senza
vincoli     numerici,    chi    se    la    sentirà      di   escludere   Tizio   o     Caio     dalla    lista?
Visto che si stava mettendo mano a una riforma, per di più dall’opposizione, non si poteva osare qualcosa
di più, magari guardando alle best practices dei paesi all’avanguardia nel settore della ricerca e
dell’istruzione superiore?

Il disegno di legge del Pd sembra, nella sua forma attuale, il tentativo di contrapporre qualcosa, purchessia,
ai tuttora non pienamente svelati disegni del governo più che un vero tentativo di riformare
profondamente e coraggiosamente l’università italiana.
7. IL TALENTO PREMIATO. 1

                                                    Ho dovuto studiare la politica e la guerra in modo che i miei
                                                    figli possano studiare la matematica e la filosofia.


                                                    John Adams



7.0 Introduzione.

Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo. Dunque, per permettere al sistema
universitario italiano di aprirsi verso l'esterno, reclutare i migliori cervelli internazionali e trattenere
quelli italiani è necessario un deciso innalzamento delle retribuzioni di ricercatori e professori.

Il confronto tra carriere analoghe negli Stati Uniti e in Italia mostra l'entità della perdita per chi resta nel
nostro paese. Ma il ruolo di ingresso non può più rappresentare per tutti un'assunzione a tempo
indeterminato.

Cosa serve per curare i mali dell’università italiana? È opinione condivisa che ancorare una parte non
marginale delle risorse economiche distribuite agli atenei ai risultati della ricerca sarebbe un passo
importante per creare un sistema di incentivi in grado di promuovere il merito e le effettive capacità di
ricerca di chi è avviato alla carriera accademica.



7.1 Confronto Italia – Usa.

Si tratta di una posizione ampiamente condivisibile. Tuttavia, per riuscire a reclutare i talenti della ricerca,
italiani o stranieri che siano, occorrerà intervenire anche su un altro aspetto: rendere più concorrenziali i
profili retributivi offerti dalla carriera accademica in Italia. Per tutti i primi venti anni di carriera, sono infatti
nettamente inferiori ai valori di riferimento del mondo accademico internazionale. Per rendersene conto,
basta fare un confronto con le retribuzioni dei docenti statunitensi.

Il confronto con gli Stati Uniti è indicativo per due ragioni. Primo, le retribuzioni delle istituzioni
universitarie statunitensi con dottorati di ricerca orientano i profili retributivi di tutti i principali istituti
internazionali che ambiscono a reclutare buoni talenti sul mercato internazionale.

Secondo, l’American Association of University Professors pubblica ogni anno un rapporto completo sui
profili retributivi dei docenti universitari, con dati che, se si escludono dal computo del salario lordo annuo
tutti i pagamenti per i benefit relativi, ad esempio, a fondo pensione, social security, unemployment,
assicurazione sanitaria, sono ben confrontabili con i dati italiani sullo stipendio lordo annuo, al netto dei
contributi previdenziali versati all’Inps dagli atenei.

Naturalmente, è necessario prestare attenzione a due elementi. Primo, la progressione degli stipendi dei
docenti statunitensi per anni di anzianità è minima per gli Assistant Professors ed è piuttosto limitata per gli

 4      Il testo è tratto da un articolo di Daniele Brandonio, Il talento premiato dallo stipendio, pubblicato il
30.07.2009 su lavoce.info.
Associate Professors e i Full Professors e in ogni caso è sempre legata a una verifica dei risultati della
produzione scientifica e della qualità della didattica. Secondo, a parità di ruolo e anzianità, la variabilità
delle retribuzioni dei docenti statunitensi è piuttosto elevata e dipende dal tipo di università (prestigio
dell’istituzione e distinzione tra università pubblica e privata) e soprattutto dall’ambito disciplinare. I settori
dove il reclutamento è più esposto alla concorrenza del mercato, come ad esempio business administration
and management, law and legal studies, computer and infomation science, economics, e engineering, a
parità di ruolo e istituzione universitaria, hanno retribuzioni più alte rispetto a letteratura inglese da un
minimo del 44 per cento a un massimo del 101 per cento, secondo i dati 2005/06 contenuti nel rapporto
2007 dell’American Association of University Professors.



Tabella 1: Le retribuzioni dei docenti statunitensi (a.a. 2007/08, 241 atenei con dottorati di ricerca)




                                   Full Prof.              Associate Prof.               Assistant Prof.

                                   (€ p.p.p)                  (€ p.p.p)                     (€ p.p.p)

              95 perc              142909                       92398                        78605

              90 perc              126185                       86105                        73172

              80 perc              114858                       80804                        68303

              70 perc              107536                       76564                        65033

              60 perc              104279                       73584                        62123

              50 perc               99287                       70759                        60350

              40 perc               93415                       68205                        57873

              30 perc               88605                       65080                        55698

              20 perc               83437                       62552                        53735

              10 perc               77151                       59756                        51006



Fonte. Survey AAUP, anno accademico 2007/08. Parità potere acquisto: Usd/Eur = 1,11

Retribuzioni lorde annue in € al netto dei benefit, assicurazioni sanitarie e contributi previdenziali.

Numero atenei: 241. Numero docenti: 178584
Tabella 2: Le retribuzioni dei docenti italiani (situazione all’1/1/2008)




               Anzianità di servizio
                                         Professore ordinario Professore associato   Ricercatore
                     in anni

                   0 (non conf.)                  53133                     40217     22561(*)

                         3                        56235                     42389      34748

                         5                        60469                     45378      36272

                         7                        63473                     47511      38398

                         9                        67707                     50510      39922

                         11                       70710                     52643      42048

                         13                       74944                     55637      44175

                         15                       79178                     58632      45866

                         17                       82512                     60999      47557

                         19                       85847                     63367      49249

                         21                       89181                     65735      50940

                         23                       92515                     68103      52631

                         25                       95850                     70471      54323

                         27                       99184                     72839      56014

                         29                                                 75207      57705

                         31                                                 77574      58748

                         33                                                            59791

                         35                                                            60384



Fonte: Cun sede di Bari (prof. Alberto Paglierini).

(*) Lo scatto retributivo è dopo 1 anno anziché 3.

Retribuzioni lorde annue in € al netto dei contributi Inps versati dagli atenei.
Nella tabella 3, è illustrato il differenziale retributivo Stati Uniti - Italia, a parità di potere d’acquisto,
seguendo un tipico profilo di avanzamento di carriera di un giovane talentuoso assistant professor assunto
in regime di tenure-track, a cui è fatto corrispondere un analogo avanzamento di carriera nel sistema
universitario italiano, partendo dal ruolo di ricercatore non confermato per finire con il ruolo di professore
ordinario. Per gli Stati Uniti il livello retributivo indicato è quello medio per ruolo dei 178.584 docenti con
tenure-track presenti in 241 atenei con corsi di dottorato.

Tale valore è di poco superiore alla mediana della distribuzione di tabella 1 e, per i settori maggiormente
esposti alla concorrenza internazionale, rappresenta un dato piuttosto prudenziale, visto che, con tutta
probabilità, la distribuzione delle retribuzioni occupa interamente solo i decili più elevati di tabella 1.



Tabella 3: Il profilo delle retribuzioni nei primi 20 anni di carriera (Stati Uniti vs Italia)




Anzianità in servizio Posizione Retr. Annua USA (€ p.p.p)                 Posizione       Retr. Annua Italia (€) % ITA /USA

      Ingresso
                        Assist. prof.             61362                Ric. non conf.            22561           36,77%
      (1° anno)

     2°-3° anno         Assist. prof.             61362                    Ricerc.               34478           56,19%

     4°-5° anno         Assist. prof.             61362                    Ricerc.               36272           59,11%

       6° anno          Assist. prof.             61362                    Ricerc.               40217           65,54%

     7°-8° anno         Assoc. prof.              72111               Assoc. non conf.           40833           56,63%

       9° anno          Assoc. prof.              72111                  Assoc. n.c.             42389           58,78%

    10°-11° anno        Assoc. prof.              72111                     Assoc                47511           65,89%

      12° anno          Assoc. prof.              72111                     Assoc                50510           70,04%

    13°-14° anno         Full prof.              106706                 Prof. Straord            53133           49,79%

      15° anno           Full prof.              106706                 Prof. Straord            53999           50,61%

      16° anno           Full prof.              106706                      Ord                 67707           63,45%

    17°-18° anno         Full prof.              106706                      Ord                 70710           66,27%

    19°-20° anno         Full prof.              106706                      Ord                 74944           70,23%



Retribuzioni lorde annue in € (parità potere acquisto: Usd/Eur=1,11), a.a. 2007/08 Usa, 1/1/2008 Italia, esclusi benefit,
assicurazioni sanitarie, contributi pensionistici.
Dati Usa pari alla retribuzione media per ruolo (241 atenei con dottorati).

Dati Italia inclusivi del computo relativo alla ricostruzione di carriera.




I dati della tabella 3 evidenziano un gap delle retribuzioni italiane rispetto a quelle statunitensi pari a oltre
576mila euro come valore attualizzato dei flussi dei primi venti anni di carriera (una differenza del - 40,2 per
cento rispetto al flusso delle retribuzioni medie statunitensi).



7.2 Reclutare i migliori.

Se si vuole effettivamente offrire una opportunità al sistema universitario italiano di aprirsi verso l’esterno
e reclutare anche buoni talenti internazionali (e trattenere i migliori tra gli italiani) è perciò necessario, per
molti settori di ricerca, un deciso innalzamento del profilo retributivo non solo dei ricercatori, ma anche
dei livelli di ingresso dei ruoli di associato e di ordinario.

Gli attuali profili retributivi dei ricercatori e gli ostacoli alle promozioni ai ruoli successivi attraverso un
sostanziale rallentamento della cadenza delle procedure di valutazione e il blocco del turn-over, appaiono
invece la ricetta sicura per perpetuare il continuo e progressivo allontanamento dall’accademia italiana dei
migliori talenti. Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo: occorre dunque dare tempi
certi per il passaggio dei ricercatori meritevoli al ruolo di professore associato e poi ordinario e innalzare in
modo deciso la retribuzione media d’ingresso in modo che risulti adeguata rispetto all’investimento in
capitale umano richiesto per acquisire capacità di ricerca e didattica d’eccellenza.

E va abbandonata l’anomalia italiana di un ruolo d’ingresso che, superato un solo primo triennio di verifica,
rappresenta per tutti un’assunzione a tempo indeterminato. Nei sistemi accademici di eccellenza il
percorso di carriera standard è invece sempre più di tipo tenure-track con retribuzioni di ingresso molto più
elevate in tutti i ruoli, ma con la possibilità di impiego a tempo indeterminato solo per chi è stato
effettivamente in grado di produrre una meritevole attività di ricerca e una buona qualità della didattica
dopo un prolungato periodo di prova di sei - otto anni come assistant professor.
7.3 A chi il FFO.

Proponiamo la trascrizione dei criteri utilizzati dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e delle Ricerca,
per ripartire una quota (destinata a crescere nel tempo) del Fondo ordinario per le università 2009. Il
documento è pubblico, ma sino ad ora non è stato divulgato su di un sito accessibile a tutti. Riteniamo che
renderlo pubblico sia necessario per promuovere un confronto sull'argomento. Sarebbe utile che il
ministero pubblicasse le tabelle riassuntive e di confronto per tutte le università.

Art. 5, commi 3 e 8, Legge 24 Dicembre 1993, n. 537.

3. Nel fondo per il finanziamento ordinario delle università sono comprese una quota base, da ripartirsi tra
le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute
direttamente dallo stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartirsi
sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e
tecnologica, sentito il consiglio universitario nazionale e la conferenza permanente dei rettori, relativi a
standard dei costi di produzione per studente e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto
delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali.

8. A partire dal 1995, la quota base per il fondo di finanziamento ordinario delle università sarà
progressivamente ridotta e la quota di riequilibrio dello stesso fondo sarà aumentata almeno di pari
importo. La quota di riequilibrio concorre al finanziamento a regime delle iniziative realizzate in conformità
ai piani di sviluppo. Il riparto della quota di riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei
costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le
aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli standard europei.

Art. 2, commi 428 e 429, Legge 24 Dicembre 2007, n. 244.

428. Ai fini del concorso dello Stato agli oneri lordi per gli adeguamenti retributivi per il personale docente
e per i rinnovi contrattuali del restante personale delle università, nonchè in vista degli interventi da
adottare in materia di diritto allo studio, di edilizia universitaria e per altre iniziative necessarie inerenti il
sistema delle università, nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca è istituito un
fondo con una dotazione finanziaria di 550 milioni di euro per l'anno 2008, di 550 milioni di euro per l'anno
2009 e di 550 milioni di euro per l'anno 2010, comprensiva degli importi indicati all'articolo 3, commi 140 e
146, della presente legge. Tale somma è destinata ad aumentare il Fondo di finanziamento ordinario per le
università (FFO), per far fronte alle prevalenti spese per il personale e, per la parte residua, ad altre
esigenze di spesa corrente e d'investimento individuate autonomamente dagli atenei.

