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Milano, 22 Luglio 2011

Carissimi, vi invio alcune riflessioni sparse sul percorso del Pd milanese in relazione allo scenario che
abbiamo davanti.

Il governo di Milano non è una sfida facile. Pisapia si sta muovendo bene alle condizioni “ereditate”. Il
bilancio disastroso lasciato dalla Moratti e aggravato dai tagli del governo ci impongono un’ operazione
verità davanti ai milanesi. Il concetto è “cari concittadini, faremo molto in questi anni ma non senza sacrifici
perché i soldi sono davvero pochi”. La scarsità delle risorse dovrà però essere per noi una grande sfida di
innovazione amministrativa e istituzionale. Bisogna sollecitare le migliori energie della città per mobilitare
risorse private al servizio del bene pubblico. Non una forma di neomecenatismo in tempo di crisi ma una
sussidiarietà vera che incroci gli interessi privati con quelli della collettività.

Spesso i giornali dipingono una dialettica tra Pisapia e il Pd che non c’è. Non siamo al governo della città per
negoziare con il sindaco, di volta in volta, linea politica sulle singole questioni e posti di potere. Saremmo
davvero poco ambiziosi se facessimo questo. Il Pd vuole lasciare il segno in questa città. Che vuol dire avere
un’idea chiara dell’agenda su Milano in relazione ai nodi dello sviluppo della città.

Penso a tre grandi blocchi tematici. Innanzitutto la trasformazione urbana della città, attraverso la leva del
PGT e l’EXPO. Su questo stiamo dicendo cose chiare e coerenti con la riflessione che abbiamo portato
avanti nei mesi scorsi: la città deve trasformarsi ma facendo leva sul riuso del costruito, sulle aree verdi, su
una mobilità sostenibile, sull’abbassamento degli indici nelle aree dell’expo, su una perequazione
intelligente e non a beneficio dei soliti interessi immobiliari, su un’idea di città che ragioni della propria
vocazione futura e sulle grandi funzioni pubbliche su cui si vuole investire.

Il secondo tema è quello dello sviluppo economico e del lavoro. Affrontare il tema delle precarietà, al
plurale, perché riguarda il precariato intellettuale, quello dei giovani meno qualificati, dei piccoli
commercianti e artigiani che fanno fatica a fare impresa, delle partite iva, degli insegnanti della scuola
pubblica, deve essere la priorità del partito democratico. Sono temi che non possiamo farci scippare.
Concordo con l’assessore Tajani rispetto a proposte come il salario di intermittenza. Un po’ meno con la
proposta dell’ennesima agenzia di sviluppo. Ma il Pd deve fare qualche passo in più. Perché non proporre
che Milano sperimenti innovazione sul mercato del lavoro, provando ad esempio ad utilizzare proposte
come quelle del contratto unico, nella versione di Ichino, di Tito Boeri o eventuali variazioni sul tema?
Possiamo chiedere al governo di utilizzare Milano come piattaforma sperimentale per nuove politiche per il
lavoro e contro la precarietà?

Il terzo tema è quello dei diritti. I diritti non possono diventare, in tempo di crisi, ciò che resta dopo aver
soddisfatto i bisogni primari. Relegare i diritti a categoria residuale fa male anche alla crescita economica. Il
Pd su questo può sperimentare, al governo della città, un modello nuovo. Dove integrazione tra culture,
diritti civili, valorizzazione delle diversità sono l’anima ma anche il pane per questa città.

Per fare innovazione al governo della città non basta però fare buona amministrazione. C’è bisogno di un
partito forte e coraggioso che sostenga questo movimento. Centosettantamila elettori ci hanno dato
fiducia. Adesso bisogna cambiare il Pd. Il partito che abbiamo conosciuto fino ad ora non può più
funzionare in questa nuova fase. Siamo lenti, spesso afoni, scoordinati, rischiamo di diventare trasparenti
sullo scenario milanese. Occorre aprire un processo aperto di ripensamento politico ed organizzativo del Pd
milanese che investa i gruppi dirigenti, gli eletti, i circoli e gli elettori. Bisogna, da subito, aprire una
discussione partecipata, quasi congressuale, su come mettere mano al Pd. E farla secondo tre direttrici.
La prima è come si costruisce un partito di governo ma che non si schiacci sulla dimensione amministrativa.
Oggi abbiamo una squadra di assessori Pd, 20 consiglieri comunali, 140 consiglieri di zona, 6 presidenti nei
consigli di zona. Dobbiamo governare Milano ma il Pd deve ritagliarsi un ruolo autonomo, di stimolo verso
l’amministrazione e di ossigeno e prospettiva per le idee sulla città. Anche in modo dialettico se sarà
necessario. E questo vuol dire pensare ad ambiti di lavoro ed elaborazione tematica con figure autorevoli,
rafforzare i luoghi della discussione e della decisione politica, condividere le scelte con gli iscritti.

