Jobs act: il documento della minoranza PD uscita dall'aula
Dare un'anima al PD. Federare una nuova sinistra
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DARE UN’ANIMA AL PD. FEDERARE UNA NUOVA SINISTRA
(Houston abbiamo un problema!)
La sinistra è a un bivio perché sono a un bivio l’Italia e l’Europa.
O si imbocca la strada di una svolta per un continente in preda a una stagnazione
decennale e sotto la pressione di quella che viene chiamata la “terza guerra
mondiale”, o crescerà il ripiegamento su egoismi e chiusure.
Ha ragione il premier, basta impiccarsi allo zero virgola. Ma basta anche con le
banalità sui gufi.
La realtà è che l’Europa rischia di frantumarsi. Le sue istituzioni non parlano
la lingua dei popoli che dovrebbero rappresentare e i governi coltivano l’interesse
miope al posto di un bene comune.
L’esito sono muri che si alzano o il riarmo delle frontiere, mentre il dramma
libico e la Siria incalzano e il Mediterraneo continua a inghiottire corpi in fuga da
guerre e terrorismo.
La crisi peggiore del secolo ha cambiato la geografia sociale e i sentimenti attorno
a noi.
Sbaglia chi non vede le start up, ma grave è anche la colpa di chi ignora
diseguaglianze impressionanti. Antieconomiche oltre che scandalose.
La sinistra deve dirlo: non è fallita solo l’austerità.
Si è svelata la dottrina di un capitalismo senza regole e senza etica votato a
speculare su ogni cosa, dall’aria che si respira alla dignità degli ultimi.
Dinanzi a questa capriola della storia ripensare l’asse che ha tenuto assieme
democrazia e laicità, crescita e welfare, la pace e il dialogo tra religioni, è la prova
di una sinistra politica e sociale che accetta la sfida del governo.
Per salvare l’Europa e ridarle una funzione nel mondo è necessaria una cessione
di sovranità degli Stati che ne fanno parte.
Ma questa può realizzarsi solo con una battaglia culturale, con le alleanze
necessarie e coinvolgendo i cittadini in un disegno che punti a offrire più diritti,
partecipazione, regole condivise.
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Nasce qui la spinta per una sinistra più larga della sola famiglia socialista,
perché c’è da federare forze che si affacciano sulla scena della rappresentanza o
del governo di paesi importanti come Grecia o Spagna.
Lo stesso vale per noi. Che con l’Ulivo e il Pd abbiamo scelto di mescolare, e
non solo sommare, culture diverse – dal cattolicesimo democratico
all’ambientalismo, dal pensiero delle donne a un civismo diffuso, alle culture del
lavoro e della legalità – e lo abbiamo fatto perché sapevamo che era la condizione
del cambiamento.
Oggi non si tratta di camminare con la testa piegata all’indietro. Ma proiettare nel
dopo il significato profondo di quella storia.
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Dalla nascita del governo Renzi sono passati due anni. E’ un tempo medio che
consente uno sguardo d’insieme. Il premier ha speso energie nel ridare spinta a
una vettura ferma. Ha aperto cassetti chiusi e costruito l’agenda di governo e
Parlamento.
Per questo è onesto riconoscere le cose positive. Innanzitutto su profughi e
migranti, quando si è detto persino con rabbia che nessun patto di stabilità può
limitare il soccorso a mare di donne e bambini. E ancora, sono al traguardo leggi
su disagio, legalità, trasparenza e giustizia, sulle unioni civili. Ci si è impegnati
nella lotta al caporalato.
E’ un dovere ricordare che su altre scelte, dalla delega lavoro alla scuola, alla
riforma della Costituzione, abbiamo espresso dissenso fino a negare la fiducia
sull’Italicum.
Ma oggi vogliamo porre una domanda: perché non si è prodotta la scossa in
grado di rimettere davvero in moto economia e società?
Sgravi e sussidi combinati al taglio di qualche imposta aiutano il racconto di una
svolta, ma la realtà è più ostica del racconto.
Soprattutto quando, come nel caso dell’Imu tolto agli straricchi o del contante in
tasca, si è scelto il vocabolario degli altri.
