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LA MUSICA, L’ORIENTALISMO,
L’ORIENTE.
L’IMMAGINARIO SONORO
NELL’OCCIDENTE
E LA MUSICA NELLA CULTURA
ARABO- ISLAMICA.
INDICAZIONI DI METODO
!1
In viaggio da Occidente a
Oriente:
considerazioni su musica e
“mitologia bianca”
!2
!3
• Cari amici / care amiche,
• Intervengo anch'io a gamba tesa nel dibattito in corso su giornalisti e ricercatori italiani a Damasco, Istanbul, Il Cairo e
altrove. Avevo letto anch'io su "Jadaliyya" l'articolo segnalato ieri da Alessia de Luca ("Academic Tourists Sight-Seeing the
Arab Spring"), eppure ho la sensazione che il punto principale non sia stato colto. Mentre "noi" (occidentali) discutiamo con
fervore chi tra noialtri è meglio qualificato a descrivere "loro" (il mondo arabo, il mondo musulmano, l'Altro), "loro" (gli Altri)
desiderebbero essere considerati come "soggetti" di conoscenza, e non solo come "oggetti" di ricerca e analisi.
• Quindi ben vengano tutti i rilievi sugli errori di contenuto e di metodo, le ricostruzioni grossolane, le analisi fantasiose e le
imprecisioni di cui pullulano i resoconti giornalistici e, talvolta, anche gli studi accademici. Ma, a monte, ritengo che il
discrimine più significativo non debba essere tra giornalisti o accademici (ognuno, sia chiaro, fa il suo mestiere), tra generalisti
o specialisti, tra affiliazioni ideologiche e punti di vista (i quali, essendo punti di vista, sono tendenzialmente opinabili).
• Il discrimine più significativo, secondo me, è quello che passa tra chi, più o meno consapevolmente, ritiene che "noi" siamo in
fondo i meglio titolati a capire, analizzare, "ricercare" e descrivere le realtà extraeuropee, e chi ritiene che "gli altri" siano
altrettanto titolati di noi a esprimere le loro narrative e a descrivere se stessi; ipotesi, quest'ultima, che richiederebbe un
profondo, umile ripensamento del "nostro" ruolo, tanto come giornalisti quanto come accademici.
• Con queste considerazioni, penso di aver scontentato tutti, quindi vi ringrazio per l'attenzione e vi auguro una buona settimana.
• Francesco Mazzucotelli
!4
• … verso l’Oriente, l’Occidente parte infatti per riconoscere e ritrovare,
prima che per trovare e conoscere, e lungo il cammino esso dà libero corso
a tutte le sollecitazioni compresse in quel magazzino di desideri ritagliato
per secoli tra le pagine dei libri. Sono quei desideri, quelle immagini, quelle
favole se volete, a guidare i passi di chi si muove verso l’ignoto e verso
l’ignoto ci si muove infatti sapendo già tutto. […] Anche noi popoliamo
infatti le nostre terrae incognitae di immagini, di volta in volta accattivanti e
terrifiche; anche noi abbiamo bisogno di proiettare le nostre favole nel
vuoto conoscitivo, per ridurre il mistero, per attenuare la paura … La storia
di Gianni ci dice molte cose sul modo in cui l’Occidente europeo ha
segnato faticosamente i limiti dell’immaginario. Ma, tra le tante altre cose,
la storia di Gianni ci parla anche di noi (Zaganelli, 1992, 23 e 36)
!5
• Ho serie ragioni per credere che il pianeta da dove veniva il
piccolo principe è l'asteroide B 612. Questo asteroide è
stato visto una sola volta al telescopio da un astronomo
turco. Aveva fatto allora una grande dimostrazione della
sua scoperta a un Congresso Internazionale d'Astronomia.
Ma in costume com'era, nessuno lo aveva preso sul serio. I
grandi sono fatti così. Fortunatamente per la reputazione
dell'asteroide B 612 un dittatore turco impose al suo
popolo, sotto pena di morte, di vestire all'europea.
