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News 38/SSL/2016
Lunedì,19 Settembre 2016
231, società non risponde per inerzia persona fisica.
In materia di sicurezza sul lavoro, l’inerzia gestionale del responsabile non travolge
l’intera società in caso di infortunio occorso a un lavoratore, laddove non vi sia una
carente politica aziendale.
La Suprema Corte con sentenza 1 agosto 2016, n. 33629 ha individuato la colpa ex
articolo 71, Dlgs 81/2008 del datore di lavoro in caso di infortunio del lavoratore,
come ricollegabile al solo imputato persona fisica e non anche alla società ex
articolo 25-septies, Dlgs. 231/2001. Infatti, non solo vi erano carenze organizzative e
gestionali riferibili all’azienda, ma anzi la presenza di parecchi dipendenti con
mansioni di controllo alla sicurezza esclude che la società abbia tratto
interesse/vantaggio economico dall’inerzia del singolo.
Nel caso in esame, l’Ente lombardo è stato assolto dal reato di lesioni colpose in
danno di un lavoratore, dovendosene attribuire la responsabilità al solo
amministratore delegato. (Articolo di Costanza Kenda)
Fonte: reteambiente.it
DVR: misurare la fatica mentale
Come misurare la fatica mentale e inserire questo rischio nella valutazione dei rischi
a fronte di modifiche rilevanti nell’organizzazione del lavoro.
I cambiamenti dell’organizzazione del lavoro finalizzati all’eliminazione degli sprechi
e delle inefficienze e all’ottimizzazione delle risorse interne comporta modificazioni
che frequentemente diminuiscono la fatica fisica e migliorano le condizioni
ergonomiche, ma contemporaneamente riducono i tempi di esecuzione e
richiedono un’attenzione continuativa da parte degli operatori.
Ciò rende necessario indagare il nuovo rapporto che si viene a produrre tra fatica
fisica e fatica mentale e, di conseguenza, predisporre strumenti di misurazione della
fatica mentale.
Si tratta di un compito tutt’altro che facile anche perché non esiste una misura del
carico di lavoro mentale universalmente accettata.
In generale, le misure per il calcolo della fatica mentale possono essere
raggruppate in tre categorie:
· comportamentali
· soggettive
· fisiologiche
Le misure comportamentali individuano quali caratteristiche del compito eseguito
dal lavoratore debbano essere utilizzate come indice del carico di lavoro imposto
(per esempio il numero di movimenti eseguiti per azionare dispositivi di controllo in
un arco di tempo dato oppure la durata e la frequenza degli sguardi diretti verso
fonti di informazioni visive).
Questa rilevazione presenta però il limite che le variazioni del carico di lavoro
mentale imposto da un compito non sono necessariamente evidenziate dalla
prestazione in quanto l’operatore potrebbe allocare risorse cognitive per mantenere
invariato il livello di prestazione. Inoltre, difficoltà di un compito e carico mentale non
coincidono necessariamente. Il peggioramento in una prestazione potrebbe
derivare semplicemente dall’aumento della difficoltà e non essere un indicatore di
affaticamento.
Per rendere più attendibile la valutazione si può ricorrere all’uso del doppio compito:
al soggetto viene chiesto di eseguire due compiti contemporaneamente, uno è
quello di cui si vuol misurare il carico di lavoro mentale (compito primario), l’altro
(compito secondario) è quello che viene utilizzato per calcolare il carico di lavoro
mentale associato al compito primario. All’aumentare della difficoltà di esecuzione
del compito primario, corrisponde un peggioramento della prestazione nel compito
secondario in quanto il lavoratore distoglie risorse cognitive da esso in favore
dell’impegno prioritario.
Le misure soggettive sono le più usate, soprattutto per la loro semplicità,
economicità e rapidità di somministrazione. Consistono nella richiesta – rivolta
all’operatore dopo l’esecuzione del compito - di indicare il carico di lavoro mentale
percepito.
Per eseguire questa misurazioni in modo attendibile è necessario che le domande
rivolte all’operatore siano formulate in modo chiaro e preciso e aiutino a distinguere
tra lavoro mentale e fisico e tra difficoltà del compito e carico di lavoro mentale.
Allo scopo si possono utilizzare scale, check list o questionari non standardizzati.
Una delle scale più usate per la misurazione soggettiva è l’Analytical Hierarchy
Process che richiede all’operatore di confrontare tutte le condizioni di due compiti
indicando, per ciascuna coppia, quella caratterizzata dal maggior carico di lavoro.
Si può ricorrere anche alla scala Cooper – Harper, anche se non è una vera e
propria misura del carico mentale ed è indicativa soprattutto nelle situazioni in cui
l’affaticamento deriva dalla difficoltà di controllo.
Essa consiste in un albero delle decisioni che combina differenti aspetti all’interno di
una scala monodirezionale a dieci punti.
La Subjective Workload Assessment Technique (SWART) usa tre scale differenti per
produrre un punteggio di carico di Lavoro mentale. Le tre scale riguardano
· pressione temporale
· sforzo mentale
· stress psicologico
È possibile utilizzare anche il NASA Task Load Index (NASA _ TLX), uno strumento
multidimensionale di misura del carico di lavoro mentale che, in questa scala, è
definito come il costo che un operatore umano deve pagare per raggiungere uno
specifico livello di prestazione.
Il NASA Task Load Index richiede all’operatore di esprimere una valutazione su sei
scale a 20 punti che fanno riferimento a
· Richieste mentali
· Richieste fisiche
· Richieste temporali
· Prestazione
· Sforzo
· Livello di stress
Es.
Richieste mentali
basso alto
Le misure fisiologiche costituiscono degli indicatori indiretti del carico di lavoro
mentale.
Le procedure per la rilevazione degli indici psicofisiologici non sempre sono
accettate dagli operatori che le possono considerare invasive in quanto monitorano
le reazioni fisiche (ritmi elettroencefalografici, variazioni della frequenza cardiaca,
attività respiratoria, frequenza degli ammiccamenti) agli stimoli cui l’operatore è
sottoposto.
Le misure fisiologiche più usate nella stima del carico di lavoro quelle relative alla
· Attività oculare
· Respirazione
· Attività cardiovascolare
Indipendentemente dalla modalità che si adotta, è importante che si cominci a
prestare attenzione alla fatica mentale e che ci si attrezzi a includere la sua
valutazione nel DVR, in particolare quando esso viene rivisto, come prevede il d.lgvo
81/08, a fronte di modifiche rilevanti nell’organizzazione del lavoro. (Articolo di
Renata Borgato) Docente, formatrice e consulente aziendale.
Fonte: puntosicuro.it
La delega di funzioni nella giurisprudenza degli ultimi 2 anni.
La delega dell’obbligo di formazione al di là del DVR, fino a dove deve arrivare la
vigilanza del delegante, la delega al Responsabile Lavori, la delega ambientale, la
differenza coi poteri originari e coi “garanti di fatto”.
Alcune sentenze in materia di delega di funzioni (attualmente disciplinata
dall’articolo 16 del D.Lgs. 81/08) emanate dalla Cassazione Penale negli ultimi due
anni si segnalano per il loro particolare interesse.
Proponiamo qui di seguito una sintesi di queste pronunce - come sempre senza
pretese di esaustività - suddivise per argomenti e non elencate in ordine
strettamente cronologico, benché tutte emanate nell’ultimo biennio.
La delega dell’obbligo di formazione e informazione (art. 18 c.1 lett.l) D.Lgs.81/08)
vale anche quando il DVR è carente in materia
In Cassazione Penale, Sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 4347 era stato contestato “al T.F., in
qualità di dirigente all’uopo delegato, di essere venuto meno ai propri obblighi di
formazione ed informazione derivanti dai piani annuali pertinenti per il 2007/2008.”
Egli ricorre in Cassazione e, in uno dei suoi motivi di ricorso, “asserisce che non
potevasi a lui richiedere un obbligo di formazione ed informazione a riguardo di una
procedura operativa non prevista dal DVR.”
La Corte rigetta il ricorso affermando che “l’obbligo di formare ed informare al quale
era tenuto, per delega, il T.F., non consta dagli atti sottoposti al giudizio di legittimità
potersi intendere limitato a quanto definito nel DVR, anche se lo stesso fosse da
considerare difettoso, trovando, invece, fonte negli attuali artt.36 e 37
(sostanzialmente riproduttivi delle previsioni previgenti).
In altri termini, al predetto era stato assegnato uno dei compiti datoriali delegabili
(quello di cui all’attuale art.18, comma 1, lett.l) e il delegato aveva l’obbligo di
organizzare la didattica antinfortunistica per tutti gli addetti, concernente tutte le
tematiche settorialmente rilevanti.
Ove l’imputato avesse fatto luogo all’azione doverosa omessa, che avrebbe
portato ad acquisire piena consapevolezza delle modalità attraverso le quali
caricare in sicurezza l’autocarro, l’evento non si sarebbe verificato, o avrebbe avuto
conseguenze meno gravi.”