Le cifre della ripresa, troppo debole persino in un quadro europeo che fatica, non
sembrano aggredire i numeri del lavoro di giovani e donne, dalla riduzione delle
distanze tra chi ha di più e chi ha meno, di investimenti, innovazione e
produttività, della povertà e del dumping tra generazioni figlie di una frattura tra
Nord e Sud che si è fatta di nuovo profonda come molti anni fa.
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Per questo – non per una bega interna al Pd – c’è bisogno di discutere, dire
qualche verità, riconoscere i limiti di tutti, anche i nostri. Di farlo con uno
spirito aperto nel PD e federativo fuori da noi.
Perché le riforme che servono all’Italia, se vogliamo risolvere guasti antichi di
uno sviluppo distorto, non hanno bisogno di una maggioranza purchessia.
Parliamo di investimenti pubblici come volano di quelli privati.
Di una funzione diversa dello Stato capace di strategie industriali e della
ricerca puntando sullo sviluppo che valorizza ambiente, bellezza e cultura.
Uno sviluppo che abbia ben chiara la bussola di un rinascimento meridionale. E
di una politica di “restituzione” alle donne.
Non sono concetti vaghi. Sono la sola strada per costruire una cittadinanza
attiva.
Per parlare di libertà individuali e diritti umani e civili come tratto della
modernità e di una nuova responsabilità.
Di funzione sociale delle imprese. Di un welfare da riscrivere sulla base dei
bisogni di chi spesso vive peggio, ma per fortuna vive più a lungo.
E sono la via per offrire delle vere chance alla persona che scommette su di sé e
sul proprio talento. E altrettante chance a chi non possiede lo stesso talento,
non è ricco, bello, di buona famiglia. Ma anche per questo incarna la parte di
mondo a cui la sinistra deve sempre rivolgersi.
Insomma parliamo di riforme che hanno bisogno di coerenze e un popolo che le
sostiene. Con partiti e sindacati davvero rinnovati e più rappresentativi.
Di un legame con le parti di società che vogliamo convertire negli interpreti di
quel cambiamento.
Per tutto questo non basta il potere dall’alto. Serve il consenso dal basso. Servono
movimenti e una battaglia delle idee in una società che si organizza, che si
esprime, e non solo alle primarie. Tutto questo serve perché le riforme vere sono
quelle che le persone vivono come un patrimonio a cui non possono rinunciare.
Sono vere riforme quelle che cambiano la costituzione materiale, il senso
dell’etica pubblica, la cultura diffusa del Paese. Quelle che quando ci sono,
scopri di vivere meglio di quando non c’erano.
Ecco perché servono un altro Pd e una sinistra.
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Per fare incontrare di nuovo politica e cultura. Politica e società.
Per fare democrazia.
E per fare di nuovo centrosinistra.
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Siamo parte del Pd. Ma quello di adesso non è il partito per il quale ci siamo
battuti. Non è quel partito popolare e plurale al suo interno, capace di essere
comunità.
Basta vedere come un arcipelago sempre più vasto delle astensioni, dal voto o
dalle primarie, si combina a una spinta all’abbandono di tanti militanti.
Non c’è alcun passato, recente o remoto, a cui tornare.
Scriviamo questa nota perché questo partito vogliamo trasformarlo. Cambiarlo e
rigenerarlo. Dargli un’anima.
Un partito deve rispondere a una domanda di senso.
Questo vuol dire anche uscire da logiche che troppo spesso lo riducono a
somma di comitati elettorali talvolta opachi e discutibili, trasformandolo
nell’ascensore sociale per la carriera di alcuni e non ascensore sociale per le
opportunità dei più. In questo senso si acceleri il varo di una legge che traduca
finalmente in regole e trasparenza lo spirito dell’articolo 49 della Costituzione.
Per tutte le cose dette il nodo è ben più serio delle manovre o provocazioni di
pezzi della destra.
Il nodo è se il segretario del Pd consideri l’attuale maggioranza di governo
una formula transitoria o la immagini come la coalizione con cui presentarsi
alle prossime elezioni.