L'astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un
abito molto elegante. E questa volta tutto il mondo fu con
lui (de Saint-Exupéry, [1943] 1985, 21-22)
!6
• il termine ‘coloniale’per indicare quegli studi concentrati sull’analisi
di prodotti nati dall’esperienza coloniale, narrazioni letterarie,
rappresentazioni iconografiche, costruzioni architettoniche, prodotti
artistici e musicali e quant’altro, e ‘postcoloniale’per quegli studi
che, sulla base di un approccio post-strutturalista, aperto alla
considerazione di una molteplicità di storie possibili per restituire la
totalità della storia, applicano a tali indagini una prospettiva
alternativa a quella ufficiale. In tale accezione, dunque, il prefisso
‘post’va inteso non come successivo al colonialismo, cosa che ne
implicherebbe la cessazione, non sempre effettiva, ma come
‘contestazione del dominio e dell’eredità coloniali’. Seguendo la
definizione di Jorges de Alva, dunque, intendiamo per ‘postcoloniale’
l’adozione di una posizione ‘che si oppone alle pratiche e al discorso
imperialista/colonizzatore’(Abbonizio, 2009, 22-23)
!7
• E’difficile decidere cosa fare di queste permutazioni caricaturali di un libro che, dal punto di vista
del suo autore e degli argomenti che vi sono discussi, è esplicitamente antiessenzialista. Si tratta
infatti di un testo profondamente scettico nei confronti di tutte le etichette categoriche come quelle di
Oriente e Occidente, e fastidiosamente attento a non ‘difendere’, e perfino a non discutere l’Oriente e
l’Islam. ... proprio all’inizio del libro, dico che parole come ‘Oriente’e ‘Occidente’non
corrispondono a nessuna realtà stabile esistente come un fatto naturale e che queste designazioni
geografiche sono una strana combinazione di aspetti empirici e immaginari. [...] Il cardine del
problema, tuttavia, come ci ha insegnato Vico, è che la storia umana è fatta di esseri umani. Dato che
la lotta per il controllo del territorio è parte di questa storia, lo è anche la lotta sui significati storici
e sociali. Il compito dello studioso non consiste nel separare questi due conflitti, ma nel collegarli,
nonostante il contrasto fra la totale materialità del primo e quelle che sembrano le astrazioni del
secondo. [...] Il mio interesse per l’orientalismo in quanto fenomeno culturale ... nasce dalla sua
variabilità e dalla sua imprevedibilità, caratteristiche che conferiscono a scrittori come Massignon e
Burton la loro sorprendente forza, e perfino attrattiva. Ciò che ho cercato di conservare nella mia
analisi dell’orientalismo era il modo in cui al suo interno si combinavano coerenza e incoerenza; il
suo gioco, per così dire, che può essere reso bene solo garantendo a se stessi in quanto scrittori e
critici il diritto a una forza emotiva, il diritto a rimanere commossi, irritati, sorpresi e perfino
deliziati (Said, 1995, 329 e 338)
!8
• Come l’acuta analisi di Ralph Locke dell’interpretazione saidiana
di Aida dimostra, il rapporto tra impero, musica e cultura, opera
all’interno di piani multipli (multiple agendas) che devono
necessariamente andare oltre letture più limitate delle
“composizioni iconiche” nello studio dell’imperialismo,
dell’esotismo o dell’orientalismo nella musica occidentale. Per
comprendere i piani multipli si deve guardare all’orizzonte culturale
del tempo, alle gerarchie politiche e sociali, all’estetica, e alla
mentalità filosofica prevalente, e per comprendere queste si deve
guardare al modo in cui l’impero ha impattato sulle interpretazione
dell’identità culturale e nazionale (Zon, 2007, 2)
!9
• Tuttavia, se parte delle ragioni che motivarono l’orientalismo fu la critica all’Occidente e il suo
atteggiamento verso gli Altri (Hugo scrive che “l’antica barbarie asiatica forse non fu del tutto priva di
uomini superiori come la nostra civiltà desidera far credere”), proprio quel giudizio costituì una
minaccia alla credenza nella supremazia occidentale, che sottoscrisse l’impresa coloniale.
L’idealizzazione dell’Oriente portò con sé prevedibilmente una reazione diffusa che reintrodusse il
dominio occidentale; in particolare in narrazioni in cui l’ uomo occidentale rinuncia a tutte le prerogative
e privilegi e “diventa selvaggio”; ma poi cerca di invertire il processo, ristabilendo il dominio con il pugno
di ferro poiché se lo era fatto sfuggire di mano. Secondo Marianne Torgovnick “la fascinazione
dell’occidente per il primitivo ha a che fare con la sua crisi di identità, con il suo bisogno di demarcare
con chiarezza soggetto e oggetto, anche mentre sta vagheggiando altri modi di esperire l’universo.” La
tensione tra desiderio d’esotismo e paura della sua potenza seduttrice, percorre molti dei prodotti
culturali dell’orientalismo, inclusa Carmen che fu scritta quando la Francia in quanto potenza mondiale
fu sottoposta a particolari umiliazioni. […] Anche la musica ebbe parte nella storia della corrente
orientalista. Dal diciassettesimo secolo in poi, le opere liriche avevano fatto un uso regolare di
ambientazione esotiche, sebbene la musica stessa fosse solo occasionalmente creata per avere un suono
“Orientale.”