In cosa consiste concretamente l’obbligo di vigilanza del delegante sull’attività del
delegato
Moltissime sentenze sulla delega ribadiscono il principio secondo il quale il
delegante deve vigilare sul corretto espletamento delle attività delegate, ma un
po’ meno sono quelle che entrano nel merito del contenuto operativo di questo
obbligo di vigilanza.
Vediamone una che tratta questo tema un po’ più nel dettaglio.
Cassazione Penale, Sez.IV, 22 giugno 2015 n. 26279, infatti, una volta ricordato il
“principio secondo il quale esiste una responsabilità residuale del datore di lavoro
che ha l’obbligo di vigilanza ex art.16, comma 3, d.lgs.81/2008”, si sofferma,
ricollegandosi alla sentenza della Corte d’Appello, “sul concetto di “vigilanza alta”,
che ha per oggetto il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del
soggetto delegato, con l’obbligo del datore di lavoro di vigilare e di controllare che
il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.”
La Corte conferma qui l’assoluzione del datore di lavoro C.F. il quale aveva
conferito delega di funzioni a DL.M.
Da vari elementi in fatto la Corte “ha tratto la convincente conclusione che gli ampi
poteri conferiti al geometra DL.M. rappresentassero a tutti gli effetti una delega di
funzioni, come contemplata dall’art.16, d.Lgs 81/2008, in quanto comprensiva di tutti
i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla natura delle funzioni
delegate, ivi compreso il potere di spesa, attribuito, implicitamente, ma
indubitabilmente, con la clausola di chiusura, generica ma omnicomprensiva,
attributiva di “ogni potere relativamente agli incarichi affidatigli, anche se qui non
espressamente previsto”.
Su queste premesse, i giudici di merito hanno fondato l’assoluzione del C.F., nella
qualità di datore di lavoro, rimarcando, il primo giudice, l’assoluta estraneità
dell’imputato alle questioni legate alla sicurezza del cantiere, ed il secondo,
fornendo una interpretazione dell’obbligo di vigilanza spettante al datore di lavoro
ex art. 16 comma 3, d.Lgs 81/2008, incompatibile con l’assunzione di responsabilità in
sede penale patrocinata dal difensore della parte civile.”
La sentenza di Cassazione approfondisce questo punto: “il ruolo di vigilanza di cui al
comma 3, del citato art.16, d.Lgs.81/2008, tuttavia, come ben chiarito dalla Corte di
merito, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (v. la richiamata sentenza
Sezione IV, 1 febbraio 2012, n.10702, Mangone, che si è soffermata proprio su questo
aspetto) non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle
singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la
correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato.”
Pertanto “ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello
del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del
rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità
di svolgimento delle singole lavorazioni.
In coerente applicazione di tale principio la Corte di merito ha ritenuto che il C.F.,
nella sua qualità di amministratore della società e datore di lavoro, era tenuto, in
presenza di valida delega di funzioni, a verificare che il preposto alla gestione del
sistema di sicurezza del cantiere, curasse l’applicazione in cantiere delle politiche
stabilite dalla direzione aziendale per le attività di sicurezza ed il costante
adeguamento dei piani di sicurezza elaborati dal responsabile aziendale per la
sicurezza, non anche che venissero concretamente adottate, nelle singoli fasi di
lavorazione, le precauzioni necessarie alla prevenzione del rischio.”
Delega conferita dal Committente al Responsabile dei Lavori
Cassazione Penale, Sez.IV, 11 agosto 2015 n. 34818 ricorda che “è da escludere che
la delega in tema di sicurezza possa essere attribuita dal committente ad un
responsabile dei lavori individuato nel datore di lavoro dell’impresa esecutrice.
Una tale eventualità, infatti - come già condivisibilmente osservato da questa Corte
(Sez. 4, n. 1490 del 20/11/2009, dep. 2010, Fumagalli, non mass, sul punto) -
«riprodurrebbe ad un più alto livello di responsabilità, l’inconcepibile identificazione
tra controllore e soggetto controllato per ciò che riguarda la sicurezza del cantiere.”
Nel precedente giurisprudenziale che viene richiamato dalla Corte, ovvero
Cassazione Penale, Sez. IV, 14 gennaio 2010 n. 1490, la Corte aveva già avuto
modo di chiarire che “l’esonero da responsabilità del committente è commisurato
alla sfera dell’incarico conferito. Ne discende in primo luogo che l’incarico in
questione, che lo si voglia o meno tratteggiare come una forma di delega, per
assumere rilevanza giuridica deve comunque presentare una chiara evidenza
formale, di guisa che sia possibile inferire quale sia l’ambito del trasferimento di ruolo
e di responsabilità. Naturalmente, il conferimento di tale incarico sostitutivo implica
altresì il conferimento dei poteri decisori, gestionali e di spesa occorrenti.”
Aveva poi specificato quanto segue: “con maggiore precisione, è da escludere
che la delega in tema di sicurezza possa essere attribuita dal committente ad un
responsabile dei lavori individuato nel datore di lavoro dell’impresa esecutrice. Una
tale eventualità, infatti, riprodurrebbe ad un più alto livello di responsabilità,
l’inconcepibile identificazione tra controllore e soggetto controllato per ciò che
riguarda la sicurezza del cantiere.”
E aveva concluso che “il D.Lgs. n. 464, art. 6, [ora titolo IV D.Lgs. 81/08] come si è
visto, esonera il committente da responsabilità limitatamente all’ambito delegato al
responsabile dei lavori.”
Delega in materia ambientale – Poteri del direttore generale – Differenza tra verbale
dell’Assemblea dei soci e delega - Esercizio di fatto della gestione ambientale –
Attribuzione di prerogative a titolo originario
Il caso trattato da Cassazione Penale, Sez. III, 23 settembre 2015 n. 38551 è
interessante e merita di essere analizzato anche nel merito della vicenda quale
esempio utile a comprendere il modo di ragionare della Corte in materia di delega
di funzioni conferita a livello apicale e di effettivo esercizio dei poteri di gestione in
materia ambientale.
Il sig. A.R. viene dichiarato dal Tribunale “colpevole del reato di cui agli artt. 81, cpv.,
cod. pen., 29-quatuordecies, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n, 152, perché, quale
direttore generale della società (società titolare dell’autorizzazione) e procuratore
speciale della società (società cessionaria dell’autorizzazione), con espressa delega
di funzioni in materia di prevenzione e tutela ambientale per tutte le attività svolte
presso lo stabilimento […], esercitava l’attività dello stabilimento con inosservanza
delle prescrizioni imposte dall’autorizzazione integrata ambientale in ordine alle
emissioni in atmosfera ed alla gestione dei rifiuti.
Il ricorrente è stato nominato direttore generale della il 19/03/2003, come da verbale
di assemblea ordinaria dei soci…”.
In termini di poteri, “per consentirgli di esercitare tali prerogative, espressamente
accettate dal A.R., l’assemblea gli ha attribuito ampi poteri, esercitabili senza
preventiva autorizzazione. In ordine ai poteri e alle mansioni conferiti - prosegue il
verbale - il A.R. avrebbe risposto del suo operato direttamente all’assemblea.”
A.R. ricorre in Cassazione, contestando “l’idoneità di tale atto a conferirgli valida
delega”.
Secondo la Corte, “la questione, così come posta, è del tutto errata e fuorviante.I
principi che questa Corte ha elaborato in materia di “delega ambientale”
riguardano la sua attitudine a sollevare il delegante da ogni forma di responsabilità
ma non ad escludere quella del delegato che si sia realmente occupato della
gestione “ambientale” dell’impresa e abbia effettivamente esercitato i compiti a lui
assegnati, assumendosene le relative responsabilità e rendendosi autore diretto
delle violazioni accertate.”
La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso in quanto “l’imputato si ferma, per così
dire, alla forma della “delega” ma non contesta, nella sostanza, di aver esercitato le
attribuzioni e le funzioni in essa analiticamente descritte che addirittura gli
conferivano la rappresentanza della società e lo rendevano responsabile
direttamente ed esclusivamente nei confronti dell’assemblea. Né ha eccepito che
le violazioni riscontrate fossero conseguenza di mancati investimenti necessari,
segnalati e non autorizzati dall’A.U.
In ogni caso, osserva il Collegio che il verbale non contiene una delega vera e
propria: la delega comporta un trasferimento di poteri che ne presuppone il
possesso da parte del delegante.
Nel caso in esame, invece, l’affidamento delle prerogative è stato effettuato a titolo
originario dall’assemblea dei soci, ancorché su proposta dell’A.U., in quanto
attribuzioni funzionali tipiche della nuova figura di “direttore generale” nella quale
sono confluite parte delle competenze dell’amministratore unico con possibilità di
esercitarle in piena e totale autonomia anche rispetto a quest’ultimo.”