La seconda è come valorizziamo quel capitale enorme di consenso che abbiamo ricevuto alle elezioni.
Possiamo farlo se avviamo, come Pd, la campagna permanente su Milano. E siamo gli unici che possono
farlo. Far vivere, tutti i giorni dell’anno, nei prossimi cinque anni, una dimensione partecipativa attraverso
la trasformazione dei nostri circoli in laboratori di idee per il governo della città. Aprendo i circoli ai tanti
soggetti sociali (e politici) con cui abbiamo interloquito in campagna elettorale. E praticando forme di
partecipazione diretta di iscritti ed elettori, attraverso i referendum previsti dal nostro statuto e mai
praticati, sulle questioni politiche ed organizzative del partito (oltre che per la scelta dei parlamentari). Già
a fine settembre potremmo sperimentare forme di partecipazione di questo genere.

La terza direttrice è capire come quello che è accaduto a Milano, il successo del Pd guidato da un gruppo
dirigente giovane, un partito che arriva al 28,6% grazie a un investimento su apertura alla società civile e
innovazione comunicativa, un movimento civico e partecipativo che ha trovato abbondantemente casa nel
Pd al momento del voto, faccia scuola e dia un contributo sul piano nazionale. Anche ragionando, alla luce
della vicenda milanese, su una prospettiva che allarghi i confini del Pd, guardando ad altre forze politiche e
ai movimenti civici.

Su queste basi bisogna muoversi velocemente. Stabilendo un “patto tra gli innovatori” del Pd milanese.
Mettendo insieme le energie migliori che sono emerse in questi anni e nel corso della campagna elettorale.
Senza personalismi ma con molte personalità. In modo trasversale e molto oltre le correnti. Attuando,
finalmente, una rigenerazione vera del Pd milanese.

A settembre ci sarà un grande forum dei circoli milanesi, dentro la festa democratica, e sarà una buona
occasione per ragionare di questo. Poi ad Ottobre, in vista della conferenza nazionale sul Pd, Milano dovrà
organizzare un grande evento per costruire una rete nazionale di chi condivide un’idea nuova e coraggiosa
di Pd. Almeno questo è quello che io penso si debba fare.

Infine una nota sulle recenti vicende . Quello che è accaduto in queste ultime ore ci lascia sgomenti. Alle
frasi di rito, di fiducia nella magistratura e di speranza che tutto possa essere chiarito dagli interessati, il Pd
deve aggiungere qualcosa in più. La legalità e la trasparenza non sono dati acquisiti per sempre. Mi
piacerebbe che quando uno pensa al Pd, associasse immediatamente i concetti di legalità e di massima
correttezza. Per questo, davanti a casi come quello che ha investito Filippo Penati, c’è bisogno di segnali
immediati. Che mettano al riparo innanzitutto la credibilità di un partito fatto di persone per bene. Le
dimissioni da vicepresidente del consiglio regionale sono apprezzabili per questo motivo. Ma non dobbiamo
fare sconti, a nessuno. Il garantismo in una vicenda ancora “sotto indagine” non deve offuscare
l’opportunità politica di far fare passi indietro, veri, a chi è sotto la lente della magistratura. Ne va non solo
della credibilità del Pd ma dell’esistenza stessa del progetto politico, nato per cambiare il Paese. E c’è
bisogno che il Pd chieda ai suoi amministratori, con strumenti formali rigorosi, di aumentare il livello di
trasparenza riportando costantemente ogni dettaglio della propria attività ai cittadini e al partito. Se non
diamo subito questo segnale all’esterno, una nuova generazione di cui il Pd ha bisogno non prenderà
nemmeno in considerazione l’idea di avvicinarsi al Pd e di spendersi, attraverso di esso, per il bene comune.