!10
• … L’orientalismo musicale dell’Ottocento iniziò immediatamente dopo la Spedizione in Egitto e si tramutò
con grande slancio in un arabismo musicale intorno al 1830 proprio dopo la conquista francese di Algeri. I
temi che contraddistinsero l’orientalismo musicale ed artistico si possono cogliere parimenti nella musica.
Félicien David, per esempio, visitò il Medio Oriente e le sue composizioni riflettono sia le sue impressioni
che gli orientamenti della cultura francese. L’ode sinfonica Le Désert (1844) ritrae carovane, muezzin che
chiamano i fedeli alla preghiera e le onnipresenti danzatrici. Durante la seconda metà del secolo, il gusto per
l’oriente pervase tutta la produzione operistica francese. Nella discussione sull ”esotismo” nel suo La musica
dell’Ottocento Carl Dahlhaus spiega tale tendenza riprendendo acriticamente la convinzione secondo cui le
culture etniche fornirono solamente i materiali grezzi adatti a stimolare una creatività europea oramai
esaurita. Egli scrive: “l’esotismo offrì ai librettisti dell’opera dell’ottocento una riserva non sfruttata di
materiale che letteralmente gridava di essere sfruttata (corsivo mio). Tra le opere che ebbero origine
dall’impiego di questo ipotetico sfruttamento sollecitato, troviamo La Reine de Saba (1862) di Gounod,
Samson et Dalila (1877) di Saint Saëns, Lakmé (1883) di Delibes e Thaïs (1894) di Massenet. Persino
la musica strumentale assecondò la moda, come Istar (1912) di d’Indy, un insieme di variazioni che inizia
con la versione più estrosa e toglie velo dopo velo fino a quando il tema stesso, identificato con la dea Istar, si
rivela in tutta la sua magnifica nudità (McClary, 1992, 39-40)
!11
• Per me ... la nozione di un rapporto intimo tra la musica e la società non funziona
come un obiettivo lontano, ma come punto di partenza di grande immediatezza, e
non come ipotesi ma come un presupposto. Funziona come un’idea di un rapporto
che a sua volta, consente l'esame di tale rapporto da molti punti di vista e la sua
esplorazione in molte direzioni. Si tratta di un'idea che genera studi, il cui obiettivo
(o almeno un obiettivo importante dei quali) è quello di articolare qualcosa di
essenziale sul perché ogni musica particolare è particolare in quel modo ovvero, per
giungere alla comprensione del carattere della sua identità (Subotnik, 1987, 105)
!12
• da un punto di vista epistemologico, le teorie socio-culturali della musica hanno attinto (in
maniera più o modo meno formale) ai discorsi su diversità e differenza del diciottesimo e
diciannovesimo secolo: alcune hanno riproposto (anche se in modo leggermente modificato)
argomentazioni sviluppate durante l’Età dei Lumi, mentre altre ne sono (più o meno
completamente) rifuggite. [...] Ma non si può ragionare dell’Europa del XVIII secolo senza
riconoscere anche la crescente supremazia della ragione e l’influenza di una visione
scientifica del mondo sui modelli di organizzazione sociale e sulle metodologie conoscitive. In
effetti, l’interesse per il mondo e le musiche esotiche è osservabile nella letteratura musicale
occidentale del XVIII secolo, emerso in un momento in cui le teorie musicali ‘scientifiche’,
come quella di Rameau, stavano guadagnando prestigio e influenza. I risultati teorici che
questo interesse per il ‘mondo’ha ispirato hanno messo alla prova queste visioni scientifiche:
minando il presupposto che la musica fosse rigorosamente una questione di ordine
autonomamente inteso, di strutture sonore, di corrispondenze matematiche e di proprietà
acustiche, hanno affermato che era anche, se non soprattutto, una questione di norme e di
valori, di società e di culture (Grenier, 1989, 126-127)
!13
• Le scienze sociali non sono venute a patti con la problematica della
differenza accidentalmente ma, in larga misura, perché la struttura
sociale della realtà della quale intendono dar conto e che vogliono
spiegare è di per sé un processo complesso di differenziazione. La
musica è profondamente coinvolta in questo processo, il suo studio può
così contribuire a una più accurata comprensione delle realtà