“Garante di fatto” (art.299 D.Lgs.81/08) e delega di funzioni
La recente sentenza Cassazione Penale, Sez. IV, 1° luglio 2016 n. 27056, avente ad
oggetto il rapporto tra la delega di funzioni e l’esercizio in concreto di poteri direttivi,
chiarisce che “se è ben vero che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, è individuabile la figura del “garante di fatto” in colui che, senza alcuna
preliminare investitura da parte del datore di lavoro, espleta concretamente poteri
tipici (assumendo conseguentemente, in ragione del principio di effettività
codificato dall’art.299 del D.Lgs.n.81/08, la correlata posizione di garanzia) è
altrettanto certo che, nel caso di specie, ove il S.D. avesse ipoteticamente
esercitato in concreto i poteri giuridici datoriali ciò non avrebbe sostituito la delega
formale (rogata solo 2 ore dopo l’infortunio) ma avrebbe solo aggiunto, accanto a
quella del P.M. [datore di lavoro, n.d.r.], la (eventuale) responsabilità colposa del
S.D. stesso (ex multis sez. 4, n. 34299 del 06/08/2015).”
[S.D. era il soggetto al quale, come si legge in sentenza, “due ore dopo circa
l’infortunio al dipendente…, il P.M. stesso [quale datore di lavoro, n.d.r.] conferiva,
con procura institoria notarile…i poteri di datore di lavoro e responsabile della
sicurezza nei luoghi di lavoro per l’unità produttiva di…].
Responsabilità del datore di lavoro in assenza di delega e “incapacità tecnica”
dello stesso
Cassazione Penale, Sez.III, ud. 10 marzo 2016 (dep. aprile 2016) n. 17426 ricorda che
“se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme è il legale
rappresentante dell’ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il
soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, così che la sua
responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo
svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di preposto alla
gestione societaria (Sez. 3, n. 28358 del 04/07/2006 - dep. 08/08/2006, Bonora e altro,
Rv. 234949, che ha anche ulteriormente affermato che il legale rappresentante non
può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica, in
quanto tale condizione lo obbliga al conferimento a terzi dei compiti in materia
antinfortunistica).
Delega valida in quanto conforme a tutti i requisiti previsti dall’art.16 D.Lgs.81/08. Il
delegato quale “gestore dei rischi”
Cassazione Penale, Sez. IV, 5 ottobre 2015 n. 40043, infine, si è pronunciata sulle
responsabilità di un soggetto condannato non solo “in qualità di membro del
consiglio di amministrazione, ma anche […] di delegato alla sicurezza aziendale.”
La Corte ricorda che “in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione,
assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti
con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al
delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del
2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso
ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed
esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e
spesa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014 Ud. (dep. 18/09/2014), Rv.
261108).
Nel caso in esame, il ricorrente era titolare di una formale delega in relazione alle
esigenze di sicurezza aziendale […] connotata da tutte le caratteristiche a renderla
idonea a radicare in capo al T.S. la posizione di garanzia e, quindi, di gestore dei
rischi per la sicurezza dei lavoratori. Inoltre la sua qualificazione professionale lo
rendeva idoneo a valutare la pericolosità di un macchinario dotato di un
insufficiente sistema di sicurezza.”
[Tra i precedenti, si veda anche Cassazione Penale, Sez. IV, 25 giugno 2015 n.26999.
E, sul delegato quale “gestore del rischio”, si vedano le motivazioni della sentenza
delle Sezioni Unite della Cassazione sul caso Thyssenkrupp: Cass. Pen., Sez. Un., 18
settembre 2014 n.38343. Per un approfondimento su questo punto, si veda l’articolo
“ Datore, dirigente, preposto, delegato e “aree di gestione del rischio”.] (Articolo di
Anna Guardavilla) Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche
normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro.
Fonte: puntosicuro.it
Il campo di applicazione del nuovo codice di prevenzione incendi.
Un intervento presenta alcune degli articoli del decreto del 3 agosto 2015
contenente il nuovo Codice di prevenzione incendi. Modalità applicative delle
norme tecniche di prevenzione incendi, campo di applicazione e disposizioni finali.
Roma, 13 Set – Dopo aver presentato in questi mesi i capitoli più significativi del
nuovo “ Codice di prevenzione Incendi”, contenuto nel Decreto del Ministero
dell’Interno del 3 agosto 2015 recante “Approvazione di norme tecniche di
prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n.
139”, torniamo a parlarne in termini più generali con l’aiuto di uno dei tanti interventi
che in molti convegni hanno affrontato questa importante novità normativa entrata
in vigore il 18 novembre 2015.
Ci soffermiamo oggi in particolare su un intervento ad un incontro, organizzato dalle
associazioni ed enti correlati al Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di
lavoro e di vita di Milano, dal titolo “Il nuovo codice di prevenzione incendi - D.M.
03.08.2015”. Un incontro che si è tenuto a Milano il 16 marzo scorso.
In “Il Codice di prevenzione incendi. D.M. 3 agosto 2015” l’Ing. Claudio Giacalone
(Dirigente Addetto Comando Vigili del Fuoco Milano) presenta preliminarmente
alcuni articoli del decreto senza entrare direttamente nell’analisi dell’allegato
“Norme tecniche di prevenzione incendi”.
Ad esempio presenta l’articolo 1 (Approvazione e modalità applicative delle norme
tecniche di prevenzione incendi) che indica che le norme tecniche di prevenzione
incendi, di cui all’allegato del decreto, si possono applicare alle attività di cui
all’articolo 2 – di cui parleremo tra poco – in alternativa alle specifiche disposizioni di
prevenzione incendi di cui ai decreti del Ministro dell’interno di seguito indicati,
ovvero ai vigenti criteri tecnici di prevenzione incendi di cui all’articolo 15, comma 3,
del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139:
a) decreto del 30 novembre 1983 recante «Termini, definizioni generali e simboli grafi
ci di prevenzione incendi e successive modificazioni»;
b) decreto del 31 marzo 2003 recante «Requisiti di reazione al fuoco dei materiali
costituenti le condotte di distribuzione e ripresa dell’aria degli impianti di
condizionamento e ventilazione»;
c) decreto del 3 novembre 2004 recante «Disposizioni relative all’installazione ed alla
manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di
esodo, relativamente alla sicurezza in caso di incendio»;
d) decreto del 15 marzo 2005 recante «Requisiti di reazione al fuoco dei prodotti da
costruzione installati in attività disciplinate da specifiche disposizioni tecniche di
prevenzione incendi in base al sistema di classificazione europeo»;
e) decreto del 15 settembre 2005 recante «Approvazione della regola tecnica di
prevenzione incendi per i vani degli impianti di sollevamento ubicati nelle attività
soggette ai controlli di prevenzione incendi»;
f) decreto del 16 febbraio 2007, recante «Classificazione di resistenza al fuoco di
prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione»;
g) decreto del 9 marzo 2007, recante «Prestazioni di resistenza al fuoco delle
costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei vigili del
fuoco»;
h) decreto del 20 dicembre 2012 recante «Regola tecnica di prevenzione incendi
per gli impianti di protezione attiva contro l’incendio installati nelle attività soggette
ai controlli di prevenzione incendi».
Veniamo al campo di applicazione contenuto nell’articolo 2:
Art. 2. Campo di applicazione
1. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alla progettazione, alla
realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del
Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14;
da 27 a 40; da 42 a 47 ; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64; 70; 75, limitatamente ai depositi di
mezzi rotabili e ai locali adibiti al ricovero di natanti e aeromobili; 76.
2. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alle attività di cui al
comma 1 di nuova realizzazione ovvero a quelle esistenti alla data di entrata in
vigore del presente decreto. In caso di interventi di ristrutturazione parziale ovvero di
ampliamento ad attività esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto,
le medesime norme tecniche si possono applicare a condizione che le misure di
sicurezza antincendio esistenti nella restante parte di attività, non interessata
dall’intervento, siano compatibili con gli interventi di ristrutturazione parziale o di
ampliamento da realizzare.
3. Per gli interventi di ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento su parti di
attività esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto non rientranti nei
casi di cui al comma 2, le norme tecniche di cui all’articolo 1 si applicano all’intera
attività.
4. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 possono essere di riferimento per la
progettazione, la realizzazione e l’esercizio delle attività indicate al comma 1 che
non rientrano nei limiti di assoggettabilità previsti nell’allegato I del decreto del
Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151.
Riguardo al dettaglio delle attività (indicate nel comma 1 dell’articolo 2),
nell’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente, sono presenti alcune
tabelle esplicative.