429. L'assegnazione delle risorse di cui al comma 428 è subordinata all'adozione entro gennaio 2008 di un
piano programmatico, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Tale
piano è volto a:

a) elevare la qualità globale del sistema universitario e il livello di efficienza degli atenei;
b) rafforzare i meccanismi di incentivazione per un uso appropriato ed efficace delle risorse, con
contenimento dei costi di personale a vantaggio della ricerca e della didattica;
c) accelerare il riequilibrio finanziario tra gli atenei sulla base di parametri vincolanti, di valutazioni
realistiche e uniformi dei costi futuri e, in caso di superamento del limite del 90 per cento della spesa di
personale sul FFO, di disposizioni che rendano effettivo il vincolo delle assunzioni di ruolo limitate rispetto
alle cessazioni;
d) ridefinire il vincolo dell'indebitamento degli atenei considerando, a tal fine, anche quello delle società ed
enti da essi controllati;

e) consentire una rapida adozione di un sistema programmatorio degli interventi che preveda adeguati
strumenti di verifica e monitoraggio da attivare a cura del Ministero dell'università e della ricerca, d'intesa
con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la CRUI, e che condizioni l'effettiva erogazione delle
maggiori risorse all'adesione formale da parte dei singoli atenei agli obiettivi del piano.



Art. 2 Legge 9 Gennaio 2009, n. 1.

1. A decorrere dall'anno 2009, al fine di promuovere e sostenere l'incremento qualitativo delle attività delle
università statali e di migliorare l'efficacia e l'efficienza nell'utilizzo delle risorse, una quota non inferiore al
7 per cento del fondo di finanziamento ordinario di cui all'articolo 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e
successive modificazioni, e del fondo straordinario di cui all'articolo 2, comma 428, della legge 24 dicembre
2007, n. 244, con progressivi incrementi negli anni successivi, e' ripartita prendendo in considerazione:

a) la qualità dell'offerta formativa e i risultati dei processi formativi;

b) la qualità della ricerca scientifica;

c) la qualità, l'efficacia e l'efficienza delle sedi didattiche.

2. Le modalità di ripartizione delle risorse di cui al comma l sono definite con decreto del Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avente natura non regolamentare, da adottarsi, in prima
attuazione, entro il 31 marzo 2009, sentiti il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca e il
Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. In sede di prima applicazione, la
ripartizione delle risorse di cui al comma 1 e' effettuata senza tener conto del criterio di cui alla lettera c)
del medesimo comma.



Calcolo del FFO per il 2009.

Si parte da una quota base (FFO 2008) che viene abbattuta al 87,29% per tener conto del 7% e "delle
obbligazioni precedentemente assunte". A questa si aggiungono le voci che derivano dal c.d. Patto
2008/2010 – 511 milioni di euro - che prevede una quota per aumento costi del personale, una quota di
incentivo derivante dalla distanza dal 90% del FFO, una quota derivante dal riequilibrio e altre piccole voci.
Infine a questa si aggiunge la quota derivante dalla ripartizione del 7% - altri 523 milioni di euro.

A) Quota Base

La "quota base" è stata calcolata considerando le assegnazioni disposte nell'anno 2008 in applicazione dei
criteri definiti dai D.M. 30 aprile 2008, n. 99 e D.I. 30 aprile 2009. Tale quota è ridotta all' 87,29% per tenere
conto dello stanziamento complessivo, al netto del 7% e delle obbligazioni precedentemente assunte o
legate ad azioni di sistema previste per legge. Sono state escluse dalla riduzione le Istituzioni che non
partecipano al 7% e le Istituzioni speciali.
Stati Generali dell'Università - Studenti Democratici Roma
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Stati Generali dell'Università - Studenti Democratici Roma
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Stati Generali dell'Università - Studenti Democratici Roma