contrastanti che noi strutturiamo e delle diverse modalità della loro
strutturazione. Ma questo richiede nuovi modi per affrontare la
differenza che si liberino dalla ‘logica delle categorie’ e dal sistema
binario su cui essa si fonda (Grenier, 1989, 138)
!14
• Nell’universalità della ratio occidentale, c’è questa distinzione che è
l’Oriente: l’Oriente pensato come l’origine, sognato come il punto
vertiginoso da dove nascono le nostalgie e le promesse di ritorno,
l’Oriente offerto alla ragione colonizzatrice dell’Occidente, ma
indefinitamente inaccessibile, poiché resta sempre il limite: la notte
dell’inizio, in cui l’Occidente si è formato, ma nella quale ha tracciato
una linea di separazione, l’Oriente è per l’Occidente tutto quello che
esso non è, mentre resta il luogo dove si deve cercare la sua verità
originaria (Foucault, 1961, iv)
!15
• Qui vi sono come due lati dello specchio, in cui però ciò che è da un
lato non somiglia a ciò che è dall'altro (‘tutto il resto era così diverso
che di più non sarebbe stato possibile...’). Passare dall'altro lato dello
specchio è passare dal rapporto di designazione al rapporto di
espressione senza fermarsi agli intermediari, manifestazione,
significazione. È arrivare in una regione in cui il linguaggio non ha
più rapporto con i designati, ma soltanto con espressi, e cioè con il
senso (Deleuze, 1969, 30-31)
!16
• La realtà, tuttavia, è che il mondo odierno è un mondo di
inegualianze, e gran parte della differenza si riscontra nella divisione
generalizzata tra i popoli dell’Occidente e quelli del non-Occidente.
Che significa ciò per coloro che lavorano all’interno o in opposizione
del potere, includendo istituzioni quali le università, dovunque siano o
qualunque siano? Significa reimparare, ritornare al mondo comune
per ri-educarsi. Un luogo dal quale iniziare potrebbe essere quello
delle indicazioni che si danno ai bambini su come attraversare la
strada: Fermati. Guarda. Ascolta. Soprattutto quest’ultimo termine.
Poiché il postcolonialismo ascolta. (Young, 2009)
!17
• E’ quindi naturale che ogni europeo, nel suo modo di
vedere l’Oriente (in what he could say about the Orient), fosse di
conseguenza razzista, imperialista e profondamente
etnocentrico (Said, 1979, 214).
• Ci si può sforzare di esserlo il meno possibile; anche
perché, “finché i leoni non avranno i loro propri storici, gli
storici della caccia continueranno a glorificare il cacciatore”
(Proverbio africano).
!18
Riferimenti bibliografici
• ABBONIZIO, ISABELLA (2009), Musica e colonialismo nell’italia fascista (1922-1943), tesi dottorato di
ricerca in Storia Scienze e Tecniche della Musica, XXI Ciclo, Univeristà degli Studi di Roma “Tor Vergata”,
(http://dspace.uniroma2.it/dspace/bitstream/2108/1196/1/Tesi_completo_invio_compresso.pdf).
• FOUCAULT, MICHEL (1961), "Preface" a Histoire de la folie, Paris, Plon.
• GRENIER, LINE (1989), “From ‘Diversity’ to ‘Difference’. The case of socio-cultural studies of music”, in
New Formations, 3, 125-142
• MCCLARY, SUSAN (2009), “La Maddalena di Frescobaldi e le rotte del Mediterraneo”, in Anglistica 13, 1,
21-34; una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata sulla rivista Inter-American Music Review,
2007, 17,1-2, 135-44, con il titolo “Mediterranean Trade Routes and Music of the Early Seventeenth Century”.
• SAID, EDWARD W. (1979), Orientalism, New York, Vintage Books; tr. it. Orientalismo, Torino, Bollati
Boringhieri, 1991 (poi Milano, Feltrinelli, 1999 come edizione italiana della seconda edizione statunitense del
1995).
• SAID, EDWARD W. (1994), Representations of the Intellectual, New York, Vintage; tr. it, Dire la verità: gli
intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli, 1995.
• SUBOTNIK, ROSE ROSENGARD (1987), “On grounding Chopin”, in Leppert, Richard D. & Susan
Mcclary (eds.), Music and Society: The Politics of Composition, Performance, and Reception, Cambridge,
Cambridge University Press.
• YOUNG, ROBERT J. C. (1990), White mythologies: writing history and the West, New York, Routledge; tr.
it. Mitologie bianche, Roma, Meltemi, 2007.