Ad esempio in relazione all’attività contenute nell’allegato I (Elenco delle attività
soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi) del DPR n. 151/2011
riportiamo, a livello esemplificativo, alcune indicazioni relative alle attività 9, 14 e 27-
31:
Riportiamo anche una tabella relativa alle attività 56, 57, 63, 64, 70, 75, 76:
Il relatore sottolinea poi quanto indicato nel comma 2 riguardo agli ‘interventi di
ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento ad attività esistenti alla data di
entrata in vigore’ del decreto. In questo caso le norme tecniche si possono
applicare a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti nella restante
parte di attività, non interessata dall’intervento, siano compatibili con gli interventi di
ristrutturazione parziale o di ampliamento da realizzare.
Infine il dirigente dei Vigili del Fuoco si sofferma anche sull’articolo 5 contenente le
disposizioni finali.
Si ricorda che ai fini dell’applicazione delle norme tecniche di prevenzione incendi,
di cui all’articolo 1, restano valide:
a) le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2012
relativamente alla documentazione tecnica da allegare alle istanze di cui decreto
del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151. La medesima
documentazione tecnica deve includere le informazioni indicate nelle norme
tecniche di cui al presente decreto;
b) le disposizioni di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno
7 agosto 2012 e quelle degli articoli 3, comma 3, 4, comma 2, e 6, comma 4, del
decreto del Ministro dell’interno 9 maggio 2007, relative alla determinazione degli
importi dei corrispettivi dovuti per i servizi resi dai Comandi provinciali dei vigili del
fuoco.
Inoltre si sottolinea (comma 2 dell’articolo 5) che per le attività di cui all’articolo 2 in
possesso del certificato di prevenzione incendi ovvero in regola con gli obblighi
previsti agli articoli 3, 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto
2011, n.
151, il presente decreto non comporta adempimenti.
In conclusione viene riportata la struttura del Codice:
Sezione G - Generalità
G.1 Termini, definizioni e simboli grafici
G.2 Progettazione per la sicurezza antincendio
G.3 Determinazione dei profili di rischio delle attività
Sezione S - Strategia antincendio
S.1 Reazione al fuoco
S.2 Resistenza al fuoco
S.3 Compartimentazione
S.4 Esodo
S.5 Gestione della sicurezza antincendio
S.6 Controllo dell'incendio
S.7 Rivelazione ed allarme
S.8 Controllo di fumi e calore
S.9 Operatività antincendio
S.10 Sicurezza degli impianti tecnologici e di servizio
Sezione V - Regole tecniche verticali
V.1 Aree a rischio specifico
V.2 Aree a rischio per atmosfere esplosive
V.3 Vani degli ascensori
Sezione M - Metodi
M.1 Metodologia per l'ingegneria della sicurezza antincendio
M.2 Scenari di incendio per la progettazione prestazionale
M.3 Salvaguardia della vita con la progettazione prestazionale
Fonte: puntosicuro.it
L’infortunio in itinere: al lavoro andata e ritorno.
Disponibile sul sito di INAIL un pieghevole con alcune ‘pillole’ informative su un
argomento di grande interesse: l’infortunio in itinere.
L’Inail tutela i lavoratori che subiscono un infortunio durante il normale tragitto di
andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro.
Se il tragitto è percorso con ordinarie modalità di spostamento (mezzi pubblici, a
piedi ecc.), l’ infortunio in itinere è coperto laddove siano verificate le finalità
lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari.
Se l’infortunio in itinere si verifica a bordo del velocipede, l’uso del mezzo privato è
sempre necessitato.
Restano esclusi dalla tutela gli infortuni riconducibili a rischio elettivo
volontariamente assunto dal lavoratore e, come tale, non assicurativamente
protetto.
L’uso del mezzo privato (automobile, scooter o altro mezzo di trasporto) può
considerarsi necessitato solo qualora sia verificata la presenza di almeno una delle
seguenti condizioni:
• il mezzo è fornito o prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative;
• il luogo di lavoro è irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure è raggiungibile ma
non in tempo utile rispetto al turno di lavoro;
• i mezzi pubblici obbligano ad attese eccessivamente lunghe;
• i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del
mezzo privato;
• la distanza della più vicina fermata del mezzo pubblico, dal luogo di abitazione o
dal luogo di lavoro, deve essere percorsa a piedi ed è eccessivamente lunga.
Oltre che sul tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro,
l’infortunio in itinere può verificarsi:
• durante il normale tragitto che il lavoratore deve percorrere per recarsi da un
luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti con più datori di lavoro;
• durante il normale tragitto che il lavoratore deve percorrere per raggiungere il
luogo di consumazione abituale dei pasti, se non esiste una mensa aziendale.
Interruzioni e deviazioni del percorso. Quando rientrano nell’assicurazione?
Le interruzioni e deviazioni dal normale percorso non rientrano nella copertura
assicurativa, a meno che non ricorrano specifiche condizioni di necessità.
Le interruzioni e deviazioni del percorso che rientrano nella copertura assicurativa
sono:
• quelle effettuate in seguito a una direttiva del datore di lavoro;
• quelle dovute a causa di forza maggiore (ad esempio, un guasto meccanico);
• quelle dovute a esigenze essenziali e improrogabili (ad esempio, il soddisfacimento
di esigenze fisiologiche);
• quelle effettuate per adempiere ad obblighi penalmente rilevanti (ad esempio,
per prestare soccorso a vittime di incidente stradale);
• quelle effettuate per esigenze costituzionalmente rilevanti (ad esempio, per
accompagnare i fi gli a scuola);
• le brevi soste che non alterano le condizioni di rischio.
Il consumo di alcool, droga e di psicofarmaci
Non sono indennizzati gli infortuni direttamente causati dall’abuso di sostanze
alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni,
nonché dalla mancanza del titolo di abilitazione alla guida da parte del
conducente.
L’infortunio in itinere: al lavoro andata e ritorno (.pdf - 1,41 mb)
Fonte: puntosicuro.it
Fondo amianto mesotelioma non professionale, nuovi moduli 190 190/E
ROMA – Modulistica per accesso prestazioni malati mesotelioma non professionale.
Pubblicata da Inail il 9 settembre 2016 la circolare n.33 che riporta i nuovi moduli 190
e 190/E per l’istanza di accesso alle prestazioni del Fondo vittime amianto
riguardanti malati di mesotelioma non professionale o eredi di malati di mesotelioma
non professionale deceduti nel 2015.
I moduli e la circolare in esame si riferiscono all’estensione sperimentale delle
prestazioni del Fondo vittime amianto per gli anni 2015-2017 per le persone malate di
mesotelioma non professionale, disposta dalla Legge di stabilità 2015 (art.1 comma
116), regolata dal Decreto interministeriale del 4 settembre 2015, e per la quale Inail
ha pubblicato circolare il 6 novembre 2015.
Le modifiche apportate al nuovo modulo 190 derivano dalle seguenti
considerazioni: “Con il suddetto modulo, devono essere fornite all’Istituto alcune
informazioni per l’istruttoria della domanda presentata dagli aventi diritto alla
prestazione di cui si tratta. Nell’ambito di tali informazioni, l’interessato è tenuto a
riferire, tra l’altro, il luogo di residenza/abitazione in immobile con presenza di
amianto (indirizzo immobile, Comune, Provincia) e/o il luogo di residenza/abitazione
in immobile sito in prossimità di azienda che abbia utilizzato amianto nelle lavorazioni
(indirizzo immobile, denominazione Comune, Provincia dell’azienda).
Tuttavia, “Riguardo all’esposizione ambientale, […] la stessa può
ritenersi comprovata ove non sussista una esposizione professionale, che abbia
determinato il riconoscimento di una patologia asbesto-correlata […] e, quindi, ai
fini del riconoscimento del diritto alla prestazione, l’esposizione […]” stessa deve
ritenersi
“[…] comprovata sulla base della documentazione attestante che il soggetto
sia stato residente sul territorio nazionale in periodi compatibili con l’insorgenza
della patologia medesima”. Conseguentemente, la condicio sine qua non per il
riconoscimento del diritto alla prestazione consiste nell’essere stati residenti sul
territorio italiano nei suddetti periodi”.
Il nuovo modulo, composto da due parti, prevede quindi dati anagrafici, indicazioni
dell’esposizione di natura familiare o ambientale e non richiede più come
indicazione necessaria quella relativa alla residenza/abitazione in immobile con
amianto o in prossimità di azienda.
Le stesse considerazioni e gli stessi cambiamenti hanno interessato anche le
prestazioni agli eredi regolate dalla circolare Inail 24 marzo 2016, n. 13. Il nuovo
moduolo 190/E Istanza eredi prestazione una tantum fondo vittime dell’amianto per
mesotelioma di origine non professionale, prevede di conseguenza cambiamenti
che ricalcano il modulo 190. (Articolo di Corrado De Paolis)
Info: circolare n.33 del 9 settembre 2016, nuovi moduli 190 e 190/E
Fonte: quotidianosicurezza.it
Decreto rivalutazione prestazioni economiche infortunio lavoro malattia
professionale.