  • 1. 0. INTRODUZIONE: I PROPOSITI DI STUDENTI DEMOCRATICI. 0.1 Un nuovo sistema universitario italiano. Tu devi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Mohandas Karamchand Gandhi Il nostro Paese per molti anni, già a partire dalla fine del XIX secolo, ha rappresentato una vasta risorsa per le economie più progredite del mondo. La forza – lavoro impiegabile nelle industrie più avanzate ha provocato una forte emigrazione, motivata dallo stato di arretratezza economica, socio – culturale e istituzionale in cui ha versato a lungo l’Italia post - unitaria. Oggi, dopo l’industrialismo, la crescita degli anni ’50 e ’60 del ‘900 e l’urbanesimo, il nostro Stato non è in grado di competere in modo efficace con le più avanzate economie mondiali sulla ricerca scientifica, sullo sviluppo di tecnologie avanzate, sulla produzione di beni sofisticati, e ciò comporta nuovi movimenti migratori all’estero di ricercatori, di studenti, di giovani professionisti; ovvero, un progressivo impoverimento del nostro tessuto culturale, del nostro bagaglio scientifico, delle nostre possibilità di crescita tecnologica. In sostanza, se per anni l’Italia ha mostrato incapacità a costruire e valorizzare un sistema occupazionale ed economico che offrisse risposte ad un’ampia, quanto generalizzata, domanda di lavoro poco o affatto qualificato, e ciò ha contribuito anche ad acuire gli squilibri fra le regioni del Nord e quelle del Sud, oggi il Paese non riesce a trattenere le proprie migliori energie per finalizzarne gli studi e le conoscenze verso un avanzamento sociale, economico ed ovviamente culturale. In questo quadro, risultano assai evidenti i limiti del sistema universitario italiano. Da una parte, le carenti risorse economiche da utilizzare per offrire alla popolazione studentesca e docente strutture adeguate, laboratori efficienti, biblioteche ben fornite, mezzi informatici d’avanguardia; d’altro canto, la cattiva gestione del patrimonio economico ed umano, la crescita dei potentati e delle baronie, la mancanza di valutazioni, e conseguenti scelte, in base a criteri rigorosi. Il Governo Prodi II, ed il suo Ministro dell’Università Mussi, non sono stati incisivi né tempestivi nell’arginare un processo culturale “deviante” promosso dalla destra politica negli ultimi quindici anni: ovvero, l’idea che la pubblica amministrazione non sia in grado di offrire servizi di qualità ed adeguati alle necessità contemporanee e, pertanto, sia più consono destrutturare gli enti erogatori statali e affidarsi a strutture private. Anche l’università pubblica, prima con l’ex Ministro Moratti poi con il Ministro Gelmini, ha visto messa in discussione il suo ruolo centrale per la crescita ed il progresso del Paese, aggravando la condizione degli
  • 2. atenei, mediante l’aumento dei fondi per il finanziamento delle università private e la contestuale decrescita del FFO per gli atenei pubblici; la nascita di numerose università telematiche (spesso di scarsa qualità accademica); la proliferazione di nuovi atenei e la frammentazione degli istituti in numerose sedi distaccate; il raddoppio dei corsi di studio e la moltiplicazione dei moduli (o esami) che gli studenti devono sostenere; i privilegi della classe docente e il suo mancato rinnovamento generazionale; lo scarso impiego di dottorandi e ricercatori e la misera attenzione a loro rivolta; la riduzione sistematica del fondo pubblico per la ricerca e l’incapacità di attrarre risorse private; addirittura, l’eventualità di ridisegnare lo stato giuridico degli atenei pubblici facendoli confluire in fondazioni di diritto privato, senza un chiaro quadro normativo entro cui operare. L’impegno Di Studenti Democratici deve, quindi, essere indirizzato su molteplici fronti: l’analisi dell’impianto normativo, delle regole e delle consuetudini che regolano il sistema universitario italiano; la ricerca di proposte innovative, ed alternative a quelle della destra al governo della città e del Paese, che rendano più efficienti e diffusi i servizi agli studenti, che migliorino e razionalizzino l’offerta didattica e formativa, che amplino il diritto allo studio per le categorie sociali più deboli, che agiscano sulla trasparenza dell’impiego di denaro pubblico, che riordinino le spese e riducano le sedi decentrate e distaccate, che costruiscano una “rete” di università pubbliche efficienti e di qualità sull’intero territorio nazionale, che introducano criteri meritocratici per il personale docente e tecnico – amministrativo e per l’accesso di nuove figure professionali, che concorrano a migliorare gli standard per la ricerca. Per Studenti Democratici pensare una nuova università pubblica, ed il suo rapporto con quella privata e la società tutta, ed agire nelle singole facoltà può voler dire non solo ampliare il consenso e l’attenzione degli studenti, ma affrontare una notevole quantità di temi politici collegati alle problematiche delle giovani generazioni: dalle questioni riguardanti la mobilità pubblica a quelle di carattere sanitario, dall’offerta culturale della città al mercato degli affitti ed immobiliare, dalla scarsa mobilità sociale agli ausili ai più deboli, dalle esperienze all’estero alla costruzione di una politica comune europea, dall’impiego di risorse economiche pubbliche per la ricerca al contributo privato, dall’introduzione di giovani docenti e ricercatori al rinnovo delle classi dirigenti del Paese, dall’alfabetizzazione informatica e tecnologica della popolazione alla questione meridionale. E’ fondamentale, a riguardo, agire come mai prima. Coinvolgere studenti e corpo docente, associazioni e gruppi politici, giovani professionisti e studiosi per “misurare” la propria proposta politica e per avvicinare esperienze differenti già presenti nelle università e nella società contemporanea. I meriti, le responsabilità, le conquiste e le sconfitte di Studenti Democratici si misureranno, nei prossimi anni, prima di tutto sulle questioni che riguardano l’istruzione pubblica. La portata del rinnovamento che la nuova organizzazione giovanile saprà esprimere sarà pesata sulla sua capacità di porsi innovativi obiettivi politici, di radicarsi nei luoghi di studio e di socializzazione delle generazioni più giovani, nella maturità con la quale saprà dar fisionomia ad istanze di cambiamento e riforma del sistema universitario italiano. Un sistema che va difeso perché pubblico, un sistema che va profondamente modificato perché largamente inefficace ed inefficiente e non ancora egualitario.
  • 3. 0.2 Le fondazioni private: dismissione dell’università pubblica. Noi non ci riempiamo la bocca parlando "della gente". Noi abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente tra la gente. Romano Prodi, presentazione del Programma dell'Unione, Roma 11 febbraio 2006 Da quando si è insediato, nel 2008, il Governo Berlusconi è più volte intervenuto in materia universitaria caratterizzando la propria iniziativa secondo un modello culturale preciso: la pubblica amministrazione non è capace di erogare servizi di qualità malgrado l’alto dispendio di risorse che comporta per l’erario statale. Questo atteggiamento è apparso evidente in molti ambiti mediante il congiunto intervento dei Ministri Brunetta, Tremonti e Gelmini; il primo, infatti, ha prodotto una potente campagna contro il pubblico impiego quale causa dei mali del Paese ed ha più volte etichettato i dipendenti pubblici come “fannulloni” inefficaci; il Ministro dell’Economia ha sostenuto sia irreversibile lo sperpero e l’inefficienza della P.A. e, di conseguenza, ha varato molteplici interventi che comprimono le risorse a disposizione degli enti pubblici per l’erogazione dei servizi ai cittadini ampliando, di fatto, le prerogative dei privati; il Ministro Gelmini, ha avallato i tagli dei fondi nazionali rivolti agli atenei pubblici e non ha sostenuto i precari alle dipendenze degli istituti scolastici in tutta la penisola. Quanto avvenuto per l’università e la scuola pubblica italiana, in questo contesto, è equiparabile a ciò che è stato prodotto per gli altri fondamentali settori che lo Stato gestisce al fine di offrire ai propri cittadini servizi accessibili a tutti ed uguaglianza di trattamento: la sanità e la previdenza sociale, la difesa e la sicurezza del cittadino (si pensi, a riguardo, al messaggio inviato al Paese con l’introduzione delle “ronde”: lo Stato e la forza pubblica non sono in grado di garantire la sicurezza, siano i cittadini a farlo autonomamente ed in modo arbitrario), il governo del territorio e la giustizia. Non è un caso il continuo riferimento di Berlusconi e dei suoi ministri alle aziende private quali unico strumento di efficacia ed efficienza gestionale. In questo quadro, appare aver fatto breccia nel Paese l’idea culturale di fondo che la destra ed il Governo perseguono. Recuperare agibilità nelle facoltà universitarie e nelle aule scolastiche degli istituti medi superiori vuol dire, per Studenti Democratici, prima di tutto offrire una proposta culturale antitetica che individui nelle istituzioni pubbliche lo strumento necessario al servizio del cittadino per garantire uguaglianza e accessibilità; e, in seconda istanza, significa individuare le modalità operative per coniugare “uguaglianza ed accessibilità per tutti” a “qualità, merito e trasparenza”.
  • 4. In un anno e mezzo il Governo ha proceduto nel proprio intento tagliando radicalmente i fondi per il funzionamento degli atenei (il fondo nazionale, che ammonta a poco più di 7 miliardi di euro, è stato ridotto per il 2010 di 700 milioni, mentre per il 2011 la somma dei tagli raggiungerà 1,3 miliardi) e, contemporaneamente ha identificato, quali unici mezzi per reperire risorse, le donazioni di soggetti privati e la possibilità per le università di cambiare la propria ragione sociale divenendo fondazioni private. In questo senso, già i tagli apportati sono da ritenersi gravi se si considera che il sistema dell’università e della ricerca italiano è enormemente sotto finanziato (per citare un solo dato, a riguardo, si consideri che il finanziamento pubblico alle università è in Italia lo 0.6% del PIL a fronte dell’1.1% della UE). Ma, cosa ancora più grave, è che questo genere di politica implica, da una parte, la sistematica e pesante riduzione dei fondi per università e ricerca in un contesto come quello italiano in cui, più che nel resto delle UE, il bilancio del settore è fortemente legato all’impegno delle istituzioni pubbliche. Di fatto, così, il Governo allontana l’esperienza (ed il quantitativo di risorse destinate) italiana da quella europea. D’altra parte, “affamando” gli atenei pubblici l’esecutivo spinge rettori e consigli d’amministrazione ad accettare la logica delle fondazioni private: e questo è l’aspetto più pericoloso di tale provvedimento. I CdA diverrebbero permeabili a soggetti privati, anteponendo all’interesse della ricerca e dell’insegnamento pubblici la logica del profitto e lo stesso patrimonio immobiliare degli atenei, per effetto di un comma della “legge Gelmini”, potrebbe essere svenduto alle fondazioni private. Il tutto senza un adeguato quadro normativo entro le quali dovrebbero agire le università italiane – fondazioni private. Nel combinato disposto di tagli e fondazioni private si intravede il motivo culturale che il Governo Berlusconi persegue, ed al quale gli Studenti Democratici devono essere in grado di opporre un progetto di università pubblica nella quale, come avviene in ogni contesto europeo, si insegnino tutte le discipline scientifiche ed umanistiche (prescindendo dai risultati economici raggiungibili); si integrino ricerca e didattica; siano tarate accessibili rette di frequenza; siano presenti strumenti di diritto allo studio; si proceda all’interazione degli atenei e dei centri di ricerca con le altre istituzioni della società civile. Gli Studenti Democratici, in sostanza, devono attrezzarsi per offrire il progetto culturale e politico di una università italiana plasmata secondo il modello europeo e, quindi, governata e regolata da oggettivi criteri scientifici e culturali e non dagli incostanti, quanto impropri, valori di mercato. Si tratta, ed è bene ribadirlo, di elaborare non una semplice offerta politica ma di costruire una più ampia e complessa proposta educativa. E nel fare ciò, bisogna inserire l’università in un’ottica in cui le istituzioni pubbliche recuperino credibilità, agli occhi dei cittadini, mediante l’innalzamento della qualità, l’eliminazione degli sprechi e la trasparenza nelle scelte. La nostra cultura, quindi, ci impone di dirigerci nella direzione opposta a quella fin’ora percorsa dal Governo e, soprattutto, ci prescrive di opporci con decisione alla dismissione dell’università quale ente pubblico ed a favore di fondazioni private.
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  • 6. 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese. L'utopia è una donna bellissima che vedo sullo sfondo. Io avanzo di due passi, lei arretra di due. Io avanzo di tre, lei arretra ancora. A cosa serve allora l'utopia? A camminare. Eduardo Galeano L’Italia è un Paese che dal secondo dopoguerra è stato capace di porsi in evidenza a livello mondiale. L’industrializzazione ed il “miracolo economico” degli anni ’50 e ‘60, l’urbanesimo e i cambiamenti demografici, la competitività sui mercati internazionali e l’importanza geopolitica nel contesto della Guerra fredda nel Mediterraneo, sono alcuni degli enormi macrostravolgimenti che hanno interessato l’Italia del XX secolo. Nel contempo, però, questa crescita esponenziale ha provocato significative contraddizioni ed ha accentuato alcuni problemi e, su tutti il divario fra nord e sud, il primo posto al centro del progresso che avveniva ed il secondo ancora figlio dell’arretratezza feudale e accompagnato verso una potente migrazione verso le aree più industrializzate o verso l’estero. I dati statistici, ancora a distanza di molti anni, ci mostrano un divario enorme non solo in termini economici, di reddito, di produttività, di occupazione, ma anche per quanto riguarda l’offerta e la qualità dei servizi ai cittadini. L’università ed il comparto culturale rappresentano una voce “a bilancio” delle regioni meridionali in assoluto passivo, e che va analizzata con attenzione. Il nostro intento deve mirare ad utilizzare un servizio pubblico essenziale, quale la formazione universitaria e la ricerca scientifica e tecnologica, per diminuire le differenze fra Nord e Sud del Paese e per offrire maggiore equità ed uguaglianza ai cittadini ed agli studenti. Risulta, infatti, evidente che se tutta l’università e la ricerca pubbliche italiane soffrono dei continui tagli operati, di strutture arretrate, della mancanza di dinamicità e del dovuto ricambio generazionale, appaiono altrettanto palesi le condizioni drammatiche in cui versano nel mezzogiorno. Qui, sono presenti atenei poco “appetibili” a causa di loro caratteristiche intrinseche, in parte mutuate dal contesto sociale, politico, culturale e geografico in cui sono sorte, ed in parte afferibili agli errori ed alle cattive gestioni che hanno guidato il sistema di ricerca ed universitario nazionale. I numeri sono chiari: se dal meridione, fino ad alcuni anni fa, migravano disoccupati e lavoratori poco o per nulla qualificati, oggi migrano studenti universitari, giovani diplomati e laureati. Il dato assume un peso ancora più significativo se si considera che nel sud d’Italia gli immatricolati all’università sono in proporzione, e spesso in termini assoluti, molti di più che nella restante parte del Paese 1. indicando, di fatto, un vero e proprio esodo che coinvolge centinaia di migliaia di giovani ogni anno. 1 A titolo esemplificativo, si tenga presente che dalla sola regione Calabria (che ha una popolazione residente di poco superiore ai 2 milioni di abitanti) il numero di immatricolati agli atenei italiani è di 15.000 unità annue mentre dalla regione Toscana (con popolazione residente poco superiore ai 3.600.000 residenti) gli immatricolati alle università sono “solo” 14.000. I dati sono del Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU (2008: 15).