• ZAGANELLI, GIOIA (1992), La lettera del Prete Gianni, 2a ed., Parma, Pratiche.
• ZON, BENNET (2007), Representing Non-Western Music in Nineteenth-Century Britain, Rochester,
University of Rochester Press.
19

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  • 2. In viaggio da Occidente a Oriente: considerazioni su musica e “mitologia bianca” !2
  • 3. !3
  • 4. • Cari amici / care amiche, • Intervengo anch'io a gamba tesa nel dibattito in corso su giornalisti e ricercatori italiani a Damasco, Istanbul, Il Cairo e altrove. Avevo letto anch'io su "Jadaliyya" l'articolo segnalato ieri da Alessia de Luca ("Academic Tourists Sight-Seeing the Arab Spring"), eppure ho la sensazione che il punto principale non sia stato colto. Mentre "noi" (occidentali) discutiamo con fervore chi tra noialtri è meglio qualificato a descrivere "loro" (il mondo arabo, il mondo musulmano, l'Altro), "loro" (gli Altri) desiderebbero essere considerati come "soggetti" di conoscenza, e non solo come "oggetti" di ricerca e analisi. • Quindi ben vengano tutti i rilievi sugli errori di contenuto e di metodo, le ricostruzioni grossolane, le analisi fantasiose e le imprecisioni di cui pullulano i resoconti giornalistici e, talvolta, anche gli studi accademici. Ma, a monte, ritengo che il discrimine più significativo non debba essere tra giornalisti o accademici (ognuno, sia chiaro, fa il suo mestiere), tra generalisti o specialisti, tra affiliazioni ideologiche e punti di vista (i quali, essendo punti di vista, sono tendenzialmente opinabili). • Il discrimine più significativo, secondo me, è quello che passa tra chi, più o meno consapevolmente, ritiene che "noi" siamo in fondo i meglio titolati a capire, analizzare, "ricercare" e descrivere le realtà extraeuropee, e chi ritiene che "gli altri" siano altrettanto titolati di noi a esprimere le loro narrative e a descrivere se stessi; ipotesi, quest'ultima, che richiederebbe un profondo, umile ripensamento del "nostro" ruolo, tanto come giornalisti quanto come accademici. • Con queste considerazioni, penso di aver scontentato tutti, quindi vi ringrazio per l'attenzione e vi auguro una buona settimana. • Francesco Mazzucotelli !4
  • 5. • … verso l’Oriente, l’Occidente parte infatti per riconoscere e ritrovare, prima che per trovare e conoscere, e lungo il cammino esso dà libero corso a tutte le sollecitazioni compresse in quel magazzino di desideri ritagliato per secoli tra le pagine dei libri. Sono quei desideri, quelle immagini, quelle favole se volete, a guidare i passi di chi si muove verso l’ignoto e verso l’ignoto ci si muove infatti sapendo già tutto. […] Anche noi popoliamo infatti le nostre terrae incognitae di immagini, di volta in volta accattivanti e terrifiche; anche noi abbiamo bisogno di proiettare le nostre favole nel vuoto conoscitivo, per ridurre il mistero, per attenuare la paura … La storia di Gianni ci dice molte cose sul modo in cui l’Occidente europeo ha segnato faticosamente i limiti dell’immaginario. Ma, tra le tante altre cose, la storia di Gianni ci parla anche di noi (Zaganelli, 1992, 23 e 36) !5
  • 6. • Ho serie ragioni per credere che il pianeta da dove veniva il piccolo principe è l'asteroide B 612. Questo asteroide è stato visto una sola volta al telescopio da un astronomo turco. Aveva fatto allora una grande dimostrazione della sua scoperta a un Congresso Internazionale d'Astronomia. Ma in costume com'era, nessuno lo aveva preso sul serio. I grandi sono fatti così. Fortunatamente per la reputazione dell'asteroide B 612 un dittatore turco impose al suo popolo, sotto pena di morte, di vestire all'europea. L'astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un abito molto elegante. E questa volta tutto il mondo fu con lui (de Saint-Exupéry, [1943] 1985, 21-22) !6
  • 7. • il termine ‘coloniale’per indicare quegli studi concentrati sull’analisi di prodotti nati dall’esperienza coloniale, narrazioni letterarie, rappresentazioni iconografiche, costruzioni architettoniche, prodotti artistici e musicali e quant’altro, e ‘postcoloniale’per quegli studi che, sulla base di un approccio post-strutturalista, aperto alla considerazione di una molteplicità di storie possibili per restituire la totalità della storia, applicano a tali indagini una prospettiva alternativa a quella ufficiale. In tale accezione, dunque, il prefisso ‘post’va inteso non come successivo al colonialismo, cosa che ne implicherebbe la cessazione, non sempre effettiva, ma come ‘contestazione del dominio e dell’eredità coloniali’. Seguendo la definizione di Jorges de Alva, dunque, intendiamo per ‘postcoloniale’ l’adozione di una posizione ‘che si oppone alle pratiche e al discorso imperialista/colonizzatore’(Abbonizio, 2009, 22-23) !7