ROMA – Prestazioni economiche infortunio lavoro e malattia professionale. Sono stati
pubblicati dal Ministero del Lavoro i decreti del 29 luglio 2016 sulla decorrenza 1°
luglio 2016 delle prestazioni per industria, compreso il settore marittimo, agricoltura,
medici radiologi e tecnici sanitari di radiologia medica, autonomi.
Per tutti i settori citati vengono confermate le prestazioni vigenti dal 1° luglio 2015.
Info: Ministero Lavoro decreto 29 luglio 2016 prestazioni infortunio lavoro
Fonte: quotidianosicurezza.it

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  • 1. News 38/SSL/2016 Lunedì,19 Settembre 2016 231, società non risponde per inerzia persona fisica. In materia di sicurezza sul lavoro, l’inerzia gestionale del responsabile non travolge l’intera società in caso di infortunio occorso a un lavoratore, laddove non vi sia una carente politica aziendale. La Suprema Corte con sentenza 1 agosto 2016, n. 33629 ha individuato la colpa ex articolo 71, Dlgs 81/2008 del datore di lavoro in caso di infortunio del lavoratore, come ricollegabile al solo imputato persona fisica e non anche alla società ex articolo 25-septies, Dlgs. 231/2001. Infatti, non solo vi erano carenze organizzative e gestionali riferibili all’azienda, ma anzi la presenza di parecchi dipendenti con mansioni di controllo alla sicurezza esclude che la società abbia tratto interesse/vantaggio economico dall’inerzia del singolo. Nel caso in esame, l’Ente lombardo è stato assolto dal reato di lesioni colpose in danno di un lavoratore, dovendosene attribuire la responsabilità al solo amministratore delegato. (Articolo di Costanza Kenda) Fonte: reteambiente.it DVR: misurare la fatica mentale Come misurare la fatica mentale e inserire questo rischio nella valutazione dei rischi a fronte di modifiche rilevanti nell’organizzazione del lavoro. I cambiamenti dell’organizzazione del lavoro finalizzati all’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze e all’ottimizzazione delle risorse interne comporta modificazioni che frequentemente diminuiscono la fatica fisica e migliorano le condizioni ergonomiche, ma contemporaneamente riducono i tempi di esecuzione e richiedono un’attenzione continuativa da parte degli operatori. Ciò rende necessario indagare il nuovo rapporto che si viene a produrre tra fatica fisica e fatica mentale e, di conseguenza, predisporre strumenti di misurazione della
  • 2. fatica mentale. Si tratta di un compito tutt’altro che facile anche perché non esiste una misura del carico di lavoro mentale universalmente accettata. In generale, le misure per il calcolo della fatica mentale possono essere raggruppate in tre categorie: · comportamentali · soggettive · fisiologiche Le misure comportamentali individuano quali caratteristiche del compito eseguito dal lavoratore debbano essere utilizzate come indice del carico di lavoro imposto (per esempio il numero di movimenti eseguiti per azionare dispositivi di controllo in un arco di tempo dato oppure la durata e la frequenza degli sguardi diretti verso fonti di informazioni visive). Questa rilevazione presenta però il limite che le variazioni del carico di lavoro mentale imposto da un compito non sono necessariamente evidenziate dalla prestazione in quanto l’operatore potrebbe allocare risorse cognitive per mantenere invariato il livello di prestazione. Inoltre, difficoltà di un compito e carico mentale non coincidono necessariamente. Il peggioramento in una prestazione potrebbe derivare semplicemente dall’aumento della difficoltà e non essere un indicatore di affaticamento. Per rendere più attendibile la valutazione si può ricorrere all’uso del doppio compito: al soggetto viene chiesto di eseguire due compiti contemporaneamente, uno è quello di cui si vuol misurare il carico di lavoro mentale (compito primario), l’altro (compito secondario) è quello che viene utilizzato per calcolare il carico di lavoro mentale associato al compito primario. All’aumentare della difficoltà di esecuzione del compito primario, corrisponde un peggioramento della prestazione nel compito secondario in quanto il lavoratore distoglie risorse cognitive da esso in favore dell’impegno prioritario. Le misure soggettive sono le più usate, soprattutto per la loro semplicità, economicità e rapidità di somministrazione. Consistono nella richiesta – rivolta all’operatore dopo l’esecuzione del compito - di indicare il carico di lavoro mentale percepito. Per eseguire questa misurazioni in modo attendibile è necessario che le domande
  • 3. rivolte all’operatore siano formulate in modo chiaro e preciso e aiutino a distinguere tra lavoro mentale e fisico e tra difficoltà del compito e carico di lavoro mentale. Allo scopo si possono utilizzare scale, check list o questionari non standardizzati. Una delle scale più usate per la misurazione soggettiva è l’Analytical Hierarchy Process che richiede all’operatore di confrontare tutte le condizioni di due compiti indicando, per ciascuna coppia, quella caratterizzata dal maggior carico di lavoro. Si può ricorrere anche alla scala Cooper – Harper, anche se non è una vera e propria misura del carico mentale ed è indicativa soprattutto nelle situazioni in cui l’affaticamento deriva dalla difficoltà di controllo. Essa consiste in un albero delle decisioni che combina differenti aspetti all’interno di una scala monodirezionale a dieci punti. La Subjective Workload Assessment Technique (SWART) usa tre scale differenti per produrre un punteggio di carico di Lavoro mentale. Le tre scale riguardano · pressione temporale · sforzo mentale · stress psicologico È possibile utilizzare anche il NASA Task Load Index (NASA _ TLX), uno strumento multidimensionale di misura del carico di lavoro mentale che, in questa scala, è definito come il costo che un operatore umano deve pagare per raggiungere uno specifico livello di prestazione. Il NASA Task Load Index richiede all’operatore di esprimere una valutazione su sei scale a 20 punti che fanno riferimento a · Richieste mentali · Richieste fisiche · Richieste temporali · Prestazione · Sforzo · Livello di stress Es. Richieste mentali basso alto Le misure fisiologiche costituiscono degli indicatori indiretti del carico di lavoro mentale.
  • 4. Le procedure per la rilevazione degli indici psicofisiologici non sempre sono accettate dagli operatori che le possono considerare invasive in quanto monitorano le reazioni fisiche (ritmi elettroencefalografici, variazioni della frequenza cardiaca, attività respiratoria, frequenza degli ammiccamenti) agli stimoli cui l’operatore è sottoposto. Le misure fisiologiche più usate nella stima del carico di lavoro quelle relative alla · Attività oculare · Respirazione · Attività cardiovascolare Indipendentemente dalla modalità che si adotta, è importante che si cominci a prestare attenzione alla fatica mentale e che ci si attrezzi a includere la sua valutazione nel DVR, in particolare quando esso viene rivisto, come prevede il d.lgvo 81/08, a fronte di modifiche rilevanti nell’organizzazione del lavoro. (Articolo di Renata Borgato) Docente, formatrice e consulente aziendale. Fonte: puntosicuro.it La delega di funzioni nella giurisprudenza degli ultimi 2 anni. La delega dell’obbligo di formazione al di là del DVR, fino a dove deve arrivare la vigilanza del delegante, la delega al Responsabile Lavori, la delega ambientale, la differenza coi poteri originari e coi “garanti di fatto”. Alcune sentenze in materia di delega di funzioni (attualmente disciplinata dall’articolo 16 del D.Lgs. 81/08) emanate dalla Cassazione Penale negli ultimi due anni si segnalano per il loro particolare interesse. Proponiamo qui di seguito una sintesi di queste pronunce - come sempre senza pretese di esaustività - suddivise per argomenti e non elencate in ordine strettamente cronologico, benché tutte emanate nell’ultimo biennio. La delega dell’obbligo di formazione e informazione (art. 18 c.1 lett.l) D.Lgs.81/08) vale anche quando il DVR è carente in materia In Cassazione Penale, Sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 4347 era stato contestato “al T.F., in qualità di dirigente all’uopo delegato, di essere venuto meno ai propri obblighi di formazione ed informazione derivanti dai piani annuali pertinenti per il 2007/2008.”