  • 7. Le cause di tale limitata desiderabilità sono originate dagli scarsi collegamenti e scambi culturali con le principali università europee, dall’insufficiente prestigio derivato dai titoli di studio conseguiti negli atenei del mezzogiorno, dall’inadeguatezza di strutture e servizi che assecondino il diritto allo studio, dalla mancanza di biblioteche e laboratori e di insufficienti spazi per la didattica, trascurando, ovviamente, il calcolo di quanti preferiscono trasferirsi fin da subito nelle città universitarie centrosettentrionali prefigurando la successiva, inevitabile, migrazione dovuta alla ricerca di occupazione. Questo fenomeno comporta, in definitiva, un danno consistente per il Sud e per l’intera penisola. Le ripercussioni sono di carattere economico e culturale e sfociano, ovviamente, nella definizione delle relazioni sociali e politiche di quelle aree. Le regioni meridionali si impoveriscono della loro parte più dinamica e vitale, di quella culturalmente più vivace ed elevata, di quella socialmente più votata a costruire relazioni interpersonali disinteressate generando un ulteriore divario con le altre macroaree del Paese. Inoltre, i borghi e le città, così, sono vissuti prevalentemente da residenti d’età più elevata e con aspettative ed ambizioni minori. Dal punto di vista economico l’impoverimento risulta evidente, quanto significativo: oggi, le famiglie del Sud contribuiscono in modo massiccio all’attività economica delle principali città universitarie centrosettentrionali drenando capitali dal sistema produttivo domestico, impoverendo, di fatto, la domanda e l’offerta delle regioni meridionali ed inibendone l’iniziativa privata. Il sistema universitario pubblico deve essere riformato ponendosi come obiettivo la riduzione delle disuguaglianze e delle differenze fra Nord e Sud d’Italia, facilmente leggibili dai dati statistici e, congiuntamente a massicci e mirati interventi su tutti gli altri aspetti sociali, economici e culturali, si deve tornare ad ambire alla costruzione di un paese unito e solidale senza più una così elevata differenziazione fra gli opposti poli geografici. In tal senso, si auspica una riduzione del numero di atenei dislocati ed una altrettanto decisa diminuzione di sedi distaccate al fine di concentrare finanze ed intelligenze per la realizzazione di veri e propri centri culturali, in grado di attrarre eccellenti operatori didattici e di inserirsi nei circuiti internazionali della ricerca scientifica e tecnologica. In questo modo, una più elevata e riconosciuta offerta formativa, unita ad efficaci strumenti a garanzia del diritto allo studio, produrrebbe il contenimento dell’abbandono per motivi di studio delle regioni meridionali e porterebbe benefici effetti, diretti ed indiretti, sulle economie di quelle aree del paese. Si agirebbe, in questo modo, anche sulla dinamicità culturale e politica del territorio trattenendo le individualità più giovani e preparate e sull’intero sistema produttivo, di servizi e consumi, oltre che sull’occupazione. Il Sud è il centro geografico del Mediterraneo. L’università e la ricerca, l’interazione con i principali atenei europei e la comunicazione con le istituzioni culturali del Maghreb e dell’Asia Minore potrebbero renderlo anche il centro culturale di un bacino enorme ed in continua evoluzione e fulcro di nuovi scambi.
  • 8. 0.4 Noi siamo la rappresentanza studentesca. […] Ci affacceremo al nuovo millennio senza sperare di trovarvi nulla più di quello che saremo capaci di portarvi. Italo Calvino, Six Memos for the Next Millennium Gli esiti delle più recenti tornate elettorali negli atenei pubblici di Roma hanno visto il centrosinistra in grave decrescita. La nascita del Partito Democratico e la sua difficoltà a definirsi in termini identitari, la devastazione nelle file della sinistra massimalista, la disgregazione delle nostre forze e la disarticolazione dei luoghi di discussione, di sintesi e di decisione unito al lungo travaglio che ha condotto alla costituzione dei Giovani Democratici, hanno prodotto un quadro romano a tinte fosche. Oggi, però, l’università torna a rappresentare una delle priorità dei Giovani Democratici e, ci auguriamo, un luogo di investimento politico per il PD. Come Studenti Democratici abbiamo bisogno di definire un nostro modello culturale e politico da veicolare nelle facoltà e fra gli studenti e per farlo dobbiamo mobilitare i nostri circoli territoriali e costruire una nostra organizzazione solida e riconoscibile che contribuisca a superare le particolari situazioni di stallo ed incomprensione, imperdonabile, che si sono innescate fra precedenti organizzazioni giovanili e all’interno delle stesse. Per questo risulta fondamentale il confronto, finalmente tutto politico, sulle idee, i problemi e le esigenze degli studenti. Per questo è motivato lo sforzo di produrre un documento programmatico degli Studenti Democratici di Roma unico ed unitario, rigoroso, organico e particolareggiato. Per tornare ad essere protagonisti, per lanciare una nuova grande stagione di attivismo universitario in cui gli studenti tornino al centro della nostra azione politica, non è sufficiente, però, un rinnovato slancio concettuale. Ad una seria e profonda riflessione che ci permetta di individuare l’essenza delle nostre istanze e la definizione dei nostri obiettivi prioritari dobbiamo accostare una forma organizzativa migliore ed unificante che rappresenti, anche in ambito universitario, l’unicità di intenti degli Studenti Democratici di Roma. Siamo consapevoli che fare politica all’università comporta la necessità di confrontarsi quotidianamente con le esigenze e i problemi di chi la vive; significa essere sempre pronti a rispondere alle sollecitazioni; significa lottare, a volte anche in modo duro, contro le inefficienze e le storture che non mancano di presentarsi e che, alle volte, sono connaturate al nostro sistema universitario. Lo strumento essenziale per fare tutto ciò è rianimare la rappresentanza e rinvigorire la partecipazione dei nostri iscritti e degli studenti. È questo l’unico mezzo che abbiamo per poter essere determinanti ed influire negli organi decisionali e per farci portatori delle istanze di cambiamento. È dunque necessario iniziare la costruzione di una nuova forma di rappresentanza che ci permetta innanzitutto di essere pubblicamente riconoscibili e presenti mediante una struttura associativa direttamente riconducibile a Studenti Democratici in tutti gli atenei pubblici e privati.
  • 9. Facendo tesoro dell’esperienza degli ultimi anni, e pur nel rispetto delle specificità dei singoli atenei, è auspicabile che tutte queste si caratterizzino in modo univoco per consentire un immediato riconoscimento delle nostre organizzazioni e per agevolare una maggiore operatività anche fuori dai confini universitari. In questo quadro, il nostro contributo può essere determinante alla riunificazione di tutte le realtà riconducibili a Studenti Democratici e, in prospettiva, alla costruzione di un centrosinistra unito nella rappresentanza degli studenti in ogni singola facoltà e fino ai livelli più elevati. Il nostro obiettivo è quello di convogliare il grande dinamismo di movimenti e associazioni, sebbene preservandone la capacità di iniziativa singola, in una organizzazione capace di assumere decisioni condivise e di produrre una maggiore, più ampia e più visibile, iniziativa politica.
  • 10. 1. TRE RIFLESSIONI SUL FUTURO DELL’UNIVERSITA’. Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l'una come l'altra, dal riflettere. Jules-Henri Poincaré 1.0 Introduzione. L’università’ italiana è stata messa in subbuglio, ancora una volta, da un documento, spedito dal ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini il 4 Settembre, a tutti i rettori e direttori amministrativi delle università italiane. Il documento consta di due parti: la prima analitica che riassume i risultati non incoraggianti ottenuti dalla riforma del “3+2” e una seconda più tecnica che descrive le misure che saranno attuate nel prossimo futuro per ‘razionalizzare’ il quadro dell’offerta formativa, riducendo parallelamente anche i costi. La parte analitica e le priorità d’intervento illustrate dal ministro sono pienamente condivisibili: la riduzione degli sprechi dovuti alla proliferazione dei corsi di laurea e all’apertura indiscriminata di sedi decentrate; l’eliminazione degli ostacoli organizzativi alla libera circolazione degli studenti tra i vari atenei; l’ assicurazione di un’offerta formativa qualificata, coerente con le linee guida stabilite dalla dichiarazione di Bologna. Non condivisibili invece sono i due postulati su cui si basa questa nuova riforma. In primo luogo, la volontà di ‘affamare’ le università per spingerle verso la ricerca di nuove fonti di finanziamento. E’ chiaro che in un paese dove l’investimento privato nell’università è marginale 1, l’unica nuova fonte di introito è l’incremento delle tasse pagate dagli studenti 2. Non è vero che occorre spendere meno. Anzi ci sarebbe da dire che la razionalizzazione dell’università dovrebbe essere accompagnata da una crescita degli investimenti pubblici. Se si considera l’Unione Europea quale benchmark si vede chiaramente che solamente la Bulgaria spende meno dell’Italia 3. I Paesi dell’UE spendono in media l’1,1% del PIL per l’università, mentre l’Italia solo lo 0,8% 4. In secondo luogo lo stabilimento di premi e punizioni pecuniarie per gli atenei virtuosi non segue alcuna logica razionale. Occorrerebbe, infatti, stabilire dei meccanismi di premio e punizione, secondo modalità diverse, per evitare di aggravare il divario già enorme tra le università del Nord e quelle del Centro Sud. 1 In Italia solo il 7,7% della spesa universitaria e’ finanziato da partner privati. Nel resto d’Europa la media e’ del 12,5. Questo e’ soprattutto dovuto alla mancanza di investimento primario dello stato in infrastrutture e ricerca. Nei paesi più sviluppati (anche negli Stati Uniti D’America) la spesa privata è ingente grazie a particolari regolamentazioni ed al fermo impegno dello stato nel finanziamento dell’università’ e la ricerca. 2 Tutto molto simile all’evoluzione inglese, in cui le tasse universitarie hanno subito un brusco aumento verso la fine degli anni novanta. 3 Dati Eurostat sull’educazione relative al 2006. 4 Guida la classifica la Danimarca con il 2,3%.
  • 11. Partendo da queste due importanti considerazioni, questo breve intervento si articola su tre punti: l’analisi dei problemi riguardanti la classifica proposta dal ministero e l’applicazione del meccanismo premi- sanzione; la persistenza del divario Nord-Centro Sud e in fine la centralità di una possibile riforma del mondo della ricerca in linea con i paesi più avanzati. 1.1 Problemi del ranking usato dal Ministero e la necessità di uno sguardo solidale verso le università in difficoltà. E’ doveroso stilare delle classifiche per capire chi sta facendo bene in termini di ricerca e didattica. Ma la classifica pubblicata nel mese di Luglio, che di fatto condiziona direttamente la quantità di fondi ricevuti dalle università, presenta dei lati oscuri. Non vengono forniti i criteri e i punteggi relativi a ogni indicatore considerato. Si dice solo che 2/3 del punteggio finale dipende dall’attività di ricerca e 1/3 da quella didattica. La tanto invocata ‘trasparenza’ non viene applicata a questi indicatori, dei quali purtroppo non si conosce nulla. A questo va aggiunto che la classifica stilata non coincide con i più importanti ranking pubblicati da autorevoli istituti a livello mondiale (e.g. THES). Pur soprassedendo sulla costruzione del ranking, non si può non evidenziare che l’attribuzione dei fondi solo sulla base dell’‘efficienza’ degli atenei rischia di aggravare il divario esistente fra le università del Nord e del Centro-Sud. Non sorprende che solo sei università di quest’area facciano parte del gruppo delle virtuose. Alla luce di questi squilibri pre-esistenti, l’approccio iniziale non può essere solo punitivo. Si deve pensare a un sistema in cui le università virtuose mantengano una maggiore autonomia nella gestione della didattica e delle questioni finanziarie, mentre quelle non virtuose vengano monitorate a stretto giro dal ministero. Si dovrebbe, inoltre, creare un fondo per dare vita a partnerships tra le università virtuose e quelle meno organizzate, per permettere il trasferimento di good practices. Questo potrebbe essere l’inizio di una riforma partecipata. Ancora una volta, invece, si procede dall’alto senza tenere in conto il potenziale ruolo sinergico che il ministero dovrebbe avere con il mondo dell’università. Si rischia, cosi, di ripetere tutto quello che di sbagliato è stato fatto con la precedente riforma. 1.2 Il riequilibrio Nord – Sud. Continua a crescere lo squilibrio tra Nord-Sud con il corollario dell’esodo di studenti verso le migliori università del nord. Basilicata, Calabria, Sicilia e Campania (giusto per citare gli esempi più eclatanti) nonostante la presenza di numerosi atenei regionali non riescono a essere attrattive per molti cittadini residenti in regione e ancora meno capaci di compensare il flusso in uscita con quello in entrata 5. Occorre razionalizzare il panorama dell’offerta formativa, riducendo il numero delle università e migliorando la qualità di un numero minore d’istituzioni. 5 A questo titolo vedi il Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU (2008: 15) e già citato nel paragrafo 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese.