Francesco Laforgia

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Note pd milano_laforgia1

  • 1. Milano, 22 Luglio 2011 Carissimi, vi invio alcune riflessioni sparse sul percorso del Pd milanese in relazione allo scenario che abbiamo davanti. Il governo di Milano non è una sfida facile. Pisapia si sta muovendo bene alle condizioni “ereditate”. Il bilancio disastroso lasciato dalla Moratti e aggravato dai tagli del governo ci impongono un’ operazione verità davanti ai milanesi. Il concetto è “cari concittadini, faremo molto in questi anni ma non senza sacrifici perché i soldi sono davvero pochi”. La scarsità delle risorse dovrà però essere per noi una grande sfida di innovazione amministrativa e istituzionale. Bisogna sollecitare le migliori energie della città per mobilitare risorse private al servizio del bene pubblico. Non una forma di neomecenatismo in tempo di crisi ma una sussidiarietà vera che incroci gli interessi privati con quelli della collettività. Spesso i giornali dipingono una dialettica tra Pisapia e il Pd che non c’è. Non siamo al governo della città per negoziare con il sindaco, di volta in volta, linea politica sulle singole questioni e posti di potere. Saremmo davvero poco ambiziosi se facessimo questo. Il Pd vuole lasciare il segno in questa città. Che vuol dire avere un’idea chiara dell’agenda su Milano in relazione ai nodi dello sviluppo della città. Penso a tre grandi blocchi tematici. Innanzitutto la trasformazione urbana della città, attraverso la leva del PGT e l’EXPO. Su questo stiamo dicendo cose chiare e coerenti con la riflessione che abbiamo portato avanti nei mesi scorsi: la città deve trasformarsi ma facendo leva sul riuso del costruito, sulle aree verdi, su una mobilità sostenibile, sull’abbassamento degli indici nelle aree dell’expo, su una perequazione intelligente e non a beneficio dei soliti interessi immobiliari, su un’idea di città che ragioni della propria vocazione futura e sulle grandi funzioni pubbliche su cui si vuole investire. Il secondo tema è quello dello sviluppo economico e del lavoro. Affrontare il tema delle precarietà, al plurale, perché riguarda il precariato intellettuale, quello dei giovani meno qualificati, dei piccoli commercianti e artigiani che fanno fatica a fare impresa, delle partite iva, degli insegnanti della scuola pubblica, deve essere la priorità del partito democratico. Sono temi che non possiamo farci scippare. Concordo con l’assessore Tajani rispetto a proposte come il salario di intermittenza. Un po’ meno con la proposta dell’ennesima agenzia di sviluppo. Ma il Pd deve fare qualche passo in più. Perché non proporre che Milano sperimenti innovazione sul mercato del lavoro, provando ad esempio ad utilizzare proposte come quelle del contratto unico, nella versione di Ichino, di Tito Boeri o eventuali variazioni sul tema? Possiamo chiedere al governo di utilizzare Milano come piattaforma sperimentale per nuove politiche per il lavoro e contro la precarietà? Il terzo tema è quello dei diritti. I diritti non possono diventare, in tempo di crisi, ciò che resta dopo aver soddisfatto i bisogni primari. Relegare i diritti a categoria residuale fa male anche alla crescita economica. Il Pd su questo può sperimentare, al governo della città, un modello nuovo. Dove integrazione tra culture, diritti civili, valorizzazione delle diversità sono l’anima ma anche il pane per questa città. Per fare innovazione al governo della città non basta però fare buona amministrazione. C’è bisogno di un partito forte e coraggioso che sostenga questo movimento. Centosettantamila elettori ci hanno dato fiducia. Adesso bisogna cambiare il Pd. Il partito che abbiamo conosciuto fino ad ora non può più funzionare in questa nuova fase. Siamo lenti, spesso afoni, scoordinati, rischiamo di diventare trasparenti sullo scenario milanese. Occorre aprire un processo aperto di ripensamento politico ed organizzativo del Pd milanese che investa i gruppi dirigenti, gli eletti, i circoli e gli elettori. Bisogna, da subito, aprire una discussione partecipata, quasi congressuale, su come mettere mano al Pd. E farla secondo tre direttrici.