  • 5. Egli ricorre in Cassazione e, in uno dei suoi motivi di ricorso, “asserisce che non potevasi a lui richiedere un obbligo di formazione ed informazione a riguardo di una procedura operativa non prevista dal DVR.” La Corte rigetta il ricorso affermando che “l’obbligo di formare ed informare al quale era tenuto, per delega, il T.F., non consta dagli atti sottoposti al giudizio di legittimità potersi intendere limitato a quanto definito nel DVR, anche se lo stesso fosse da considerare difettoso, trovando, invece, fonte negli attuali artt.36 e 37 (sostanzialmente riproduttivi delle previsioni previgenti). In altri termini, al predetto era stato assegnato uno dei compiti datoriali delegabili (quello di cui all’attuale art.18, comma 1, lett.l) e il delegato aveva l’obbligo di organizzare la didattica antinfortunistica per tutti gli addetti, concernente tutte le tematiche settorialmente rilevanti. Ove l’imputato avesse fatto luogo all’azione doverosa omessa, che avrebbe portato ad acquisire piena consapevolezza delle modalità attraverso le quali caricare in sicurezza l’autocarro, l’evento non si sarebbe verificato, o avrebbe avuto conseguenze meno gravi.” In cosa consiste concretamente l’obbligo di vigilanza del delegante sull’attività del delegato Moltissime sentenze sulla delega ribadiscono il principio secondo il quale il delegante deve vigilare sul corretto espletamento delle attività delegate, ma un po’ meno sono quelle che entrano nel merito del contenuto operativo di questo obbligo di vigilanza. Vediamone una che tratta questo tema un po’ più nel dettaglio. Cassazione Penale, Sez.IV, 22 giugno 2015 n. 26279, infatti, una volta ricordato il “principio secondo il quale esiste una responsabilità residuale del datore di lavoro che ha l’obbligo di vigilanza ex art.16, comma 3, d.lgs.81/2008”, si sofferma, ricollegandosi alla sentenza della Corte d’Appello, “sul concetto di “vigilanza alta”, che ha per oggetto il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato, con l’obbligo del datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive.” La Corte conferma qui l’assoluzione del datore di lavoro C.F. il quale aveva conferito delega di funzioni a DL.M. Da vari elementi in fatto la Corte “ha tratto la convincente conclusione che gli ampi
  • 6. poteri conferiti al geometra DL.M. rappresentassero a tutti gli effetti una delega di funzioni, come contemplata dall’art.16, d.Lgs 81/2008, in quanto comprensiva di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla natura delle funzioni delegate, ivi compreso il potere di spesa, attribuito, implicitamente, ma indubitabilmente, con la clausola di chiusura, generica ma omnicomprensiva, attributiva di “ogni potere relativamente agli incarichi affidatigli, anche se qui non espressamente previsto”. Su queste premesse, i giudici di merito hanno fondato l’assoluzione del C.F., nella qualità di datore di lavoro, rimarcando, il primo giudice, l’assoluta estraneità dell’imputato alle questioni legate alla sicurezza del cantiere, ed il secondo, fornendo una interpretazione dell’obbligo di vigilanza spettante al datore di lavoro ex art. 16 comma 3, d.Lgs 81/2008, incompatibile con l’assunzione di responsabilità in sede penale patrocinata dal difensore della parte civile.” La sentenza di Cassazione approfondisce questo punto: “il ruolo di vigilanza di cui al comma 3, del citato art.16, d.Lgs.81/2008, tuttavia, come ben chiarito dalla Corte di merito, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (v. la richiamata sentenza Sezione IV, 1 febbraio 2012, n.10702, Mangone, che si è soffermata proprio su questo aspetto) non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato.” Pertanto “ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. In coerente applicazione di tale principio la Corte di merito ha ritenuto che il C.F., nella sua qualità di amministratore della società e datore di lavoro, era tenuto, in presenza di valida delega di funzioni, a verificare che il preposto alla gestione del sistema di sicurezza del cantiere, curasse l’applicazione in cantiere delle politiche stabilite dalla direzione aziendale per le attività di sicurezza ed il costante adeguamento dei piani di sicurezza elaborati dal responsabile aziendale per la sicurezza, non anche che venissero concretamente adottate, nelle singoli fasi di lavorazione, le precauzioni necessarie alla prevenzione del rischio.” Delega conferita dal Committente al Responsabile dei Lavori Cassazione Penale, Sez.IV, 11 agosto 2015 n. 34818 ricorda che “è da escludere che la delega in tema di sicurezza possa essere attribuita dal committente ad un
  • 7. responsabile dei lavori individuato nel datore di lavoro dell’impresa esecutrice. Una tale eventualità, infatti - come già condivisibilmente osservato da questa Corte (Sez. 4, n. 1490 del 20/11/2009, dep. 2010, Fumagalli, non mass, sul punto) - «riprodurrebbe ad un più alto livello di responsabilità, l’inconcepibile identificazione tra controllore e soggetto controllato per ciò che riguarda la sicurezza del cantiere.” Nel precedente giurisprudenziale che viene richiamato dalla Corte, ovvero Cassazione Penale, Sez. IV, 14 gennaio 2010 n. 1490, la Corte aveva già avuto modo di chiarire che “l’esonero da responsabilità del committente è commisurato alla sfera dell’incarico conferito. Ne discende in primo luogo che l’incarico in questione, che lo si voglia o meno tratteggiare come una forma di delega, per assumere rilevanza giuridica deve comunque presentare una chiara evidenza formale, di guisa che sia possibile inferire quale sia l’ambito del trasferimento di ruolo e di responsabilità. Naturalmente, il conferimento di tale incarico sostitutivo implica altresì il conferimento dei poteri decisori, gestionali e di spesa occorrenti.” Aveva poi specificato quanto segue: “con maggiore precisione, è da escludere che la delega in tema di sicurezza possa essere attribuita dal committente ad un responsabile dei lavori individuato nel datore di lavoro dell’impresa esecutrice. Una tale eventualità, infatti, riprodurrebbe ad un più alto livello di responsabilità, l’inconcepibile identificazione tra controllore e soggetto controllato per ciò che riguarda la sicurezza del cantiere.” E aveva concluso che “il D.Lgs. n. 464, art. 6, [ora titolo IV D.Lgs. 81/08] come si è visto, esonera il committente da responsabilità limitatamente all’ambito delegato al responsabile dei lavori.” Delega in materia ambientale – Poteri del direttore generale – Differenza tra verbale dell’Assemblea dei soci e delega - Esercizio di fatto della gestione ambientale – Attribuzione di prerogative a titolo originario Il caso trattato da Cassazione Penale, Sez. III, 23 settembre 2015 n. 38551 è interessante e merita di essere analizzato anche nel merito della vicenda quale esempio utile a comprendere il modo di ragionare della Corte in materia di delega di funzioni conferita a livello apicale e di effettivo esercizio dei poteri di gestione in materia ambientale. Il sig. A.R. viene dichiarato dal Tribunale “colpevole del reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 29-quatuordecies, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n, 152, perché, quale direttore generale della società (società titolare dell’autorizzazione) e procuratore
  • 8. speciale della società (società cessionaria dell’autorizzazione), con espressa delega di funzioni in materia di prevenzione e tutela ambientale per tutte le attività svolte presso lo stabilimento […], esercitava l’attività dello stabilimento con inosservanza delle prescrizioni imposte dall’autorizzazione integrata ambientale in ordine alle emissioni in atmosfera ed alla gestione dei rifiuti. Il ricorrente è stato nominato direttore generale della il 19/03/2003, come da verbale di assemblea ordinaria dei soci…”. In termini di poteri, “per consentirgli di esercitare tali prerogative, espressamente accettate dal A.R., l’assemblea gli ha attribuito ampi poteri, esercitabili senza preventiva autorizzazione. In ordine ai poteri e alle mansioni conferiti - prosegue il verbale - il A.R. avrebbe risposto del suo operato direttamente all’assemblea.” A.R. ricorre in Cassazione, contestando “l’idoneità di tale atto a conferirgli valida delega”. Secondo la Corte, “la questione, così come posta, è del tutto errata e fuorviante.I principi che questa Corte ha elaborato in materia di “delega ambientale” riguardano la sua attitudine a sollevare il delegante da ogni forma di responsabilità ma non ad escludere quella del delegato che si sia realmente occupato della gestione “ambientale” dell’impresa e abbia effettivamente esercitato i compiti a lui assegnati, assumendosene le relative responsabilità e rendendosi autore diretto delle violazioni accertate.” La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso in quanto “l’imputato si ferma, per così dire, alla forma della “delega” ma non contesta, nella sostanza, di aver esercitato le attribuzioni e le funzioni in essa analiticamente descritte che addirittura gli conferivano la rappresentanza della società e lo rendevano responsabile direttamente ed esclusivamente nei confronti dell’assemblea. Né ha eccepito che le violazioni riscontrate fossero conseguenza di mancati investimenti necessari, segnalati e non autorizzati dall’A.U. In ogni caso, osserva il Collegio che il verbale non contiene una delega vera e propria: la delega comporta un trasferimento di poteri che ne presuppone il possesso da parte del delegante. Nel caso in esame, invece, l’affidamento delle prerogative è stato effettuato a titolo originario dall’assemblea dei soci, ancorché su proposta dell’A.U., in quanto attribuzioni funzionali tipiche della nuova figura di “direttore generale” nella quale sono confluite parte delle competenze dell’amministratore unico con possibilità di esercitarle in piena e totale autonomia anche rispetto a quest’ultimo.”