  • 12. La Calabria per esempio con i suoi due milioni di abitanti, possiede ben tre università, ma il 38,4% degli studenti emigra altrove (CNVSU, 2008:15). Ciò significa che il massiccio investimento per finanziare tre università non ha raggiunto il suo obiettivo. In questo senso, il progetto di fusione fra atenei va preso seriamente in considerazione. 1.3 Concentrazione della ricerca. Il progetto di fusione per molti atenei potrebbe concorrere alla creazione di importanti clusters universitari capaci di generare ricerca di alto livello. Sul modello tedesco si potrebbe pensare di finanziare maggiormente 10 istituzioni (distribuite in maniera equa sul territorio nazionale) in cui si concentri la maggior parte dell’attività di ricerca. Uno dei problemi maggiori del nostro paese è l’assenza di università leader capaci di fare da cassa di risonanza a livello internazionale. La prima università italiana nel ranking THES 5 è Bologna, che si piazza al 192esimo posto nel mondo. Quest’assenza riduce la possibilità d’integrazione dell’università italiana nel panorama mondiale. Per quale ragione un valente studente straniero dovrebbe venire in Italia per un dottorato o per proseguire le sue ricerche? Nel nuovo scenario, le altre università più periferiche dovrebbero maggiormente concentrarsi sulla didattica e appoggiarsi ai dieci atenei di riferimento per la ricerca. Questa iniziativa ridurrebbe enormemente gli sprechi generati dall’eccessiva decentralizzazione. Infine, occorre investire di più, in modo più efficiente e concentrato, limitando il numero di professori ordinari e accrescendo quello di dottorandi e ricercatori. La riforma parzialmente risponde a questo bisogno, riducendo il peso degli ordinari ma senza garantire adeguati nuovi fondi per i giovani ricercatori. La riforma dei cicli di dottorato è stata annunciata, bisognerà quindi attendere per un giudizio più completo. In ultimo, consideriamo positiva l’idea di introdurre una commissione di esperti esterni ed internazionali per decidere le promozioni accademiche sulla base della qualità della ricerca prodotta. 1.4 Conclusioni. C’e’ bisogno di una riforma radicale dell’università. In questo intervento sono stati toccati i tre ambiti che a nostro avviso sono prioritari, purtroppo la nostra rabberciata università necessita di molte altre misure. Sarebbe bello vedere in futuro una discussione allargata sulla riforma, in cui emerga una condivisione d’intenti tra governo, opposizione, strutture universitarie e studenti. I progetti calati dall’alto hanno sempre fallito in passato, non bisogna ripercorrere la stessa strada. Purtroppo i continui annunci, cosi come in molti altri ambiti (come per esempio la riforma previdenziale), accrescono le resistenze e non giovano alla qualità del dibattito pubblico. Ci auguriamo, che il ministro e il governo tengano conto del grande fermento che esiste intorno al mondo universitario e sfruttino la storica occasione fornita da questa riforma per iniziare un nuovo percorso condiviso. 5 Vedi documento CNVSU (2008: 114).
  • 13. 2. UN SISTEMA SULLA VIA DEL DECLINO. L'istruzione e la formazione sono le armi più potenti che si possono utilizzare per cambiare il mondo. Nelson Mandela 2.0 Introduzione. Il valore di una istituzione, tanto più se si parla dell’Università, dipende da quanto realmente essa rappresenta il sistema in cui opera, ed oggi, la società italiana non sembra considerare particolarmente importante il ruolo di tale istituzione. Come potrebbe essere diverso? In un sistema caratterizzato da bassa mobilità sociale, dove le relazioni familiari contano più delle qualità personali, l’Università non può essere considerata un investimento profittevole. Se a questo aggiungiamo un sistema economico con piccole imprese in settori manifatturieri tradizionali, in concorrenza soprattutto con i paesi emergenti, manca anche il collegamento con il mondo del lavoro. L’unica cosa che conta è il titolo, “il pezzo di carta”, quindi la scelta dell’Università è la stessa che si fa per comprare il latte: il posto più vicino. In un sistema siffatto, senza controllo e pressione sociale, il sistema è lasciato in balia degli interessi degli attori interni e locali, ovvero, delle varie corporazioni che affollano i nostri atenei, da quelle dei professori a quelle degli studenti. In questo contesto l’Università perde totalmente il suo ruolo che dovrebbe essere quello di volano di una crescita sociale ed economica del paese. Negli ultimi decenni, infatti, l’abbassamento della qualità e la proliferazione di corsi di laurea “facili” hanno portato il sistema ad essere ancora più classista. Eppure a sinistra rincorrendo i miti dell’ “egualitarismo”, in un sistema che dovrebbe essere per natura diseguale per garantire ai migliori di poter emergere, non si è compreso che sono proprio le classi meno agiate a rimetterci da un abbassamento della qualità dell’istruzione universitaria. Per garantire un’adeguata mobilità sociale, più che spendere risorse per eliminare ogni numero chiuso, necessario soprattutto in quelle facoltà con elevati costi di gestione, sarebbe stato più opportuno investire tali fondi nel diritto allo studio (borse di studio, alloggi, mense, …). In tal modo si sarebbe garantita una reale parità di accesso all’istruzione universitaria, e non solo in apparenza. 2.1 Qualche dato. Utilizzare qualche dato statistico sulla situazione del sistema educativo italiano, e in particolar modo di quello universitario, può essere utile per descrivere lo stato dell'Università italiana.
  • 14. Prendendo dai dati OCSE sull’istruzione (Education at glance), la spesa per studente in Italia è attorno alla media dei paesi OCSE per la scuola primaria e secondaria, ma nettamente al di sotto nel sistema universitario (8026 USD contro una media di 11512). In realtà, Roberto Perotti nel suo ultimo libro ("L'Università truccata", Einaudi) rettifica quest’ultimo dato, affermando che considerando la piaga tutta italiana degli studenti fuori corso che non utilizzano le strutture universitarie, la spesa per studente anche nel sistema terziario si collocherebbe in media con i paesi OCSE. I dati presentati da Daniele Checchi e Tullio Jappelli sulla Voce ci dicono qualcosa in più sull’evoluzione e sull’efficienza della struttura organizzativa del sistema universitario italiano. Se le riforme del sistema universitario hanno prodotto dal 1985 al 2005 un aumento del numero di studenti immatricolati di circa il 65%, a questo incremento è corrisposto un aumento spropositato dell’offerta formativa. Le facoltà universitarie, infatti, sono aumentate di quasi il 90%, mentre il numero di corsi di laurea (considerando solo quelli magistrali) è passato da 778 a ben 2194 (+ 287%). Inoltre, bisogna ricordare che l’assegnazione dei fondi all’università tramite il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) fino al 2008 è avvenuta sostanzialmente a pioggia (criterio della spesa storica) a prescindere dai meriti accademici e di ricerca (dai dati del decreto Mussi 2008 sappiamo che solo il 2,2% dei fondi del FFO sono stati assegnati in base al merito). Se a questi dati aggiungiamo concorsi truccati, baronaggio diffuso, ricerca scadente, fuga dei cervelli all’estero, abbiamo il quadro di un sistema chiaramente inefficiente che va assolutamente riformato. In un quadro del genere, l’Italia è lontanissima dal traguardo che si è posta a Lisbona: quello di una società basata sulla conoscenza. 2.2 Autonomia senza responsabilità: università senza merito. In questi anni è stata concessa autonomia agli Atenei senza, però, un’equivalente responsabilizzazione, creando un sistema inefficiente e totalmente autoreferenziale. L’autonomia, infatti, diventa autoreferenzialità, quando non è accompagnata da un “sistema competitivo” di allocazione dei fondi “pubblici” basato su criteri oggettivi con cui valutare la ricerca e la didattica. Ciò non significa l’isolamento delle università che non si dimostrano in linea con il mercato, ma incentivare i differenti atenei ad adottare un modello virtuoso di gestione delle risorse a loro disposizione, in particolare quando parliamo di reclutamento di ricercatori e professori. Solo premiando il merito sulla base di risultati rigorosamente verificati, come avviene oramai con criteri sufficientemente oggettivi in larga parte del mondo, e investendo risorse su questa opera di rinnovamento si può permettere al sistema universitario di uscire dal guado. Per anni, invece, in particolare nelle esperienze di Governo del centro-sinistra, si è cercato tramite una crescente burocratizzazione del sistema di imporre comportamenti virtuosi. La ricerca del “concorso perfetto” nelle assunzioni, la serie infinita di parametri imposti dall’alto dal Ministero non hanno sortito alcun effetto. Anzi, hanno livellato il sistema verso il basso. Un esempio su tutti è quello della doppia idoneità nei concorsi per professori che alla fine ha finito per incrementate le probabilità di promuovere i candidati interni delle Università, indipendentemente dal merito.
  • 15. Nel frattempo, nonostante l’istituzione di due organi preposti alla valutazione della ricerca (CIVR) e della didattica (CNVSU), fino al 2008 il Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università è stato ripartito tra i diversi atenei a pioggia, seguendo un criterio di “spesa storica”. 2.3 Gli interventi del Governo: i tagli al FFO nel decreto 112/2008. Il governo Berlusconi ha avuto rispetto all’Università un atteggiamento a dir poco schizofrenico. Con il decreto legge 112 del Giugno 2008, il Ministro dell’Economia Tremonti ha esordito tagliando bruscamente i fondi al Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università (FFO). I tagli previsti sono ad aumentare, con decrementi al FFO che diventano sostanziali solo a partire dal 2010 (63 milioni nel 2009, 190 nel 2010, 316 nel 2011, 417 nel 2012 e 455 dal 2013). Tale intervento di “razionalizzazione della spesa” (così è stato definito dallo stesso Ministro dell’istruzione Gelmini) sembra rispecchiare l’atteggiamento ostile che la destra berlusconiana ha sempre avuto rispetto all’Università. In sede di finanziaria con un vincolo di bilancio allora stringente, e con promesse elettorali da mantenere, il Governo non ha avuto problemi a reperire risorse da un sistema, quello dell’Istruzione in generale e dell’Università in particolare, non considerato decisivo e cruciale per lo sviluppo economico e sociale del paese. Tuttavia, nonostante tale atteggiamento ostile nei confronti dell’istruzione, dell’università e della ricerca pubbliche, il governo ha effettuato alcuni interventi che sembrerebbero, per la prima volta dopo anni, interessanti e meritano attenzione ed approfondimento. 2.4 Gli interventi del Governo: gli incentivi al merito. Con un successivo Decreto Legge 180/2008 il Ministro Gelmini ha previsto la destinazione del 7% del FFO (500 milioni) alle università che risultino migliori in quanto a produzione scientifica, organizzazione e didattica. Si tratta del primo intervento da parte di un governo che decide di iniziare a destinare una quota significativa del FFO in base a criteri di merito. Le linee guida del Governo, inoltre, prevedono inoltre progressivi incrementi degli stanziamenti in base al merito negli anni successivi, fino ad arrivare a stanziare fino al 30% del FFO ( oltre 2 miliardi di Euro). Non pochi dubbi erano stati mossi sui criteri che il Ministro avrebbe poi adottato, poiché il modello di ripartizione dei finanziamenti sulla base dei risultati è quello da cui dipende la possibilità di incidere effettivamente sui comportamenti degli atenei. Si tratta, infatti, di definire parametri e coefficienti volti a premiare davvero la qualità. Tuttavia, la scelta di allocare i 523,5 Ml, per il 66% sulla base “Qualità della Ricerca Scientifica” e il restante 34% sulla base “Qualità dell'Offerta Formativa” e dei risultati dei processi formativi sembra essere più che ragionevole. I criteri scelti per la ricerca, in particolare, si sono basati per il 50% sul buon lavoro di valutazione della ricerca fatto negli anni passati dal CIVR, che ha utilizzato, principalmente, parametri largamente condivisi
  • 16. quali il numero delle pubblicazioni e la qualità della rivista su cui si pubblica: canoni sufficientemente oggettivi su cui basare delle valutazioni. Mentre per ciò che riguarda la didattica, si è evitato di creare incentivi perversi (come quello di trasformare le Università in “diplomifici” peggiorandone la qualità) mitigando il metodo di calcolo secondo il numero dei laureati, con valutazioni degli output, quali ad esempio, statistiche riguardanti la collocazione dei laureati sul mercato del lavoro. Chiaramente le polemiche non sono mancate, in particolare da parte di quegli atenei che da tali criteri sono risultati penalizzati. Da questo punto di vista i partiti all’opposizione e gli Studenti Democratici devono fungere da pungolo per il governo, cercando di vigilare attentamente sui criteri di ripartizione dei fondi, poiché senza un controllo serio sulla definizione dei criteri c’è sempre il rischio di arrivare a metodi “ad personam”, che tendano a favorire un ateneo o un ente piuttosto che un altro, per ragioni che hanno poco a che fare con la ricerca o la didattica. Bisogna, inoltre, anche garantire l’anonimato del valutatore per garantirne l’onestà del suo giudizio. Proprio di recente, infatti, alcuni episodi passati quasi inosservati ai giornali, hanno messo in discussione questo principio centrale per perseguire l’obiettivo di premiare il merito. 2.5 Una necessaria riforma della governance. Premiare il merito, però, potrebbe non essere sufficiente se a tali misure non si accompagna una modifica della governance delle istituzioni universitarie. Come detto precedentemente, il principio democratico della rappresentanza corporativa è quello che oggi è alla base del sistema di governo dei nostri Atenei. Ognuno prende la sua parte di finanziamenti in piena “autonomia”, senza responsabilizzazione alcuna. Dai professori alle rappresentanze studentesche. Bisogna riformare tale sistema, per passare ad un modello di tipo anglosassone ormai sposato da moltissimi paesi europei (vedi Svezia, Danimarca o Olanda). La via anglosassone ha preferito il meccanismo della nomina a cascata a quello elettorale. Il CDA nominato dagli stakeholder nomina a sua volta il Rettore, il quale ha poteri superiori a quelli a disposizione in Italia. La verticalizzazione dei processi decisionali e l’individuazione dei centri di responsabilità in modo preciso e trasparente, combinato ad un meccanismo di valutazione e monitoraggio degli atenei basati su criteri oggettivi (di cui si è già detto nei paragrafi precedenti), sono di incentivo alla responsabilizzazione del sistema. A questo punto si possono lasciare libere le università di assumere e premiare chiunque esse vogliano, diventando loro stesse le datrici di lavoro dei lori docenti e ricercatori. In questo sistema di “incentivi virtuosi” i singoli atenei saranno costretti a fare politiche conformi ai propri obiettivi istituzionali, perché, in caso contrario, vedranno drasticamente diminuire i fondi “statali” a loro disposizione. In questo modo avremmo anche risolto il problema dei concorsi, e non avremmo più la necessità di andare alla ricerca di quello “perfetto”.