  • 8. • E’difficile decidere cosa fare di queste permutazioni caricaturali di un libro che, dal punto di vista del suo autore e degli argomenti che vi sono discussi, è esplicitamente antiessenzialista. Si tratta infatti di un testo profondamente scettico nei confronti di tutte le etichette categoriche come quelle di Oriente e Occidente, e fastidiosamente attento a non ‘difendere’, e perfino a non discutere l’Oriente e l’Islam. ... proprio all’inizio del libro, dico che parole come ‘Oriente’e ‘Occidente’non corrispondono a nessuna realtà stabile esistente come un fatto naturale e che queste designazioni geografiche sono una strana combinazione di aspetti empirici e immaginari. [...] Il cardine del problema, tuttavia, come ci ha insegnato Vico, è che la storia umana è fatta di esseri umani. Dato che la lotta per il controllo del territorio è parte di questa storia, lo è anche la lotta sui significati storici e sociali. Il compito dello studioso non consiste nel separare questi due conflitti, ma nel collegarli, nonostante il contrasto fra la totale materialità del primo e quelle che sembrano le astrazioni del secondo. [...] Il mio interesse per l’orientalismo in quanto fenomeno culturale ... nasce dalla sua variabilità e dalla sua imprevedibilità, caratteristiche che conferiscono a scrittori come Massignon e Burton la loro sorprendente forza, e perfino attrattiva. Ciò che ho cercato di conservare nella mia analisi dell’orientalismo era il modo in cui al suo interno si combinavano coerenza e incoerenza; il suo gioco, per così dire, che può essere reso bene solo garantendo a se stessi in quanto scrittori e critici il diritto a una forza emotiva, il diritto a rimanere commossi, irritati, sorpresi e perfino deliziati (Said, 1995, 329 e 338) !8
  • 9. • Come l’acuta analisi di Ralph Locke dell’interpretazione saidiana di Aida dimostra, il rapporto tra impero, musica e cultura, opera all’interno di piani multipli (multiple agendas) che devono necessariamente andare oltre letture più limitate delle “composizioni iconiche” nello studio dell’imperialismo, dell’esotismo o dell’orientalismo nella musica occidentale. Per comprendere i piani multipli si deve guardare all’orizzonte culturale del tempo, alle gerarchie politiche e sociali, all’estetica, e alla mentalità filosofica prevalente, e per comprendere queste si deve guardare al modo in cui l’impero ha impattato sulle interpretazione dell’identità culturale e nazionale (Zon, 2007, 2) !9
  • 10. • Tuttavia, se parte delle ragioni che motivarono l’orientalismo fu la critica all’Occidente e il suo atteggiamento verso gli Altri (Hugo scrive che “l’antica barbarie asiatica forse non fu del tutto priva di uomini superiori come la nostra civiltà desidera far credere”), proprio quel giudizio costituì una minaccia alla credenza nella supremazia occidentale, che sottoscrisse l’impresa coloniale. L’idealizzazione dell’Oriente portò con sé prevedibilmente una reazione diffusa che reintrodusse il dominio occidentale; in particolare in narrazioni in cui l’ uomo occidentale rinuncia a tutte le prerogative e privilegi e “diventa selvaggio”; ma poi cerca di invertire il processo, ristabilendo il dominio con il pugno di ferro poiché se lo era fatto sfuggire di mano. Secondo Marianne Torgovnick “la fascinazione dell’occidente per il primitivo ha a che fare con la sua crisi di identità, con il suo bisogno di demarcare con chiarezza soggetto e oggetto, anche mentre sta vagheggiando altri modi di esperire l’universo.” La tensione tra desiderio d’esotismo e paura della sua potenza seduttrice, percorre molti dei prodotti culturali dell’orientalismo, inclusa Carmen che fu scritta quando la Francia in quanto potenza mondiale fu sottoposta a particolari umiliazioni. […] Anche la musica ebbe parte nella storia della corrente orientalista. Dal diciassettesimo secolo in poi, le opere liriche avevano fatto un uso regolare di ambientazione esotiche, sebbene la musica stessa fosse solo occasionalmente creata per avere un suono “Orientale.” !10