  • 9. “Garante di fatto” (art.299 D.Lgs.81/08) e delega di funzioni La recente sentenza Cassazione Penale, Sez. IV, 1° luglio 2016 n. 27056, avente ad oggetto il rapporto tra la delega di funzioni e l’esercizio in concreto di poteri direttivi, chiarisce che “se è ben vero che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è individuabile la figura del “garante di fatto” in colui che, senza alcuna preliminare investitura da parte del datore di lavoro, espleta concretamente poteri tipici (assumendo conseguentemente, in ragione del principio di effettività codificato dall’art.299 del D.Lgs.n.81/08, la correlata posizione di garanzia) è altrettanto certo che, nel caso di specie, ove il S.D. avesse ipoteticamente esercitato in concreto i poteri giuridici datoriali ciò non avrebbe sostituito la delega formale (rogata solo 2 ore dopo l’infortunio) ma avrebbe solo aggiunto, accanto a quella del P.M. [datore di lavoro, n.d.r.], la (eventuale) responsabilità colposa del S.D. stesso (ex multis sez. 4, n. 34299 del 06/08/2015).” [S.D. era il soggetto al quale, come si legge in sentenza, “due ore dopo circa l’infortunio al dipendente…, il P.M. stesso [quale datore di lavoro, n.d.r.] conferiva, con procura institoria notarile…i poteri di datore di lavoro e responsabile della sicurezza nei luoghi di lavoro per l’unità produttiva di…]. Responsabilità del datore di lavoro in assenza di delega e “incapacità tecnica” dello stesso Cassazione Penale, Sez.III, ud. 10 marzo 2016 (dep. aprile 2016) n. 17426 ricorda che “se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme è il legale rappresentante dell’ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, così che la sua responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di preposto alla gestione societaria (Sez. 3, n. 28358 del 04/07/2006 - dep. 08/08/2006, Bonora e altro, Rv. 234949, che ha anche ulteriormente affermato che il legale rappresentante non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica, in quanto tale condizione lo obbliga al conferimento a terzi dei compiti in materia antinfortunistica). Delega valida in quanto conforme a tutti i requisiti previsti dall’art.16 D.Lgs.81/08. Il delegato quale “gestore dei rischi”
  • 10. Cassazione Penale, Sez. IV, 5 ottobre 2015 n. 40043, infine, si è pronunciata sulle responsabilità di un soggetto condannato non solo “in qualità di membro del consiglio di amministrazione, ma anche […] di delegato alla sicurezza aziendale.” La Corte ricorda che “in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014 Ud. (dep. 18/09/2014), Rv. 261108). Nel caso in esame, il ricorrente era titolare di una formale delega in relazione alle esigenze di sicurezza aziendale […] connotata da tutte le caratteristiche a renderla idonea a radicare in capo al T.S. la posizione di garanzia e, quindi, di gestore dei rischi per la sicurezza dei lavoratori. Inoltre la sua qualificazione professionale lo rendeva idoneo a valutare la pericolosità di un macchinario dotato di un insufficiente sistema di sicurezza.” [Tra i precedenti, si veda anche Cassazione Penale, Sez. IV, 25 giugno 2015 n.26999. E, sul delegato quale “gestore del rischio”, si vedano le motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sul caso Thyssenkrupp: Cass. Pen., Sez. Un., 18 settembre 2014 n.38343. Per un approfondimento su questo punto, si veda l’articolo “ Datore, dirigente, preposto, delegato e “aree di gestione del rischio”.] (Articolo di Anna Guardavilla) Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro. Fonte: puntosicuro.it Il campo di applicazione del nuovo codice di prevenzione incendi. Un intervento presenta alcune degli articoli del decreto del 3 agosto 2015 contenente il nuovo Codice di prevenzione incendi. Modalità applicative delle norme tecniche di prevenzione incendi, campo di applicazione e disposizioni finali. Roma, 13 Set – Dopo aver presentato in questi mesi i capitoli più significativi del
  • 11. nuovo “ Codice di prevenzione Incendi”, contenuto nel Decreto del Ministero dell’Interno del 3 agosto 2015 recante “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139”, torniamo a parlarne in termini più generali con l’aiuto di uno dei tanti interventi che in molti convegni hanno affrontato questa importante novità normativa entrata in vigore il 18 novembre 2015. Ci soffermiamo oggi in particolare su un intervento ad un incontro, organizzato dalle associazioni ed enti correlati al Centro per la Cultura della Prevenzione nei luoghi di lavoro e di vita di Milano, dal titolo “Il nuovo codice di prevenzione incendi - D.M. 03.08.2015”. Un incontro che si è tenuto a Milano il 16 marzo scorso. In “Il Codice di prevenzione incendi. D.M. 3 agosto 2015” l’Ing. Claudio Giacalone (Dirigente Addetto Comando Vigili del Fuoco Milano) presenta preliminarmente alcuni articoli del decreto senza entrare direttamente nell’analisi dell’allegato “Norme tecniche di prevenzione incendi”. Ad esempio presenta l’articolo 1 (Approvazione e modalità applicative delle norme tecniche di prevenzione incendi) che indica che le norme tecniche di prevenzione incendi, di cui all’allegato del decreto, si possono applicare alle attività di cui all’articolo 2 – di cui parleremo tra poco – in alternativa alle specifiche disposizioni di prevenzione incendi di cui ai decreti del Ministro dell’interno di seguito indicati, ovvero ai vigenti criteri tecnici di prevenzione incendi di cui all’articolo 15, comma 3, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139: a) decreto del 30 novembre 1983 recante «Termini, definizioni generali e simboli grafi ci di prevenzione incendi e successive modificazioni»; b) decreto del 31 marzo 2003 recante «Requisiti di reazione al fuoco dei materiali costituenti le condotte di distribuzione e ripresa dell’aria degli impianti di condizionamento e ventilazione»; c) decreto del 3 novembre 2004 recante «Disposizioni relative all’installazione ed alla manutenzione dei dispositivi per l’apertura delle porte installate lungo le vie di esodo, relativamente alla sicurezza in caso di incendio»; d) decreto del 15 marzo 2005 recante «Requisiti di reazione al fuoco dei prodotti da costruzione installati in attività disciplinate da specifiche disposizioni tecniche di prevenzione incendi in base al sistema di classificazione europeo»; e) decreto del 15 settembre 2005 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per i vani degli impianti di sollevamento ubicati nelle attività
  • 12. soggette ai controlli di prevenzione incendi»; f) decreto del 16 febbraio 2007, recante «Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione»; g) decreto del 9 marzo 2007, recante «Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco»; h) decreto del 20 dicembre 2012 recante «Regola tecnica di prevenzione incendi per gli impianti di protezione attiva contro l’incendio installati nelle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi». Veniamo al campo di applicazione contenuto nell’articolo 2: Art. 2. Campo di applicazione 1. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alla progettazione, alla realizzazione e all’esercizio delle attività di cui all’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151, individuate con i numeri: 9; 14; da 27 a 40; da 42 a 47 ; da 50 a 54; 56; 57; 63; 64; 70; 75, limitatamente ai depositi di mezzi rotabili e ai locali adibiti al ricovero di natanti e aeromobili; 76. 2. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 si possono applicare alle attività di cui al comma 1 di nuova realizzazione ovvero a quelle esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di interventi di ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento ad attività esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, le medesime norme tecniche si possono applicare a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti nella restante parte di attività, non interessata dall’intervento, siano compatibili con gli interventi di ristrutturazione parziale o di ampliamento da realizzare. 3. Per gli interventi di ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento su parti di attività esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto non rientranti nei casi di cui al comma 2, le norme tecniche di cui all’articolo 1 si applicano all’intera attività. 4. Le norme tecniche di cui all’articolo 1 possono essere di riferimento per la progettazione, la realizzazione e l’esercizio delle attività indicate al comma 1 che non rientrano nei limiti di assoggettabilità previsti nell’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151. Riguardo al dettaglio delle attività (indicate nel comma 1 dell’articolo 2), nell’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente, sono presenti alcune
  • 13. tabelle esplicative. Ad esempio in relazione all’attività contenute nell’allegato I (Elenco delle attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi) del DPR n. 151/2011 riportiamo, a livello esemplificativo, alcune indicazioni relative alle attività 9, 14 e 27- 31:
  • 14. Riportiamo anche una tabella relativa alle attività 56, 57, 63, 64, 70, 75, 76: Il relatore sottolinea poi quanto indicato nel comma 2 riguardo agli ‘interventi di ristrutturazione parziale ovvero di ampliamento ad attività esistenti alla data di entrata in vigore’ del decreto. In questo caso le norme tecniche si possono applicare a condizione che le misure di sicurezza antincendio esistenti nella restante parte di attività, non interessata dall’intervento, siano compatibili con gli interventi di ristrutturazione parziale o di ampliamento da realizzare. Infine il dirigente dei Vigili del Fuoco si sofferma anche sull’articolo 5 contenente le disposizioni finali. Si ricorda che ai fini dell’applicazione delle norme tecniche di prevenzione incendi, di cui all’articolo 1, restano valide: a) le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2012
  • 15. relativamente alla documentazione tecnica da allegare alle istanze di cui decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151. La medesima documentazione tecnica deve includere le informazioni indicate nelle norme tecniche di cui al presente decreto; b) le disposizioni di cui all’articolo 11, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno 7 agosto 2012 e quelle degli articoli 3, comma 3, 4, comma 2, e 6, comma 4, del decreto del Ministro dell’interno 9 maggio 2007, relative alla determinazione degli importi dei corrispettivi dovuti per i servizi resi dai Comandi provinciali dei vigili del fuoco. Inoltre si sottolinea (comma 2 dell’articolo 5) che per le attività di cui all’articolo 2 in possesso del certificato di prevenzione incendi ovvero in regola con gli obblighi previsti agli articoli 3, 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 1 agosto 2011, n. 151, il presente decreto non comporta adempimenti. In conclusione viene riportata la struttura del Codice: Sezione G - Generalità G.1 Termini, definizioni e simboli grafici G.2 Progettazione per la sicurezza antincendio G.3 Determinazione dei profili di rischio delle attività Sezione S - Strategia antincendio S.1 Reazione al fuoco S.2 Resistenza al fuoco S.3 Compartimentazione S.4 Esodo S.5 Gestione della sicurezza antincendio S.6 Controllo dell'incendio S.7 Rivelazione ed allarme S.8 Controllo di fumi e calore S.9 Operatività antincendio S.10 Sicurezza degli impianti tecnologici e di servizio Sezione V - Regole tecniche verticali V.1 Aree a rischio specifico
  • 16. V.2 Aree a rischio per atmosfere esplosive V.3 Vani degli ascensori Sezione M - Metodi M.1 Metodologia per l'ingegneria della sicurezza antincendio M.2 Scenari di incendio per la progettazione prestazionale M.3 Salvaguardia della vita con la progettazione prestazionale Fonte: puntosicuro.it L’infortunio in itinere: al lavoro andata e ritorno. Disponibile sul sito di INAIL un pieghevole con alcune ‘pillole’ informative su un argomento di grande interesse: l’infortunio in itinere. L’Inail tutela i lavoratori che subiscono un infortunio durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro. Se il tragitto è percorso con ordinarie modalità di spostamento (mezzi pubblici, a piedi ecc.), l’ infortunio in itinere è coperto laddove siano verificate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari. Se l’infortunio in itinere si verifica a bordo del velocipede, l’uso del mezzo privato è sempre necessitato. Restano esclusi dalla tutela gli infortuni riconducibili a rischio elettivo volontariamente assunto dal lavoratore e, come tale, non assicurativamente protetto. L’uso del mezzo privato (automobile, scooter o altro mezzo di trasporto) può considerarsi necessitato solo qualora sia verificata la presenza di almeno una delle seguenti condizioni: • il mezzo è fornito o prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative; • il luogo di lavoro è irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure è raggiungibile ma non in tempo utile rispetto al turno di lavoro; • i mezzi pubblici obbligano ad attese eccessivamente lunghe; • i mezzi pubblici comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all’utilizzo del mezzo privato; • la distanza della più vicina fermata del mezzo pubblico, dal luogo di abitazione o dal luogo di lavoro, deve essere percorsa a piedi ed è eccessivamente lunga.
  • 17. Oltre che sul tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, l’infortunio in itinere può verificarsi: • durante il normale tragitto che il lavoratore deve percorrere per recarsi da un luogo di lavoro a un altro, nel caso di rapporti con più datori di lavoro; • durante il normale tragitto che il lavoratore deve percorrere per raggiungere il luogo di consumazione abituale dei pasti, se non esiste una mensa aziendale. Interruzioni e deviazioni del percorso. Quando rientrano nell’assicurazione? Le interruzioni e deviazioni dal normale percorso non rientrano nella copertura assicurativa, a meno che non ricorrano specifiche condizioni di necessità. Le interruzioni e deviazioni del percorso che rientrano nella copertura assicurativa sono: • quelle effettuate in seguito a una direttiva del datore di lavoro; • quelle dovute a causa di forza maggiore (ad esempio, un guasto meccanico); • quelle dovute a esigenze essenziali e improrogabili (ad esempio, il soddisfacimento di esigenze fisiologiche); • quelle effettuate per adempiere ad obblighi penalmente rilevanti (ad esempio, per prestare soccorso a vittime di incidente stradale); • quelle effettuate per esigenze costituzionalmente rilevanti (ad esempio, per accompagnare i fi gli a scuola); • le brevi soste che non alterano le condizioni di rischio. Il consumo di alcool, droga e di psicofarmaci Non sono indennizzati gli infortuni direttamente causati dall’abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni, nonché dalla mancanza del titolo di abilitazione alla guida da parte del conducente. L’infortunio in itinere: al lavoro andata e ritorno (.pdf - 1,41 mb) Fonte: puntosicuro.it Fondo amianto mesotelioma non professionale, nuovi moduli 190 190/E
  • 18. ROMA – Modulistica per accesso prestazioni malati mesotelioma non professionale. Pubblicata da Inail il 9 settembre 2016 la circolare n.33 che riporta i nuovi moduli 190 e 190/E per l’istanza di accesso alle prestazioni del Fondo vittime amianto riguardanti malati di mesotelioma non professionale o eredi di malati di mesotelioma non professionale deceduti nel 2015. I moduli e la circolare in esame si riferiscono all’estensione sperimentale delle prestazioni del Fondo vittime amianto per gli anni 2015-2017 per le persone malate di mesotelioma non professionale, disposta dalla Legge di stabilità 2015 (art.1 comma 116), regolata dal Decreto interministeriale del 4 settembre 2015, e per la quale Inail ha pubblicato circolare il 6 novembre 2015. Le modifiche apportate al nuovo modulo 190 derivano dalle seguenti considerazioni: “Con il suddetto modulo, devono essere fornite all’Istituto alcune informazioni per l’istruttoria della domanda presentata dagli aventi diritto alla prestazione di cui si tratta. Nell’ambito di tali informazioni, l’interessato è tenuto a riferire, tra l’altro, il luogo di residenza/abitazione in immobile con presenza di amianto (indirizzo immobile, Comune, Provincia) e/o il luogo di residenza/abitazione in immobile sito in prossimità di azienda che abbia utilizzato amianto nelle lavorazioni (indirizzo immobile, denominazione Comune, Provincia dell’azienda). Tuttavia, “Riguardo all’esposizione ambientale, […] la stessa può ritenersi comprovata ove non sussista una esposizione professionale, che abbia determinato il riconoscimento di una patologia asbesto-correlata […] e, quindi, ai fini del riconoscimento del diritto alla prestazione, l’esposizione […]” stessa deve ritenersi “[…] comprovata sulla base della documentazione attestante che il soggetto sia stato residente sul territorio nazionale in periodi compatibili con l’insorgenza della patologia medesima”. Conseguentemente, la condicio sine qua non per il riconoscimento del diritto alla prestazione consiste nell’essere stati residenti sul territorio italiano nei suddetti periodi”. Il nuovo modulo, composto da due parti, prevede quindi dati anagrafici, indicazioni dell’esposizione di natura familiare o ambientale e non richiede più come indicazione necessaria quella relativa alla residenza/abitazione in immobile con amianto o in prossimità di azienda. Le stesse considerazioni e gli stessi cambiamenti hanno interessato anche le prestazioni agli eredi regolate dalla circolare Inail 24 marzo 2016, n. 13. Il nuovo moduolo 190/E Istanza eredi prestazione una tantum fondo vittime dell’amianto per mesotelioma di origine non professionale, prevede di conseguenza cambiamenti che ricalcano il modulo 190. (Articolo di Corrado De Paolis)
  • 19. Info: circolare n.33 del 9 settembre 2016, nuovi moduli 190 e 190/E Fonte: quotidianosicurezza.it Decreto rivalutazione prestazioni economiche infortunio lavoro malattia professionale. ROMA – Prestazioni economiche infortunio lavoro e malattia professionale. Sono stati pubblicati dal Ministero del Lavoro i decreti del 29 luglio 2016 sulla decorrenza 1° luglio 2016 delle prestazioni per industria, compreso il settore marittimo, agricoltura, medici radiologi e tecnici sanitari di radiologia medica, autonomi. Per tutti i settori citati vengono confermate le prestazioni vigenti dal 1° luglio 2015. Info: Ministero Lavoro decreto 29 luglio 2016 prestazioni infortunio lavoro Fonte: quotidianosicurezza.it