  • 17. 2.6 Il coraggio di cambiare. Quanto fin qui proposto naturalmente non rappresenta un progetto di riforma di tutto il sistema universitario, ma andrebbe ad incidere pesantemente sul potere delle tante lobby accademiche. Si avrebbe per la prima volta la possibilità di distribuire le risorse future premiando il merito. Tali iniziative se accompagnate da adeguate misure di diritto allo studio, darebbero all’Università la possibilità di perseguire due dei suoi obiettivi principali: essere il volano della crescita economica e di un’adeguata mobilità sociale.
  • 18. 3. UNA CRITICA PUNTUALE ALLA RIFORMA UNIVERSITARIA. Il futuro appartiene a coloro i quali credono nella bellezza dei loro sogni. Elanor Roosevelt 3.0 Introduzione. Di seguito si accenna, in modo puntuale, a quanto proposto dagli Studentii Democratici di Roma in relazione alla riforma del Ministro Gelmini in merito all’università italiana. Un quadro complessivo di analisi e critica, con valutazioni sistemiche e d’insieme formulato dagli Studenti Democratici di Roma è articolato nei capitoli precedenti. 3.1 I nodi focali. 3.1.1 Fusioni tra atenei. Questo è un principio che abbiamo più volte enunciato, chiesto di applicare e difeso quando proprio il precedente Governo Berlusconi ed il Ministro Moratti agevolavano la proliferazione di atenei pubblici e telematici e, di fatto, assecondavano la dispersione delle risorse dell’università pubblica, ne consentivano il progressivo invecchiamento bloccando il ricambio del corpo docente e tagliando i finanziamenti per l’assunzione di dottorandi e ricercatori, e non contrastando fenomeni di baronia diffusa. La proposta di riforma prevede la possibilità di fondere o aggregare, su base federativa, università vicine, anche in relazione a singoli settori di attività, per aumentare la qualità, evitare duplicazioni e abbattere i costi ma affidando ogni meccanismo amministrativo a consorzi di diritto privato e a CdA al 40 % partecipati da privati e di nomina rettorale. 3.1.2 Bilanci più trasparenti. Da un primo ministro che ha prodotto la depenalizzazione del falso in bilancio, lo scudo fiscale ed ha condonato decine di reati ed irregolarità, che ha scialacquato patrimonio pubblico, agevolato lo sperpero e depotenziato la Corte dei Conti, non ci aspettiamo rigore e attenzione per i bilanci degli atenei. Questi, però, secondo le nuove proposte del Ministero dovranno rispondere a criteri di maggiore trasparenza (attualmente non calcolano, ad esempio, la base di patrimonio degli atenei), prevedendo il commissariamento degli atenei in caso di dissesto, meccanismi premiali nell’attribuzione dei finanziamenti, la valutazione periodica ai fini dell’attribuzione degli scatti economici e la rimodulazione dei trattamenti economici dei docenti con scatti che da biennali divengono triennali. Per quanto riguarda il personale non è prevista alcuna forma di contrattazione, proseguendo sulla strada dell’”incomunicabilità” fra Governo e parti sociali.
  • 19. Gli Studenti Democratici chiedono che debiti e crediti siano resi più chiari secondo criteri nazionali concordati tra i ministeri Istruzione e Tesoro e facciano riferimento ad esplicite voci di bilancio facilmente verificabili. Inoltre, chiediamo maggiore pubblicità e trasparenza sulla destinazione e l’impiego dei fondi a disposizione delle università rendendo, di fatto, maggiormente partecipi gli studenti ed i cittadini al controllo delle scelte assunte da rettori, consigli d’amministrazione, presidi e dipartimenti. 3.1.3 Diminuzione dei settori disciplinari. Uno dei motivi che ci hanno spinto, in passato, a scendere i piazza ed a manifestare contro le scelte assunte dall’ex Ministro Moratti, riguardava l’aumento incontrollato dei corsi di studio e delle discipline didattiche favorendo, in effetti, spesso solo la spesa pubblica e l’attribuzione di cattedre a professori. Un primo, sebbene non risolutivo, intervento in questa direzione è stato preso dal Governo Prodi per volontà del Ministro Mussi, il quale è intervenuto sulla riduzione di moduli che ogni studente deve sostenere. Un titolo del provvedimento del Governo interviene verso la riduzione dei settori scientifici e disciplinari e l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale come pre-requisito per i concorsi e gli avanzamenti di carriera. Sono previste rinnovate norme sul reclutamento fondate su concorsi integralmente locali (con scarso riconoscimento del merito e della trasparenza ma lasciando spazio alle baronìe favorite da nicchie di potere) per ogni singolo ateneo e nuove discipline per gli assegni di ricerca, per i ricercatori e per i contratti di insegnamento. Il Governo non ha assolutamente preso in considerazione le sollecitazioni e le proposte formulate da operatori e parti in causa: non ha realizzato alcun riconoscimento per i ricercatori come terza fascia docente mentre sembra accelerarne l’applicazione della messa ad esaurimento. Per Studenti Democratici risulta difficile valutare in modo completamente positivo l’impossibilità di compiere assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato, assecondando la scelta di contratti triennali rinnovabili una sola volta: di fatto, la terza fascia diventa lo strumento per reclutare a tempo determinato. Non crediamo, secondo i modelli anglosassoni del Nord e Centro Europa, che il tempo determinato sia l’unica modalità per assumere il personale di ricerca (che, ripetiamo, vorremmo fosse anche riconosciuta come corpo docente di terza fascia), ma se associamo ai provvedimenti assunti il pesante taglio di fondi pianificato con la Legge 133 del 2008, temiamo che gli attuali ricercatori avranno scarse probabilità di salire di fascia. In sostanza, ci pare non ci sia stato il minimo tentativo di offrire una risposta ai temi del precariato. Chiediamo maggiore attenzione verso i dottorati di ricerca: più assunzioni, maggiori risorse destinate al settore, più adeguati stipendi. Infine, chiediamo criteri stringenti ed oggettivi per la verifica del loro operato e per il riconoscimento delle loro pubblicazioni. 3.1.4 I rettori e la struttura d’ateneo. Cardine di ogni riforma di governance è l'adozione di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele.
  • 20. Come meglio specificato nel capitolo precedente, chiediamo il passaggio ad un modello nord europeo che individui nei CdA e nei rettori il centro del potere decisionale e, di conseguenza, l’individuazione dei centri di responsabilità. Un sistema trasparente basato su criteri oggettivi di valutazione offre la possibilità di responsabilizzare l’apparato e di giudicarne in modo immediato le scelte. In merito, quindi, chiediamo che il Governo, oltre a porre un limite massimo complessivo di 8 anni per il mandato dei rettori (inclusi quelli già trascorsi prima della riforma), formuli una netta distinzione di funzioni tra Senato accademico e CdA. Il primo avanzi proposte di carattere scientifico, il secondo si assuma la responsabilità chiara degli investimenti, delle assunzioni e delle spese di gestione, anche delle sedi distaccate. Consideriamo utile una riduzione dei componenti del Senato accademico e del CdA al fine di evitare organi pletorici e poco responsabilizzati, mentre chiediamo un rafforzamento della rappresentanza studentesca. Con il testo approvato in Consiglio dei ministri si propone agli Atenei un modello organizzativo fortemente centralistico e gerarchico che, però, marginalizza gli organi elettivi per accentrare potere solo al vertice. Ciò induce a pensare che quanto già ripetutamente evidenziato dagli Studenti Democratici di Roma stia assumendo forma: i governi Berlusconi accentuano la vocazione aziendalistica dell’Università pubblica annichilendo ogni strumento di controllo esercitabile da studenti, docenti e ricercatori. Ciò, diviene ancora più limpido se si considera lo svilimento del ruolo riservato al Senato accademico e l’accorpamento, di fatto, delle funzioni ai CdA. Inoltre, tutto questo, assume connotati “torvi” per la pubblica Università se si valutano attentamente le conseguenze ottenibili da CdA con il 40% di membri esterni: si affidano agli esterni sia le risorse economiche e immobiliari degli atenei sia quelle umane legate alla didattica. I Studenti Democratici ritengono possibile, ed anzi utile, reclutare dall’esterno componenti di CdA e Senato accademico, ma in una percentuale minoritaria e, comunque, non superiore a ¼ dei suoi membri. Oltretutto, si fa notare la scarsa attenzione riservata all’autonomia universitaria, imponendo norme rigide e di dettaglio e lasciando pochissimo spazio alla discussione interna degli atenei. Anche qui, Studenti Democratici crede sia fondamentale restituire al sistema universitario uniformità ed omogeneità nelle scelte didattiche e nei criteri organizzativi, ma lasciando inalterato e tutelando il principio d’autonomia. Infine, riteniamo che il nucleo di valutazione d'ateneo debba essere ad assoluta maggioranza esterna, per consentirne una valutazione imparziale e composta da professori, studiosi o ricercatori titolati 3.1.5 Il merito vale anche per i professori. Il Ministro ha proposto la nascita di una commissione nazionale (con membri italiani e per la prima volta anche stranieri) che dovrà abilitare coloro che sono ammessi a partecipare ai concorsi per le varie fasce. La commissione dovrebbe valutare capacità e curriculum sulla base di parametri predefiniti. Le università, così, dovrebbero avere l’obbligo di assumere solo quelli riconosciuti validi dalla commissione. Gli Studenti Democratici chiedono vengano previsti incentivi economici al trasferimento per i docenti per agevolare e rendere possibile la mobilità, con procedure semplificate per i docenti di università straniere che vogliono partecipare alle selezioni per posti in Italia.
  • 21. Se il Ministro Gelmini prevede modifiche perché i professori a tempo pieno lavorino 1.500 ore annue, di cui almeno 350 per docenza e servizio agli studenti, gli Studenti Democratici di Roma chiedono che sia resa obbligatoria e vincolante ai fini statistici la valutazione degli studenti sui corsi, gli insegnamenti ed i docenti. Solo costruendo un doppio sistema di valutazione “commissione nazionale – studenti” si possono determinare delle graduatorie di qualità della didattica e della ricerca per i professori e diventa possibile applicare gli scatti stipendiali ai migliori insegnanti. 3.1.6 Diritto allo studio. Questa materia risulta essere molto complessa ed articolata e, per un maggiore approfondimento si rimanda all’apposito capitolo. Gli Studenti Democratici intendono comunque ribadire la necessità di una riforma organica della Legge 390/1991, in accordo con le Regioni, al fine di accorpare istituti ed enti che agiscono nel settore, per produrre un aumento del servizio ed una maggiore diffusione, per spostare il sostegno direttamente agli studenti e favorire l’accesso agli studi superiori, alla mobilità, alla casa. Gli Studenti Democratici di Roma chiedono che si proceda, in sostanza, alla formulazione di un vero e proprio welfare per gli studenti.
  • 22. 4. UNA COSTRUZIONE IN BILICO SU UN INSOSTENIBILE DIVARIO. Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e se non le trovano le creano. George Bernard Shaw 4.0 Introduzione. Abbiamo già più volte, nei paragrafi precedenti, accennato alla sperequazione presente nel nostro sistema universitario, ed a maggior ragione analizzandone le strutture ed i servizi del Nord con quelli del Sud Italia. E’ oggettivamente complesso dipingere un quadro chiaro in cui vengano evidenziati tutti i punti di forza e tutte le debolezze storiche, sociali, culturali, strutturali, politiche ed economiche che hanno generato un divario tanto ampio. Diventa, quindi, ancora più complicato non utilizzare tinte fosche per formulare un giudizio credibile e per produrre una proposta di modifica dello status quo. In questo capitolo cercheremo, però, di arricchire ulteriormente la nostra analisi non perché la “questione meridionale” sia causa dei problemi dell’università pubblica italiana, ma perché un nuovo sistema di istruzione e ricerca pubblici non può non tener presente l’anomalia che descrive la nostra penisola per impiegare al meglio le risorse e le energie. L’università, come la scuola e la ricerca, la sanità e la previdenza sociale, la giustizia e la sicurezza del cittadino, il governo del territorio e l’ambiente, deve rimanere pubblica e messa al servizio del cittadino per risolvere le differenze, le diseguaglianze, le disparità e poter finalmente offrire a tutti i giovani di questo Paese pari opportunità. D’altro canto, solo se riuscirà a risolvere le difficoltà del proprio Mezzogiorno l’Italia potrà continuare ad esercitare un ruolo importante a livello internazionale ed a rimanere competitiva sui versanti sia economici sia culturali. 4.1 Una faglia: Nord - Sud. Nel luglio 2009, le graduatorie stilate dal Ministero hanno portato alla luce numerose “anomalie” e molteplici caratteristiche dei nostri atenei. All’’università di Lecce, nella graduatoria del Sole 24 Ore al penultimo posto sulla qualità, la retta media si aggira intorno ai 350 euro l’anno. Al Politecnico di Milano, primo nella stessa graduatoria, uno studente paga mediamente quattro volte di più. E’ evidente che, senza nemmeno dover accennare a rette da 40 mila euro annui delle università americane, quella investita a Lecce è una cifra superiore di soli 150 euro rispetto a quanto una famiglia spende per mandare un figlio al liceo.