  • 11. • … L’orientalismo musicale dell’Ottocento iniziò immediatamente dopo la Spedizione in Egitto e si tramutò con grande slancio in un arabismo musicale intorno al 1830 proprio dopo la conquista francese di Algeri. I temi che contraddistinsero l’orientalismo musicale ed artistico si possono cogliere parimenti nella musica. Félicien David, per esempio, visitò il Medio Oriente e le sue composizioni riflettono sia le sue impressioni che gli orientamenti della cultura francese. L’ode sinfonica Le Désert (1844) ritrae carovane, muezzin che chiamano i fedeli alla preghiera e le onnipresenti danzatrici. Durante la seconda metà del secolo, il gusto per l’oriente pervase tutta la produzione operistica francese. Nella discussione sull ”esotismo” nel suo La musica dell’Ottocento Carl Dahlhaus spiega tale tendenza riprendendo acriticamente la convinzione secondo cui le culture etniche fornirono solamente i materiali grezzi adatti a stimolare una creatività europea oramai esaurita. Egli scrive: “l’esotismo offrì ai librettisti dell’opera dell’ottocento una riserva non sfruttata di materiale che letteralmente gridava di essere sfruttata (corsivo mio). Tra le opere che ebbero origine dall’impiego di questo ipotetico sfruttamento sollecitato, troviamo La Reine de Saba (1862) di Gounod, Samson et Dalila (1877) di Saint Saëns, Lakmé (1883) di Delibes e Thaïs (1894) di Massenet. Persino la musica strumentale assecondò la moda, come Istar (1912) di d’Indy, un insieme di variazioni che inizia con la versione più estrosa e toglie velo dopo velo fino a quando il tema stesso, identificato con la dea Istar, si rivela in tutta la sua magnifica nudità (McClary, 1992, 39-40) !11
  • 12. • Per me ... la nozione di un rapporto intimo tra la musica e la società non funziona come un obiettivo lontano, ma come punto di partenza di grande immediatezza, e non come ipotesi ma come un presupposto. Funziona come un’idea di un rapporto che a sua volta, consente l'esame di tale rapporto da molti punti di vista e la sua esplorazione in molte direzioni. Si tratta di un'idea che genera studi, il cui obiettivo (o almeno un obiettivo importante dei quali) è quello di articolare qualcosa di essenziale sul perché ogni musica particolare è particolare in quel modo ovvero, per giungere alla comprensione del carattere della sua identità (Subotnik, 1987, 105) !12
  • 13. • da un punto di vista epistemologico, le teorie socio-culturali della musica hanno attinto (in maniera più o modo meno formale) ai discorsi su diversità e differenza del diciottesimo e diciannovesimo secolo: alcune hanno riproposto (anche se in modo leggermente modificato) argomentazioni sviluppate durante l’Età dei Lumi, mentre altre ne sono (più o meno completamente) rifuggite. [...] Ma non si può ragionare dell’Europa del XVIII secolo senza riconoscere anche la crescente supremazia della ragione e l’influenza di una visione scientifica del mondo sui modelli di organizzazione sociale e sulle metodologie conoscitive. In effetti, l’interesse per il mondo e le musiche esotiche è osservabile nella letteratura musicale occidentale del XVIII secolo, emerso in un momento in cui le teorie musicali ‘scientifiche’, come quella di Rameau, stavano guadagnando prestigio e influenza. I risultati teorici che questo interesse per il ‘mondo’ha ispirato hanno messo alla prova queste visioni scientifiche: minando il presupposto che la musica fosse rigorosamente una questione di ordine autonomamente inteso, di strutture sonore, di corrispondenze matematiche e di proprietà acustiche, hanno affermato che era anche, se non soprattutto, una questione di norme e di valori, di società e di culture (Grenier, 1989, 126-127) !13
  • 14. • Le scienze sociali non sono venute a patti con la problematica della differenza accidentalmente ma, in larga misura, perché la struttura sociale della realtà della quale intendono dar conto e che vogliono spiegare è di per sé un processo complesso di differenziazione. La musica è profondamente coinvolta in questo processo, il suo studio può così contribuire a una più accurata comprensione delle realtà contrastanti che noi strutturiamo e delle diverse modalità della loro strutturazione. Ma questo richiede nuovi modi per affrontare la differenza che si liberino dalla ‘logica delle categorie’ e dal sistema binario su cui essa si fonda (Grenier, 1989, 138) !14