  • 2. La prima è come si costruisce un partito di governo ma che non si schiacci sulla dimensione amministrativa. Oggi abbiamo una squadra di assessori Pd, 20 consiglieri comunali, 140 consiglieri di zona, 6 presidenti nei consigli di zona. Dobbiamo governare Milano ma il Pd deve ritagliarsi un ruolo autonomo, di stimolo verso l’amministrazione e di ossigeno e prospettiva per le idee sulla città. Anche in modo dialettico se sarà necessario. E questo vuol dire pensare ad ambiti di lavoro ed elaborazione tematica con figure autorevoli, rafforzare i luoghi della discussione e della decisione politica, condividere le scelte con gli iscritti. La seconda è come valorizziamo quel capitale enorme di consenso che abbiamo ricevuto alle elezioni. Possiamo farlo se avviamo, come Pd, la campagna permanente su Milano. E siamo gli unici che possono farlo. Far vivere, tutti i giorni dell’anno, nei prossimi cinque anni, una dimensione partecipativa attraverso la trasformazione dei nostri circoli in laboratori di idee per il governo della città. Aprendo i circoli ai tanti soggetti sociali (e politici) con cui abbiamo interloquito in campagna elettorale. E praticando forme di partecipazione diretta di iscritti ed elettori, attraverso i referendum previsti dal nostro statuto e mai praticati, sulle questioni politiche ed organizzative del partito (oltre che per la scelta dei parlamentari). Già a fine settembre potremmo sperimentare forme di partecipazione di questo genere. La terza direttrice è capire come quello che è accaduto a Milano, il successo del Pd guidato da un gruppo dirigente giovane, un partito che arriva al 28,6% grazie a un investimento su apertura alla società civile e innovazione comunicativa, un movimento civico e partecipativo che ha trovato abbondantemente casa nel Pd al momento del voto, faccia scuola e dia un contributo sul piano nazionale. Anche ragionando, alla luce della vicenda milanese, su una prospettiva che allarghi i confini del Pd, guardando ad altre forze politiche e ai movimenti civici. Su queste basi bisogna muoversi velocemente. Stabilendo un “patto tra gli innovatori” del Pd milanese. Mettendo insieme le energie migliori che sono emerse in questi anni e nel corso della campagna elettorale. Senza personalismi ma con molte personalità. In modo trasversale e molto oltre le correnti. Attuando, finalmente, una rigenerazione vera del Pd milanese. A settembre ci sarà un grande forum dei circoli milanesi, dentro la festa democratica, e sarà una buona occasione per ragionare di questo. Poi ad Ottobre, in vista della conferenza nazionale sul Pd, Milano dovrà organizzare un grande evento per costruire una rete nazionale di chi condivide un’idea nuova e coraggiosa di Pd. Almeno questo è quello che io penso si debba fare. Infine una nota sulle recenti vicende . Quello che è accaduto in queste ultime ore ci lascia sgomenti. Alle frasi di rito, di fiducia nella magistratura e di speranza che tutto possa essere chiarito dagli interessati, il Pd deve aggiungere qualcosa in più. La legalità e la trasparenza non sono dati acquisiti per sempre. Mi piacerebbe che quando uno pensa al Pd, associasse immediatamente i concetti di legalità e di massima correttezza. Per questo, davanti a casi come quello che ha investito Filippo Penati, c’è bisogno di segnali immediati. Che mettano al riparo innanzitutto la credibilità di un partito fatto di persone per bene. Le dimissioni da vicepresidente del consiglio regionale sono apprezzabili per questo motivo. Ma non dobbiamo fare sconti, a nessuno. Il garantismo in una vicenda ancora “sotto indagine” non deve offuscare l’opportunità politica di far fare passi indietro, veri, a chi è sotto la lente della magistratura. Ne va non solo della credibilità del Pd ma dell’esistenza stessa del progetto politico, nato per cambiare il Paese. E c’è bisogno che il Pd chieda ai suoi amministratori, con strumenti formali rigorosi, di aumentare il livello di trasparenza riportando costantemente ogni dettaglio della propria attività ai cittadini e al partito. Se non diamo subito questo segnale all’esterno, una nuova generazione di cui il Pd ha bisogno non prenderà nemmeno in considerazione l’idea di avvicinarsi al Pd e di spendersi, attraverso di esso, per il bene comune. Francesco Laforgia