  • 23. Fra il Politecnico di Milano e l’università di Lecce, estremi nel nostro Paese, si collocano tutti gli altri atenei pubblici italiani. E più si scende a Sud più le rette diminuiscono. Calano, a causa di un minor reddito medio delle famiglie e, contestualmente, in relazione all’esenzione totale o parziale cui hanno diritto gli studenti. Ma anche per una precisa scelta politica volta a formulare un “do ut des” così formulato: lo Stato offre poco ma in cambio chiede poco. Ma il danno prodotto agli stessi atenei appare evidente e rilevante. Infatti, le 18 università delle regioni inserite all’Obiettivo 1 in Europa (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia, Molise), dove il Pil pro capite è inferiore al 75 per cento della media Ue hanno ricevuto, per questioni legate al reddito, nel solo 2006 circa 229 milioni di euro in meno rispetto a quelle del Centro - Nord. Se si considera che il taglio di 700 milioni di euro previsto per il 2010 dalla Finanziaria del 2008 rischia di portare al collasso il nostro sistema universitario appare evidente l’entità della somma inutilizzabile per i nostri atenei. I dati raccolti dal Cnvsu (Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario) parlano chiaro: la tassa compresa tra i 1.000 e i 1.500 euro l’anno negli atenei del Nord è quella più comune (33,9 per cento). Succede anche al Centro (21,5%). Nelle università del Sud invece troviamo in questa fascia solo il 7,4% degli iscritti. Nelle università del Sud la fascia di tasse in cui si concentra il maggior numero di studenti è quella compresa fra i 300 e i 400 euro (20,4%). Nel Nord a pagare quel tipo di contributo è solo il 3,4%, il 5,8% al Centro. Da questi dati si percepisce la forte differenza di contribuzione tra Nord e Sud, sebbene non si tenga conto del fatto che il fenomeno della “migrazione” per motivi di studio investe in pieno il Mezzogiorno drenando verso le università centrosettentrionali ingenti capitali 1. Esaminando i dati del Cnvsu sugli esoneri dalle tasse universitarie divisi per macroaree geografiche sembra che i risultati non cambino. Il 18% degli iscritti in corso gode di un esonero totale mentre il 19,5% ha diritto a un esonero parziale. Nel Nord - Est il dato si ferma rispettivamente un 15,4% e un 8,3%. Nel Nord - Ovest si registra un 12% e un 3,5%. I dati hanno suggerito molti interrogativi fra gli statistici e, sebbene il Sud sia certamente penalizzato rispetto al Nord e al Centro da un minor reddito delle famiglie, tuttavia è sembrato mettere in discussione la veridicità delle dichiarazioni al fisco. Nel mese di luglio 2009 in un articolo di giornale de La Repubblica si domandava, a riguardo, se fosse “possibile che figli di operai e di impiegati con stipendi bassi non rientrino nei requisiti necessari per godere delle provvidenze per il diritto allo studio, mentre figli di professionisti con redditi meno accertabili riescono a farvi ricorso?” L’Università della Calabria (l’unica del Sud che aderisce al gruppo Aquis, ovvero 11 atenei che si battono per la qualità), ateneo con tassazione media di circa 600 euro su un reddito medio di 18 mila euro, ogni anno esonera completamente dal pagamento delle tasse 8.000 studenti su 35 mila. E le compensazioni da parte dello Stato non sono mai arrivate. 1 A questo proposito si vedano i paragrafi 0.3 L’università e la ricerca a sostegno dell’unità del Paese e 1.2 Il riequilibrio Nord – Sud ed il Nono Rapporto sullo Stato dell’università presentato nel dicembre 2008 dal CNVSU (2008: 15).
  • 24. Qui i dati non riescono ad evidenziare la grandissima fuoriuscita di neo immatricolati verso le università del Centro e del Nord Italia, ma appare abbastanza elementare associare la forte migrazione esistente all’abbassamento dei livelli economici di chi resta in Calabria. Di fatto, quindi, il combinato disposto di evasione e migrazione dei giovani con redditi familiari più elevati comporta un pauroso impoverimento delle università pubbliche meridionali e dell’intero sistema economico di quelle regioni a favore di un arricchimento degli atenei centrosettentrionali e delle economie delle città e delle regioni ospitanti.
  • 25. 5. L’UNIVERSITA’ E LA FIDUCIA NEL FUTURO. L'uomo che seppe la guerra e lotte degli uomini, imparò dal fascino della notte il chiarore del giorno. Rocco Scotellaro 5.0 Introduzione. E’ una sensazione diffusa. Forse uno stato d’animo devastante come lo sconforto che ha colpito un’intera generazione. Forse l’incapacità di sognare e di sognarsi. Forse è il frutto di un paese “bloccato”, che non offre prospettive, non valuta meriti e competenze, passioni e dedizione. Il risultato, però, è che i giovani italiani sono sempre più convinti che l’università non sia in grado di offrire le competenze necessarie per il mercato del lavoro e ci si laurea nei nostri atenei senza nutrire grande speranza per il futuro. Questo senso di smarrimento è più diffuso in Italia rispetto ai coetanei del resto d’Europa, tuttavia neanche loro sono troppo sereni. E un ulteriore tassello riguarda la convinzione di non riuscire a costruire in tempi “decenti” la propria autonomia economica e sociale dalla famiglia d’origine. 5.1 Le aspettative. L’88 per cento degli studenti ha preoccupazioni per la carriera che li aspetta. Solo il 9,2 per cento per cento guarda con tranquillità al futuro. In Europa lo stato d’animo dei giovani italiani non ha pari. Solo i giovani spagnoli conservano meno sprazzi di fiducia (7,2 per cento). La media europea conta un 32,6 per cento di ottimisti, con picchi fra i norvegesi (61,9 per cento) e gli olandesi (61,2 per cento). Trascurando i paesi del Nord Europa, quasi sempre con indicatori migliori dei nostri, è vero che anche in Germania (46,6 per cento), Francia (37,3 per cento) e Regno Unito (19,5 per cento) le aspettative dei giovani sono migliori di quelle dei coetanei italiani. 5.2 Le riforme. Incompiute. Nell’ultimo decennio molte sono state le teorie e le formulazioni, spesso neppure portate a termine, che hanno guidato l’agire dei governi che si sono succeduti circa il nostro sistema universitario. Certamente, non hanno trovato il gradimento dei giovani visto che il 39,4 per cento degli studenti pensa che i corsi di studio non siano in grado di fornirgli gli “skill” richiesti dal mercato del lavoro. In Europa la media dei giovani che ha la stessa opinione sul proprio apprendimento universitario è del 27,2 per cento e, in taluni paesi le convinzioni degli studenti sono quasi rovesciate rispetto alla
  • 26. situazione italiana. Il 71 per cento dei giovani francesi ritiene che le lezioni universitarie abbiano offerto loro gli strumenti necessari per affrontare il lavoro. In Olanda il dato sale al 74,1 per cento, in Norvegia l’83,4 per cento. Solo gli spagnoli, unici in Europa, offrono una valutazione, negativa, simile a quella dei nostri studenti. 5.3 La mobilità. La fotografia che nei paragrafi precedenti i dati fanno dell’Italia e dell’Europa, offrono uno spaccato delle preoccupazioni e delle croniche deficienze che gli studenti universitari affrontano ogni giorno. Malgrado ciò, però, e nonostante in tanti abbiano deciso di lasciare l’Italia per trovare un degno sbocco professionale, rimane ancora elevato il numero di neolaureati che non sono disposti a muoversi. Un dato più elevato rispetto a quello delle media europea. Uno su cinque si dice non disponibile a trasferirsi in altra nazione anche nel caso in cui ricevesse un’offerta di lavoro interessante. Lo stesso atteggiamento lo hanno solo il 12,2% dei giovani europei. Addirittura la percentuale risulta più bassa in Germania (8,6 per cento), Francia (5,3 per cento), Spagna (7,2 per cento) e Regno Unito (6,8 per cento). All’opposto, però, risulta interessante il dato che vuole più di quattro italiani su dieci disponibili a muoversi in ogni parte del mondo e il 22 per cento si dice pronto ad andare in qualsiasi nazione europea. Risposte alle domanda: “Immagina di ricevere un’offerta di lavoro interessante. Fino dove sei disposto a trasferirti?” Risposte Nazione Mondo Europa Nazione Non disposto Austria 50,5 24,2 12,9 12,4 Belgio 42,6 21,9 21,7 13,8 Repubblica Ceca 27,0 28,9 22,9 21,2 Danimarca 53,3 16,4 24,0 6,3 Finlandia 43,5 19,9 17,7 18,9 Francia 67,5 15,9 11,3 5,3 Germania 47,2 18,9 25,2 8,6 Grecia 39,7 34,8 13,5 12,1 Ungheria 35,3 30,8 17,7 16,2 Irlanda 58,1 14,1 21,7 6,1 ITALIA 41,9 22,0 16,1 20,0
  • 27. Olanda 48,7 12,6 20,6 18,1 Norvegia 50,5 15,6 11,7 22,2 Polonia 29,9 23,4 29,6 17,1 Portogallo 61,7 23,4 12,2 2,6 Spagna 52,2 17,4 23,2 7,2 Svezia 61,9 15,1 15,1 7,9 Svizzera 53,9 13,7 18,7 13,7 Regno Unito 57,7 12,8 22,6 6,8 MEDIA EUROPEA 47,6 20,4 19,9 12,2 Fonte: Trendence Institut, Berlino (su 196 mila studenti in 750 università europee). 5.4 I tempi. I tempi per trovare il primo impiego e per avere accesso alla prima occasione di lavoro sono oggetto della valutazione degli studenti e dei neolaureati. In Europa gli universitari programmano un’attesa media di poco superiore ai quattro mesi. In Italia, invece, la percezione dei giovani, è di quasi sei: più che in qualunque altra nazione. In Norvegia bastano 2,9 mesi, in Francia e in Olanda (3,3), ovvero circa la metà dell’Italia. Poco di più, ma meno che da noi, ce ne vuole in Spagna (4,3 mesi) e Regno Unito (5,3 mesi). 5.5 Gli stipendi. Altro tema centrale riguarda lo stipendio che, in caso di lavoro magari a tempo determinato, probabilmente non sarà eccezionale. Certamente sottodimensionato rispetto alle aspettative. La retribuzione che si aspettano i laureati italiani comporta una retribuzione lorda annua pari a 19.127 euro. Anche su questo tema siamo lontani dalla media europea che si aggira intorno ai 23.967 euro annui. I valori più alti si registrano in Danimarca (49.151 euro), Germania (40.689 euro), Norvegia (43.524 euro) e Svizzera (49.921 euro). Risposte alle domanda: “Quanto ti aspetti di guadagnare in un anno nel tuo primo impiego?” Risposte Nazione euro
  • 28. Austria 32.823 Belgio 25.664 Repubblica Ceca 12.893 Danimarca 49.151 Finlandia 29.293 Francia 34.486 Germania 40.689 Grecia 14.729 Ungheria 10.961 Irlanda 28.338 ITALIA 19.127 Olanda 28.911 Norvegia 43.524 Polonia 9.345 Portogallo 14.109 Spagna 18.286 Svezia 30.578 Svizzera 49.921 Regno Unito 30.819 MEDIA EUROPEA 23.967 Fonte: Trendence Institut, Berlino (su 196 mila studenti in 750 università europee).
  • 29. 6. IL CORAGGIO CHE MANCA. 1 Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti. Winston Churchill 6.0 Introduzione. La proposta di legge del Pd per la riforma dell'università non affronta le questioni cruciali che davvero permetterebbero il suo rilancio. Poche righe sui dottorati di ricerca, senza alcun incentivo a reali sinergie tra atenei. E pochi soldi per le borse di studio di merito. Molto spazio invece è dedicato ai concorsi. I ricercatori cambiano il nome, ma non lo stipendio. Di nuovo c'è l'istituzionalizzazione del doppio binario per il passaggio alle fasce superiori della docenza. Si poteva osare qualcosa di più, magari guardando ai paesi all'avanguardia nella ricerca. Il 22 maggio 2009 è stata resa pubblica una bozza di proposta di legge del Partito Democratico sull’università. Una prima lettura del testo, ambiziosamente intitolato “interventi per il rilancio e la riorganizzazione delle università”, sembra un po’ “di braccino corto”, più condizionato dalle solite prudenze di ispirazione sindacale che dalla reale volontà di innovare. Di seguito riportiamo quattro esempi, tra i vari possibili. 6.1 Dottorati, lauree e borse di studio. Senza dottorati di ricerca di alto livello internazionale non ci può essere rilancio dell’università italiana. Alla cruciale questione dei dottorati, la proposta Pd dedica poche righe: sono volte a introdurre incentivi fiscali e contributivi all’assunzione dei dottori da parte del settore privato. Nessun incentivo, invece, per le iniziative dirette a creare reali sinergie tra atenei in questo campo. Inoltre, si continua ad affidare l’organizzazione dei dottorati al volontariato dei docenti, e si lascia che un dottorato possa essere avviato da qualsiasi facoltà di qualsiasi università, per quanto dequalificata o priva di strutture idonee alla ricerca dei dottorandi. Ma dire che le facoltà cui si danno soldi per i dottorati vengono selezionate sulla base della loro performance nel campo della ricerca scientifica deve essere stato considerato eversivo dell’ordine costituito! 4 Il testo è tratto da un articolo di Andrea Boitani, Manca il coraggio all’università del PD, pubblicato il 22.07.2009 su lavoce.info.
  • 30. Le università italiane sono le uniche in Europa che consentono di laurearsi anche dopo venti anni, ripetere gli esami un numero infinito di volte, con appelli spesso mensili. La conseguenza è che gli studenti universitari italiani hanno il più basso tasso di completamento degli studi in Europa, anche se aumentato un po’ dopo l’introduzione della “laurea breve”, cioè triennale. E ancora troppi completano il corso di studi dopo tantissimi anni e solo per prendere il famoso “pezzo di carta”. Per cambiare tutto questo nella proposta Pd non c’è una sola parola. Ma se questo andazzo italiano non viene cambiato una volta per tutte, l’università non può essere rilanciata, anzi, l’università non può essere tale. Finalmente si prevede l’istituzione di borse nazionali di merito per il diritto allo studio. Naturalmente la procedura di accesso è farraginosa quanto basta; ma la cosa più sconcertante è lo stanziamento: 100 milioni di euro per 10 mila borse di studio da 10 mila euro l’una per tre anni. Se si voleva dare un segnale forte, bisognava prevedere uno stanziamento ben più consistente, data la popolazione universitaria italiana. Va bene la responsabilità finanziaria, ma, si può anche alzare un po' il tiro. 6.2 I ricercatori e la riforma. La riforma dei concorsi occupa la maggior parte del testo. I ricercatori cambiano nome e diventano professori di terza fascia, ma non cambiano stipendio (nelle consuete more di una revisione generale dello “stato giuridico”), né cambia il fatto che la tenure è praticamente garantita anche per la terza fascia. La cosa nuova è l’istituzionalizzazione del doppio binario per il passaggio alle fasce superiori della docenza. Il primo binario è la “promozione”, riservata agli avanzamenti di carriera interni all’ateneo, anche se con la “foglia di fico” di una valutazione “che si avvarrà di giudizi forniti da esperti italiani e stranieri esterni all’ateneo”. Il secondo binario è il “reclutamento”, riservato a “coloro che non siano in servizio presso l’università che ha emanato il bando”. Unico vincolo: i bandi per promozioni possono arrivare a essere il doppio di quelli per reclutamento dell’anno precedente. Se non si recluta nessuno dall’esterno non si può promuovere neanche un interno. Siamo sicuri che questo vincolo basti a superare la deriva localistica e familistica dell’università italiana? Non si prevede alcuna differenza di status e di stipendio tra coloro che seguono il percorso interno e coloro che superano un ben più selettivo concorso internazionale. Non si prevede nessuna tenure track per professori di secondo livello. Aspiranti alla promozione e al reclutamento devono aver ottenuto l’“abilitazione” nazionale, cioè essere entrati in una lista aperta di docenti giudicati “abili” da una commissione che resta in carica tre anni. Senza vincoli numerici, chi se la sentirà di escludere Tizio o Caio dalla lista? Visto che si stava mettendo mano a una riforma, per di più dall’opposizione, non si poteva osare qualcosa di più, magari guardando alle best practices dei paesi all’avanguardia nel settore della ricerca e dell’istruzione superiore? Il disegno di legge del Pd sembra, nella sua forma attuale, il tentativo di contrapporre qualcosa, purchessia, ai tuttora non pienamente svelati disegni del governo più che un vero tentativo di riformare profondamente e coraggiosamente l’università italiana.
  • 31.