  • 15. • Nell’universalità della ratio occidentale, c’è questa distinzione che è l’Oriente: l’Oriente pensato come l’origine, sognato come il punto vertiginoso da dove nascono le nostalgie e le promesse di ritorno, l’Oriente offerto alla ragione colonizzatrice dell’Occidente, ma indefinitamente inaccessibile, poiché resta sempre il limite: la notte dell’inizio, in cui l’Occidente si è formato, ma nella quale ha tracciato una linea di separazione, l’Oriente è per l’Occidente tutto quello che esso non è, mentre resta il luogo dove si deve cercare la sua verità originaria (Foucault, 1961, iv) !15
  • 16. • Qui vi sono come due lati dello specchio, in cui però ciò che è da un lato non somiglia a ciò che è dall'altro (‘tutto il resto era così diverso che di più non sarebbe stato possibile...’). Passare dall'altro lato dello specchio è passare dal rapporto di designazione al rapporto di espressione senza fermarsi agli intermediari, manifestazione, significazione. È arrivare in una regione in cui il linguaggio non ha più rapporto con i designati, ma soltanto con espressi, e cioè con il senso (Deleuze, 1969, 30-31) !16
  • 17. • La realtà, tuttavia, è che il mondo odierno è un mondo di inegualianze, e gran parte della differenza si riscontra nella divisione generalizzata tra i popoli dell’Occidente e quelli del non-Occidente. Che significa ciò per coloro che lavorano all’interno o in opposizione del potere, includendo istituzioni quali le università, dovunque siano o qualunque siano? Significa reimparare, ritornare al mondo comune per ri-educarsi. Un luogo dal quale iniziare potrebbe essere quello delle indicazioni che si danno ai bambini su come attraversare la strada: Fermati. Guarda. Ascolta. Soprattutto quest’ultimo termine. Poiché il postcolonialismo ascolta. (Young, 2009) !17
  • 18. • E’ quindi naturale che ogni europeo, nel suo modo di vedere l’Oriente (in what he could say about the Orient), fosse di conseguenza razzista, imperialista e profondamente etnocentrico (Said, 1979, 214). • Ci si può sforzare di esserlo il meno possibile; anche perché, “finché i leoni non avranno i loro propri storici, gli storici della caccia continueranno a glorificare il cacciatore” (Proverbio africano). !18
  • 19. Riferimenti bibliografici • ABBONIZIO, ISABELLA (2009), Musica e colonialismo nell’italia fascista (1922-1943), tesi dottorato di ricerca in Storia Scienze e Tecniche della Musica, XXI Ciclo, Univeristà degli Studi di Roma “Tor Vergata”, (http://dspace.uniroma2.it/dspace/bitstream/2108/1196/1/Tesi_completo_invio_compresso.pdf). • FOUCAULT, MICHEL (1961), "Preface" a Histoire de la folie, Paris, Plon. • GRENIER, LINE (1989), “From ‘Diversity’ to ‘Difference’. The case of socio-cultural studies of music”, in New Formations, 3, 125-142 • MCCLARY, SUSAN (2009), “La Maddalena di Frescobaldi e le rotte del Mediterraneo”, in Anglistica 13, 1, 21-34; una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata sulla rivista Inter-American Music Review, 2007, 17,1-2, 135-44, con il titolo “Mediterranean Trade Routes and Music of the Early Seventeenth Century”. • SAID, EDWARD W. (1979), Orientalism, New York, Vintage Books; tr. it. Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 (poi Milano, Feltrinelli, 1999 come edizione italiana della seconda edizione statunitense del 1995). • SAID, EDWARD W. (1994), Representations of the Intellectual, New York, Vintage; tr. it, Dire la verità: gli intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli, 1995. • SUBOTNIK, ROSE ROSENGARD (1987), “On grounding Chopin”, in Leppert, Richard D. & Susan Mcclary (eds.), Music and Society: The Politics of Composition, Performance, and Reception, Cambridge, Cambridge University Press. • YOUNG, ROBERT J. C. (1990), White mythologies: writing history and the West, New York, Routledge; tr. it. Mitologie bianche, Roma, Meltemi, 2007. • ZAGANELLI, GIOIA (1992), La lettera del Prete Gianni, 2a ed., Parma, Pratiche. • ZON, BENNET (2007), Representing Non-Western Music in Nineteenth-Century Britain, Rochester, University of Rochester Press. 19