E ancora, se il premier vuole usare il referendum come un plebiscito e uno
spartiacque in quella direzione, come evocato da alcuni orfani della destra.
Quando in discussione entra la Carta fondamentale della Repubblica bisogna che
ciascuno possa esprimersi liberamente sul merito, scegliendo dove collocarsi.
Questa dovrebbe essere la logica della mobilitazione per il Si. Ma per lo stesso
motivo non si può considerare illegittima e incompatibile con la permanenza nel
Pd la posizione a sostegno del No.
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Da quando Matteo Renzi guida il Pd il campo del centrosinistra si è ristretto. Alle
prossime amministrative – obiettivo che tutti ci vede impegnati allo scopo di
vincere – a Torino, Roma, Napoli, la coalizione tra noi, SeL e forze del civismo
arriva divisa. Molte responsabilità cadono sui nostri vecchi alleati, ma è compito
del partito più grande lavorare per ricostruire il campo largo – l’alleanza
politica e sociale – del centrosinistra.
Perché se il Pd sceglie di diventare un monumento piazzato al Centro e puntellato
da destra perde l’anima e non potrà più proporsi come il federatore credibile di
una sinistra del cambiamento in Europa e in casa nostra.
Per noi il centrosinistra è questo: non un totem (tanto più che non sono mancati
gli errori che ne hanno costellato l’esistenza) ma la prospettiva politica, sociale e
morale che ha dato senso al Partito democratico.
A chi condivide questa volontà diciamo che adesso è il momento di costruire
ponti.
Lo diciamo così: per noi il congresso deve far vivere un fronte largo e un
punto di vista che quella discussione e quelle primarie deve affrontarle anche per
contrastare un uso distorto del potere e quel trasformismo che stanno già
cambiando struttura e modo d’essere del nostro partito.
Un partito dove non vince e comanda qualcuno da solo o una cerchia ristretta. Un
partito è lo strumento per vincere riscoprendo la forza del Noi.
Forse chiarendoci le idee su questo anche il congresso avrà un segno diverso e
un finale meno scontato. E forse davvero potrà essere qualcosa di più di una
semplice conta dei voti. Anche per questo è importante che aspirazioni e
candidature nascano dal confronto e da un progetto, il più possibile condiviso.
Abbiamo passione per andare nei circoli del nostro partito e lì consultare elettori e
iscritti sui temi che abbiamo sollevato.
Ognuno di noi a modo suo in questi anni ci ha provato. Noi di SinistraDem con
scelte coerenti in Parlamento, con una rete, seminari sul mondo e i suoi conflitti,
l’economia, i diritti delle persone, la democrazia e la laicità.
Altri incontri sono in costruzione, come a Firenze a inizio aprile sulla riforma del
partito, e presto al Sud sull’Italia che è una.
Lo abbiamo fatto pensando che la sfida dovesse guardare sempre a un Campo
Aperto, dove incontrare voci, pensieri, sensibilità.
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In queste settimane si moltiplicano appuntamenti significativi promossi da forze
diverse – fuori dal Pd, come a Roma con Cosmopolitica e nel Pd come da ultimo a
Perugia – dove di questo si ragiona, si discute. Altri ne seguiranno, come a inizio
aprile a Firenze sulla riforma del Partito. E’ anche questo il segno di una sinistra
che si sta ripensando nel mondo nuovo.
Oggi diciamo: questi momenti diversi – assieme a personalità, associazioni e
movimenti civici – proviamo a farli incontrare. Proviamo a dare significato alla
mescolanza e a uno spirito federativo dentro e fuori da noi.
Proviamo insieme a fare quello che nessuno si aspetta: rimettiamo quei corsi
d’acqua nella condizione di alimentare il fiume.
Proviamo a stupire. E proviamo di nuovo a stupirci. Ragioniamo su tutto questo e
sulla possibilità di camminare assieme.
Noi proponiamo di tentare questa strada a Milano. E una data, il 6 e 7
maggio.
C’è una sola ragione per non provarci?
Bozza in progress