  • 32. 7. IL TALENTO PREMIATO. 1 Ho dovuto studiare la politica e la guerra in modo che i miei figli possano studiare la matematica e la filosofia. John Adams 7.0 Introduzione. Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo. Dunque, per permettere al sistema universitario italiano di aprirsi verso l'esterno, reclutare i migliori cervelli internazionali e trattenere quelli italiani è necessario un deciso innalzamento delle retribuzioni di ricercatori e professori. Il confronto tra carriere analoghe negli Stati Uniti e in Italia mostra l'entità della perdita per chi resta nel nostro paese. Ma il ruolo di ingresso non può più rappresentare per tutti un'assunzione a tempo indeterminato. Cosa serve per curare i mali dell’università italiana? È opinione condivisa che ancorare una parte non marginale delle risorse economiche distribuite agli atenei ai risultati della ricerca sarebbe un passo importante per creare un sistema di incentivi in grado di promuovere il merito e le effettive capacità di ricerca di chi è avviato alla carriera accademica. 7.1 Confronto Italia – Usa. Si tratta di una posizione ampiamente condivisibile. Tuttavia, per riuscire a reclutare i talenti della ricerca, italiani o stranieri che siano, occorrerà intervenire anche su un altro aspetto: rendere più concorrenziali i profili retributivi offerti dalla carriera accademica in Italia. Per tutti i primi venti anni di carriera, sono infatti nettamente inferiori ai valori di riferimento del mondo accademico internazionale. Per rendersene conto, basta fare un confronto con le retribuzioni dei docenti statunitensi. Il confronto con gli Stati Uniti è indicativo per due ragioni. Primo, le retribuzioni delle istituzioni universitarie statunitensi con dottorati di ricerca orientano i profili retributivi di tutti i principali istituti internazionali che ambiscono a reclutare buoni talenti sul mercato internazionale. Secondo, l’American Association of University Professors pubblica ogni anno un rapporto completo sui profili retributivi dei docenti universitari, con dati che, se si escludono dal computo del salario lordo annuo tutti i pagamenti per i benefit relativi, ad esempio, a fondo pensione, social security, unemployment, assicurazione sanitaria, sono ben confrontabili con i dati italiani sullo stipendio lordo annuo, al netto dei contributi previdenziali versati all’Inps dagli atenei. Naturalmente, è necessario prestare attenzione a due elementi. Primo, la progressione degli stipendi dei docenti statunitensi per anni di anzianità è minima per gli Assistant Professors ed è piuttosto limitata per gli 4 Il testo è tratto da un articolo di Daniele Brandonio, Il talento premiato dallo stipendio, pubblicato il 30.07.2009 su lavoce.info.
  • 33. Associate Professors e i Full Professors e in ogni caso è sempre legata a una verifica dei risultati della produzione scientifica e della qualità della didattica. Secondo, a parità di ruolo e anzianità, la variabilità delle retribuzioni dei docenti statunitensi è piuttosto elevata e dipende dal tipo di università (prestigio dell’istituzione e distinzione tra università pubblica e privata) e soprattutto dall’ambito disciplinare. I settori dove il reclutamento è più esposto alla concorrenza del mercato, come ad esempio business administration and management, law and legal studies, computer and infomation science, economics, e engineering, a parità di ruolo e istituzione universitaria, hanno retribuzioni più alte rispetto a letteratura inglese da un minimo del 44 per cento a un massimo del 101 per cento, secondo i dati 2005/06 contenuti nel rapporto 2007 dell’American Association of University Professors. Tabella 1: Le retribuzioni dei docenti statunitensi (a.a. 2007/08, 241 atenei con dottorati di ricerca) Full Prof. Associate Prof. Assistant Prof. (€ p.p.p) (€ p.p.p) (€ p.p.p) 95 perc 142909 92398 78605 90 perc 126185 86105 73172 80 perc 114858 80804 68303 70 perc 107536 76564 65033 60 perc 104279 73584 62123 50 perc 99287 70759 60350 40 perc 93415 68205 57873 30 perc 88605 65080 55698 20 perc 83437 62552 53735 10 perc 77151 59756 51006 Fonte. Survey AAUP, anno accademico 2007/08. Parità potere acquisto: Usd/Eur = 1,11 Retribuzioni lorde annue in € al netto dei benefit, assicurazioni sanitarie e contributi previdenziali. Numero atenei: 241. Numero docenti: 178584
  • 34. Tabella 2: Le retribuzioni dei docenti italiani (situazione all’1/1/2008) Anzianità di servizio Professore ordinario Professore associato Ricercatore in anni 0 (non conf.) 53133 40217 22561(*) 3 56235 42389 34748 5 60469 45378 36272 7 63473 47511 38398 9 67707 50510 39922 11 70710 52643 42048 13 74944 55637 44175 15 79178 58632 45866 17 82512 60999 47557 19 85847 63367 49249 21 89181 65735 50940 23 92515 68103 52631 25 95850 70471 54323 27 99184 72839 56014 29 75207 57705 31 77574 58748 33 59791 35 60384 Fonte: Cun sede di Bari (prof. Alberto Paglierini). (*) Lo scatto retributivo è dopo 1 anno anziché 3. Retribuzioni lorde annue in € al netto dei contributi Inps versati dagli atenei.
  • 35. Nella tabella 3, è illustrato il differenziale retributivo Stati Uniti - Italia, a parità di potere d’acquisto, seguendo un tipico profilo di avanzamento di carriera di un giovane talentuoso assistant professor assunto in regime di tenure-track, a cui è fatto corrispondere un analogo avanzamento di carriera nel sistema universitario italiano, partendo dal ruolo di ricercatore non confermato per finire con il ruolo di professore ordinario. Per gli Stati Uniti il livello retributivo indicato è quello medio per ruolo dei 178.584 docenti con tenure-track presenti in 241 atenei con corsi di dottorato. Tale valore è di poco superiore alla mediana della distribuzione di tabella 1 e, per i settori maggiormente esposti alla concorrenza internazionale, rappresenta un dato piuttosto prudenziale, visto che, con tutta probabilità, la distribuzione delle retribuzioni occupa interamente solo i decili più elevati di tabella 1. Tabella 3: Il profilo delle retribuzioni nei primi 20 anni di carriera (Stati Uniti vs Italia) Anzianità in servizio Posizione Retr. Annua USA (€ p.p.p) Posizione Retr. Annua Italia (€) % ITA /USA Ingresso Assist. prof. 61362 Ric. non conf. 22561 36,77% (1° anno) 2°-3° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 34478 56,19% 4°-5° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 36272 59,11% 6° anno Assist. prof. 61362 Ricerc. 40217 65,54% 7°-8° anno Assoc. prof. 72111 Assoc. non conf. 40833 56,63% 9° anno Assoc. prof. 72111 Assoc. n.c. 42389 58,78% 10°-11° anno Assoc. prof. 72111 Assoc 47511 65,89% 12° anno Assoc. prof. 72111 Assoc 50510 70,04% 13°-14° anno Full prof. 106706 Prof. Straord 53133 49,79% 15° anno Full prof. 106706 Prof. Straord 53999 50,61% 16° anno Full prof. 106706 Ord 67707 63,45% 17°-18° anno Full prof. 106706 Ord 70710 66,27% 19°-20° anno Full prof. 106706 Ord 74944 70,23% Retribuzioni lorde annue in € (parità potere acquisto: Usd/Eur=1,11), a.a. 2007/08 Usa, 1/1/2008 Italia, esclusi benefit, assicurazioni sanitarie, contributi pensionistici.
  • 36. Dati Usa pari alla retribuzione media per ruolo (241 atenei con dottorati). Dati Italia inclusivi del computo relativo alla ricostruzione di carriera. I dati della tabella 3 evidenziano un gap delle retribuzioni italiane rispetto a quelle statunitensi pari a oltre 576mila euro come valore attualizzato dei flussi dei primi venti anni di carriera (una differenza del - 40,2 per cento rispetto al flusso delle retribuzioni medie statunitensi). 7.2 Reclutare i migliori. Se si vuole effettivamente offrire una opportunità al sistema universitario italiano di aprirsi verso l’esterno e reclutare anche buoni talenti internazionali (e trattenere i migliori tra gli italiani) è perciò necessario, per molti settori di ricerca, un deciso innalzamento del profilo retributivo non solo dei ricercatori, ma anche dei livelli di ingresso dei ruoli di associato e di ordinario. Gli attuali profili retributivi dei ricercatori e gli ostacoli alle promozioni ai ruoli successivi attraverso un sostanziale rallentamento della cadenza delle procedure di valutazione e il blocco del turn-over, appaiono invece la ricetta sicura per perpetuare il continuo e progressivo allontanamento dall’accademia italiana dei migliori talenti. Premiare il merito significa anche retribuirlo in modo congruo: occorre dunque dare tempi certi per il passaggio dei ricercatori meritevoli al ruolo di professore associato e poi ordinario e innalzare in modo deciso la retribuzione media d’ingresso in modo che risulti adeguata rispetto all’investimento in capitale umano richiesto per acquisire capacità di ricerca e didattica d’eccellenza. E va abbandonata l’anomalia italiana di un ruolo d’ingresso che, superato un solo primo triennio di verifica, rappresenta per tutti un’assunzione a tempo indeterminato. Nei sistemi accademici di eccellenza il percorso di carriera standard è invece sempre più di tipo tenure-track con retribuzioni di ingresso molto più elevate in tutti i ruoli, ma con la possibilità di impiego a tempo indeterminato solo per chi è stato effettivamente in grado di produrre una meritevole attività di ricerca e una buona qualità della didattica dopo un prolungato periodo di prova di sei - otto anni come assistant professor.
  • 37. 7.3 A chi il FFO. Proponiamo la trascrizione dei criteri utilizzati dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e delle Ricerca, per ripartire una quota (destinata a crescere nel tempo) del Fondo ordinario per le università 2009. Il documento è pubblico, ma sino ad ora non è stato divulgato su di un sito accessibile a tutti. Riteniamo che renderlo pubblico sia necessario per promuovere un confronto sull'argomento. Sarebbe utile che il ministero pubblicasse le tabelle riassuntive e di confronto per tutte le università. Art. 5, commi 3 e 8, Legge 24 Dicembre 1993, n. 537. 3. Nel fondo per il finanziamento ordinario delle università sono comprese una quota base, da ripartirsi tra le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute direttamente dallo stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartirsi sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il consiglio universitario nazionale e la conferenza permanente dei rettori, relativi a standard dei costi di produzione per studente e agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali. 8. A partire dal 1995, la quota base per il fondo di finanziamento ordinario delle università sarà progressivamente ridotta e la quota di riequilibrio dello stesso fondo sarà aumentata almeno di pari importo. La quota di riequilibrio concorre al finanziamento a regime delle iniziative realizzate in conformità ai piani di sviluppo. Il riparto della quota di riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali nei costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari ed al riallineamento delle risorse erogate tra le aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli standard europei. Art. 2, commi 428 e 429, Legge 24 Dicembre 2007, n. 244. 428. Ai fini del concorso dello Stato agli oneri lordi per gli adeguamenti retributivi per il personale docente e per i rinnovi contrattuali del restante personale delle università, nonchè in vista degli interventi da adottare in materia di diritto allo studio, di edilizia universitaria e per altre iniziative necessarie inerenti il sistema delle università, nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca è istituito un fondo con una dotazione finanziaria di 550 milioni di euro per l'anno 2008, di 550 milioni di euro per l'anno 2009 e di 550 milioni di euro per l'anno 2010, comprensiva degli importi indicati all'articolo 3, commi 140 e 146, della presente legge. Tale somma è destinata ad aumentare il Fondo di finanziamento ordinario per le università (FFO), per far fronte alle prevalenti spese per il personale e, per la parte residua, ad altre esigenze di spesa corrente e d'investimento individuate autonomamente dagli atenei. 429. L'assegnazione delle risorse di cui al comma 428 è subordinata all'adozione entro gennaio 2008 di un piano programmatico, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Tale piano è volto a: a) elevare la qualità globale del sistema universitario e il livello di efficienza degli atenei; b) rafforzare i meccanismi di incentivazione per un uso appropriato ed efficace delle risorse, con contenimento dei costi di personale a vantaggio della ricerca e della didattica; c) accelerare il riequilibrio finanziario tra gli atenei sulla base di parametri vincolanti, di valutazioni realistiche e uniformi dei costi futuri e, in caso di superamento del limite del 90 per cento della spesa di personale sul FFO, di disposizioni che rendano effettivo il vincolo delle assunzioni di ruolo limitate rispetto alle cessazioni;
  • 38. d) ridefinire il vincolo dell'indebitamento degli atenei considerando, a tal fine, anche quello delle società ed enti da essi controllati; e) consentire una rapida adozione di un sistema programmatorio degli interventi che preveda adeguati strumenti di verifica e monitoraggio da attivare a cura del Ministero dell'università e della ricerca, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la CRUI, e che condizioni l'effettiva erogazione delle maggiori risorse all'adesione formale da parte dei singoli atenei agli obiettivi del piano. Art. 2 Legge 9 Gennaio 2009, n. 1. 1. A decorrere dall'anno 2009, al fine di promuovere e sostenere l'incremento qualitativo delle attività delle università statali e di migliorare l'efficacia e l'efficienza nell'utilizzo delle risorse, una quota non inferiore al 7 per cento del fondo di finanziamento ordinario di cui all'articolo 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, e del fondo straordinario di cui all'articolo 2, comma 428, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con progressivi incrementi negli anni successivi, e' ripartita prendendo in considerazione: a) la qualità dell'offerta formativa e i risultati dei processi formativi; b) la qualità della ricerca scientifica; c) la qualità, l'efficacia e l'efficienza delle sedi didattiche. 2. Le modalità di ripartizione delle risorse di cui al comma l sono definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avente natura non regolamentare, da adottarsi, in prima attuazione, entro il 31 marzo 2009, sentiti il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca e il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario. In sede di prima applicazione, la ripartizione delle risorse di cui al comma 1 e' effettuata senza tener conto del criterio di cui alla lettera c) del medesimo comma. Calcolo del FFO per il 2009. Si parte da una quota base (FFO 2008) che viene abbattuta al 87,29% per tener conto del 7% e "delle obbligazioni precedentemente assunte". A questa si aggiungono le voci che derivano dal c.d. Patto 2008/2010 – 511 milioni di euro - che prevede una quota per aumento costi del personale, una quota di incentivo derivante dalla distanza dal 90% del FFO, una quota derivante dal riequilibrio e altre piccole voci. Infine a questa si aggiunge la quota derivante dalla ripartizione del 7% - altri 523 milioni di euro. A) Quota Base La "quota base" è stata calcolata considerando le assegnazioni disposte nell'anno 2008 in applicazione dei criteri definiti dai D.M. 30 aprile 2008, n. 99 e D.I. 30 aprile 2009. Tale quota è ridotta all' 87,29% per tenere conto dello stanziamento complessivo, al netto del 7% e delle obbligazioni precedentemente assunte o legate ad azioni di sistema previste per legge. Sono state escluse dalla riduzione le Istituzioni che non partecipano al 7% e le Istituzioni speciali.